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Sommario del 11/12/2015

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Pubblicato rescritto di Papa Francesco sul processo matrimoniale

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Nel pomeriggio del 7 dicembre Papa Francesco ha firmato un documento, Rescritto ex audientia, sul compimento e l’osservanza della nuova legge del processo matrimoniale. Il documento è stato pubblicato oggi dalla Sala Stampa vaticana. Il servizio di Alessandro Gisotti

“L’entrata in vigore – in felice coincidenza con l’apertura del Giubileo della Misericordia – delle Lettere apostoliche in forma di Motu proprio Mitis Iudex Dominus Iesus e Mitis et Misericors Iesus del 15 agosto 2015, scrive Papa Francesco, “date per attuare la giustizia e la misericordia sulla verità del vincolo di quanti hanno sperimentato il fallimento matrimoniale, pone, fra l’altro, l’esigenza di armonizzare la rinnovata procedura nei processi matrimoniali con le Norme proprie della Rota Romana, in attesa della loro riforma”.

Chiesa esprime prossimità a famiglie ferite
Il Sinodo dei Vescovi, recentemente concluso, prosegue il Papa, “ha espresso una forte esortazione alla Chiesa affinché si chini verso ‘i suoi figli più fragili, segnati dall’amore ferito e smarriti’, ai quali occorre ridonare fiducia e speranza”. “Le leggi che ora entrano in vigore – si legge nel Rescritto – vogliono proprio manifestare la prossimità della Chiesa alle famiglie ferite, desiderando che la moltitudine di coloro che vivono il dramma del fallimento coniugale sia raggiunta dall’opera risanatrice di Cristo, attraverso le strutture ecclesiastiche, nell’auspicio che essi si scoprano nuovi missionari della misericordia di Dio verso altri fratelli, a beneficio dell’istituto familiare”. Il Papa riconosce alla Rota Romana, oltre al compito “ad essa proprio di Appello ordinario della Sede Apostolica, anche quello di tutela dell’unità della giurisprudenza (art. 126 § 1 Pastor Bonus) e di sussidio alla formazione permanente degli operatori pastorali nei Tribunali delle Chiese locali”.

Gratuite le cause dinnanzi alla Rota Romana
Tra le nuove norme, sviluppate in 6 articoli, viene stabilito che “non si dà appello contro le decisioni rotali in materia di nullità di sentenze o di decreti”, che dinanzi alla Rota Romana “non è ammesso il ricorso per la Nova Causae Propositio dopo che una delle parti ha contratto un nuovo matrimonio canonico, a meno che consti manifestamente dell’ingiustizia della decisione”. Ancora, all’articolo 4, si stabilisce che il decano della Rota Romana “ha la potestà di dispensare per grave causa dalle Norme Rotali in materia processuale”. “Come sollecitato dai Patriarchi delle Chiese Orientali – si legge ancora nel Rescritto – è rimessa ai tribunali territoriali la competenza sulle cause iurium connesse con le cause matrimoniali sottoposte al giudizio della Rota Romana in grado d’appello”. Infine, all’articolo 6, si stabilisce che la “Rota Romana giudichi le cause secondo la gratuità evangelica, cioè con patrocinio ex officio, salvo l’obbligo morale per i fedeli abbienti di versare un’oblazione di giustizia a favore delle cause dei poveri”. Il Papa sottolinea che tali leggi di riforma del processo matrimoniale “abrogano o derogano ogni legge o norma contraria finora vigente, generale, particolare o speciale, eventualmente anche approvata in forma specifica”, come il “motu proprio Qua Cura”.

Il Decano Pinto: riforma risponde a visione della Chiesa di Francesco
In un articolo sull’Osservatore Romano, il decano della Rota Romana, Pio Vito Pinto, sottolinea che la riforma risponde alla visione ecclesiologica di Papa Francesco e alle istanze espresse dai pastori al Sinodo sulla famiglia. “Il rescritto deciso da Papa Francesco sulla riforma del processo matrimoniale”, scrive Pinto, “è perfettamente coerente con la visione ecclesiologica propria del suo Pontificato” che guarda alla Chiesa non come a “Chiesa dei perfetti” ma come alla “comunità dei fedeli che si riconoscono ogni giorno peccatori e per questo bisognosi di conversione”. Nel Rescritto, prosegue, il Papa ha voluto ribadire che “la legge è ormai promulgata ed esige l’osservanza”, nella considerazione che una riforma di portata epocale come questa può incontrare “comprensibili resistenze”. Ancora, il Decano rileva che il Rescritto di Francesco, “come già allora per la promulgazione” del Codice di diritto canonico di Giovanni Paolo II, “obbedisce alla lex suprema, che è la salus animarum, di cui il Successore di Pietro è il primo maestro e servo”.

Nel Rescritto, scrive ancora Pinto, si evidenza la posizione della Rota Romana “come tribunale apostolico, che si è sempre distinto per la sapientia nelle sue decisioni giurisprudenziali, della quale è un’espressione il ritorno alla formula del dubbio generico” (nei tribunali inferiori rimane invece l’obbligo del dubbio specifico, come può essere per esempio l’esclusione della prole). E si manifesta, “nell’ottica della diaconia ecclesiale, la sollecitudine della giustizia nella duplice sacralità”. Da un lato, osserva il decano della Rota, “la difesa in sé della verità del vincolo matrimoniale, dall’altro il diritto del battezzato a ricevere dalla Chiesa la dichiarazione sollecita e gratuita di tale verità del vincolo stesso”.

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P. Cantalamessa: la santità è un onore non un peso da temere

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“L’universale chiamata dei cristiani alla santità” è stato il tema della seconda predica di Avvento tenuta stamattina da padre Raniero Cantalamessa al Papa e alla Curia Romana. Il Nuovo Testamento, ha detto fra l’altro il predicatore pontificio, esorta alla “conversione dalla tiepidezza”, perché la santità non è una imposizione da temere, ma la chiamata più normale per coloro che sono creati a immagine di Dio. Il servizio di Alessandro De Carolis

La santità? Anzitutto basta averne paura. Se è, come è, per la Chiesa una “vocazione universale” la “prima cosa” da fare quando si parla di santità – afferma padre Cantalamessa – “è di liberare questa parola dalla soggezione” che “essa incute” a causa di “certe rappresentazioni errate”.

Non tutti i fiori sono per l’altare
“La santità può comportare fenomeni e prove straordinari, ma non si identifica – dice il religioso francescano – con queste cose”:

“Se tutti sono chiamati alla santità, è perché, intesa rettamente, essa è alla portata di tutti, fa parte della normalità della vita cristiana. I santi sono un po’ come i fiori: non ci sono solo quelli che vengono messi sull’altare. Quanti di essi sbocciano e muoiono nascosti, dopo aver profumato silenziosamente l’aria intorno a loro! Quanti di questi fiori nascosti nascono e sbocciano continuamente nella Chiesa!”.

Non per rito ma col cuore
Parlando di santità bisogna poi considerare l’eredità dell’Antico Testamento rispetto al Nuovo. Nel primo, osserva il predicatore pontificio, prevaleva l’idea “ritualistica” della santità, il suo raggiungimento legato al frequentare certi luoghi, osservare certi precetti. Nel Nuovo Testamento la santità – come spiega bene San Paolo – è una “vocazione”:

“Santità non è più un fatto rituale o legale, ma morale se non addirittura ontologico. Non risiede nella mani, ma nel cuore; non si decide fuori dell’uomo, ma dentro l’uomo (...) I mediatori della santità di Dio non sono più luoghi – come  il tempio di Gerusalemme o il monte Carizim per i samaritani - ma è una persona, Gesù Cristo”.

Senza fede le opere non sono "buone"
In ottica cristiana, santi – prosegue padre Cantalamessa – lo si diventa “per appropriazione e per imitazione”. La santità è anzitutto un dono di grazia ma, ricorda il predicatore pontificio, ce se ne può appropriare imitando “l’audacia” dei Santi, che più di altri hanno compreso la verità di San Paolo, è cioè che “noi apparteniamo a Cristo più che a noi stessi”, allora anche “la santità di Cristo ci appartiene più che la nostra stessa santità”. Secondo, l’imitazione, ovvero le “opere”, “lo sforzo personale” perché se “Cristo è anzitutto un dono da ricevere mediante la fede”, è “anche un modello da imitare nella vita”:

“L’opposizione fede-opere – e oggi ce ne rendiamo conto – è un falso problema, che è stato tenuto in piedi, per secoli dalla polemica, dalle prevenzioni. Le opere buone, senza la fede, non sono opere 'buone' e la fede senza le opere buone non è vera fede. Basta che per “opere buone”  non si intendano principalmente – come purtroppo avveniva al tempo di Lutero – indulgenze, pellegrinaggi, candele, pie pratiche, quanto piuttosto l’osservanza dei comandamenti di Dio, in particolare quello dell’amore fraterno”.

Santi si diventa
Dunque, nel passare dall’Antico al Nuovo Testamento un punto resta “immutato”, sostiene padre Cantalamessa, “e anzi si approfondisce”, cioè il “perché bisogna essere Santi: perché Dio è Santo”:

“La santità non è un lusso, non una imposizione, un onere, è un privilegio, è un dono, è un onore sommo. E’ come ereditare la dignità del proprio casato, del proprio padre: è un obbligo, sì, ma che deriva dalla nobiltà di essere figli di Dio (...) Non è tanto natura, è  vocazione. Se dunque noi siamo “chiamati ad essere santi”, se la nostra vocazione è questa, allora saremo persone vere, riuscite, nella misura in cui saremo santi. Diversamente, siamo dei falliti. Il contrario di santo non è peccatore, ma fallito!”.

Il vertice della dignità
Ciò che alla fine conta, conclude il predicatore pontificio, è che la santità è sempre un cammino verso il quale “rimettersi in moto”. Se la maggioranza della gente rimane ferma – come diceva Pascal – al “primo livello” della grandezza umana, quello della materia, e altri ritengono che il livello dell’intelligenza sia il suo culmine, c’è un terzo livello per i cristiani da tenere sempre in conto, quello della santità, appunto, per nulla in contrasto con gli altri due:

“Perché questa grandezza dovrebbe essere la suprema trascendente? Primo perché è la grandezza agli occhi di Dio che è vero misuratore della grandezza; secondo, perché realizza quello che c’è di più degno dell’uomo, la libertà. Non dipende da noi nascere forti o deboli, ricchi o poveri, belli o meno belli; ma dipende da noi essere onesti o disonesti, persone buone o persone cattive, in altre parole  santi o peccatori. Questo dipende da noi”.

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P. Spadaro: vivere il Giubileo anche sui Social Network

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Tre anni fa, il 12 settembre del 2012, Benedetto XVI apriva il suo account Twitter @Pontifex. Un gesto inedito, segno di grande attenzione per le Reti Sociali come luoghi dove condividere la propria esperienza di vita e di fede. Oggi, l’account pontificio con Papa Francesco ha superato i 25 milioni di follower. I suoi tweet sono pubblicati in 9 lingue: dall’arabo al latino, dall’italiano all’inglese raggiungendo potenzialmente tutti gli abitanti della Rete. Sull’importanza della presenza del Papa sui Social Network e sul ruolo che questi ultimi possono avere nel Giubileo della Misericordia, Alessandro Gisotti ha intervistato padre Antonio Spadaro, direttore di Civiltà Cattolica, di cui è appena stato pubblicato per la Emi il libro “Quando la fede si fa social”: 

R. – La prima riflessione è che Papa Francesco è un Papa “tattile”, un Papa fisico, che ama accarezzare, che ama abbracciare. In qualche modo, proprio questa dimensione fisica del Papa richiama un’ampia condivisione digitale. Non c’è, dunque, una frattura tra il fisico e il digitale. Proprio la sua attenzione alla singola persona, all’umano, alla gestualità, richiede e stimola una condivisione digitale.

D. – 25 milioni di follower - peraltro sempre in crescita -, un numero davvero consistente, per alcuni aspetti straordinario, di retweet, ci dicono anche di una capacità di inserimento in un mondo che potrebbe essere in un primo momento non considerato affine, subito affine, a quello della Chiesa…

R. – In realtà, c’è un grande bisogno di saggezza, c’è un grande bisogno di riflessione, e la riflessione oggi deve essere necessariamente appuntita, cioè piccola, breve, ma capace di entrare nel profondo! E a volte basta lo spazio di un tweet, di un tweet scritto bene, e il Papa parla in genere per frasi abbastanza brevi e affilate. Lo spazio quindi di un tweet risulta non solo sufficiente, ma proprio appropriato, per aiutare le persone, all’interno di una vita frenetica, a riflettere, a pensare. Il Papa è capace di discorsi anche estremamente ampli e complessi. Basta guardare, leggere, le cose che ha scritto in precedenza, prima di diventare Pontefice, addirittura prima di essere arcivescovo. In realtà, però, si è reso conto che la sapienza del Vangelo passa attraverso messaggi semplici e messaggi brevi, cioè capaci di stimolare una riflessione appuntita, come dicevo prima. Quindi, questi retweet colpiscono molto. Certamente 25 milioni di followers sono un numero molto grande, che impressiona. Ma il dato che dovrebbe far riflettere di più è la volontà di condividere le parole del Papa. E in questo – devo dire – è un leader mondiale, cioè le cose che il Papa dice vengono ritrasmesse, vengono quindi condivise all’interno delle Reti Sociali, che poi sono spesso reti di amicizia. Non solo, tra l’altro, le parole del Papa: vediamo che c’è una grande condivisione delle immagini, quindi dei gesti che il Papa compie. Questo mondo di condivisione digitale è entrato potentemente dentro la Chiesa e ha un significato molto bello.

D. – Giusto 20 anni fa, per volontà di San Giovanni Paolo II, nasceva Vatican.va, e il Vaticano, dunque, entrava in Internet, peraltro anche prima di molte istituzioni italiane... Adesso stiamo, per l’appunto, approfondendo il ragionamento su Twitter e quindi su Papa Benedetto e Papa Francesco. Quale esempio, anche quale sollecitazione, possono trarre i fedeli da questo coraggio profetico dei Papi rispetto alle nuove tecnologie?

R. – Certamente una riflessione da fare riguarda il motivo per cui la Chiesa è in Rete. La missione della Chiesa, la vocazione anche, se vogliamo, della Chiesa è quella di stare dove ci sono le persone. E oggi le persone sono anche in Rete. Quindi la Chiesa deve per missione essere in Rete. Questa è la riflessione che mi sembra più interessante: essere cioè incarnati. Si è incarnati anche entrando nella Rete, perché la Rete non è un luogo freddo, tecnologico, algido, come alcuni immaginano, fatto di cavi, computer e macchine. No, in realtà è un luogo molto caldo, dove la gente oggi esprime bisogni, desideri anche di carattere religioso.

D. – Una delle sue ultime pubblicazioni ha per titolo “Quando la fede si fa social”. Ecco: questo Giubileo della Misericordia è in fondo anche il primo Anno Santo nell’era dei social. Cosa le Reti Sociali possono dare, quale contributo possono offrire a questa esperienza del Giubileo della Misericordia?

R. – La sfida, oggi, in questo Giubileo in particolare, non è quello di usare la Rete per diffondere un messaggio come se fosse in qualche modo uno strumento. La Rete non è uno strumento: è un ambiente, un ambiente di vita, in cui condividere la propria esperienza! Quindi quello che mi sembra importante in questo Giubileo, per esempio, è condividere esperienze di misericordia, condividere la parola chiave nella Rete. Appunto, la fede si fa social, si fa sociale, perché è in grado di dare una testimonianza, di produrre una testimonianza, e oggi una testimonianza si condivide e si condivide anche sui social.

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Papa Francesco crea eparchia in Ucraina

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Negli Stati Uniti, Papa Francesco Il Santo Padre ha accettato la rinuncia all’ufficio di ausiliare della diocesi di San Bernardino, presentata per raggiunti limiti di età da mons. Rutilio Juan Del Riego Jánez.

In Germania, il Papa ha nominato ausiliare dell’arcidiocesi di Köln mons. Rolf Steinhäuser, del clero di Köln, canonico del Capitolo Metropolitano della medesima Arcidiocesi, direttore della Casa per Esercizi Spirituali “Edith Stein” e incaricato diocesano per la nuova evangelizzazione. Il neo presule è nato il 12 maggio 1952 a Köln. Nel 1970, dopo la maturità, è entrato nel Collegium Albertinum di Bonn come seminarista per l’Arcidiocesi di Köln ed ha frequentato gli studi filosofico-teologici per il sacerdozio presso la Facoltà di Teologia Cattolica dell’Università di Bonn. È stato ordinato sacerdote il 24 giugno 1977, incardinandosi nell’Arcidiocesi di Köln. Dopo l’ordinazione è stato vicario parrocchiale a Hilden (1977-1984), responsabile della pastorale giovanile per la città di Bonn (1984-1989), responsabile diocesano della pastorale giovanile e direttore dell’Ufficio per la pastorale giovanile nella Curia Arcidiocesana di Köln (1989-1996). Nel 1996 è stato nominato parroco della parrocchia St. Lambertus a Düsseldorf e, al contempo, Decano della Città di Düsseldorf, incarichi ricoperti fino al giugno scorso. Inoltre, nel 1998 è stato nominato Cappellano di Sua Santità e nel 2006 Canonico non residente del Capitolo Metropolitano di Köln. Dallo scorso giugno è Canonico residente del medesimo Capitolo Metropolitano, assumendo al contempo la direzione della Casa per Esercizi Spirituali “Edith Stein” e il ruolo di incaricato diocesano per la nuova evangelizzazione.

Il Pontefice ha concesso il Suo assenso alla decisione del Sinodo dei Vescovi della Chiesa greco-cattolica ucraina di erigere l'Eparchia di Kamyanets-Podilskyi degli Ucraini (Ucraina), con sede a Khmelnitskyi e con territorio smembrato dall'Arcieparchia di Ternopil-Zboriv, quale suffraganea della stessa.

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Onu: accolto impegno Santa Sede contro discriminazioni razziali

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Accolti “con favore” gli sforzi della Santa Sede per promuovere nel mondo gli obiettivi della Convenzione internazionale sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale, di cui la Santa Sede stessa è una dei 177 firmatari. È uno dei passaggi delle Osservazioni conclusive del Comitato Onu per l'eliminazione della discriminazione razziale, rese note oggi a Ginevra. In particolare, sottolineata l’“enfasi” data da Papa Francesco all’“importanza della lotta alla povertà”, evidenziando come “i poveri siano spesso persone emarginate provenienti da gruppi razziali o etnici nella società”. Il documento prevede anche una serie di raccomandazioni riguardo misure per prevenire tali rischi. Giada Aquilino ne ha parlato con l’arcivescovo Silvano Maria Tomasi, osservatore permanente della Santa Sede agli uffici Onu di Ginevra, che nelle scorse settimane ha incontrato i rappresentanti delle Nazioni Unite: 

R. – Quello che mi ha colpito è stata, in particolare, l’enfasi con cui i membri della Commissione hanno sottolineato il ruolo positivo di Papa Francesco in questo momento particolare, attraverso la chiarezza con cui affronta la questione della discriminazione e parla dell’inclusione di tutti nella vita della società e nel rispetto di ogni persona. Questa dimensione di universalità del suo insegnamento è stata sottolineata con molta forza, in particolare per quanto riguarda la tolleranza, la riconciliazione e il rispetto delle persone di razza diversa, ricordando gli appelli che il Pontefice ha levato per l’accoglienza dei rifugiati che vengono da regioni martoriate di questo globo, specialmente dal Medio Oriente verso l’Europa e dall’America Centrale e dall’America Latina verso gli Stati Uniti. Un altro aspetto positivo è stato il riconoscimento della nuova legislazione che il Vaticano, come Stato, ha introdotto: punisce appunto crimini di discriminazione razziale e prende in seria considerazione le esigenze della Convenzione. Poi, il Comitato è passato a fare delle raccomandazioni, in un tono costruttivo e positivo.

D. – In quale ambito si muovono queste raccomandazioni?

R. – Alcune delle raccomandazioni chiedono che vengano rafforzate le misure legali dello Stato rendendole più inclusive, in modo che atti di discriminazione razziale siano debitamente puniti. Viene proposto, per esempio, che le persone che soffrono discriminazione a causa della loro razza o del loro credo religioso - ma soprattutto per questioni di razza - vengano compensate. E poi, un aspetto abbastanza curioso ma anche interessante, è la domanda da parte della Commissione di avere dei dati più specifici di come le strutture organizzative di leadership nella Chiesa rappresentino anche minoranze razziali e gruppi.

D. – A mo’, quindi, di rappresentanza di tutto il mondo?

R. – Esattamente: sottolineare l’universalità della presenza della famiglia umana in tutte le sue forme e colori nelle strutture della Chiesa. Non è stato inoltre sottovalutato il fatto che, attraverso le sue istituzioni, la Santa Sede – ma soprattutto la Chiesa cattolica, di cui la Santa Sede è il governo centrale – educa e forma le persone in modo che non ci siano discriminazioni. Basti pensare che più di 64 milioni di giovani vengono educati nelle scuole cattoliche nel mondo e la maggioranza di questi studenti non è cattolica. E lo stesso si deve dire per la sanità: negli oltre 5.000 ospedali della Chiesa cattolica ci sono milioni di persone che vengono assistite e non si domanda mai il passaporto e non si fa mai considerazione di appartenenza etnica o razziale.

D. – Sono stati sollevati dei presunti casi di discriminazione razziale da parte di esponenti della Chiesa cattolica?

R. – E’ stato fatto un riferimento al genocidio del Rwanda, con un invito a fare il possibile per individuare anche persone del clero che avessero partecipato a tale genocidio, affinché siano consegnate alla giustizia, in modo che non ci possano essere scappatoie per le persone che vengano giuridicamente riconosciute come responsabili di questi crimini.

D. – Negli incontri e poi nel documento del Comitato Onu, il concetto di “gender” ad esempio al centro del dibattito in molti Paesi è stato evocato?

R. – La questione della non-discriminazione verso persone di orientamento sessuale diverso non ha costituito un tema principale, perché la Convenzione è diretta a eliminare violazioni strettamente legate alla razza e basate sull’appartenenza etnica. Però, il Comitato ha fatto anche notare che è parte della sua responsabilità fare in modo che la discriminazione non si applichi a nuove situazioni che mano a mano evolvono nella società. E su questo siamo d’accordo: che non si debba discriminare le persone, ma che si debba rispettare qualsiasi persona, pur tenendo conto che abbiamo tradizioni e principi che a volte non sono compatibili con quelli promossi dalla comunità internazionale.

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Oggi in Primo Piano



Elezioni Arabia Saudita: votano le donne per la prima volta

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Il 12 dicembre 2015 in Arabia Saudita passerà alla storia: per la prima volta infatti si svolgeranno le elezioni amministrative aperte alle donne sia come elettrici che come candidate. Le saudite che si presentano per ottenere un seggio nei 284 consigli municipali sono 900 su un totale di 7mila candidati. Le previsioni lasciano presagire una scarsa affluenza femminile per paura di ritorsioni in un Paese dove alla donna sono negate le libertà fondamentali e che viola sistematicamente i diritti umani dei suoi cittadini. Eppure è un passo importante per tutta la popolazione di questa ricca monarchia di stampo islamico. Cecilia Seppia ha raccolto il commento di Isabella Camera docente di storia e letteratura dei Paesi arabi alla Sapienza di Roma. 

R. – Dell’apertura alle donne se ne parla già da moltissimi anni. C’è una grande aspettativa delle donne per questo passo che le porterebbe a far parte della vita politica del loro Paese per la prima volta.  A dire il vero questa loro volontà è stata sostenuta anche da molti uomini. Quindi, non immaginiamo che siano solo le donne a combattere per i diritti in Arabia Saudita, perché ci sono anche moltissimi uomini che hanno appoggiato queste loro richieste, anche uomini appartenenti alla famiglia reale. Io credo che questo cambiamento fosse in atto da anni, ma speriamo che domani sia reale e che le donne vadano in massa a votare. Penso, comunque, che ci andranno e che voteranno per altre donne.

D. – Sicuramente partono svantaggiate rispetto ai colleghi maschi. A loro, infatti, è stato vietato di tenere comizi, incontri elettorali… Però non si sono perse d’animo e hanno organizzato una campagna elettorale sui social network…

R. – Le donne hanno una grande possibilità di muoversi attraverso i vari social network. Ci sono club, ci sono sindacati particolari, non come i nostri. Si muovono quindi moltissimo e forse anche più degli uomini, proprio a causa di questi anni di isolamento e repressione. L'Arabia Saudita è forse l’unico Paese al mondo, dove le donne non possono neanche guidare la macchina. E questo ha grandi conseguenze per tutta la società saudita. Dunque vedo questo voto come una cosa positiva. Se le elezioni saranno corrette, come si spera, credo che ci sarà presto una rappresentanza femminile anche nelle amministrazioni regionali, provinciali… Poi questo potrebbe un giorno aprire le porte a qualche altra cosa. Finora, infatti, ricordiamoci che le donne potevano entrare nelle assemblee degli uomini e così via, ma assistendo in realtà da un palco molto alto; non facevano parte dell’assemblea vera e propria; oppure potevano alle volte far sentire la loro voce attraverso dei collegamenti in televisione, dei collegamenti interni non sulla TV di Stato. C’è un sistema, dunque, per noi lontano e difficile da capire, ma non credo che le donne siano così zitte e represse come noi le immaginiamo qui in Europa, assolutamente no. Ci sono testimonianze di molte donne - scrittrici, intellettuali, commediografe - con un grande senso di responsabilità, consapevoli che il cambiamento dell’Arabia Saudita passerà forse proprio attraverso le donne.

D. – C’è, quindi, un movimento di cambiamento, di riforma. L’Arabia Saudita però resta uno dei Paesi dove i diritti umani vengono costantemente violati. Pensiamo per esempio alla pena di morte; pensiamo anche a come viene oppressa, repressa la libertà di pensiero; all’attivista, il blogger ucciso recentemente, addirittura prima con decapitazione e poi crocifissione. A che punto stiamo, qual è lo stato dei fatti dal punto di vista dei diritti umani?

R. – Lo stato dei fatti, da quello che noi sentiamo e vediamo, dalle notizie che ci arrivano, è terribile. Noi non possiamo nemmeno immaginare cosa voglia dire vivere in uno Stato che viola in questo modo i diritti umani e le libertà fondamentali. Però qualcosa sta cambiando. Certo, lì bisognerà agire cambiando anche la mentalità della popolazione. C’è, poi un dato di fatto che va preso in considerazione: se una volta queste donne erano tutte illetterate, ed anche gli uomini - la maggior parte della popolazione era una popolazione che non aveva studiato – oggigiorno la maggior parte delle donne non solo ha frequentato l’università, ma ha il dottorato, conseguito all’estero. Quindi è gente che ha avuto la possibilità di vivere ad Oxford, a Harvard, a Parigi… E poi sono tornati nel loro Paese con un’altra visione. Che ci possano addirittura essere movimenti tipo quelli delle Primavere arabe, che possano portare alla fine della monarchia questo non lo so, perché non tutta la popolazione è già pronta per un cambiamento così radicale. 

D. – Uno Stato governato da una monarchia assoluta di stampo islamico che però gioca un ruolo importante nello scacchiere internazionale: pensiamo per esempio alla Siria, pensiamo allo Yemen. Questo Paese ha un ruolo di spicco quindi …

R. – Ma sì, soprattutto ricordiamoci che è uno dei Paesi più ricchi del mondo. Il petrolio lo rende protagonista in diversi modi. Già soltanto questo basta a giustificare, a capire che sia il Paese che muove le fila di tutta la regione mediorientale.

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Colloqui di pace in Siria: c'è intesa tra opposizioni ma senza Al Nusra

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“Massima fermezza in Siria contro ogni forma di minaccia”. Così il Presidente russo Putin ai suoi militari rivendicando “un cambiamento qualitativo della situazione” sul terreno grazie ai successi dell’aviazione e della marina contro i jihadisti del sedicente Stato Islamico. Intanto buone notizie arrivano dall’Arabia Saudita. Alcuni gruppi dell’opposizione al regime di Assad hanno trovato un ‘intesa e si presenteranno unite ai colloqui previsti a gennaio con il governo di Damasco. Il valore di questo passo per il futuro del Paese, nell’analisi di Pietro Batacchi direttore della Rivista Italiana Difesa . L’intervista è di Gabriella Ceraso: 

R. – Tutti i gruppi, che in qualche misura fanno capo a Turchia, Arabia Saudita e Qatar, hanno accettato l’impostazione del cessate-il-fuoco e del dialogo con il regime. Questo di fatto è un compromesso, perché fino ad ora gran parte dell’opposizione siriana non accettava neanche che Assad si presentasse ai colloqui di pace. Tutto bello? Direi di no, perché c’è un convitato di pietra che è al-Nusra.

D. – Quindi il personaggio principale non c’è?

R. – E soprattutto il personaggio militarmente, sul terreno, più forte, che ha consentito alla cosiddetta opposizione siriana di ottenere quei successi che sono stati ottenuti per tutto il 2015.

D. – Ci dobbiamo immaginare, dunque, un dialogo tra regimi e opposizioni così mancanti, ma anche con questa minaccia di indebolimento da parte del braccio ufficiale di al-Qaeda?

R. – A mio avviso, dobbiamo immaginarci uno schema che vede il regime trattare con una parte dell’opposizione. Allo stesso tempo, però, questi soggetti e il regime stesso dovranno confrontarsi non solo con Isis, con lo Stato Islamico, come è accaduto fino adesso, ma anche con la stessa al-Nusra. E questo porterà ad un’ulteriore complicazione della situazione sul terreno, a mio avviso, e soprattutto porterà un vantaggio allo stesso regime.

D. – Questo accordo, questa dichiarazione unitaria, faciliterà in qualche modo il processo diplomatico di Vienna o sono invece due cose indipendenti?

R. – Sono a mio avviso due cose indipendenti, nel senso che un elemento fondamentale per uscire fuori dal carnaio siriano è un accordo non tanto tra il regime e le opposizioni, quanto piuttosto tra i due soggetti esterni, che sono stati protagonisti di questa crisi, ovvero l’Arabia Saudita da un lato e l’Iran dall’altro. In questo senso uno schema potrebbe essere quello del Libano, che è stato di fatto negoziato nel 2008, durante l’ultima crisi nel Paese, e che ha consentito di arrivare ad un governo di unità nazionale, che tutto sommato tiene, sta tenendo e ha tenuto fino ad ora. Per la Siria si potrebbe immaginare uno scenario del genere, con una differenza di fondo, perché buona parte dell’opposizione siriana, anche non qaedista, è comunque di matrice apertamente radicale, islamista e jihadista. Su questo, quindi, è bene essere chiari, è bene non farsi troppe illusioni.

D. – E circa il terreno, nella dichiarazione finale di questi gruppi di opposizione ci sono delle richieste: stop alle condanne a morte, rilascio di prigionieri, fine anche di tutti gli assedi che sono nelle città controllate dagli antigovernativi e poi via libera ai convogli umanitari. Queste misure avranno un seguito? Chi dovrà risponderne?

R. – Guardi, se c’è un cessate-il-fuoco credo che queste misure di cui parlava potranno venire da sé. Il problema è chi poi va a garantirlo, perché comunque ci saranno sicuramente soggetti che non rispetteranno questo cessate-il-fuoco. E lì allora si può parlare, si può pensare, ipotizzare anche una missione di stabilizzazione che per forza di cose dovrà essere sotto l’egida dell’Onu e prevedere comunque una larga partecipazione di Paesi arabi, eventualmente anche dell’Iran e della Turchia.

D. – Perché questa intesa, anche se lei ha sottolineato manca al-Nusra, piace agli americani?

R. - Perché probabilmente potrebbe consentire di isolare al-Nusra. Io ritengo di no, perché in qualche misura potrebbe rafforzare il regime. Chiaramente ora non contribuisce a semplificare la situazione.

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Salvabanche. Vescovo Arezzo: soluzione per piccoli risparmiatori

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Il decreto salvabanche. Per il premier Renzi, la riforma del sistema del credito è quanto mai urgente, “come abbiamo visto non solo nelle ultime ore ma nell'ultimo anno con la riforma delle popolari”. Anche per il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, l'Italia ha bisogno di un sistema finanziario sano ed efficiente. Intanto, ad Arezzo i risparmiatori di Banca Etruria continuano a riunirsi per capire come ottenere il rimborso delle loro obbligazioni strutturate. Alessandro Guarasci ha sentito l’arcivescovo della città, mons. Riccardo Fontana

R. – La gente si è fidata perché è la banca del territorio per eccellenza. Mi interessano i poveri che hanno investito la loro liquidazione. Un portatore di handicap che ha messo tutti i soldi che gli hanno lasciato per sopravvivere, c’è un curatore, è tutto sparito. C’è molta preoccupazione da parte della nuova gestione che capisce questi problemi. Un conto è se sono operazioni finanziarie di alto livello, un conto sono i poveri che vanno difesi in qualche modo. Il risultato di tutto questo è una grandissima pena, no? Come tutti sanno.

D. – Come ne sta risentendo il territorio, la città, in questo momento?

R. – La gente prova grande sofferenza e rabbia. È delusa, e anche gli operatori della banca ai livelli più bassi che hanno eseguito l’ordine credendo di consigliare bene ora si sentono accusati. La sofferenza economica dei poveri diventa anche una cosa che coinvolge tutti gli aspetti della vita sociale. La Chiesa esprime l’auspicio che si trovi una soluzione per risolvere almeno le situazioni dei piccoli risparmiatori che sono state messe in difficoltà.

D. – In qualche modo, è a rischio anche la tenuta sociale ad Arezzo?

R. – No, non esageriamo. È a rischio la situazione di queste persone che hanno riposto la loro fiducia nelle istituzioni. Però, sono sicuro che la governance della banca attuale abbia ogni migliore intenzione per risolvere la situazione. Chi ha podestà di trovare le soluzioni deve farlo perché la gente soffre molto.

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Mons. Gallagher: la comunità internazionale aiuti i cristiani perseguitati

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"La terribile situazione di tanti cristiani perseguitati esige la nostra solidarietà, ed esige pure un'azione politica da parte della comunità internazionale per cercare di rimediare". Così l'arcivescovo Paul Richard Gallagher, responsabile vaticano per i Rapporti con gli Stati, che oggi partecipa alla conferenza Med 2015, ha aperto ieri pomeriggio a Roma alla Pontificia Università Urbaniana, la sessione inaugurale del convegno “Sotto la spada di Cesare: la risposta cristiana alla persecuzione”, che nasce da un progetto di collaborazione tra due istituzioni universitarie internazionali, impegnate nell’analizzare le violazioni della libertà religiosa. Il servizio di Marina Tomarro: 

Far sentire la vicinanza della Chiesa a quei cristiani che soffrono la persecuzione in Medio Oriente,  aiutandoli a non sentirsi abbandonati  nella loro situazione di dolore. E’ questo uno degli obiettivi dell’incontro ”Sotto la spada di Cesare”. L'arcivescovo Paul Richard Gallagher, responsabile vaticano per i rapporti con gli Stati:

R. – Questa situazione dei cristiani è terribile, evidentemente! Però è terribile anche la situazione di tante altre popolazioni del Medio Oriente. I cristiani partecipano, in modo particolare, alle sofferenze di queste popolazioni in questo mondo che è soggetto a conflitti, a bombardamenti, a persecuzioni. Una situazione che esige la nostra solidarietà e esige anche un’azione politica da parte della Comunità internazionale per cercare di rimediare. Bisogna lavorare in questo senso, cercando di portare soluzioni politiche in Siria, in Medio Oriente e che permettano anche di aiutare quei Paesi – come il Libano e la Giordania – che hanno il peso tremendo dei rifugiati in questo momento.

Ma portare aiuto ai cristiani non vuol dire ricorrere ad interventi armati. Ascoltiamo ancora l’arcivescovo Gallagher:

R. – Evidentemente la Santa Sede promuove il dialogo, promuove una soluzione diplomatica e politica. Crediamo che dobbiamo tentare il tutto per tutto in questo senso.

E anche l’attuale situazione in Libia, dove molti cristiani sono fuggiti desta forte preoccupazione; ascoltiamo ancora l’arcivescovo Gallagher che oggi partecipa anche alla conferenza Med 2016, dove si parla anche della crisi libica:

R. – Certamente la situazione in Libia ci preoccupa e non solo perché è così vicina all’Europa, ma anche perché – come sempre - la Santa Sede, e il Santo Padre in particolare, si preoccupa per la popolazione libica e delle sue sofferenze. La situazione dei cristiani è disastrosa, dopo la caduta di Gheddafi: sappiamo che la Chiesa in Libia ruotava tutta attorno alle comunità delle religiose ed evidentemente con la loro partenza, la  nostra comunità ha perso tutti i suoi punti di riferimento. La sua vita è molto minacciata

E uno dei Paesi dove i cristiani sono maggiormente perseguitati a causa della presenza delle milizie jihadiste del sedicente Stato Islamico è l’Iraq. Ascoltiamo la testimonianza di Louis Raphael I Sako Patriarca di Babilonia dei Caldei:

R. – E’ una situazione molto  brutta, molto critica: c’è sempre violenza un po’ dappertutto, c’è anarchia, non c’è un’autorità, non c’è ordine; il governo è debole… Il Paese è quasi diviso geograficamente. E dove non c’è unità, qual è il futuro? Questi gruppi terroristici distruggono tutto, la pietra e la vita, tutta la cultura: ciò che non è in accordo con la loro visione, è finito! Non c’è una azione seria per sconfiggere questa ideologia. Anche bombardare questi jihadisti non basta! Non è una soluzione! Ci vuole una azione internazionale per cacciare via l’Is. Poi, forse, dopo possiamo sconfiggere l’ideologia… Questa è responsabilità dei Paesi musulmani, con nuovi programmi di educazione religiosa, con una maggiore apertura e con una nuova cultura. Questo è un po’ difficile…

D. – Beatitudine, nel suo intervento, ha delineato anche dei punti urgenti per il suo Paese. Quali sono?

R. – Se c’è un futuro per tutti – per i cristiani e per i musulmani – è quello della cittadinanza: dunque la separazione della religione dallo Stato, perché la religione è una cosa personale e la politica è caratterizzata, invece, da interessi e questi cambiano… Se c’è un futuro per tutti è quello di un regime civile. Ma penso che sia molto difficile, perché non c’è volontà.

D. – Le Nazioni Unite che ruolo dovrebbero avere, secondo lei?

R. – Dovevano essere più seri e più forti e dovevano spingere questi Paesi a rispettare i diritti dell’uomo!

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Cristiani perseguitati, Jrs lancia “Putting Mercy in Motion"

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Un impegno di educazione globale per fornire istruzione a 220 mila rifugiati entro il 2020. E’ quanto si propone il programma “Putting Mercy in Motion” del Servizio dei Gesuiti per i Rifugiati (Jrs), che da 35 anni lavora in oltre 60 Paesi del mondo. L’iniziativa, che punta a raccogliere 35 milioni di dollari da privati e istituzioni, è stata presentata oggi nella sede della nostra emittente. Il servizio di Michele Raviart

“Putting Mercy in Motion”. Misericordia in moto. Dalle parole di Papa Francesco secondo cui “la misericordia di Dio non è un’idea astratta, ma una realtà concreta”, il Jrs è andato alla ricerca della sua vocazione, che è quella di educare chi è costretto a vivere da rifugiato, sia per meglio integrarsi nei Paesi dove è ospitato sia per avere la possibilità di ricostruire il tessuto sociale dei Paesi d’origine una volta che l’emergenza sia finita. “Noi crediamo profondamente che l’istruzione sia qualcosa che può trasformare le persone e le comunità”, spiega padre Thomas Smolich, direttore internazionale del Jrs, che ribadisce:

“Il Papa ci ha invitato a partecipare a questo Giubileo e la maniera in cui il Jrs può farlo è l’educazione, specialmente l’educazione dei ragazzi che molto spesso non hanno questa opportunità”

L’educazione è l’anello debole degli investimenti in politiche umanitarie, anche se è fondamentale quanto cibo, salute e sicurezza. Già 120 mila persone ricevono i servizi educativi dell’Jrs, principalmente in Africa e in Siria ,Libano e Giordania. L’obiettivo è quello di raggiungere altre 100 mila persone in cinque anni, focalizzandosi sui ragazzi tra i 13 e i 20 anni. Amaya Valcàrcel, responsabile dell’Jrs:

“In primo luogo vogliamo concentrarci sull’educazione dei ragazzi, perché è la popolazione che ha meno attenzione. In secondo luogo, ci sono i maestri, quindi vogliamo offrire una formazione continua per far sì che l’educazione che offrono sia di qualità. Noi pensiamo che l’educazione non sia solo stare in classe, ma avere valori, avere educazione nella pace e una formazione accademica solida. In terzo luogo, vogliamo concentrarci sull’accesso dei ragazzi all’università. Noi abbiamo delle università negli Stati Uniti che vogliono offrire dei corsi online ai rifugiati nei campi profughi. Questo vogliamo fare di più”.

“Per i bambini costretti ad emigrare i banchi sono spazi di libertà”, ha detto Papa Francesco lo scorso 14 novembre, ricevendo in udienza proprio i membri del Servizio dei Gesuiti per i Rifugiati. Per quelli che rimangono nei Paesi martoriati dalla guerra, infatti, andare a scuola diventa sempre più difficile, come racconta Samer Afisa, arrivato in Italia un mese fa da Damasco.

“C’è una scuola nella zona della città vecchia a Damasco, che è stata colpita da un missile proprio mentre i bambini stavano a giocare. E’ stata una tragedia. Più di 100 bambini sono stati ricoverati all’ospedale. Nonostante ciò, si cerca di vivere regolarmente, si pensa di poter vivere, ma la situazione è molto dura. Negli ultimi tre giorni, non c’è più elettricità a Damasco. All’inizio dell’anno scolastico, hanno cercato di regalare a tutti i bambini lo zaino, i quaderni, le matite, per farli andare a scuola, ma molti hanno paura”

In Italia, il Jrs si identifica con il Centro Astalli di Roma, che nel 2014 ha aiutato oltre 20 mila persone tra rifugiati e richiedenti asilo. Oltre 25 mila, invece gli studenti che partecipano alle attività culturali del centro. Tra di loro, c’è Aweis Ahmed, che dalla Somalia ha rischiato la vita attraversando il deserto e il Mediterraneo:

“Quando ho conosciuto il Centro Astalli, mi sono sentito accolto. Mi hanno aiutato fino a quando non ho trovato un lavoro. I primi sei mesi mi hanno aiutato a pagare l’affitto. Mi hanno aiutato tantissimo. In Italia sono stato sei mesi per aspettare i documenti, poi sono andato via in Olanda perché dormivo in strada. Dopo due anni sono ritornato in Italia… andavo alla Caritas per mangiare, dormivo in strada, non lavoravo, nessuno mi parlava e nessuno si interessava di me. Tramite il Centro Astalli, ho cominciato a conoscere gli italiani e sapere come vivono”.

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Adozioni gay: aggirati i principi dell’ordinamento italiano

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E’ efficace e legittimo anche in Italia il provvedimento con cui una donna ha adottato in Spagna la figlia della sua compagna. Lo ha stabilito la Corte d’Appello di Milano ribaltando il precedente pronunciamento del Tribunale dei Minorenni. La sentenza ha suscitato forti polemiche anche dal mondo della politica. Il servizio di Amedeo Lomonaco: 

Per i giudici non è “contrario all'ordine pubblico” un provvedimento, autorizzato in un altro Paese, che riconosce “un rapporto di adozione piena tra una persona e il figlio del partner anche dello stesso sesso”. In primo luogo va valutato “l'interesse superiore del minore al mantenimento della vita familiare".

Adozione piena e legittima
Con queste motivazioni la Corte d’Appello di Milano, con una controversa sentenza, ha riconosciuto “piena e legittima” l’adozione. Il caso riguarda una coppia composta da due donne italiane. Nel 2003 una delle due, con una fecondazione eterologa, ha partorito una bambina, in seguito adottata in Spagna dalla compagna della madre biologica.

Ribaltata la decisione del Tribunale dei minorenni
Le due donne, che si sono sposate nel 2009 in Spagna, hanno poi divorziato. Lo scorso anno si sono rivolte al Tribunale per i Minorenni di Milano chiedendo il riconoscimento, anche in Italia, dell’ordinanza di adozione spagnola. Ma i giudici hanno respinto questa istanza. La decisione è stata successivamente ribaltata.

Per i giudici rispettato il progetto di genitorialità
Dopo il ricorso in appello, è arrivata infatti la sentenza nella quale la Corte stabilisce che l’adozione è conforme anche per la legge italiana. La bambina – scrivono i giudici – è stata amata, educata e curata da entrambe le donne “che hanno realizzato l’originario progetto di genitorialità condivisa”.

La sentenza è in realtà in contrasto con l’ordinamento italiano e si richiama a pronunciamenti di altri Paesi. E’ una decisione che può portare verso direzioni contrarie ai principi e ai valori fondanti della Costituzione italiana. E’ quanto sottolinea, al microfono di Amedeo Lomonaco, il giurista Alberto Gambino

R. – E’ in contrasto con quello che viene ritenuto il cosiddetto ordine pubblico interno, cioè principi fondanti della nostra adozione. Tuttavia i giudici ritengono che poiché di fatto in altri ordinamenti, come quello spagnolo, è ammesso invece avere dei genitori adottivi dello stesso sesso, a questo punto essendo uno Stato di fatto, anche l’ordinamento italiano deve far entrare questa novità. Questo però mette in discussione anche la libertà degli ordinamenti di legiferare, secondo propri principi ispiratori. In qualche modo noi stiamo importando valori, principi, norme che non ci appartengono.

D. – A quali altre derive giuridiche può portare questa sentenza?

R. – Può portare al fatto che da un caso eccezionale ci si avvicini, sempre di più, invece alla normalità. Potrebbe essere che altri giudici diranno che non c’è più nessuna differenza tra l’adozione da parte di una coppia di sesso diverso e di una coppia dello stesso sesso.

D. – Ed è anche un incoraggiamento, per le coppie omosessuali, a richiedere l’adozione all’estero perché poi si può ottenere l’automatico riconoscimento in Italia…

R. – E’ questo il punto più delicato, proprio perché si aggirano i principi dell’ordinamento italiano, andando all’estero dove invece principi e regole sono altri. Invece i giudici dovrebbero rispettare questa barriera all’ingresso di un ordinamento sovrano, che non ha fatto propri quei valori. Questo va davvero contro una libertà degli ordinamenti. Tra l’altro questo tema è salvaguardato anche a livello europeo dove non si è mai ritenuto che gli ordinamenti debbano conformarsi nella materia familiare a quelli che sono principi comuni. Ogni ordinamento può decidere in base al proprio ethos, ai propri valori fondanti, in base alla propria Carta costituzionale.

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Stop pubblicità su gioco d'azzardo, presentato emendamento Legge Stabilità

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Stop alle pubblicità sul gioco d’azzardo: è il segnale positivo dell’emendamento del governo alla legge di Stabilita' sui giochi, ancora da approvare ma consegnato alla commissione Bilancio della Camera. Il divieto riguarda la messa in onda sulle televisioni generaliste dalle 7 di mattina fino alle 22 di spot di giochi con vincite in denaro. Ancora esclusi dalla limitazione emittenti specializzate e lotterie nazionali. Veronica Di Benedetto Montaccini ha intervistato Luca Borgomeo, presidente dell’associazione telespettatori cattolici Aiart: 

R. – Finalmente si è compreso che è immorale fare pubblicità a qualcosa che crea disagio, miseria, disperazione in tanti milioni di persone. È un segnale molto positivo, ma per essere sereni dobbiamo aspettare che lo specifico comma dell'emendamento sia approvato, perché c’è anche il rischio che le lobby dell’azzardo - che sono molto forti -  riescano ancora una volta a bloccare questa iniziativa.

D. – Nell’emendamento si legge che si escludono da questa limitazione le comunicazioni indirette, ovvero quelle che parlano di gioco ma sponsorizzate nei settori della cultura e dello sport. Che tipo di comunicazione hanno queste pubblicità?

R. - È chiaro che questa forma indiretta è subdola e ambigua. Non faccio nomi ma è eclatante l'esempio che sta circolando adesso della pubblicità fatta per vietare  il gioco d’azzardo ai minori, che è certamente un fatto positivo dal punto divista del messaggio, ma che nasconde l’insidia, perché indirettamente si fa pubblicità al gioco d’azzardo stesso. Chiunque si rende conto che dietro questa iniziativa c’è indirettamente la volontà di pubblicizzare il marchio, l'azienda. Dispiace che questa operazione sia fatta non solo con le sigle di alcune associazioni che evidentemente si prestano, ma è favorita soprattutto dal monopolio di Stato, che ricordiamo è una struttura pubblica!

D. – Mi può spiegare il giro d’affari che c’è dietro agli spot del gioco d’azzardo? E quanto il gioco fa guadagnare lo Stato?

R. - È il motivo per cui le posizioni dello Stato, del governo, sono sempre state molto ambigue: perché da un lato riconoscono la necessità di limitare il gioco d’azzardo e quindi di eliminare ciò che lo incentiva, ovvero la pubblicità; dall’altro sono preoccupati di vedere ridurre un gettito che comunque arriva da questo gioco. Siamo sull’ordine di miliardi di euro. Più precisamente 8 miliardi di euro l'anno nelle casse dello Stato grazie al gioco legale. Dietro il business del gioco d'azzardo però si nascondono anche traffici illeciti; buona parte del gioco è nelle mani della criminalità organizzata. Mentre una televisione privata può fare una valutazione d’ordine strettamente commerciale e mercantile, la Rai, servizio pubblico, finanziato anche dai cittadini attraverso il canone, non può prescindere da queste valutazioni di ordine morale!

D. – Secondo lei perché la pubblicità per il fumo è vietata e quella per il gioco d’azzardo no?

R. – Di recente c’è stato uno spot molto forte da parte della presidenza del Consiglio che recitava: “Chi fuma è scemo”. Io mi permetterei di dire che chi gioca è più scemo di chi fuma! Non c’è dubbio che il gioco d’azzardo fa più male alla persona e alla collettività rispetto al fumo.

D. – Quali sono le conseguenze del gioco? Che cos’è la ludopatia?

R. – Il gioco d'azzardo provoca una forte dipendenza e porta all'isolamento e alla depressione. Non ci si pensa ma ci sono anche tante mamme che si ritrovano davanti alle slot machines. La pubblicità propone di tutto; lo fa attraverso i grandi testimonial, i grandi progetti quando mettono in palio una casa, una pensione per sempre, addirittura. Toccano tutte le corde possibili dell’interesse e speculano sulle condizioni della povera gente. Non è un caso che al Sud si giochi più che al Nord; non è un caso che dove c’è maggiore miseria e disperazione si rincorra la speranza di qualcosa che possa cambiare la vita della persona, ecco perchè va vietata la pubblicità che incita ad entrare in questo vortice.

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Nella Chiesa e nel mondo



Giubileo. "Le Porte della misericordia" in Cina

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In Cina le comunità cattoliche, dopo essersi a lungo preparate, stanno vivendo intensamente l’apertura dell’Anno Santo straordinario della Misericordia, in comunione con la Chiesa universale e con Papa Francesco che lo ha indetto. Alla luce della Bolla di indizione del Giubileo, Misericordiae vultus, diffusa e meditata nelle scorse settimane, molti vescovi hanno scritto una loro lettera pastorale sull’argomento. Le singole comunità hanno intensificato l’impegno spirituale con i pellegrinaggi, la partecipazione alla Messa e agli incontri di preghiera, oltre a collegare il tema della misericordia con la realtà della propria comunità. In programma anche le opere di misericordia raccomandate dal Papa: visite ai malati, agli anziani, ai disabili, agli orfanotrofio. Secondo quanto riferisce l’agenzia Fides, nella maggior parte delle diocesi e comunità ecclesiali di base della Cina continentale si sono svolte le celebrazioni che hanno avviato l’Anno Santo della Misericordia.

Giubileo nella diocesi di Zhou Zhi
Oltre 5 mila fedeli della diocesi di Zhou Zhi, della provincia dello Shaan Xi, hanno partecipato all’apertura dell’Anno Giubilare presieduta dal vescovo ordinario mons. Wu Qin Jing, l’8 dicembre, con l’apertura della “Porta della misericordia” della cattedrale. Nella stessa diocesi, il 12 e 13 dicembre saranno aperte le porte della misericordia del santuario della Croce e del santuario dedicato a Nostra Signora della Cina. 

Apertura delle Porte Sante in altre diocesi cinesi
Analogo rito si è svolto in tante altre diocesi della Cina continentale, tra cui la diocesi di San Yuan, Wen Zhou della provincia di Zhe Jiang, la diocesi di Zheng Zhou della provincia di He Nan, la diocesi di Zhan Jiang della provincia di Guang Dong, Cheng Du della provincia di Si Chuan, Jiang Xi.

Giubileo ad Hai Mennel segno dell'inculturazione
La diocesi di Hai Men, nella provincia di Jiang Su, ha scelto l’inculturazione come tema della celebrazione diocesana dell’Anno della Misericordia, unendo così l’Anno Santo straordinario alla celebrazione giubilare per i 200 anni dell’evangelizzazione della regione e per i 90 anni dell’erezione della diocesi. La porta della misericordia della cattedrale e del santuario mariano della diocesi saranno aperte il 13 dicembre.

Giubileo ad Ha er bin: misericordia ed amore per i poveri
Nella sua lettera pastorale intitolata “Dio, ricco di misericordia” (Ef 2,4), l’amministratore apostolico della diocesi di Ha er bin ha sottolineato l’importanza di “guardare il volto del Singore” e che “misericordia è anche inclusione”, senza dimenticare che “la misericordia ha bisogno di pentimento per l’indifferenza verso i deboli”. (N.Z.)

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Sud Corea: al centro del Giubileo giovani e martiri

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L'Anno Santo della Misericordia in Corea sarà vissuto nel segno dei giovani e dei martiri. La Chiesa coreana sta preparando, infatti, diverse iniziative che, pur coinvolgendo l'intera compagine ecclesiale, hanno i giovani come protagonisti. Come riferisce all'agenzia Fides l'ufficio comunicazione dell'arcidiocesi di Seul, il 13 dicembre l'arcivescovo di Seul, il card. Andrew Yeom Soo-jung celebrerà il Rito di apertura della Porta della Misericordia nella cattedrale di Myeongdong. La Porta si trova sul lato destro dell'edificio e per il Giubileo è stata adornata con una speciale decorazione dell'arco sul portale.

Per i giovani: Sacramento della Riconciliazione e Festival di musica
Inoltre dal 15 al 17 dicembre la cattedrale di Seul sarà animata da un Festival di musica dedicato ai giovani, con l'intento di “portare la gioia del Giubileo della Misericordia ai giovani cattolici o non cattolici, attraverso la musica”, recita una nota dell'arcidiocesi. Il 18 dicembre l'arcidiocesi di Seul offre ai giovani cattolici e a tutti i battezzati una speciale opportunità di partecipare al Sacramento della Riconciliazione: nella mattinata 30 tende saranno allestite nel piazzale antistante la cattedrale di Myeongdong, con i sacerdoti pronti ad amministrare il Sacramento della Confessione.

“Percorsi di pellegrinaggio” nei luoghi sacri per lucrare l'indulgenza
L'arcidiocesi di Seul ha lanciato già nel 2013 anche i “percorsi di pellegrinaggio”, che collegano le chiese e i luoghi sacri all'interno della città. Durante il Giubileo della Misericordia, quanti compiranno il pellegrinaggio per visitare uno dei luoghi sacri potranno lucrare l'indulgenza plenaria.

Porte della Misericordia nei santuari dedicati ai Martiri
Una speciale apertura della Porta della Misericordia riguarderà, inoltre i diversi santuari dei Martiri presenti in Corea. Il 2016 segna, infatti, il 150° anniversario della persecuzione di Byeong-a (avvenuta nel 1866), la persecuzione più letale nella storia della Chiesa cattolica coreana. Per fare memoria di questo evento, il 23 febbraio - giorno in cui iniziò la persecuzione - le porte della Misericordia sai apriranno nei diversi santuari dedicati ai martiri che si riferiscono a quella persecuzione: il santuario di Saenamteo, quelli di Seosomun e Jeoldusan, la chiesa di Yakhyeon. (P.A.)

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Argentina: l'Anno della Misericordia si apre al carcere 39

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L'Anno Santo della Misericordia si è aperto anche nel carcere n. 39 della città di Ituzaingó, che appartiene alla grande Buenos Aires. Mons. Luis Guillermo Eichhorn, vescovo della diocesi di Moron, ieri pomeriggio ha aperto la Porta della Misericordia nell'Istituto penale. L'agenzia Fides riferisce che la celebrazione si è svolta in due padiglioni del carcere, situato nel quartiere di San Alberto della città di Moron, e vi hanno partecipato molti fedeli della diocesi, familiari dei detenuti, fedeli della parrocchia vicina e personale dell’amministrazione del penale, oltre naturalmente ai detenuti.

L'impegno cristiano della carità e la vicinanza ai più abbandonati
"Anche la porta di una cella della prigione può diventare una Porta Santa, lo ha detto il Papa, quando un pellegrino chiede pietà e misericordia a Dio" ha sottolineato il vescovo, ricordando l'impegno cristiano della carità e la vicinanza ai più abbandonati. Benché l'inaugurazione dell'Anno della Misericordia nella diocesi di Moron avrà luogo domenica prossima, 13 dicembre, il vescovo ha voluto compiere questo "gesto forte" per incentivare l'impegno cristiano di tutti fedeli. (C.E.)

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Terra Santa: a Cremisan confisca di terre e ulivi sradicati

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Sono passati cinque mesi da quando la terra nella zona di Beir Onah, accanto al monastero di Cremisan, è stata confiscata dallo Stato di Israele. Ad agosto, i bulldozer hanno sradicato 50 ulivi di oltre 1500 anni per continuare la costruzione del Muro di separazione. Un resoconto degli ultimi sviluppi del “caso Cremisan”, connesso alla costruzione del muro di separazione imposto dalle autorità israeliane e costruito in buona parte su terre palestinesi, è stato diffuso dai media ufficiali del Patriarcato latino di Gerusalemme. Alla vicenda fa riferimento anche padre Aktham Hijazin, parroco di Beit Jala, nella lettera di Natale diffusa tra i suoi parrocchiani.

L'esercito israeliano vieta la raccolta delle olive e sradica gli ulivi secolari
In questi ultimi tre mesi - si legge tra l'altro nel resoconto ripreso dall'agenzia Fides - sono state sospese sia le manifestazioni di protesta, sia la recita del Rosario e le celebrazioni liturgiche che si svolgevano ogni settimana nei pressi del Muro di separazione, a causa della violenza e delle tensioni in Terra Santa e per garantire la sicurezza delle persone. Lo scorso ottobre, le forze di difesa israeliane hanno proibito agli agricoltori e ai contadini nella regione di Beir Onah la raccolta delle olive, applicando all'area la definizione di “zona militare chiusa”, mentre i bulldozer israeliani hanno continuato lo sradicamento degli ulivi.

L’amore è la via della pace tra palestinesi e israeliani
Nella sua lettera di Natale, padre Hijazin afferma che i proprietari terrieri di Beir Onah e quelli che vivono la stessa situazione di Beit Jala versano in una situazione disperata. Ribadisce che lo sradicamento degli olivi e la confisca delle terre impediscono ai proprietari di accedere alle loro proprietà, e che occorre fare ogni tentativo possibile per fermare con mezzi legali la costruzione del muro di separazione, che serve a “acquisire più territorio e non serve per la sicurezza di Israele”. Quest’anno – scrive nella sua lettera il parroco latino di Beit Jala - il mio messaggio per il Natale è quello di cercare l’amore e la misericordia. L’amore di Dio e la Salvezza. Chiedo alle persone di amarsi, perché l’amore è la via della pace tra palestinesi e israeliani”. (G.V.)

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Siria: l'angoscia dei giovani cristiani di Aleppo

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Ad Aleppo, “in questo tempo di Avvento, per noi tutto assomiglia all’attesa di più di 2000 anni fa. Un’attesa piena di domande. Un domani che non arriva”. Così scrive il frate marista George Sabe nella sua ultima “lettera da Aleppo”, il messaggio inviato periodicamente a amici e conoscenti per aggiornarli sulle condizioni della città martire e della comunità ecclesiale locale. “I nostri giovani” scrive fratel George, nel testo ripreso dall'agenzia Fides, “vivono angosciati. Cercano di partire, di lasciare questo inferno senza scampo. I genitori vengono a chiedere consiglio. Cosa dire? Che risposta dare quando il quadro appare sempre più minaccioso e angosciante?”

La fuga dalla guerra di molte famiglie cristiane
Quattro anni di guerra fanno sorgere anche nei pochi cristiani rimasti, domande vertiginose: “molte famiglie attorno a noi partono” riferisce il religioso, “e sono erranti come la coppia e il loro figlio di 2000 anni fa. Essi andavano per le vie del mondo alla ricerca di non si sa quale paese sicuro. Lungo la loro strada scoprono che la sola certezza che potevano vivere è la loro fede in Dio. Al giovane che un giorno mi ha chiesto: 'Frère, stiamo vivendo la fine dei tempi?' io ho risposto: spero che stiamo vivendo la fine dei tempi dell’odio”. 

Dai religiosi cibo, latte, medicinali e vestiti per il Natale
La risposta a domande e paure rimane affidata soprattutto ai gesti di carità messi in atto dai religiosi per cercare di venire incontro ai bisogni di tutti. I Fratelli Maristi – riferisce fratel George - continuano a distribuire ogni mese i panieri alimentari e si preparano a distribuire vestiti e scarpe per Natale. Prosegue anche il progetto “goccia di latte”, che consiste nella distribuzione a tutti i bambini al di sotto dei 10 anni, di latte in polvere o latte per i neonati; mentre il programma di aiuto sanitario offre sostegno a molti malati, e il progetto “Feriti civili di guerra” continua a salvare la vita di numerose persone ferite dalle esplosioni dei colpi di mortai che cadono quotidianamente sui quartieri di Aleppo. (G.V.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIX no. 345

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti.