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Sommario del 03/02/2015

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Francesco: ascoltare Vangelo non telenovele, Gesù è speranza

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La contemplazione quotidiana del Vangelo ci aiuta ad avere la vera speranza. E’ quanto sottolineato da Papa Francesco nella Messa mattutina a Casa Santa Marta. Il Pontefice ha nuovamente esortato i fedeli a prendere il Vangelo ogni giorno, anche solo 10 minuti, per dialogare con il Signore, piuttosto che perdere tempo guardando una telenovela o ascoltando le chiacchiere del vicino. Il servizio di Alessandro Gisotti: 

Qual è il nocciolo della speranza? Tenere “fisso lo sguardo su Gesù”. Francesco ha svolto la sua omelia muovendo dal passo della Lettera agli Ebrei che si sofferma proprio sulla speranza. Il Papa ha sottolineato che senza ascoltare il Signore possiamo forse “avere ottimismo, essere positivi”, ma la speranza “si impara guardando Gesù”. Di qui, ha incentrato la sua riflessione sulla “preghiera di contemplazione”. Francesco ha osservato che “è buono pregare il Rosario tutti i giorni”, parlare “col Signore, quando ho una difficoltà, o con la Madonna o con i Santi..”. Ma, ha soggiunto, è importante fare la “preghiera di contemplazione” e questa si può fare solo “col Vangelo in mano”:

La preghiera di contemplazione
“‘Come faccio la contemplazione col Vangelo di oggi? Vedo che Gesù era in mezzo alla folla, attorno a lui era molta folla. Cinque volte dice questo brano la parola ‘folla’. Ma Gesù non si riposava? Io posso pensare: 'Sempre con la folla...'. Ma la maggior parte della vita di Gesù è passata sulla strada, con la folla. Ma non riposava? Sì, una volta, dice il Vangelo, che dormiva sulla barca ma è venuta la tempesta e i discepoli lo hanno svegliato. Gesù era continuamente tra la gente. E si guarda Gesù così, contemplo Gesù così, mi immagino Gesù così. E dico a Gesù quello che mi viene in mente di dirgli”.

Gesù, ha detto ancora volgendo lo sguardo al Vangelo odierno, si accorge di una donna malata che in mezzo alla folla lo ha toccato. Gesù, ha detto il Papa, “non solo capisce la folla, sente la folla”, “sente il battere del cuore di ognuno di noi, di ognuno. Ha cura di tutti e di ciascuno, sempre!” Lo stesso, ha soggiunto, quando il capo della sinagoga va “a raccontargli della figliuola ammalata gravemente: e Lui lascia tutto e si occupa di questo”. Francesco ha continuato a immaginare quanto succede in quei momenti: Gesù arriva nella casa, le donne piangono perché la bambina è morta, ma il Signore dice loro di stare tranquille e la gente lo deride. Qui, ha detto il Papa, si vede “la pazienza di Gesù”. E poi dopo la resurrezione della bambina, Gesù invece di dire “Forza Iddio!”, dice loro: “Per favore datele da mangiare”. “Gesù – ha annotato il Pontefice – ha sempre i piccoli dettagli davanti a Lui”. “Quello che io ho fatto, con questo Vangelo - è stata la riflessione del Papa - è proprio la preghiera di contemplazione: prendere il Vangelo, leggere e immaginarmi nella scena, immaginarmi cosa succede e parlare con Gesù, come mi viene dal cuore":

Tenere fisso lo sguardo su Gesù
"E con questo noi facciamo crescere la speranza, perché abbiamo fisso, teniamo fisso lo sguardo su Gesù. Fate questa preghiera di contemplazione. ‘Ma ho tanto da fare!’. ‘Ma a casa tua, 15 minuti, prendi il Vangelo, un brano piccolo, immagina cosa è successo e parla con Gesù di quello. Così il tuo sguardo sarà fisso su Gesù e non tanto sulla telenovela, per esempio. Il tuo udito sarà fisso sulle parole di Gesù e non tanto sulle chiacchiere del vicino, della vicina…”.

“E così – ha ribadito – la preghiera di contemplazione ci aiuta nella speranza. Vivere della sostanza del Vangelo. Pregare sempre!”. Francesco ha invitato a “pregare le preghiere, pregare il Rosario, parlare col Signore, ma anche fare questa preghiera di contemplazione per tenere il nostro sguardo fisso su Gesù”. Da questa preghiera, ha ripreso, “viene la speranza”. E così “la nostra vita cristiana si muove in quella cornice, fra memoria e speranza”:

Memoria e speranza
“Memoria di tutto il cammino passato, memoria di tante grazie ricevute dal Signore. E speranza, guardando il Signore, che è l’unico che può darmi la speranza. E per guardare il Signore, per conoscere il Signore, prendiamo il Vangelo e facciamo questa preghiera di contemplazione. Oggi, per esempio, cercate 10 minuti – 15, non di più – leggete il Vangelo, immaginate e dite qualcosa a Gesù. E niente di più. E così la vostra conoscenza di Gesù sarà più grande e la vostra speranza crescerà. Non dimenticate, tenendo fisso lo sguardo su Gesù. E per questo la preghiera di contemplazione”.

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Vita consacrata. Papa ai religiosi: "Gioia e creatività"

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“Obbedienza e sapienza, nella gioia e nella creatività”. Alla Messa di oggi pomeriggio nella Basilica di San Pietro, in occasione della Festa della Presentazione del Signore e della 19.ma Giornata della Vita Consacrata, questa l’esortazione, contenuta nell’omelia di Papa Francesco, a religiosi e religiose. Guidate gli altri a Gesù – ha detto loro – ma lasciatevi anche guidare da Lui. Il servizio di Giancarlo La Vella

L’emozionata tenerezza con cui Maria cammina nel Tempio con Gesù Bambino in braccio, portandolo a incontrare il Suo popolo. Nella Festa della Presentazione del Signore, Papa Francesco apre la sua omelia con questa scena evangelica, per parlare a consacrati e consacrate, sottolineando il profondo significato dell’immagine di Maria che porta il Figlio, ma anche di Lui in fondo che porta lei, in questo cammino di Dio che viene a noi, affinché noi possiamo andare da Lui:

“Gesù ha fatto la nostra stessa strada, per indicare a noi il cammino nuovo, cioè la via nuova e vivente, che è Lui stesso. E per noi, consacrati, questa è l’unica strada che in concreto e senza alternative, dobbiamo percorrere con gioia e speranza”.

Questa strada passa attraverso l’obbedienza. “Gesù non è venuto a fare la sua volontà – dice il Papa – ma la volontà del Padre. Così chi segue Gesù si mette sulla via dell’obbedienza – continua il Pontefice – abbassandosi e facendo propria la volontà del Padre, anche fino all’annientamento e all’umiliazione di se stesso:

“Per un religioso, progredire significa abbassarsi nel servizio, cioè fare lo stesso cammino di Gesù, che non ritenne un privilegio l’essere come Dio. Abbassarsi facendosi servo per servire”.

Attraverso questa legge – continua Francesco – i consacrati possono raggiungere la sapienza, una dote che opera nel concreto ed è dono dello Spirito Santo. Il suo segno evidente è la gioia:

La scena della Presentazione di Gesù al Tempio torna in evidenza, quando il Papa mette in parallelo il gruppo dei giovani, Maria e Giuseppe, e degli anziani, Simeone e Anna, che accolgono il Bambino. Ambedue i gruppi portano il Bambino, ma sono anche condotti da Lui; ambedue i gruppi sono guidati dall’obbedienza a Dio e alla legge. Aspetti che negli anziani si declinano attraverso una qualità ulteriore: quella della creatività, propria di chi è pieno di Spirito Santo. In questo modo – dice il Papa – Dio stesso trasforma l’obbedienza in sapienza.

“Attraverso il cammino perseverante nell’obbedienza, matura la saggezza personale e comunitaria, e così diventa possibile anche adattare le regole ai tempi: il vero aggiornamento, infatti, è opera della sapienza, forgiata nella docilità e obbedienza”.

Proprio per questo – sottolinea Papa Francesco – il rinvigorimento e il rinnovamento della vita consacrata avvengono attraverso un amore grande alla regola e anche attraverso la capacità di contemplare e ascoltare gli anziani della Congregazione:

“Attraverso questo cammino, siamo preservati dal vivere la nostra consacrazione in maniera light e disincarnata, come fosse una gnosi, che si ridurrebbe ad una “caricatura” della vita religiosa, nella quale si attua una sequela senza rinuncia, una preghiera senza incontro, una vita fraterna senza comunione, un’obbedienza senza fiducia, una carità senza trascendenza".

Entriamo, dunque nel mistero – conclude Papa Francesco – che si manifesta nel condurre gli altri a Gesù, lasciandoci allo stesso tempo guidare da Gesù:

“Questo è ciò che dobbiamo essere: guide guidate”.

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Papa, Beatificazione Romero. Mons. Paglia: fu uomo di Dio

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Salirà presto agli onori degli altari l’arcivescovo di San Salvador, Oscar Arnolfo Romero Galdámez, che il 24 marzo di 35 anni fa fu ucciso a San Salvador mentre era sull’altare per la celebrazione della Messa. Papa Francesco ha autorizzato la promulgazione del decreto riguardante il suo martirio, assieme a quello dei Servi di Dio Michele Tomaszek e Sbigneo Strzałkowski – sacerdoti professi dell'Ordine dei Frati Minori Conventuali – nonché di Alessandro Dordi, sacerdote diocesano, uccisi in odio alla fede a Pariacoto, in Perù, il 9 e il 25 agosto 1991. Nei decreti approvati dal Papa, figura anche il riconoscimento delle virtù eroiche del Servo di Dio Giovanni Bacile, arciprete decano di Bisacquino, in Italia, vissuto tra il 1880 e il 1941. Sulla Beatificazione di mons. Romero, l’arcivescovo Vincenzo Paglia, postulatore della Causa, parlerà ai media alle 12.30 di domani in Sala Stampa Vaticana. Intanto, a “caldo”, il presule esprime i suoi sentimenti al microfono di Tiziana Campisi

Testimone di un amore estremo
R. – Sono davvero commosso perché dopo tanti anni, finalmente, giunge la conclusione di questo lungo processo, di questa lunga causa, e la gioia è doppia. Non solo perché i pareri sono stati unanimi, sia da parte dei teologi che dei cardinali, ma anche perché c’è un “quid provvidenziale” nel fatto che Romero venga dichiarato Beato dal primo Papa sudamericano della storia. Un Papa che chiede una Chiesa povera per i poveri, quello che Romero ha vissuto fino all’effusione del sangue. E’ una gioia anche che significa una grande responsabilità per tutti: testimoni come Romero continuano ancora oggi a essere presenti per dire che l’amore fino al limite estremo, quello di dare la vita, è ciò che cambia il mondo e che dà speranza.

Verifica lunga e meticolosa
D. – Un processo lungo, quello che ha portato al decreto di beatificazione di mons. Romero: cosa può dirci in proposito?

R. – Il procedimento è stato lungo, meticoloso e ha fugato ogni tipo di problema e, grazie a Dio, anche ogni tipo di opposizione.

Martire della Chiesa conciliare
D. – Cosa dice questa beatificazione alla Chiesa di oggi?

R. – Romero, io lo vedo martire della Chiesa che è sgorgata dal Concilio, voluta da quella assemblea dei Padri sinodali che chiedevano di intraprendere il cammino del buon samaritano, mettendosi accanto ai più poveri e ai più deboli, ai tanti mezzi morti, e Romero è stato talmente vicino a costoro da essere morto lui stesso.

D. – Qual è il più grande insegnamento lasciato da mons. Romero?

Romero, uomo della preghiera
R. – Era un uomo di preghiera, un uomo di Dio, un uomo della Chiesa, un uomo delle sante Scritture, un uomo delle tradizioni profonde, un credente, che ha scelto di stare in mezzo ai poveri, sapendo che il Regno di Dio, come dice Gesù, è in mezzo ai più poveri e cammina con loro. E’ l’insegnamento che lega la figura di Romero ai tanti martiri contemporanei e a Papa Francesco, che cerca di tirarci tutti su questo cammino di vicinanza e di amore ai più poveri.

D. – C’è una frase o un pensiero di mons. Romero che ci vuole ricordare?

Con l’odore delle pecore oppresse
R. – Quando gli chiesero di allontanarsi dalla diocesi perché erano giunte voci preoccupanti per la sua salute, lui disse: il pastore sta con il suo popolo, soprattutto quando il popolo è oppresso, non fugge mai, anche a costo della vita.

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Papa, tweet: tutti siamo peccatori e chiamati a convertirci

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Papa Francesco ha lanciato questo tweet dal suo account @Pontifex: “Siamo tutti peccatori. Siamo tutti chiamati a una conversione di cuore”.

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Card. Parolin: Mediterraneo sia luogo d’incontro, mai violenza in nome di Dio

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Serve risposta comune per affrontare le cause fondamentali della migrazione, di fronte “alle azioni spietate e senza scrupoli di trafficanti di esseri umani e della migrazione clandestina”. E’ quanto afferma il cardinale segretario di Stato, Pietro Parolin, nel messaggio alla nona Sessione plenaria dell’Assemblea parlamentare del Mediterraneo, in corso nel Principato di Monaco. Dal card. Parolin anche l’augurio del Papa “che i dibattiti e le riflessioni” dell’assemblea “possano contribuire a una nuova cultura d’incontro tra tutti i popoli della regione mediterranea”.

Il porporato enumera le nuove pressanti sfide poste ai Paesi della regione a causa dell’instabilità politica nell’Africa settentrionale e della guerra al terrorismo in Iraq e Siria. E constata che il 2014 ha visto il “malvagio fenomeno dell’estremismo e del terrorismo colpire diritti umani fondamentali”. La Santa Sede, sottolinea il card. Parolin, “è particolarmente preoccupata per la sopravvivenza delle minoranze cristiane in Medio Oriente” e “riconosce che anche i musulmani continuano a soffrire per mano di coloro che giustificano la violenza e la carneficina nel nome di Dio”. Denuncia che “la violenza in nome di Dio non può mai essere giustificata” e riafferma - riecheggiando Papa Francesco - che questi atti di violenza devono essere condannati in maniera inequivocabile dai leader musulmani. Ancora, rimarca che “la violenza in nome di Dio non può mai essere giustificata”.

Per millenni, rileva poi il card. Parolin, “il Mediterraneo è stato luogo d’incontro di culture e di popoli”. Una sfida, prosegue, che resta affinché quest’area si rinnovi “come luogo d’incontro, di rispetto reciproco e di pacifica convivenza”. (A cura di Alessandro Gisotti)

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Giornata antitratta. Le religiose: lotta forte per la dignità

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Sarà l’8 febbraio, in occasione della ricorrenza di Santa Bakhita, che si celebrerà la prima giornata internazionale di preghiera e riflessione contro la tratta delle persone, fortemente voluta da Papa Francesco, e promossa dalle Unioni internazionali femminili e maschili dei superiori e superiore generali. La presentazione stamattina in Sala Stampa vaticana, alla presenza dei cardinali presidenti dei dicasteri coinvolti: Braz de Aviz, prefetto della Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica, il cardinale Antonio Maria Vegliò, presidente del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti, e il cardinale Peter Turkson, presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace. Con loro le vere protagoniste della lotta alla tratta, le suore missionarie di "Thalita Kum", la rete internazionale della vita consacrata contro la tratta delle persone. Il servizio di Francesca Sabatinelli

Si accenderà una luce contro la tratta l’8 febbraio, giornata in cui si ricorda la santa sudanese Bakhita, passata dalla schiavitù alla libertà di poter scegliere poi la vita consacrata, una figura che fa riflettere su questa piaga che oggigiorno rende schiave nel mondo milioni di persone, donne, bambini e uomini. La tratta di esseri umani – hanno ripetuto le suore in Sala Stampa, coloro che più di ogni altro sono impegnate al fianco di chi la subisce – “ferisce la dignità di tutte le persone, sfigura il volto umano delle vittime e lacera vite e storie di vita individuale e familiare”. L’8 febbraio sarà una giornata anche per spezzare la paura, l’ignoranza, la negazione e l’indifferenza, silenziose complici di quell’orribile fenomeno che è la tratta. Suor Valeria Gandini, missionaria comboniana, da diversi anni vive a Palermo. Conosce da vicino il dramma dell’immigrazione e delle diverse forme di tratta. Sua, una delle toccanti testimonianze in sala stampa:

Prostitute bambine
“Ultimamente, le ragazze sulla strada sono aumentate e sono sempre più giovani. Spesso si tratta di ragazze arrivate con i barconi. Succede anche che nei centri di accoglienza alcuni gruppi lavorano sulle ragazzine più giovani per avviarle sulla strada. Le incontriamo in città e ci raccontano di provenire da centri di accoglienza di varie parti della Sicilia. Cosa ci dicono, queste donne-bambine? Nude sulle nostre strade, a tutte le ore? Cosa ci dicono? Che nome dare ai "clienti" che sono i nostri nonni, mariti, fidanzati, figli, fratelli?”

I clienti, quindi spiega suor Gandini, hanno una grande responsabilità, perché sono i primi sfruttatori delle ragazze, “sono coloro che pagano il sesso, ma i soldi passano alla organizzazione criminale che sta dietro”:

Mercanti di schiave "intoccabili"
“Noi che andiamo sulla strada, li vediamo. Ci sono dentro tutti, no? C’è una mancanza di responsabilità! Giocano, si sfogano e poi tornano. Però, io lo dico sempre: un uomo che ha bisogno di comprare sesso, non è un vero uomo. Io dico che anche loro sono schiavi: sono schiavi del sesso e non si accorgono che diventano i primi sfruttatori delle ragazze. Ecco: mi fanno paura, i clienti. E poi i mercanti, questi sfruttatori che sono ancora liberi battitori! Loro sono le persone che sono in regola e non vengono arrestati. Noi li conosciamo e la polizia li conosce, però aspetta che la ragazza, la vittima, sporga denuncia. Ma loro hanno problemi grossi e non possono denunciare, perché hanno paura per la loro famiglia, del ricatto fatto nei riguardi della loro famiglia”.

Poi, ripete le cifre fornite dall’Oim, l’Organizzazione internazionale delle migrazioni, che denuncia un aumento del 335% del numero delle donne nigeriane arrivate: 1.454 contro le 433 del 2013. Nel mondo sono oltre venti milioni le vittime di tratta, ogni anno circa 2,5 milioni di persone cadono preda del traffico e della riduzione in schiavitù, il 70% dei quali donne e bambini:

Lottiamo per la dignità
“We are here because we want to encourage all people of good will…"
Siamo qui per incoraggiare tutte le persone di buona volontà a unire le forze per fermare questo terribile fenomeno globale, ha detto suor Carmen Sammut, presidente dell’Unione Internazionale delle Superiore Generali. Ogni anno migliaia di bambini, donne e uomini sono venduti come schiavi, per il  lavoro forzato, la prostituzione, il traffico di organi. Lottiamo con tutte le forze, chiede suor Sammut, in nome dei diritti e della dignità di ogni persona. Accendiamo il mondo contro la tratta di esseri umani, diamo la voce ai milioni di fratelli e sorelle che sono senza voce.

Leggi più efficaci
L’appello è quindi a combattere per garantire istruzione a tutti, per sconfiggere la povertà, perché proteggere le vittime non è sufficiente senza il coraggio e la determinazione per persuadere gli Stati a varare leggi efficaci al contrasto del traffico e per fermare le organizzazioni criminali. In preparazione all’8 febbraio, quindi in tanti Paesi si prepareranno veglie di preghiera, come quella che a Roma si svolgerà il 6, nella Basilica dei Santi Apostoli. Inoltre, chiunque attraverso il sito www.slavesnomore.it potrà prendere parte attiva all’iniziativa accendendo una luce e inviando storie di speranza.

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Ravasi: tante donne succubi della "dittatura dell'estetica"

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Le donne hanno un particolare sguardo sulla vita e sull’essere e su questo vogliamo confrontarci. È la convinzione del cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, che si accinge a presiedere la plenaria del suo dicastero, dal 4 al 7 febbraio, sul tema “Le culture femminili tra uguaglianza e differenza”. Le parole del porporato nell’intervista di Fabio Colagrande

R. – Vorremmo semplicemente manifestare la consapevolezza che esiste uno sguardo sull’essere, sull’esistere, sul mondo, sulla vita, sull’esperienza, che è propria – ed è originale – delle donne. Ecco, questa è un po’ la tesi di fondo che naturalmente poi viene articolata in una serie di itinerari più precisi, che sono stati anche alla base di un documento, che consegniamo a tutti i membri della Plenaria e che è un documento che è stato preparato, però, da un gruppo di donne.

D. – Quanto la scelta di questo tema si collega alle ripetute affermazioni di Papa Francesco circa il ruolo, circa le responsabilità che le donne devono avere all’interno della Chiesa?

R. – Penso sia rilevante elencare i punti cardinali – sono quattro, tra l’altro – di questo documento, di questa analisi. Innanzitutto, c’è la questione della ricerca di un equilibrio tra uguaglianza e differenza, e su questo noi sappiamo che Papa Francesco ha dato parecchie volte delle indicazioni. Ma teniamo anche presente quanto questo crinale sia importante e delicato. In secondo luogo, io penso al tema della “generatività” e usiamo proprio questa espressione – che è diventata un po’ tecnica – in cui si va oltre la mera questione biologica, perché comprende la maternità. Ma la maternità femminile è anche espressa, per esempio, da coloro che non scelgono di generare, pensiamo alle religiose. In terzo luogo, il corpo – il corpo femminile – che è un segno non solo fisiologico, ma culturale. E da ultimo, poi, la presenza – e questo è il capitolo sul quale Papa Francesco ritorna spesso e anche noi abbiamo intenzione di riflettere – della donna nella Chiesa, con la sua partecipazione attiva.

D. – A proposito della dimensione del corpo femminile, un’affermazione che riguardava proprio il corpo, cioè “la chirurgia estetica è un burka di carne” è sui giornali, perché si è aperto un dibattito su questa forte affermazione, che è nel documento preparatorio. Come la spiega lei?

R. – Questa espressione è veramente forte e ha anche un po’ la funzione di provocare il dibattito. Si può persino parlare alcune volte, nei confronti del corpo della donna, quasi di una sorta di “dittatura estetica”, per cui la donna viene invitata necessariamente a obbedire a un modello – che è il modello della pubblicità, in ultima analisi, è un modello anche artificioso – e questo viene raggiunto attraverso questa forma di autodifesa. Per questo, si è usata questa espressione che è di una scrittrice: per indicare che, alla fine, è anche una non accettazione della propria corporeità. E’ però importante una chirurgia estetica che sia ricostruttiva, che abbia la funzione di ricomporre l’armonia con il proprio corpo. Sono quindi due volti ben diversi. Assumendo il primo, però, lo si vuole assumere in chiave simbolica, per rappresentare il fatto che si invita la donna a non essere capace di accogliere il suo corpo anche quando segnato da rughe, nell’autunno quasi della vita, pur conservando ancora tutto il suo fascino. Fermo restando che i grandi problemi sono altri: la violenza nel corpo della donna, l’uso mercificato del corpo della donna. E questo è uno dei problemi di una società spesse volte sessista, solo in chiave prevalentemente femminile.

D. – Al di là della chirurgia estetica, nel documento preparatorio si ricorda che forse anche la questione del “gender”, adesso tanto dibattuta, potrebbe nascere da una visione della disuguaglianza tra uomo e donna…

R. – Sì, questo è vero, noi non abbiamo voluto affrontare in maniera diretta il tema del gender, per due ragioni: prima di tutto, perché i nostri incontri sono molto limitati nel tempo e anche perché, secondo questo gruppo di donne, quando si affrontano alcuni temi specifici, ci si dimentica di costruire prima il quadro generale. E’ necessario prima riflettere in maniera sistematica sulla ricerca di un equilibrio tra uguaglianza e differenza. Perché, per esempio, in passato dominava il modello della subordinazione – la subordinazione della donna all’uomo – un modello secolare, che non ha ancora esaurito tutti i suoi effetti perversi. Si sta superando anche il modello della pura e semplice parità: la parità dei diritti, applicata meccanicamente, – le “quote rosa” – che pure è una conquista. Si cerca ormai di andare oltre anche quell’uguaglianza assoluta, che era alla base del gender, per proporre un nuovo modello, che forse è quello – io direi – della reciprocità nell’equivalenza e nella differenza.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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In prima pagina, in apertura, “Nella morsa della violenza. In Ucraina i filorussi annunciano nuovi rinforzi; escalation di combattimenti nell’area di Donetsk”.

Di spalla, sempre in prima pagina, “Con il bambino in braccio” in occasione della Messa del Papa per i religiosi. Sotto, “Sarà beato l’arcivescovo Romero” promulgato il decreto riguardante il martirio. E, a fondo pagina, “La lezione di Mattarella; il nuovo presidente della Repubblica italiana ha giurato davanti al Parlamento riunito in seduta comune” di Marco Bellizi.

A pagina 4, “Questa è la dottrina di sempre, monsignor Romero e i poveri” di Giulia Galeotti e “I pronipoti di Twin Peaks; come sono cambiate le serie per il piccolo schermo” di Edoardo Zaccagnini.

Sempre in cultura, una pagina interamente dedicata a Thomas Merton a cento anni dalla nascita.

A pagina otto, l’omelia del Papa ai religiosi che hanno partecipato alla Messa celebrata nella basilica vaticana lunedì pomeriggio, 2 febbraio, festa della Presentazione del Signore e diciannovesima giornata mondiale della vita consacrata, e quella pronunciata martedì mattina, 3 febbraio, nella cappella della Casa Santa Marta.

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Oggi in Primo Piano



Mattarella: sarò un arbitro imparziale

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Il neopresidente della Repubblica italiana, Sergio Mattarella, si definisce un "arbitro imparziale", ma chiede ai giocatori di aiutarlo. Il Capo dello Stato ha giurato questa mattina alla Camera e poi si è recato al Quirinale. Molti i passaggi applauditi dall'aula. Il servizio di Alessandro Guarasci

Il presidente Mattarella si è già insediato al Quirinale, ma la sua giornata è iniziata poco dopo le 9 quando ha lasciato la sua residenza della Consulta per recarsi alla Camera. Ad accoglierlo i rintocchi della campana di Montecitorio.

I suo discorso è denso e va diritto ai problemi. Il neopresidente esordisce dicendo di avvertire “pienamente la responsabilità del compito” che gli “è stato affidato”. Poi la necessità di proseguire sul cammino delle riforme, per prima la legge elettorale, assicurando che sarà un arbitro imparziale con la richiesta però ai giocatori di aiutarlo. La sua è una difesa dell’unità del Paese, ma anche una richiesta alle istituzioni di garantire trasparenza e coerenza nelle decisioni. E poi i problemi del Paese: dall’assenza di lavoro, alla lotta alla mafia e alla corruzione che ha raggiunto “livelli inaccettabili”, e su questo punto il presidente ricorda le parole del Papa.

Il capo dello Stato chiede poi che la crisi economica non intacchi il patto sociale. Anche per questo la famiglia va sostenuta perché è una risorsa della società. E ancora: ripudiare la guerra e promuovere la pace, rafforzare l’unità politica europea. "No", poi, a ogni forma di terrorismo, ancor più se ingiustamente spinto da motivi religiosi.

Poco dopo, nel suo insediamento al Quirinale ricorda che “questa davvero è la casa degli italiani e che è bene che lo divenga sempre di più”.

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Mattarella. Commenti di padre Costa e Antonio Baggio

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Quello sull’unità nazionale è stato tra i passaggi forti del discorso del neopresidente, Sergio Mattarella. Alessandro Guarasci ha sentito sul punto padre Giacomo Costa, direttore di Aggiornamenti Sociali: 

R. – Ha emozionato con questo calore discreto con cui parla. Ha sottolineato i valori che uniscono, tutti i valori costituzionali, declinati dettagliatamente in diritti e doveri anche, sottolineando soprattutto l’insieme, questo della unità del Paese. L’insieme è veramente il volto concreto della democrazia, che dà il benvenuto a gli stranieri, che ricorda vittime italiane di religione ebraica, che include veramente tutti in un progetto democratico.

D. – Appunto, il presidente Mattarella ha fatto un richiamo alla coesione sociale del Paese messa in pericolo anche dalla crisi economica. Dalla presidenza della Repubblica potrà arrivare uno stimolo per far ripartire anche la situazione economica del Paese?

R. – E’ stata molto interessante l’articolazione dell’economia con l’attenzione alla situazione sociale delle famiglie e tutte le difficoltà. Per cui, sicuramente, più volte ha ricordato il ruolo e i sacrifici anche delle imprese, anche delle piccole e medie imprese che partecipano alla costruzione di un Paese, però è stato ben chiaro che questo rilancio economico passa anche attraverso e, forse, imprescindibilmente, da un riconoscimento e un sostegno a tutte le situazioni di difficoltà della gente. Le ha nominate, anche queste, molto, nei dettagli: tutte le ferite, all’inizio del suo discorso, del tessuto sociale, le ingiustizie, le povertà le solitudini, i giovani, il sud….

D.  – Padre Costa, il fatto che lui abbia citato la famiglia come risorsa fondamentale della società vuol dire, appunto, che il presidente vuole riconoscere  il ruolo di questo soggetto nella nostra società?

R.  – Se lui cerca di incarnare e di dare questo volto alla Costituzione non può che, chiaramente, dalla sua posizione, sostenere la famiglia, il ruolo centrale in questo movimento di solidarietà che è chiamato a generare uno sviluppo. Non soltanto si è posto come garante di diritti, ma come un’istituzione che riconosce le aspirazioni e le difficoltà delle famiglie e di tutti gli italiani.

Un discorso alla nazione, quello del capo dello Stato, Sergio Mattarella, carico di cultura istituzionale e costituzionale, di valori etici e morali. Luca Collodi ne ha parlato con il politologo Antonio Maria Baggio, docente di Filosofia Politica all’Istituto universitario “Sophia” di Loppiano (Fi)  fondato da Chiara Lubich: 

R. – Attraverso i saluti, Mattarella, ha fatto una specie di lezione di diritto costituzionale implicita, perché ha richiamato l’importanza dei diversi poteri, a partire dalla Corte Costituzionale e tutte le magistrature. Ha salutato il governo, ma ha fortemente sottolineato il ruolo del parlamento, richiamando anche alla necessità di tornare alle procedure ordinarie: cioè un parlamento che elabora le leggi e che non viene chiamato soltanto a ratificare ciò che il governo ha deciso. Questo ruolo forte della Costituzione deve essere visto anche all’interno della profonda scelta democratica di Mattarella, perché tutti i punti che egli elenca nel suo discorso – sia come diritti, sia come doveri – sono tutti punti attraverso i quali, se si realizzano i diritti e i doveri, matura la democrazia stessa.

D. – Uno degli aspetti , più volte ricordato nel discorso alla nazione, è il rispetto della Costituzione…

R. – Sì, perché viene definita come il risultato del patto sociale degli italiani. Quindi, ciò che rappresenta l’unità della nazione. Una cosa che si può notare dal suo discorso è che questa unità nazionale non è astratta, ma è intesa proprio come unione dei cittadini. E questo in tantissimi campi: sottolinea la ricostruzione dei legami sociali, l’importanza delle comunità intermedie e nomina, all’interno di queste comunità, anche le comunità di immigrati. Perfino quando cita la lotta alla mafia e sottolinea che abbiamo avuto degli eroi, come Falcone e Borsellino, spiega che la lotta è una lotta comune, non è solo questione di eroi isolati.  Vorrei sottolineare una cosa su cui si è dibattuto prima dell’elezione del presidente: Mattarella non è stato scelto perché cattolico, è stato scelto per la sua storia politica, per le garanzie che dà, per quello che è politicamente. Ma nella filigrana del suo discorso si ritrovano punti essenziali della Dottrina sociale cristiana, dal bene comune al principio di sussidiarietà, alle comunità intermedie di cui abbiamo parlato ora. Direi che è un ritorno importante di una cultura cattolica opportunamente inserita in un contesto politico democratico.

D. – Prof. Baggio, si è trattato di un discorso laico, non c’è mai stato alcun riferimento a Dio. Forse si richiama quella che era la tradizione politica laica della Democrazia cristiana…

R. – E’ un ritorno della tradizione democristiana, vorrei direi “purificata” anche dal travaglio storico che ha passato. Ritorno alla Democrazia cristiana non come partito, non come istituzione, non come bandiera. Ma  si vede come la Democrazia cristiana abbia trasmesso una cultura al Paese. Ci sono ancora uomini in grado di proseguire questa scuola.

D. – L’unica citazione è stata per Papa Francesco contro la corruzione…

R. – Sì. Ha preso da Francesco una argomentazione specifica e importante: quando il Papa parla di persone che hanno dei modi, diciamo, buoni, ma si comportano male. Per un uomo come lui, è il primo siciliano che arriva alla presidenza della Repubblica, che ha visto come la mafia può apparire perbene e vivere invece,  per così dire per il male, è dire ciò che pensa attraverso le parole del Papa, manifestando in questo modo  anche un comune sentire. Anche qui da sottolineare il rispetto con il quale Mattarella ha citato Papa Francesco: come presidente della Repubblica, sembra voler continuare la tradizione sana e importante di rapporti positivi tra Stato e Chiesa che abbiamo vissuto con tutti gli ultimi presidenti.

D. – Prof. Baggio, Mattarella può rinnovare, in tempi di crisi e antipolitica, il patto tra popolo e istituzioni?

R. – Può provarci. Certamente, lo ha messo al centro di questo suo discorso. Il suo riferimento all’arbitro imparziale, che però deve essere aiutato dalla correttezza dei giocatori, è un segnale molto chiaro. Se questo suo discorso verrà applicato durante il settennato, credo che avremo un ulteriore sforzo da parte della presidenza della Repubblica nel far rispettare le regole.

D. – Mattarella arbitro ma non notaio…

R. – Direi di sì. Un arbitro disposto ad intervenire quando è il momento. Non gli sarà concesso di essere passivo, perché la situazione politica italiana è talmente fragile e instabile che avrà – a più riprese – bisogno di un punto di riferimento solido come il presidente Mattarella.

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Siria. Soluzione politica possibile, Is fattore dirompente

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I quattro anni di guerra in Siria, con 200 mila morti e oltre sette milioni di sfollati, dimostrano che l’unica soluzione perseguibile è quella politica con un accordo condiviso da tutte le parti in causa. Così, ieri, l’inviato speciale delle Nazioni Unite e della Lega Araba per la crisi siriana, Staffan De Mistura, in audizione al Parlamento europeo, a cui ha chiesto aiuto. Ma c’è ancora spazio per il dialogo tra le parti? Roberta Barbi lo ha domandato a Pietro Batacchi, direttore della Rivista italiana difesa: 

R. – C’è spazio per il dialogo tra le parti, se non altro per la stanchezza che comunque tutte le parti cominciano a mostrare in quella che è una carneficina mai vista negli ultimi anni. Il punto qual è? È che nonostante centinaia di migliaia di morti, centinaia di migliaia di sfollati, le posizioni dei contendenti restano grosso modo sostanzialmente le stesse. Per cui, io non sottovaluterei questo effetto, ovvero l’effetto stanchezza, per cui a un certo punto le parti in qualche misura possano essere ricondotte a un tavolo politico, negoziale e diplomatico.

D. – A questo tavolo dovrebbe sedere anche Assad. Quali le conseguenze se lo si escludesse?

R. – Credo sia una questione di realtà e di realismo politico. Assad oggi, comunque, ha una posizione solida nel Paese: controlla Damasco e altre importanti città della Siria. Al momento, pensare di escludere Assad da un eventuale processo diplomatico mi sembra fuori della realtà politica. La questione siriana, dopo tre anni in cui si è parlato un po’ troppo di come il mondo dovrebbe essere, bisogna iniziare ad affrontarla da un’altra ottica: dal "canovaccio" che abbiamo.

D. – Sono ancora attuali i rischi di espansione del conflitto dall’area mediorientale?

R. – Penso che peggio di così non possa andare, in sostanza. La guerra civile siriana ha già tracimato nel vicino Iraq. L’avanzata di Is non è che una conseguenza del calderone siriano, della guerra civile siriana. In Libano, al momento, la situazione credo possa restare sotto controllo, vuoi per la presenza della missione Unifil, vuoi per la disciplina di Israele e Hezbollah, di cui abbiamo avuto l’ultima dimostrazione la settimana scorsa con gli scontri nel territorio delle fattorie di Sheba e sul Golan, che comunque non si sono tradotti, poi, in un’escalation. Al momento il Libano potrebbe anche scamparla.

D. – In questo quadro, la presenza dell’Is come complica le cose?

R. – Le complica dal momento che lo Stato islamico è un attore che difficilmente può essere ricondotto a un tavolo negoziale. Da questo punto di vista, è un attore poco malleabile, essendo una realtà, un’organizzazione la cui "agenda" - si sarebbe detto una volta, per usare un eufemismo - è assolutamente massimalista. Credo che in qualche misura il problema di Is debba essere risolto. Una volta risolto questo, si può iniziare a ragionare, per cui da questo punto di vista immagino che i tempi siano ancora lunghi. Non dimentichiamoci che tra i cosiddetti ribelli siriani ci sono altri gruppi, tipo al-Nusra, che altro non sono che l’emanazione ufficiale di al-Qaeda in Siria. Ho la sensazione che anche trattare con questi sia un mero esercizio di retorica.

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India. Attentati, allarme cristiani. P. Sankar: fatti collegati

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Nella notte tra l’uno e il due febbraio scorsi, un'altra chiesa cattolica di New Delhi, la chiesa di Sant’Alfonsa, è stata danneggiata e profanata da ignoti. Si tratta del quinto incidente di questo tipo nell’arco di due mesi, sempre nella capitale dell’India. L’arcivescovo, mons. Anil Couto, ha espresso sconcerto e preoccupazione affermando che questi attentati, ben pianificati, rappresentano "il fallimento del governo nel dare protezione alle minoranze e alle loro strutture religiose". Il primo atto vandalico era accaduto il primo dicembre scorso, il secondo dopo una settimana, poi ancora il 3 e il 14 gennaio. Fatti da ritenersi isolati? Adriana Masotti lo ha chiesto al portavoce di mons. Couto, padre Savarimuthu Sankar, raggiunto telefonicamente a New Delhi: 

R. – No, no, li possiamo collegare. Non è che quello che succede è tutto isolato: è tutto collegato. Quindi, c’è dietro qualcuno, ma non sappiamo chi.

D. – L’arcivescovo Couto dice che comunque è qualcuno che vuole impedire l’armonia tra le religioni, la convivenza tra le religioni in India…

R. – Sì, per disturbare l’unità, oppure per disturbare la pace. Questo ha cominciato a succedere non solo a dicembre: è incominciato a settembre-ottobre in altri Stati, poi è arrivato a Nuova Delhi, e siccome è la capitale questo significa tanto. Quando il governo dice che possiamo fare tutto, ha anche promesso di dare la sicurezza, ma poi ogni dieci giorni succede qualcosa… Può essere anche che responsabili degli attentati siano dei gruppi politici, noi non lo sappiamo, perché adesso, il 7 febbraio a Nuova Delhi, ci saranno le elezioni, quindi possono esserci dietro anche partiti politici, non solo gruppi religiosi.

D. – Ma gli attacchi sono sempre nei confronti dei cristiani, o avvengono profanazioni di templi anche di altre religioni?

R. – In ottobre e novembre, si era iniziato a parlare contro i musulmani, ma non c’è stato nessun attacco.

D. – Voi dite che confidate in una pronta indagine della polizia per quest’ ultimo caso. Ma la polizia si attiva?

R. – No e noi non siamo molto contenti di loro, perché ogni volta che noi denunciamo un’aggressione, la prima cosa che fanno è cercare di coprire quello che è accaduto. Sempre dicono: “Questo è un incidente, non è un attacco”. Di quello che è successo ieri dicono che non è vandalismo, ma che erano venuti per rubare qualcosa dalla chiesa. Quindi, si trattava di ladri. Però non erano ladri, perché non hanno preso i soldi. Quella domenica, tutte le offerte di tutte le Messe erano ancora lì... Perché hanno rotto il tabernacolo, perché hanno preso le ostie e hanno disperso ogni cosa? A questo, la polizia non ha risposte. Dicono sempre soltanto che sono stati i ladri.

D. – Come vive allora adesso la Chiesa di New Delhi, la comunità?

R. – Noi siamo molto disturbati, particolarmente per quello che è successo il primo dicembre, perché nella chiesa avevano distrutto tutto, tutto! Soffriamo tanto e abbiamo un po’ di paura, perché noi siamo sempre una minoranza piccolissima. Abbiamo sempre avuto la pace, però adesso c’è un’atmosfera di sospetto... Poi, non sappiamo neanche cosa accadrà dopo le elezioni: la situazione peggiorerà ancora o potrà migliorare? Quando è venuto il presidente degli Stati Uniti, Obama, anche lui ha detto che in India “se non c’è armonia, se c’è divisione a causa delle religioni, non potrà esserci sviluppo”. Quindi, l’unità è molto importante per l’India.

D. – E la Chiesa, su questo fronte del dialogo, della convivenza, si impegna?

R. – Sì. Come voi sapete, la maggioranza degli indiani sono induisti, però la maggioranza degli induisti ha sempre avuto un rispetto maggiore per i cristiani, perché loro sanno che noi amiamo la pace. Poi, quando vedono come noi serviamo i poveri, dicono che nessun’altra religione è capace di fare lo stesso. Hanno visto come faceva Madre Teresa. Oppure, quando vedono i cristiani che vanno in ogni parte dell’India, dove non c’è elettricità, non ci sono case e neppure le strade, però i missionari ci vanno e poi costruiscono una scuola oppure un ospedale... Tutto questo gli induisti lo sanno, ma ci sono i gruppi fondamentalisti che vogliono disturbarci, perché loro non vogliono che i poveri ricevano istruzione, perché poi incominciano a lottare per i loro diritti. Se noi serviamo i ricchi, va bene; ma quando serviamo i poveri, quando incominciamo a istruirli, a dire loro che devono lottare per la giustizia, per i diritti umani, a loro questo non va bene. Speriamo che almeno riusciamo a sapere chi sta dietro, chi l’ha fatto. Questo è importante per noi.

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Assisi, 35 anni di Orientamento Giovani. La chiave: ascoltare

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Il Servizio Orientamento Giovani dei Frati Minori di Assisi sta celebrando in questo periodo il suo 35.mo anniversario di servizio. Ormai, più generazioni di ragazzi sono state ascoltate, accolte e accompagnate nel loro percorso di vita dai Francescani, come nel caso di padre Francesco Piloni, che a Corinna Spirito descrive quali sono le chiavi del successo di questo progetto: 

R. – Il fatto di avere la capacità di ascoltare la fame dei giovani in questi anni. Fame che non è più chiaramente come un tempo quella di pane, ma è fame soprattutto di conoscenza ma ancora di più di orientamento. E già avere individuato il nome “Servizio Orientamento Giovani” è stato la capacità di dire ai giovani che Dio ha un progetto su di loro. E questo dà un orientamento alla vita delle persone dei giovani e li rende capaci di non essere, così, di passaggio, una casualità in questo mondo, ma di essere ognuno pezzi unici capaci di dare qualcosa a questo mondo.

D. – Chi sono questi ragazzi e da dove vengono per seguire i vostri corsi e le attività?

R.  – Sono giovani che vengono da tutte le parti di Italia, in quanto Assisi, San Francesco – ma tanto anche la Porziuncola, San Damiano – sono luoghi che richiamano l’amicizia a Francesco di Assisi. La grazia di un giovane che è capace dopo 800 anni ancora di parlare ai cuori, alle menti, alla volontà dei giovani di oggi. Sono giovani che vengono da tutte le parti di Italia e notiamo sempre di più le richieste che ci arrivano, anche giovani che vivono all’estero, non italiani. Di recente siamo stati al corso “Zero” in Inghilterra, a Londra. Sono giovani che hanno la stessa fame di conoscenza e di orientamento di quelli italiani. Quindi, direi che il cuore e la mente del giovane di oggi sono universali.

D. – Quali sono le attività e i corsi che proponete?

R. – Si distinguono essenzialmente in 4 livelli. Il primo livello siamo noi che ci spostiamo con attività di primo annuncio e di evangelizzazione nei luoghi dove i giovani si incontrano, si ritrovano – quindi le università, le scuole superiori, per strada, nelle piazze nei pub, nelle discoteche… Incontriamo quei giovani che non verranno mai nei nostri luoghi. Poi, c’è un secondo livello che sono le iniziative “zero”, cioè chi si è allontanato dalla fede, da un’esperienza di Chiesa, e sceglie di porsi di nuovo la domande giuste per arrivare alle risposte vere. Quindi, c’è il corso “Zero”, le iniziative del capodanno che abbiamo fatto – erano 1600 giovani – il "Francescout", la Marcia francescana… Poi, c’è un terzo livello e sono le iniziative legate all’annuncio vocazionale: la scelta di rispondere a questo progetto di Dio domandandosi come spendersi, come consumarsi, come amare meglio in questo mondo. Allora, c’è il corso vocazionale e il corso “Fondamenti biblici dell’amore”, un corso per fidanzati. E poi c’è un quarto livello. Una volta che la persona intuisce la dimensione sua vocazionale a un tipo di consacrazione, ci sono i “master”, cioè gli approfondimenti di quell’intuizione, offrendo percorsi di discernimento vocazionale specifico.

D. – Com’è possibile avvicinare i giovani ai valori cristiani in una società che propone valori lontani da quelli di Gesù?

R. – Io credo sempre che la carta vincente – e Papa Francesco un po’ ci aiuta in questo, già aveva iniziato benissimo Paolo VI e Giovanni Paolo II e Papa Benedetto – la carta vincente è l’incontro faccia a faccia. Per noi, è sempre preziosissimo questo: andare a cercare questi giovani, incontrarli, quindi il contatto diretto, indubbiamente, e più che già arrivare a parlare loro dei valori, offrire loro la possibilità di questo nostro Dio che è "incontrabile". E gli angeli che Dio manda per quei giovani oggi sono i frati, le suore o altri giovani che portiamo con noi nell’evangelizzazione, che avvicinano i ragazzi a quei valori che loro anno dentro solo che sono stati non ascoltati. Senza andare da loro con risposte prefabbricate, perché capiscono subito se la persona che li sta incontrando ha già una teoria su di loro. Vogliono essere accolti e ascoltati. E poi arriveremo insieme ad ascoltare i valori che si portano dentro.

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Nella Chiesa e nel mondo



Ucraina. Sempre più violenti i combattimenti nel sud-est

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Non si arrestano gli scontri nel sudest dell’Ucraina, dove si continuano a registrare vittime tra i civili: ben 16 nelle ultime 24 ore nei fronti più caldi del conflitto. Nella zona dell’aeroporto di Donetsk – stando a quanto riferito dal portavoce dello Stato maggiore delle forze armate di Kiev – oggi risultano dispersi 28 militari ucraini e nella stessa area i mezzi di soccorso non riescono ad arrivare a causa dei bombardamenti. Ci sono, inoltre, circa 140 persone intrappolate in una miniera alla periferia di Donetsk da ieri sera, in seguito al bombardamento che ha colpito una stazione elettrica, ma l’evacuazione sarebbe in corso. Da lunedì prossimo, inoltre, prenderà il via la mobilitazione annunciata dai leader separatisti, che porterà a 100 mila il totale dei miliziani pronti a combattere nel sudest ucraino.

La comunità internazionale
Gli Stati Uniti ritengono le sanzioni economiche “la strada migliore per esercitare pressione sulla Russia”, mentre inviare altre armi all’Ucraina “non è la risposta alla crisi”. Questo quanto affermato dal viceconsigliere per la Sicurezza nazionale, Ben Rhodes, in risposta alle indiscrezioni stampa che erano circolate in merito a nuovi invii di armi ai militari di Kiev. “Non abbiamo preso o escluso nessuna opzione dal tavolo”, ha detto però il portavoce del Dipartimento di Stato americano, Jen Psaki, chiarendo che Washington segue costantemente lo sviluppo della crisi in Ucraina e ribadendo le preoccupazioni degli Usa. Giovedì PROSSIMO, inoltre, il segretario di Stato, John Kerry, è atteso a Kiev dove incontrerà il presidente Poroshenko. “Bisogna riconoscere la logica che sta dietro alla posizione rigida dei miliziani delle repubbliche di Donetsk e Lugansk dopo che Kiev ha ripreso le operazioni di guerra”, fa sapere, invece, il Cremlino esprimendo comunque rammarico per il fallimento dei negoziati di Minsk.

L’aspetto umanitario
Amnesty International denuncia le uccisioni e i ferimenti di civili causati negli ultimi giorni da entrambe le parti coinvolte nel conflitto ucraino, specialmente nelle città di Donetsk e di Debaltseve, dove si sono registrate ben 25 vittime dal 29 gennaio ad oggi. Le accuse dell’organizzazione umanitaria si basano su interviste e testimonianze dei sopravvissuti ricoverati in ospedale e riguardano soprattutto gli attacchi contro un mercato e contro una coda di persone che attendevano la distribuzione degli aiuti a Donetsk. “Si tratta di violazioni del diritto internazionale umanitario e che possono costituire crimini di guerra”, ha tuonato il direttore del programma Europa e Asia centrale dell’organizzazione, John Dalhuisen.

Il caso
A commuovere il mondo in questi giorni è anche il caso della mamma di 7 figli – di cui l’ultimo appena nato – che dalla fine di gennaio è detenuta nel carcere di massima sicurezza Lefortovo di Mosca con l’accusa di tradimento, per la quale rischierebbe fino a 20 ani di carcere. Si tratta di Svetlana Davydova, 36 anni, che secondo l’accusa avrebbe chiamato l’ambasciata ucraina avvertendo del movimento di truppe russe verso il Paese. Sul giornale Novaya Gazeta è stata pubblicata una petizione che ne chiede il rilascio: “Quando arriverà all’amministrazione presidenziale sarà presa in considerazione”, ha commentato il portavoce del presidente, Dmitri Peskov. 

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Corte Onu all'Aja: Serbia non commise genocidio a Vukovar

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La Serbia non commise genocidio nei confronti della Croazia durante la guerra dei Balcani negli anni Novanta: lo ha stabilito oggi la Corte internazionale di giustizia dell’Onu con sede all’Aja con una sentenza attesa da 16 anni. Il giudice, Peter Tromka, ha affermato che le prove presentate non sono state sufficienti che perciò il caso “è destituito di ogni fondamento”. “Solo in alcuni degli episodi esaminati sono stati riscontrati gli estremi del genocidio, non in tutti”, ha precisato Tromka. La responsabilità di Serbia e Croazia, dunque, è limitata al solo fatto “di non averlo impedito”. Secondo la Convenzione Onu, infine, si prefigura un genocidio quando le azioni militari hanno l’obiettivo di distruggere in tutto o in parte un gruppo sulla base di ragioni etniche, razziali o religiose.

L’episodio contestato
Le accuse mosse da Zagabria a Belgrado si riferivano in particolare a quanto avvenuto a Vukovar e in altre città nel 1991. La città croata di Vukovar, nello specifico, venne distrutta in seguito all’occupazione serba durata tre mesi e decine di migliaia di croati vennero sfollati e circa 260 di loro furono, invece, arrestati e uccisi. La disputa era stata avviata nel 1999 da Zagabria che aveva denunciato la violazione da parte serba della Convenzione sul Genocidio durante l’occupazione di Krajina. L’anno seguente Belgrado aveva fatto una contro-denuncia relativa alla controffensiva croata chiamata in codice "Operazione Tempesta".

Il precedente
L’unica pronuncia sulla guerra nei Balcani che finora abbia individuato un effettivo genocidio, resta, dunque, quella sul massacro di Srebrenica del 1995 in Bosnia, emessa nel 2004 dal Tribunale penale internazionale dell’Onu ad hoc e non dalla Corte di Giustizia delle Nazioni Unite.

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Slovacchia. Vescovi: sì a famiglia tradizionale, no a gender

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Vescovi slovacchi: votare sì al referendum in difesa della famiglia
I vescovi slovacchi invitano i cittadini a partecipare numerosi e a votare "sì" al referendum per la difesa della famiglia che si terrà sabato 7 febbraio. L’iniziativa referendaria è stata lanciata lo scorso mese di marzo dall’Alleanza per la Famiglia ("Aliancia za rodinu"), un movimento apolitico e aconfessionale, fondato poco più di un anno fa per difendere l’istituto del matrimonio e della famiglia tradizionale, sul modello della “Manif pour tous”, contro il cosiddetto “Matrimonio per tutti” introdotto in Francia.

La Chiesa contro le pressioni delle lobby dell’ideologia di genere
Anche in Slovacchia crescono le pressioni politiche per la legalizzazione dei matrimoni omosessuali e dell’adozione da parte delle coppie dello stesso sesso. Pressioni alle quali non sono rimaste insensibili alcune forze di governo che negli ultimi anni hanno cercato di introdurre un “Programma nazionale per la salute riproduttiva”, ispirato alla cosiddetta “ideologia di genere”. La questione ha acceso un vivace dibattito nel Paese tra pro e contro, in cui peraltro la voce contraria delle organizzazioni cattoliche è stata sistematicamente marginalizzata.

Un referendum dal valore altamente simbolico
La consultazione di sabato prossimo avrà un valore più che altro simbolico: essa non vuole infatti modificare alcuna legge specifica, ma mira piuttosto a prevenire l’introduzione in futuro di normative che modifichino l’istituto matrimoniale facendo sentire il peso dell’opinione pubblica slovacca. Tre in particolare i quesiti accolti dalla Corte costituzionale e che saranno sottoposti ai cittadini: il primo riguarda la definizione del matrimonio quale unione tra un uomo e una donna, il secondo l’esclusione delle coppie dello stesso sesso dalla possibilità di adottare ed educare un bambino, il terzo, infine, il diritto dei genitori di decidere di non fare partecipare i figli a lezioni in cui si insegnino la teoria di genere o tesi a favore dell’eutanasia.

I vescovi in campo per il "sì"
A sostegno dell’iniziativa sono scesi in campo anche i vescovi, che domenica scorsa hanno diffuso in tutte le parrocchie una lettera pastorale in cui invitano i cattolici a partecipare al voto per garantire il raggiungimento del quorum e a riaffermare il loro "sì" alla famiglia tradizionale. Nella lettera, i presuli ricordano in proposito la posizione espressa a più riprese sull’argomento da Papa Francesco e l’incoraggiamento dato dal Santo Padre alla Chiesa locale in questa battaglia, durante un recente incontro con una delegazione slovacca. (L.Z.)

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Vescovi Angola: nel Paese si favorisca la parità uomo-donna

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Angola, vescovi: combattere la povertà
Un appello a “elaborare ed implementare le politiche pubbliche, per combattere la povertà e prestare maggiore attenzione alle persone più in difficoltà”: questa la raccomandazione centrale emersa dalla quinta Settimana sociale della Conferenza episcopale di Angola e São Tomé (Ceast), svoltasi a Lubando dal 27 al 31 gennaio scorsi, e dedicata al tema “Uguaglianza delle opportunità”. Ribadendo che “solo la parità nell’accesso effettivo alle opportunità potrà rendere possibile una crescita equilibrata e sostenibile dell’Angola”, la Ceast richiama l’importanza di una partecipazione attiva dei cittadini ai processi decisionali e sottolinea la necessità di implementare “la parità di genere”, poiché nel Paese persistono “molti pregiudizi”. “L’uguaglianza tra i generi – scrivono i presuli – è un fattore di giustizia sociale ed è importante riconoscere che le donne angolane hanno le capacità di contribuire allo sviluppo armonioso della nazione”.

Necessario sviluppo incentrato sulla persona umana
Altro punto ribadito dalla Chiesa di Luanda è quello di “uno sviluppo umano incentrato sulla persona”, il che richiede “un grande e continuo investimento sul ‘capitale umano’, ricchezza principale del Paese” raggiungibile tramite “la diversificazione dell’economia nazionale ed una maggiore democrazia economica”. Quindi, la Ceast punta il dito contro “le disparità nell’accesso all’informazione”, perché esse costituiscono “un serio ostacolo alla crescita del Paese, dato che privano molti abitanti delle conoscenze necessarie a migliorare le condizioni di vita ed a esercitare il potere della cittadinanza”. Lo stesso dicasi per “la mancanza di qualità nei processi educativi”, che “compromette di gran lunga il presente ed il futuro dell’Angola”.

Non ridurre finanziamenti a programmi contro la fame nel mondo
Di qui, il richiamo al “ruolo fondamentale della Chiesa” e a “l’impegno sociale, elemento costitutivo della fede cristiana”. In quest’ottica, dunque, la Ceast auspica che lo Stato possa “implementare politiche pubbliche efficienti in favore di tutti”, decentralizzando i servizi “per avvicinarli di più ai cittadini” e promuovendo maggiori investimenti nel settore agricolo “incoraggiando, in particolare, l’occupazione giovanile”. Al contempo, vengono richieste assicurazioni affinché non siano ridotti gli stanziamenti per i programmi di lotta alla povertà, così che alle persone che soffrono la fame e la denutrizione possano essere garantiti gli alimenti basilari.

Regolamentare legge sulla stampa
Un’ulteriore raccomandazione i vescovi la fanno riguardo alla legge sulla stampa, chiedendo che venga regolamentata “in modo da facilitare la concessione di licenze alle radio comunitarie e agli altri mass-media, soprattutto nelle lingue più facilmente comprensibile da parte dei cittadini”. Inoltre, la Ceast auspica investimenti nella “formazione tecnica, pedagogica ed etica dei professori e dei dirigenti scolastici”. Infine, i presuli raccomandano che “si valorizzino, sostengano e promuovano esperienze positive di trasformazione sociali nel Paese”. (I.P.)

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Famiglia. Vescovi Irlanda: rispondere ai quesiti del Sinodo

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Vescovi irlandesi invitano a rispondere al questionario del Sinodo 2015
“Essere franchi ed onesti” nel cammino verso il Sinodo generale ordinario sulla famiglia, in programma ad ottobre, dando spazio “a tutte le voci, anche a quelle di coloro che possono considerarsi lontani dalla fede”: questa l’esortazione ai fedeli lanciata dai vescovi irlandesi, in particolare da mons. Liam MacDaid, presidente del Consiglio episcopale per il matrimonio e la famiglia. L’invito del presule arriva dopo che, lo scorso 9 dicembre, sono stati pubblicati i "Lineamenta" del Sinodo, ovvero i documenti preparatori, contenenti un questionario al quale bisogna rispondere in tempi rapidi. Le risposte andranno poi inviate, entro il 15 aprile, alla Segreteria generale del Sinodo, che le utilizzerà per redigere l’"Instrumentum laboris", cioè il documento di lavoro dell’Assemblea sinodale.

Qualità della vita dipende da rapporti familiari
“La qualità delle nostre vite e delle nostre relazioni – spiega mons. MacDaid – sono strettamente collegate al genere di vita familiare che si è in grado di creare” e questo perché “la vita familiare è una benedizione per tutti”. Il Papa, ribadisce il presule, “desidera ascoltare la voce delle giovani coppie sposate che condividono la loro esperienza di gioie e di sofferenze”. Nell’affrontare le domande del questionario, continua il vescovo irlandese, bisogna chiedersi “come, bene o male, la Chiesa locale supporta e provvede alla cura pastorale delle coppie sposate e delle famiglie” e si tratta di “un esame che dovrebbe rafforzare e rinnovare la cura pastorale, così da spingere ogni persona a comprendere che la vita è un bene”.

Un momento storico speciale
“Davvero – conclude mons. MacDaid – siamo in un momento storico speciale, poiché il Successo di Pietro invita, umilmente, i battezzati ad aiutarlo nel trovare soluzioni ai problemi pastorali”. “Siamone grati – termina il messaggio – e cogliamo questa opportunità, invocando l’aiuto dello Spirito Santo”. Il termine fissato dalla Chiesa irlandese per la consegna, a livello locale, delle risposte al questionario è il 6 marzo. Da ricordare, infine, che il prossimo Sinodo generale ordinario, il 14.mo della serie, si terrà dal 4 al 25 ottobre e avrà come tema “La vocazione e la missione della famiglia nella Chiesa e nel mondo contemporaneo”. L’Assemblea ordinaria segue quella straordinaria svoltasi ad ottobre 2014 e dedicata a “Le sfide pastorali sulla famiglia nel contesto della evangelizzazione”. (I.P.)

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India, plenaria vescovi: liturgia non solo rito, avvicina a Dio

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Liturgia e vita al centro della Plenaria dei vescovi indiani
Sono 140 i vescovi cattolici indiani (Ccbi) riuniti da oggi a Bangalore per la loro 27.ma Assemblea plenaria. “Liturgia e vita” il tema dell’incontro che durerà una settimana e che mira a rivitalizzare e approfondire il significato del servizio liturgico di sacerdoti e religiosi.

La liturgia non è mero rituale, ma avvicinamento a Dio
"La liturgia è il modo in cui preghiamo e c'è bisogno di pregare in maniera più partecipata e più efficace”, ha spiegato il card. Oswald Gracias, presidente Ccbi, presentando l’Assemblea alla stampa.  “La liturgia – ha aggiunto il segretario generale della Ccbi, mons. Varghese Chakkalakal - non è un mero rituale, ma un contributo per portare le persone a Dio”. Sulla stessa linea anche l’arcivescovo di Bangalore, mons. Bernard Moras, il quale ha ribadito che “la liturgia non è recitare preghiere, ma renderle significative”.

Previsti gli interventi di esperti internazionali di liturgia
Illustrando ai giornalisti il programma della Plenaria, inoltre, il card. Gracias ha annunciato la partecipazione di alcuni relatori, esperti internazionali di liturgia, come mons. Arthur Roche, segretario della Congregazione per il Culto divino, e mons. Protasio Rugambwa, presidente delle Pontificie opere missionarie e segretario aggiunto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei popoli. A inaugurare i lavori, che si terranno presso il St. John College, sarà il nunzio apostolico in India e Nepal, l’arcivescovo Salvatore Pennacchio. (I.P.)

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Kenya. I vescovi per la Quaresima: "costruire" la dignità

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Kenya. Messaggio vescovi per Quaresima: promuovere dignità della famiglia
“Costruire la famiglia e la nazione nella dignità. I semi di oggi, il raccolto di domani”: si apre così il messaggio dei vescovi del Kenya dedicato alla Quaresima 2015, che quest’anno inizia il 18 febbraio. Nel documento, a firma di mons. Zacchaeus Okoth, presidente della Commissione episcopale per la Giustizia e la pace, i presuli sottolineano innanzitutto che “la famiglia è la prima cellula della società umana”, “scuola di umanità”, “Chiesa domestica” ed è dunque “con famiglie forti che si può costruire una nazione forte”. Per questo, la Chiesa di Nairobi esorta a valorizzare la preghiera familiare, poiché “la famiglia che prega unita, resta unita”, così come il catechismo tra le mura domestiche, da promuovere attraverso immagini sacre, libri sui santi, educazione dei bambini attraverso il buon esempio e la testimonianza.

L’importanza della preparazione al matrimonio
Essenziale, inoltre, continua il messaggio episcopale, l’accompagnamento dei fidanzati nel percorso di avvicinamento al matrimonio: “Troppo concentrati sul giorno delle nozze, infatti, i futuri sposi dimenticano che stanno per prendere un impegno che dura per tutta la vita. Come cristiani, dobbiamo porre attenzione alla loro preparazione, offrendo appropriate linee-guida”. Non solo: la formazione al matrimonio, scrivono i vescovi, deve partire da lontano, sin dall’infanzia, per trasmettere e instillare nei giovani “gli autentici valori umani, il rispetto dell’altro ed una base spirituale e catechetica solida”.

Accompagnare i coniugi anche dopo le nozze
La Conferenza episcopale del Kenya, poi, suggerisce di “accompagnare, dal punto di vista pastorale, le coppie sposate nei loro primi anni di matrimonio”, “periodo particolarmente delicato”, andando così oltre la celebrazione del Sacramento. Da notare che il tema “Famiglia e moralità” sarà al centro della riflessione dei presuli nella terza settimana di Quaresima.

Riflessioni anche sui diritti delle minoranze
Nella prima settimana, invece, ci si concentrerà su “Tribalismo e politica”, un tema che “colpisce lo sviluppo del Paese”, mentre la seconda settimana sarà dedicata alla questione della sicurezza, affinché – scrivono i presuli – si comprenda che “questo tema ha molte sfaccettature e non riguarda solo la sfera fisica. Per questo, esso va affrontato in maniera olistica”. I diritti delle minoranze e dei gruppi emarginati dalla società saranno, quindi, discussi nel corso della quarta settimana, perché – ricordano ancora i vescovi del Kenya – “anche gli emarginati sono nostri fratelli e sorelle, membri della famiglia di Cristo, e noi saremo giudicati in base a come li avremo trattati”.

Affidabilità e trasparenza in famiglia e nelle istituzioni
Nell’ultima settimana di Quaresima, infine, la Chiesa keniota discuterà su “Governo e gestione delle risorse”: “La Chiesa – spiega il messaggio – incoraggia i fedeli cristiani a partecipare alla governance del Paese e a invocare l’affidabilità e la trasparenza a tutti i livelli, dalla famiglia alle istituzioni”. Il messaggio episcopale si conclude con l’esortazione a “digiunare per l’integrità dei cristiani, così da arrivare ad una vita dignitosa per la famiglia e la nazione”. (I.P.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIX no. 34

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti.