Logo 50 Radiogiornale Radio Vaticana
Redazione +390669883674 | +390669883998 | e-mail: sicsegre@vatiradio.va

Sommario del 14/12/2015

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Francesco: dare lavoro a tutti i giovani, non solo ai raccomandati

◊  

Fare di tutto per sconfiggere la disoccupazione giovanile. E’ l’appello levato da Papa Francesco nell’udienza ai partecipanti al Progetto Policoro, iniziativa per il lavoro giovanile nata vent’anni fa come frutto del Convegno ecclesiale nazionale di Palermo. Francesco ha incoraggiato i giovani a non rassegnarsi dinanzi alle difficoltà nel trovare lavoro e ha ammonito che il lavoro non deve essere un dono concesso solo ai raccomandati. Nell’occasione di questa udienza, il Papa ha incontrato anche un gruppo di detenuti della Casa di Reclusione di Sant'Angelo dei Lombardi. Il servizio di Alessandro Gisotti

Il Progetto Policoro ci dimostra che anche per i giovani è possibile un lavoro libero, creativo, partecipativo e solidale. Papa Francesco ha esordito così nel suo discorso tutto incentrato sulla dignità del lavoro, specie per i giovani. “Non perdiamo di vista l’urgenza di riaffermare questa dignità!”.

Troppi giovani sono vittime della disoccupazione
Ogni lavoratore, ha soggiunto, “ha il diritto di vederla tutelata, e in particolare i giovani devono poter coltivare la fiducia che i loro sforzi, il loro entusiasmo, l’investimento delle loro energie e delle loro risorse non saranno inutili”:

“Quanti giovani oggi sono vittime della disoccupazione! E quando non c’è lavoro, rischia la dignità, perché la mancanza di lavoro non solo non ti permette di portare il pane a casa, ma non ti fa sentire degno di guadagnarti la vita! Oggi sono vittime di questo”.

Il lavoro non vada solo a raccomandati e corrotti
“Quanti di loro – ha ripreso – hanno ormai smesso di cercare lavoro, rassegnati a continui rifiuti o all’indifferenza di una società che premia i soliti privilegiati – benché siano corrotti – e impedisce a chi merita di affermarsi”:

“Il premio sembra andare a quelli che sono sicuri di se stessi, benché questa sicurezza sia stata acquisita nella corruzione. Il lavoro non è un dono gentilmente concesso a pochi raccomandati: è un diritto per tutti!”

Voi, ha detto rivolgendosi ai giovani del Progetto Policoro, “rappresentate certamente un segno concreto di speranza per tanti che non si sono rassegnati, ma hanno deciso di impegnarsi con coraggio per creare o migliorare le proprie possibilità lavorative”. Il mio invito, ha detto, “è quello di continuare a promuovere iniziative di coinvolgimento giovanile in forma comunitaria e partecipata”. Spesso, ha constatato, “dietro a un progetto di lavoro c’è tanta solitudine: a volte i nostri giovani si trovano a dover affrontare mille difficoltà e senza alcun aiuto”. E, ha proseguito, “le stesse famiglie, che pure li sostengono – spesso anche economicamente – non possono fare tanto, e molti sono costretti a rinunciare, scoraggiati”.

La risposta della Chiesa è la testimonianza
Di fronte a questa situazione, ha esortato Francesco, la Chiesa è chiamata a dare una testimonianza, a “sostenere le nuove energie spese per il lavoro; promuovere uno stile di creatività che ponga menti e braccia attorno a uno stesso tavolo”, la Chiesa “accomuna tutti”. E ha messo in guardia da chi confonde la “realizzazione” della persona “con un certo modello di ricchezza e di benessere che spinge a ritmi disumani. Non sia così per voi”. “Alla scuola del Vangelo, dunque”, ha ribadito, troviamo “la via giusta”:

“È vero, Gesù non ha direttamente insegnato come inventarci possibilità lavorative: no, ma la sua parola non smette mai di essere attuale, concreta, viva, capace di toccare tutto l’uomo e tutti gli uomini. Oggi parla anche a noi: ci esorta a fare delle nostre idee, dei nostri progetti, della nostra voglia di fare e di creare una lieta notizia per il mondo”.

Prendersi cura dei giovani disoccupati, sono la carne di Cristo
“Il vostro lavoro – ha detto ancora – io l’ho molto a cuore, perché soffro quando vedo tanta gioventù senza lavoro, disoccupata”. Ed ha rammentato che in Italia, i giovani  fino a 25 anni soffrono quasi il 40% di disoccupazione. A volte, ha detto con un rammarico, un giovane disoccupato si ammala, “cade nelle dipendenze o si suicida”:

“Questi giovani sono la nostra carne, sono la carne di Cristo e per questo il nostro lavoro deve andare avanti per accompagnarli e soffrire in noi quella sofferenza nascosta, silenziosa che angoscia loro tanto il cuore. Vi assicuro la mia preghiera, vi sono vicino: contate su di me, per questo, perché questo mi tocca tanto”.

inizio pagina

Papa: è bello sperare nella misericordia di Dio, la rigidità clericale fa male

◊  

La speranza nella misericordia di Dio apre gli orizzonti e ci rende liberi, mentre la rigidità clericale chiude i cuori e fa tanto male: così il Papa nella Messa del mattino presieduta a Casa Santa Marta. Il servizio di Sergio Centofanti

La prima Lettura del giorno, tratta dal Libro dei Numeri, parla di Balaam, un profeta ingaggiato da un re per maledire Israele. Balaam – osserva il Papa – “aveva i suoi difetti, ma persino i peccati. Perché tutti abbiamo peccati, tutti. Tutti siamo peccatori. Ma non spaventatevi – esorta il Pontefice - Dio è più grande dei nostri peccati”. “Nel suo cammino Balaam incontra l’angelo del Signore e cambia il cuore”. “Non cambia di partito” ma “cambia dall’errore alla verità e dice quello che vede”: il Popolo di Dio dimora nelle tende in mezzo al deserto e lui “oltre il deserto vede la fecondità, la bellezza, la vittoria”. Ha aperto il cuore, “si converte” e “vede lontano, vede la verità”, perché “con buona volontà sempre si vede la verità”. “E’ una verità che dà speranza”.

“La speranza – afferma Papa Francesco - è questa virtù cristiana che noi abbiamo come un gran dono del Signore e che ci fa vedere lontano, oltre i problemi, i dolori, le difficoltà, oltre i nostri peccati”. Ci fa “vedere la bellezza di Dio”:

“Quando io mi trovo con una persona che ha questa virtù della speranza ed è in un momento brutto della sua vita – sia una malattia sia una preoccupazione per un figlio o una figlia o qualcuno della famiglia sia qualsiasi cosa – ma ha questa virtù, in mezzo al dolore ha l’occhio penetrante, ha la libertà di vedere oltre, sempre oltre. E questa è la speranza. E questa è la profezia che oggi la Chiesa ci dona: ci vuole donne e uomini di speranza, anche in mezzo a dei problemi. La speranza apre orizzonti, la speranza è libera, non è schiava, sempre trova un posto per arrangiare una situazione”.

Nel Vangelo, ci sono i capi dei sacerdoti che chiedono a Gesù con quale autorità agisca: “Non hanno orizzonti” – dice il Papa - sono “uomini chiusi nei loro calcoli”, “schiavi delle proprie rigidità. E i calcoli umani “chiudono il cuore, chiudono la libertà”, mentre “la speranza ci fa leggeri”:

“Quanto bella è la libertà, la magnanimità, la speranza di un uomo e una donna di Chiesa. Invece, quanto brutta e quanto male fa la rigidità di una donna o di un uomo di Chiesa, la rigidità clericale, che non ha speranza. In quest’Anno della Misericordia, ci sono queste due strade: chi ha speranza nella misericordia di Dio e sa che Dio è Padre; Dio perdona sempre, ma tutto; oltre il deserto c’è l’abbraccio del Padre, il perdono. E, anche, ci sono quelli che si rifugiano nella propria schiavitù, nella propria rigidità, e non sanno nulla della misericordia di Dio. Questi erano dottori, avevano studiato, ma la loro scienza non li ha salvati”.

Il Papa conclude l’omelia raccontando un fatto accaduto nel 1992 a Buenos Aires, durante una Messa per i malati. Stava confessando ormai da molte ore, quando è arrivata una donna molto anziana, ottantenne, “con gli occhi che vedevano oltre, questi occhi pieni di speranza”:

“E io ho detto: ‘Nonna, lei viene a confessarsi?’. Perché io mi stavo alzando. ‘Sì’. ‘Ma lei non ha peccati’. E lei m’ha detto: ‘Padre, tutti ne abbiamo’. ‘Ma, forse il Signore non li perdona?’. ‘Dio perdona tutto!’, m’ha detto. Dio perdona tutto. ‘E come lo sa?’, ho chiesto. ‘Perché se Dio non perdonasse tutto, il mondo non esisterebbe’. Davanti a queste due persone -  il libero, la speranza, quello che ti porta la misericordia di Dio e il chiuso, il legalista, proprio l’egoista, lo schiavo delle proprie rigidità – ricordiamo questa lezione che questa anziana ottantenne – era portoghese – mi ha dato: Dio perdona tutto, soltanto aspetta che tu ti avvicini”.

inizio pagina

Incontro tra Papa e Presidente Sri Lanka su pace e dialogo interreligioso

◊  

Papa Francesco ha ricevuto nel Palazzo  Apostolico Vaticano il Presidente dello Sri Lanka, Maithripala Sirisena, che poi ha incontrato il cardinale segretario di Stato Pietro Parolin, accompagnato da mons. Paul Richard Gallagher, segretario per i Rapporti con gli Stati.

“I cordiali colloqui, iniziati con un ricordo della visita del Santo Padre nel mese di gennaio scorso - riferisce la Sala Stampa vaticana - si sono soffermati su alcuni aspetti della storia recente del Paese e sul processo di pace e riconciliazione in corso, con l’auspicio che contribuisca a promuovere una salda armonia sociale. Inoltre, sono stati rilevati il contributo della Chiesa cattolica in vari settori della società e l’importanza del dialogo interreligioso. Vi è stato anche uno scambio sul tema dell’ambiente ed una valutazione dei risultati della Conferenza sui cambiamenti climatici, appena conclusasi a Parigi”.

inizio pagina

Tweet del Papa: trasmettere un po’ della tenerezza di Cristo a chi ne ha bisogno

◊  

"Un obiettivo per ogni giorno: trasmettere un po’ della tenerezza di Cristo a chi che ne ha più bisogno". E' il tweet pubblicato oggi da Papa Francesco sul suo account Twitter @Pontifex, seguito da oltre 25 milioni di follower.

inizio pagina

Vita religiosa: al centro la fraternità, dono di Dio per il mondo

◊  

“Identità e missione del fratello religioso nella Chiesa”: il titolo del documento, presentato stamani in Sala stampa vaticana, in vista della chiusura dell’Anno della Vita Consacrata, che in termini ideali passa il testimone al Giubileo della Misericordia, ha sottolineato il cardinale Joao Braz de Aviz, prefetto della Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica, che insieme al segretario dello stesso dicastero, mons. José Rodríguez Carballo, ha presentato la pubblicazione a giornalisti e confratelli. Il servizio di Roberta Gisotti

Non solo i fratelli religiosi, destinatari di questo documento, ma anche religiose, sacerdoti, laici e laiche, l’intera Chiesa per conoscere e valorizzare la propria vocazione, che anzitutto è sequela di Cristo, ha premesso il cardinale prefetto Joao Braz de Aviz:

“La persona di Cristo è però talmente ricca che ogni cristiano vive questa vocazione sottolineandone alcuni tratti specifici. Alcuni si identificano con Cristo dedicandosi al lavoro materiale per costruire il mondo, e renderlo più abitabile, dove la gente possa vivere in condizioni dignitose; altri annunciando la Buona Novella; esercitando il ministero sacerdotale; altri dedicandosi all’insegnamento o alla cura dei malati. Altri ancora identificandosi specialmente con Cristo, povero, casto e obbediente”

Ma c’è un tratto distintivo della persona di Cristo che qualifica la missione e l’identità del fratello religioso, la fraternità:

“Dobbiamo dire che forse quest’esperienza della fraternità è una di quelle che adesso dovremmo accentuare di più nel momento culturale, ecclesiastico, religioso di oggi”

Fraternità che non è solo il frutto di sforzo personale:

“Non si arriva ad essere fratello, secondo il Vangelo, per il solo desiderio di esserlo o per un impulso individuale. La fraternità è anzitutto un dono che viene da Dio”

Fraternità da condividere con i fratelli in comunità e tutto ciò vuol dire:

“Relazioni armoniche tra fratelli, conoscenza reciproca, accettazione e amore, dialogo, stima vicendevole, mutuo appoggio, condivisione dei talenti, dimenticanza di sé, perdono, discernimento in comunità della volontà di Dio, collaborazione nella missione ecclesiale, aperture alle necessità della Chiesa e del mondo, e specie naturalmente ai più bisognosi”

Fraternità da offrire al mondo:

“La fraternità dei religiosi fratelli non è autoreferenziale o rinchiusa in se stessa. È una fraternità per la missione, una fraternità in perfetta sintonia, come dice Papa Francesco, con la Chiesa in esodo, in uscita verso le periferie di questo mondo, con una Chiesa chiamata a lanciare ponti, aperta agli uomini contemporanei di ogni razza, cultura e credo”

Ha citato infine mons. José Rodríguez Carballo, una lettera scritta nel maggio 1986 dall’allora cardinale argentino Bergoglio, dove Papa Francesco testimonia la forza della preghiera, riferendosi alla crisi vocazionale che aveva colpito a metà degli anni ’70 la Compagnia di Gesù:

“Le vocazioni sono soprattutto questione di preghiera. Lo ha detto già il Signore, e quindi dobbiamo pregare”.

Mons. Carballo ha quindi annunciato la Settimana conclusiva dell’Anno della Vita Consacrata, che vedrà convenire a Roma, dal 28 gennaio al 2 febbraio 2016, 6 mila consacrati da tutto il mondo.

inizio pagina

Porte Sante: ci sono anche quelle che non possono aprirsi

◊  

Si aprano le Porte Sante affinché il Giubileo della Misericordia “possa essere vissuto pienamente nelle Chiese particolari”. Questo l’auspicio del Papa ieri all'Angelus domenicale. Le parole di Francesco sono così risuonate nelle diocesi di tutto il mondo. Il servizio di Giada Aquilino

Il Signore “vuole che il nostro convivere nella società plurale diventi occasione di bene per ciascuno dei membri della nostra comunità”, affinché la logica dell’esclusione e dello scarto lascino lo spazio alla logica “del dono e alla cultura dell’incontro”. Così, il cardinale Angelo Scola, arcivescovo di Milano, ieri alla solenne celebrazione per l’apertura della Porta Santa al Duomo del capoluogo lombardo, dando il via nella diocesi al Giubileo della Misericordia. Oltre 2 mila le persone in Piazza Duomo per assistere al rito: il portale scelto è stato quello dedicato alla libertà religiosa, proprio a significare il pluralismo della comunità locale. Aperto da due penitenzieri, a varcare la soglia per primi il cardinale Scola, affiancato dal cardinale Dionigi Tettamanzi e da sei vescovi ausiliari.

Analoga cerimonia a Santiago de Compostela, dove l’arcivescovo Julián Barrio Barrio ha aperto ieri la Porta Santa della Cattedrale, invitando a riflettere sui “mille problemi” della società di oggi, da una “economia di esclusione” alla “disuguaglianza che genera violenza”, da una “mondanità spirituale” al “degrado sociale”, esortando a vivere la gioia a cui Dio ci invita, come “un impegno morale e sociale”.

Nella diocesi di Pechino, la Porta Santa è stata aperta il 12 dicembre scorso, presso la cattedrale dell’Immacolata (Nan Tang) da mons. Giuseppe Lishan. Come riporta l'agenzia AsiaNews, il presule, attorniato da sacerdoti, suore, seminaristi e laici, ha ricordato come il Papa guardi “costantemente a Gesù e al suo volto misericordioso”, sollecitando a “contemplare il mistero della Misericordia del Signore, che è fonte di gioia, di tranquillità e pace”.

Eppure, ci sono realtà in cui l’apertura della Porta Santa e le cerimonie giubilari non possono avvenire. Come nella diocesi di Malakal, capoluogo dell’Upper Nile, in Sud Sudan: il giovane Paese africano è infatti sconvolto dal dicembre 2013 da un sanguinoso conflitto civile, con continui combattimenti tra le truppe governative del presidente Salva Kiir e i ribelli dell’ex vice presidente Riek Machar. Ce ne parla suor Elena Balatti, missionaria comboniana da vent’anni nella zona, che a causa delle violenze ha dovuto lasciare Malakal per Renk, nell’estremo nord del Paese:

R. – A causa della guerra, ci sono delle zone nelle quali non è possibile che queste importanti cerimonie abbiano luogo ufficialmente. La diocesi di Malakal, il cui territorio è stato totalmente interessato dalla guerra civile, non ha la possibilità di aprire la Porta Santa perché la sede della diocesi nella città, che è capoluogo dell’Upper Nile, non è stata ancora riaperta. La parrocchia della Cattedrale è stata aperta e chiusa a varie riprese durante questa guerra civile e al momento è ancora chiusa a causa della mancanza di stabilità nel territorio. Solo la scorsa settimana, a 20 km da Malakal, c’è stato uno scontro tra le forze ribelli e le forze governative. E tutto ciò avviene benché lo scorso agosto sia stato firmato un trattato di pace tra l’opposizione armata di Riek Machar e il governo del presidente Salva Kiir. Ma combattimenti sporadici continuano e non permettono ai fedeli, che pure sarebbero desiderosi, di iniziare pacificamente l’Anno Santo.

D. – Come vivere il senso di questo Giubileo della Misericordia in un territorio ancora sconvolto dalle violenze?

R. – Da quando è stato annunciato il Giubileo, la predicazione, la catechesi, i ritiri spirituali, le iniziative pastorali stanno puntando moltissimo sul discorso della riconciliazione. Il concetto fondamentale che viene sottolineato è quanto la guerra sia frutto di violenza, quanto perciò ci sia bisogno del perdono di Dio, della misericordia da parte di Dio. E allo stesso tempo, perché questa situazione venga cambiata, c’è bisogno di misericordia dall’uomo all’uomo, dal fratello al fratello, dalla sorella alla sorella: c’è bisogno di entrare in questa ottica di sincera ricerca della riconciliazione, che è difficilissima in un contesto di guerra. Questa è la linea pastorale della Chiesa in tutto il Sud Sudan. I giovani, per esempio, nella parrocchia di Cristo Re a Renk, dove mi trovo, hanno scelto come motto per l’Anno della Misericordia: “Abbiate misericordia, così che vi venga usata misericordia”. Hanno scelto questo motto per sottolineare sia l’intervento divino misericordioso, sia la necessità di fare degli sforzi: nessuno può risolvere il problema della guerra in Sud Sudan se non i sudsudanesi. La preghiera che tutti fanno è che torni ad esserci una relativa stabilità e che tutti possano accostarsi alla misericordia divina pacificamente: perché appunto nelle zone in cui la tensione rimane alta non è ancora possibile che ci siano assembramenti, così come le cerimonie liturgiche prevedono; non è possibile che ci siano assembramenti di fedeli perché è troppo rischioso.

D. – Proprio questa situazione di estrema insicurezza in Sud Sudan, come fa interpretare la volontà del Papa di un Giubileo della Misericordia – aperto da Francesco in Centrafrica – che sia delle Chiese particolari?

R. – In una popolazione che è stata tormentata da violenze di ogni genere e da tanti anni di guerra, l’arrivo della pace verrebbe senz’altro interpretato come un segno della misericordia che Dio ha verso il suo popolo. Ciò che è una priorità è il dialogo tra le tribù del Sud Sudan, che hanno appartenenze religiose diverse, di diverse denominazioni cristiane, delle religioni africane tradizionali oppure musulmane. Però, ciò che divide i sudsudanesi in questa guerra non è la religione, piuttosto le differenze culturali e soprattutto le ambizioni di potere di alcuni politici che sfruttano le differenze etniche. In questo contesto conflittuale, il messaggio della misericordia rimane centrale: riuscire a vedere l’altro come un altro essere umano a cui deve essere usata misericordia e, allo stesso tempo, ciascuno deve riuscire a vedere se stesso come persona bisognosa di misericordia e del perdono, sia da parte di Dio sia da parte degli altri.

inizio pagina

Oggi su "L'Osservatore Romano"

◊  

Porte aperte alla misericordia: nella cattedrale di Roma e nelle diocesi del mondo prende il via il Giubileo straordinario.

La lezione di una donna: Messa a Santa Marta.

Su base volontaria: Luca M. Possati sull'accordo firmato alla conferenza di Parigi sul clima.

Una schietta gioia: Vittorio Lanzani su Vico Consorti e la Porta Santa della basilica vaticana.

Il poeta dei remi: Francesco Gagliano a colloquio con Alexis Leyva Machado, in arte Kcho.

inizio pagina

Oggi in Primo Piano



Francia: sconfitta per il Front National al ballottaggio

◊  

Sconfitta netta per il Front National in Francia. Quasi il 60% dei francesi si è recato alle urne ieri contro il 43% di una settimana fa per il ballottaggio alle amministrative. Contro Marine Le Pen, hanno detto lo stesso 'No' che nel 2002 pronunciarono contro suo padre Jean-Marie al ballottaggio per l'Eliseo. I Republicains di Nicolas Sarkozy conquistano sette regioni contro le 5 dei socialisti (la Corsica è andata ai nazionalisti) ma appaiono spaccati e alla vigilia di una resa dei conti decisiva. La gauche perde simbolicamente l'Ile-de-France, la regione di Parigi, ma il primo ministro Manuel Valls, che si è esposto in prima persona gridando addirittura al rischio di "guerra civile" nel caso di vittoria del Front National, appare come il grande vincitore di questo voto. Il Front National registra la sconfitta che però non pregiudica le mire all'Eliseo nel 2017. Dopo la crescita esponenziale negli ultimi 15 anni, è il primo partito anche se resta isolato dal cordone "repubblicano". Per una riflessione, Fausta Speranza ha intervistato Antonio Villafranca, responsabile dell’area Europa dell’Ispi, Istituto di Studi di Politica internazionale: 

R. – Al primo turno tutti i commentatori avevano detto che sarebbe stato un trionfo della Le Pen. Al secondo turno molti invece dicono che la Le Pen in realtà viene fuori molto ridimensionata, perché non è riuscita ad aggiudicarsi nessuna regione. In realtà, come spesso accade in questi casi, la verità credo stia a metà, nel senso che c’è sottotraccia e va avanti ormai da molti anni un’avanzata della destra in Francia che è favorita dal fatto che il messaggio politico del Front national è veramente molto flessibile. Ad esempio, verso le regioni del nord della Francia che sono relativamente più povere si comunica un messaggio che fa perno sull’esigenza del welfare, di una maggiore assistenza sociale. Mentre, ad esempio, Marion Le Pen nel sud dà un messaggio diverso, molto più focalizzato sui temi della sicurezza e dell'immigrazione. Quindi è verissimo che c’è stata una battuta d’arresto, determinata poi dal fatto che i socialisti si sono arresi in alcune regioni e quindi al secondo turno questo ha aiutato, ma questo non vuol dire che in vista delle elezioni presidenziali il Front National di nuovo poi non riesca ad avere un ritorno in termini elettorali molto alto, con una possibilità concreta che la Le Pen possa farcela. Sicuramente arriverà al secondo turno però non è detto che poi le cose vadano come sono andate questa volta.

D.  – In che modo questa vicenda elettorale può incidere sulla vita politica quotidiana della Francia?

R. – In realtà dobbiamo ricordare che le regioni francesi sono diverse da quelle italiane. C’è stata una riforma recente che ne ha ridotto il numero, ha ampliato un po’ i poteri ma, ad esempio, le regioni non hanno potestà legislativa; hanno competenze che riguardano un po’ i trasporti, che riguardano l’istruzione superiore, che riguardano centri di assistenza, ma in minima parte, per quanto riguarda gli immigrati o anche gli stessi centri che danno consulenza in caso di aborto… Tutti temi estremamente sensibili per l’estrema destra. Per esempio, Marion Le Pen aveva detto che questi fondi li avrebbe ridotti se fosse stata eletta. Quindi in realtà si tratta semplicemente di avere buoni amministratori, proprio perché la realtà - non deve trarci in inganno - è diversa dalla realtà regionale italiana. Quindi cambierà ma non a livello di indirizzo politico della Francia proprio perché le competenze regionali francesi sono relativamente limitate.

D. – Una riflessione sull’Europa: che dire di questo voto per i movimenti estremisti?

R. – Lì è evidente che la gente vota perché non pensa che dall’Europa vengano risposte chiare. In realtà, questo risultato comunque straordinario della Le Pen - il partito si conferma essere il primo partito di Francia - deve veramente far riflettere sul fatto che ormai gli aggiustamenti da fare nella costruzione europea non possono essere più aggiustamenti al margine, magari relegati a qualche incontro del Consiglio europeo tra i leader. E’ necessario ripensare l’Unione Europea e soprattutto ripensare a quelli che sono gli elementi fondanti dell’Unione monetaria. E per questo appunto gli aggiustamenti al margine non sono più sufficienti, la gente l’ha capito. Abbiamo bisogno di un’Europa migliore, che dia risposte a esigenze concrete che vengono indicate dai cittadini in merito alla disoccupazione, in merito a quello che è il reddito medio dei cittadini, in merito all’emigrazione e alla sicurezza.

inizio pagina

Libia: intesa su governo di unità, Tripoli e Tobruk contro l'Is

◊  

Formazione di governo di unità nazionale libico il 16 dicembre, insediamento a Tripoli entro 40 giorni e appello per un cessate il fuoco immediato. È quanto concordato ieri a Roma alla Conferenza internazionale sulla Libia, a cui hanno preso parte i rappresentati dei parlamenti di Tripoli e Tobruk, gli esponenti di 17 Paesi Occidentali e del mondo arabo, l’Onu, l’Ue e la Lega Araba. Fra le varie parti libiche restano delle divisioni ma l’avanzata del cosiddetto Stato Islamico verso l’interno del Paese nord-africano ha spinto i due governi rivali a collaborare con il sostegno della comunità internazionale. Marco Guerra ne ha parlato con Gabriele Iacovino, analista del Centro Studi di politica internazionale: 

R. – L’auspicio è che sia un accordo, in prima battuta, più duraturo rispetto a quelli finora sottoscritti. Il segnale è importante, anche perché mai vi era stato un incontro di così alto livello tra tutti gli attori internazionali interessati e impegnati in Libia in questo momento per sostenere un accordo politico condiviso. L’intesa prevede un governo di unità nazionale che veda rappresentanti sia del Parlamento di Tobruk sia di quello di Tripoli, più altre figure indipendenti. Il problema è sempre stato un po’ il bilanciamento tra queste realtà politiche e lo “sharing”, la condivisione  di potere. Vediamo se in questa occasione l’accordo reggerà maggiormente e se potrà essere condiviso tra le varie realtà politiche e tribali libiche. Rimangono molti punti interrogativi e la sensazione è che la comunità internazionale abbia bisogno più di risultati annunciabili che effettivi.

D. – Ma chi aiuterà la Libia in questo percorso verso la pacificazione e la creazione di un’infrastruttura statale?

R. – La scelta è quella di un riconoscimento da parte delle Nazioni Unite di questo nuovo governo e poi di un percorso condiviso all’interno dell’Onu. Questo ovviamente non significa che i Paesi europei – soprattutto Gran Bretagna, Francia e Italia in primis – gli Stati Uniti, la Russia, ma anche altre nazioni arabe, come il Qatar e la Turchia non avranno un peso nel processo di ricostruzione istituzionale. Tuttavia, la cosa importante da sottolineare è che il processo politico-diplomatico non può andare avanti senza che in parallelo sia messo in atto un processo di sicurezza nel Paese, che garantisca la ricostruzione istituzionale e gli equilibri di potere all’interno della Libia. Perché, in caso contrario, inevitabilmente il processo diplomatico non avrà delle basi solide.

D. – Ma come si fa a garantire la sicurezza e la pace in un territorio diviso in tribù e dove c’è l’infiltrazione del sedicente Stato Islamico che controlla Sirte?

R. – Senza una missione di supporto al governo di coalizione riconosciuto, difficilmente il processo diplomatico e quello politico potranno avere dei risultati. Questa è la sensazione. La scelta stessa di passare per il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite potrebbe essere un presupposto per poi pensare anche a una missione di Peace-keeping. Il problema è che la situazione libica è veramente complicata! Noi stiamo parlando e continuiamo a parlare della situazione lungo la costa; della crescita dell’Is; e delle varie milizie che controllano Misurata, Tripoli, Bengasi. Tralasciamo la situazione nella parte meridionale della Libia: tutta quella Regione del Fezzan che è la porta del Sahel nei confronti del Nord Africa - e quindi della costa che poi si affaccia sul Mediterraneo - di fatto lì gli scontri tra tribù o tutti i traffici legali sfruttati da gruppi jihadisti – come lo stesso Is – sono totalmente incontrollati.

D. – Perché è importante la stabilizzazione della Libia nel quadro regionale del Medio Oriente, del Maghreb e dei Paesi arabi?

R. – Perché da troppo tempo la Libia sta diventando sempre di più un “buco nero” istituzionale. E laddove vi sono dei vuoti di potere, negli ultimi anni questi vengono ricercati da una parte e poi colmati da gruppi jihadisti che prima potevano rifarsi ad al Qaeda e ora invece all’Is.

D. – Qual è il ruolo che l’Italia può avere in questo scacchiere?

R. – Il ruolo dell’Italia è un ruolo importante e centrale, lo dimostra la Conferenza di domenica 13 dicembre alla Farnesina. In prima battuta perché le relazioni sociali, politiche e anche storiche che l’Italia ha con le varie realtà libiche sono un nostro “pacchetto” che può essere messo a disposizione della comunità internazionale per la stabilizzazione del Paese. Pensiamo solo al ruolo che l’Eni ha svolto, sta svolgendo e speriamo continuerà a svolgere, per lo sviluppo economico sia della Libia sia dell’Italia.

inizio pagina

Chiesa siro-cattolica: in Siria non guerre ma dialogo

◊  

La cronaca dalla Siria continua a riportare notizie di scontri armati, raid e rappresaglie. Sul terreno si confrontano l’esercito di Damasco, i miliziani dell’opposizione e i jihadisti del sedicente Stato Islamico. Della crisi siriana si è parlato in questi giorni per la presentazione dell’iniziativa, promossa tra gli altri dal Patriarcato di Antiochia dei Siri, per la realizzazione a Damasco di un ambulatorio gratuito per i profughi che numerosi giungono nella capitale. Della situazione nel Paese, Giancarlo La Vella ha parlato con mons. Mar Youhanna Jihad Battah, vescovo siro-cattolico di Beirut, che ha celebrato a Roma la messa di ringraziamento per gli aiuti ricevuti. 

R. – La Siria ha bisogno di pace, che vengano aperti i canali diplomatici, perché in Siria c’è una mancanza di fiducia nel mondo. Pensano che tutto il mondo sia contro di loro, ma questo non è vero! Dobbiamo dire a questo popolo, che adesso tutto il mondo vuole risolvere i problemi in questa terra. Ci sono i bombardamenti, ma i problemi non si risolvono con la guerra – la violenza con la violenza – non serve la violenza, ma la pace, il perdono, il dialogo tra tutti quelli che sono in Siria. Non possiamo dialogare con i terroristi, ma dobbiamo sapere perché sono nati questi gruppi, e chi li ha aiutati a nascere.

D. – Gli ostacoli al dialogo in questo momento quali sono?

R. – Per cambiare ci vuole una filosofia, dei principi, un’idea, un progetto di Stato. Basta solo col distruggere, dividere: questo non è un progetto! Incominciamo a dare diritti al popolo palestinese, ad aprire un dialogo profondo e serio con l’islam, e a dire all’islam che noi crediamo in un solo Dio. Allora siamo fratelli, perché dobbiamo farci la guerra tra di noi? Possiamo collaborare. La guerra, se vogliamo, dobbiamo farla contro la povertà, contro la violenza… Noi abbiamo vissuto con loro in Siria, in Libano, in Egitto. In Europa c’è una cultura giudaico-cristiana, in Oriente - in Paesi come Siria, Libano, Egitto, Iraq, Giordania – c’è invece una cultura islamo-cristiana. Noi, uomini religiosi, dobbiamo mettere la morale nella politica: lo scopo è la tutela dell’uomo. Allora, se viene adottata una gestione sbagliata, come è stata la guerra contro l’Iraq, noi dobbiamo dire che siamo contro!

D. – Quale significato questo Anno Santo della Misericordia ha, in questo momento, in un Paese come la Siria?

R. – Noi abbiamo bisogno della Misericordia di Dio, e di capire che questa guerra è inutile. Dobbiamo fermare tutto: basta con le guerre! C’è bisogno di dialogo con tutti! La Siria è un Paese di cultura, e non un Paese del terrorismo. Dobbiamo dare valori umani a questa gente: accettarli, non schierarci contro la loro religione. Dobbiamo accettare la “debolezza” dei nostri fratelli. Loro possono vivere in pace, se noi li amiamo.

inizio pagina

La croce cubana dei migranti donata dal Papa a Lampedusa

◊  

Una croce costituita da due fasci di remi legati assieme, immagine della sofferenza dei tanti migranti che hanno vissuto il dramma della morte in mare. L’opera è stata donata al Papa al termine della sua visita a Cuba, lo scorso settembre, dal presidente Raul Castro. A sua volta Francesco ha regalato il crocifisso all’arcidiocesi di Agrigento che in queste settimane lo porterà in pellegrinaggio fino alla parrocchia di San Gerlando a Lampedusa dove troverà collocazione definitiva il prossimo 17 gennaio. A realizzarlo è stato l’artista cubano Alexis Leiva Machado, più noto come Kcho. Francesco Gagliano lo ha intervistato:

R. -  Soy una creatura insular…
Sono una creatura insulare, sono nato su un'isola più piccola di quella di Cuba, l'Isla de la Juventud, e questa è una "condanna" della mia vita, mi porto dentro il mare e ho sempre avuto un pensiero particolare per il viaggio e l'immigrazione, a livello universale. È un tema estremamente delicato e per me molto sensibile e nessuno pensa mai a questo; solo Sua Santitá Francesco ha introdotto questo problema nell'agenda dei politici. Già nel 2011 avevo allestito una mostra alla Biennale di Venezia su questo tema, quindi mi sono sentito coinvolto in prima persona quando il Pontefice, due anni dopo, ha portato all'attenzione del mondo questa emergenza.

D. - Perché il viaggio, la migrazione, l'affascina? Che cosa le suscita?

R. - Me fascina el viaje en todos en sus formas, fisico, espiritual ...
Sono affascinato dal viaggio in tutte le sue forme, fisico, spirituale, mentale e anche morale. Ricordo che un giorno di due/tre anni fa ero a Milano, per la preparazione di una mostra e ho sentito che c'era stata l'ennesima tragedia del mare a Lampedusa: il giorno dopo sui giornali, sulle televisioni se ne parlava pochissimo. Tutti davano più importanza alle ultime novità della moda, a cosa succedeva a via della Spiga. Nessuno parlava di questo, l'unico a farlo era il Papa. Il mio lavoro, in tutti questi anni, parla proprio di questo: il viaggio, quello che si è costretti a compiere per salvarsi la vita e che a volte costa la vita. Quando queste persone si mettono per mare lo fanno per trovare qualcosa di differente, per cercare la pace, una pace che non hanno mai conosciuto prima perché hanno perduto il lavoro, la famiglia, gli affetti, quella sicurezza che noi tutti desideriamo. Penso quindi che sia importante parlare di questo, dare voce a queste persone, rendere noto al mondo che esiste anche questa realtà, non solo quella che viviamo nelle nostre comode esistenze”.

D. - Che rapporto c'è tra la sua arte e la religione?

R. - Mi madre y mi abuela eran muy religiosas ....
Mia madre e mia nonna erano molto religiose. Mio padre si chiamava Ignazio da Loyola; tutta la mia famiglia è profondamente credente: d'altronde vengo da un paese, Cuba, a maggioranza cattolica. Io non posso definirmi cattolico, ma a modo mio mi sento religioso, quella religiosità cubana laica che è stata introdotta con la Rivoluzione, l'attenzione nei confronti del prossimo. Credo che la religiosità sia molto importante e soprattutto credo che l'umanità senza spiritualità non possa andare da nessuna parte. Io ho sempre pensato che Dio è dappertutto, si manifesta in tutte le cose e specialmente negli altri uomini, nello spirito degli uomini, nei rapporti che si stabiliscono tra gli uomini, per me questo è molto importante. Quando Francesco ha detto che il mondo non può dimenticarsi dei migranti, perché soprattutto loro sono i figli di Dio mi sono sentito vicino a lui come non mai. Penso infine che non importa quale sia il Dio in cui si crede, quale sia la religione che seguiamo, l'importante è che non si smetta mai di mostrare attenzione per il prossimo: questo è per me un messaggio veramente importante. Come "creatore", come artista, sento di dover comunicare questo in tutti i modi possibili.

inizio pagina

Il Vangelo della Misericordia in un libro di mons. Leuzzi

◊  

Un itinerario teologico per il Giubileo straordinario della Misericordia. Vuole essere questo il libro “Il Vangelo della Misericordia. Per un nuovo sviluppo globale. Itinerario teologico” scritto da mons. Lorenzo Leuzzi, direttore dell’Ufficio diocesano per la Pastorale Universitaria. Il testo, pubblicato dalla Libreria Editrice Vaticana, è stato  presentato in questi giorni a Roma. Il servizio di Marina Tomarro

Vivere il Vangelo della misericordia non solo come dono per il Giubileo ma come mezzo in grado di aiutare l’umanità a  costruire un nuovo sviluppo globale. E’ questo il filo conduttore del libro “Il Vangelo della misericordia”. Ascoltiamo mons. Lorenzo Leuzzi:

“Il Vangelo della misericordia è l’annuncio che Dio ha deciso di impegnarsi ad aiutare l’uomo a ricrearlo, cioè a creare le condizioni perché l’uomo possa diventare sempre più suo collaboratore in un progetto di costruzione della storia, dove Dio e uomo collaborano insieme, ma nello stesso tempo l’uomo può fare esperienza della sua presenza. Questa proposta non coincide con il Dio misericordioso, è qualcosa di più: il Vangelo della misericordia è la discesa in campo di Dio, che ha voluto ricreare l’uomo mediante il dono del Battesimo, perché l’uomo possa sfruttare la sua Parola e con Lui camminare nelle diverse situazioni e possa davvero sentire la presenza di Dio e soprattutto non sentirsi solo. L’uomo, dunque, credente è chiamato a vivere la misericordia, perché non c’è esperienza più grande di quella di essere collaboratori di Dio”.

Il testo mostra, anche attraverso le parole di Papa Francesco, come il Vangelo della misericordia abbia attraversato tutta la storia non solo della Chiesa ma dell’umanità intera. Il commento di Mariella Enoc, presidente dell’Ospedale Bambino Gesù, tra i relatori dell’incontro:

R. - Io credo che la misericordia, oltre ad essere un atteggiamento che noi dobbiamo avere nei confronti degli altri, è anche un atteggiamento che dobbiamo avere verso noi stessi, riconoscendo ad esempio quante volte la nostra fede non è stata al centro della nostra vita, le parole sono state più importanti della Parola e quante volte abbiamo dimenticato che non c’è soltanto il corpo, ma c’è anche lo spirito.

D. – Quanto è importante la misericordia dal punto di vista della sofferenza. Lei purtroppo la tocca tutti i giorni…

R. – La misericordia è veramente la tenerezza, l’accoglienza, la relazione. Oggi c'è un sistema dove tutti parlano e sembra che si dicano tante cose, ma manca un sistema di relazione. Allora io penso a tutti i genitori dei bimbi malati, che magari sono anche aiutati in qualche modo, ma ai quali non si dedica tempo, non si dedica ascolto. Ecco, io credo che la misericordia sia anche fatta di una lunga pazienza, di una grande capacità di ascolto, di mettersi vicino all’altro, sedersi, non considerando il tempo che si ha, stargli vicino, facendogli sentire che siamo davvero con lui.

inizio pagina

Nella Chiesa e nel mondo



Centrafrica: disordini per referendum costituzionale

◊  

Almeno due vittime e una ventina di feriti: è il bilancio provvisorio di scontri all’arma pesante che hanno segnato il referendum costituzionale di ieri a Bangui. Lo riferiscono fonti di stampa centrafricana precisando che il quartiere musulmano del Pk 5 è stato l’epicentro delle violenze, mentre altre si sono registrate nelle province settentrionali ed orientali. L’appuntamento con le urne - riferisce l'agenzia Misna - rappresentava il primo test elettorale del processo verso il progressivo ritorno alla normalità costituzionale in Centrafrica, dopo una lunga transizione successiva al colpo di stato della coalizione ribelle Seleka nel marzo 2013.

Violenze a causa delle divisioni nella comunità musulmana
A scatenare le violenze nella capitale – in una scuola adibita a  seggio elettorale e nei pressi di una moschea – e in almeno altre tre località del Paese, le divisioni all’interno della comunità musulmana, in particolare nell’ex coalizione ribelle Seleka. Alcune fazioni, tra cui quella guidata dall’ex numero due Noureddine Adam, hanno cercato di impedire il voto degli abitanti a maggioranza musulmana del Pk 5, ma anche nei suoi feudi di Ndele, Birao e Kaga Bandoro.

Divise anche le milizie anti-balaka
Le votazioni dividono anche le milizie anti-balaka – cristiane e animiste – a cominciare dai sostenitori dell’ex Capo di stato François Bozizé – oggi all’opposizione – la cui candidatura alle prossime  presidenziali è stata respinta dalla Corte costituzionale. Decine di cittadini hanno manifestato davanti alla sede della locale missione Onu (Minusca) a Bangui, chiedendo di “voler votare anche al costo della propria vita”, dopo la chiusura di alcuni seggi elettorali decisa dalle autorità per misure di sicurezza.

Per l'Onu i centrafricani hanno dato prova di grande coraggio
​Per il rappresentante Onu nel Paese, Parfait Onanga-Anyanga, i centrafricani hanno dato prova di “grande coraggio”, sfidando “ogni minaccia e paura” per recarsi alle urne. Almeno due milioni di centrafricani – su una popolazione di 4,8 milioni – si sono registrati in vista del voto. Solo il 26% dei 460.000 sfollati ha potuto recarsi alle urne e una quota significativa dei 5.600 seggi era difficilmente raggiungibile. Secondo Onanga-Anyanga, il referendum costituzionale ha tuttavia segnato “un passo storico nella marcia verso il ritorno alla democrazia”, sottolineando che “i responsabili delle violenze, possibili crimini di guerra, potranno essere condannati dalla comunità internazionale”. Il voto domenicale si è svolto due settimane dopo la visita di Papa Francesco e l’appello rivolto ai centrafricani a “vivere come fratelli e sorelle”. (V.V.)

inizio pagina

Filippine. 750mila in fuga dal tifone Melor

◊  

Oltre 750mila persone hanno abbandonato in tutta fretta le loro case nelle Filippine centrali, per l’arrivo del potente tifone Melor i cui venti già in queste ore hanno superato i 150 kmh. Le forti piogge hanno già causato onde giganti, inondazioni e smottamenti; la situazione è destinata a peggiorare con l’arrivo sulla terraferma del tifone. A rischio - riferisce l'agenzia AsiaNews - tutta la striscia settentrionale di Samar, isola in prevalenza agricola in cui vivono almeno 1,5 milioni di persone. Al momento non si hanno notizie di feriti o di danni gravi, ma le autorità mantengono alta l’allerta. Fonti locali riferiscono che nelle ultime ore sono stati cancellati almeno 40 voli domestici; per quanto concerne la navigazione marittima, 73 traghetti e centinaia di pescherecci hanno ricevuto l’ordine di rimanere ancorati al porto.

Melor sengue un tracciato simile al tifone Haiyan
Il tifone - conosciuto nelle Filippine con il nome di Nona - dovrebbe abbattersi con particolare violenza a Sorsogon, circa 400 km a sud-est della capitale Manila, nell’isola di Luzon. Esso dovrebbe seguire un tracciato simile a quello compiuto dal devastante tifone Haiyan/Yolanda, che nel novembre 2013 si è abbattuto sulle province centrali del Paese, provocando oltre 7.300 fra morti e dispersi e gravissimi danni alle case e all’agricoltura. 

Il tifone minaccia vite umane e proprietà
Le autorità hanno disposto la chiusura delle scuole e di alcuni uffici pubblici, evacuando un totale di 750mila persone sparse in tre province. Il meteorologo Adam Douty sottolinea che “Melor è un tifone molto compatto, per questo dovrebbe essere scongiurata l’ipotesi di danni gravi lontano dall’epicentro”. Esso ha perduto parte della sua intensità e non dovrebbe più rientrare nella categoria dei supertifoni (5, come Yolanda), ma rappresenta comunque una minaccia alle vite umane e alle proprietà”. 

A rischio corrente elettrica e comunicazioni
Il governo di Manila ha preparato più di 200mila buste contenenti generi alimentari e altri beni di prima necessità, da distribuire in caso di bisogno. Alexander Pama, capo della Protezione civile nazionale, aggiunge che Melor dovrebbe provocare forti inondazioni, smottamenti e onde alte fino a 4 metri; a rischio la fornitura di energia elettrica e le comunicazioni. 

Nelle Filippine una media di 20 tifone e tempeste l'anno
​Nelle Filippine tifoni e tempeste tropicali sono un fenomeno comune, con una media di 20 all’anno e alcuni dei quali mortali; l’ultimo di questi, il tifone Koppu, ha colpito il Paese lo scorso ottobre, provocando decine di morti e centinaia di migliaia di sfollati. Si è trattato del secondo tifone di una certa intensità che si è abbattuto sull’arcipelago filippino nel 2015, il 12mo in totale. (R.P.)

inizio pagina

Siria: l'Is ha distrutto almeno 17 chiese e santuari

◊  

Sono almeno 17 le chiese e i santuari cristiani distrutti, profanati o occupati dai gruppi jihadisti durante il conflitto siriano. La lista – che non rivendica pretese di completezza - è stata diffusa da fonti legate alle comunità cristiane locali come l'Assyrian International News Agency ripresa dalla Fides. In particolare, vengono documentate con accuratezza le devastazioni realizzate dai militanti del sedicente Stato Islamico (Daesh) contro i luoghi di culto cristiano dei villaggi a maggioranza assira della valle del Khabour, attaccati dai jihadisti lo scorso febbraio. 

La distruzione nella valle di Khabour
​Soltanto valle del Khabour, le chiese e i santuari distrutti – alcuni dei quali rasi al suolo con la dinamite – sono stati almeno 11, in molti casi, il delirio della violenza jihadista si è accanito contro luoghi di culto che custodivano memoria comune di diverse comunità cristiane locali, come è avvenuto a Deir el-Zor con la chiesa memoriale dei martiri del genocidio armeno, distrutta dai miliziani del Daesh nel settembre 2014. In altre situazioni, i jihadisti hanno preso volutamente di mira le reliquie dei santi custodite nelle chiese, come è avvenuto lo scorso agosto nel monastero di Mar Elian. 

La distruzione del monastero di Mar Elian a Quaryatayn
L'antico Santuario del V secolo, collocato alla periferia di Quaryatayn, negli ultimi anni aveva ritrovato nuova vita trasformandosi in una filiazione di Deir Mar Musa al Habashi, il monastero rifondato dal gesuita italiano padre Paolo Dall'Oglio, rapito anche lui il 29 luglio 2013 mentre si trovava a Raqqa, capoluogo siriano da anni sotto il controllo dei jihadisti dello Stato Islamico. Il priore di Mar Elian, padre Jacques Mourad, era stato anche lui preso prigioniero dai jihadisti lo scorso 21 maggio, e ha ritrovato la libertà lo scorso 11 ottobre. (G.V.)

inizio pagina

Egitto: conclusa visita del Patriarca maronita Béchara Raï

◊  

Si è conclusa ieri la visita di quattro giorni in Egitto del Patriarca maronita Boutros Béchara Raï, caratterizzata da un programma denso, non solo dal punto di vista pastorale. L'occasione per la visita patriarcale è stata fornita dall'inaugurazione della chiesa dedicata a San Marone, sottoposta a radicale restauro, nel distretto cairota di Heliopolis. Durante i giorni di permanenza in Egitto, il Primate della Chiesa maronita ha avuto contatti ad alto livello, incontrando tra gli altri il Patriarca copto ortodosso, Tawadros II, il Grande Imam di al Azhar, Ahmad al Tayyeb, e il Presidente egiziano, Abdel Fattah al- Sisi.

Impegno dell'Egitto a sostenere la sicurezza e la stabilità del Libano
Fonti egiziane consultate dall'agenzia Fides riferiscono che anche il Presidente al-Sisi, nel suo incontro con il Patriarca Raï, ha confermato l'impegno dell'Egitto a sostenere la sicurezza e la stabilità della nazione libanese e della sua identità plurale, e ha riconosciuto la necessità di fare il possibile per raggiungere il consenso tra le forze politiche libanesi per l'elezione di un nuovo Presidente. Soprattutto, il Capo di Stato egiziano ha confermato che lui e la sua nazione si opporranno a ogni tentativo di coinvolgere il Libano nei processi destabilizzanti che da anni fanno soffrire le popolazioni di altri Paesi del Medio Oriente.

In Libano si allungano i tempi per l'elezione del Presidente
Anche la visita del Patriarca Raï in Egitto si è svolta sullo sfondo delle trattative in atto tra i blocchi politici libanesi intorno alla “soluzione di compromesso”, accreditatasi in maniera crescente nelle ultime settimane, che prefigura l'elezione a Presidente della Repubblica di Suleiman Franjieh, cristiano maronita, amico d'infanzia del Presidente siriano Bashar Assad e leader del Movimento Marada (Partito di orientamento cristiano democratico nato nel 1991, quando la brigata paramilitare Marada decise di trasformarsi in soggetto politico). Secondo quanto viene riferito dai media libanesi, il nodo politico dell'elezione presidenziale non verrà risolto prima dell'inizio del nuovo anno, anche per le riserve presenti in partiti appartenenti ai due blocchi che si contrappongono sulla scena politica libanese, come il partito sciita Hezbollah e quello maronita delle Forze Libanesi. (G.V.)

inizio pagina

Venezuela. Card. Urosa: il Paese ha scelto il cambiamento

◊  

Il card. Jorge Urosa Savino, Arcivescovo di Caracas, in un'intervista alla televisione locale “Televen”, ripresa dall'agenzia Fides, ha parlato delle ultime elezioni parlamentari tenutesi il 6 dicembre. Come cittadino e Vescovo della Chiesa, ha potuto osservare che “il paese ha cercato un cambiamento di rotta, la gente si rifiuta a continuare a fare code per avere un chilo di farina, una decina di uova a prezzi regolamentati".

Il governo dovrebbe ascoltare la voce del popolo
Il porporato ha inoltre rilevato che il governo dovrebbe ascoltare la voce del popolo, e che il popolo non è solo il gruppo di persone che sono andate a votare, ma tutti i cittadini che vivono nel Paese. Il card. Urosa ha sottolineato che i leader dell'opposizione devono agire con grande umiltà e dovrebbero risolvere i problemi che affliggono i venezuelani.

Il card. Urosa invoca un'amnistia
"Penso che ci dovrebbe essere una legge di amnistia, ci sono tante persone che sono detenute senza gravi accuse. Penso ai ragazzi reclusi in queste celle del Sebin oppure nella prigione di La Tumba, alcuni semplicemente per aver scritto un tweet, questi devono essere rilasciati!" ha detto il Cardinale, riferendosi ai giovani arrestati solo per aver espresso il loro dissenso o le loro critiche nei confronti del governo con i tweet. "Io come Vescovo invito tutti alla calma, ma il Presidente ha l'obbligo di promuovere la calma e di non pronunciare discorsi violenti" ha detto l’Arcivescovo di Caracas. (C.E.)

inizio pagina

L'apertura delle Porte Sante in Cina

◊  

In risposta all’invito di papa Francesco, in molte diocesi della Cina sono state aperte le Porte Sante nelle diverse cattedrali. Le cerimonie si sono svolte ieri e durante la scorsa settimana. In tutte le diocesi - riferisce l'agenzia AsiaNews - si è stampata l’edizione in cinese della Misericordiae Vultus, la Bolla di indizione dell’Anno santo e la si è distribuita ai fedeli presenti alla cerimonia, invitando tutti a leggerla e a diffonderla anche fra i non cristiani.

A Pechino aperta la Porta Santa nella cattedrale dell'Immacolata
Nella diocesi di Pechino, la Porta Santa è stata aperta il 12 dicembre scorso, alle 9 del mattino presso la cattedrale dell’Immacolata (Nan Tang) da mons. Giuseppe Lishan. Attorniato da sacerdoti, suore, seminaristi e laici, il vescovo ha esortato tutti i fedeli ad essere “grati a Dio per l’apertura della Porta santa che Papa Francesco ha compiuto lo scorso 8 dicembre per il Giubileo della misericordia”. “Il Santo Padre – ha continuato – ha aperto le Porte della Misericordia del Signore per tutti noi perché il Papa guarda costantemente a Gesù e al suo volto misericordioso. Abbiamo bisogno di contemplare il mistero della Misericordia del Signore, che è fonte di gioia, di tranquillità e pace per tutti noi”.

Opere di misericordia nella diocesi di Xian
Nella diocesi di Xian (Shaanxi), si è svolta una Messa di inizio dell’Anno santo il 6 dicembre scorso. Il vescovo, mons. Antonio Dang Mingyan, ha spiegato la Bolla pontificia e il metodo per ricevere l’indulgenza. Il testo completo della Bolla è stato stampato nel settimanale diocesano e viene distribuito gratis a chiunque. La Porta Santa sarà aperta nel prossimo futuro, dato che la cattedrale di san Francesco è in restauro. La comunità della cattedrale è però pronta per le opere di misericordia, suggerite dal Papa come espressione di questo Anno santo. Ogni domenica davanti alla cattedrale si prepara e si distribuisce cibo per i senzatetto. In più, vi è distribuzione di beni di prima necessità per le persone povere.

A Nanchang invito a ricercare i fratelli e le sorelle che si sono perduti
A Nanchang, mons. Giovanni Li Suguang ha aperto la Porta Santa e celebrato la Messa l’8 dicembre scorso, festa della sua cattedrale, dedicata all’Immacolata Concezione. Il vescovo ha spiegato il significato del logo del Giubileo e il metodo per ricevere l’indulgenza. Egli ha anche incoraggiato i fedeli ad andare alla ricerca dei “fratelli e sorelle che si sono perduti”. La diocesi ha stampato la Misericordiae Vultus e la distribuisce gratis a tutti. La diocesi ha esortato anche a organizzare servizi di volontariato per aiutare persone nel bisogno. I risultati di quest’impegno verranno mostrati nella cerimonia di chiusura dell’Anno santo.

Sui media ufficiali cinesi notizie sull'Anno santo
​Anche sui media ufficiali del governo sono apparse notizie sull’Anno Santo a Roma, dando molto spazio alle questioni della sicurezza e alle minacce di terrorismo. Discreto spazio è stato dato alla serata di suoni e luci sulla facciata della basilica di san Pietro, “Fiat lux: illuminare la nostra casa comune”, ispirato all’enciclica “Laudato si’”. Il Giubileo della Misericordia spopola anche su internet. Molti cristiani infatti evangelizzano condividendo messaggi su WeChat, diffondendo testi e canzoni dell’Anno santo, notizie sugli eventi in Vaticano e a livello locale, invitando tutti a partecipare, soprattutto coloro che vanno in chiesa di rado. (J.A. - B.J.)

inizio pagina

Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIX no. 348

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti.