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Sommario del 02/02/2015

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Papa a vescovi lituani: difendete famiglia da ideologie che la destabilizzano

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Impegnatevi a promuovere la famiglia, contrastando l’influsso di ideologie che vogliono destabilizzarla. E’ l’esortazione di Papa Francesco nel discorso consegnato ai vescovi della Lituania, ricevuti in occasione della visita "ad Limina". Il Pontefice ha rammentato l’eroicità dei presuli lituani durante gli anni bui del regime comunista ed ha messo in guardia da nuove insidie come secolarismo e relativismo. Ancora, Francesco ha esortato l’episcopato del Paese baltico a formare dei laici convinti che diano un valido apporto nella società civile. Il servizio di Alessandro Gisotti

Dalla persecuzione comunista alle insidie del secolarismo
Grazie per l’“eroicità” con la quale avete “attraversato il triste periodo della persecuzione”. Il discorso di Papa Francesco esordisce evidenziando il grande ruolo che i vescovi della Lituania hanno avuto in difesa della libertà negli anni di regime comunista. Quindi, osserva che, se per lungo tempo, la Chiesa lituana “è stata oppressa da regimi fondati su ideologie contrarie alla dignità e alla libertà umana”, oggi deve confrontarsi con altre “insidie” quali il “secolarismo e il relativismo”. Correnti che, avverte, vanno affrontate in due modi: con un “annuncio instancabile del Vangelo e dei valori cristiani” e con “un dialogo costruttivo con tutti, anche con coloro che non appartengono alla Chiesa o sono lontani dall’esperienza religiosa”. Per questo, esorta, “le comunità cristiane siano sempre luoghi di accoglienza, di confronto aperto e costruttivo”.

Ideologie che vogliono destabilizzare famiglia
Il Papa rivolge, dunque, il pensiero al grande tema della famiglia e alle “sfide che è chiamata ad affrontare nel nostro tempo”. Francesco incoraggia i vescovi a “curare la pastorale familiare così che i coniugi sentano la vicinanza della comunità cristiana”. E annota che anche la Lituania, ora a pieno titolo nell’Unione Europea, è esposta “all’influsso di ideologie che vorrebbero introdurre elementi di destabilizzazione delle famiglie, frutto di un mal compreso senso di libertà personale”. Le secolari tradizioni lituane, soggiunge, “vi aiuteranno a rispondere” a tali sfide “secondo la ragione e secondo la fede”.

Formazione di laici convinti
Altro passaggio significativo del discorso è dedicato alla formazione di “laici convinti” che, evidenzia il Papa, “sappiano prendersi responsabilità all’interno della comunità ecclesiale e dare un valido apporto cristiano nella società civile”. I laici, ribadisce, vanno incoraggiati ad “essere presenti, con la forza di una fede adulta, in ambito civile, culturale, politico e sociale”. Il Pontefice non manca poi di chiedere ai vescovi una particolare attenzione per i seminaristi, i sacerdoti, le persone consacrate e richiama l’importanza dell’ “educazione alla povertà evangelica e alla gestione dei beni materiali secondo i principi della dottrina sociale della Chiesa”. Infine un pensiero ai poveri giacché - nonostante lo sviluppo economico - in Lituania ci sono “tanti bisognosi, disoccupati, malati, abbandonati”. Siate loro vicini, è l’esortazione di Francesco, non dimenticando quanti, “soprattutto tra i giovani” lasciano il Paese “e cercano di trovare una nuova strada all’estero”.

Dopo l'incontro con il Papa, Jan Walenty Malinowski ha sentito mons. Lionginas Virbalas, vescovo di Panevėžys: 

R. – Siamo stati in visita "ad Limina": eravamo 11-10 vescovi e il cardinale. Abbiamo portato l’esperienza della nostra vita e della vita della Chiesa lituana, che è composta da sette diocesi. Abbiamo anche raccontato l’esperienza della tanta sofferenza ai tempi della persecuzione ateistica, ai tempi sovietici, ma adesso anche l’esperienza della vita in libertà, della vita delle parrocchie e dell’inserimento nelle scuole. Abbiamo chiesto anche l’aiuto e il parere del Papa su come andare avanti. Lui ci ha incoraggiato e ha incoraggiato specialmente i vescovi, perché siano veramente padri di tutti, ma soprattutto per i sacerdoti. Ha anche condiviso la sua esperienza argentina: quando i sacerdoti non sono abbastanza, prendono parte attivamente nella pastorale i laici, le suore, le religiose. Anche in Lituania molti sacerdoti si occupano di 2-3 parrocchie e questa necessità è sempre più urgente anche per noi: che i laici sempre di più assumano responsabilità in modo attivo e partecipino alla vita della Chiesa.

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Braz de Aviz: Francesco dà nuovo vigore alla vita consacrata

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La Chiesa celebra oggi la Festa della Presentazione al Signore e la Giornata per la Vita Consacrata. In questa occasione, Papa Francesco presiede a partire dalle 17.30 la Santa Messa nella Basilica di San Pietro. Su questo appuntamento ascoltiamo il cardinale João Braz de Aviz, prefetto della Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica, al microfono di Mario Galgano e Bianca Fraccalvieri: 

Nuovo slancio nella vita consacrata
R. – Noi siamo veramente molto felici che il Papa continui questa tradizione di celebrare con i consacrati di Roma e quelli che sono più vicini, ma anche per i consacrati di tutto il mondo, questa giornata della Presentazione del Signore, che coincide con la Giornata della vita consacrata. Per noi è diventata proprio una tradizione graditissima, molto buona, e anche il momento in cui possiamo sentire, proprio da vicino, il cuore del Santo Padre per la vita consacrata. Quest’anno, ancora di più, viene in evidenza perché inserita all’interno dell’Anno della vita consacrata, indetto da Papa Francesco. Allora, per noi, la presenza del Santo Padre sarà sicuramente un donare di nuovo quelle grandi linee che lui ci ha sempre dato in questo periodo per iniziare l’Anno della vita consacrata. Noi siamo molto felici perché tutto questo sta donando alla Chiesa e ai consacrati nella Chiesa un vigore nuovo, una gioia nuova, una certezza nuova, per questo tempo, che è un tempo anche di passaggio, con tante difficoltà, con tante cose nuove.

Vita consacrata, nuova via per l’ecumenismo
D. – Ci sono molte attività anche durante tutto l’anno per ricordare l’importanza della vita consacrata…

R. – Sì, vorrei sottolineare la prima iniziativa subito dopo l’apertura dell’Anno della vita consacrata: un incontro ecumenico che abbiamo realizzato qui a Roma, proprio la settimana scorsa. Qe questo incontro ecumenico, adesso, è un’iniziativa che è nuova perché noi non avevamo ancora pensato che potevamo fare insieme, con i consacrati di altre Chiese un incontro e insieme un colloquio, uno stare insieme. Il risultato che abbiamo sentito è stato che questo si voleva da molto tempo, e che noi capiamo che le grandi scuole di spiritualità che sono presenti nelle varie Chiese in fondo camminano sulla stessa linea, camminano con la stessa esperienza di Dio. Noi abbiamo trovato, per esempio, nella Chiesa anglicana, benedettini, abbiamo trovato anche francescani e così il monachesimo nel mondo ortodosso, con tutte le grandi tradizioni - mi sembra che fossero sette tradizioni - e anche noi cattolici, con tutte le tradizioni che abbiamo. C’è questo intreccio della vita spirituale, della sequela di Gesù nella vita consacrata nei vari modi, insieme: questo ci è parsa una cosa che è molto feconda, da continuare nel futuro. E’ una cosa che noi riteniamo un po’ nuova e stimolata profondamente dal Papa, soprattutto, chiedendo a noi la capacità di conversione del cuore e di essere attenti veramente a questo momento della storia.

Difficoltà nella vita consacrata
D.  – Sono un milione i consacrati nel mondo, ma Papa Francesco è rimasto colpito dal numero di persone che lasciano la vita consacrata in un anno. Come ribaltare questa tendenza?

R. – Noi abbiamo tra i 3 mila e i 4 mila consacrati che escono nel corso di un anno. Questo, nel complesso di un milione, un milione e mezzo di consacrati nel mondo. Sono più di 3 mila gli ordini, le congregazioni religiose e gli istituti secolari, che formano questo insieme di vocazioni consacrate. Se guardiamo all’insieme non è un numero estremamente alto però è significativo il fatto che ci sia tutto questo numero di persone che escono.

Discernimento, vocazione e mistero della persona
D. - Cosa significa?

R. - Noi abbiamo capito, soprattutto dalle parole di Papa Francesco, che se c’è questo problema bisogna guardare soprattutto a tre cose: come va il discernimento delle vocazioni, se questo discernimento è ben fatto, se è fatto con profondità, se è fatto con maturità o se è fatto un po’ superficialmente. Allora, curare bene il discernimento, la scelta: vedere se sono vere queste scelte o se sono poggiate su altre motivazioni. Secondo, lui dice: l’importanza della formazione. E noi stiamo vedendo che bisogna intendere come formazione non solo quella iniziale dei consacrati e delle consacrate. Questo è un periodo intenso che può essere chiamato il momento del noviziato ecc… però è un momento. Ma la formazione deve essere intesa come formazione continua perché non è solo il formatore, il maestro di novizi, quello che forma: la comunità è formatrice, l’ambiente è formatore, la società è formatrice, i mezzi di comunicazione sono formatori. Allora, noi dobbiamo vedere di pensare la formazione con tutte queste influenze che sono intorno e per tutta la vita e lì entrano anche i formatori, che non devono essere considerati già persone formate, ma persone sempre in formazione, che cercano questa formazione, come discepoli di Gesù, come coloro che seguono un carisma, un fondatore, una fondatrice, da vicino, e come coloro che sono aperti alla cultura del tempo. Questo per quanto riguarda la questione della formazione.  Discernimento, formazione. E il terzo punto che il Papa ci diceva è anche il mistero della persona. Lì è più difficile capire perché alle volte la persona si manifesta dopo molto tempo e alle volte con dimensioni che non sappiamo. Allora bisogna saper ascoltare anche questa dimensione e seguirla molto da vicino.

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Il Papa a Sarajevo. Il nunzio: visita molto attesa

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Grande attenzione da parte della popolazione locale e della stampa all'annuncio della visita del Papa a Sarajevo il prossimo 6 giugno. Questa mattina nella capitale della Bosnia ed Erzegovina la conferenza stampa tenuta dall'arcivescovo di Sarajevo, il card. Vinko Puljić, e dal nunzio apostolico nel Paese mons. Luigi Pezzuto. "La scelta di Sarajevo - ha detto mons. Pezzuto - conferma la sensibilità di Papa Francesco per i poveri, una sensibilità originaria di un Pontefice venuto dall'America Latina". Ascoltiamo il presule al microfono di Paolo Ondarza: 

R. – Certamente (l’annuncio della visita) è stato accolto molto bene. Già abbiamo avuto delle reazioni…Siccome questa visita si attendeva già da tempo, siamo sicuri che farà molto bene e non solo ai cattolici. E lei sa che Sarajevo è un po’ un crocevia non solo culturale, ma anche sul piano religioso: differenti confessioni cristiane, differenti religioni. Il massimo leader musulmano locale mi diceva: “Dica al Papa che venga: farà il bene di tutti gli abitanti della Bosnia ed Erzegovina, anche se la visita praticamente sarà solo a Sarajevo per ragioni di tempo. A tutti i livelli, questa visita, è molto attesa. Posso dirlo già fin d’ora.

D. – Lei ricordava l’aspetto di Sarajevo come crocevia di culture e religioni: dunque la visita ha un particolare significato in questo momento storico…

R. – Lo ha detto anche il Papa: è importante per la pace. Il processo di pace – è chiaro, come in ogni Paese - è in atto, ma non è mai completo. E poi c’è anche la questione del dialogo religioso, interreligioso e poi il dialogo ecumenico. Quindi è chiaro che questo viaggio a Sarajevo ha un significato molto, molto elevato: direi altissimo.

D. – Il Papa, ancora una volta, dimostra la sua attenzione e il suo desiderio di incontrare la Chiesa e le Chiese di tutto il mondo…

R. – Certo! Direi proprio di sì. E l’attenzione del Papa è – come lui dice sempre – alle periferie.

D. – Una periferia, questa, che quali altre caratteristiche ha?

R. – E’ chiaro. Ci sono, per esempio, le vittime della guerra: non dobbiamo dimenticare che la guerra è terminata meno di 20 anni fa. Quindi ci sono vittime a tutti i livelli: a livello fisico, a livello psichico, a livello anche di povertà… La visita si inserisce nello stile di Papa Francesco, che va incontro alle necessità.

D. – Il Papa ha chiesto preghiere. Quale il suo auspicio per questa visita?

R. – L’auspicio è quello stesso che ha espresso il Papa: dobbiamo pregare molto, affinché veramente la visita porti tanti frutti sia per la Chiesa locale, la Chiesa cattolica, ma anche a livello di tutte le fasce di questa società - quindi a livello culturale, a livello religioso - in modo che veramente si possa andare verso un clima, una situazione di pace e di convivenza. E’ già cominciato questo processo, però deve maturare e deve essere portato a compimento.

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Sarajevo, quando Papa Wojtyla andò nella Gerusalemme dell'Est

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L’annuncio della visita di Papa Francesco in giugno a Sarajevo ha riportato alla memoria la lunga attesa cui la guerra nell’ex Jugoslavia costrinse Giovanni Paolo II, desideroso di recarsi nella capitale bosniaca fin dal ’94, ma impossibilitato a visitarla fino al 1997. Alessandro De Carolis rievoca quella pagina di storia in questo servizio: 

Le feritoie dei 200 bunker da cui si affacciano i pezzi artiglieria che si preparano a sventrarla non si distinguono da basso, dalla città. Le colline, da basso, hanno solo i colori della primavera anche se nascondono la morte. È il 5 aprile 1992 e Sarajevo sta per essere inghiottita da un incubo. Da settimane, i boschi che fanno da corona alla capitale della Bosnia ed Erzegovina sono i muti testimoni di un accerchiamento implacabile. Pezzi di artiglieria, carri armati, al comando del generale serbo Ratko Mladic: tutti con le canne puntate verso il basso, pronti a falciare uomini, donne, vecchi e bambini – formiche visti dall’alto – che da quel giorno impareranno a correre e ad avere paura.

La mattanza di Sarajevo
All’inizio di maggio – bloccate le vie d’accesso, tagliati i rifornimenti di cibo, di medicine, di corrente elettrica – la mattanza comincia. Stragi quotidiane, meticolose, anche 300 persone al giorno, centrate nei mercati, nei campi da calcio, nelle strade dove donne che scappano con la spesa vengono abbattute dal tiro dei cecchini. Questa è Sarajevo in quei giorni, che diventeranno mesi, che diventeranno anni. Quattro anni di sangue, il più lungo assedio della storia, 12 mila morti, altri 50 mila feriti e storpiati per sempre.

Io, Vescovo di Roma, il primo Papa slavo, mi inginocchio davanti a Te per gridare:  ‘Dalla peste, dalla fame e dalla guerra - liberaci!’. Padre nostro! Padre degli uomini: Padre dei popoli. Padre di tutti i popoli che abitano nel mondo. Padre dei popoli d’Europa. Dei popoli dei Balcani...”.

La Sarajevo sfiorata
Mentre il mondo s’indigna senza muovere un dito, c’è un solo leader, uno solo, che chiede di entrare nell’inferno da dove tutti cercano di scappare. Giovanni Paolo II vuole andare a Sarajevo, la “Gerusalemme dell’Est”. Vuole salirne il calvario e stare, lui Papa slavo, con gli slavi – serbi croati e musulmani – che si stanno massacrando. Arriva quasi a sentire il rombo dei cannoni visitando Zagabria, capitale della Croazia, il 10 e 11 settembre del ’94. Ma Sarajevo, no. Neanche uno snervante lavorío diplomatico riesce a fermare per un giorno la guerra davanti al Papa che vorrebbe venire a parlare di pace.

“‘Sia fatta la tua volontà…’ Si compia nel mondo, e particolarmente in questa travagliata terra dei Balcani, la tua volontà. Tu non ami la violenza e l’odio. Tu rifuggi dall’ingiustizia e dall’egoismo. Tu vuoi che gli uomini siano tra loro fratelli e Ti riconoscano come loro Padre”.

"Basta con la barbarie!"
Non lo lasciano andare e allora l’anziano Papa slavo innalza la più dolente preghiera del “Padre Nostro” mai colta e registrata pubblicamente dalle labbra di un Successore di Pietro. Prima di partire per Zagabria, l’8 settembre, a Castel Gandolfo, celebra una Messa e l’omelia che pronuncia è la stessa scritta per la sua visita negata alla città-martire. Per lunghi minuti, i confini del Palazzo apostolico sfumano e in quel cortile entrano in sottofondo le urla, le raffiche, il fumo di Sarajevo:

“Occorre porre fine ad una simile barbarie! Basta con la guerra! Basta con la furia distruttiva! Non è più possibile tollerare una situazione che produce solo frutti di morte: uccisioni, città distrutte, economie dissestate, ospedali sprovvisti di farmaci, malati ed anziani abbandonati, famiglie in lacrime e dilaniate. Bisogna giungere al più presto ad una pace giusta. La pace è possibile, se viene riconosciuta la priorità dei valori morali sulle pretese della razza o della forza”.

Il perdono, l'unica forza di pace
Tre anni dopo, il 12 e 13 aprile ’97 il viaggio impossibile si compie. Giovanni Paolo II entra a Sarajevo e tempesta di messaggi di pace e inviti al dialogo – 7 discorsi in 24 ore – la città tempestata dai mortai. Parla sotto la neve, libera tre colombe e al loro volo bianco affida un altro dei suoi celebri “Mai più!”:

“Mai più la guerra, mai più l'odio e l'intolleranza! Questo ci insegna il secolo, questo il millennio che stanno ormai per concludersi. E' con questo messaggio che mi accingo ad iniziare la mia Visita pastorale. Alla logica disumana della violenza è necessario sostituire la logica costruttiva della pace. L'istinto della vendetta deve cedere il passo alla forza liberatrice del perdono”.

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Vaticano: si riflette su culture femminili. Ravasi per Consulta donne

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“Le culture femminili: tra uguaglianza e differenza”: il tema della prossima plenaria del Pontificio Consiglio della Cultura, in programma dal 4 al 7 febbraio. Ad illustrare il programma, nella Sala Stampa della Santa Sede, è stato stamane il cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del dicastero vaticano. Presenti all’incontro anche la presidente della Rai, Anna Maria Tarantola, e Paola Maggioni, direttrice di Rai News 24, che hanno curato l’evento pubblico di apertura dell’Assemblea, previsto al Teatro Argentina di Roma, mercoledì pomeriggio. Il servizio di Roberta Gisotti: 

Che cosa s’intende per culture femminili? Lo ha spiegato il cardinale Ravasi, alla luce del documento preparatorio dell’Assemblea, elaborato da un gruppo di donne che hanno lavorato insieme ad officiali e consultori e consultrici del Pontifico Consiglio della Cultura:

"L’espressione ‘culture femminili” non significa dividerle da quelle maschili, ma manifesta la consapevolezza che esiste uno sguardo sul mondo e su tutto ciò che ci circonda, sulla vita e sull’esperienza, che è proprio delle donne".

Da qui l’esigenza maturata dal cardinale Ravasi di creare uno organismo ad hoc:

“Il desiderio è quello di costituire poi per il dicastero - quindi  non ufficialmente per la Santa Sede, ma nei miei confronti e nei confronti del dicastero - una Consulta femminile permanente”.

Quattro gli ambiti di studio e dibattito previsti in Assemblea. Ancora il porporato:

"Primo, il delicato percorso sull’uguaglianza-differenza, con tutto quello che comporta. Il secondo è la generatività: si noti bene questo termine, che è tecnico; non è la generazione soltanto, comprende anche questa, ma è molto più, un’idea più simbolica, è un codice simbolico più generale. Terzo, la corporeità e questo è indubbiamente uno dei capitoli costanti – purtroppo anche, alcune volte – nel quale l’elemento femminile deve essere considerato. E, da ultimo, il rapporto con la religione: un rapporto che ha avuto delle vicende differenti, delle tappe diverse”.

L’Assemblea a porte chiuse, sarà inaugurata da un incontro pubblico al Teatro Argentina dal titolo “Lo sguardo delle donne”, che verrà ripreso dalla Rai, con la presentazione di video, letture e interviste in sala, musica dal vivo e collegamento con i social network con l'hashtag #lifeofwomen.

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Congresso Scholas Occurrentes: educazione nelle mani di tutti

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Si è aperto nell’Aula Nuova del Sinodo, in Vaticano, il quarto Congresso mondiale delle Scholas Occurrentes sul tema “Responsabilità sociale educativa. Un impegno di tutti gli attori”. Le Scholas sono nate a Buenos Aires per iniziativa dell’allora arcivescovo Bergoglio: sono una rete internazionale di scuole - non solo confessionali o cattoliche - che collegano migliaia di studenti in tutto il mondo, proponendo un programma educativo basato su arte, sport e tecnologia. L’evento si chiuderà giovedì prossimo 5 febbraio, a partire dalle ore 16.00, sempre nell’Aula Nuova del Sinodo, con la partecipazione del Papa e il collegamento in videoconferenza con studenti e insegnanti in vari continenti. Su questa realtà, Mercedes de la Torre ha intervistato il direttore delle Scholas, José María del Corral:

Iniziativa nata a Buenos Aires con Bergoglio
R. – Lo que asta ahora ha dado mejores resultados …
Quello che finora ha portato i migliori risultati è stata proprio l’esperienza che abbiamo fatto quando il Papa era arcivescovo di Buenos Aires: abbiamo cercato di unire insieme ragazzi e adolescenti appartenenti alle diverse religioni - ebrei, cattolici, musulmani – e abbiamo realizzato l’esperienza della “scuola vicina”, che è la base della nostra proposta. Abbiamo iniziato con 70 ragazzi e dopo un solo anno avevamo mille studenti, dopo quattro anni 7 mila studenti della scuola secondaria. E lì abbiamo cominciato a vederci come una esperienza reale, con diversi punti di vista, con diversi credo, con diversi progetti,  e abbiamo cercato di costruire una soluzione a seconda delle difficoltà e di chi le aveva, come quella dell’alcool, della droga, dell’insicurezza, dello scoraggiamento e della paura… Quindi crediamo, e di questo ne siamo convinti vedendo proprio questi risultati, che così come a giocare a calcio si impara giocando a calcio, a convivere si impara convivendo.

I quattro pilastri delle Scholas
D. – Quali sono i pilastri delle Scholas Occurientes?

R. – Las escuelas trabajan en quatros lineas. ...
Le scuole lavorano seguendo quattro linee. La prima linea si chiama “La linea dell’ulivo”, perché l’ulivo rappresenta la cultura della pace. E per questo il cardinale Jorge Bergoglio piantò nella Plaza de Mayo, insieme ai leader religiosi e al suo amico ebreo, l’ulivo. Così facendo, si impegnò davanti agli studenti, come arcivescovo di Buenos Aires, nell’educazione per la pace. Questo è l’ulivo che porta i valori a tutti i cittadini del mondo - sono ormai circa un milione e mezzo gli ulivi piantati: piantare i valori nel mondo. La seconda linea è quella della “scuola di cittadinanza”, affinché i giovani da abitanti diventino cittadini: una esperienza concreta, di totale immersione di un mese e mezzo all’interno delle classi, così che i ragazzi, condividendo i loro problemi, si trasformino in cittadini autentici, capaci di trasportare nella rete i loro problemi. La terza linea è conoscere i progetti che ci sono nel mondo e che sono isolati: unirli, condividerli e rafforzarli in sinergia. E, infine, la quarta linea è iniziare a costruire un’aula dove tutti abbiano un posto, l’aula di inclusione  attraverso la tecnologia.

Un’esperienza che unisce 400 mila scuole
D. – Uno dei punti più importanti delle Scholas è che si condividono esperienze tra le scuole non statali e le scuole pubbliche e anche tra diverse religioni. Come è questa esperienza?

R. – Esta experiencia nació cuando en Buenos Aires
Questa esperienza è iniziata quando a Buenos Aires fu istituita “la scuola vicina”, con ragazzi delle comunità religiose e poi anche della scuola pubblica e privata. Questo portò a nuove leggi, a cambiamenti e trasformazioni sociali. E questo fa sì che oggi si possa parlare già di 400 mila scuole presenti in tutte le regioni dei cinque continenti.

Francesco è convinto che l’educazione può cambiare il mondo
D. – Papa Francesco incoraggia questa iniziativa sin dal suo inizio. Cosa significa questo per voi?

R. – Significa el interés del Papa Francisco…
Questo rappresenta l’interesse di Papa Francesco perché sia una realtà e cambi il mondo. Sono molti i leader mondiali che parlano di cambiare il mondo, però credo che l’esempio di Francesco che si mette in marcia, che cammina e che invia anche gli altri a fare lo stesso: è convinto che il mondo possa cambiare, non con le armi, ma con l’educazione; e che l’educazione non deve essere un’educazione che chiude la porta, un’educazione che imprigiona, una educazione chiusa in se stessa: l’educazione è giustamente un’aula aperta, è un’aula che lavora nella strada, è un’aula di Internet, dove i ragazzi realmente stanno. E’ uscire alla loro ricerca e far sì che tornino in un luogo per loro lontano.

Come unirsi a Scholas Occurrentes
D. – Come è possibile che una scuola si aggiunga a questa rete delle Scholas Occurentes?

R. – Es muy sencillo! Es engresar…
E’ molto facile. Bisogna entrare nel nostro sito www.scholasoccurentes.org: lì il direttore della scuola, se ne ha l’autorità, si accredita e aggiunge la sua scuola: da quel momento si impegna a seguirla, ad aprire le porte e, aprendo le sue porte, inizia a condividere i suoi progetti, le illusioni e le utopie. Iniziamo insieme un cammino e questo cammino è l’educazione.

Educazione nelle mani di tutti
D. – Le piacerebbe fare un invito, attraverso i microfoni di Radio Vaticana, per unirsi a questa rete di Scholas?

R. – L'invitation es que todos los proyectos juntos hacen un gran projecto!
L’invito è che tutti i progetti insieme fanno un gran progetto! Ci sono molti educatori, molti maestri, molti insegnanti che lottano giorno dopo giorno e che molto spesso sentono la solitudine. Per questo credo che sia importante riunirsi e unirsi in una rete: perché lì è l’evoluzione educativa che propone Papa Francesco. Così si sentono più forti, più accompagnati e i ragazzi vivranno in un mondo più coerente. Quello che cerchiamo con questo Congresso è unire tutti: i lavoratori, i responsabili, il mondo accademico, il mondo universitario, i politici, i governanti, le famiglie, affinché tutti insieme recuperiamo quello che il Papa chiama “patto educativo”. Nella società avviene che si possa delegare una funzione importante com’è quella dell’educazione nelle mani di pochi. L’educazione, invece, deve stare nelle mani di tutti!

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Altre udienze e nomine episcopali di Papa Francesco

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Papa Francesco ha ricevuto questa mattina in udienza: il card. Agostino Vallini, vicario generale di Sua Santità per la diocesi di Roma; il card. Christoph Schönborn, arcivescovo di Vienna; il signor Bruno Joubert, ambasciatore di Francia, in visita di congedo. Il Papa ha ricevuto sabato 31 gennaio in udienza il card. George Pell, prefetto della Segreteria per l’Economia.

In Messico, Papa Francesco ha nominato vescovo di Orizaba il rev.do Francisco Eduardo Cervantes Merino, del clero della diocesi di Tuxpan, vicario per la Pastorale.

In Tanzania, il Papa ha nominato vescovo della diocesi di Shinyanga mons. Liberatus Sangu, officiale presso la Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli.

In Irlanda, il Santo Padre ha nominato vescovo di Waterford and Lismore  il rev.do sacerdote Alphonsus Cullinan, del clero della diocesi di Limerick, finora Parroco a Rathkeale.

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Oggi su "L'Osservatore Romano

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In prima pagina, in apertura, A Sarajevo nel segno della pace; all’Angelus il Papa annuncia il viaggio del prossimo 6 giugno.E lancia un nuovo appello per la difesa della vita dal concepimento alla morte naturale

Di spalla, sempre in prima pagina, Boko Haram dilaga in Nigeria; Ennesimo attacco dei terroristi nel Borno. Sotto, Giappone sotto shock. Abe chiede il sostegno internazionale dopo l’uccisione del secondo ostaggio.

Pagina 4  è dedicata al ricordo di Vittorio Bachelet, mentre la seconda pagina di cultura si apre con un articolo di Gaetano Vallini su "Encerrados", reportage fotografico sulle carceri dell'America Latina e "Il lager dei sacerdoti. Dachau fu il più grande cimitero di preti cattolici del mondo" di Silvia Guidi

A pagina otto, l’Angelus di domenica 1° febbraio, in piazza San Pietro, in cui Papa Francesco ha annunciato che andrà a Sarajevo il prossimo 6 giugno. In allegato, il supplemento "donne chiesa mondo".

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Oggi in Primo Piano



Un gesuita ad Aleppo: fede dei cristiani più forte di ogni violenza

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In Siria proseguono gli scontri tra ribelli e forze governative. Nel Nord del Paese, intanto, miliziani del sedicente Stato Islamico hanno costretto la popolazione di un villaggio cristiano a rimuovere la croce dalla loro chiesa. Su questo episodio e sulla situazione ad Aleppo, Amedeo Lomonaco ha raggiunto telefonicamente, nella città siriana, il gesuita padre Ghassan Sahoui: 

R. – Soprattutto, in questi ultimi giorni, c’è una guerra veramente feroce. Sentiamo, sempre più spesso e in modo sempre più violento, le esplosioni delle bombe. Abbiamo sentito quello che ha fatto lo "Stato Islamico" a Tel Hormizd, a Hassaka. Si tratta di un villaggio cristiano. Hanno chiesto di far togliere la croce. Chiediamo la sicurezza e, soprattutto, che il mondo intero si mobiliti per trovare delle vie di pace, di riconciliazione per far interrompere questa violenza del sedicente Stato Islamico.

D. - La violenza può cancellare ciò che è visibile, può costringere a rimuovere la croce da una chiesa, ma non può assolutamente cancellare quanto è custodito nel cuore. La fede non si cancella: questa è la vera forza dei cristiani in una terra così martoriata come la Siria …

R. - È un fatto molto drammatico, ma allo stesso tempo ci dà forza e gioia vedere come i cristiani, malgrado tutto, rimangono così forti e radicati nella loro terra; non vogliono lasciarla anche quando sono perseguitati. Questa è la fede, la vera fede che in questi momenti difficili, soprattutto, deve apparire a tutto il mondo perché la nostra vita non è tra le mani degli uomini ma tra quelle di Dio. E non abbiamo paura di tutti questi jihadisti. Vogliamo che interrompano questa via di violenza.

D. - Questi sono giorni, mesi, segnati da atrocità, sofferenza. E’ un periodo buio. Ci sono però degli episodi di luce illuminati da questa forza, dalla fede …

R. - Certamente. Direi che ci sono molte iniziative di solidarietà tra i cristiani, ma anche per i musulmani, perché viviamo la solidarietà nella compassione, nella sofferenza; quindi vogliamo essere sempre insieme l’uno per l’altro. Vediamo tanti uomini che cercano di aiutare, essere vicini agli altri in questi giorni ad Aleppo.

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Ancora morti nelle regioni dell'est dell'Ucraina

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In Ucraina, si continua a morire. Nelle regioni orientali di Donetsk e Lugansk, negli ultimi dieci giorni ci sono state decine di vittime soprattutto tra i soldati, ma anche tra i civili. L’ultimo bilancio riferisce di 16 morti nel fine settimana. Della fragilità della tregua, entrata in vigore a settembre, Fausta Speranza ha parlato con Aldo Ferrari, studioso di Russia e Europa orientale all’Università Ca’ Foscari di Venezia: 

R. - È abbastanza difficile capirlo. È probabile che nessuna delle due parti accetti lo status quo: la tregua regge se le due parti sono soddisfatte o per lo meno sono costrette ad accettarla. Purtroppo non è così, perché Kiev si sente - ed è - appoggiata, spalleggiata, finanziata e addestrata dall’Occidente e i separatisti si sentono, e sono appoggiati fortemente, dalla Russia. Quindi, entrambe le parti si sentono sufficientemente forti da rompere l’equilibrio che una tregua in qualche maniera sancisce. Questo è il problema: se i separatisti non hanno la forza di sconfiggere l’esercito ucraino, né gli ucraini hanno la possibilità di battere quello russo, tutto dipende in realtà dagli eventi e dai fattori esterni. Quella che si sta combattendo oggi è essenzialmente una tragica guerra, ma è anche una partita a scacchi tra la Russia, l’Ucraina e l’Occidente.

D. - Sembrerebbe che l’Europa sia stata molto distratta dai fatti di terrorismo e la Russia invece dalle questioni interne economiche. È così?

R. - L’Europa, l’Occidente devono confrontarsi con il terrorismo, ma anche la Russia ha un problema simile, non è immune. La presenza di una forte componente musulmana, i gravi problemi di questo tipo che ha sul Caucaso, la fanno interessata e partecipe al problema del terrorismo internazionale, anzi questo potrebbe essere uno spunto per provare a riprendere i contatti tra la Russia e l’Occidente. La Russia in più ha una crisi economica forte che sta aumentando, che sta gravando in larga misura a causa delle sanzioni occidentali, ma più ancora per il crollo del prezzo del petrolio. Quindi, entrambe le parti hanno i loro problemi. L’Ucraina - se vogliamo - ne ha ancora di più: è un Paese economicamente al collasso che non può permettersi assolutamente una guerra, non è in grado di combattere questa guerra. Questo è un aspetto secondo me molto particolare, molto negativo, ma che potrebbe diventare un inizio di soluzione. Gli ucraini possono combattere questa guerra soltanto se l’Occidente li appoggia, li spalleggia. Questo non vuol dire che bisogna accettare quello che la Russia ha fatto. E’ evidente che la Russia ha violato la legge internazionale, ha aggredito o aiutato i separatisti a mettere in crisi la sovranità nazionale ucraina. Però, c’è una possibilità di soluzione di questo conflitto, perché l’Ucraina non è in grado da sola di combattere.

D. - Il New York Times ipotizza l’intervento della Nato, a questo punto, per fornire armi di difesa e attrezzatura alle forzea di Kiev. È pensabile? Sarebbe ragionevole?

R. - Spero che francamente non si arrivi a questo. L’Ucraina non è parte della Nato, non è membro. Aiutarlo in questa maniera peggiorerebbe ulteriormente la situazione. Bisognerebbe piuttosto trovare un punto di incontro tra la prospettiva separatista e l’Ucraina. Appoggiandola in maniera così intensa, evidentemente noi spingiamo l’Ucraina alla guerra. E lo facciamo per punire la Russia per il suo comportamento aggressivo, ma non credo che ci guadagni nessuno. Non ci guadagna sicuramente la Russia che ne sarà colpita, non guadagna l’Ucraina che si troverà coinvolta in un conflitto più grande di lei, non ci guadagna neanche l’Europa che dal peggioramento delle relazioni politiche ed economiche con la Russia ha soltanto da perdere. Se vogliamo, ci guadagnano solo i cinesi.

D. - Perché ci guadagnano i cinesi?

R. - Perché la Russia, in rotta con l’Occidente, sarà costretta - ma in parte lo è già stata perchè ha già firmato due grandi contratti di utenze del gas - a trovare altri fornitori di gas e li troverà in primo luogo in Cina. L’avvicinamento economico è quasi sempre un avvicinamento politico e strategico. Rischiamo di vedere la Russia allontanarsi ulteriormente dall’Europa e dall’Occidente e avvicinarsi ancor più alla Cina che dell’Occidente, e in particolare degli Stati Uniti, è il principale competitore del 21.mo secolo.

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Sud Sudan: nuovo accodo di pace tra presidente e ribelli

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Cauto ottimismo in Sud Sudan, dove il presidente Salva Kiir e il capo dei ribelli, l'ex vicepresidente Riek Machar, hanno siglato un nuovo accordo per porre fine al conflitto che devasta il giovane Paese africano dalla fine del 2013. L'intesa, firmata ad Addis Abeba dietro la mediazione dei governi regionali, è stata preceduta da altre tre mai rispettate dalle parti che si combattono e che hanno provocato migliaia di vittime e oltre un milione e mezzo di sfollati. Marco Guerra ha raccolto il commento del direttore responsabile della rivista dei Comboniani, "Nigrizia", padre Efrem Tresoldi: 

R. – Direi che c’è un certo ottimismo ma non una speranza che questi nuovi accordi tra il presidente Salva Kiir e l’ex vice presidente Riek Machar portino veramente a una soluzione di questa tragica situazione di una guerra civile in Sud Sudan. Dico questo perché in effetti i due principali artefici di questa guerra civile sono ancora loro che dicono di essersi messi d’accordo per intraprendere un nuovo cammino. Nell’accordo si prevede infatti che per il governo di unità nazionale il presidente sia Salva Kiir, l’attuale presidente, e il vice presidente sia Riek Machar, l’ex vice presidente che è stato destituito nel luglio del 2013 dallo stesso Salva Kiir. Quindi si ritornerebbe indietro esattamente a quelle stesse posizioni di un anno e mezzo fa e quindi non c’è nessun progresso; sapendo che questo conflitto non potrà essere terminato perché appunto non c’è una volontà vera, di pace, perché poi sul campo continua la guerra, continua il conflitto, continuano le distanze, le distruzioni. Come hanno detto giustamente i vescovi, al termine del loro incontro, venerdì scorso: non possiamo più permettere che questi negoziati, trattative, accordi, vengano segnati, firmati, quando sul campo si continua a combattere. Occorre prima porre fine a questi combattimenti, poi questi accordi diventeranno un po’ più credibili.

D. – Cosa prevede nella sostanza questo accordo? C’è qualche altro punto importante da spiegare?

R. – Innanzitutto, questo accordo dovrebbe essere chiuso in tutti i dettagli il 5 marzo, quindi dobbiamo aspettare ancora un mese per vedere se da questa firma dei due leader scaturirà qualcosa di positivo. E un altro aspetto è il fatto che si è promesso di re-insediare quei leader dell’SPLM, che sono stati destituiti da Salva Kiir, appena dopo l’esplosione del conflitto, nel 2013, che vengono quindi reinsediati. Dunque, questo potrebbe essere un segnale di riconciliazione nazionale. Però, sono segnali molto deboli ancora, perché penso che questo accordo sia stato tirato un po’ a fatica, sotto pressione dall’Igad. L’Igad sarebbe il gruppo dei capi di Stato del blocco regionale, cioè dei Paesi limitrofi che si sono riuniti e hanno detto ai leader del Sud Sudan: mettetevi d’accordo, smettetela di combattere, cercate di trovare un accordo di pace. Hanno forzato la mano a questi due leader che hanno detto: sì, firmiamo questo accordo. Quindi questo non nasce dalla base, non nasce da una nuova prospettiva. Poi, direi, l’altro l’aspetto è che è inutile continuare a cercare di dar credito a questi accordi di pace quando continuano le due parti ad essere rifornite di armi da altri Paesi.

D . – A tre anni e mezzo dall’indipendenza com’è la situazione umanitaria?

R. – La situazione umanitaria è molto precaria. Sappiamo che c’è circa un milione e mezzo di sfollati e decine e decine di migliaia di persone uccise oltre a città e centri che sono stati completamente rasi al suolo, quindi la situazione è veramente molto precaria. Questi soldi che vengono spesi per le armi sono sottratti alle esigenze fondamentali della gente: avere garantito il cibo, una sicurezza, e la possibilità di muoversi, di ricominciare la loro vita.

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No gender a scuola. Forum Famiglie lancia "Rispettiamoci"

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"A fronte della diffusione dell’ideologia gender nelle scuole, mascherata all’interno di campagne di lotta al bullismo ed educazione all’affettività, il Forum delle Famiglie lancia “Rispettiamoci”. Rivolto alle scuole di ogni ordine e grado, il progetto coinvolgendo insieme genitori, alunni e docenti si propone come strumento per fornire uno sguardo attento ai temi della sessualità e del rispetto: dall’amore a se stessi, alla valorizzazione della reciprocità uomo-donna, alla non discriminazione. Paolo Ondarza ha intervistato Ernesto Rossi, presidente del Forum delle Famiglie dell’Umbria, promotore di “Rispettiamoci”: 

Per un'educazione all'affettività rispettosa della persona
R.  – Il progetto “Rispettiamoci” nasce da un’esigenza, quella di affrontare l’educazione alla dimensione della relazionalità che però non parta da concetti troppo riduttivi, basati, ad esempio, soltanto sulla tecnica dell’educazione sessuale, ma che abbracci completamente il concetto di persona.

Rigidi stereotipi culturali vanno combattuti, ma la famiglia tradizionale non è uno stereotipo
D. – Spesso l’educazione all’affettività  e il contrasto al bullismo vengono affidati nelle scuole esclusivamente ad associazioni LGBT che poi finiscono per introdurre l’ideologia gender tra ragazzi all’insaputa dei genitori. Il vostro progetto “Rispettiamoci” invece offre un contributo totalmente diverso. Si parte dalla valorizzazione dell’autostima alla conoscenza della relazione uomo-donna, dell’alterità maschile e femminile…

R. – Assolutamente sì. Ci tengo a marcare questa differenza. Il progetto “Rispettiamoci” è un progetto più ampio. Va detto che ci sono alcuni aspetti delle “teorie di genere” che possono tranquillamente essere affrontati su un piano condiviso. Per esempio, il concetto degli stereotipi: esistono stereotipi di tipo negativo, ma fare famiglia, famiglia formata da un uomo e una donna, non è uno stereotipo! Ci sono invece modelli educativi che possono essere eccessivamente rigidi e su questo, tranquillamente, possiamo confrontarci.

I genitori, primi responsabili dell'educazione dei figli
D. – Un aspetto importante è quello della compartecipazione genitori-scuola nel progetto educativo “Rispettiamoci”…

R. – Questo è fondamentale. Questa è la cosa che più di tutte viene tradita in questo momento. Lei faceva riferimento prima ad alcuni progetti (Lgbt) che in qualche modo saltano a piè pari questo passaggio. Questo è qualcosa che non può e non deve succedere. Innanzitutto, perché la stessa Costituzione italiana prevede che ci sia uno dovere-diritto dei genitori di partecipare alla vita educativa dei propri figli e di essere i titolari della vita educativa dei propri figli.

No al gender nelle scuole
D. – Tra l’altro, voi come Forum delle famiglie avete aderito alla petizione on–line per dire “no” al gender nelle scuole, petizione con cui il  progetto “Rispettiamoci” è in piena sintonia …

R.  – Assolutamente sì, perché soprattutto da un punto di vista ideologico il gender è qualcosa che non può entrare nelle scuole. Tutti i progetti che si occupano di relazionalità devono passare al vaglio delle famiglie. Devono essere in qualche modo condivisi. Non si può far passare tutto e il contrario di tutto nelle scuole. Da questo punto di vista, secondo me, c’è un grosso vulnus nelle nostre leggi che dovrebbe quanto prima essere affrontato in modo estremamente serio.

"Rispettiamoci" affronta bullismo, aggressività, pornografia on-line, svilimento del corpo
D.  – Dunque, genitori, insegnanti, educatori, insieme, per educare i ragazzi ad una affettività equilibrata, improntata al rispetto di sé e degli altri. Insieme per affrontare tematiche importanti come bullismo, aggressività, svilimento del corpo, effetti derivanti dalla sovraesposizione alla pornografia on-line …

R. – E’ chiaro che se si riesce a far capire qual è il valore di dignità che ogni singola persona ha e che si deve avere per se stessi si cade molto meno in un certo tipo negativo di approccio alla vita.

Un progetto offerto a tutte le scuole italiane
D. – Abbiamo fatto riferimento ai progetti educativi affidati al mondo Gay-LGBT, che hanno messo in allarme molti genitori tanto da indurli a costituire comitati, associazioni, etc…. Ecco, gli stessi genitori che volessero porre all’attenzione degli istituti, delle scuole, il progetto “Rispettiamoci” che cosa devono fare?

R. – Possono chiedere chiaramente informazioni a noi, come Forum dell’Umbria o al Forum nazionale delle Famiglie, e poi fare una semplice proposta attraverso i consigli di istituto, i comitati di genitori. Per cui, se piace più degli altri progetti, l’istituto può decidere di “adottare” “Rispettiamoci”.

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"Biagio Day", iniziativa per un cinema di qualità e valori

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Da oggi con il "Biagio day" l'Associazione Cattolica Esercenti Cinema inaugura una nuova modalità distributiva a sostegno di un cinema di qualità e ispirato ai valori cristiani. Il film, che viene aiutato nella distribuzione, è “Biagio” di Pasquale Scimeca sulla figura del missionario laico della carità che opera a Palermo. Il servizio di Luca Pellegrini

Radicale e rivoluzionario nella carità, Biagio, missionario laico nella sua Sicilia, è vicino tutti i giorni ai poveri e agli abbandonati, porzione d'umanità che la società rifiuta e nasconde, ma che è carissima agli occhi della Chiesa. Nutrendo una devozione profonda per San Francesco, Pasquale Scimeca ha cercato per anni un personaggio che potesse ispirargli il soggetto di un film. Per caso si è imbattuto nel fondatore della Missione di Speranza e Carità di Palermo, ma non per caso ha dedicato molte delle sue forze e del suo entusiasmo per portare a termine il suo lavoro, Biagio, protagonista Marcello Mazzarella. Abbiamo chiesto al regista siciliano perché un film su questo personaggio.

R. - Il mio film su Biagio in realtà racconta una storia che nasce da un ragazzo che entra in crisi perché non si riconosce più nei valori della civiltà del consumismo - quindi nell’arricchimento, nella ricerca spasmodica del denaro - e si mette in cammino, prima di tutto, alla ricerca di sé stesso, quindi di un’unità dell’essere umano che comprenda anche Dio che si fa uomo; sente il bisogno di conoscere profondamente l’animo degli uomini. Alla fine, troverà questa fede, troverà Dio. La conquista della fede da parte di Biagio non è il frutto di paure o di dogmi; in queste libertà lui trova Dio e lo trova - così come san Francesco ci insegna - guardando in faccia i propri fratelli, i poveri, gli ultimi, i diseredati, gli emarginati, i barboni, i migranti … E quindi, dedicando la sua esistenza ai propri fratelli, trova questa fede che lo rende libero, sereno, che poi credo sia la cosa più importante.

D. - Che cosa può insegnare la figura di Biagio ai giovani?

R. - Io sono convinto che l’arte debba essere anche riempita di contenuti. Vorrei che un ragazzo, un giovane che vede questo film possa capire questo: bisogna avere un pensiero diverso; c’è una strada che si può seguire nel proprio stare al mondo che non è quella che la nostra società ci impone o cerca di imporci. Quindi vorrei che la figura di Biagio, la sua presenza e la sua testimonianza, possano servire come esempio e un tentativo di indicare una strada possibile nel nostro stare al mondo e nel costruire il nostro stare al mondo sia per quanto riguarda il rapporto con sé stessi, quindi la ricerca di una serenità nell’affrontare le cose, sia nel rapporto con gli altri, nel rapporto con la comunità degli uomini nella quale viviamo.

Un film con queste caratteristiche ha faticato non poco a trovare spazio nelle sale. Con il “Biagio day” l’Acec naugura una distribuzione innovativa. Il segretario generale dell'Associazione, Francesco Giraldo, spiega di cosa si tratta.

R. – “Biagio day” è un’iniziativa innovativa che vede più di 150 sale coinvolte - non solo sale della comunità, ma anche sale commerciali dal Nord al Sud Italia per promuovere il film Biagio "scavalcando" gli agenti locali che sono un po’ lo snodo critico in questo momento nella filiera cinematografica e non permettono che tutti quei film di qualità, che ci conducono all’interno di un problema fondamentale che è quello della trasmissione della fede nel mondo contemporaneo, possano arrivare alle sale.

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Nella Chiesa e nel mondo



India, attaccata quinta chiesa in 2 mesi: aggressioni pianificate

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La chiesa cattolica di Santa Alfonsa, nel centro di New Delhi, è stata profanata e danneggiata da ignoti la notte scorsa. Lo conferma all’Agenzia Fides padre Charles Irudayam, segretario della “Commissione giustizia, pace e sviluppo” della Conferenza episcopale dell’India, esprimendo la preoccupazione dei vescovi indiani.

Fra pochi giorni elezioni a Delhi
“Non sappiamo chi siano gli autori e chi possa averli istigati. Hanno forzato la porta, sono entrati in chiesa, hanno commesso atti vandalici devastando la chiesa. Hanno aperto il tabernacolo e profanato l’Eucarestia, spargendo a terra le particole. Siamo costernati”, ha raccontato il sacerdote. Nella chiesa non c’era un impianto di telecamere a circuito chiuso. L'incidente è avvenuto a pochi giorni dalle elezioni amministrative, che si tengono a Delhi il 7 febbraio.

Aggressioni aumentate da quando è al potere il Bjp
“Non conosciamo i motivi del gesto e confidiamo in una pronta indagine della polizia. Si tratta del quinto incidente del genere in due mesi a Delhi: dunque non è più solo un caso isolato. Ci sono persone che vogliono creare disturbo all’armonia sociale e religiosa o turbolenze per motivi politici” afferma. Un dato è certo: “Tali incidenti – nota – sono aumentati da quando è al governo federale il Baratiya Janata Party. Ci colpisce il silenzio del governo in queste circostanze. La Chiesa sta alzando la voce, chiedendo provvedimenti, ma non ci sono risposte”.

Mons. Couto: attacchi pianificati
Anche l'arcivescovo di Delhi, mons. Anil Couto, ha recentemente espresso ancora una volta i suoi timori per “il crescente numero di attacchi alle chiese” nella metropoli indiana, definendoli “ben pianificati”. Secondo l'arcivescovo, la tendenza “è il riflesso di una campagna di odio e falsa propaganda da parte di gruppi il cui unico scopo è di infrangere l’armonia religiosa e la pace sociale di questa grande nazione”. Per questo si chiede alle autorità “di adottare con solerzia misure adeguate per punire i responsabili”.

Le altre 4 chiese danneggiate
Secondo i dati inviati a Fides, il primo attacco alle chiese di Delhi si è verificato il 1° dicembre 2014, con l'incendio della chiesa di San Sebastiano. Una settimana dopo, persone non identificate hanno lanciato pietre contro la chiesa dedicata alla Madonna di Fatima, nel sud di Delhi. Il 3 gennaio, un misterioso incendio ha ridotto in cenere un presepe conservato all'interno dei locali della chiesa della Resurrezione, nel nord della capitale. Il 14 gennaio alcuni uomini (identificati grazie alle telecamere a circuito chiuso) hanno devastato la chiesa di Nostra Signora delle Grazie. Tutti gli incidenti precedenti avevano avuto luogo in aree periferiche. Quello di stanotte si è verificato in una zona centrale.

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Malawi. Aiuti Chiesa alle 200 mila vittime di alluvioni

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L’emergenza alluvione al centro della Plenaria episcopale del Malawi
La catastrofica alluvione di questi giorni in Malawi, l’attuazione della 18.ma plenaria dell’Amecea, un bilancio della visita "ad Limina" dello scorso novembre, l’analisi della situazione sociopolitica del Paese. Sono stati alcuni dei temi all’ordine del giorno della prima sessione plenaria 2015 dei vescovi del Malawi, che si conclude oggi a Lilongwe dopo cinque giorni di lavori.

In 200 mila colpiti dalle alluvioni
In primo piano l’emergenza alluvione, la più grande della storia del Paese africano, che ha colpito un totale di 200 mila persone in 15 distretti, causando centinaia di morti. Durante i lavori, i presuli hanno discusso di come coordinare gli aiuti. La Chiesa è stata presente sin dal primo momento per assistere le popolazioni colpite e adesso si sta mobilitando per dare accoglienza alle famiglie che hanno perso tutto.

Nuovi metodi per evangelizzare
L’assemblea ha poi discusso dell’attuazione delle indicazioni della XVIII assemblea, dell’Amecea - l’Associazione delle Conferenze episcopali dell’Africa Orientale che riunisce i vescovi di Eritrea, Etiopia, Kenya, Malawi, Sudan, Tanzania, Uganda e Zambia - ospitata lo scorso mese di luglio a Lilongwe e dedicata al tema della nuova evangelizzazione attraverso la conversione e la testimonianza della fede cristiana. Dall’assise, che aveva dedicato anche ampio spazio al tema della famiglia e della pace, era emerso l’impegno dei vescovi della regione ad approfondire l’annuncio del Vangelo e a impiegare metodi diversi per assicurare davvero la catechesi, la conversione, la spiritualità e la testimonianza della fede cristiana dentro e fuori i confini della regione.

Il rapporto sulla visita "ad limina" del 2014
I vescovi del Malawi hanno poi ascoltato una relazione sulla visita ad limina compiuta da 5 al 12 novembre e valutato l’attuale clima sociopolitico del Paese, dopo le elezioni amministrative, parlamentari e presidenziali dello scorso maggio. Tra gli altri punti all’ordine del giorno, infine, l’approvazione degli statuti di due nuove organizzazioni laicali in Malawi: il Rinnovamento Carismatico Cattolico e l’Organizzazione delle donne cattoliche del Malawi. (L.Z.)

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Vescovi inglesi preoccupati su "donazione mitocondriale"

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Vescovi inglesi: preoccupazione su regolamentare donazione mitocondriale
È atteso per domani, martedì 3 febbraio il voto del parlamento inglese sugli emendamenti alla Legge del 2008 sulla fertilità e l’embriologia umana. Il testo normativo riguarda anche la così detta “donazione mitocondriale” che gli emendamenti vorrebbero far approvare: si tratta di una tecnica che prevede l’utilizzo di un ovulo con mitocondri sani, proveniente da una madre donatrice diversa da quella naturale, al quale viene estratto il nucleo e sostituito con quello dell’ovulo fecondato dei genitori naturali. Il tutto, secondo i promotori degli emendamenti, per evitare la trasmissione genetica, da parte di madre, di qualsiasi patologia mitocondriale. Il bambino che nascerebbe da una simile fecondazione, infatti, avrebbe il 99.8% di Dna dei due genitori naturali, più uno 0.2% di Dna da un “terzo genitore”, ovvero la donna donatrice che fornisce i mitocondri sani.

Procedure non scientificamente provate
Di fronte a tale proposta, i vescovi inglesi – in una nota a firma di mons. John Sherrington, presidente del Dipartimento episcopale per la responsabilità cristiana e la cittadinanza - evidenziano innanzitutto “le profonde implicazioni” derivanti dal “permettere la creazione di un embrione umano tramite l’utilizzo del Dna di tre persone”. “In nessun altro Paese – si legge nella nota – sono ammesse tali procedure”, tanto più che “la comunità scientifica internazionale non è convinta della loro sicurezza ed efficacia”. “Sembra incredibile – sottolineano ancora i presuli – richiedere l’autorizzazione per una nuova tecnica, che finirebbe per colpire le generazioni future, senza prima condurre una sperimentazione clinica”.

Appello a tutelare l’embrione umano
“Ci sono anche – continua mons. Sherrington – serie obiezioni etiche a queste procedure che comportano la distruzione di embrioni umani”. Ma “l’embrione umano – ribadisce il presule – è una nuova vita umana ed andrebbe rispettato e protetto fin dal concepimento”. Il parlamento inglese, quindi, non dovrebbe affrettarsi a compiere “un passo così grave”. (I.P.)

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Vaticano: 5-7 febbraio, Plenaria del dicastero dei Laici

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Dedicata alla pastorale urbana la Plenaria del Pontificio Consiglio per i Laici
“Incontrare Dio nel cuore della città – Scenari dell’evangelizzazione per il terzo millennio”: sarà questo il tema della 27.ma Assemblea plenaria del Pontificio Consiglio per i Laici, in programma a Roma dal 5 al 7 febbraio, e che sarà conclusa dall’udienza con Papa Francesco. L’incontro, spiega una nota del dicastero, intende riflettere in particolare sulla questione dell’urbanizzazione, nei confronti della quale si riscontra “un interesse crescente nel magistero ordinario della Chiesa”, a partire da Paolo VI per arrivare a Papa Francesco che, “come arcivescovo di Buenos Aires aveva dedicato al tema un importante evento, poi pubblicato nel volume ‘Dio nella città’ ”. Per il Pontefice, prosegue la nota, “la pastorale urbana è centrale”, tanto che riferimenti a essa si ritrovano nell’Esortazione apostolica "Evangelii gaudium", ai numeri 71-75.

La città moderna mette Dio “in panchina”, ma l’uomo ha sete del Signore
“Dal 2007 – continua il dicastero – secondo l’Onu la popolazione urbana ha superata quella rurale e nel 2050 più del 70% della popolazione mondiale vivrà nei centri urbani”. Si tratta di “un fenomeno senza precedenti nella storia dell’umanità” che per la Chiesa “rappresenta un 'kairos', un’ora di grazia foriera di ricche potenzialità, ma al contempo una fonte di criticità e di sfide”. La Plenaria, dunque, vuole guardare a “questo complesso e gigantesco processo con gli occhi della fede”, perché “se, all’apparenza, la città moderna secolarizzata, paga del suo benessere e delle sue conquiste tecnologiche, sembra aver definitivamente messo Dio ‘in panchina’ e derubricato la fede a mero fatto privato”, in realtà “nel cuore di molti uomini e donne di città, non si è mai sopita la ricerca di senso, la sete di Dio”.

Guardare alle periferie esistenziali per essere Chiesa “in uscita”
Lo sguardo dei partecipanti all’Assemblea, naturalmente, sarà rivolto anche alle numerose “periferie geografiche ed esistenziali” che “scuotono la Chiesa e la spingono oggi più che mai nella direzione di una conversione missionaria e pastorale, affinché diventi una Chiesa in uscita, abitata da una salutare inquietudine per Dio e per l’uomo”.

Previsti gli interventi dei card. Rylko e Tagle
Ricco e articolato il programma della Plenaria: i lavori saranno aperti giovedì 5 febbraio, alle ore 9.15, dal cardinale Stanisław Rylko, presidente del dicastero, che presenterà una relazione introduttiva sulla storia e l’attività dell’organismo vaticano. Tra gli interventi previsti nei giorni seguenti, quello dell’arcivescovo di Manila, il cardinale Luis Antonio Tagle, che venerdì 6 febbraio, alle ore 9.15 parlerà de “La sete di Dio nei deserti urbani. Evangelizzare un popolo alla ricerca di un’identità”. Nello stesso giorno, al pomeriggio, è in programma una tavola rotonda sul tema “Dare un’anima alla città: il senso e il piacere di essere popolo”, a cui interverranno, tra gli altri, Chiara Amirante e Andrea Riccardi, fondatori rispettivamente della “Comunità Nuovi Orizzonti” e della “Comunità di Sant’Egidio”. Le loro relazioni si concentreranno sui temi: “Il vero cuore della città: alla riscoperta delle periferie urbane” e “La dottrina sociale della Chiesa: risorsa preziosa per le metropoli del nostro tempo”.

7 febbraio, udienza in Vaticano con Papa Francesco
Sabato 7 febbraio, sarà il momento delle testimonianze sulla “missione cittadina”: si ascolterà, tra l’altro, quella di Salvatore Martinez, presidente del Rinnovamento nello Spirito Santo, che parlerà di “10 piazze per 10 comandamenti”, iniziativa dedicata alla nuova evangelizzazione. Seguirà, alle 11.30, l’udienza con il Papa, in Vaticano, quindi, nel pomeriggio, la relazione di mons. Josef Clemens, segretario del dicastero, che traccerà bilanci e proposte per il futuro. I lavori si concluderanno alle ore 19.00 con la celebrazione eucaristica. (I.P.)

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Giappone. Direttorio vescovi su come si riceve l'Eucaristia

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Direttorio dei vescovi giapponesi sul Sacramento dell’Eucaristia
“Insegnare il significato dell’Eucaristia e come Essa debba essere ricevuta”: è questo l’obiettivo con cui la Conferenza episcopale giapponese (Cbjc) ha pubblicato un “Direttorio riguardante la distribuzione e la ricezione della Santa Comunione durante la Messa”. “Lo scopo di tale documento – scrivono i presuli – è di rendere chiaro il significato dell’Eucaristia e di assicurarsi che la fede ed il rispetto nei confronti di questo Sacramento siano dimostrati nel corso delle celebrazioni, così che i fedeli possano ricevere il Corpo ed il Sangue di Cristo senza ansia e confusione”.

I fedeli mantengano una postura comune, segno di unità
Il lungo documento, suddiviso in 25 punti, dà alcune direttive generali: l’Eucaristia si riceve stando in piedi, “in una postura comune per tutti i fedeli che sia segno di unità tra tutti i partecipanti alla Messa”; i fedeli vengono invitati a formare una processione per accostarsi all’altare e si ricorda che l’ostia si può ricevere nelle mani, senza che “i fedeli la prendano direttamente dal sacerdote con le loro dita”. La persona che, invece, vuole ricevere l’Eucaristia sulla lingua si dovrà accostare al sacerdote con le mani giunte; in questo caso, sottolinea la Chiesa di Tokyo, è opportuno pensare all’uso di una patena da porre sotto al mento del fedele, “per evitare il pericolo che l’ostia consacrata cada in terra”.

Possibilità di ministri straordinari per la distribuzione dell’Eucaristia
I vescovi sottolineano, poi, che i diaconi possono assistere i vescovi e i sacerdoti nella distribuzione del Sacramento e che “quando il numero dei comunicandi è molto alto o il celebrante non può provvedere alla distribuzione dell’Eucaristia a causa di malattia o di età avanzata, possono essere chiamati ad assisterlo dei ministri straordinari”. Infine, per quanto riguarda la distribuzione della Comunione sotto entrambe le specie di pane e di vino, i presuli sottolineano che “spetta al giudizio e alla responsabilità del sacerdote celebrante decidere quanto distribuire tale tipo di Eucaristia ai fedeli che partecipano alla Messa”. (I.P.)

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Bartolomeo I, a giugno nuovo incontro su tutela del Creato

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Patriarca Bartolomeo presenta Summit “Halki II” su teologia e ambiente
Il Patriarca Bartolomeo I ancora una volta in campo per l’ambiente. Si terrà dall’8 al 10 giugno prossimo il secondo Summit di "Halki II" sulla responsabilità globale e la sostenibilità ambientale, promosso dal Patriarcato ecumenico di Costantinopoli. Studiosi, ambientalisti, scienziati, giornalisti, teologi e uomini d’affari da tutto il mondo sono stati invitati a incontrarsi nuovamente nella Scuola teologica di Halki, sull’isola turca di Heybeliada, per ribadire che nessuna azione di risanamento ambientale potrà avere successo se non viene orientata da una condivisione di valori comuni ispirati dall’etica e dalla fede.

Il ruolo dell’arte e della religione nella difesa del Creato
Il tema scelto per questa seconda edizione, co-patrocinata dalla Southern New Hampshire University, è “Teologia, Ecologia e la Parola: un colloquio sull’ambiente la letteratura e le arti” e ha come obiettivo di individuare le radici letterarie e filosofiche della nostra preoccupazione per l’ambiente. In una lettera di presentazione pubblicata sul sito dell’evento, lo stesso Patriarca ortodosso spiega infatti che “la stretta relazione tra natura e arte – compresa la letteratura, la poesia, la musica e la fotografia, ma anche il cibo e la cultura – come la sua capacità di influenzare i nostri valori, fedi e azioni in difesa del Creato, sono un tema finora poco approfondito da ambientalisti e teologi”.

La necessità di condividere valori comuni per difendere il Creato
“Siamo fermamente convinti – conclude il Bartolomeo I – che ogni sforzo per invertire i cambiamenti climatici e l’esaurimento delle risorse della terra potrà avere successo solo con un radicale cambiamento di valori e convinzioni che porti a integrare la dimensione etica e spirituale della sostenibilità ambientale nella vita e nella pratica quotidiana di ciascuno”.

"Halki II" ultimo di una serie di incontri sul Creato promossi da Bartolomeo
Il primo vertice di Halki si è svolto nel 2012 ed era stato preceduto da serie di altri otto simposi internazionali promossi dal Patriarca Bartolomeo, svoltisi dal 1995 al 2009 nel Mar Mediterraneo e Mar Nero, sui fiumi del Danubio e delle Amazzoni, come pure nella regione artica e lungo il Mississippi e da cinque seminari estivi sul Creato dal 1994 al 1998. (L.Z.)

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Canada. Vita consacrata, 5 esortazioni ai religiosi

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Canada. Mons. Durocher ai religiosi: offrire servizio nella realtà di oggi
Indica cinque propositi il presidente della Conferenza episcopale canadese, mons. Paul-André Durocher, arcivescovo di Gatineau, in un messaggio rivolto ai religiosi e alle religiose in occasione della Giornata Mondiale per la Vita Consacrata che si celebra oggi, 2 febbraio. Riproponendo la Lettera apostolica di Papa Francesco scritta per l’Anno della Vita Consacrata, il presule richiama le cinque esortazioni del Pontefice legandole alla realtà canadese.

Le cinque esortazioni rivolte ai consacrati
Così, per essere testimoni viventi della gioia della Chiesa, mons. Durocher esorta a riscoprire la fonte della gioia profonda e duratura, in una società, come quella del Canada, troppo spesso ossessionata dai beni materiali e dalle gratificazioni immediate. Per essere profetici, invece, l’invito è a creare, nel mondo di oggi, spazi alternativi dove possa trovare espressione l’approccio evangelico del dono di sé, della fraternità, dell’accoglienza della differenza e dell’amore reciproco. La terza esortazione è a creare comunione, attraverso relazioni aperte che lascino spazio anche alla grazia.

Andare nelle periferie, incontro ai poveri
Ai consacrati spetta poi andare alle periferie, accogliendo rifugiati, poveri, ma anche portando creatività nella catechesi, nell’annuncio del Vangelo e nell’iniziazione alla vita di preghiera. Infine, la ricerca della volontà di Dio. “Come Paese – scrive il presidente della Conferenza episcopale canadese – abbiamo bisogno di donne e uomini consacrati per comprendere ciò che Dio si aspetta da noi”. Per il presule, religiose e religiosi, attraverso il loro carisma e il loro impegno, possono aiutare ad affrontare le sfide odierne con uno stile evangelico e con più umanità.

La realtà della vita consacrata oggi in Canada
Invitando poi a guardare al passato con riconoscenza, ricordando quanti in Canada hanno fondato Congregazioni e comunità religiose, mons. Durocher afferma che se diverse istituzioni religiose tradizionali in Canada vedono diminuire i loro componenti, si è assistito alla nascita di nuove forme di vita consacrata, con piccole comunità fortemente motivate o come espressione di particolari carismi, segno di nuovi modi di vivere il Vangelo nel mondo di oggi. Infine, il presule esprime gratitudine per i numerosi religiosi che continuano ad aprire le porte ai poveri e ai rifugiati e a rendere con amore il loro servizio nelle parrocchie, nei centri comunitari o in luoghi di incontro.

Creata una sezione speciale sul sito web
“Possa questo anno della vita consacrata – conclude mons. Durocher – aiutarci a ricordare, celebrare e rinnovare questo dono tra i preziosi”. La pubblicazione del messaggio del presidente della conferenza episcopale canadese fa parte delle iniziative del Comitato "ad hoc" misto istituito per dar vita ad iniziative durante l’Anno della Vita Consacrata. La conferenza episcopale canadese ha anche creato una speciale sezione sulla home page del proprio sito internet per promuovere iniziative e fornire informazioni. (T.C.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIX no. 33

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