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Sommario del 07/12/2015

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Nella Solennità dell'Immacolata il Papa apre il Giubileo della Misericordia

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Nove mesi fa, era il 13 marzo di quest’anno, Papa Francesco annunciava alla Chiesa e al mondo l’intenzione di indire un Anno Santo straordinario della misericordia. Un mese dopo, l’11 aprile, l’indizione era ufficializzata dalla consegna della Bolla Misericordiae Vultus", letta alla presenza del Papa davanti alla Porta Santa chiusa della Basilica di San Pietro. La stessa Porta che nella Solennità dell'Immacolata Francesco aprirà, alla presenza del Papa emerito Benedetto XVI, dando inizio al Giubileo che si concluderà il 20 novembre del 2016. Alessandro De Carolis ricorda nel suo servizio il significato e i momenti salienti della cerimonia che sarà trasmessa in mondovisione a partire dalle 9.30: 

Il segno più bello è che alla paura che di recente ha sbarrato tante porte e finestre, al terrore che ha lasciato su di esse le stigmate dei proiettili, al senso di insicurezza e ai sentimenti di odio che l’una e l’altro stanno instillando nel cuore di tanta gente, risponderà un’altra porta più grande, anch’essa fatta per le folle, che si spalancherà per dire a chiunque – come ripetuto all’infinito dal Papa Francesco – che se c’è chi, sfregiando il nome di Dio, lascia dietro di sé una scia di vendetta e di morte spacciandole come sacre, nella casa di Dio di sacro c’è solo lo spazio per un perdono che non si stanca mai e per un abbraccio di pace che spera sempre.

Un anno di gioia e perdono
“Donaci di vivere un anno di grazia”, dirà Papa Francesco davanti alla Porta Santa prima di poggiare la mano sui battenti e aprire l’Anno Santo della misericordia. Il bisogno aumentato di sicurezza indotto dall’ultimo dramma di Parigi, e in generale da mesi di cronache insanguinate sulla guerra “a pezzi”, ha costretto a blindare anche il percorso per antonomasia più pacifico che esista, il pellegrinaggio verso un luogo sacro. Ma il pellegrinaggio giubilare che Francesco inizierà per primo vorrà essere – e il Papa lo ricorderà una volta entrato in Basilica e giunto davanti all’Altare della Confessione – un’esperienza “viva” di gioia, della “tenerezza paterna” di Dio.

Giubileo nel solco del Concilio
Il momento clou dell’apertura della Porta Santa avverrà dopo la comunione della Messa che Francesco presiederà in Piazza San Pietro. L’8 dicembre 2015 ricorda anche i 50 anni dalla fine del Vaticano II. Per questo la celebrazione sarà introdotta dalla lettura di alcuni brani delle quattro Costituzioni conciliari (Dei Verbum, Lumen gentium, Sacrosanctum concilium e Gaudium et spes), e da due brani rispettivamente di Unitatis redintegratio sull’ecumenismo e Dignitatis humanae sulla libertà religiosa. L’eredità del Concilio sarà peraltro simboleggiata da un gesto speciale: sullo stesso tronetto sul quale, durante tutte le sessioni di lavoro di 50 anni fa, veniva poggiato l’Evangeliario sarà collocato quello appositamente preparato per l’Anno Santo dall’artista gesuita, padre Marco Ivan Rupnik.

Benedizione dalla tomba di Pietro
Una volta completata la prima processione giubilare attraverso la Porta Santa, sulla tomba di Pietro Papa Francesco svolgerà il rito conclusivo della Messa impartendo la sua benedizione, per poi raggiungere la finestra del suo studio e affacciarsi a mezzogiorno per la recita dell’Angelus.

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Il Giubileo nella storia: via di riconciliazione e di grazia

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Un grande evento religioso, un tempo di grazia per la remissione dei peccati e la comunione fraterna. E’ questo l’orizzonte temporale e spirituale del Giubileo, un periodo speciale per la riconciliazione e per la conversione. L’Anno Santo può essere ordinario, come avvenuto fino ad oggi 26 volte, o straordinario come si è verificato oltre 90 volte. Amedeo Lomonaco ne ripercorre in sintesi la storia: 

La storia del Giubileo si lega alla tradizione ebraica che fissava, ogni 50 anni, un anno santo durante il quale venivano sospesi i lavori nei campi, restituite le terre confiscate e liberati gli schiavi. La tromba con cui si annunciava era un corno d’ariete, che in ebraico si dice “Yobel”, da cui deriva la parola Giubileo.

Giubileo, anno di Cristo
Nel cristianesimo l’anno giubilare assume un significato profondamente spirituale: viene istituito per consolidare la fede, favorire opere di solidarietà e la comunione fraterna all’interno della Chiesa e nella società. Richiama e stimola i credenti ad una più sincera e coerente professione di fede in Cristo. E’ destinato a promuovere la santità di vita.

Primo Anno Santo
E’ Papa Bonifacio VIII ad indire, nel 1300, il primo Anno Santo nella storia della Chiesa con la Bolla “Antiquorum Habet Fida Relatio”. La data di inizio è il 22 febbraio, festa della Cattedra di San Pietro.

Giubileo, tempo di pellegrinaggi
Nel 1350, Clemente VI indice un altro Giubileo disponendo che in futuro questo anno di grazia venga celebrato ogni 50 anni. Papa Paolo II, con una Bolla del 1470, stabilisce che il Giubileo si svolga ogni 25 anni. L’afflusso di pellegrini aumenta: nell’Anno Santo del 1575 arrivano a Roma oltre 300 mila persone.

Anni Santi ordinari e straordinari
Il Giubileo è ordinario se legato a scadenze prestabilite. E’ invece straordinario se si riferisce a qualche avvenimento di particolare importanza. Gli ultimi Anni Santi straordinari sono stati quelli indetti da Pio XI nel 1933 e da Giovanni Paolo II nel 1983 rispettivamente per i 1900 e per i 1950 anni della Redenzione.

Pio XII invoca pace tra le nazioni
Nella storia recente della Chiesa è Papa Leone XIII ad indire il Giubileo per l’inizio del XX secolo. E a scandire l’Anno Santo del 1950, pochi anni dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, è la preghiera per la pace di Papa Pio XII:

 “Pace alle anime, pace alle famiglie, pace alla patria, pace fra nazioni ...”.

Paolo VI: uomini nuovi con il Giubileo
Il Giubileo del 1975 è “l’Anno Santo del rinnovamento e della riconciliazione”. Papa Paolo VI ricorda come il Giubileo sia per il cristiano un nuovo periodo della sua vita:

 “L’uomo nuovo di questo Anno Santo non dimenticherà la preghiera. La Chiesa gli sarà coro e maestra”.

Il Giubileo del 2000: la Porta è Cristo
L’Anno Santo del 2000 introduce nel Terzo millennio. Ad aprire la Porta Santa nella Basilica di San Pietro è Papa Giovanni Paolo II. La Porta – sottolinea - è Cristo:

“Sii per noi la Porta che ci introduce nel mistero del Padre. Fa’ che nessuno resti escluso dal suo abbraccio di Misericordia e di pace”.

Anno Santo della misericordia
Ed è proprio la misericordia, come ha annunciato Papa Francesco, a segnare questo tempo, questo straordinario Anno Santo che la Chiesa si appresta a vivere:

“Sarà un Anno Santo della Misericordia. Siate misericordiosi come il Padre”.

Un Anno Santo in cui il Signore, ancora una volta, mostra agli uomini la via della riconciliazione.

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Il cardinale Piacenza spiega l'Indulgenza giubilare

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Durante l’Anno Santo della Misericordia è possibile ottenere l’Indulgenza giubilare recandosi in pellegrinaggio verso la Porta Santa come segno di profonda conversione. Ma cosa è l’Indulgenza? E’ la remissione totale dinanzi a Dio della “pena temporale” per i peccati già rimessi nella Confessione quanto alla “colpa”. Infatti, ogni peccato, anche se perdonato da Dio, lascia un residuo da pulire - qui sulla terra o nell’aldilà – perché l’amore sia del tutto puro. Ascoltiamo la spiegazione del penitenziere maggiore, il cardinale Mauro Piacenza, al microfono di Gudrun Sailer

R. – Una volta assolti i peccati, è talmente enorme la sproporzione tra la santità di Dio e l’amore di Dio e la negatività del peccato, che rimangono dei residui: il peccato è perdonato, ma rimangono dei residui di pena. Ecco, l’Indulgenza – ed è qui la sua preziosità – sta nel fatto di poter essere fruitori della misericordia infinita di Dio che va a pulire tutto - come un aspirapolvere divino, se non fosse irriguardoso dire questo - portando via anche tutti i granelli. Per cui, quando una persona ha ricevuto l’Indulgenza, dopo la Confessione, effettivamente è come dopo il Battesimo: praticamente ricomincia una nuova vita. Quindi sarebbe da illustrare e soprattutto da aiutare le persone a porsi nelle condizioni per poter ricevere l’Indulgenza. Perché è chiaro che ci sono le condizioni per l’Indulgenza e cioè la Comunione e la Confessione nell’arco di tempo conveniente, il fatto di pregare secondo le intenzioni del Santo Padre, il fatto di dire un Padre Nostro e un Credo … ma questo è nulla in confronto a ciò che ci viene donato e questo ci deve anche essere perché in qualche modo struttura il modo di riceverla; però, la sostanza è la contrizione del cuore, cioè un atto d’amore perfetto davanti a Dio e per il prossimo. E questo ci fa ottenere l’Indulgenza. E quindi, ecco, l’Anno Santo si focalizza su due punti centrali, che sono la Confessione e l’Indulgenza.

D. – La Porta Santa, durante questo Giubileo, è la porta della Misericordia. Ma che cosa significa?

R. – La porta, in una costruzione, in un edificio ecclesiastico, ha sempre una grande importanza simbolica. Perché? Qui si dovrebbe andare al Vangelo di San Giovanni, al X capitolo, dove Gesù dice di sé: “Io sono la porta. Se uno entra attraverso di me, sarà salvo”. E il riferimento è al passaggio dallo stato di peccato allo stato di grazia. Quindi, il Santo Padre indicando la porta indica questa teologia che sta dentro a questa espressione di Gesù. E’ chiaro che passare una porta non è un fatto “magico”, ma è un segno religioso se io do un contenuto. Sa, ogni cosa che noi facciamo come gesti, che so, se metto il dito nell’acqua benedetta e mi segno facendo il segno della croce, non compio un gesto magico ma proporzionatamente alla fede che io metto, ricordando l’acqua del Battesimo in cui mi sono inserito in Cristo, allora mi possono venire cancellati i peccati veniali, tanta è la misericordia di Dio che ci viene incontro. E così “passo la porta”. Se io vado con fede, mi raccolgo interiormente e penso e dico: voglio passare da uno stadio di vita a un altro stadio di vita; facendomi l’esame di coscienza mi sono ritrovato questa polvere che mi si è attaccata sui vestiti o sulla pelle durante il pellegrinaggio di questo mondo: allora voglio passare a una visione più strettamente legata al Vangelo. Allora, in questo senso riconosco che Cristo è la mia porta, che Cristo è la mia liberazione e sento quasi echeggiare nell’anima e nell’orecchio quelle parole di Gesù: “Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvo”. Ecco che allora siamo in sintonia con quello che il Santo Padre ha voluto dirci indicandoci la porta.

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Il Papa in collegamento con Assisi: Natale è aprirsi al perdono

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Aprire il cuore alla misericordia, di fronte alle stragi dei migranti in mare, “non facili da perdonare”: questo l’invito di Papa Francesco in video-collegamento con Assisi. Dal Vaticano, il Pontefice ha acceso simbolicamente il Presepe e l'Albero di Natale allestiti davanti alla Basilica Inferiore di San Francesco di Assisi, entrambi dedicati ai migranti. Dal Papa anche un ringraziamento all’Italia per la generosa accoglienza dei profughi. Il servizio di Isabella Piro

Quanto misura la salvezza? Sette metri, come un barcone di legno, consumato dal mare. Una barca che, il 13 marzo 2014, ha salvato la vita a nove migranti partiti dalla Tunisia e sbarcati a Lampedusa in cerca di un futuro migliore. Questo barcone è la “capanna” simbolica nella quale è stato allestito il Presepe di Assisi, dedicato a tutti i migranti. La Sacra Famiglia campeggia al centro dello scafo, circondata da giubbotti di salvataggio e protetta da un grande Albero di Natale, donato alla città umbra dalla Regione Lombardia.

Il Signore è più forte della morte: aprire il cuore alla misericordia
In video-collegamento in diretta dal Vaticano, Papa Francesco accende simbolicamente, con una candela, le luci dei due emblemi natalizi. Ricorda i tanti morti annegati in mare e sottolinea: il Signore è venuto per darci speranza, per dirci che Lui è più forte della morte, è più grande di ogni malvagità, è misericordioso:

“In questo Natale vi invito ad aprire il cuore alla misericordia, al perdono. Ma non è facile perdonare queste stragi. Non è facile”.

Sud Italia, esempio di solidarietà per tutto il mondo
Salutando, poi, gli uomini della Guardia Costiera, definiti “strumenti” e “seminatori di speranza di Gesù”, il Papa ringrazia l’Italia per l’accoglienza “generosamente” offerta ai migranti:

“Il Sud Italia è stato un esempio di solidarietà per tutto il mondo! A tutti loro auguro che, quando guardano il Presepe, possano dire a Gesù: ‘Anche io ho dato una mano perché Tu sia un segno di speranza!’ ”.  

Il Signore è vicino ai rifugiati. Il Natale sia la carezza di Dio
Presenti alla cerimonia, anche trentuno rifugiati provenienti da Afghanistan, Camerun, Nigeria e Siria, sostenuti dalla Caritas di Assisi. A loro, il Papa si rivolge direttamente:

“A tutti i rifugiati, vi dico una parola, quella del profeta: alzate la testa, il Signore è vicino. E con Lui la forza, la salvezza, la speranza. Il cuore, forse, è addolorato, ma la testa è alta nella speranza del Signore. A tutti voi, rifugiati, a tutti voi della Guardia Costiera, vi abbraccio e vi auguro un Santo Natale, pieno di speranza, e con tante carezze del Signore”.

La testimonianza di una migrante  
Prima del suo intervento, il Papa ascolta due testimonianze: la prima è quella di una giovane rifugiata del Cameroun che, nella fuga dal suo Paese, ha perso la figlia di quattro anni. Prigioniera in Libia per tre mesi, seviziata nonostante fosse incinta, è uscita sana e salva da un viaggio della speranza, a bordo di un gommone carico di 125 persone.

La bimba di pochi giorni salvata dal mare
Poi è la volta di Antonio, membro della Guardia Costiera che con il suo equipaggio ha salvato oltre 5mila migranti. Tra loro, anche una persona speciale, strappata al mare lo scorso agosto:

“La prima ad essere salvata fu una piccola bambina, quasi invisibile nel salvagente che la circondava. Aveva solo quattro giorni di vita. Era venuta al mondo la sera prima di prendere il mare, di intraprendere quel ‘viaggio della speranza’ con il papà, la mamma ed il fratellino di due anni. Le attenzioni di tutto l’equipaggio furono rivolte a questa fragilissima creatura che davvero sentivamo di aver strappato ad un destino crudele”. Ad accompagnare la cerimonia, un coro di cento voci bianche che intona canti natalizi.

Mons. Gänswein: preghiera, conversione e missione per arrivare a Cristo
Prima del collegamento con il Papa, è mons. Georg Gänswein, prefetto della Casa Pontificia, a celebrare la Santa Messa all’interno della Basilica Inferiore di Assisi. Nella sua omelia, il presule invita a porsi all’ascolto della Parola del Signore, percorrendo tre vie, sull’esempio di San Giovanni Battista: il deserto, ovvero il luogo della preghiera e della riflessione; la conversione, che cambia radicalmente la nostra vita attraverso la carità e la speranza; infine, la missione, perché il cristiano non deve aver paura di parlare di Cristo.

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Papa: la vocazione non è per un gruppo ma per la Chiesa e il mondo

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“La Chiesa madre di vocazioni” è il tema del Messaggio del Papa per la prossima Giornata mondiale di preghiera per le vocazioni, che sarà celebrata il 17 aprile 2016. Il servizio di Roberta Gisotti: 

Francesco auspica che “tutti i battezzati” possano “sperimentare la gioia di appartenere alla Chiesa” “nel corso Giubileo straordinario della Misericordia” e possano “riscoprire che la  vocazione cristiana, così come le vocazioni particolari, nascono in seno al popolo di Dio e sono doni della divina misericordia”. Infatti “la Chiesa è la casa della Misericordia ed è la ‘terra’ dove la vocazione germoglia, cresce e porta frutto”.

Il Papa invita quindi “tutti i fedeli ad assumersi le loro responsabilità nella cura e nel discernimento vocazionale”, spiegando che “nessuno è chiamato esclusivamente per una determinata regione, né per un gruppo o movimento ecclesiale, ma per la Chiesa e per il mondo”; ne consegue l’esigenza di fare esperienze diversificate nella comunità ecclesiale, accanto ad un buon catechista o annunciando il Vangelo nelle periferie o condividendo la vita di clausura o a contatto con i missionari o vicino ai preti in parrocchia e nelle diocesi.

Ricorda Francesco che “dopo l’impegno definitivo, il cammino vocazionale nella Chiesa non finisce, ma continua nella disponibilità al servizio, nella perseveranza, nella formazione permanente. Chi ha consacrato la propria vita al Signore - sottolinea il Papa - è disposto a servire la Chiesa, dove essa ne abbia bisogno”.

Infine, Papa Francesco richiama la “particolare importanza” dei sacerdoti nell’accompagnare “coloro che sono alla ricerca della propria vocazione come pure quanti già hanno offerto la vita al servizio di Dio e della comunità”. La Chiesa madre di vocazioni - conclude Francesco - “si esprime mediante la preghiera perseverante per le vocazioni e con l’azione educativa e di accompagnamento per quanti percepiscono la chiamata di Dio.”

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Francesco nomina nunzio apostolico in Serbia mons. Suriani

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Papa Francesco ha ricevuto nel corso della mattinata, in successive udienze, l’ambasciatrice del Perù, Maria Elvira Velasquez Rivas-Plata, e l’ambasciatore di Ungheria, Eduard Habsburg-Lothringen, per la presentazione delle Lettere credenziali, il cardinale Fernando Filoni, prefetto della Congregazione per l'Evangelizzazione dei Popoli, il cardinale Telesphore Placidus Toppo, Arcivescovo di Ranchi in India, l’arc ivescovo Jean-Marie Speich, nunzio apostolico in Ghana, e la presidente della Conferenza Mondiale degli Istituti Secolari (CMIS), Nadège Védie.

Il Papa ha nominato nunzio apostolico in Serbia l’arcivescovo Luciano Suriani, finora Delegato per le Rappresentanze pontificie, e ha chiamato a succedergli nel medesimo incarico di delegato per le Rappresentanze pontificie l’arcivescovo Jan Romeo Pawłowski, finora nunzio apostolico nella Repubblica del Congo e in Gabon.

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50 anni fa la revoca delle scomuniche tra Roma e Costantinopoli

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Cinquanta anni fa, il 7 dicembre 1965, alla vigilia della conclusione del Concilio Vaticano II, una Dichiarazione comune del Papa Paolo VI e del Patriarca Ecumenico Atenagora, di cui fu data lettura in contemporanea, cancellava le sentenze di scomunica tra la Chiesa di Roma e quella di Costantinopoli proclamate nel 1054. Ieri, all’Angelus, Papa Francesco ha ricordato quello “storico gesto di riconciliazione”, che ha dato il via a un nuovo dialogo tra ortodossi e cattolici, ha pregato per il Patriarca di Costantinopoli Bartolomeo e ha chiesto al Signore che le relazioni tra le due Chiese “siano sempre ispirate dall’amore fraterno”. Adriana Masotti ha sentito Sua Eminenza Zervos Gennadios, metropolita dell'Arcidiocesi ortodossa d'Italia e Malta: 

R. – Secondo me è un passo in avanti grande e importante perché senza l’abolizione delle scomuniche non potevamo avere la riconciliazione, la pace. La revoca delle scomuniche - anatemi in greco - hanno aperto la strada verso il dialogo teologico. Questo è il passo più importante. Credo che con le scomuniche non potevamo essere così avanti come oggi: le due Chiese sono sorelle, siamo fratelli e andiamo verso una vita insieme.

D. - Paolo VI e il Patriarca Atenagora hanno iniziato un lungo cammino di riavvicinamento. Possiamo dire che i Patriarchi successivi  Dimitrios I e ora Bartolomeo sono dei prosecutori convinti di questa volontà di andare verso l’unità?

R. - Senz’altro. Il Papa è una straordinaria personalità del mondo cristiano, lo stesso il patriarca Bartolomeo: sono due fratelli, hanno dichiarato tante volte che il rispetto tra di loro è fraterno, profondo, sincero. Sono grandi promotori dell’unità tra i cristiani. Hanno sentito nel cuore la grande responsabilità: devono realizzare la volontà di Dio che tutti siano una cosa sola. Sarà un avvenimento veramente storico e una grande gioia per tutta la cristianità ma anche per tutto il mondo, perché così il mondo crederà a Gesù Cristo, nostro Salvatore.

D. - Che cosa pensano i fedeli della Chiesa di Costantinopoli, anche i fedeli di cui lei si occupa qui in Italia, a proposito del cammino verso l’unità?

R. - I fedeli del Patriarcato ecumenico di Costantinopoli - sono migliaia in Italia - credono molto in questo divino ideale che tutti siano una solo cosa, perché noi lavoriamo qui, collaboriamo con i nostri fratelli cattolici, sacerdoti, vescovi, arcivescovi. Possiamo dire che il nostro progresso spirituale e culturale lo dobbiamo anche alla nostra Chiesa sorella cattolica perché ci offre questa collaborazione fraterna. Questa è la linea che offriamo nelle nostre prediche, nelle nostre confessioni durante i nostri incontri e sempre preghiamo per questo. La preghiera è una grande medicina non soltanto per l’unità, ma anche per la pace e per la solidarietà, per la giustizia. Ed è importante poter illuminare le persone che oggi non amano l’altro. Noi dobbiamo amare l’altro; dobbiamo amare tutti, perché la nostra Chiesa – la Chiesa di Cristo – è Chiesa di amore. Dio è Amore.

Sull'importanza della revoca della scomunica tra cattolici e ortodossi, 50 anni fa, sentiamo il sotto-segretario del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, mons. Andrea Palmieri. L'intervista è di Adriana Masotti

R. – Questo passo ha permesso l’inizio di un dialogo della carità nel rispetto e nella comprensione reciproca. Quindi ha posto le basi per poter continuare insieme un cammino che conducesse poi, pian piano, verso il dialogo anche della verità e le buone relazioni che ancora adesso coltiviamo con la Chiesa ortodossa.

D. – Un nuovo rapporto, dunque, cominciato con un atteggiamento di umiltà, la richiesta di perdono. E l’anniversario cade proprio alla vigilia dell’Anno Santo della Misericordia…

R. – Il Papa ha proprio sottolineato che si tratta di una circostanza “provvidenziale”. Non c’è vero cammino verso l’unità senza il perdono reciproco. Chiedere innanzitutto perdono a Dio per il peccato della divisione e poi perdonarsi gli un gli altri per tutti quei gesti e quelle azioni che hanno offeso gli uni e gli altri.

D. – Paolo VI e Atenagora sapevano che la loro  Dichiarazione comune non avrebbe portato subito alla piena comunione, ma all’inizio di un cammino da fare insieme. E così è stato?

R. – Certo, la Dichiarazione ha posto le basi per un cammino che continua. Con quel gesto sono cadute tutte le difficoltà che impediscono di superare con il dialogo, la preghiera, la conversione personale, gli ostacoli verso la piena comunione. È venuto cioè meno il ricordo dell’inimicizia, della rivalità. Ora c’è spazio per rapporti ispirati all’amore e ciò consente di fare dei progressi sostanziali.

D. – Secondo la sua esperienza, questo spazio c’è solo ai vertici o anche alla base? I cristiani - cattolici e ortodossi - sono pronti e vedono con favore questo cammino verso l’unità?

R. – Ci sono tanti segnali che dicono come siano accolti con gioia tutti i passi compiuti. Naturalmente, c’è tanto da fare affinché i frutti del dialogo siano recepiti a livello delle comunità locali: dei semplici cristiani, ma anche nell’insegnamento della teologia, nelle prassi pastorali delle diverse Chiese. C’è tanto da lavorare, però, anche se a volte si ha la sensazione che si procede piano, andiamo nella giusta direzione.

D. – Posso chiederle molto brevemente di citare qualche passo avanti fatto, qualche successo, di questi ultimi 50 anni?

R. – Mi viene subito in mente l’istituzione da parte di Papa Francesco di una Giornata di Preghiera per la Cura del Creato: in questo caso è stato fatto un passo quando il Papa ha detto di essersi ispirato proprio a quello che il Patriarca Bartolomeo già da diversi decenni fa nel Patriarcato ecumenico. Ecco, insieme camminiamo per la difesa del Creato, per un tema molto importante e attuale. Altri risultati sono quelli del dialogo teologico: basta ricordare il Documento di Ravenna nel 2007, dove per la prima volta cattolici e ortodossi insieme riconoscono la necessità di un primato a livello anche della Chiesa universale. Chiaramente bisogna ancora descrivere in quale maniera questo primato debba essere accettato perché sia accettato dalla Chiesa cattolica e da quella ortodossa.

D. – Lei, sentendo quello che ha detto ieri il Papa, che cosa ha pensato, visto che lavora proprio nel campo del dialogo tra i cristiani?

R. – Sono stato molto felice di vedere come il Papa segua con attenzione questo dialogo e come davvero sostenga i progressi che continuamente vengono fatti; e li sostiene non soltanto con la sua preghiera, ma anche con dei segni importanti. Pensiamo al tema della sinodalità, così caro a Papa Francesco, che non può non avere anche delle forti rilevanze ecumeniche nei rapporti con la Chiesa ortodossa.

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50.mo revoca scomuniche, il dono di Bartolomeo I al Papa

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A 50 anni dalla revoca delle scomuniche lanciate reciprocamente dalle Chiese di Roma e di Costantinopoli all’epoca dello scisma del 1054, un particolare dono di valore ecumenico è stato portato stamattina a Papa Francesco dal cardinale Kurt Koch, presidente del Pontificio Consiglio per l'Unità dei Cristiani, da parte del Patriarca ortodosso ecumenico Bartolomeo I.

Si tratta di un’immagine che riproduce l’incontro avvenuto in Turchia il 29 novembre 2014 tra Papa Francesco e il Patriarca di Costantinopoli. Una dedica ricorda l’anniversario della remissione delle scomuniche.

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Vatileaks 2, processo rinviato a data da destinarsi

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Terza udienza per il processo sul caso “Vatileaks”, che ha visto da parte del Tribunale l’ammissione di tutti i testimoni richiesti dalle difese. Tra gli altri, figurano il cardinale segretario di Stato, Pietro Parolin, e l'ex direttore del Corriere della Sera, Paolo Mieli. In una nota, il direttore della Sala Stampa  vaticana, padre Federico Lombardi, ha ribadito che sussistono tutte le garanzie per un processo giusto e serio, condotto nella massima trasparenza. Il servizio dell’inviato, Massimiliano Menichetti

Rinvio processo a data da destinarsi
Si è chiusa con un rinvio a data da destinarsi, per consentire le perizie tecniche richieste dalla parti, la terza udienza del processo in Vaticano per appropriazione e divulgazione illecita di documenti riservati (Nota della Sala Stampa vaticana). I cinque imputati mons. Angel Lucio Vallejo Balda, Francesca Immacolata Chaouqui, Nicola Maio e i due giornalisti Emiliano Fittipaldi e Gianluigi Nuzzi, tramite i loro legali hanno presentato richieste e sollevato eccezioni. 

Respinta eccezione per carenza di giurisdizione
Respinta quella di Francesca Chaouqui che mirava in sostanza a non riconoscere al Tribunale vaticano la possibilità di giudicarla per “carenza di giurisdizione”. Secondo l’avvocato di parte infatti gli illeciti contestati sarebbero avvenuti in Italia; il difensore ha anche ricordato lo status di rifugiato politico invocato proprio dalla Chaouqui all’inizio della vicenda giudiziaria. Per il Tribunale invece in base alle leggi vigenti non c’è alcun difetto di competenza, anche in ragione del fatto che il reato si considera commesso nello Stato se è “avvenuto in tutto o in parte in Vaticano”. Anche il fatto che mons. Vallejo Balda sia un pubblico ufficiale comporta “l’attrazione del reato in Vaticano”. I giudici hanno anche rilevato che “c’è un’intrinseca contraddizione” nell’invocare “lo status di rifugiato” nel Paese in cui si risiede e “chiedere il difetto di giurisdizione”.

Ammessi 12 testimoni tra cui il card. Parolin 
I magistrati hanno poi ammesso tutti i dodici testimoni richiesti dagli imputati. In aula per Francesca Immacolata Chaouqui ci saranno tra gli altri il cardinale segretario di Stato Vaticano Pietro Parolin - per altro parte lesa per la Santa Sede - il cardinale Santos Abril y Castelló, l’elemosiniere del Papa, mons. Konrad Krajewski. Tutti sono chiamati a delineare - ha spiegato la difesa - professionalità e generosità dell’imputata a fronte di un’immagine ad oggi distorta. 

Inammissibile richiesta di perizia psicologica
Respinta come “inammissibile” la richiesta dei legali di mons. Vallejo Balda di una perizia psicologica perché secondo il promotore di giustizia tale esame non determina “l’incapacità d’intendere e di volere”, ma solo un eventuale condizionamento del comportamento che potrà eventualmente essere accertato durante il processo. Ammessa invece una perizia psichiatrica già in possesso dello stesso prelato che sarà reperita dalla gendarmeria nel suo appartamento. Vallejo Balda ha chiesto ed ottenuto l’acquisizione di una serie di documenti come la certificazione del suo stato di servizio.

Perizie su tabulati, telefoni e computer
Il suo segretario Nicola Maio si è assicurato che venissero acquisiti i documenti comprovanti tempi e incarichi quando lavorava per la Cosea e la testimonianza di mons. Alfredo Abbondi, della Prefettura degli Affari Economici, teste anche dell’Ufficio del promotore di giustizia. Il Tribunale ha accolto anche tutte le richieste di perizia informatica come quella sui tabulati telefonici, sul telefono di Maio e sul computer di mons. Vallejo Balda per le ricostruzioni dei messaggi e mail tra quest’ultimo, Chaouqui e Maio. Disposta un’udienza a porte chiuse dove verrà valutata l’acquisizione del materiale “pertinente”.

Nessun testimone per Fittipaldi, Nuzzi chiama Mieli
Accolti anche i testimoni di Nuzzi tra cui il direttore Paolo Mieli e il giornalista  Paolo Mondani. Nessun teste per Fittipaldi che invece ha avuto il via libera alla ricezione di tre articoli pubblicati nel 2014, per mostrare che l’attività di giornalismo investigativo era antecedente ai fatti che oggi gli vengono imputati. Richiesta analoga anche dalla Chaouqui per un’intervista al faccendiere Luigi Bisignani e tre articoli datati 2014.

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La garanzia di un processo serio: nota di padre Lombardi

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Sul sistema giudiziario del Vaticano, in riferimento al dibattito che è scaturito in merito al processo in corso, pubblichiamo una nota del direttore della Sala Stampa vaticana, padre Federico Lombardi:

Nelle settimane scorse, da quando è stato avviato il processo per la diffusione di documenti riservati comunemente indicato come “Vatileaks 2”, si sono scritte e dette molte osservazioni e valutazioni sul sistema giudiziario dello Stato della Città del Vaticano e in particolare sul Tribunale presso cui tale processo è incardinato e le procedure da esso seguite. Poiché molte di tali osservazioni sono inappropriate - o a volte del tutto ingiustificate – è giusto offrire alcune considerazioni per maturare una visione più chiara e una valutazione più corretta di questo aspetto fondamentale della vicenda.

Anzitutto, anche se dovrebbe essere ovviamente evidente, bisogna ricordare che nello Stato della Città del Vaticano vige un sistema giudiziario proprio, del tutto autonomo e separato da quello italiano, dotato dei propri organi giudiziari per i diversi gradi di giudizio e della necessaria legislazione in materia penale e di procedura penale.

In esso esistono tutte le garanzie processuali caratteristiche dei più evoluti ordinamenti contemporanei. Infatti sono previsti e pienamente attuati tutti i principi fondamentali, quali la precostituzione per legge del giudice naturale, la presunzione d’innocenza, la necessità di una difesa tecnica (tramite avvocati di fiducia o d’ufficio), la libertà del collegio giudicante di formarsi una convinzione sulla base delle prove, in un dibattimento pubblico e nel contraddittorio tra accusa e difesa, sino alla emanazione di una sentenza che deve essere motivata e che può essere impugnata sia con l’appello sia poi con il ricorso per cassazione. Più di recente, infine, è stato anche espressamente introdotto nell’ordinamento vaticano il diritto al giusto processo ed entro un termine ragionevole (art. 35 Legge N. IX, dell’11 luglio 2013).

Le persone incaricate della funzione giurisdizionale, sia inquirente che giudicante, vengono poi selezionate tramite cooptazione, non potendo essere reclutate mediante un concorso pubblico tra i cittadini dello Stato, come normalmente avviene presso gli altri Stati. Esse vengono così selezionate tra professionisti di altissimo livello, già di consolidata esperienza e di fama riconosciuta (come il curriculum di ciascuno di essi, facilmente reperibile su internet, attesta). Sono infatti tutti professori universitari in Università italiane.

Quanto agli avvocati, si è lamentata un’ipotetica violazione del diritto di difesa degli imputati, ai quali non si sarebbe consentito di essere assistiti da avvocati di fiducia di loro scelta. A questo proposito occorre evitare un equivoco di fondo: le regole vigenti nell’ordinamento vaticano, applicate dalle autorità giudiziarie, sono perfettamente in linea con quelle della maggior parte degli ordinamenti processuali del mondo, dove l’ammissione al patrocinio nei tribunali richiede una specifica abilitazione all’esercizio della professione, rilasciata in presenza di requisiti e titoli stabiliti da ogni ordinamento. Non deve sorprendere, quindi, che un avvocato abilitato in Italia non possa per ciò solo patrocinare nello Stato della Città del Vaticano, così come non potrebbe patrocinare nemmeno in Germania, in Francia, ecc. Il ragionamento contrario, d’altronde, implicherebbe che un imputato straniero potrebbe anche pretendere di essere assistito in Italia da un avvocato parimenti straniero, solo perché di propria fiducia, il che non è però consentito. Tali condizioni non costituiscono quindi un limite dell’ordinamento vaticano, ma un’ulteriore conferma della sua autonomia e completezza.

Tutti gli Avvocati sono iscritti a un Albo, facilmente consultabile, di professionisti ammessi a patrocinare innanzi al Tribunale dello Stato della Città del Vaticano, nel quale vengono selezionati gli avvocati d’ufficio o scelti gli avvocati di fiducia.

Si tratta di avvocati qualificati non solo presso i tribunali della Chiesa e della Santa Sede, ma anche presso i tribunali italiani, essendo tutti iscritti nei rispettivi consigli dell’Ordine degli avvocati italiani. Non solo, essi sono anche in possesso di una seconda laurea in diritto canonico e di un ulteriore diploma di specializzazione triennale conseguito presso il Tribunale rotale. Si tratta quindi di professionisti che, oltre ad avere l’abilitazione richiesta per il patrocinio in Italia, possiedono anche conoscenze ulteriori che li rendono adatti al patrocinio in un ordinamento in cui è necessario conoscere il diritto canonico.

Vi sono quindi tutte le premesse per avere piena fiducia nella serietà e nella competenza di chi deve garantire il corretto svolgimento di un processo che, per diverse ragioni, attira l’attenzione di molti.

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Processo in Vaticano e libertà di stampa: intervista con il prof. Mirabelli

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Uno degli aspetti dibattuti a proposito del processo in corso in Vaticano sulla pubblicazione illecita di documenti riservati riguarda la chiamata in giudizio di due giornalisti e la domanda se ciò sia contrario al rispetto del principio della libertà di stampa. Ne abbiamo parlato con un insigne giurista, il prof. Cesare Mirabelli, già giudice della Corte Costituzionale italiana per diversi anni e presidente della stessa Corte, e ora consigliere generale dello Stato della Città del Vaticano. Ascoltiamo le sue riflessioni al microfono di Sergio Centofanti: 

D. – Prof. Mirabelli, il processo in Vaticano che vede imputati fra gli altri i giornalisti Nuzzi e Fittipaldi mette in qualche modo in dubbio la libertà di stampa?

R. – Non mi pare proprio. La libertà di stampa è comunque garantita. Il giudizio che deve essere dato è se questi documenti siano stati acquisiti in maniera corretta; se sono cose provenienti da reato, se vi è una partecipazione dei giornalisti alla sottrazione illegale – starei per dire “delittuosa” – di questi documenti.

D. – Il promotore aggiunto Zannotti ha detto che non si contesta la pubblicazione di notizie o la diffamazione, ma il modo in cui sono stati acquisiti questi documenti …

R. – Certo, se questo costituisce reato, è questo reato che può essere punito. Questo non significa che vi sia un divieto o una limitazione al giornalismo di inchiesta, che ha anche una positività perché mette in luce delle criticità che ci sono e informa sotto questo aspetto l’opinione pubblica. Tuttavia, il giornalismo d’inchiesta non significa una acquisizione di documenti con atti o commissione di reati per procedere a pubblicare informazioni.

D. – Anche in Italia ci sono limiti alla pubblicazione di notizie…

R. – La libertà di stampa comprende certamente la libertà di manifestazione del pensiero, la libertà di esprimere giudizi, di pubblicare atti o documenti; ma vi possono essere dei limiti quando questo riguardi – ad esempio – la sicurezza dello Stato o altri elementi che si riferiscono a atti o documenti riservati. Perciò, il limite alla libertà non significa conculcare la libertà di informare. Vi è un elemento che riguarda le modalità con le quali la documentazione viene acquisita – come in questo caso – o anche la natura di alcune informazioni che possono rimanere riservate.

D. – C’è chi asserisce che questi due giornalisti sono processati ingiustamente, contro l’articolo 21 e 51 della Costituzione italiana che tutelano la libertà di stampa e il giornalista che esercita il diritto di cronaca…

R. – Si invocano due norme costituzionali italiane: in realtà, bisogna considerare che ci troviamo in un altro Stato, lo Stato della Città del Vaticano con proprie leggi e propri principi. E tuttavia, gli stessi principi di libertà di manifestazione del pensiero e di informazione sono autonomamente presenti nell’Ordinamento vaticano: non si può fare certamente riferimento ad articoli della Costituzione italiana, ma è garantita la libertà di espressione anche nello Stato della Città del Vaticano, in base a principi propri. Questo non significa che, appunto, non vi possa essere una sanzione penale quando si ha un uso inappropriato della libertà: ad esempio se nella stampa offendo l’onore di altre persone o assumo posizioni calunniose, pubblico notizie del tutto calunniose, certamente sono perseguibile penalmente: allora siamo al di fuori dell’esercizio della libertà di stampa e della libertà di manifestazione dell’opinione.

D. – Nell’Ordinamento del Vaticano è garantito il diritto a manifestare il proprio pensiero …

R. – Riterrei proprio di sì! In questo processo non si vuole contraddire questo diritto, ma perseguire un reato che è previsto dalla legge penale vaticana. Questa legge non ha un contenuto singolare, perché molte legislazioni prevedono sanzioni quando sono sottratti documenti che riguardano la vita dello Stato e che l’Ordinamento ritiene di dovere in qualche modo tutelare.

D. – Un processo, dunque, che si celebra all’interno di uno Stato di diritto …

R. – C’è un tribunale che giudica in un processo nel quale è garantito il contraddittorio tra le parti; è un processo pubblico nel quale quindi vi è un giudice terzo rispetto all’accusa e alla difesa, e accusa e difesa presentano ciascuna le proprie prove che saranno valutate dal tribunale. Perciò, mi pare che ci siano tutte le garanzie per un giusto processo: un giusto processo che riguarda anzitutto una accusa su un reato, su un fatto che costituisce reato, con la garanzia che si direbbe “di stretta legalità”, cioè il fatto che costituisce reato è previsto, è punito da una legge anteriore rispetto al fatto commesso. La garanzia che dev’essere assicurata è la non retroattività della legge penale: in questo caso, non abbiamo una legge penale retroattiva che punisce questi fatti che si asseriscono commessi. Allo stato, siamo in presenza di un’accusa da parte del pubblico ministero, come avviene in ogni ordinamento, e di una difesa che si esprimerà nel processo.

D. – Qualcuno ha parlato di ingranaggio inquisitorio dietro il quale ci sarebbe il codice Zanardelli del 1889 …

R. – Questo mi fa sorridere, perché si è a lungo detto che il Codice Zanardelli ha un’impostazione liberale rispetto al Codice Rocco, al codice autoritario fascista che, sia pure depurato di alcuni reati, è presente ancora nell’Ordinamento italiano.

D. – C’è chi ha ipotizzato il reato di ricettazione …

R. – La ricettazione si ha quando si acquisiscono cose per trarne profitto, sapendo che queste cose provengono da reato. Anche questo può essersi verificato; in questo caso credo che si tratti di un reato probabilmente commesso in territorio italiano, anche se i problemi di territorialità si pongono in maniera diversa: ci sono dei reati per i quali si può essere perseguiti anche se commessi all’estero, quando toccano l’interesse dello Stato, siano essi commessi dal cittadino e anche commessi dallo straniero.

D. – E’ stato contestato il fatto di non potersi difendere attraverso avvocati di fiducia …

R. – Qui c’è da precisare forse un aspetto. In ogni Ordinamento dev’essere assicurata naturalmente la difesa tecnica, e la difesa tecnica è assicurata o scegliendo il proprio avvocato – l’avvocato di fiducia – o attraverso la nomina di un difensore d’ufficio, ma il difensore dev’essere un difensore che sia iscritto in appositi elenchi o albi – in Italia diremmo dell’Ordine degli Avvocati – e nello Stato della Città del Vaticano, nell’Ordine – usiamo questo termine – degli Avvocati che sono iscritti negli albi in quello Stato, in quell’Ordinamento. Perciò, non è che può essere ammesso al patrocinio chi non è iscritto in quegli Albi o non è ammesso in precedenza dallo stesso tribunale a difendere dinanzi a sé. Come in ogni Ordinamento.

D. – Questo processo non è una sentenza, è un accertamento dei fatti …

R. – Ogni processo tende a questo: inizia con una imputazione, un’accusa, vi è un dibattimento per accertare se i fatti sono stati commessi e se vi è una responsabilità degli imputati; il processo non è segreto: è un processo pubblico, lo stiamo seguendo tutti. Solamente all’esito ci sarà una sentenza, cioè un accertamento motivato, una sentenza che avrà una motivazione ed esprimerà le ragioni per le quali vi è una responsabilità penale e quindi una condanna, oppure non vi è una responsabilità penale e quindi vi sarà un’assoluzione.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Tempo di misericordia: con l'apertura della Porta Santa della Basilica vaticana nella solennità dell'Immacolata inizia il Giubileo straordinario.

Front national oltre ogni previsione: netta affermazione dell'estrema destra nel primo turno delle regionali in Francia.

Compassione e fedeltà: nella misericordia la confluenza di due correnti di pensiero.

Nel grembo di un amore sconfinato: Antonella Lumini sul significato dell'Immacolata concezione.

Per guarire le ferite: il saluto del Patriarca Bartolomeo alla delegazione della Santa Sede che ha partecipato a Istanbul alla festa di Sant'Andrea.

A Gerusalemme ritrovato un sigillo di re Ezechia.

Ammessi nuovi testimoni: udienza del processo penale per la divulgazione di notizie e documenti riservati.

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Oggi in Primo Piano



Regionali in Francia: successo del Front National di Marine Le Pen

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Successo al primo turno delle regionali francesi per il Front National guidato da Marine Le Pen. Il partito, in testa in 6 regioni su 13, è risultato il primo in Francia, con circa il 30% dei voti, davanti ai repubblicani di Nicolas Sarkozy e ai socialisti, al governo, di François Hollande. Consensi superiori al 40% per la leader del partito e sua nipote Marion, prime nelle regioni di frontiera di Calais e di Marsiglia, dove il partito socialista ha ritirato i candidati in vista del secondo turno. Un risultato non inaspettato dopo gli attacchi di Parigi dello scorso 13 novembre, come spiega Riccardo Brizzi, docente di Storia contemporanea all’università di Bologna, al microfono di Michele Raviart

R. – Le ragioni del successo non sono senz’altro riconducibili solo ai fatti di Parigi del 13 novembre; è un processo che parte da lontano, parte da una strategia innanzitutto di normalizzazione del Fronte Nazionale che con il cambio di leadership dal padre fondatore del partito, Jean-Marie Le Pen, alla figlia Marine, ha abbandonato il versante più oltranzista e anche di ispirazione più marcatamente neofascista del partito; normalizzazione significa rispettare due presupposti dello Stato francese, cioè la fede repubblicana e la laicità dello Stato. Soprattutto il tema della laicità viene strumentalizzato come un’arma contro l’immigrazione, contro il fondamentalismo islamico, eccetera. Senz’altro, dietro questa base solida i fatti di Parigi hanno contribuito a dare ulteriore vento in poppa a questo partito ma, ricordiamolo, questo è un trend più generale che coinvolge il continente europeo, e non soltanto la Francia.

D. – Abbiamo visto che i risultati più importanti sono arrivati nella regione di Calais e nella Provence Alpes-Côte d’Azur, regioni di frontiera. C’è un collegamento tra la paura dell’immigrazione e questi successi?

R. – C’è soprattutto il sovrapporsi tra due crisi, cioè la crisi migratoria da un lato e l’emergenza terroristica. La scoperta da parte degli investigatori che due degli attentatori di Parigi fossero filtrati attraverso la rotta balcanica mischiandosi alle correnti di immigrati, ha senz’altro alimentato questo spettro e attorno, appunto, al successo sia di Marine Le Pen sia della nipote Marion Le Pen c’è anche un fenomeno di personalizzazione della politica. Le due figure senz’altro più popolari, più televisive e più mediatiche del Movimento sono anche quelle che conquistano un consenso maggiore in termini di voti. E saranno senz’altro le due regioni che hanno più chances di essere conquistate al termine del secondo turno dal Front National, probabilmente insieme all’Alsazia.

D. – E sarebbe la prima volta che una regione venga governata dal Front National. Questo che ripercussioni avrebbe nella politica interna francese?

R. – In termini strettamente di prassi di governo e politici ha delle ripercussioni minori, nel senso che le regionali in Francia sono elezioni minori anche se c’è stato recentemente un accorpamento che ha sostanzialmente dimezzato il numero delle regioni e dunque si tratta di macro-regioni. Diciamo che posizionano il Front National in una posizione di grande favore in vista della madre di tutte le battaglie elettorali, che sono state sempre le elezioni presidenziali.

D. – Ci sono quindi delle possibilità, a questo punto, che la Le Pen possa vincere o per lo meno arrivare al ballottaggio?

R. – L’arrivo al ballottaggio della Le Pen è fatto più che probabile; la vittoria evidentemente dipende da tutta una serie di circostanze legate alla contingenza politica, legate alla capacità di alleanza tra i due partiti tradizionalmente di governo e in terzo luogo, alla capacità di recupero in termini di consenso di François Hollande. Ricordiamo però che questo recupero è un gran parte dopato dagli attentati di Parigi. Sul fronte della destra di governo, invece, c’è la candidatura probabile di Nicolas Sarkozy che rischia di essere un ritorno in pista un po’ dimezzato, appunto, dal rilancio – questa volta – del Front National che invece Sarkozy nel 2007 era riuscito sostanzialmente a contenere.

D. – Questo successo del Front National può fare da traino per formazioni simili nel resto d’Europa?

R. – Formazioni simili nel resto d’Europa sono assolutamente vitali e non è il Front National che può fare da traino. Consideriamo gli ultimi mesi: noi vediamo che ovunque in Europa, partiti di estrema destra stanno conquistando consensi e stanno conquistando posti di potere. Penso alla Danimarca, dove il blocco delle destre ha scalzato dal governo la coalizione di sinistra; penso alle recenti regionali austriache, dove in Alta Austria il partito fondato a suo tempo da Jörg Haider ha raddoppiato i consensi; e cito le recenti elezioni polacche, nelle quali ha trionfato la destra nazionalista e xenofoba che ha dato vita per la prima volta dal 1989 a un governo monocolore.

D. – Quale futuro, quindi, per il Progetto Europeo?

R. – L’Europa che è nata attorno a un progetto di abbattimento di muri torna, negli ultimi mesi, a essere un continente di muri e di confini. Circa metà dei Paesi dell’Unione Europea ha ripristinato controlli alle frontiere interne e a fine novembre un dato preoccupante è che anche la virtuosa Svezia, che storicamente è una superpotenza umanitaria, ha annunciato un drastico giro di vite sulla politica di asilo. Mi sembra evidente, alla luce delle elezioni francesi, il fatto che i cittadini europei si riscoprano sensibili ai richiami dell’anti-politica del populismo di destra, pur di non prendere coscienza del fatto che le tre crisi – cioè, la crisi migratoria, la crisi economica e la crisi terroristica – faranno parte della loro quotidianità ancora a lungo. Purtroppo.

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Elezioni in Venezuela: vince opposizione, tramonta il chavismo

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In Venezuela, per la prima volta dopo 17 anni, l’opposizione antichavista vince le elezioni parlamentari con 99 seggi su 167. L’attuale presidente Nicolas Maduro conserva il potere esecutivo e la direzione delle Forze Armate ancora per altri tre anni, ma dovrà convivere con la larga opposizione parlamentare del Mud, la Tavola dell’Unità Democratica. Una coalizione molto eterogenea di circa trenta partiti. Tra le cause della sconfitta del chavismo c’è soprattutto la forte crisi economica che ha colpito il Paese e la dilagante corruzione. Veronica Di Benedetto Montaccini ha intervistato Maria Rosaria Stabili, professoressa di Storia dell’America Latina all’Università degli Studi Roma Tre: 

D. – Cosa hanno significato per il Venezuela 17 anni di chavismo? 

R. – Da un lato, con Chavez, c'era il sogno populista di una redistribuzione della ricchezza nel Paese per i ceti subalterni, per lo strato della popolazione più svantaggiata. Il programma di Chavez e poi di Maduro era infatti un programma che potremmo definire socialista. Gli strumenti con cui realizzarlo erano degli strumenti che poco avevano a che vedere con la democrazia.

D. – Quali sono i problemi che si sono andati a creare in Venezuela e che hanno portato al declino del chavismo?

R. – Innanzitutto, la gestione delle nazionalizzazioni fatta con poca lungimiranza, in un contesto in cui la costruzione di uno Stato sociale doveva fare i conti con una realtà internazionale in cui erano ancora in piedi le politiche neo-liberiste. Soprattutto, il limite più grosso è stata la visione assistenzialista e clientelare finalizzata a garantirsi il consenso.

D. – Uno dei motivi dell'impopolarità di Maduro è stata la limitazione della libertà di espressione. Ci sono state delle persecuzioni di chi era all'opposizione?

R. – Sì, moltissime. Ogni voce di dissenso è stata repressa, silenziata. Accompagnata anche da politiche corrotte e clientelari. Il cerchio vicino a Chavez, prima, e a Maduro poi, si è arricchito ed è andato ad occupare posti importanti e rilevanti senza avere le competenze per farlo.

D. – Come si delinea la convivenza tra un governo, che rimarrà chavista per altri tre anni, e un parlamento di opposizione?

R. – Non credo che ci siano possibilità di negoziazione e di mediazione.Formalmente, anche in Venezuela c’è la divisione dei poteri. Non scordiamoci che nella Repubblica presidenziale il capo delle Forze Armate è anche il capo dello Stato e il capo del governo. Il Venezuela si apre ad una nuova fase e sarà strategica la posizione dei militari. Per questo dall’opposizione è stato rivolto un appello alle Forze Armate. 

D. – Le elezioni non avranno ripercussioni solo sulla politica interna. C’è un effetto domino in tutta l'America Latina? È finita, secondo lei, l’era socialista dell’ ”Alleanza bolivariana contro le Americhe”?

R. – Sta cambiando aria, indubbiamente. Anche perché ormai le vecchie categorie di interpretazione della realtà politica latino-americana non ci aiutano a capire le dinamiche generali, più complesse. Ora non so se sta finendo l'epoca della rivoluzione bolivariana, ma possiamo affermare che si sta concludendo l’epoca dei populismi. La serie di problemi che si sono presentati in maniera molto acuta in Venezuela, è stata molto simile in Argentina, dove ha appena vinto il conservatore Mauricio Macri. La gente, forse, non ha più soltanto bisogno di redistribuzione del reddito. La dimensione economica è importante, ma forse oggi sono rilevanti anche il rispetto delle libertà civili e delle libertà politiche.

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Adusbef: a rischio 60 miliardi in obbligazioni subordinate

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Il decreto salva-banche varato dal governo ha evitato il fallimento di Banca Etruria, Banca Marche, CariFerrara e CariChieti ma non ha salvaguardato più di 130 mila persone che hanno investito i loro risparmi, oltre 800 milioni di euro, in azioni e in obbligazioni subordinate sottoscritte con questi quattro istituti di credito. Alcuni di questi risparmiatori hanno protestato ieri, davanti a Montecitorio, denunciando quella che considerano “una truffa legalizzata”. Amedeo Lomonaco ha intervistato Elio Lannutti, presidente di Adusbef, l'Associazione difesa consumatori ed utenti bancari, finanziari ed assicurativi: 

R. – Un crac che poteva essere evitato se solo ci fosse stata una vigilanza attenta della Banca d’Italia, che dovrebbe farsi carico di risarcire 130 mila famiglie. Con un tratto di penna il governo, che ha assecondato i desiderata dalla Banca d’Italia e della Bce, ha azzerato il sudore di tantissimi pensionati e lavoratori. Ieri c’è stata questa manifestazione davanti a Montecitorio. Sono state ricordate tante storie tragiche. Bisogna rivedere questo meccanismo del ‘Bail-in’ che, dal primo gennaio, addossa i dissesti bancari e l’omessa vigilanza della Bce e delle banche centrali alla povera gente. Ma un correntista che paga i costi dei conti correnti più alti d’Europa – 318 euro contro 114 della media europea – e che paga tassi degli interessi sui mutui molto più elevati, che non gestisce una banca, quale responsabilità ha se questa banca non è vigilata? Non ha alcuna responsabilità, quindi non può pagare!

D. – Queste 130 mila persone cosa possono fare?

R. – Si devono organizzare. Noi abbiamo denunciato la Banca d’Italia a nove Procure della Repubblica, faremo citazioni in sede civile. Si devono associare e già stanno invitando a svuotare i conti correnti bancari. Il rischio più grande è che, mancando la fiducia, le banche saranno svuotate... Questo è il grave rischio.

D. – Il governo, intanto, sta studiando la possibilità di un fondo. Si parla di almeno 100 milioni di euro proprio per rimborsare, almeno parzialmente, i risparmiatori di queste quattro banche …

R. - È un’elemosina. È un palliativo per cercare di placare l’ira da parte di un governo che ha fatto da "maggiordomo" alla Banca d’Italia.

D. – Il caso di queste quattro banche è anche un campanello d’allarme che può coinvolgere altri istituti e una platea di risparmiatori molto più ampia…

R. – Proprio così. Bisogna dare informazioni e bisogna rivedere queste norme-capestro europee. Non è possibile continuare su questa strada. Bisogna rivedere le norme che, dal primo gennaio, significano esproprio criminale del risparmio. In pericolo ci sono 60 miliardi di euro di obbligazioni subordinate tossiche in pancia alle banche. Il consiglio che noi diamo è di andare agli sportelli bancari, di verificare se nel proprio portafoglio titoli ci sono quelle obbligazioni che, a partire dal primo gennaio, sono a rischio.

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Giubileo Misericordia, occasione di dialogo tra cristiani e musulmani

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Un’occasione d’incontro, apertura e fattiva collaborazione nel segno della solidarietà. Questo il senso del Giubileo indetto da Papa Francesco, alla vigilia dell’apertura ufficiale delle celebrazioni, emerso al convegno “Cristiani e musulmani per la misericordia”, svoltosi a Roma e organizzato da Federazione Nazionale della Stampa Italiana, Articolo21 e Associazione Giornalisti Amici di padre Dall’Oglio. C’era per noi Giada Aquilino

Dialogo in quanto relazione fatta di gesti e di azioni concrete, sinonimo del “fare insieme” e non soltanto del sedersi a un tavolo per discutere le proprie opinioni. Ha avuto una radice nelle riflessioni di Papa Francesco sul dialogo interreligioso l’incontro “Cristiani e musulmani per la misericordia”. Sul “vivere insieme” si sofferma Antoine Courban, esperto di relazioni islamo-cristiane all’università Saint Joseph di Beirut, in Libano:

R. – Nous avons laissé trop longtemps …
Per troppo tempo abbiamo lasciato il dialogo tra islam e cristianesimo solo tra le mani dei teologi. Abbiamo tentato invano di trovare un denominatore comune il più semplice e basico possibile. Ma questo non è vivere insieme. Dopo gli attentati di Parigi, la natura e il quadro del dialogo tra islam e cristianesimo - e in generale del dialogo interreligioso - deve porsi in termini di diritto pubblico, affinché si possa “organizzare” il vivere insieme. Penso e spero che l’Anno della misericordia sia l’occasione unica, a partire da Roma, per iniziative e parole profetiche, perché è proprio di questo che abbiamo bisogno oggi per diminuire la tensione interreligiosa. In questo momento ci sono diversi tipi di terrorismo: c’è il terrorismo religioso; quello profano, secolare, laico; c’è il terrorismo ideologico; c’è un terrore nazionalista; c’è pure un terrore islamofobico. Tutto questo è un terrore globale. Il mondo in questo momento è diviso in due parti. Da una parte ci sono i radicali - a prescindere dalle religioni, dalle ideologie - e i più violenti sono i ‘Daesh’. E dall’altra parte ci sono i moderati. Il mio appello è, in primo luogo, a scrivere ad ogni costo una “Carta della convivenza nel Mediterraneo” e, in secondo luogo, a dire: “Moderati di tutti i Paesi, uniamoci!”.

A cinquant’anni dalla Dichiarazione conciliare “Nostra aetate”, documento fondamentale per la promozione delle relazioni di rispetto, amicizia e dialogo con le altre religioni, Mohammad Sammak, segretario generale dell’Islamic spiritual summit di Beirut, spiega il significato del concetto di misericordia nella religione islamica:

R. – “Mercy” is the name of God, in Islam, and “Compassionate” is also the name of God. And each verse …
“Misericordia” è il nome di Dio nell’islam, assieme a “compassionevole”. Ogni verso del Corano inizia così: “Nel nome di Dio, il Misericordioso, il Compassionevole”. Questo è il quadro delle relazioni tra Dio e il Creato e dovrebbe essere anche la cornice dei rapporti tra tutti gli esseri umani. Ora, se questi principi non sono rispettati da chi parla di islam o fraintende l’islam, questa è un’altra cosa. Viviamo una situazione in cui questi principi non sono rispettati da alcuni che si dicono musulmani, ma mostrano un’immagine diversa dell’islam. Questo è il motivo per cui c’è una reale contraddizione tra quello che l’islam dice e la maniera con cui queste persone si comportano.

D. – Qual è il significato del Giubileo della Misericordia per lei e per la sua fede?

R. – Islam was involved in Vatican II and in “Nostra Aetate” there is a part about …
Col Vaticano II, l’islam è stato coinvolto e nella “Nostra Aetate” c’è un capitolo sull’islam che apre un nuova pagina nel rapporto tra la Chiesa e i musulmani. Noi ci sentiamo di essere parte di questo Giubileo, perché crediamo negli stessi principi, che sono umanitari, per la salvezza di tutti gli esseri umani, in ogni parte del mondo. Ed è per questo che siamo felici di essere parte di questo Giubileo.

Dal Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti, il messaggio del presidente, il cardinale Antonio Maria Vegliò, che – anche in vista della prossima Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato, il 17 gennaio 2016 - esorta a seguire l’invito del Papa per una “risposta del Vangelo della misericordia”. Padre Matteo Gardzinski, incaricato del dicastero per il settore migranti:

R. – Seguendo ciò che dice il Papa e le linee del segretario di Stato, il cardinale Pietro Parolin - che qualche settimana fa, dopo le stragi di Parigi, ha detto che c’è bisogno di un’offensiva della Misericordia - la prospettiva è quella del perdono e della carità, che sono più forti del male. Quindi il superamento di quegli atteggiamenti che nascono naturalmente nel cuore umano con qualcosa di più forte.

Dopo gli attentati di Parigi, da dove far ripartire dunque il dialogo tra cristiani e musulmani? Nader Akkad, siriano di Aleppo, imam di Trieste:

R. - Bisogna partire dal cuore, un punto che collega sicuramente tutte le grandi religioni. La misericordia è uno dei temi più importanti dell’islam: Dio ha voluto sempre identificarsi con questo nome, il Misericordioso. Tutti gli attuali problemi del mondo possono essere risolti con la misericordia.

D. – Trieste è città di frontiera: come accogliere con misericordia chi arriva, chi fugge a causa della guerra, della povertà?

R. – Le guerre, specialmente quelle in Medio Oriente, hanno prodotto una nuova ondata di immigrazione. Il tema della misericordia potrebbe essere molto importante per capire l’altro, all’interno del significato del grande amore per il prossimo. Questo può dare un contributo molto importante per l’inclusione sociale e per l’accoglienza dell’altro.

D. – Ad oltre due anni dal rapimento di padre Dall’Oglio, quanto è importante ricordare la sua testimonianza?

R. - È molto importante. Bisogna ricordarlo come un ambasciatore del popolo siriano per la pace. Ricordarlo oggi, nei termini dell’Anno santo della Misericordia, tocca il cuore. Preghiamo sempre, giorno e notte, affinché venga rilasciato il prima possibile. Ci manca davvero. Manca a tutti i siriani, perché la sua è una voce di misericordia.

Paolo Branca, docente di lingua e letteratura araba e islamistica all’Università Cattolica di Milano, commenta le parole del presidente statunitense Barack Obama, che ha ribadito come il sedicente Stato islamico non parli “per l'Islam”:

R. - È sicuramente vero che si tratta di poche decine di migliaia di fanatici che non rappresentano un miliardo e mezzo di musulmani comuni che svolgono la loro vita normalmente, pensando alla propria famiglia, al proprio lavoro, ai propri figli. Non basta però fare questa distinzione. Secondo me bisognerebbe anche promuovere quella parte dell’islam che ci è meno nota e che è già presente tra di noi, con qualcosa di più. Soprattutto il campo mediatico è completamente occupato da cattive notizie, come se le buone notizie non esistessero e questo non fa che aumentare il pessimismo, con involuzioni di tipo populista nelle nostre democrazie che sono sinceramente preoccupanti.

D. – Quindi come superare questo allarmismo, questo pessimismo?

R. – La democrazia è un sistema che si giustifica soltanto se promuove le pratiche migliori, non tanto perché reprime quelle negative. Purtroppo da questo punto di vista il promuovere, far conoscere, dare dei modelli anche ai giovani musulmani che stanno in Europa, in Occidente, non mi pare sia una delle nostre preoccupazioni principali.

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Nella Chiesa e nel mondo



Delegazione dei vescovi sudcoreani visita la Corea del Nord

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Si è conclusa venerdì 4 dicembre la visita realizzata in Corea del Nord da una delegazione della Chiesa della Corea del Sud composta da 17 persone, iniziata lo scorso primo dicembre. I partecipanti – riferisce l’agenzia Fides – sia all'andata che al ritorno hanno fatto scalo nella Repubblica popolare cinese. La delegazione includeva quattro vescovi alla guida di diocesi coreane, compreso l'arcivescovo Hyginus Kim Hee-joong, presidente della Conferenza episcopale sudcoreana, e l'Abate Simon Peter Ri Hyeong-u, dell'Abbazia benedettina di Waegan, assieme a sacerdoti e rappresentanti dei Comitati ecclesiali per la riconciliazione del popolo coreano. A invitare ufficialmente i presuli è stata l'Associazione cattolica di Corea, organismo che fa capo allo Stato nordcoreano.

Dialogo per migliorare le relazioni tra i due Paesi
Prima della partenza, mons. Kim Hee-joong, arcivescovo di Gwangju, aveva espresso l'auspicio “che per l'avvenire sempre più sacerdoti sudcoreani possano recarsi in Corea del Nord a celebrarvi la Messa”. Durante la visita, la delegazione ha cercato di raccogliere notizie sulla reale consistenza delle comunità cattoliche che sarebbero ancora presenti in Nord Corea. Nei colloquil, si è parlato anche della possibile ricostruzione di una Chiesa a Pyeongyang. I vescovi hanno anche avuto un incontro con Kim Yong Dae, vicepresidente della Suprema assemblea del popolo della Corea del Nord, sulle modalità di miglioramento delle relazioni tra i due Paesi.

Vincere l’indifferenza delle giovani generazioni
Dai tempi della divisione tra le due nazioni, questa è la prima volta che una delegazione ecclesiale sudcoreana così numerosa e di alto profilo visita la parte settentrionale della Penisola. “Occorre consolidare questa piattaforma di riconciliazione intensificando scambi e collaborazioni - spiega padre Timothy Lee Eun-hyung, segretario del Comitato dei vescovi per la riconciliazione del popolo coreano - perché soprattutto tra i giovani c'è il rischio di una crescente indifferenza davanti al desiderio di riunire il popolo coreano”.

Camminare verso inclusione, perdono e riconciliazione
Di qui, l’appello di padre Timothy “a mettere da parte atteggiamenti aggressivin e camminare sulla via dell'inclusione, del perdono e della riconciliazione, come ci ha indicato anche Papa Francesco quando è venuto in Corea”, nell'agosto 2014. Da ricordare che padre Timothy è cappellano della “Chiesa del pentimento e della redenzione”, inaugurata nel 2013 a pochi chilometri dal confine, dove si svolgono ogni settimana preghiere e liturgie per invocare il dono della riunificazione. (I.P.)

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Ucraina. Apertura della Porta Santa, una "speranza di pace"

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“Per noi aprire la porta del Giubileo è una speranza. Una speranza di misericordia e di pace per il nostro popolo. Siamo in un territorio dove c’è ancora guerra”. A parlare è il vescovo della diocesi di Kharkiv – nella regione del Donbass, in Ucraina orientale – mons. Stanislav Shyrokoradiuk. Una regione ancora profondamente segnata da una guerra che ha visto contrapporsi gruppi di filorussi e ucraini. Domenica 13 dicembre, riferisce l’agenzia Sir, la Porta Santa del giubileo della Misericordia si aprirà nella cattedrale di Kharkiv e nella Concattedrale di Zaporizhya. Le porte del Giubileo invece resteranno chiuse nelle Chiese Donetsk e di Lugansk, dove ormai i cattolici sono pochissimi.

Mons. Shyrokoradiuk: abbiamo bisogno di tutto
A Kharkiv, i profughi fuggiti dalla guerra sono tantissimi. Si tratta di una presenza di 600 mila persone e ogni giorno – racconta mons. Stanislav Shyrokoradiuk – nel nuovo centro sociale che è sorto a fianco della cattedrale, dalle 100 alle 120 persone arrivano per chiedere un aiuto. “Abbiamo bisogno di tutto – dice il presule – tantissime persone non hanno un posto in cui vivere. I bambini sono poveri, hanno perso tutto, la scuola, la casa, gli amici e per loro è importante partecipare alle nostre attività”.

In preghiera per la pace e per le vocazioni
L’Ucraina, prosegue mons. Shyrokoradiuk, “ha bisogno della misericordia di Dio e della misericordia degli uomini”. Domenica, la Chiesa di Kharkiv pregherà dunque per la pace, ma anche per le vocazioni. “Mancano sacerdoti e tantissime parrocchie sono vuote – conclude il vescovo di Kharkiv – Non abbiamo sacerdoti. Quest’anno giubilare lo dedicheremo alla preghiera per la pace e per nuove vocazioni”. (I.P.)

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Irlanda. Messaggio dei vescovi per 50.mo del Vaticano II

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“Un grande evento dello Spirito che guida ancora la Chiesa nel mondo moderno”, come “una bussola”: scrive così la Conferenza episcopale irlandese (Irc) in una nota diffusa in occasione del 50.mo anniversario del Concilio Vaticano II, che ricorre l’8 dicembre. In particolare, i presuli esprimono “gratitudine a Dio” per i frutti di tale storico evento, come ad esempio il rinnovamento della liturgia, il rilancio della catechesi, le nuove iniziative ecumeniche, l’apertura della Chiesa al mondo delle comunicazioni sociali, la nascita di nuovi movimenti e comunità, la rinnovata attenzione pastorale verso i giovani, il matrimonio e la famiglia.

Discernere cosa lo Spirito dice alla Chiesa di oggi
Ma questo 50.mo anniversario – notano i presuli – rappresenta anche l’occasione per fare un bilancio, “consapevoli dei limiti e delle nuove sfide” che attendono oggi la Chiesa irlandese, questioni “imprevedibili negli anni ‘60”. “Ciò che conta, dunque – prosegue la nota – è discernere cosa lo Spirito dice oggi alla Chiesa”, perché “se il Concilio è stato un evento dello Spirito, allora sarà lo stesso Spirito ad aiutarci ad interpretare correttamente il Concilio”. La necessità primaria, affermano i presuli, è quella di approfondire gli insegnamenti conciliari, “in particolare la dimensione ‘secolare’ della Buona Novella della Chiesa”.

Rilanciare il ruolo dei laici
Di qui, il richiamo che i vescovi di Dublino fanno al viaggio di Papa Giovanni Paolo II in Irlanda, avvenuto nel 1979 e che “ha aiutato a realizzare, in modo nuovo e più profondo, la vocazione di tutti i battezzati” e “l’importante ruolo dei laici nella tutela e nella promozione della vita familiare”.

Il Giubileo, occasione per rilanciare la speranza e la misericordia
Poi, la Chiesa irlandese esorta a cogliere la celebrazione dell’anniversario del Concilio come “un momento per impegnarsi nel rinnovamento”, poiché nel Paese è in corso “un allontanamento dalla cultura cristiana o, per lo meno, dalle forme istituzionali della Chiesa che hanno generato e cresciuto la cultura locale, per secoli”. Guardando agli insegnamenti conciliari, dunque, bisogna riscoprire “come essere Chiesa nel mondo moderno”. Infine, considerata la felice coincidenza tra l’anniversario conciliare e l’inizio del Giubileo straordinario della misericordia, che si apre proprio l’8 dicembre, i vescovi irlandesi esortano i fedeli a rilanciare la speranza e “la misericordia di Dio”. (I.P.)

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"Sotto la spada di Cesare": la risposta dei cristiani perseguitati

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“Sotto la spada di Cesare. La risposta dei cristiani alla persecuzione”: su questo tema si svolgerà, dal 10 al 12 dicembre, un importante incontro internazionale presso la Pontificia Università Urbaniana a Roma. L’evento è organizzato dal Centro per i diritti civili e umani dell’Università di Notre Dame nell’Indiana e dal Centro Berkley per la Religione, la Pace e gli Affari Mondiali della Georgetown University, in collaborazione con la Comunità di Sant’Egidio, in occasione del 50.mo anniversario della “Dignitatis Humanae”, la Dichiarazione conciliare sulla libertà religiosa (7 dicembre 1965).  

All’esame dei partecipanti uno studio su 100 comunità cristiane in 30 Paesi
Leader religiosi, funzionari di governo, studiosi, attivisti per i diritti umani e rappresentanti delle religioni provenienti da diverse regioni e chiese cristiane nel mondo si riuniranno per discutere delle minacce alla libertà religiosa e delle violenze contro i cristiani oggi, a cinquant’anni anni dal documento conciliare, e su come le comunità cristiane in Iraq, Siria, Cina e India e in altri Paesi stanno rispondendo alle persecuzioni. Il punto di partenza del dibattito sarà il risultato di una ricerca triennale finanziata della Fondazione Templeton e condotta da un gruppo di 14 studiosi di fama internazionale su oltre un centinaio di comunità cristiane in 30 Paesi. L’obiettivo è anche di richiamare l’attenzione dell’opinione pubblica su questa situazione e di incoraggiare la solidarietà globale verso dei cristiani perseguitati.

I relatori
A introdurre i lavori sarà mons. Paul Richard Gallagher, segretario vaticano per i Rapporti con gli Stati. Tra i relatori, il Patriarca di Babilonia dei Caldei, mons. Louis Raphael Sako, Sua Beatitudine Ignace Joseph III Younan, Patriarca di Antiochia dei Siri e di tutto l’Oriente, il cardinale Charles Maung Bo, arcivescovo di Yangon in Myanmar, l’arcivescovo nigeriano anglicano, Benjamin Kwashi. Presenti anche Paul Bhatti, consigliere del primo ministro del Pakistan per le minoranze, Heiner Bielefeldt, relatore speciale delle Nazioni Unite sulla libertà religiosa, e l’ambasciatore statunitense David Saperstein del Dipartimento di Stato per la libertà religiosa internazionale. (L.Z.)

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Francia. vescovi pubblicano guida sul matrimonio islamo-cristiano

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Alla scoperta dell’altro, della sua visione della vita, dell’essere umano, di Dio. Ma anche le nozze, la loro preparazione, il loro significato. La vita familiare, con l’educazione, la trasmissione della fede ai figli, la celebrazione delle feste, i rapporti con le famiglie di origine. Si snoda su questi punti la nuova guida “Matrimonio islamo-cristiano, cattolico e musulmano - domande su un progetto di vita” proposta dalla Federazione nazionale dei Centri di preparazione al matrimonio (Cpm), organismo della Conferenza episcopale francese, all’interno dell’ultimo numero speciale della rivista “Accueil Rencontre”.

Aiutare le coppie miste a condividere le proprie tradizioni religiose
Realizzato assieme al Servizio nazionale per le relazioni con i musulmani della Cef (Sri) e al Gruppo dei foyer islamo-cristiani (Gfic), in un momento storico segnato dalla drammatica escalation della violenza religiosa nel mondo, il volume si propone di aiutare i futuri coniugi di religione differente a vivere concretamente e quotidianamente il loro amore condividendo le loro diverse tradizioni religiose e culturali.

Le coppie miste una ricchezza
Al testo hanno collaborato, fra gli altri, padre Christophe Roucou, per nove anni alla guida del Servizio nazionale per le relazioni con l’islam, l’attuale direttore, padre Vincent Feroldi, Christian Delorme, sacerdote particolarmente impegnato nel dialogo interreligioso, Dominique Fonlupt, del settimanale “La Vie”, pioniera dei foyers islamo-cristiani, l’imam Tareq Oubrou, Azzedine Gaci, responsabile del dialogo interreligioso dell’Unione delle organizzazioni islamiche di Francia, e Aldo Naouri, pediatra e specialista di relazioni intra-familiari. La squadra - riferisce il quotidiano “La Croix” - ha lavorato nove mesi per cercare di affrontare tutti gli aspetti, in una prospettiva concreta arricchita da numerose testimonianze. Come quella di Lucie, 37 anni, sposata con Adel, francese di origine algerina, per la quale una coppia mista “è anche una ricchezza, l’occasione di approfondire la propria religione e di andare incontro all’altro imparando a conoscere il suo credo e le sue tradizioni”. Le coppie miste, osserva padre Feroldi, “sono fattori di evoluzione, ci spingono a riflettere”. (L.Z.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIX no. 341

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti.