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Sommario del 09/01/2015

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Il Papa: chi ama Dio è libero, solo lo Spirito apre il cuore

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Soltanto lo Spirito Santo rende il cuore docile a Dio e alla libertà. Lo ha affermato Papa Francesco durante l’omelia della Messa del mattino, celebrata nella cappella di Casa S. Marta. I dolori della vita, ha detto il Papa, possono chiudere una persona, mentre l’amore la rende libera. Il servizio di Alessandro De Carolis: 

Una seduta di yoga non potrà insegnare a un cuore a “sentire” la paternità di Dio, né un corso di spiritualità zen lo renderà più libero di amare. Questo potere ce l’ha solo lo Spirito Santo. Papa Francesco prende l’episodio del giorno del Vangelo di Marco – quello che segue la moltiplicazione dei pani e nel quale i Discepoli si spaventano nel vedere Gesù camminare verso di loro sull’acqua – che termina con una considerazione sul perché di quello spavento: gli Apostoli non avevano capito il miracolo dei pani perché “il loro cuore era indurito”.

Vita dura e muri di protezione
Un cuore può essere di pietra per tanti motivi, osserva il Papa. Per esempio, a causa di “esperienze dolorose”. Capita ai discepoli di Emmaus, timorosi di illudersi “un’altra volta”. Accade a Tommaso che rifiuta di credere alla Risurrezione di Gesù. E “un altro motivo che indurisce  il cuore – indica Francesco – è la chiusura in se stesso”:

“Fare un mondo in se stesso, chiuso. In se stesso, nella sua comunità o nella sua parrocchia, ma sempre chiusura. E la chiusura può girare intorno a tante cose: ma pensiamo all’orgoglio, alla sufficienza, pensare che io sono meglio degli altri, anche alla vanità, no? Ci sono l’uomo e la donna-specchio, che sono chiusi in se stessi per guardare se stessi continuamente, no? Questi narcisisti religiosi, no? Ma, hanno il cuore duro, perché sono chiusi, non sono aperti. E cercano di difendersi con questi muri che fanno intorno a sé”.

La sicurezza della prigione
C’è pure chi si barrica dietro la legge, aggrappandosi alla “lettera” di ciò che i comandamenti stabiliscono. Qui, afferma Papa Francesco, a indurire il cuore è un problema di “insicurezza”. E chi cerca solidità nel dettato della legge è sicuro – dice il Papa con una punta di ironia – come “un uomo o una donna nella cella di un carcere dietro la grata: è una sicurezza senza libertà”. Cioè l’opposto, soggiunge, di ciò “che è venuto a portarci Gesù”, la libertà:

“Il cuore, quando si indurisce, non è libero e se non è libero è perché non ama: così finiva Giovanni apostolo nella prima Lettura. L’amore perfetto scaccia il timore: nell’amore non c’è timore, perché il timore suppone un castigo e chi teme non è perfetto nell’amore. Non è libero. Sempre ha il timore che succeda qualcosa di doloroso, di triste, che mi faccia andare male nella vita o rischiare la salvezza eterna…  Ma tante immaginazioni, perché non ama. Chi non ama non è libero. E il loro cuore era indurito, perché ancora non avevano imparato ad amare”.

Lo Spirito rende liberi e docili
Allora, “chi ci insegna ad amare? Chi ci libera da questa durezza?”, si domanda Francesco. “Soltanto lo Spirito Santo”, è la sua risposta:

“Tu puoi fare mille corsi di catechesi, mille corsi di spiritualità, mille corsi di yoga, zen e tutte queste cose. Ma tutto questo non sarà mai capace di darti la libertà di figlio. Soltanto è lo Spirito Santo che muove il tuo cuore per dire ‘Padre’. Soltanto lo Spirito Santo è capace di scacciare, di rompere questa durezza del cuore e fare un cuore… morbido?… Non so, non mi piace la parola… “Docile”. Docile al Signore. Docile alla libertà dell’amore”.

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Il Papa riceve i cardinali Müller e Filoni

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Papa Francesco ha ricevuto nel corso della mattinata in successive udienze, i cardinali Gerhard Ludwig Müller, prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, Fernando Filoni, prefetto della Congregazione per l'Evangelizzazione dei Popoli, e Godfried Danneels, arcivescovo emerito di Mechelen-Brussel, in (Belgio. Il Papa ha ricevuto anche l’arcivescovo Julio Murat, nunzio apostolico in Zambia e in Malawi.

Il Pontefice ha nominato prelato uditore del Tribunale della Rota Romana mons. Pietro Milite, del clero della Diocesi di Nocera Inferiore-Sarno, finora promotore di Giustizia del medesimo Tribunale.

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Vaticano: Giornata di solidarietà per Haiti a 5 anni dal sisma

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“La comunione della Chiesa: memoria e speranza per Haiti a 5 anni dal terremoto”. Questo il tema dell’incontro che si terrà domani in Vaticano. Una “Giornata di solidarietà” fortemente voluto da Papa Francesco per ricordare il violento sisma che ha causato 230 mila morti, 300 mila feriti e 1 milione e 200 mila senzatetto. Presenti: una delegazione di vescovi haitiani guidata dal card. Langlois, rappresentanti dei dicasteri vaticani e di alcune conferenze episcopali, organizzazioni di aiuto e cooperazione, Superiori generali di congregazioni religiose, ambasciatori presso la Santa Sede. L’iniziativa è organizzata dal Pontificio Consiglio “Cor Unum” e dalla Pontificia Commissione per l’America Latina. Sul significato di questa Giornata, Roberto Piermarini ha intervistato il Segretario di" Cor Unum", mons. Gianpietro Dal Toso

R. – Questa giornata non vuole essere solamente una giornata celebrativa, anche se certamente bisogna dire che molte cose sono state realizzate, ma vuole essere anche una giornata per rilanciare l’aiuto alla ricostruzione di questo Paese, che ne ha ancora molto bisogno.

D. – Quali sono stati gli interventi di Cor Unum subito dopo il sisma di cinque anni fa?

R. – Devo dire, anzitutto, che dopo il sisma c’è stata una mobilitazione generale e universale, nel senso che – ricordo molto bene – c’è stata una risposta molto forte da parte dei cattolici in tutto il mondo, per aiutare gli haitiani. Dopo il primo aiuto di emergenza, c’è stata una visita del nostro presidente, del cardinale Sarah, esattamente un anno dopo il terremoto. In quel contesto è stata annunciata, per esempio, anche la nomina del successore del vescovo di Port-au-Prince, che era morto durante il sisma e poi, da parte nostra, abbiamo realizzato concretamente due scuole, una delle quali è stata inaugurata lo scorso novembre dallo stesso cardinale Sarah, in una sua visita di nuovo ad Haiti, una scuola che si trova a Leogane, sempre nell’arcidiocesi di Port-au-Prince.

D. – Quindi questi sono i risultati concreti degli aiuti che ha dato Cor Unum?

R. – Ecco, questi sono i risultati concreti. Però vorrei dire che al di là delle opere concrete che costruiamo, il nostro è anche un incarico di indirizzo, di orientamento. Devo, quindi, sottolineare in queste due visite del nostro cardinale, in tutti e due i casi, un incontro con i vescovi, per cercare di aiutare anche loro in questo percorso di ricostruzione e gli incontri con le agenzie. Il nostro, dunque, non è solamente un lavoro mirato alla ricostruzione materiale, ma anche a dare un orientamento generale a questa fase di ricostruzione. Un punto per noi veramente molto importante, e che sottolineiamo a diversi livelli, è che noi non possiamo parlare semplicemente di una ricostruzione del Paese, se non parliamo di una ricostruzione della persona. Non ci sarà mai una ricostruzione di Haiti se non si rinnova la persona in Haiti. Questo vuol dire soprattutto dare la possibilità ad ogni persona di avere una sua dignità, di essere consapevole della sua dignità e anche di conoscere il Vangelo. Sappiamo, infatti, che anche il Vangelo è un fatto fondamentale per la promozione della persona. Dobbiamo, quindi, tutti concentrare il nostro sguardo, al di là della ricostruzione materiale, proprio su questa ricostruzione della persona, che è fondamentale per il futuro di Haiti.

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Vaticano. Convegno su astronomia in cristianesimo e islam

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Presentato questa mattina presso la sede della nostra emittente il convegno su “L’Astronomia nel Cristianesimo e nell'Islam” organizzato, in occasione dell’Anno Internazionale della Luce, dalla Specola Vaticana e dall’Ambasciata dell’Iran presso la Santa Sede dal 13 al 15 gennaio prossimi a Castel Gandolfo. Il servizio di Paolo Ondarza: 

Un momento di dialogo tra islam e cristianesimo, oggi quanto mai necessario. Le due religioni a confronto sulle rispettive tradizioni astronomiche che nei secoli si sono arricchite e sviluppate vicendevolmente. “L’astronomia è patrimonio comune nella comunità mondiale: la civiltà islamica - ricorda Farid Ghassemlou, professore del Dipartimento di Storia delle Scienze presso la "Islamic Encyclopedia Foundation" - ha utilizzato i risultati dell’astronomia greca per sviluppare conoscenze nei Paesi islamici e le civiltà europee hanno utilizzato il sapere di astronomi islamici traducendo alcuni libri di astronomia della civiltà islamica nel Medioevo”:

(Parole in arabo)

"Dobbiamo cercare di far capire che il dialogo tra l’islam e il cristianesimo non deve limitarsi soltanto all’ambito del diritto e della religione. Quindi, bisogna dare peso anche alle questioni e agli ambiti scientifici, come ad esempio l’astronomia. Vogliamo affermare che scienziati sia islamici sia cristiani, per conoscere il cosmo, hanno percorso lo stesso cammino. Le loro domande e istanze erano uguali. Tutto questo è importante per continuare il dialogo sulle vedute comuni che ci sono tra di noi”.

Dello stesso avviso padre José Funes, direttore della Specola Vaticana, secondo il quale la luce – elemento a cui l’Onu ha dedicato quest’anno, nel centenario delle equazioni di campo della relatività generale formulate da Einstein – gioca un ruolo fondamentale nella vita quotidiana. La luce cosmica, infatti – spiega padre Funes – regola i ritmi di preghiera, di lavoro e di riposo, è messaggero cosmico che aiuta a comprendere l’universo e attraverso i telescopi permette di visualizzare immagini mozzafiato del cosmo, contemplando in essa la firma del Creatore.

“Sia il cristianesimo, ma soprattutto l’islam, hanno una grande tradizione astronomica. Molte delle stelle ancora oggi portano i nomi di grandi astronomi musulmani”.

Il Convegno si articolerà in tre giorni ed esaminerà svariati temi: la Chiesa e l’astronomia, la via coranica allo studio del Cosmo, il Calendario Gregoriano, la storia dell’Universo e altro ancora. Previste anche visite ai Musei Vaticani, alla Cappella Sistina, alla Specola Vaticana e all’Archivio Segreto Vaticano.

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La Jolie dal Papa con "Unbroken", tempra di un eroe nascosto

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Papa Francesco ha ricevuto ieri l’attrice americana Angelina Jolie dopo che il suo secondo, intenso film come regista, “Unbroken” - sugli schermi italiani dal 29 gennaio - è stato proiettato in una sala della Casina Pio IV, sede della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali. Il servizio di Luca Pellegrini: 

Oltre al titolo, tre sostantivi precisano l’esistenza difficile e straordinaria di Louis Zamperini e forse spiegano il motivo per cui un’attrice famosissima come Angelina Jolie abbia voluto rischiare il set, questa volta come regista, dimostrando passione e bravura: “Sopravvivenza. Resistenza. Riscatto”. Accade questo, e molto altro, all’atleta italoamericano stella del mezzofondo alle Olimpiadi di Berlino del ‘36, arruolato nel ’43 all’indomani di Pearl Harbour, naufrago in mezzo all’oceano dopo che il suo volo era stato abbattuto, costretto alla detenzione in un campo di prigionia giapponese diventando oggetto di violenze da parte dei suoi aguzzini. Al termine della guerra lo troviamo un reduce dall’anima piena di cicatrici indelebili che rischia la deriva nell’alcol, trova la speranza nella fede cristiana, dedica le sue forze – fino alla morte avvenuta lo scorso anno - per aiutare tutti quei ragazzi a rischio che gli ricordavano tanto la sua infanzia. Angelina Jolie deve aver sfogliato con grande emozione le pagine del libro di Laura Hillebrand che tanta ispirazione le hanno donato. Colpita da ciò che la scrittrice scrive di questo personaggio: “Ciò che ha reso rilevante la vita di Louis per tutti noi - leggiamo - non è stata la serie di eventi che l’hanno costellata, ma il modo in cui li ha affrontati, aggrappandosi alla forza per la sofferenza, alla gioia nella sconfitta, al perdono di fronte alla crudeltà, alla speranza in assenza di protezione”. Virtù che oggi in un mondo in preda a derive violente di ogni tipo sembrano offuscarsi, mentre invece molte volte rimangono appannaggio di eroi nascosti. E’ bello pensare a una star come la Jolie che dedica il suo tempo, il suo spirito, le sue qualità artistiche a divulgare un messaggio così alto. scoprendo la vita di questi personaggi che vanno contro la corrente delle mode e delle convenzioni. Lei stessa, all’indomani dell’uscita del film in America, ha confessato cosa l’ha affascinata:

"If you look at the themes of his life…
Se si guarda ai temi della sua vita, c’è la resistenza dell’atleta, c’è questo ragazzino che non sa se vale qualcosa, c’è la relazione con suo fratello a cambiare il senso di sé e poi c’è la fede. Quindi, la fede doveva essere in questo film e doveva esserlo non come un capitolo finale: volevamo essere sicuri che ci fosse fin dall’inizio e per tutta la sua durata. E quindi, invece di inserire negli ultimi dieci minuti del film una sorta di disordine post-traumatico che gli permettesse di trovare Dio, volevamo che questo tema fosse presente e che potesse essere portato nel campo e che il messaggio fosse forte. Era anche importante per Louis che il messaggio fosse rivolto a tutte le fedi e anche a chi non è credente perché potesse arrivare a più persone possibili".

Con dei precisi doveri, nei confronti della vita difficile di un uomo e della storia:

"You have to pay respect to what this man actually went through…
È necessario portare rispetto per quello che quest’uomo ha passato ed è anche necessario colpire a un certo livello per mostrare che questa è la guerra e quanto quell’esperienza sia stata orribile. Penso che abbiamo veramente capito che era parte della storia e ogni volta che ci sono stati dei momenti difficili, ci sedevamo tutti insieme e pensavamo: 'Puoi veramente immaginare come poteva essere?'. Non è una cosa carina da rivisitare, ma è storia. Penso che fosse difficile, ma anche necessario".

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Cuori induriti: messa di Papa Francesco a Santa Marta.

La memoria del disastro di Haiti per rilanciare gli aiuti: incontro in Vaticano a cinque anni dal terremoto che ha devastato il Paese.

Nell’imminenza del viaggio del Papa in Sri Lanka, il cardinale arcivescovo di Colombo, Malcolm Ranjith, illustra il “caleidoscopio asiatico”.

Divorata e restituita dalle acque: dallo Sri Lanka, Cristian Martini Grimaldi sulla statua di Nostra Signora di Matara tra storia e leggenda.

Parresia di un teologo scomodo: Paolo Vian sulle memorie di Louis Bouyer.

Stesse stelle per islamici e cristiani: Marcello Filotei su un convegno organizzato della Specola vaticana in collaborazione con l’ambasciata dell’Iran presso la Santa Sede (dal 13 al 15 gennaio a Castel Gandolfo).

Storia e prospettive della tutela del patrimonio culturale in Italia in un articolo di Antonio Paolucci.

Qualcuno che aiuti Emanuele a bere: Silvia Gusmano sul caso del Centro di educazione motoria di Roma.

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Oggi in Primo Piano



Nigeria: si temono migliaia di morti per attacco Boko Haram

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Potrebbero essere migliaia le vittime dell’offensiva sferrata nel nord est della Nigeria dai miliziani islamici di Boko Haram, che negli ultimi giorni hanno assaltato la città di Baga e altri 16 villaggi vicini nel travagliato Stato di Borno. L'azione è scattata la scorsa fine settimana, con un bilancio accertato di almeno 100 morti. Ma le vittime potrebbero essere molte di più - almeno 2.000 secondo testimonianze sul posto - che parlano di uomini, donne, bambini e anziani uccisi mentre cercavano la salvezza nei boschi vicini o mentre attraversavano con mezzi di fortuna il vicino Lago Ciad. Per una ricostruzione di quanto accaduto, Giada Aquilino ha intervistato l’africanista Vincenzo Giardina dell’agenzia missionaria Misna: 

R. – Secondo fonti che abbiamo sentito, in particolare e tra gli altri il responsabile della commissione Giustizia e Pace della diocesi di Maiduguri, la diocesi nella quale si trova Baga, questa cittadina dell’estremo nord est della Nigeria sulle rive del Lago Ciad, l’assalto dei militanti islamisti di Boko Haram è cominciato sabato scorso. Un momento chiave è stato l’occupazione della base cittadina di una forza multinazionale composta da militari nigeriani, ciadiani e nigerini. In città, al momento dell’assalto, erano presenti soltanto truppe nigeriane. Dopo l’occupazione della base, è stato dato alle fiamme un gran numero di abitazioni. Le fonti che abbiamo ascoltato riferiscono di centinaia di vittime, anche se è difficile proporre stime precise.

D. – In che condizioni si trova la popolazione fuggita dai luoghi assaltati?

R. – E’ in condizioni drammatiche. Le fonti che abbiamo potuto ascoltare riferiscono di parte della popolazione in fuga nella boscaglia o attraverso il Lago Ciad; quindi ci sono persone che sono annegate e altre che comunque hanno cercato rifugio al di là della frontiera della Nigeria, perché il Lago Ciad si trova all’incrocio tra i territori della Nigeria, del Niger, del Ciad e del Camerun.

D. – Per colpire Baga e altri villaggi vicini, significa che davvero questi miliziani controllano il territorio o almeno una parte del territorio nigeriano. Che azioni di contrasto sta opponendo l’esercito?

R. – Nei tre Stati del nord est della Nigeria, dove la presenza di Boko Haram è più radicata – Borno, Jobe e Adamawa – è in vigore uno stato d’emergenza sin dal maggio 2013, che ha voluto dire anche l’invio di rinforzi militari. Tutto ciò però non ha portato ad alcun risultato, anzi: l’occupazione di Baga ha significato l’occupazione dell’ultimo centro di rilievo nel nord dello Stato di Borno non ancora inghiottito da quell’autoproclamato ‘califfato’ costituito nell’agosto scorso, poche settimane dopo che la stampa di tutto il mondo aveva parlato e raccontato dell’offensiva del ‘califfo’ Abu Bakr al Baghdadi in Iraq e in Siria.

D. – In questo clima di violenza, sono a rischio le elezioni del 14 febbraio, in cui il Presidente Jonathan punta a un secondo mandato, nonostante le critiche proprio per non aver saputo fermare l’avanzata di Boko Haram?

R. – Questa settimana ad Aso Rock, la villa-residenza del Presidente nigeriano Goodluck Jonathan ad Abuja, c’è stato un incontro tra il capo dello Stato e i governatori dei tre Stati del nord est, quelli dove Boko Haram colpisce più frequentemente: nell’occasione, c’è stata la conferma degli impegni a far tenere le elezioni anche in queste zone. Ma tra le tante incognite che pesano su questo voto, c’è una popolazione sfollata di circa un milione e mezzo di persone, alle quali la commissione elettorale nigeriana nei giorni scorsi ha assicurato il riconoscimento del diritto ad esprimere la propria posizione e quindi a votare. E’ dunque un quadro estremamente difficile in cui, peraltro, il principale candidato di opposizione – l’ex Presidente, generale Muhammadu Buhari – sembra conquistare terreno proprio a partire dall’elemento legato all’incapacità politica e militare del governo in carica del Presidente Jonathan che, nonostante lo stato d’emergenza, non ha saputo evitare episodi del genere. Poi, non va dimenticato il rapimento delle oltre 200 ragazze di Chibok, di cui dopo quasi 300 giorni non si parla quasi più e di loro si sa poco o nulla.

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Charlie Hebdo: terroristi circondati, un terzo spara a Parigi

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Operazione in corso in Francia per la cattura dei due terroristi accusati della strage al giornale satirico Charlie Hebdo. Centinaia i poliziotti intorno ad un edificio in una cittadina a est di Parigi, dove i due sono barricati con ostaggi. Nel primo pomeriggio, una sparatoria si è verificata nella zona di Porte de Vincennes: anche qui ci sarebbe un sequestro di persone, forse di religione ebreaica. Al Ministero dell’interno, summit sulla sicurezza con il presidente Hollande. Da Parigi, la cronaca di Francesca Pierantozzi

Momenti di grande tensione, in Francia, mentre è in corso a nord, poco lontano dall’aeroporto, l’assedio ai due killer responsabili della strage di Charlie Hebdo, asserragliati nei locali di una tipografia familiare a Porte de Vincennes, a est della città. Un uomo armato ha preso in ostaggio numerose persone dentro un supermercato alimentare ebraico kosher: si tratta probabilmente dello stesso uomo che ieri mattina ha ucciso una giovane agente municipale a Montrouge, comune a Sud di Parigi. Prima di barricarsi nel supermercato, l’uomo ha sparato. Non si hanno per ora notizie di feriti. Alla polizia avrebbe gridato: “Sapete chi sono”. L’uomo sarebbe stato infatti già identificato e sarebbe anche in contatto con i due terroristi asserragliati vicino all’aeroporto. Anche i due sono pesantemente armati e con loro hanno un ostaggio, forse due o addirittura cinque. La polizia sarebbe riuscita ad aprire un contatto e ad aprire una sorta di negoziato. Secondo altre fonti, però, i due avrebbero detto di voler morire come martiri e di non avere intenzione di arrendersi.

Un clima di terrore quello che si sta vivendo a Parigi e in tutta la Francia anche per i diversi attentati che si sono susseguiti, ma l’appello che si è levato da più parti è contro ogni forma di allarmismo e strumentalizzazione della paura, come conferma Alessandro Politi, analista politico e strategico, al microfono di Cecilia Seppia

R. – Bisogna evitare la manipolazione della paura. Quando la paura viene sfruttata per fini politici tutt’altro che puliti, allora bisogna stare attenti. Dobbiamo ricordarci che in Europa gli spagnoli hanno subito 200 morti, gli inglesi ne hanno subiti 50, e noi dal 2001 abbiamo zero morti, ma ne abbiamo 84 di mafia nel 2013. E’ bene stare attenti, ma di qui ad avere l’isteria del “siamo in guerra”, “una nuova guerra al terrore”, o di nuovo l’altra cosa campata in aria, che è lo scontro di civiltà, c’è molta distanza.

D. – Infatti, il danno collaterale dopo questo attacco alla redazione del Charlie Hebdo è proprio la convivenza tra "noi" e "loro", l’Occidente e i musulmani occidentali: c'è anche questo fenomeno dell'islamofobia, che si sta in qualche modo diffondendo…

R. – Io direi che ci sono alcuni strati di popolazione che sono stati sottoposti a una propaganda molto tenace nel corso di questi anni e che sono caduti in questa trappola. Io vivo in un quartiere altamente multietnico a Roma e non ho mai avuto problemi con i miei vicini musulmani. Questo quindi è un dato di fatto, di esperienza concreta, e non di allarmi lanciati ad arte. Questo deve continuare, se noi non vogliamo darla vinta ai terroristi e a chi sfrutta questi eventi tragici per farne dei guadagni politici.

D. – Come sta reagendo, secondo lei, la Francia in questo momento? Hollande ha voluto schierare 88 mila agenti per le strade, quindi la città è sostanzialmente sotto assedio…

R. – Mi sembra che schierare 88 mila persone risponda più a necessità di rassicurazione mediatica che non operativa. La gestione della caccia all’uomo è sempre una cosa molto difficile. Due persone quindi possono sfuggire attraverso la rete. Complessivamente, trovo una gestione professionale all’altezza di quelle che sono le tradizioni francesi, ma dietro c’è come un vuoto e questo purtroppo preoccupa ancora di più, perché questo vuoto non c’è soltanto in Francia. Ci sono troppe leadership che sono in realtà deboli e, per dirla con una vecchia frase, "liquide".

D. – Sembra che il mondo si sia svegliato – l’Europa in particolare – in questi giorni, come sempre succede dopo un attentato grave come questi. L’Italia che corre ai ripari, la storia dei “foreign fighters”... Forse, bisogna cercare di prevenire quantomeno questo tipo di cose con misure diverse…

R. – C’è un’attività di smontaggio sistematico della propaganda jihadista, che è stata fatta con il “fai da te” dalle comunità musulmane, ma che non è stata opportunamente aiutata dagli organi dello Stato, e questo purtroppo non solo in Italia. Questo è il punto carente più forte. E poi bisogna anche capire che il terrorismo è un’arma politica estremamente debole, che però ha il vantaggio di poter colpire quando vuole nei punti meno protetti.

D. – Lei è d’accordo con questa associazione, che da più parti è stata fatta, tra la tragedia dell’11 settembre e quanto è accaduto al Charlie Hebdo?

R. – Credo che quando abbiamo davanti la tragedia dell’11 settembre, con 2.700 morti, ripetere questa espressione per altri fatti rischia di inflazionare quei morti. Bisogna mantenere il senso delle proporzioni. Quindi è un fatto tragico, è un fatto che colpisce, però poi bisogna capire che queste cose possono succedere e che peraltro il terrorismo vero è concentrato in cinque Paesi in tutto il mondo e non sono Paesi prosperi: Pakistan, Afghanistan, India, Nigeria, Siria e Iraq. Questi sono i Paesi dove veramente il terrorismo impazza. Il resto, in realtà, è più mafia che terrorismo.

D. – L’allerta terrorismo, però, di fatto è stata innalzata in Francia, ma anche in Italia. Per quanto riguarda invece Roma, esiste un certo tipo di rischio?

R. – C’è stata, come dire, qualche dichiarazione da parte di Dāʿish, quello che noi chiamiamo volgarmente Isis, su Roma. Le minacce però a Charlie Hebdo sono state molto più mirate e molto più persistenti. Questo è un dato di fatto. O noi, quindi, siamo in grado di rispondere al tentativo terroristico con coraggio, oppure la diamo vinta proprio a questi, che peraltro sembrano essere degli elementi molto isolati alla fine, deboli.

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Sri Lanka: il nuovo presidente è Maithripala Sirisena

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Lo Sri Lanka ha ufficialmente un nuovo presidente. E’ Maithripala Sirisena che ha battuto, alle elezioni di ieri, con il 51,3% delle preferenze, il presidente uscente, Mahinda Rajapaksa, fermo al 47,6% nonostante le sue aspirazioni ad un terzo mandato. Dagli Stati Uniti come dalla vicina India, giunge l’auspicio che si apra ora una nuova stagione di pace e prosperità per il Paese. Il servizio di Gabriella Ceraso

"Mi piego alla volontà del popolo e assicuro una transizione pacifica". Così in sintesi il presidente uscente della Sri Lanka, Mahinda Rajapaksa, di fronte alla disfatta elettorale non prevista, ma temuta, nei confronti del suo ex ministro della Sanità, poi fervente oppositore, Maithripala Sirisena. L'annuncio ufficiale della Commissione elettorale lo conferma. Si tratta di una svolta storica nel Paese che perde uno degli ultimi leader del sud dell’Asia che ha posto fine alla guerra civile con le Tigri Tamil .Sirisena si è proposto al popolo come alternativa all’autoritarismo, al nepotismo e alle restrizioni vigenti. 63 anni, buddista della maggioranza cingalese, ha infatti promesso una “nuova cultura politica” per lo Sri Lanka basata sulla lotta alla corruzione e sull’indipendenza del potere giudiziario. Il neo eletto ha già ricevuto un messaggio di congratulazioni del premier indiano, Narendra Modi. "Come Paese vicino e amico - ha scritto in un tweet - l'India conferma il pieno appoggio e solidarietà per la pace e prospero sviluppo dello Sri Lanka”, mentre il segretario di Stato Usa, John Kerry, si è detto impaziente di lavorare con il nuovo capo di Stato.

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Alfano: nuove misure contro terroristi. Con noi il Silp Cgil

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Dei 53 "foreign fighters" censiti passati per l'Italia ce ne sono quattro italiani. Lo ha detto il ministro dell’Interno, Angelino Alfano, nell’informativa urgente alla Camera dopo i fatti di Parigi. Alfano ha anche ribadito che sono allo studio nuove misure per evitare attentati in Italia. Sentiamo Alessandro Guarasci: 

Nella schiera dei "foreign fighters" passati per l’Italia quattro sono italiani. Uno è Giuliano Delnevo di Genova, morto lo scorso anno in Siria, mentre un altro giovane si trova attualmente in un altro Paese. E uno degli attentatori di Parigi era noto anche alle forze di polizia italiane, anche se non era mai passato sul territorio italiano. Alfano però assicura che in questo momento non ci sono segnali che indichino l'Italia o gli interessi italiani come esposti a specifici ed attuali forme di rischio.

Il ministro annuncia poi misure come il ritiro del passaporto, pene contro chi organizza gli spostamenti dei "foreign fighters", stop alla vendita di precursori di esplosivi, "black list" dei siti a rischio. Critiche tutte le opposizioni, in particolare la Lega, favorevole il commento della maggioranza. Abbiamo sentito Daniele Tissone, segretario generale della Silp Cgil:

R. – Si annuncia, come sempre, quando si fanno degli annunci, un utilizzo, un impiego di personaggi, di mezzi e di tecnologie che non abbiamo, o meglio che sta diminuendo nel corso del tempo. Penso agli uomini, alle persone che hanno una vasta professionalità anche nel campo dell’"intelligence", se non si andrà a modificare una norma che riguarda la previdenza, l’assetto pensionistico di queste persone, di queste figure, queste se ne andranno con un esodo preoccupante, anche perché andrà a diminuire già un organico deficitario di oltre il 22% portandolo alla soglia di circa il 30-35%. Questo non ce lo possiamo permettere, perché riduciamo sempre di più le forze che sono in campo.

D. – Voi denunciate anche il blocco del turnover. Questo, quanto può incidere, secondo lei, proprio sulla sicurezza più generale?

R. – Si pensi che ogni anno solo il nostro corpo, quello della Polizia di Stato, perde all’incirca 2.500-3.000 unità. Il turnover prevede un’assunzione pari al 40-45% delle risorse umane che vengono perse nel corso di quell’anno. Così facendo, dai 118 mila uomini previsti si è passati ai 108 mila di otto anni fa, ai 94 mila di oggi. Se si continuerà ad andare avanti in questa maniera, tra quattro o cinque anni si ridurranno gli organici per la sola Polizia di Stato di circa 88 mila unità.

D. – Da quanto capisco, allora, secondo voi la sicurezza non è tra le priorità di questo governo…

R. – Certamente no, o comunque, ci sono dei vaghi tentativi con proposte, idee, che non affrontano con mete serie, con un disegno complessivo, una strategia che è fondamentale nel nostro Paese anche alla luce dei fatti che si sono verificati in Francia lo scorso 7 gennaio.

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Bimbo con due mamme. Forum Famiglie: vince l'ideologia

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L’espansione senza fine di quelli che alcuni riconoscono come "diritti soggettivi" porta a situazione di grande confusione. E’ quanto sottolinea l’arcivescovo di Torino, mons. Cesare Nosiglia, riferendosi alla sentenza della Corte d’appello torinese che ha riconosciuto a due donne eguali diritti genitoriali. Una ha donato l’ovulo, l’altra ha partorito. Entrambe sono riconosciute mamme di un bambino nato in Spagna con inseminazione eterologa. Su questa controversa vicenda, Luca Collodi ha raccolto il commento di Francesco Belletti, presidente del Forum delle Famiglie: 

R. – C’è un’evidente forzatura: a partire da un valore assolutamente condivisibile, cioè la protezione del minore per non strapparlo da una storia di affetti e di relazioni, lo si ricolloca dentro una vicenda che non ha fondamento giuridico. Due mamme è proprio un'invenzione nel nostro quadro normativo. In tutta la vicenda manca un piccolo soggetto, che è molto decisivo, cioè il padre. Un ovulo di una donna, un utero di una madre e il seme di un padre, che rimane un illustre sconosciuto. Forse, per proteggere il superiore interesse di questo bambino bisognava restituirgli anche una figura paterna, un’origine reale, a meno che non si pensi che si tratti solo di materiale biologico. Ma millenni di storia dimostrano che un maschile e un femminile sono quelli che generano un figlio alla vita. Quindi, c’è proprio una forzatura ideologica, che piega le norme stesse a un progetto molto arrogante: la possibilità di fare quello che si vuole con la vita.

D. – Privilegiare senza mettere dei paletti: il diritto soggettivo porta il caos nella vita relazionale, in tutti i sensi?

R. – Sì, io credo anche che con queste dinamiche si generi un ulteriore allargamento dello spazio della giurisprudenza, della magistratura, rispetto a quello che è il compito della politica e del potere legislativo. Su temi di così grande importanza antropologica e valoriale, c’è bisogno che le decisioni vengano prese almeno dall’ambito che è rappresentanza diretta delle persone, cioè la politica, il parlamento, che comunque è stato votato su progetti politici e valoriali. Invece, a forza di singole sentenze, si smantellano anche alcuni fondamenti del vivere civile.

D. – Siamo di fronte a una debolezza forte della politica italiana: quando la giustizia legifera, in qualche modo vuol dire che è una conferma del fatto che la politica parlamentare italiana non funziona più…

R. – Certamente, abbiamo un problema di vuoto lasciato dalla politica. Ma forse il problema è ancora più grave: un allontanamento della elite del Paese dal sentire comune della gente. La politica è in difficoltà perché, di fatto, non vuole verificare quello che la gente vuole. Infatti, è un po’ di tempo che non eleggiamo un presidente del Consiglio, tanto per fare un esempio. Quindi, su questo tema ci sarebbe bisogno di una verifica anche di consenso popolare. Per questo, non si può andare avanti a colpi di sentenze. Tra l’altro, lo spettacolo di un tribunale che dice una cosa, dell’organo superiore che lo smentisce, poi l’iter di un ricorso è proprio la tipica malattia della nostra giustizia. Vincono le ideologie.

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Verso il Convegno di Firenze: sorge la Casa della Carità

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Si iniziano a porre i primi tasselli del percorso che porterà al quinto Convegno ecclesiale nazionale della Chiesa italiana. È stato infatti presentato a Firenze il progetto della Casa della Carità che sorgerà a Novoli, una delle periferie più povere della città, per diventare un punto di riferimento per tutta la comunità. Il servizio di Corinna Spirito

Accoglierà tutti coloro che avranno bisogno: dagli immigrati senza una casa agli anziani lasciati soli fino ai genitori che non sanno dove lasciare i figli mentre sono a lavoro. La "Casa della Carità" di Firenze è uno dei primi progetti pensati nel contesto del quinto Convegno ecclesiale nazionale della Chiesa italiana che si terrà nel capoluogo toscano dal 9 al 13 novembre. I lavori sono iniziati proprio in questi giorni, nel quartiere periferico di Novoli. Seguendo la linea tracciata da Papa Francesco, tutto il mondo ecclesiastico si sta impegnando concretamente ad aiutare la comunità perché al Convegno di novembre si possano presentare fatti e non solo parole. Mons. Nunzio Galantino, segretario generale della Conferenza episcopale italiana, lo ha ricordato a Firenze, presentando il progetto alla stampa.

R. – Il progetto della Casa della Carità di Firenze è un’opera che verrà realizzata e già in questi giorni sono cominciati i lavori, in una zona periferica di Firenze, per rispondere ad alcuni bisogni urgenti della città, soprattutto il bisogno di accoglienza per anziani soli, ma non solo questo, anche altre forme di accoglienza. Quindi, si tratta di un segno che vuole dire la voglia di fare del Convegno non un'accademia, ma una riflessione sulle forme di umanesimo negato e quindi anche indicare dei percorsi che tendono a recuperare, a offrire opportunità di umanesimo ritrovato e realizzato. Ed è chiaro che l’umanesimo negato è quello degli anziani abbandonati, è quello degli immigrati fatti dormire per strada, è quello dei bambini abbandonati o anche di famiglie che non sanno a chi affidare i loro figli al mattino, in un contesto che sia di formazione, mentre loro vanno a lavorare, se hanno il lavoro. Allora, questa Casa della Carità ha diversi moduli di intervento, che tendono proprio a dare risposte concrete a questi bisogni, a queste forme di umanesimo negato.

D. – Ricordiamo che questo progetto si inserisce all’interno di un percorso che è quello del Convegno ecclesiale nazionale, che si terrà a novembre a Firenze…

R. – È anche importante notare la coincidenza cronologica. Mentre, infatti, cominciano i lavori per questa Casa della Carità, di fatto sono entrati nel vivo anche i preparativi per il Convegno. Per cui, simbolicamente, è un Convegno che cammina di pari passo con una realizzazione. Mentre, dunque, si discute, ci si organizza per far convenire qui a Firenze oltre 2.500 persone da tutte le parti d’Italia, si sta realizzando anche un segno concreto che faccia dire perché loro vengono qui. Non vengono qui per discutere, ma per confrontarsi su come far diventare realtà quello che Gesù ci ha detto nel Vangelo e cioè quello che ci chiede: di vivere e far vivere l’uomo in pienezza.

D. – Perché la scelta di aprire la Casa della Carità proprio nella periferia di Novoli?

R. – Quando si vuole concretamente dare dei segnali di speranza, si va a vedere dove c’è disperazione e questo rione di Novoli ci è stato indicato proprio come un rione bisognoso di attenzioni. 

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Nella Chiesa e nel mondo



Vescovi Sri Lanka: con Sirisena una nuova stagione di pace

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“Ci sono buone speranze e buoni auspici che inizi per lo Sri Lanka una nuova stagione di prosperità e di pace”: con queste parole, raccolte dall’agenzia Fides, mons. Vianney Fernando, vescovo di Kandy accoglie il risultato delle elezioni presidenziali tenutesi ieri. Il Presidente uscente dello Sri Lanka, Mahinda Rajapaksa, ha ammesso di essere stato sconfitto dal suo principale sfidante, l’ex ministro della Sanità, Maithripala Sirisena.

La visita dei vescovi prima del voto
Mons. Fernando racconta all'agenzia Fides le speranze della Chiesa srilankese: “Con una delegazione dei vescovi, avevamo incontrato il Presidente eletto prima del voto. Ci aveva illustrato il suo manifesto di buon governo, con la lotta alla corruzione e l’impegno per lo sviluppo e la riconciliazione. Ha detto che lavorerà per una migliore divisione dei poteri, riducendo anche quelli del Presidente stesso, nominando commissioni indipendenti per la giustizia, per i servizi pubblici, per i controlli finanziari. Certo avrà il suo bel da fare per formare un governo, dovendo dare conto a una coalizione eterogenea, ma ha la necessaria esperienza politica per farlo”.

Una soluzione alla questione etnica
“Una delle questioni più importanti in agenda – spiega il vescovo a Fides – è la soluzione politica al problema della composizione etnica della società e dell’era post-conflitto. Una soluzione va basata sul principio del decentramento dei poteri, su quello dell’unità e della riconciliazione. Per me ci sono buone possibilità che questo possa avvenire. Al Presidente uscente Rajapaksa va ascritto il merito di aver messo fine a un sanguinoso conflitto civile. Ora urge una soluzione politica, urge una pace fondata sulla giustizia. Su questi punti il nuovo Presisente ha promesso di formare una commissione indipendente per accertare possibili crimini e credo questo approccio possa giovare”. (P.A.)

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Iraq: espulsi da Mosul 10 anziani cristiani

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I miliziani jihadisti dell'autoproclamato Califfato Islamico hanno espulso da Mosul 10 anziani cristiani caldei e siro-cattolici rastrellati dai villaggi della Piana di Ninive e temporaneamente ospitati nella seconda città irachena, dopo che aver rifiutato di abiurare la fede cristiana e di convertirsi all'islam. Mercoledì scorso il gruppo di anziani – alcuni dei quali con gravi problemi di salute – è stato accolto a Kirkuk, dopo aver passato due giorni al freddo nella “terra di nessuno” tra i villaggi occupati dalle milizie del sedicente Stato Islamico (Is) e l'area sotto controllo dei Peshmerga curdi.

L'aiuto di alcune famiglie musulmane
“Ci avevano cacciato dai nostri villaggi e dalle nostre case per occuparle - racconta Rachel, una delle anziane, contattata dall'agenzia Fides - e poi ci hanno ammassati tutti in una residenza di Mosul. Siamo andati avanti grazie all'assistenza di alcune famiglie musulmane, che ci portavano il cibo e quello di cui avevamo bisogno. Poi, a un certo punto, quelli del Califfato ci hanno detto che potevamo restare lì soltanto se ci convertivamo all'islam. Ma io, che mi nutrivo sempre del Corpo di Cristo e andavo sempre al santuario a pregare Santa Barbara, come potevo rinnegare tutto questo? Ho detto loro: io non posso farlo. Se volete, mandatemi via”.

A Kirkuk, grazie al patriarca Sako
Una volta espulsi da Mosul, gli anziani sono potuti entrare a Kirkuk grazie anche all'intercessione del patriarca caldeo Louis Raphael Sako, che ha convinto le autorità civili a sospendere il blocco ai check point d'ingresso alla città messo in atto per motivi di sicurezza. Insieme ai 10 anziani, è stata accolta a Kirkuk anche una delle famiglie musulmane di Mosul che si erano prodigate con sollecitudine nella loro cura. (G.V.)

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Leader salafita condanna le violenze contro i copti in Libia

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Il parlamentare egiziano Younes Makhioun, presidente del Partito conservatore salafita al-Nour, ha condannato le violenze – omicidi e rapimenti – subite nelle ultime settimane in Libia da egiziani copti. In alcune dichiarazioni pubbliche, rilanciate dai media egiziani, il leader islamista ha definito tali violenze come contrarie ai principi e alle disposizioni della dottrina e della legge islamica, richiamando le fazioni libiche che tengono sequestrati 20 egiziani copti, a liberare al più presto e senza condizione i rapiti.

Trattative per la liberazione degli ostaggi
La liberazione dei 20 egiziani copti rapiti la scorsa settimana nella regione di Sirte è al centro di trattative che vedono coinvolti sia il governo del Cairo sia gli emissari di gruppi tribali insediati nella regione di Minya, da cui provengono la maggior parte dei sequestrati. Il rapimento collettivo presenta ancora molti lati oscuri, a partire dal movente e dall'identità dei sequestratori. Secondo quanto appreso dall'agenzia Fides, la pista islamista che attribuisce il sequestro a uomini armati affiliati alla rete radicale islamista Ansar Al-Sharia non è l'unica: altre versioni circolanti in Libia attribuiscono il rapimento dei copti egiziani a sequestratori interessati soltanto a ottenere un consistente riscatto in cambio della loro liberazione. (R.P.)

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Myanmar: sfide del futuro cardinale birmano Bo

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La promozione della tolleranza e del dialogo tra le comunità religiose ed etniche birmane. Sono queste le priorità all’attenzione di mons. Charles Maung Bo, arcivescovo di Yangon, che dal 14 febbraio prossimo sarà in assoluto il primo cardinale del Myanmar. In un’intervista rilasciata in questi giorni, dopo l’annuncio delle nuove nomine cardinalizie, il futuro porporato parla delle preoccupazioni della piccola Chiesa nel Paese in questa delicata fase di transizione politica verso la democrazia (il prossimo autunno sono attese le prime elezioni libere dopo decenni di dittatura), segnata da una recrudescenza degli scontri a sfondo religioso ed etnico.

L’appello ai leader religiosi a promuovere la pace
Secondo mons. Bo i leader religiosi del Paese possono fare molto per placare queste tensioni. “Se dimostrano unità favoriranno una maggiore comprensione reciproca e la violenza diminuirà”, afferma nell’intervista ripresa dall’agenzia Ucan. Da parte sua, il prossimo porporato si dice pronto ad impegnarsi personalmente per la pacificazione in particolare negli Stati di Rakhine e Kachin, teatro, il primo di violenti pogrom ai danni della comunità musulmana di etnia Rohingya da parte dei buddisti e, il secondo di scontri tra le truppe governative e i ribelli di etnia Kachin. Ad alimentare le tensioni e le preoccupazioni delle minoranze nel Paese alcuni gruppi nazionalisti buddisti, promotori tra l’altro di una controversa proposta di legge che vuole introdurre restrizioni ai matrimoni interreligiosi e alle conversioni religiose.

La Chiesa presente dal XVI secolo
L'evangelizzazione della Birmania, oggi Myanmar, è iniziata nei primi anni del XVI secolo. Oggi la Chiesa cattolica locale conta circa 700mila fedeli, pari a poco più dell’1% della popolazione, per il 90% buddista Theravada, con una presenza particolarmente significativa fra le minoranze etniche. Il 2014 è stato l'anno delle celebrazioni del giubileo dell'evangelizzazione, ma anche quello durante il quale il Myanmar ha avuto la gioia del suo primo beato, il catechista Isidoro Ngei Ko Lat, ucciso nel 1950 in odium fidei insieme al missionario del Pime padre Mario Vergara, anche lui oggi beato. (A cura di Lisa Zengarini)

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Spagna: i vescovi chiedono di ascoltare la voce dei migranti

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I vescovi spagnoli hanno chiesto al governo che prima di decretare l’espulsione degli immigrati si ascolti la loro voce, per accertare che siano o meno persone che hanno bisogno di asilo o vittime di violenza o di traffico di mafie, al fine di applicare le leggi e rispettare il diritto internazionale in questa materia.

Ascoltate i migranti
Come riferisce l'agenzia Fides da una fonte della diocesi di Albacete, il cui vescovo, mons. Ciriaco Benavente, è presidente della Commissione episcopale per le migrazioni, la notizia è stata comunicata dal presule durante la presentazione della campagna "Una Chiesa senza confini, madre di tutti", in preparazione alla Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato 2015, che in Spagna si celebrerà il 18 gennaio. "Non è troppo ciò che chiediamo" ha detto mons. Benavente, ribadendo che i migranti devono essere ascoltati, "perché così si può scoprire se hanno veramente diritto di asilo".

Il Mediterraneo "un grande cimitero"
La Spagna è oggi, insieme a Lampedusa (Italia) e Arizona (Usa), uno dei tre punti caldi dell'immigrazione. Ma se consideriamo le tragedie dell’emigrazione, il Mar Mediterraneo prende il primo posto, perché è diventato, come definito da Papa Francesco, "un grande cimitero" con più di 3.000 persone morte l'anno scorso, di cui 15 bambini al largo della costa di Cadice (Spagna).

5 milioni di stranieri in Spagna
In Spagna risultano censiti cinque milioni di stranieri. "Noi siamo figli di immigrati, e questo la società spagnola lo ha dimenticato" ha evidenziato il presule. (R.P.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIX no. 9

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti.