Logo 50 Radiogiornale Radio Vaticana
Redazione +390669883674 | +390669883998 | e-mail: sicsegre@vatiradio.va

Sommario del 07/01/2015

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Il Papa all'udienza generale: società senza madri è disumana

◊  

Papa Francesco ha tenuto nell’Aula Paolo VI in Vaticano la prima udienza generale del 2015 proseguendo la catechesi sulla famiglia. Al centro della sua riflessione la figura della madre. Il servizio di Sergio Centofanti

Madre esaltata ma poco aiutata
”Nella famiglia – ha subito detto il Papa - c’è la madre. Ogni persona umana deve la vita a una madre, e quasi sempre deve a lei molto della propria esistenza successiva, della formazione umana e spirituale”:

“La madre, però, pur essendo molto esaltata dal punto di vista simbolico - tante poesie, tante cose belle che si dicono poeticamente della madre -  viene poco ascoltata e poco aiutata nella vita quotidiana, poco considerata nel suo ruolo centrale nella società. Anzi, spesso si approfitta della disponibilità delle madri a sacrificarsi per i figli per ‘risparmiare’ sulle spese sociali”.

Ascoltare di più le madri
Anche nella comunità cristiana – ha proseguito il Papa – accade che “la madre non sia sempre tenuta nel giusto conto, che sia poco ascoltata. Eppure al centro della vita della Chiesa c’è la Madre di Gesù. Forse le madri, pronte a tanti sacrifici per i propri figli, e non di rado anche per quelli altrui, dovrebbero trovare più ascolto. Bisognerebbe comprendere di più la loro lotta quotidiana per essere efficienti al lavoro e attente e affettuose in famiglia; bisognerebbe capire meglio a che cosa esse aspirano per esprimere i frutti migliori e autentici della loro emancipazione”:

“Una madre con i figli ha sempre problemi, sempre lavoro. Io ricordo a casa, eravamo cinque e mentre uno ne faceva una, l’altro pensava di farne un’altra, e la povera mamma andava da una parte all’altra, ma era felice. Ci ha dato tanto”.

Madri, antitodo a individualismo egoistico
“Le madri – ha quindi sottolineato - sono l’antidoto più forte al dilagare dell’individualismo egoistico”:

“Individuo vuol dire ‘che non si può dividere’. Le madri invece si ‘dividono’, a partire da quando ospitano un figlio per darlo al mondo e farlo crescere. Sono esse, le madri, a odiare maggiormente la guerra, che uccide i loro figli. Tante volte ho pensato a quelle mamme quando hanno ricevuto la lettera: ' ... suo figlio è caduto in difesa della patria…'. Povere donne, come soffre una madre! Sono esse a testimoniare la bellezza della vita”.

Disumana una società senza madri
Papa Francesco cita l’arcivescovo salvadoregno Oscar Arnulfo Romero, assassinato nel 1980, quando parlava del “martirio materno”. In una omelia per il funerale di un prete ucciso dagli squadroni della morte, il presule affermò che essere martiri è anche “dare la vita a poco a poco”, “nel silenzio, nella preghiera, nel compimento onesto del dovere; in quel silenzio della vita quotidiana” come fa una madre, “che senza timore, con la semplicità del martirio materno, concepisce nel suo seno un figlio, lo dà alla luce, lo allatta, lo fa crescere e accudisce con affetto. E’ dare la vita. E’ martirio”. "Essere madre - ha osservato - non significa solo mettere al mondo un figlio, ma è anche una scelta di vita" la "scelta di dare la vita": 

"Una società senza madri sarebbe una società disumana, perché le madri sanno testimoniare sempre, anche nei momenti peggiori, la tenerezza, la dedizione, la forza morale”.

Grazie alle mamme di tutto il mondo
“Le madri – ha aggiunto - trasmettono spesso anche il senso più profondo della pratica religiosa: nelle prime preghiere, nei primi gesti di devozione che un bambino impara, è inscritto il valore della fede nella vita di un essere umano. E’ un messaggio che le madri credenti sanno trasmettere senza tante spiegazioni: queste arriveranno dopo, ma il germe della fede sta in quei primi, preziosissimi momenti. Senza le madri, non solo non ci sarebbero nuovi fedeli, ma la fede perderebbe buona parte del suo calore semplice e profondo". E la Chiesa – ha sottolineato - "è nostra madre! Noi non siamo orfani, abbiamo una madre! La Madonna e la madre Chiesa e la nostra mamma. Non siamo orfani, siamo figli della Chiesa, siamo figli della Madonna e siamo figli delle nostre madri”:

“Carissime mamme, grazie, grazie per ciò che siete nella famiglia e per ciò che date alla Chiesa e al mondo. E a te, amata Chiesa, grazie, grazie per essere madre. E a te, Maria, Madre di Dio, grazie per farci vedere Gesù. E a tutte le mamme qui presenti le salutiamo con un applauso!”.

Saluto a imam francesi e superstiti di Auschwitz
Dopo la catechesi, tra i vari saluti, si è rivolto alla delegazione degli imam francesi impegnata nelle relazioni cristiano-musulmane, augurando di proseguire con coraggio l’impegno “al servizio della pace, della fraternità e della verità”. Ha salutato poi i pellegrini polacchi, e in particolare una delegazione dei superstiti del campo di concentramento di Auschwitz, liberati settant’anni fa.

inizio pagina

Francesco: il mondo ha bisogno della bellezza

◊  

Al termine dell'udienza generale, i componenti del Golden Circus di Liana Orfei si sono esibiti di fronte a un Papa Francesco molto divertito. Il Pontefice li ha applauditi e incoraggiati "ad essere non solo portatori del sorriso e messaggeri di solidarietà tra i popoli e le nazioni, ma creatori di bellezza". Ce ne parla Sergio Centofanti

Doveva essere un breve saluto, invece il Papa, ammirato dall’esibizione dei circensi, tra cui alcuni ragazzi, ha tenuto a braccio una piccola catechesi sulla bellezza:

"La gente che fa lo spettacolo nel circo crea bellezza, sono creatori di bellezza. E questo fa bene all’anima. Quanto bisogno noi abbiamo di bellezza!".

La nostra vita – ha osservato – “è molto pratica”, bisogna “fare le cose, portare avanti il lavoro”: è “il linguaggio delle mani”. Poi c’è “il pensare, la ragione”: è “il linguaggio della mente”. E “siamo persone che amano, che hanno questa capacità di amare, il linguaggio del cuore”. E questi tre linguaggi, del fare, della mente e del cuore “si uniscono per fare l’armonia della persona. E lì è la bellezza” e gli artisti insegnano la “strada superiore della bellezza”:

“Dio certamente è vero, Dio certamente è buono, Dio certamente sa fare le cose, ha creato il mondo, ma soprattutto Dio è bello! La bellezza di Dio. E tante volte noi ci dimentichiamo della bellezza, eh? L’umanità pensa, sente, fa, ma oggi ha tanto bisogno di bellezza. Non dimentichiamo questo!”.

inizio pagina

Papa torna in Asia, col viaggio in Sri Lanka e Filippine

◊  

Sarà il settimo viaggio apostolico di Papa Francesco, il secondo in Asia dopo quello dell’estate scorsa in Repubblica di Corea: porterà il Pontefice in Sri Lanka e Filippine, dal 12 al 19 gennaio prossimi. Nella Sala Stampa della Santa Sede, l’illustrazione del programma da parte del portavoce vaticano, padre Federico Lombardi. Il servizio di Giada Aquilino

Un altro esempio dell’attenzione del Pontefice per l’Asia. È questo il viaggio che Papa Francesco sta per intraprendere in Sri Lanka e nelle Filippine, sulle orme dei predecessori Paolo VI e Giovanni Paolo II, che pure visitarono i due Paesi: Papa Montini nel 1970 e Papa Wojtyla nel 1981 nelle Filippine e nel 1995 ancora nelle Filippine e in Sri Lanka. Sull’occasione della nuova presenza di un Papa in quelle zone, padre Lombardi ha spiegato:

“Per quanto riguarda le Filippine, sappiamo che è stata pure l’insistenza dei vescovi delle Filippine di avere il Papa, anche come conforto dopo il disastro immenso del tifone di un anno fa, che ha causato dei danni immensi. Si parla di sette, ottomila morti, di 15 milioni di persone coinvolte dalle distruzioni portate dal tifone, di cinquecentomila case distrutte. E’ considerato uno dei peggiori tifoni della storia, perlomeno a memoria d’uomo. E tutto ciò ha portato naturalmente a chiedere la presenza del Papa come conforto, come compassione per un popolo molto provato. Per lo Sri Lanka c’era il desiderio di avere il Papa, la Canonizzazione di padre Vaz, di avere il suo contributo anche per la pacificazione del Paese. Insomma, tutta una serie di motivi che hanno dato al Papa - con questa sua attenzione particolare per l’Asia - ragioni a sufficienza per il viaggio”.

Il Papa, che terrà i discorsi in inglese, vivrà in Sri Lanka due giornate piene, il 13 e il 14 gennaio, poco dopo le elezioni presidenziali, previste per domani. Padre Lombardi ha quindi precisato che la visita non cadrà in un periodo di campagna elettorale. Tra i momenti più importanti, il martedì, l’incontro interreligioso a Colombo, in un Paese in cui il 70% della popolazione è buddhista, il 12-13% è induista, il 10% islamica e il 7% è cristiana, perlopiù cattolica. Quindi, il mercoledì, la Messa di canonizzazione di Giuseppe Vaz, religioso oratoriano vissuto tra il 17.mo e 18.mo secolo, che prestò un’importante opera di evangelizzazione in Sri Lanka, beatificato esattamente vent’anni fa da Giovanni Paolo II. A seguire, la preghiera mariana al Santuario di Nostra Signora del Rosario a Madhu, il più frequentato del Paese, che si trova nel nord, a maggioranza Tamil:

“In questa occasione quindi il Papa si fa presente per l’altro grande aspetto della situazione dello Sri Lanka di oggi, che è quello della riconciliazione, dopo il periodo lunghissimo e terribile del conflitto interno, prevalentemente tra i cingalesi e i tamil. E’ un periodo di conflitto che è durato una trentina di anni – quindi lunghissimo, sanguinosissimo – ed è terminato intorno al 2009”.

Il 15 gennaio, dopo una visita alla cappella di “Our Lady of Lanka” a Bolawalana, la partenza per le Filippine, che si preparano al 500.mo anniversario di evangelizzazione, nel 2021. Venerdì 16 gennaio, tra gli incontri previsti a Manila, quello con le famiglie, realtà centrale nelle Filippine, il più grande Paese asiatico a maggioranza cattolica.

“Qui bisogna tenere presente anche l’importanza che la cultura familiare ha nella cultura filippina, l’importanza fondamentale, il modo intensissimo in cui è sentita la realtà della famiglia e i suoi legami dalla cultura filippina”.

Quindi, la visita nelle zone colpite dal tifone Haiyan, qui nominato "Yolanda". A Tacloban, sabato il Pontefice celebrerà una Santa Messa; a Palo pranzerà con alcuni superstiti e benedirà il “Pope Francis Center” per i poveri, costruito con i contributi di "Cor Unum": per questo, nel seguito papale sarà presente anche il cardinale Robert Sarah, prefetto della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, che all’epoca del disastro guidava il Pontificio Consiglio. A proposito dei devastanti effetti dei cambiamenti climatici, e rispondendo ai giornalisti che gli chiedevano una data per un’Enciclica del Papa dedicata ai temi ambientali, padre Lombardi ha spiegato:

“Per quanto riguarda l’Enciclica, io so le cose che già sapevamo e cioè che è in fase di preparazione, che però non è imminente. Le notizie cose che sono uscite recentemente, che dicevano che potevamo aspettarcela alla fine di gennaio o in febbraio, non sono attendibili. Ci vuole ancora del tempo, certamente. Ho sempre detto: prima dell’estate penso di sì”.

Domenica 18 gennaio nella capitale filippina l’incontro con i leader religiosi locali, con i giovani e la Messa nel giorno del "Santo Niño". Lunedì 19, nel pomeriggio, il rientro in Vaticano, dopo aver sorvolato diversi Paesi, tra cui la Cina.

 

inizio pagina

Nomine episcopali in Brasile

◊  

Arcivescovo di Curitiba
Il Santo Padre ha nominato Arcivescovo di Curitiba (Brasile) Mons. José Antônio Peruzzo, finora Vescovo di Palmas - Francisco Beltrão (Brasile). Mons. José Antônio Peruzzo è nato il 19 aprile 1960, a Cascavel (Brasile). Ha compiuto gli studi di primo grado nel Collegio Marista e quelli di secondo grado nel Seminario Minore São José di Curitiba. Ha compiuto gli studi filosofici a Curitiba nella Pontificia Università Cattolica del Paraná (1979-1981) e quelli teologici nello Studium Theologicum (1982-1985). Ha ottenuto la Licenza in Sacra Scrittura presso il Pontificio Istituto Biblico a Roma (1988-1992) e il Dottorato in Teologia Biblica presso la Pontificia Università di San Tommaso d'Aquino, a Roma (2002-2004). È stato ordinato sacerdote il 22 dicembre 1985, per l’arcidiocesi di Cascavel. Come sacerdote ha ricoperto i seguenti incarichi: Coordinatore Diocesano della Catechesi; Professore del Centro Diocesano di Teologia; Direttore della Scuola Catechetica; Rettore del Seminario di Teologia Nossa Senhora de Guadalupe di Cascavel e Parroco della Cattedrale Metropolitana dell'arcidiocesi di Cascavel. Il 24 agosto 2005 è stato nominato Vescovo di Palmas - Francisco Beltrão. Ha ricevuto l'ordinazione episcopale il 23 novembre successivo.

Vescovo Ausiliare di Porto Alegre
Il Santo Padre ha nominato Vescovo Ausiliare dell'arcidiocesi di Porto Alegre (Brasile) il Rev.do Leomar Antônio Brustolin, del clero della diocesi di Caxias do Sul, finora Parroco della Cattedrale, assegnandogli la sede titolare di Tigava. Mons. Leomar Antônio Brustolin è nato il 15 agosto 1967 a Caxias do Sul, nell'omonima diocesi. Ha compiuto gli studi di Filosofia presso l'Università di Caxias do Sul (1984-1986) e quelli di Teologia presso la Pontificia Università del Rio Grande do Sul (1987-1990). Ha ottenuto la Licenza in Teologia Sistematica presso la Facoltà dei Gesuiti (FAJE) a Belo Horizonte (1991-1993) e il Dottorato in Teologia presso la Pontificia Università San Tommaso d'Aquino, a Roma (1997-2000). È stato ordinato sacerdote il 20 dicembre 1992. Ha ricoperto i seguenti incarichi: Vicario Parrocchiale della Cattedrale di Caxias do Sul, Professore di Teologia presso la Pontificia Università Cattolica del Rio Grande do Sul, con sede a Porto Alegre, Coordinatore del Corso di Licenza in Teologia presso la medesima Università, Direttore del Corso di Teologia per Laici e Direttore del Centro di Teologia di Caxias do Sul e, dal 2001, Parroco della Cattedrale Santa Teresa d'Avila a Caxias do Sul.

inizio pagina

Santa Sede: 3 milioni di euro contro Ebola in Africa

◊  

La Santa Sede intende esprimere il suo vivo apprezzamento alle Chiese Cattoliche locali di Guinea, Liberia e Sierra Leone per la loro tempestiva risposta alla crisi causata dal virus di Ebola. E per potenziare maggiormente i loro sforzi, e come risposta concreta all’emergenza, offre un contributo finanziario, 3 milioni di euro.

Documento di Giustizia e Pace
L’impegno della Chiesa nel contrastare la diffusione del virus è contenuto in un documento intitolato “La risposta della Chiesa Cattolica all’emergenza Ebola” redatto dal Pontificio Consiglio per la Giustizia e la Pace. Il documento descrive, per la prima volta, una risposta pastorale a una malattia relativamente nuova che ha devastato individui, intere famiglie ed anche comunità, specialmente in questi tre Paesi dell’Africa Occidentale.

La Santa Sede incoraggia altri benefattori
I fondi saranno a disposizione di strutture sostenute dalla Chiesa per migliorare l’assistenza che esse offrono attraverso istituzioni sanitarie, iniziative comunitarie e la cura pastorale dei malati e del personale sanitario. La Santa Sede incoraggia anche altri benefattori, privati o pubblici, a contribuire ad accrescere i fondi in segno di solidarietà con quanti soffrono grandemente in queste regioni colpite dalla malattia. Le somme offerte dal Vaticano saranno utilizzate, tra l’altro, per l’acquisto di forniture sanitarie di prima necessità, per il trasporto dei malati e per il rinnovamento delle strutture. Parte del contributo sarà destinato ai residenti di aree circoscritte al fine di sviluppare e potenziare strategie tese a fermare l’espansione dell’Ebola. Vi saranno anche fondi destinati ad aiutare le famiglie colpite dal virus e i minori rimasti orfani.

Assistenza e formazione
Nella sua risposta pastorale, la Santa Sede contribuirà all’assistenza delle persone in aree colpite dal virus attraverso la formazione e l’aiuto fornito ai sacerdoti, ai religiosi e alle religiose e ai laici impegnati in attività pastorali, affinché siano meglio preparati ad affrontare i bisogni di ordine fisico, psichico e spirituale dei malati e di quanti soffrono. La Santa Sede concentrerà i suoi interventi sulle parrocchie, in quanto gran parte dell’attività della Chiesa si svolge a livello della parrocchia, che è un’importante istituzione basilare nella lotta alle conseguenze causate dall’Ebola, che stanno emergendo come un problema serio, particolarmente per i sopravvissuti.

Rete cattolica contro Ebola
La Chiesa Cattolica è impegnata da molti decenni a fornire aiuto umanitario e di sviluppo nell’Africa Occidentale. La Chiesa quindi conosce bene come le istituzioni sanitarie di ogni tipo – che già stanno affrontando pesanti sfide derivanti dalla povertà e da annose difficoltà sociali e politiche – sono grandemente impegnate dalla presente crisi. Oltre all’attività della Chiesa nella regione, il documento presenta gli sforzi compiuti da numerosi Dicasteri della Curia Romana, tra cui il Pontificio Consiglio Cor Unum, il Pontificio Consiglio per gli Operatori Sanitari, Propaganda Fide, il Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, come pure l’attività di Caritas Internationalis e le organizzazioni ad essa collegate. Questo si somma agli sforzi delle Agenzie Cattoliche presenti in molti altri Paesi, quali Catholic Relief Services (U.S.A.), Missio (Austria), Misereor e Medical Mission Institute (Germania). Gli intensificati sforzi della Chiesa permettono una maggiore risposta a livello parrocchiale e di conseguenza rafforzano le misure atte a contenere la malattia.

La Chiesa resta accanto alle popolazioni
L’impegno della Chiesa Cattolica nella risposta all’emergenza Ebola fa leva sulle comunità locali. La Chiesa – si legge nel documento - “non viene e va; le persone si rivolgono a Dio in situazioni di paura e di bisogno. Questa Chiesa è una testimonianza visibile della presenza di Gesù Cristo in ogni tempo ma particolarmente in tempi di difficoltà”.

inizio pagina

Oggi su "L'Osservatore Romano"

◊  

Strategia della barbarie: dodici persone uccise a Parigi in un attacco al giornale satirico "Charlie Hebdò".

Inno alle madri: all'udienza generale Papa Francesco prosegue il ciclo di riflessioni sulla famiglia.

La stella e il cammino: alla Messa dell'Epifania il Papa parla della ricerca dei Magi.

Cosa dobbiamo concretamente fare: documento della Santa Sede sull'impegno della Chiesa cattolica nella risposta all'emergenza ebola.

La prefazione del vescovo Giuseppe Sciacca al volume di Stefano Rossano sulle prospettive legate alla costituzione apostolica "Pastor bonus".

inizio pagina

Oggi in Primo Piano



Parigi: strage nella sede del giornale satirico Charlie Hebdo

◊  

E' di almeno 12 morti e 3 feriti gravissimi il bilancio di un attacco terroristico alla sede del settimanale satirico"Charlie Hebdo" nel centro di Parigi, più volte finito nel mirino degli integralisti islamici per aver deriso la figura di Maometto. Dalla capitale francese, Francesca Pierantozzi: 

E’ l’attentato più grave mai successo a Parigi. L’intero Paese è sotto shock dopo l’attacco, intorno alle 11.30 di questa mattina, alla redazione del settimanale satirico Charlie Hebdo, vicino alla Bastiglia. Due uomini armati – forse, secondo altri testimoni, erano in tre – sono entrati nei locali del giornale con kalashnikov e lanciarazzi. Secondo altri testimoni hanno gridato “Allah è grande! Vendichiamo il profeta!” prima di aprire il fuoco. Gli attentatori si sono poi dati alla fuga. Un’auto della polizia li avrebbe inseguiti, ma per ora non si hanno notizie ufficiali. Il presidente François Hollande è arrivato sul posto: “la Francia è sotto shock – ha detto Hollande – ma il Paese saprà reagire.  Saremo uniti!”. Il presidente ha assicurato che gli attentatori saranno catturati e che la loro caccia durerà fino alla fine, fino alla cattura. Charlie Hebdo era stato già attaccato due anni fa: l’intera sede incendiata dopo aver pubblicato un numero satirico sull’islam. Questa settimana aveva in copertina una caricatura dello scrittore Michel Houellebecq, di cui esce proprio oggi un romanzo considerato anti-islam. 

Orrore e sgomento in Francia, tra i cittadini ed ovviamente  tra i giornalisti. Francesca Sabatinelli ha raggiunto telefonicamente a Parigi Samuel Lieven, giornalista del quotidiano cattolico La Croix: 

R. – Charlie Hebdo da quasi un decennio è il simbolo della libertà di espressione soprattutto nei confronti dell’islamismo. Questo giornale dopo aver pubblicato caricature di Maometto è sempre stato un possibile bersaglio, si sapeva che un giorno avrebbe potuto essere colpito. Però, non si poteva immaginare fino a che punto, perché la Francia non era mai stata colpita così duramente dagli islamici. Gli ultimi attentati del ’95 avevano fatto otto morti. Quindi la prima reazione da parte delle persone è stata di orrore perché non si immaginava che quel giornale sarebbe stato colpito così duramente.

D. – Il presidente Hollande ha detto che negli ultimi tempi sono stati sventati diversi attacchi, non si è forse sottovalutato il rischio attentati?

R. – Si parlava di questo soprattutto dopo gli attacchi in Medio Oriente e della possibilità del ritorno di quei giovani che erano andati lì per aderire alla jihad. Però l’opinione pubblica non era così informata. Si sapeva che c’era una minaccia. I poteri pubblici parlavano di una minaccia sempre più evidente contro la quale stavano lottando, però le persone non avevano informazioni più precise a riguardo. Un grande editorialista, Serge Moati, ha detto che quell’islamismo ideologico non ci deve far paura e che dobbiamo assolutamente continuare a lottare contro le barbarie. Tutti i francesi devono resistere alle minacce di questi islamisti che non rappresentano nessuno se non loro stessi.

inizio pagina

Palestina nella Corte penale internazionale, ritorsioni israeliane

◊  

La Palestina accederà alla Corte penale internazionale il primo aprile. Lo ha annuncato il segretario generale delle Nazioni unite Ban Ki-moon attraverso una nota sul sito dell’Onu. L'Anp ha depositato venerdì scorso i documenti per accedere a 14 convenzioni e trattati, tra cui il Trattato di Roma che consente l'accesso alla Corte dell’Aja. Una mossa dettata dalla volontà di perseguire accuse di crimini di guerra contro Israele, per l'ultima offensiva di quest'estate nella Striscia di Gaza. Ma come potrà operare la Corte internazionale? Marco Guerra lo ha chiesto a Marina Mancini, docente di diritto penale internazionale alla Luiss di Roma: 

R. – Per effetto dell’adesione, la Corte Penale Internazionale avrà giurisdizione sui crimini commessi nei Territori palestinesi occupati da chiunque. Quindi non solo da israeliani, ma anche da palestinesi, a partire dalla data di entrata in vigore dello Statuto per la Palestina, ovvero – secondo quanto comunicato dal segretario generale delle Nazioni Unite – il primo aprile prossimo. La Palestina potrà deferire alla procuratore della Corte una situazione in cui appaiono essere stati compiuti dei crimini, chiedendo al procuratore di aprire una indagine. Per effetto dell’adesione, la Corte può pronunciarsi solo sui crimini commessi dopo l’entrata in vigore dello Statuto per il singolo Stato, ciò tranne che lo Stato in questione non abbia anteriormente depositato presso il Cancelliere della Corte una dichiarazione di accettazione della giurisdizione della Corte stessa. E la Palestina ha depositato l’1 gennaio una dichiarazione con la quale accetta la giurisdizione della Corte su tutti i crimini commessi nei Territori palestinesi occupati, inclusa Gerusalemme Est, a partire dal 13 giugno 2014. Ovvero, dal giorno successivo al rapimento dei tre giovani israeliani in Cisgiordania, che scatenò l’operazione “Brothers Keepers” e, in seguito al ritrovamento dei loro corpi, l’operazione “Protective Edge”, che provocò la morte di oltre 1.400 civili nella Striscia di Gaza.

D. – Quindi adesso gli israeliani, in teoria, possono essere giudicati sull’offensiva della scorsa estate?

R. – In conseguenza di questa dichiarazione la giurisdizione della Corte copre i crimini di guerra e contro l’umanità commessi dagli israeliani nell’ultima campagna militare. Cosa accadrà? Il procuratore, come da prassi in caso di dichiarazioni di questo tipo, aprirà un esame preliminare per verificare se vi siano elementi sufficienti ai fini dell’apertura di un’indagine. In caso di esito positivo, procederà all’apertura di un’indagine, previa autorizzazione della Camera preliminare. Il procuratore potrà chiedere – sempre alla Camera – l’emanazione di uno o più mandati d’arresto o ordini di comparizione.

D. – Netanyahu, però, ha detto “mai nessun militare israeliano davanti alla sbarra dell’Aja!”…

R. – Sì! In effetti i vertici israeliani non hanno molto da temere dalla Corte Penale Internazionale se non un danno politico e di immagine. Questo perché l’esecuzione di un mandato d’arresto richiede la cooperazione dello Stato in cui il ricercato si trova e questo perché la Corte non dispone di un proprio apparato di Polizia. E’ impensabile che Israele consegni dei propri cittadini alla Corte!

Per un commento sulle reazioni israeliane all’adesione della Palestina alla Cpi sentiamo Francesco Battistini: 

R. – La prima reazione ufficiale è stato il congelamento delle tasse che gli arabi israeliani versano ogni mese al fisco israeliano. Ma questo è solo il primo passo… Ora, in realtà, in Israele il governo ha deciso di mobilitare le organizzazioni ebraiche e le organizzazioni internazionali che si trovano negli Stati Uniti e anche in Europa, affinché, in qualche modo, contrastino questa azione legale palestinese con contro-azioni legali che riguarderebbero i crimini di guerra, soprattutto di Hamas, per quanto riguarda la Striscia di Gaza. Quindi, è possibile che nei prossimi mesi partano una serie di contro-ricorsi da gruppi di pressione o associazioni ebraiche internazionali, in qualche modo ispirate dal governo. Poi c’è la reazione della gente, la reazione delle persone, dei soldati. Ma queste preoccupazioni riguardano soprattutto i militari di carriera e quindi gli ufficiali, che sono di solito quelli che vengono colpiti da sanzioni, quali magari la possibilità di espatriare.

D. – Quindi sul terreno potrebbero esserci conseguenze nel comportamento dell’esercito israeliano?

R. – C’è da molto tempo un dibattito che coinvolge varie fasce della popolazione e anche i vertici militari sulla legittimità di alcune operazioni e di alcuni interventi, anche se non ci sono mai state, se non in rarissimi casi delle punizioni dirette da parte dei vertici nei confronti di militari che si sono macchiati di abusi, a parte i casi più clamorosi. Ora, certo, questa preoccupazione c’è! Anche se negli ultimi giorni sia Netanyahu, sia i vertici dell’esercito hanno detto che comunque non vi saranno cambi di strategia per quanto riguarda il mantenimento della sicurezza. Anzi Netanyahu ha detto: “Difenderemo il nostro esercito fino all’ultimo”.

inizio pagina

Sri Lanka al voto per le presidenziali

◊  

Appuntamento cruciale questo giovedì per lo Sri Lanka al voto presidenziale. Sono elezioni anticipate di due anni, rispetto allo scadere del mandato dell’attuale leader Mahinda Rajapaksa, grazie ad un emendamento costituzionale che favorisce in realtà il capo dello Stato alla ricerca della rielezione. Ma l’esito delle urne non è scontato, visti i consensi dell’avversario Maithripala Sirisena. Del valore di questo appuntamento e delle attuali condizioni dello Sri Lanka, Gabriella Ceraso ha parlato con il prof. Emilio Asti esperto di culture orientali: 

R. - Il Paese ora si trova ad una svolta. Le riforme che sono state promesse da lungo tempo adesso non possono più essere procrastinate, altrimenti si corre il rischio che il Paese possa cadere nelle mani di una dittatura militare, oppure possa prendere avvio una guerra civile, non più tra Tamil e Singalesi ma tra tutti gli abitanti.

D. - È comunque un Paese che è cresciuto a livello di prodotto interno lordo, a livello di commercio di infrastrutture, sanità, istruzione…

R. - C’è stato un certo progresso, però come in altri Paesi ha investito solo alcuni settori della popolazione. Il Paese deve compiere ancora molti passi per arrivare ad una piena democrazia. Rapporti di Amnesty International e di altre organizzazioni hanno denunciato gravi violazioni dei diritti umani nello Sri Lanka da parte dei militari, della polizia. I militari hanno confiscato molti ettari di terra agli abitanti delle province Tamil. È grave anche la situazione della censura: molti giornalisti sono stati sequestrati, hanno subito minacce.

D. - Sirisena si proclama come l’uomo della riconciliazione nazionale, l’uomo dell’aiuto ai poveri, alle classi agricole, alle minoranze ...

R. - Sono promesse. Il problema è che, una volta eletto, si troverà di fronte al clero buddista e all’esercito che condizioneranno fortemente la sua azione. Anche l’attuale presidente Rajapaksha, al momento della sua prima elezione, aveva promesso grandi cambiamenti che però non sono stati attuati. Quindi c’è veramente il rischio che queste promesse rimangano sulla carta. La speranza è che il Paese possa veramente cambiare rotta, possa vedere l’inizio di una riconciliazione nazionale, la modifica della Costituzione che concede troppi poteri al presidente, la limitazione del ruolo dei militari, limitare il predominio del clero buddista e inoltre, una lotta alla corruzione e l’attuazione di una politica veramente trasparente.

inizio pagina

Natale in Egitto, presidente partecipa a veglia copti ortodossi

◊  

Le Chiese ortodosse e cattoliche orientali che seguono il calendario giuliano festeggiano oggi, 7 gennaio, il Natale. In Egitto è scesa la tensione legata alle celebrazioni natalizie dopo gli allarmi dei giorni scorsi e dopo l’uccisione, alla vigilia, di due agenti di polizia a guardia di una Chiesa copto-ortodossa. In tutto il  Paese si sottolinea l’importanza della presenza per la prima volta alla Messa della vigilia di un presidente egiziano. Abdel Fattah al-Sisi ha infatti partecipato alla cerimonia, accolto nella cattedrale copto-ortodossa del Cairo dal patriarca Tawadros II e dall’entusiasmo dei fedeli. Francesca Sabatinelli ha intervistato padre Hani Bakhoum, vicario del Patriarcato copto-cattolico: 

R. - Senz’altro questa sorpresa fatta dal presidente che è venuto alla Cattedrale copto-ortodossa per fare gli auguri è stata veramente bella, ci ha colpiti, ma soprattutto ha dato un segnale di una nuova visione dell’Egitto. Ormai sia il capo di Stato, sia tutto il popolo, non pensano all’Egitto come a musulmani o cristiani, ma pensano all’Egitto come una famiglia in cui tutti i membri festeggiano. Il discorso di al-Sisi, seppur breve, è stato molto profondo. Ha detto una bella cosa: “Io non vengo qui per fare gli auguri ai cristiani. Io vengo qui per fare gli auguri a tutto l’Egitto, a tutti gli egiziani”, credo che questo sia un segno per tutto il mondo che ormai c’è veramente questa intenzione di ricostruire un Paese basato sull’uguaglianza, sull’amore, sulla fratellanza tra tutti in Egitto.  

D. - Il presidente al-Sisi nel suo breve discorso ha anche detto: “I cristiani copti costruiranno il loro Paese insieme senza alcuna discriminazione”. Nella pratica secondo lei questo come si deve tradurre?

R. - Prima di tutto bisogna fare delle leggi che veramente dimostrino queste intenzioni, che aiutino sia noi cristiani che i musulmani a vivere insieme senza alcun tipo di discriminazione. Questo è molto importante perché il desiderio della pace non basta, anche i gesti, seppur profondi e importantissimi, non bastano. Ormai bisogna realizzare concretamente queste belle intenzioni, bisogna arrivare prima di tutto ad una vera legge che stabilisca l’uguaglianza tra tutti i cittadini dell’Egitto. Poi, bisogna formare la gente ad entrare in questo spirito della legge.

D. - Non tutti gli egiziani saranno d’accordo con questo cammino verso l’uguaglianza …

R. - Questo non mi preoccupa più di tanto, mai tutto il mondo è d’accordo su una cosa e il fatto che ci siano degli oppositori, delle persone contrarie non significa nulla, non ci impedisce di andare avanti, anzi.

D. - C’è stato, c’è ancora adesso un po’ di allarme per queste festività. Ci sono stati due morti finora, due poliziotti. Lei che clima sente nel Paese?

R. - Non posso dire che c’è un clima di tensione. Qui al Cairo la situazione è migliore rispetto a uno o due anni fa. Questo lo assicuro. Ormai sentiamo che siamo dentro una casa, non siamo ospiti. Quest’anno in Egitto la situazione è molto più tranquilla rispetto agli anni scorsi. Certo, non nego il fatto che ci siano ancora atti terroristici, però bisogna sottolineare che questi atti non sono contro i cristiani. Quello che è accaduto, è vero che è accaduto davanti all’ingresso di una chiesa, erano le quattro di mattina, e i terroristi hanno colpito due poliziotti sapendo che sicuramente erano musulmani. Quindi gli atti non sono contro i cristiani, ma sono atti terroristici che non fanno differenza tra cristiano e musulmano. Certo, vogliono creare un clima di tensione per impedire ai cristiani di pregare ma questo non è accaduto. Siamo tutti andati nelle chiese, c’era un clima veramente molto tranquillo. Bisogna anche notare che quest’anno  il governo sta  facendo molto a livello di sicurezza per proteggere le persone. Dire che la tensione in Egitto sta aumentando quindi non è giusto. Io sono ottimista però dico che questo ottimismo deve essere realizzato concretamente, nel senso che ormai bisogna arrivare a formulare leggi che permettano ai cristiani di costruire le chiese, che diano ai cristiani gli stessi diritti dei musulmani. Adesso dobbiamo passare da un ottimismo, da una speranza, ad un fatto reale.

inizio pagina

Petrolio e borse. Altomonte: ricreare fiducia in Europa

◊  

Rimbalzano in avvio di seduta gli indici delle Borse europee, dopo tre giorni di cali consecutivi. Il petrolio invece continua a calare: il Brent scende sotto i 50 dollari per la prima volta dal primo maggio 2009. Si può parlare di Borse e petrolio come di due fenomeni paralleli? Fausta Speranza lo ha chiesto a Carlo Altomonte, docente di Politiche economiche all’Università Bocconi:   

R. – In parte, direi, nel senso che sicuramente il calo del petrolio è il segnale di una domanda mondiale stagnante e quindi sicuramente questo si riflette sulle aspettative di profitto futuro delle aziende e, dunque, sulle quotazioni di borsa. Però, sicuramente esiste una specificità europea rispetto a questo, perché uno potrebbe dire che a questo punto dovrebbero scendere tutte le borse del mondo e non è proprio così. Ci sono situazioni molto differenziate. I cali sono stati soprattutto in Europa e soprattutto nei Paesi periferici dell’Unione Europea, il che mi fa pensare che, evidentemente, la questione greca e la risposta che l’Europa potrà dare al rischio che le elezioni greche portino a un tentativo di rinegoziazione del debito greco possano rappresentare un elemento importante per le economie periferiche europee.

D. – Ci sono attese per scelte europee, in particolare dalla Banca centrale europea (Bce)?

R. – Sì, in Europa c’è la speranza che la Bce possa intervenire in maniera risoluta nella crisi con l’acquisto di titoli di Stato e quindi quello che chiamiamo “quantitative easing” in maniera massiccia. Sicuramente, la stessa crisi greca complica in qualche modo le soluzioni in questo senso della Bce: annunciare un "quantitative easing" massiccio tre giorni prima delle elezioni greche rappresenterebbe un po’ un elemento di “disturbo” della campagna elettorale greca. Inoltre, se la Bce iniziasse a comprare titoli del debito greco, tra gli altri, a seguito di questa azione, nel momento in cui la Grecia stessa dovesse decidere di non ripagare completamente il suo debito, questo a maggiore ragione esporrebbe la Bce a un rischio di perdita in conto capitale e, quindi, di fatto a un trasferimento di risorse tra i Paesi che contribuiscono di più al capitale: Bce, Germania, Italia e Francia. Oltre all’impatto sulla Grecia stessa. Il rischio, quindi, è che per il momento ci sia una specie di atteggiamento attendista da parte della Bce che potrebbe non far piacere ai mercati.

D. – In quale altro modo creare fiducia? Perché poi su tutto quello che abbiamo detto c’è anche una questione di fiducia per i mercati…

R. – Assolutamente. Il tema è il rilancio della domanda interna in Europa e questa si può fare solo attraverso azioni concordate di politica fiscale – quindi di spesa pubblica e quindi allentamento dell’austerità da un lato – e azioni concordate di rilancio degli investimenti, dall’altro. Il piano Junker recentemente annunciato, 300 miliardi di euro, rappresenta un primo passo giusto in questa direzione ma è un passo, secondo me, insufficiente per dimensione e sicuramente con effetti ritardati nel tempo. Diventerà operativo non prima di settembre di quest’anno. Sarebbe opportuno che i Paesi annunciassero azioni comuni di rilancio della spesa pubblica, concordate nei singoli Paesi con un’azione comune, che in qualche modo andassero oltre il dogma dell’austerità, evidentemente anche in cambio di riforme.

D. – Record positivo di occupazione in Germania e invece record negativo in Italia: che dire?

R. – Questo segnala il fatto che ci siano differenziali di competitività tra i diversi Paesi e quindi la necessità per alcuni Paesi di procedere a un’agenda di riforme che è particolarmente urgente, l’Italia in questo senso si sta iniziando a muovere. Però, attenzione: il record di occupazione in Germania non è accompagnato da una crescita economica sostenuta. Anche la Germania sta in questo momento scontando una crescita economica molto bassa, sta scontando una dinamica di inflazione che rischia di essere negativa nei prossimi mesi. Quindi, in realtà, se è vero che, da un punto di vista strutturale l’economia tedesca è più solida e più competitiva di quella italiana – i dati di occupazione in qualche modo lo dimostrano – è altrettanto vero, come dicevo prima, che tutti e due i Paesi, Germania e Italia, stanno soffrendo – l’Italia di più della Germania, ma tutti e due – di un choc importante negativo di domanda. Quindi, anche nell’interesse della Germania, è opportuno stimolare la domanda complessiva in Europa.

 

inizio pagina

Kashmir, tensione India-Pakistan: 12 morti, migliaia in fuga

◊  

Si riaccende la tensione tra India e Pakistan sulla contesa regione del Kashmir. Violenti scontri a fuoco lungo la linea di confine, tra soldati indiani e pakistani, vanno avanti da giorni. 12 i morti, decine di feriti, mentre migliaia di civili stanno lasciando le proprie case. L’Onu per ora non si pronuncia mentre Islamabad e New Delhi continuano a rimpallarsi la responsabilità della violazione del cessate il fuoco. Ma esiste il rischio che la questione del Kashmir, che in 20 anni ha provocato oltre 80 mila vittime, sia la scintilla di una vera e propria guerra tra India e Pakistan? Cecilia Seppia lo ha chiesto a Michelguglielmo Torri, docente di Storia moderna e contemporanea dell’Asia, all’Università di Torino: 

R. – Ci saranno scontri di frontiera, ammazzeranno le persone, continueranno ad esserci atti terroristici sia in India che in Pakistan legati alla questione Kashmir, ma una guerra in piena regola non ci sarà: non ci sarà per quelli che sono i rapporti di forza. L’esercito indiano è infatti infinitamente più potente di quello pachistano e, secondo piani militari che sono stati discussi, l’India sarebbe in grado di sconfiggere in maniera decisiva il Pakistan nel corso di due settimane. Ma c’è un ma: e cioè il fatto che il Pakistan sia dotato di armi atomiche.

 D. – La questione del Kashmir – lo ricordiamo – nasce nell’agosto del 1947, quando l’India e il Pakistan hanno cominciato ad esistere come Stati indipendenti sulle ceneri del colonialismo inglese. Ma è soltanto una questione territoriale e quindi politica, oppure ci sono altri interessi in gioco?

 R. – Questa è sempre la domanda che tutti fanno ad un certo punto. Ciò che rende francamente paradossale l’intera situazione del Kashmir è che il Kashmir praticamente non ha alcuna rilevanza economica: la principale industria del Kashmir – oltre, appunto, alla produzione dei tessuti in kashmir che noi tutti conosciamo e che si producono però anche in molte altre parti del mondo - era il turismo. Quindi in Kashmir non ci sono riserve petrolifere, non c’è gas, non c’è oro, non c’è nulla! Sì ci sono risorse idriche ma quelle sono in tutta l'Himalaya. La questione è soprattutto di natura ideologica.

 D. – Professore, come si risolve il problema del Kashmir?

 R. – Solo attraverso una trattativa – direi – trilaterale fra Pakistan, India e le forze politiche presenti in Kashmir. E’ una trattativa che dovrebbe puntare a una situazione di demilitarizzazione della zona, apertura dei confini fra i due Kashmir e integrazione economica fra i due Kashmir e in prospettiva fra Pakistan e India. Le tensioni fra India e Pakistan sono tensioni che comportano grandi spese militari, comportano una serie di contraccolpi negativi sia per il Pakistan, sia per l’India, sia per tutti gli Stati della regione, ma non si riesce a trovare una soluzione: essenzialmente io credo perché sia in Pakistan, sia in India continuano ad esistere dei gruppi influenti, delle forze politiche influenti, che non vogliono risolvere la situazione, che hanno interessi di vario genere legati al mantenimento delle tensioni fra i due Paesi.

 D. – Oltre alla gente in fuga – sono migliaia, abbiamo detto, le persone che stanno fuggendo in questi giorni dai villaggi colpiti – c’è anche la questione della violazione dei diritti umani…

 R. – Questo è un aspetto particolarmente dolente, perché di fatto il Kashmir è sotto occupazione militare da parte dell’esercito indiano. E, da notizie che hanno continuato a filtrare nel corso di questi anni, l’esercito indiano si è reso colpevole di tutta una serie di violenze, di stupri, di uccisione ingiustificate e via dicendo… Ora bisogna dire che la stampa indiana, che nel complesso è una stampa abbastanza libera e abbastanza vivace, sulla questione del Kashmir - come su alcune questioni analoghe che riguardano alcuni piccoli Stati nel nordest del Paese - mantiene una sorta di autocensura: l’atteggiamento della stampa è sostanzialmente un atteggiamento giustificativo nei confronti dell’opera di repressione che viene portata avanti in Kashmir, come in alcuni di questi piccoli Stati del nordest.

inizio pagina

Pino Daniele. Card Sepe: è stato un "messaggero" di Napoli

◊  

Sono stati celebrati i funerali di Pino Daniele. La cerimonia si è tenuta nel Santuario del Divino Amore, a Roma, in una chiesa gremita di familiari e amici più stretti, tra cui diversi personaggi del mondo della musica e dello spettacolo. All'esterno del luogo di culto tantissima gente, molti arrivati anche da altre regioni italiane per l'ultimo saluto all'artista napoletano. Il corteo funebre ha poi raggiunto Napoli nel primo pomeriggio, dove intorno alle 19, nella Basilica di San Francesco di Paola, in Piazza del Plebiscito, è in programma una Messa celebrata dal cardinale Crescenzio Sepe. Le parole del porporato al microfono di Luca Collodi

R. – Ha saputo interpretare un po’ l’animo napoletano leggendo e descrivendo poeticamente i chiaroscuri della nostra città, le tante cose belle, ma anche una cartolina sporcata da tante situazioni che purtroppo non facevano emergere la bellezza anche culturale e civile di questa nostra metropoli. Ha saputo ricavare da una visione poetica una rappresentazione che poi tanti napoletani hanno fatto loro, perché interpretava autenticamente questo humus, questo nostro tipico animo napoletano.

D. – Pino Daniele  come ha interpretato la popolarità, la gente e i problemi di Napoli?

R. – È stato certamente uno dei migliori interpreti dell’animo napoletano. Il fatto stesso che la popolazione che sembrava un po’ distratta dalla mancanza della sua presenza fisica, ieri sera ad esempio si è radunata in più di centomila a Piazza del Plebiscito. Questo fa capire quanto sia sceso poi nell’animo dei napoletani e come questi abbiano saputo apprezzare questa sua interpretazione.

D. – Più volte lo ha cantato Pino Daniele: Napoli è ancora il luogo dell’anima nonostante i problemi di oggi?

R. – Credo di sì, perché anche lui, pur descrivendo i lati oscuri di una città che sta attraversando uno dei momenti più difficili, ha capito e ha colpito bene quelli che erano i drammi di una città. Per questo, è stato credo uno dei maggiori e dei migliori interpreti e ha saputo fare questo non soltanto per la città di Napoli, ma in qualche maniera ha poi avuto un’influenza sul Paese, sull’Italia e anche fuori, perché le sue interpretazioni hanno avuto un successo molto vasto anche fuori dall’Italia.

D. – L’uomo Pino Daniele, un artista che era anche un uomo generoso e sicuramente innamorato della vita…

R. – Era un uomo tranquillo. Direi che tendeva piuttosto alla riservatezza, al nascondimento. Concentrava nei contenuti delle sue canzoni che erano profonde e anche poetiche questo suo messaggio. Io l’ho definito “un messaggero di Napoli”, perché è stato uno dei pochi che ha saputo cantare calandosi all’interno della realtà sia napoletana che poi sociale in genere. In un primo momento, era prevista una Messa nella Basilica di Santa Chiara, ma vista la massa enorme di persone prevista di coloro che vogliono assistere a questo momento, la cerimonia religiosa si farà stasera – quando le urne verranno portate qui da Roma – a Piazza del Plebiscito proprio per raccogliere il maggior numero di coloro che vogliono assistere alla cerimonia religiosa, alla Messa.

D. – L’arte, la musica, il teatro a Napoli sono un modo per non rassegnarsi, talvolta per protestare, per cercare di cambiare la propria situazione…

R. – I napoletani, sia il popolo sia anche la parte colta, intellettuale, della città hanno capito una cosa molto importante: la cultura, la vera cultura, quella che ha radici profende in tutta la storia in tutta l’arte napoletana, può essere uno strumento per superare le difficoltà. La cultura è sempre stata alla base di una costruzione civile, sociale, culturale e questo Napoli lo ha capito ed esprime attraverso i suoi tantissimi artisti questa volontà di superare la crisi.

inizio pagina

Cinema. "The Imitation Game", dramma di un genio emarginato

◊  

È sugli schermi italiani “The Imitation Game” di Morten Tyldum, “biopic” avvincente dedicato alla figura del matematico inglese, Alan Turing, negletto dalla storia, vessato dalle leggi, tragicamente scomparso e recentemente riabilitato. Fu lui, infatti, a decrittare il codice nazista “Enigma” durante le fasi cruciali della Seconda Guerra Mondiale e a permettere così di salvare milioni di persone. Il servizio di Luca Pellegrini

(clip dal film)

La storia lo capirà, da lì a poco. Alan sta tentando di difendere Christopher, che gli sta davanti, con le sue piccole ruote colorate, mentre ticchettano rumorose girando senza sosta e una miriade di cavi entrano ed escono da questo cuore pulsante come fossero le vene di una strana creatura. Christopher è una macchina con la quale il matematico Alan Turing, che l'ha creata, fa i conti da parecchi mesi. Tempi cruciali, perché sono quelli della Seconda Guerra Mondiale, che dalla luce sinistra dei bombardamenti londinesi dell'aviazione tedesca si riflettono orrendamente sul continente europeo e nel mondo intero. E cruciali i risultati cui la sua invenzione può approdare, perché dovrebbe servire a decrittare i messaggi in codice che i nazisti creano con un sistema chiamato “Enigma”.

L’uomo, la macchina e l’intolleranza

Il  film di Morten Tyldum racconta una serie molteplice di scontri, generati in quell'epoca tragica e arroventati dal conflitto bellico, dalla paura, dall'ansia, dall'odio: tra gli uomini, con al centro la figura di Turing, ben poco studiata dalla storia e dalla scienza; tra l'uomo e la macchina; tra la libertà e l'intolleranza; tra la coscienza e il dovere; tra l'amore e l'invidia. Turing e quel suo scatolone di cavi e rotelle, che aprì la strada allo studio degli attuali computer, fu determinante per la vittoria degli Alleati riuscendo a carpire le comunicazioni belliche che i nazisti si scambiavano utilizzando quella scrittura indecifrabile, e gli storici oggi stimano che la decrittazione del codice “Enigma” abbia abbreviato la guerra di oltre due anni salvando più di 14 milioni di persone.

Eroe misconosciuto e riabilitato

Ma la ragion di stato, la chiusa mentalità e l'assurdità delle leggi anglosassoni determinarono il tragico oblio del genio, oltre che la sua tragica fine: omosessuale tormentato, venne bandito dagli annali degli eroi, gettato nella dimenticanza e nella povertà, condannato nel 1952 all'obbligo di terapia ormonale per la castrazione chimica, fino al suo suicidio, che avvenne a soli 41 anni, il 7 giugno 1954. Non serviva questo film alla sua riabilitazione umana e storica – avendo già il governo del Regno Unito formalizzato le sue scuse nel 2009 e la regina Elisabetta II concesso nel 2013 a Turing la grazia postuma onorando le sue straordinarie scoperte scientifiche – ma a squarciare un velo su un capitolo decisamente dimenticato del XX secolo, che riguarda tutte le famiglie colpite dalla guerra. Scavando nella complessità e vulnerabilità del carattere del protagonista, attraverso l'intersezione di tre distinti anni della sua vita: quelli della scuola, sottoposto a dolorosi atti di bullismo, nel 1927; della guerra, quando lavora con grandi tensioni insieme a un gruppo di giovani coetanei per portare a termine il suo progetto segretissimo; nei '50, quando a Manchester esplode la sua agonia, il suo tormento, dopo l'incriminazione per atti osceni.

A difesa della libertà

Interpretato con un algido rigore da Benedict Cumberbatch, che con la sua impeccabile, scostante, commovente recitazione, non ci mette a fianco di Turing, ma giustamente ci spinge lontano, così come lui fece nella vita creando il vuoto attorno a sé, anziché colmarlo. Ma altrettanto ci avvicina emotivamente alla sua strenua lotta a difesa delle sue intuizioni, della sua mente, della sua libertà, più che della sua natura.  

inizio pagina

Nella Chiesa e nel mondo



Sri Lanka. Appello dei vescovi: non politicizzare visita del Papa

◊  

Un forte appello a non politicizzare la visita del Papa in Sri Lanka, che si terrà dal 12 al 15 gennaio, subito dopo le elezioni presidenziali nel Paese, in programma domani. A lanciarlo è la Conferenza episcopale dello Sri Lanka, in un messaggio a firma del suo presidente, card. Malcolm Ranjith. Le consultazioni si tengono in anticipo, rispetto alla fine del mandato, per decisione dell’attuale presidente, Mahinda Rajapaksa.

Evitare violenze prima e dopo le elezioni
Due, in particolare, gli sfidanti: Maithripala Sirisena, ex membro del governo Rajapaksa, il quale ha basato la sua campagna elettorale su un piano di riforme democratiche che prevede anche la riduzione dei poteri presidenziali ed il rafforzamento del Parlamento, e lo stesso Presidente uscente, Rajapaksa, che si candida così al terzo mandato, dopo quelli del 2005 e del 2010. Ad ogni modo, a prescindere dal risultato delle elezioni, Rajapaksa sarà Presidente in carica fino al 2016, anno in cui – come prescrive la Costituzione del Paese – si insedierà ufficialmente il Capo di Stato.

La preoccupazione della Chiesa
In questo contesto, la preoccupazione principale della Chiesa locale è che non ci siano strumentalizzazioni della visita del Pontefice: “Chiediamo fermamente ai candidati di assicurare che non ci sia alcuna forma di politicizzazione della visita del Papa”, si legge nel messaggio, che chiede “un’atmosfera pacifica per la visita pontifica, così che il programma spirituale previsto possa svolgersi regolarmente”. “Ad ogni livello – proseguono i vescovi – è necessario evitare la violenza, sia prima che dopo le elezioni, per portare avanti, con la popolazione, un dibattito maturo inerente alla politica di ciascun partito”.

Mantenere principi di democrazia e trasparenza
Quindi, la Conferenza episcopale dello Sri Lanka lancia un appello affinché siano “mantenuti i principi della democrazia e dell’assoluta trasparenza in vista di uno svolgimento libero e corretto delle elezioni”: “È estremamente importante – scrivono i presuli – che nel Paese sia presente un’atmosfera di libertà per esprimere differenti punti di vista in materia politica”, così come “è necessario mantenere lo Stato di diritto” ed una “vera democrazia partecipativa”. La Chiesa locale, inoltre, “si aspetta un forte impegno” condiviso “nel ristabilimento della pace e della riconciliazione nel Paese, affinché tutti i cittadini possano vivere con dignità ed uguaglianza”.

Un voto per la promozione del bene comune
Il messaggio episcopale ricorda, inoltre, l’importanza del rispetto de “l’inalienabile diritto di ogni cittadino ad esprimere il proprio voto senza paura o parzialità”, in un clima di “giustizia ed assoluta trasparenza”. “La Chiesa – si legge ancora – ha sempre sostenuto la necessità di rispettare il diritto ed il dovere di usare ogni voto nella promozione del bene comune”, secondo quanto ribadito della Costituzione pastorale “Gaudium et spes”: “Si ricordino perciò tutti i cittadini del diritto, che è anche dovere, di usare del proprio libero voto per la promozione del bene comune. La Chiesa stima degna di lode e di considerazione l'opera di coloro che, per servire gli uomini, si dedicano al bene della cosa pubblica e assumono il peso delle relative responsabilità. (n. 75)”.

Lavorare per il bene comune
Guardando, poi, al dopo-elezioni, i vescovi auspicano che “sia il candidato eletto che quello non eletto accettino la decisione del popolo rispettandone il verdetto e tendendosi reciprocamente la mano per lavorare insieme per il bene del Paese”, affinché, “libero da violenze”, lo Sri Lanka “si incammini su una strada di maggiore libertà e prosperità, mantenendo solidi principi economici, morale e culturali, tanto preziosi per la popolazione”. (A cura di Isabella Piro)

inizio pagina

Onu: in aumento il numero dei profughi

◊  

Guerra e conflitti civili hanno spinto in soli sei mesi altri cinque milioni e mezzo di persone ad abbandonare le proprie case o addirittura il proprio Paese: lo riferisce l’Alto commissariato dell’Onu per i rifugiati (Unhcr), in un rapporto aggiornato al giugno 2014. Secondo le stime delle Nazioni Unite, che non tengono conto dei rifugiati palestinesi - riferisce l'agenzia Misna - nel mondo già alla fine del 2013 i profughi erano 51 milioni e 200.000: un numero senza precedenti dalla Seconda Guerra mondiale.

3 milioni i profughi siriani
La condizione più drammatica è quella dei siriani, che in oltre tre milioni hanno dovuto abbandonare il proprio Paese in conseguenza dello scoppio del conflitto civile nel 2011. Il numero dei rifugiati siriani, avverte del resto Unhcr, “in assenza di prospettive di una soluzione politica e della fine dello scontro armato” potrebbe arrivare a oltre quattro milioni e 270.000 entro la fine del 2015. Secondo l’ente dell’Onu, per numero di rifugiati i siriani precedono gli afgani (due milioni e 700.000), i somali (un milione e 100.000), i sudanesi (670.000) e i sud-sudanesi (509.000).

Maggior numero di sfollati ospitati in Pakistan
Molto differente, naturalmente, la classifica dei Paesi che ospitano il maggior numero di rifugiati. Al primo posto c’è il Pakistan (un milione e 600.000), seguito da Libano (un milione e 100.000), da Iran (982.000), Turchia (824.000) e Giordania (737.000). (R.P)

inizio pagina

Sud Pakistan: centinaia di bambini muoiono di fame per siccità

◊  

Negli ultimi due mesi i paramedici dell’ospedale civile di Mithi, distretto di Tharparkar nel sud del Pakistan, hanno visto morire di fame dozzine di persone, in maggioranza bambini e bambine con meno di due anni, a causa della grave siccità che colpisce la regione. Alla fine del 2014 sono morte 650 persone, ma la cifra continua ad aumentare con la diminuzione delle già precarie riserve alimentari e con la morte, a causa del sole cocente, del bestiame, principale fonte di sostentamento di questa comunità di pastori.

Scarsità di acqua nella regione
Secondo una fonte locale del Sindh, sono tre anni consecutivi che tale tragedia grava sugli abitanti di questo distretto al confine con Rajastan e Gujarat. L’agricoltura e l’allevamento del bestiame sono le fonti principali di vita a Tharparkar, difficili in una regione arida dove la raccolta di acqua piovana e i pozzi sotterranei, a volte a 120 metri di profondità, sono l’unica sorgente di acqua potabile. Gli sforzi delle ong non bastano ad arginare la crisi.

Inadeguati gli aiuti del governo
Secondo il presidente di Futuro nelle Nostre Mani Pakistan (Fiohp), il governo ha distribuito grano all’inizio della siccità ma poi non ha continuato. Fiohp, lavora a livello locale, ma non è in grado di coprire tutto il distretto, la cui popolazione si estende per 2.300 villaggi su una superficie di 22 mila km quadrati. Per definire gli aiuti, il governo si basa su dati vecchi di circa 16 anni fa, registrati nel censimento del 1998, di conseguenza molte delle vittime non avranno aiuti. Uno studio rivela che Tharparkar registra il minore indice di sviluppo umano dei 25 distretti della provincia del Sindh.

Alto tasso di mortalità infantile
La denutrizione e l’inadeguata sanità pubblica contribuiscono al crescente tasso di mortalità di dozzine di persone, principalmente bambini, vittime di diarrea e polmonite. Il responsabile della Fondazione Hisaar, una ong impegnata a Tharparkar, aggiunge che ad aggravare questa situazione contribuiscono le condizioni socioeconomiche, la pratica dei matrimoni combinati che causano un alto indice di mortalità infantile e materna. (R,P.)

inizio pagina

Terra Santa: a Gaza delegazione internazionale di vescovi

◊  

Dall'11 al 15 gennaio una delegazione di 16 Vescovi provenienti da vari Paesi dell'Europa, del Nord America e dal Sudafrica prenderà parte all'annuale visita organizzata in Palestina e Israele dal Coordinamento delle Conferenze episcopali a sostegno della Chiesa di Terra Santa per conoscere da vicino la condizione presente e gli attuali problemi vissuti dalle comunità cristiane locali e calibrare strategie e programmi di sostegno a favore di tutta la popolazione. Anche quest'anno, l'incontro con la comunità cristiana di Gaza rappresenterà uno dei momenti chiave della visita realizzata dalla delegazione episcopale.

La Messa a Gaza
I vescovi potranno verificare le perduranti conseguenze dell'intervento militare israeliano “Bordo di protezione” che ha provocato tra la popolazione della Striscia di Gaza più di 2mila vittime, compresi più di 500 minorenni. A Gaza, i vescovi celebreranno la Messa insieme alla comunità cattolica locale e visiteranno le scuole cristiane e i presidi sanitari, per offrire sostegno ai professori e ai medici operanti nel territorio.

Tappe a Sderot e Valle di Cremisan
Il programma della visita prevede anche un incontro con la popolazione di Sderot – l'insediamento israeliano raggiunto dal lancio di missili lanciati dalla Striscia di Gaza durante la campagna militare di luglio – e una puntata alla Valle di Cremisan, luogo interessato dal progetto di costruzione del Muro di Separazione voluto da Israele, che in quell'area rischia di sconvolgere l'esistenza di due comunità religiose salesiane e di 50 famiglie cristiane palestinesi, proprietarie dei terreni agricoli su cui dovrebbe svilupparsi il percorso del Muro.

Alcuni componenti della delegazione
Tra i vescovi che faranno parte della delegazione – guidata dal vescovo inglese Declan Ronan Lang - figurano l'arcivescovo italiano Riccardo Fontana, l'arcivescovo spagnolo Joan Enric Vives i Sicìlia e il vescovo tedesco Stephen Ackermann. (R.P.)

inizio pagina

Giordania: ragazzi fuggiti dall'Iraq accolti nelle scuole cristiane

◊  

Tra i 7mila profughi cristiani fuggiti da Mosul e dalla Piana di Ninive che hanno trovato rifugio in Giordania, più di 1.400 sono minori in età scolare, ma finora solo poche decine tra loro avevano ripreso a frequentare corsi d'istruzione, evitando così che la loro condizione di sfollati comporti anche una traumatica interruzione del proprio percorso scolastico. Adesso, grazie anche al coinvolgimento di Caritas Jordan, un Comitato governativo si è riunito per esaminare il caso di questi studenti e trovare una soluzione alle loro difficoltà. La prospettiva intrapresa è quella di integrare i ragazzi iracheni cristiani nel sistema educativo e formativo del Regno Hascemita, chiedendo in particolare la collaborazione fattiva delle scuole cristiane, comprese quelle che fanno capo al patriarcato latino di Gerusalemme.

Disponibilità delle scuole cristiane
L'integrazione su larga scala degli studenti cristiani iracheni nelle scuole giordane dovrebbe iniziare già nel semestre scolastico appena iniziato. Ma il loro ingresso nelle scuole pubbliche è di fatto reso impraticabile da una serie di difficoltà, a cominciare dal sovraffollamento delle aule. Caritas Jordan, con un rapido sondaggio, ha verificato la disponibilità all'accoglienza da parte delle scuole del patriarcato latino e di altre scuole cristiane, comprese quelle legate al patriarcato ortodosso di Gerusalemme.

Difficoltà per traumi della guerra e lingua araba
Gli studenti cristiani iracheni rappresentano una porzione di popolazione scolastica segnata da problematiche particolari: alcuni di loro non parlano arabo in maniera fluente e altri hanno temporanee difficoltà di apprendimento legate ai traumi psicologici che hanno subito dopo essere stati costretti a fuggire dalle proprie case insieme alle loro famiglie. Il loro inserimento avverrà con il coinvolgimento del Ministero dello sviluppo sociale e il sostegno di alcune Ong internazionali impegnate nell'aiuto all'infanzia. (R.P.)

inizio pagina

Arcivescovo di Niamey: Boko Haram recluta giovani in Niger

◊  

Sempre più giovani nigerini si arruolano nel movimento nigeriano Boko Haram. L’allarme è stato lanciato, nel suo messaggio di inizio anno, da mons. Michel Cartatéguy, arcivescovo di Niamey, capitale del Niger. Nel documento, inviato all’agenzia Fides, mons. Cartatéguy riporta le dichiarazioni dei deputati delle regione di Diffa, nell’estremo est del Niger al confine con la Nigeria: “I deputati si sono dichiarati preoccupati per il numero crescente di giovani nigerini, ragazzi e ragazze, che ingrossano di continuo le file della setta Boko Haram”.

Possibili obiettivi di Boko Haram in Niger
“Secondo il deputato Nassirou - sottolinea mons. Cartatéguy - i nostri giovani di Diffa sono reclutati ogni giorno che Dio manda in terra, e questi giovani conoscono Diffa meglio che i membri di Boko Haram e possono indicare loro dove bisogna colpire” facendo così prefigurare un’estensione delle attività di Boko Haram al Niger. Un fatto che non si può escludere, visto che Boko Haram ha conquistato la base multinazionale di Baga, sulla riva nigeriana del Lago Ciad. La base, che in teoria ospitava militari di Nigeria, Ciad, Niger e Camerun, potrebbe ora essere usata dalla setta islamista per colpire non solo nel nord-est della Nigeria, ma anche nei Paesi confinanti, provocando un’estensione del conflitto su scala regionale. 

Arruolamento per motivi economici e non religiosi
Secondo quanto afferma mons. Cartatéguy, l’opinione diffusa in Niger è che la maggior parte dei giovani nigerini si arruolano tra le fila di Boko Haram per motivi economici e non religiosi, ci sono quindi spazi per intervenire e fermare il reclutamento.

Colera aggrava condizione 150mila rifugiati della Nigeria
L’arcivescovo di Niamey stima inoltre che nella regione di Diffa siano ormai 150.000 i rifugiati provenienti dalla Nigeria (i cui arrivi sono giornalieri) e gli sfollati interni, causati dalle violenze di Boko Haram. La situazione è aggravata dalla recente epidemia di colera che ha colpito i rifugiati. “Malgrado la povertà della regione, la popolazione locale continua ad accogliere i rifugiati con fraternità e ospitalità” sottolinea mons. Cartatéguy, che conclude rammaricandosi che “la stampa internazionale parli molto poco della situazione di Diffa”. (R.P.)

inizio pagina

Vescovi Usa: settimana nazionale della migrazione

◊  

Negli Stati Uniti si concluderà il 10 gennaio la Settimana nazionale delle Migrazioni organizzata dalla Conferenza episcopale statunitense (Usccb), per aumentare nel Paese la consapevolezza delle difficoltà incontrate dagli immigrati

Fondi a scuole cattoliche e parrocchie per gli immigrati
"Sono nostri fratelli e sorelle spirituali, che spesso sono isolati dalla loro famiglia, e la possibilità di vivere pienamente la loro vita è fortemente limitata", ha detto in una dichiarazione inviata a Fides mons. Eusebio L. Elizondo Almaguer. Il presule ha anche annunciato che, nell'ambito della manifestazione, la Usccb ha istituito un fondo per fornire le parrocchie, le scuole cattoliche e le altre organizzazioni di finanziamento per aiutare a integrare l'insegnamento in materia di migrazione nei suoi programmi, con dei sussidi per le attività ed eventi.

Scopo della Settimana
L'Usccb ha scelto il tema "Siamo una famiglia agli occhi di Dio", per questa Settimana nazionale della Migrazione 2015. Ha ricordato anche che da 25 anni i vescovi cattolici degli Stati Uniti hanno condotto la settimana della migrazione per creare un momento e uno spazio per i fedeli per valutare la situazione della grande diversità di persone che condividono la chiesa e i ministri che vi assistono. (R.P.)

inizio pagina

Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIX no. 7

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti.