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Sommario del 27/09/2014

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Papa Francesco: Cristo Eucaristia è pane di speranza per il mondo

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Il Pontificio Comitato per i Congressi Eucaristici Internazionali lavora all’organizzazione del prossimo raduno in programma a Cebu, nelle Filippine, alla fine del gennaio 2016. Al termine di una sessione di lavori, Papa Francesco ha ricevuto in udienza il gruppo di delegati e ha ribadito loro: la speranza per il mondo si fonda sull’incontro con Gesù Eucaristia. Il servizio di Alessandro De Carolis

L’Eucaristia è il pane della speranza cristiana, ma il mondo ha smarrito in larga parte il gusto di questo pane e anche il senso di questa speranza. Papa Francesco accoglie gli esperti che lavorano al prossimo Congresso eucaristico internazionale del 2016 nelle Filippine e coglie l’occasione per una riflessione sul Sacramento cardine della fede e sul bisogno di riaffermarne l’importanza attraverso la missione:

“Oggi vi è una carenza di speranza nel mondo, per questo l’umanità ha bisogno di ascoltare il messaggio della nostra speranza in Gesù Cristo. La Chiesa proclama questo messaggio con ardore rinnovato, utilizzando nuovi metodi e nuove espressioni. Con lo spirito della ‘nuova evangelizzazione’, la Chiesa porta questo messaggio a tutti e, in modo speciale, a coloro che, pur essendo battezzati, si sono allontanati dalla Chiesa e vivono senza fare riferimento alla vita cristiana”.

Dunque, afferma Papa Francesco, il 51.mo Congresso Eucaristico di Cebu “offre l’opportunità di sperimentare e comprendere l’Eucaristia come un incontro trasformante con il Signore nella sua parola e nel suo sacrificio d’amore”. Un’“occasione propizia per riscoprire la fede come sorgente di Grazia che porta gioia e speranza nella vita personale, familiare e sociale”:

“L’incontro con Gesù nell’Eucaristia sarà fonte di speranza per il mondo se, trasformati per la potenza dello Spirito Santo ad immagine di colui che incontriamo, accoglieremo la missione di trasformare il mondo (…) portando speranza, perdono, guarigione e amore a quanti ne hanno bisogno, in particolare i poveri, i diseredati e gli oppressi, condividendone la vita e le aspirazioni e camminando con loro alla ricerca di un’autentica vita umana in Cristo Gesù”.

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Il grazie del Papa alla Gendarmeria vaticana

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Papa Francesco ha presieduto stamani, nella Cappella del Governatorato, la Messa in occasione della Festa di San Michele Arcangelo, Patrono del Corpo della Gendarmeria, nel suo 198.mo anniversario di fondazione. Ieri sera si era svolto nel Giardino Quadrato dei Musei Vaticani il ricevimento aperto dal saluto di Domenico Giani, comandante del Corpo. Mons. Angelo Becciu, sostituto della Segreteria di Stato, ha letto il messaggio del Papa. Francesco rinnova ai gendarmi la sua “profonda gratitudine” per il “fedele e generoso servizio svolto con discrezione, professionalità e tanto amore alla Chiesa e al Papa”.

Assicura quindi all’intero Corpo della Gendarmeria la sua “costante benevolenza unita all’incoraggiamento a proseguire la loro apprezzata opera con serenità, pazienza e spirito di servizio”. “Cari gendarmi – conclude il messaggio pontificio - confidate sempre nella bontà e nella fedeltà del Signore che sempre ci è accanto e mai ci tradisce. Affidatevi fiduciosi alla materna protezione della Vergine Maria e del vostro patrono San Michele Arcangelo”.

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Il Papa alla Chiesa del Gesù. P. Bottaro: momento per ritornare alle origini

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Papa Francesco presiede alle 17 di oggi alla Chiesa del Gesù in Roma la celebrazione dei Vespri e Te Deum, in occasione del bicentenario della ricostituzione della Compagnia di Gesù ad opera di Pio VII nel 1814, dopo la soppressione da parte di Papa Clemente XIV nel 1773. Per una testimonianza su questa ricorrenza, Alessandro Gisotti ha intervistato padre Flavio Bottaro, coordinatore dell’ufficio comunicazione dei Gesuiti italiani: 

R. - E’ un momento per ricordare, per riportare un po’ nel presente la nostra storia; un evento che, sicuramente, proviene da un momento di sofferenza, di fatica per i nostri confratelli di quel tempo, che per noi si configura oggi come un evento di morte e di resurrezione. In questo evento, noi vediamo come la storia di Gesù è diventata ancora più da vicino la nostra storia e quindi ci sentiamo ancora più compagni nel Signore.

D. – Una cosa che colpisce, ovviamente, è che questa ricostituzione avvenne dopo 41 anni dallo scioglimento, come a dire che sotto la cenere bruciava la fiammella della fede...

R. – Sicuramente. Direi che è stata anche l’occasione, in qualche modo, per rinascere, ritrovare un po’ le nostre origini, al punto che è difficile dire se si tratta di restaurazione, ricostituzione, rinascita. Quello che abbiamo sperimentato, però, è stato un ritornare in modo più decisivo alle nostre origini e recuperare un po’ più a fondo la nostra spiritualità.  

D. – Papa Francesco ha più volte sottolineato che il gesuita è un decentrato, perché al centro deve esserci sempre Cristo. Come interroga, in questo anniversario, questa esortazione, queste parole del Papa?

R. – Direi innanzitutto che, per noi, essere decentrati è avere al centro del nostro cuore e del nostro modo di agire Cristo; vuol dire, oggi, innanzitutto, apertura al mondo, senza pregiudizi, senza paure, cercando – come dice Papa Francesco – di andare alle periferie e non di portare le periferie verso il centro; quindi, sbilanciarsi in modo decisivo verso chi ci sta intorno, verso chi ha più bisogno, verso i poveri, verso quel mondo che non è evangelizzato, nel senso che non conosce la Parola di Dio come fonte di rinascita e di salvezza.

D. – Certamente un Papa gesuita ed un Papa con un carisma, una capacità di attrazione anche da mondi non sempre vicini alla Chiesa, può in qualche modo anche rilanciare o far apprezzare di nuovo o apprezzare – perché magari non la conoscono – la spiritualità ignaziana, a partire da un testo così fondamentale come gli Esercizi di Sant’Ignazio?

R. – Sì, direi che la spiritualità ignaziana oggi gode di una buona salute, proprio per come è il mondo di oggi. La nostra spiritualità ci spinge ad apprezzare tutte le espressioni dell’umano, quando diventano forma di cura, forma di aiuto, forma di crescita per l’umano stesso, per l’uomo, per le donne di oggi. Sicuramente il fatto che questo Papa sia in sintonia con noi, aiuta molto di più a diffondere questa sensibilità.

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Francesco incontra i nonni. Mons. Paglia: anziani nel cuore della Chiesa

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Questa domenica il Papa incontra in Piazza San Pietro gli anziani e i nonni del mondo. L’evento si svolge in due fasi: la prima, in forma di testimonianza e di dialogo, inizia alle 9.30. In questa fase sarà presente anche Benedetto XVI che ha accettato volentieri l’invito di Papa Francesco. Poi, alle 10.30 inizia la Messa: concelebreranno con il Santo Padre alcuni sacerdoti anziani. La giornata è intitolata “La benedizione della lunga vita” ed è organizzata dal Pontificio Consiglio per la Famiglia. Stefano Leszczynski ha intervistato il presidente del dicastero, mons. Vincenzo Paglia

R. - In un mondo che scarta gli anziani, Piazza San Pietro vuol dire che gli anziani non sono “scarti”, anzi stanno nel cuore stesso della Chiesa con Papa Francesco. In questo senso, è un gesto che vuole sottolineare la “decisività” di questi anni - vorrei dire - per la vita delle famiglie, della Chiesa e anche della nostra società.

D. - Da un lato, il problema della marginalizzazione degli anziani, soprattutto nelle società occidentali; dall’altro lato, gli anziani come categoria debole e vulnerabile in tante situazioni di crisi nel mondo: sono tra coloro che soffrono di più e anche, il più delle volte, tra coloro che poi si trovano a farsi carico di quelli che sono stati i danni dei conflitti…

R. - Purtroppo, ovunque nel mondo, ormai gli anziani cominciano a essere guardati con grande diffidenza e, in effetti, c’è come una sorta di parallelo tra la globalizzazione del mercato del profitto e la marginalizzazione di chi non produce, di chi appunto è concepito come “di peso”.

D. - Cosa può fare la Chiesa per sensibilizzare nei confronti della condizione degli anziani?

R. - Io credo debba, anzitutto, dire agli anziani che hanno più anni che c’è un nuovo compito da svolgere: gli anziani stessi devono comprendere che quell’età è un’età nella quale sono chiamati a convertirsi; Papa Giovanni - che aveva già 80 anni - nei suoi diari scrive che anche da Papa, anche da vecchio deve continuare a convertire il proprio cuore. Allora, io immagino che il grande popolo degli anziani, così numeroso oggi - in un mondo di conflitti, di guerre e di odio - sia un po’ come Mosè sul monte, che prega, mentre si deve combattere una battaglia per un mondo più giusto che è davvero difficile da combattere. Quindi, abbiamo bisogno degli anziani che preghino. C’è, poi, l’esortazione ai nipoti e ai figli degli anziani a non disperdere questo tesoro, a non scartarlo; nello stesso tempo, invece, gli anziani possono offrire il loro contributo e, di fatto, già lo fanno - soprattutto in questo tempo di crisi - con un contributo spesso economico, ma anche contributo di educazione, di accompagnamento. Credo che sia importante ricordare il rapporto tra le generazioni, perché se questo rapporto si rompe costruiamo un presente triste e un domani, forse, ancor più triste.

D. - Domenica ci sarà la presenza anche di una coppia di anziani coniugi iracheni. Che significato assume nel contesto attuale questa presenza?

R. - A me ha fatto impressione - seguendo la tragedia di questa guerra - vedere tanti anziani che, dopo una vita di risparmio, di fatiche, sono dovuti scappare, abbandonando tutto. Una tragedia quasi più dura di quella dei bambini, per certi versi, e mostra l’assurdità della guerra; per di più dall’Iraq, da dove Abramo partì perché chiamato da Dio per un disegno di straordinaria grandezza. Qui, purtroppo, hanno dovuto lasciare la loro terra perché colpiti, violentati da chi, persino in nome di Dio, compie drammi così gravi. Allora, io credo che la presenza di questi anziani - che provengono, appunto, da Erbil - nel giorno dell’incontro con il Papa, sia un nuovo grido contro la follia della guerra e contro la cattiveria degli uomini, quando non sanno guardare con umanità i loro simili, anche se hanno magari cultura diversa, credo diverso o condizioni diverse.

D. - Avrà uno spazio al Sinodo sulla Famiglia la questione degli anziani?

R. - Certamente sì. Il fatto che questo incontro avvenga alla vigilia del Sinodo mi fa pensare che loro siano i pionieri, le avanguardie, coloro che certamente hanno vissuto più tempo in famiglia, coloro che certamente potrebbero parlare molto di quello che a loro è accaduto, di bene o anche di male. Ecco perché direi che questi anziani, la settimana prima del Sinodo, vengano a dire che la famiglia sia davvero il cuore della vita, e quando manca è una tragedia.

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“Non abbiate paura della pace”: così Papa Francesco al Venezuela

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“Non bisogna avere paura della pace e della convivenza; la riconciliazione e l’unità non sono una sconfitta o una perdita, ma una vittoria, perché chi ne esce vincente è l’essere umano, creato da Dio per vivere in concordia ed armonia”: lo ha scritto Papa Francesco nel messaggio in occasione della Settimana internazionale della Pace che si è svolta in Venezuela dal 21 al 26 settembre. Il messaggio, inviato al nunzio apostolico a Caracas, mons. Aldo Giordano, è stato letto durante l’incontro interreligioso conclusivo dell’evento, a cui hanno partecipato delegati della Chiesa cattolica, di quella evangelica, della comunità ebraica e di quella musulmana. Il Papa ha quindi incoraggiato tutti “a raddoppiare gli sforzi perché la fiamma della pace presente nel cuore degli uomini e delle donne di buona volontà illumini con la sua luce tutta la società. Che l’esempio di Cristo, che con la sua morte ha abbattuto il muro dell’odio e della divisione, vi aiuti nell’impegno per una società sempre più giusta e pacifica”.

Da parte sua mons. Giordano ha auspicato che questo evento possa essere “una via nella ricerca di ciò che unisce per superare ciò che divide”. “Sappiamo – ha detto - che tante persone di differenti culture, nazioni, lingue e religioni in tutto il mondo lavorano e pregano per la pace. Siamo uniti a tutti coloro che amano la pace e sono operatori di pace, perché gli uomini e le donne possano vivere come fratelli e non come avversari o nemici. Siamo vicini a tutte le persone che sono vittime in tanti Paesi del mondo della mano assassina, codarda e folle di altre persone”. A conclusione del suo intervento, il rappresentante del Santo Padre ha pregato per la pace recitando la preghiera scritta da San Francesco d'Assisi.

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Udienze e nomina episcopale di Papa Francesco

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Papa Francesco ha ricevuto nel corso della mattinata, in successive udienze, il cardinale Marc Ouellet, prefetto della Congregazione per i Vescovi , e gli arcivescovi Christophe Pierre, Giuseppe Pinto e Francisco Montecillo Padilla, rispettivamente nunzi apostolici in Messico, nelle Filippine e in Tanzania.

In Italia, il Papa ha nominato ausiliare di Napoli il sacerdote Salvatore Angerami, del clero della medesima arcidiocesi, rettore del Seminario Maggiore Arcivescovile, assegnandogli la sede titolare vescovile di Torri della Concordia. Mons. Salvatore Angerami è nato a Napoli, il 26 novembre 1956. Si è laureato in Ingegneria presso l’Università Federico II di Napoli e per alcuni anni ha esercitato la professione di Ingegnere. Successivamente è stato accolto nel Seminario Arcivescovile di Napoli dove ha compiuto gli studi filosofico-teologici. È stato ordinato sacerdote il 22 giugno 1997 ed è incardinato nell’arcidiocesi di Napoli. Dopo l’ordinazione sacerdotale ha ricoperto i seguenti incarichi: Animatore del Seminario Maggiore Arcivescovile di Napoli (1996-2003); Vicario parrocchiale di San Gennaro al Vomero (2003-2005); Parroco di San Gennaro al Vomero (2005-2014); Delegato arcivescovile per l’Edilizia di Culto (2012-2014). È stato, inoltre, Collaboratore della Parrocchia Beata Vergine di Lourdes e Santa Bernardetta (1997-2003), Confessore Ordinario del Seminario Maggiore Arcivescovile (2004-2009), Padre spirituale della Comunità Propedeutica del Seminario Maggiore Arcivescovile (2005-2008) e Decano dell’ex 7° Decanato. È stato Membro del Consiglio Diocesano per gli Affari Economici (2011-2014) e Membro della Commissione di Arte Sacra (2012-2014). Nello scorso mese di luglio, l’Em.mo Cardinale Arcivescovo lo ha nominato Rettore del Seminario Arcivescovile di Napoli.

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Papa, tweet: porre al centro se stessi è umano non cristiano

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Tweet di Papa Francesco, lanciato oggi dal suo account @Pontifex. “C’è la tendenza – scrive il Papa – a mettere al centro noi stessi e le nostre ambizioni personali. Questo è molto umano, ma non è cristiano”.

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Francesco: il Beato Álvaro del Portillo ci invita a fidarci di Dio

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Decine di migliaia di fedeli hanno partecipato a Madrid alla beatificazione di mons. Álvaro del Portillo, sacerdote, vescovo e primo successore del fondatore dell’Opus Dei, San Josemaría Escrivá de Balaguer. 18 i cardinali e 150 i vescovi che hanno concelebrato. Presente anche il rappresentante del Papa, il cardinale Angelo Amato, prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi. Ai presenti è giunto il messaggio di Papa Francesco. Servizio di Francesca Sabatinelli

“Grazie, perdono, aiutami di più!”: le parole che soleva ripetere il Beato Álvaro del Portillo, che da una parte “ci avvicinano alla realtà della sua vita interiore e del suo rapporto con il Signore”, ma che “possono anche dare nuovo slancio alla nostra stessa vita cristiana”. Il Papa, in un lungo messaggio inviato al prelato dell’Opera, Javier Echevarría, descrive e rende omaggio a una figura la cui esistenza – si legge – fu “forgiata nella semplicità della vita familiare, nell’amicizia e nel servizio agli altri”.

Álvaro del Portillo rendeva grazie a Dio perché “consapevole dei tanti doni che Dio gli aveva concesso e lo ringraziava per quella dimostrazione di amore paterno” che  risvegliò “nel suo cuore desideri di seguirlo con maggiore dedizione e generosità e di vivere una vita di umile servizio agli altri”. Il Beato – scrive Francesco – servì la Chiesa “con cuore spoglio di interessi mondani, alieno alla discordia, accogliente con tutti e sempre alla ricerca del buono negli altri, di ciò che unisce, che edifica”.

Del Portillo chiedeva perdono, perché confessava “di vedersi davanti a Dio con le mani vuote, incapace di rispondere a tanta generosità”. La confessione – aggiunge il Papa – non è frutto della disperazione, ma è un aprirsi alla misericordia di Dio Padre, al suo amore “capace di rigenerare la nostra vita” e che “non umilia, non fa sprofondare nell’abisso della colpa, ma ci abbraccia, ci solleva dalla nostra prostrazione e ci fa camminare con più decisione e allegria”.

Infine, "aiutami di più". “Il Signore non ci abbandona mai – prosegue il messaggio – mai  verrà a mancare la sua grazia” e “con il suo aiuto possiamo portare il suo nome in tutto il mondo”. Ecco quindi che “nel cuore del nuovo Beato pulsava l’anelito di portare la Buona Novella a tutti i cuori”. Di qui il forte impulso a lui dato a progetti di evangelizzazione.

Il messaggio che il Beato del Portillo ci invia – conclude Papa Francesco – “ci dice di fidarsi del Signore che non ci defrauda mai e che sta sempre al nostro fianco”. “Ci incoraggia a non temere di andare controcorrente e di soffrire per l’annuncio del Vangelo e ci insegna che nella semplicità e nella quotidianità della nostra vita possiamo trovare un cammino sicuro di santità”.

Álvaro del Portillo, tra i promotori del ruolo dei laici nella Chiesa, è il primo tra i collaboratori del Concilio Vaticano II a diventare Beato. Fede, speranza, carità: le virtù che il nuovo Beato visse con eroismo. Egli fu inoltre figura di grande umanità e soprattutto di grande umiltà, come spiega il cardinale Angelo Amato:

"C’è una virtù che mons. Álvaro del Portillo visse in modo del tutto straordinario, ritenendola uno strumento indispensabile di santità e di apostolato: la virtù dell’umiltà, come imitazione e identificazione con Cristo mite e umile di cuore. Ed è questa la consegna che fa a noi oggi il beato Álvaro del Portillo. Invita a essere santi come lui, vivendo una santità amabile, misericordiosa, gentile, mite e umile. La Chiesa e il mondo hanno bisogno del grande spettacolo della santità, per bonificare, con il suo buon profumo, i miasmi dei tanti vizi ostentati con arrogante insistenza".

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Fedeltà creativa: i Focolari rinnovano l'impegno a portare ovunque il Vangelo

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Un intenso lavoro in seduta comune e a piccoli gruppi su tematiche specifiche per fare il punto sull’oggi e guardare al futuro: è stata questa l’Assemblea del Movimento dei Focolari che ha impegnato per tutto il mese di settembre a Castel Gandolfo circa 500 persone di ogni età e vocazione, provenienti da 137 nazioni, e che si è conclusa proprio con l’udienza del Papa. Nel pomeriggio la conferenza stampa con la presidente e il copresidente dei Focolari, rispettivamente Maria Voce e Jesús Morán Cepedano, per un bilancio del percorso compiuto. C'era per noi Adriana Masotti

Riscoprire il dono ricevuto dalla fondatrice, Chiara Lubich, e capire come incarnarlo nell’oggi: questo il compito dell’Assemblea che ha lavorato in una prospettiva di “fedeltà creativa”. E di creatività ha parlato anche il Papa. Ascoltiamo Maria Voce, presidente dei Focolari:

“Io ho sentito nel Papa una conoscenza profonda del nostro carisma, perché ha tirato fuori proprio quelle espressioni che facevano vedere quanto lui apprezzasse il nostro desiderio di unità e il nostro costruire rapporti di unità. Poi questa cosa che lui ha detto della creatività, secondo me, è stata importante, perché ci ha aperto il campo. Ha detto: fate quello che volete, andate dove volete, costruite! Fare scuola significa anche essere creativi, portare cioè qualcosa di nuovo che possa poi servire agli altri".

Di soddisfazione per il lavoro fatto dall’Assemblea parla il copresidente, Jesús Morán Cepedano:

“Credo che il bilancio sia molto positivo, perché siamo riusciti a sintetizzare prima e ad approfondire poi, tutte le istanze che erano venute dal Movimento in tutto il mondo e che rappresentavano le esigenze fondamentali per una incarnazione del carisma dell’unità nei prossimi sei anni. Quindi gli orientamenti e le linee di azione sono stati sintetizzati in questo slogan: 'Uscire, insieme, opportunamente preparati'. Siamo in un momento cruciale di riscoperta della nostra identità, del carisma, per poterlo donare meglio. La riscoperta della nostra identità sarà però parallela e contemporanea all’uscire verso i problemi dell’umanità”.

Uno degli aspetti che impegnano di più il Movimento è quello del dialogo ecumenico, interreligioso e con persone di altre convinzioni, un impegno incoraggiato dal Papa. Ancora Jesús Morán Cepedano:

“Assolutamente! Il Movimento è partito nella Chiesa cattolica come un movimento cristiano, ma è andato al di là: il vero messaggio di Gesù è un messaggio che va al cuore dell’uomo. Quindi ci troviamo vicini a tutti gli uomini di buona volontà, di tutte le religioni, di tutte le Chiese, anche ai non credenti che credono però nell’amore, che credono nella solidarietà”.

In merito al dialogo Maria Voce, sollecitata da una domanda, sottolinea l’importanza del prossimo viaggio del Papa in Turchia, una realtà che lei ben conosce e dove ha stretto importanti rapporti all’interno della Chiesa ortodossa e con esponenti dell’islam. A pochi giorni dall’apertura in Vaticano del Sinodo sulla famiglia non poteva mancare poi una domanda su come il Movimento guarda alla famiglia e sulle aspettative riguardo al Sinodo stesso. Risponde il copresidente, Jesús Morán Cepedano:

“Il problema della famiglia è un problema antropologico. Qui ci giochiamo un po’ l’avvenire dell’uomo, perché l’uomo cresce nella famiglia, l’uomo si fa uomo nella famiglia e quindi la famiglia è fondamentale. Noi pensiamo che questo Sinodo non sia un Sinodo per risolvere problemi disciplinari della famiglia, ma sia per andare a fondo nel disegno di Dio sulla famiglia. Allo stesso tempo, però, il disegno di Dio deve confrontarsi con il vissuto reale delle famiglie, raccogliere le sofferenze. Questo è fondamentale perché la dottrina interpelli veramente e dica qualche cosa. Noi, nel Movimento, siamo molto attenti ad approfondire il disegno di Dio sulla famiglia, ma - allo stesso tempo - anche alle sofferenze concrete. Il Movimento non esclude nessuno. Chiara Lubich - la fondatrice del Movimento - ci ha sempre spinti a cercare il Gesù abbandonato della famiglia, che sono i divorziati, che sono i separati, che sono le nuove unioni. Quindi dobbiamo andare lì, a queste piaghe".

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Mons. Becciu: laici e cattolici insieme contro pedofilia

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''Papa Francesco sta portando avanti un percorso di purificazione che nella Chiesa, a tutti i livelli, sta funzionando”: è quanto afferma mons. Angelo Becciu, sostituto della Segreteria di Stato, parlando della pedofilia in una intervista al Messaggero. “Le nostre strutture – ha detto il presule - sono state messe in sicurezza ma la rete dei pedofili è ramificata, potente a livello internazionale, gode di appoggi, molti e altolocati'', anche perché ''si sta diffondendo a macchia d'olio una cultura violenta e predatoria nei confronti dei bambini, una cultura che si insinua nelle pieghe della tv, della pubblicità''.

Mons. Becciu invita ad ''unire le forze, laici e cattolici, per combattere questo male. Senza pregiudizi. E' giunta l'ora di allargare il campo visivo, il problema è reale, diffuso nelle famiglie, ambienti educativi, sportivi. Dobbiamo chiederci se l’attenzione è adeguata. Le leggi che i Parlamenti producono sono adeguate?''.

''Nell'ultimo anno – sottolinea - la Congregazione per la Dottrina della Fede ha trattato circa 600 casi di accuse, si deve considerare che in buona parte risalgono a decenni precedenti''. E aggiunge:  ''La tolleranza zero contenuta nelle nuove leggi canoniche e nelle disposizioni interne messe a punto in questi ultimi dieci anni hanno portato all'espulsione di centinaia di sacerdoti e religiosi indegni. Le nostre corti sono molto più severe di altre esterne''.

''La lotta contro la pedofilia e lo sfruttamento dei bambini – afferma ancora mons. Becciu - è un capitolo complesso, che richiede lo sforzo congiunto di tutte le istanze della società: il Parlamento, il servizio pubblico televisivo, la scuola, gli ambienti sportivi. E poi a livello europeo, Strasburgo, Bruxelles. Posso dire con certezza che oggi nei seminari l’attenzione è molto alta, solo persone umanamente solide e spiritualmente profonde vengono ammesse. E’ così anche in altri settori solitamente a contatto con l’infanzia?''. Quindi conclude: “Nel tritacarne mediatico è finita ancora la Chiesa, dopo l’arresto di un vescovo che pagherà per quello che ha fatto. Ma siamo sicuri che a mettere nel tritacarne mediatico sempre e solo la Chiesa non si faccia il gioco di chi la vuole distruggere o indebolire? Unica voce ancora in grado di farsi sentire a livello globale per difendere i più deboli in Africa, in America Latina, in Asia?”.

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Cortile dei Gentili: dialogo tra Ravasi e Gino Paoli sul tempo

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La musica ha incorniciato, ieri sera a Bologna, il primo appuntamento del Cortile dei Gentili che si chiuderà domattina. Il cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, si è confrontato con il cantautore genovese Gino Paoli sul tema del tempo, filo rosso della tre giorni di incontri, dibattiti e spettacoli. Il servizio di Luca Tentori: 

Un dialogo schietto su vita, religione, verità e amicizia. Questo hanno offerto ieri sera a Bologna nell’aula Magna dell’Università il credente cardinale Gianfranco Ravasi e  l’agnostico cantante Gino Paoli. La musica sullo sfondo a suggellare un incontro che non ha risparmiato alcuni temi spinosi come strumentalizzare le fedi per creare sopraffazione e violenza. E il confronto scivola sulla confidenza di come l’artista genovese ha vissuto e interpretato il tempo della vita. Gino Paoli:

“E’ l’incontro quello che decide della tua vita e tutto dipende dagli incontri che fai. La ricchezza di un uomo sono gli amici che ha”.

Questa mattina invece una serie di interventi per una riflessione a partire dall’arte, dalla teologia e dalla filosofia. A parlare de “I nomi del Tempo” il rettore dell’Università di Bologna, Ivano Dionigi:

“Credo che qui il disaccordo si faccia molto personale e ognuno debba dare il proprio nome al tempo. Che nome ha il tempo? Genericamente noi riusciamo a dare dei nomi: greci, latini, moderni.  Attraverso i vari saperi vorremmo interrogare il tempo e dare un nome al tempo per i nostri giorni, perché ognuno possa nominare i propri giorni con qualcosa di diverso e di nuovo.  Noi rischiamo di vivere quello che noi chiamiamo il provincialismo di tempo: cioè di credere che tutto si riduca all’oggi. Noi oggi siamo a rischio perché abbiamo la sincronia del presente, la dittatura del presente; difettiamo di cultura storica. Noi abbiamo bisogno di capire bene le nostre radici. Noi vorremmo aiutare tutti a capire a che punto siamo e come ripartire”.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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C’è bisogno di speranza: il Papa alla plenaria del Pontificio del comitato per i congressi eucaristici internazionali.

La cronaca della visita ufficiale dell’arcivescovo Dominique Mamberti in Georgia compiuta dal 13 al 17 settembre.

Antidoti alla barbarie: Fernando Cancelli per i settant’anni della strage di Monte Sole.

Un monito a non dimenticare: Maria Mari e Paola Brunori sul restauro del palazzo dei Convertendi a Roma.

Intrecciava i fili della storia: Giuseppe Zecchini ricorda Jean-Pierre Callu.

Quel dialogo chiamato viaggio: uno stralcio del primo capitolo del libro - scritto da Mario Agnes e da Michele Zappella - su Giovanni Paolo II e l’evangelizzazione.

Fedeli e creativi: Giovanni Zavatta a conclusione dell’assemblea generale dei Focolari.

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Oggi in Primo Piano



Siria. Ampliati raid Usa. Mons. Zenari: serve azione politica

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Si allargano su più province della Siria i bombardamenti della coalizione internazionale, mentre sul terreno non si fermano i combattimenti tra le milizie curde e quel sedicente Stato islamico (Is). Ieri,anche il parlamento del Regno Unito ha dato il via libera ai raid aerei contro le postazioni dello Stato Islamico in Iraq. E in Europa resta altissimo l'allarme terrorismo. Il servizio di Marco Guerra: 

Dopo la quinta notte di bombardamenti in Siria, stamani si registrano i primi raid aerei sulle postazioni del sedicente Stato Islamico (Is) nella provincia centrale di Homs, allargando così il raggio d'azione dopo le incursioni nel nord del Paese. Fonti locali segnalano un numero imprecisato di vittime. E già nelle prossime ore i caccia della Raf potranno entrare in azione. Ieri, il parlamento del Regno Unito ha dato il via libera alla partecipazione diretta dell’aviazione britannica alle operazioni della coalizione in Iraq, che vede impegnati anche cinque Paesi arabi. Al momento, Parigi e Londra si astengono però dall’intervento in Siria. Il premier inglese Cameron è stato chiaro: quella in Iraq “sarà una missione che non durerà qualche settimana, ma anni. Dobbiamo essere pronti a questo tipo d’impegno”. Gli fa eco il capo del Pentagono, Chuck Hagel, secondo il quale "nessuno deve farsi illusioni","L'Isis – ha aggiunto – non si sconfigge solo con i raid aerei, serve un'azione più ampia, anche politica”. Ma a combattere in prima linea restano le milizie curde, che stanno cercando di fermare l’avanzata dei jihadisti nel nord della Siria. E una svolta potrebbe arrivare dal cambio di atteggiamento della Turchia, finora la grande assente della coalizione anti-Is. “La nostra posizione è cambiata”, ha detto il presidente turco Erdogan, lasciando intendere un contributo di Ankara nella guerra contro lo Stato islamico. Sempre più coinvolta nella crisi anche Teheran: un generale dell’esercito iraniano ha detto che se i jihadisti si avvicineranno al confine, saranno attaccati anche in territorio iracheno. E proprio in Iraq l’esercito annuncia la riconquista di 24 villaggi nella provincia di Diyala. Intanto, cresce sempre di più l'allarme terrorismo in Europa, visto che si contano oltre 3.000 europei arruolati nelle file dell'Is che potrebbero rientrare e rendersi protagonisti di attentati. Ma sulla situazione ascoltiamo il commento di mons. Mario Zenari, nunzio apostolico in Siria:

R. – La sola forza militare non è la soluzione. Bisogna sanare il terreno da questo "humus" che produce questi estremismi, questo terrorismo: se non si tira via da sotto la brace, il fuoco continuerà ancora a bruciare. Quindi, in questi Paesi bisogna mettere mano a riforme serie di democrazia, di pluralismo che coinvolgano tutti i gruppi presenti nel Paese: parlo della Siria, in questo momento, e dell’Iraq, ma soprattutto della Siria. Purtroppo, il conflitto può produrre ancora questi estremismi e la questione della Siria è molto, molto delicata, direi, rispetto a quella dell’Iraq. Per l’Iraq si può intravedere una via di uscita, presto o tardi, ma per la Siria è ancora troppo complicata la situazione… Quindi, l’uso della forza non è “la” soluzione.

D. – La situazione umanitaria resta drammatica: cosa può dirmi dell’emergenza in Siria?

R. – Soprattutto in questi ultimi tempi, quello che si vede è il panico che si sta diffondendo. Molta gente ha paura, è terrorizzata da quello che può capitare, è terrorizzata dall’avanzata di questi estremisti e quindi cerca di scappare… E’ un panico che si diffonde un po’ a tutti gli strati che provoca questi esodi massicci versi i Paesi vicini. I cristiani sono anche loro in questa situazione e bisogna anche ricordare che durante tutto questo conflitto le minoranze sono l’anello più debole della catena, poiché questo Is ha posto l’alternativa: o convertirsi all’islam, oppure pagare un tributo e non ostentare segni religiosi come croci, suono di campane… Chi può, cerca di vendere qualche proprietà e pensa di fuggire all’estero. Tutti, compresi i cristiani.

D. – Lei ha evidenziato il forte sentimento religioso dei musulmani e ha parlato di valori sui quali convergere…

R. – Io direi che un modo di tagliare l’erba sotto ai piedi di questi fondamentalisti è quello di ricuperare, soprattutto in Europa, i valori religiosi che sono molto, molto forti, molto sentiti in questi Paesi musulmani. Loro ci accusano spesso di essere atei e ci accusano di immoralità, è giusto quindi far vedere che l’Europa crede nei valori religiosi e, conseguentemente, crede anche alla pratica di questi valori religiosi. Altrimenti, anche questo sarà un humus per la crescita e lo sviluppo di questi fondamentalismi.

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Ebola, oltre 3000 morti. Msf: agire in fretta contro catastrofe umanitaria

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L’America è in prima linea per combattere la diffusione di Ebola in Africa. Così il presidente statunitense Obama, mentre secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità il virus fino ad ora ha provocato più di 3 mila morti e oltre 6.500 contagi. Intanto il Fondo Monetario Internazionale ha stanziato altri 130 milioni di dollari a favore di Sierra Leone, Guinea e Liberia. Eugenio Bonanata ne ha parlato con il dott. Roberto Scaini di Medici Senza Frontiere: 

R. - L’epidemia in West Africa è assolutamente fuori controllo! Quello che noi vediamo, dal punto di vista pratico, è che riceviamo nei nostri centri sempre più pazienti e che ad oggi superano quelle che sono le possibilità di dare un posto letto e quindi un adeguato trattamento ai pazienti stessi.

D. - La diffusione del virus oltre i confini africani: un rischio reale o soltanto allarmismo?

R. - Il rischio zero non esiste, però risponderei che ad oggi è allarmismo, soprattutto se consideriamo che comunque i Paesi occidentali hanno tutte le risorse per trattare l’eventuale caso e assolutamente per impedire la diffusione della malattia. Quindi è allarmismo.

D. - Migliaia di vaccini sperimentali arriveranno in Africa fino al 2015. Cosa dire di questo siero?

R. - Ben vengano farmaci sperimentali, sieri, vaccini… Serviranno, ma quando arriveranno sarà troppo tardi! Il problema è adesso per le persone che adesso sono malate di Ebola e quindi quello che noi stiamo chiedendo ad alta voce è più intervento immediato oggi. Non possiamo aspettare il vaccino che quando sarà pronto sarà comunque troppo tardi!

D. - E’ un problema di mobilitazione internazionale e di risorse. E non bisogna trascurare neanche la vulnerabilità dei sistemi sanitari dei Paesi colpiti...

R. - Questo è senz’altro vero: i sistemi sanitari dei Paesi colpiti erano già in uno stato di precarietà in precedenza e oggi sono del tutto collassati. A Monrovia, da dove sono ritornato da poco, gli ospedali sono chiusi e oggi non si muore solo di Ebola, si muore ancora di parto, si muore di malaria… Il mondo, però, ha le risorse economiche per un intervento: deve aprire gli occhi e deve intervenire! Non deve lasciare da sola Medici senza Frontiere di fronte a questa sfida: ma oggi siamo ancora da soli di fronte a delle promesse che non si sono assolutamente concretizzate. E questo è una vergogna per il mondo intero!

D. - Cosa servirebbe?

R. - Prima di tutto non fare solo promesse, ma entrare in azione e prendere coscienza che l’Ebola non "sarà" una catastrofe umanitaria: Ebola è oggi una catastrofe umanitaria!

D. - In ultima battuta, che cosa rispondere a chi paventa possibili rischi di contagio per l'Occidente?

R. - Possiamo stare tranquilli, perché - ripeto - è irrealistico avere problemi nei nostri Paesi, ma non possiamo stare tranquilli con le nostre coscienze! Con le nostre coscienze non possiamo stare tranquilli, perché quello che sta succedendo in West Africa oggi non è dignitoso se chiudiamo gli occhi…

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Algeria. Giovani a "Scuola della differenza" dei Padri Bianchi

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Giovani africani di diverse religioni e nazionalità fino a domani a Tlemcen, in Algeria, si confronteranno su temi di attualità, vivranno momenti ricreativi, svilupperanno atelier alla “Scuola della differenza”. Giunta alla quarta edizione, l’iniziativa nasce da un’idea di padre José Cantal, della Congregazione dei Padri Bianchi, e vuole promuovere la diversità come esperienza di arricchimento. Tiziana Campisi ha raggiunto telefonicamente padre Cantal e al suo microfono offrono anche le loro testimonianze una burundese ed una algerina: 

R. – La scuola della differenza è un’esperienza educativa nuova in Algeria. Siamo alla quarta edizione. E’ un’esperienza per educare positivamente alla differenza tra i giovani musulmani e cristiani.

D. – Come è organizzata questa settimana?

R. – Nella settimana abbiamo ogni giorno un tema. Per esempio, i diritti umani, l’ecologia, il rispetto degli altri… Abbiamo testimonianze di persone che hanno esperienze originale in Algeria e ogni giorno c’è un’ora di silenzio e di preghiera: i musulmani in una sala e i cristiani in un’altra. Dopo quest’ora, ci sono interscambi spirituali.

D. – Chi sono i giovani che scelgono di vivere questa settimana?

R. – Algerini tra i venti e i trent’anni, di differenti regioni del Paese e anche studenti dell’Africa nera, universitari in Algeria, per esempio del Burundi, del Camerun, della Guinea, del Burkina Faso…

D. – Quali frutti ha dato nel corso di questi anni la scuola della differenza?

R. – Sono certo che durante questa settimana, l’amicizia, la relazione è intensa tra i giovani e certamente è il principio di un’avventura umana intellettuale e anche spirituale per cambiare la mentalità, le relazioni, il modo di parlare, per avere un’amicizia profonda: questa amicizia è l’inizio di un mondo migliore. Abbiamo bisogno dell’amicizia, della relazione, durante tutto l’anno.

D. – Rosine, quali sono le tue impressioni su questa settimana?

R. – E’ la prima volta che partecipo. Personalmente non ci credevo, perché di solito tra musulmani e cristiani c’è sempre stato un fossato, ma qui non si sottolinea tanto la differenza che dovrebbe separarci, né abbiamo fatto una ragione per incontrarci e unirci. È un’esperienza di solidarietà e di amicizia, ci facciamo amici. E’ impressionante come le nostre differenze diventino un’armonia e tutti comincino a conoscere l’altro, a scoprire l’altro nel rispetto: è incredibile, è straordinario!

D. – Fatima, conosci la Scuola delle differenze da quattro anni. Quali sono i tuoi ricordi più belli?

R. – Molto positiva. Ci divertiamo, impariamo l’uno dall’altro. Ho partecipato sin dall’inizio alla Scuola della differenza. E’ un momento di gioia e scopri altre culture. I miei ricordi più belli sono il rispetto e l’amore reciproco, la sincerità tra noi. Ci capiamo molto bene, nonostante ci conosciamo da poco tempo, e ci rispettiamo.

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Il commento di don Ezechiele Pasotti al Vangelo della Domenica

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Nella 26.ma Domenica del Tempo ordinario, la liturgia ci presenta il passo del Vangelo in cui Gesù racconta una parabola ai principi dei sacerdoti: due figli sono chiamati dal padre a lavorare nella sua vigna. Il primo dice di sì, ma poi non ci va. Il secondo dice di no, ma poi pentitosi, ci va. Quindi dice:

“In verità vi dico: I pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio”.

Su questo brano evangelico, ascoltiamo il commento di don Ezechiele Pasotti, prefetto agli studi nel Collegio Diocesano missionario “Redemptoris Mater” di Roma: 

La parabola di oggi ci tocca direttamente. A noi cristiani, come agli Ebrei, è stata rivolta la chiamata del Signore ad andare a lavorare nella Vigna. E noi ogni giorno possiamo rispondere: “No, non ci vado”, ma poi pentirci ed andare, oppure: “Sì, ci vado”, e poi non andare. È il mistero della libertà dell’uomo: possiamo liberamente collaborare con Dio alla nostra salvezza, o liberamente farci condannare, non prendere Dio sul serio, o pensare di averlo in tasca, perché tanto noi siamo già cristiani. Il Padre Cantalamessa commenta: “Questa parabola di Gesù deve far riflettere attentamente - e anche tremare di paura - noi cristiani. Per molti aspetti, noi siamo, infatti, nelle condizioni di spirito degli ebrei.  Noi siamo il figlio cui Dio si è rivolto per primo chiamandolo a lavorare nella sua Vigna, cioè nella Chiesa. Noi siamo coloro che hanno detto una volta di sì. Abbiamo detto di sì con il battesimo e quanti altri ‘sì’ impliciti proferiamo nella nostra vita cristiana! Ma spesso questo ‘sì’ copre solo il rifiuto reale e crea una mentalità ipocrita. Il rischio è che noi ci facciamo una psicologia di salvati per diritto, di privilegiati della salvezza…”, ma senza nessuna conversione seria, senza accogliere la vita di Dio, vivendo con superficialità diabolica nella mentalità del mondo, con i cosiddetti “valori” del mondo. Oggi la parola del Signore non ammette scuse: o entriamo in obbedienza alla fede, o i pubblicani e le prostitute ci precedono nel regno di Dio.

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Nella Chiesa e nel mondo



Sud Sudan. Nuovo appello dei vescovi: fermare combattimenti

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“I conflitti e le uccisioni devono fermarsi immediatamente e senza condizioni. Si devono certamente affrontare le rivendicazioni politiche e di altra natura, ma solo dopo la cessazione dei combattimenti”. E’ il nuovo fermo appello rivolto dai vescovi del Sud Sudan, dove non si arrestano i violenti scontri tra le forze governative e i ribelli fedeli all’ex vicepresidente, Riek Machar, e si moltiplicano i focolai di guerra che minacciano la stabilità e l’unità del giovane Stato nato dall’indipendenza del Sudan.

In un messaggio diffuso ieri al termine della loro assemblea plenaria a Juba, dedicata a fare il punto alla situazione della Chiesa locale, i presuli sud sudanesi rimarcano che la nuova guerra ha un impatto deleterio sul Paese. Essa ha rinfocolato quella “cultura della violenza vissuta per tanti decenni”, con un grave danno di immagine nella comunità internazionale che appena tre anni fa celebrava la nascita del nuovo Stato. La guerra – afferma il messaggio – ha provocato innanzitutto una nuova “tragedia umanitaria”, facendo ripiombare la popolazione nel terrore e creando migliaia di profughi che vivono in condizioni terribili. A causa dell’insicurezzam, lo sviluppo economico del Paese è bloccato, mentre incombe la minaccia di una carestia.

Un’altra conseguenza della guerra – prosegue la nota – è l’emergere di tensioni etniche in Sud Sudan, dove c’è una lunga tradizione di convivenza pacifica tra le varie etnie. “Adesso – denunciano i presuli – persino nelle chiese si sta insinuando il tribalismo e il sospetto che ostacolano il nostro impegno per la pace e la riconciliazione”. Insieme con il tribalismo, i vescovi condannano anche la corruzione e il nepotismo a esso strettamente associati. “Un incarico politico è, infatti, da molti percepito come sinonimo di potere e di ricchezza e le varie comunità spesso pensano sia necessario avere propri uomini e donne al potere per potere accedere a queste risorse”.

Di qui, il nuovo accorato appello a “intraprendere la strada della pace, della riconciliazione e della guarigione”. Un appello rivolto ai leader politici, ma anche alla società civile. Infine, i vescovi sud sudanesi incoraggiano i sacerdoti, i religiosi e gli agenti pastorali, le altre chiese e comunità religiose a diventare “più attivi costruttori di pace. La preghiera è la sola via sicura per la pace “, conclude il messaggio. (L.Z.)

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Tanzania. La Chiesa cattolica costruisce scuola per disabili

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Creare un “ambiente sicuro” per i ragazzi disabili, evitando che vengano emarginati dalla società e favorendo “lo sviluppo del loro potenziale”: sono questi gli obiettivi con cui la diocesi di Moshi, in Tanzania, sta costruendo una scuola secondaria per 500 alunni, la metà dei quali disabili. “In Tanzania – spiega mons. Isaac Amani – i ragazzi portatori di handicap vengono emarginati e devono affrontare molte sfide: non si sentono amati, spesso neanche dalle proprie famiglie, e vivono separati dagli altri coetanei”.

Il costo globale del progetto è di 3,4 miliardi di valuta locale, pari a 1,5 miloni di euro. I lavori verranno avviati ufficialmente nel prossimo dicembre e saranno supportati anche dalla “Kindermissionswerk”, organizzazione tedesca di aiuti all’infanzia, appartenente alla Conferenza episcopale della Germania. “La costruzione della scuola – spiega ancora mons. Amani – garantirà un ambiente sicuro ai giovani disabili ed offrirà l’occasione di sviluppare il loro potenziale intellettuale, come tutti gli altri ragazzi”. In questo modo, conclude il presule, essi avranno la possibilità di proseguire gli studi superiori, “vedranno migliorare le loro condizioni di vita e di salute, anche grazie alle cure e all’assistenza fornite dalla scuola”. (I.P.)

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Vescovo di Marsiglia: la famiglia, cantiere della felicità

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“La famiglia è un cantiere di vita e di felicità per ciascuno dei suoi membri”: scrive così mons. George Pontier, vescovo di Marsiglia, in Francia, in un messaggio diffuso in occasione della Festa diocesana della famiglia, in programma domenica 28 settembre. “Luogo dell’esperienza fondatrice per ogni essere umano”, ed “elemento essenziale della vita”, il nucleo familiare, spiega il presule, offre “accoglienza ed esperienza di vita” poiché in esso “si apprendono le basi della solidarietà” e sempre in famiglia si trovano “la fiducia e l’amore”.

Certo, scrive ancora mons. Pontier, “negli ultimi cinquant’anni, gli sviluppi della società hanno avuto una grande influenza sul modo di ‘fare famiglia’ “, ma la Festa diocesana permetterà di ricordare che “il messaggio evangelico” su una vita familiare basata sul matrimonio tra uomo e donna “è bello e possibile”, in quanto “progetto d’amore, cammino di felicità e di vita la cui durata non è temuta, ma sperata e ricercata”.

Vera “vocazione, nel senso forte del termine”, continua il vescovo di Marsiglia, la famiglia rispecchia “la chiamata di Dio a sperimentare la felicità di vivere l’uno per l’altro, di sostenersi, donarsi, rispettarsi, sentirsi responsabili di un legame, superare le difficoltà, perdonarsi ed essere fedeli nell’amore”. “Oggi più che mai – sottolinea il presule – nelle nostre società risuona l’appello di Dio affinché l’essere umano si liberi dalle fragilità che lo rendono vulnerabile all’egoismo”.

La Festa diocesana, inoltre, serve a ribadire che “la Chiesa deve vivere come una famiglia accogliente, aperta alla dimensione universale dell’amore di Dio per tutta l’umanità”, perché anche “se la famiglia è la cellulare basilare della nostra esperienza”, tuttavia “essa non esaurisce tutte le nostre capacità di donarci e di amare”. Per questo, quindi, è necessario “aprirsi anche alle pagine dolorose della vita di famiglie che hanno bisogno di tenerezza, misericordia, fraternità, per superare le difficoltà”. “Siamo tutti chiamati – conclude mons. Pontier – a vivere la famiglia alla luce del Vangelo ed ad attingere dal Vangelo stesso la forza della compassione per sostenere ed accogliere coloro che ne hanno più bisogno”.

Articolata in esposizioni, dibattiti e testimonianze, la Festa diocesana della famiglia sarà conclusa da una conferenza di mons. Pontier intitolata “La famiglia, luogo di misericordia”, in programma domenica alle 14.00 nella Cattedrale della Major. Subito dopo, alle ore 16.00, il presule celebrerà la Santa Messa. (I.P.)

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Australia. I vescovi: sport promuova bene comune, no a violenze

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“Una corona per l’Australia. Lottare per il bene migliore di un Paese sportivo”: con questo titolo il Consiglio per la Giustizia sociale della Conferenza episcopale australiana ha pubblicato ieri il suo piano pastorale 2014-2015. Incentrato sullo sport e sui valori positivi che esso può promuovere, il piano pastorale richiama nel titolo la prima Lettera di San Paolo ai Corinti, là dove l’Apostolo delle Genti scrive: “Chiunque fa l’atleta è temperato in ogni cosa; alcuni lo fanno per ricevere una corona corruttibile; ma noi, una incorruttibile” (1 Cor 9, 24-27). “Queste parole – spiega mons. Christopher Saunders, presidente del Consiglio episcopale per la Giustizia sociale e vescovo di Broome – ci dicono che la ricompensa degli atleti è solo una prefigurazione della corona incorruttibile per la quale lottiamo noi cristiani nella nostra vita spirituale”.

“Gli australiani sono appassionati di sport – continua il presule – sia come atleti che come tifosi, sia che seguano club locali o che supportino squadre nazionali”. È importante, allora, sottolineare che “lo sport unisce, costruisce comunità e celebra la gioia dell’attività fisica e delle abilità di ciascuno”. In questo senso, afferma ancora mons. Saunders, “lo sport è anche lo specchio della società: riflette il meglio, ma anche il peggio, dei singoli e della comunità”, mostrandone i lati “più brutti e spesso anche ingiusti”.

E qui il vescovo di Broome punta il dito contro “l’eccessiva familiarità” che si ha oggi nei confronti di “violenza ed abuso di alcool e droga sia in campo che fuori, da parte dei giocatori e degli spettatori”: “Tragicamente – spiega il presule – lo sport, che dovrebbe unire comunità diverse, può anche diventare un megafono per la discriminazione razziale o sessuale”. Al contrario, “il vero goal, nello sport, è il bene di ogni essere umano”. Di qui, l’invito a promuovere l’integrazione e l’inclusione, poiché “lo sport dà un grande contributo al benessere fisico e mentale della società”. In un periodo in cui la vita dell’uomo è diventata “sempre più sedentaria”, infatti, l’attività sportiva può far sì che “gli uomini si prendano cura del proprio corpo, in quanto prezioso dono di Dio”.

Infine, mons. Saunders ricorda la preghiera pronunciata da Giovanni Paolo II il 29 ottobre 2000, nella Messa per il Giubileo degli sportivi: “Gesù  Cristo,  aiuta  gli atleti  ad  essere  tuoi amici e testimoni del tuo amore. Aiutali  ad  essere  sempre  atleti  dello  spirito,  per ottenere  il  tuo  inestimabile  premio:  una  corona  che  non appassisce e che dura in eterno”. (I.P.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVIII no. 270

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.