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Sommario del 26/09/2014

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Francesco ai Focolari: uscire con coraggio verso umanità ferita

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Comunicare a tutti generosamente l’amore di Dio e la gioia del Vangelo perché il mondo cammini sempre di più verso l’unità: è l’esortazione di Papa Francesco ai partecipanti all'Assemblea generale del Movimento dei Focolari, in corso a Castel Gandolfo dal primo settembre e che riunisce 500 persone di 137 Paesi. Ha rivolto il suo indirizzo di saluto, Maria Voce, confermata presidente dei Focolari per altri sei anni. Il servizio di Sergio Centofanti: 

Il Movimento dei Focolari – ha sottolineato il Papa – è nato “da un piccolo seme” che “ha dato vita a un albero che ora distende i suoi rami in tutte le espressioni della famiglia cristiana e anche tra membri delle diverse religioni e tra molti che coltivano la giustizia e la solidarietà insieme alla ricerca della verità”. “Questa Opera – ha proseguito - è sgorgata da un dono dello Spirito Santo - il carisma dell’unità”, oggi al servizio di una “nuova stagione dell’evangelizzazione”:

“A cinquant’anni dal Concilio Vaticano II, la Chiesa è chiamata a percorrere una nuova tappa dell’evangelizzazione testimoniando l’amore di Dio per ogni persona umana, a cominciare dai più poveri e dagli esclusi, e per far crescere con la speranza, la fraternità e la gioia il cammino dell’umanità verso l’unità”.

Papa Francesco ricorda “con grande affetto e riconoscenza” la fondatrice Chiara Lubich, “straordinaria testimone di questo dono, che nella sua feconda esistenza ha portato il profumo di Gesù in tante realtà umane e in tante parti del mondo”. Quindi, consegna tre parole ai Focolari: contemplare, uscire e fare scuola. Innanzitutto, contemplare”. “Oggi – ha detto - abbiamo più che mai bisogno di contemplare Dio e le meraviglie del suo amore”:

“Contemplare significa inoltre vivere nella compagnia con i fratelli e le sorelle, spezzare con loro il Pane della comunione e della fraternità, varcare insieme la porta (cfr Gv 10,9) che ci introduce nel seno del Padre (cfr Gv 1,18), perché ‘la contemplazione che lascia fuori gli altri è un inganno’ (Esort. ap. Evangelii gaudium, 281), è un narcisismo”.

La seconda parola è “uscire” per “comunicare a tutti generosamente l’amore di Dio” con rispetto, gratuità e creatività, perché senza creatività "non si può andare avanti":

“Per fare questo occorre diventare esperti in quell’arte che si chiama ‘dialogo’ e che non s’impara a buon mercato. Non possiamo accontentarci di mezze misure, non possiamo indugiare, ma piuttosto, con l’aiuto di Dio, puntare in alto e allargare lo sguardo!”.

Occorre dunque “uscire con coraggio” dove ci sono i “gemiti dei nostri fratelli”, le “piaghe della società” e “gli interrogativi della cultura del nostro tempo”:

“Fa dolore al cuore quando, davanti a una Chiesa, a una umanità ... tanto ferita, con tante ferite, ferite morali, ferite esistenziali, ferite di guerra pure … Fa dolore vedere quando i cristiani incominciano a fare bizantinismi filosofici, teologici, spirituali … quello non va. Quello è bizantinismo! Oggi non abbiamo diritto alla riflessione bizantinista. Dobbiamo uscire! Perché - lo ho detto altre volte - la Chiesa sembra un ospedale da campo: e quando si va in un ospedale da campo, il primo lavoro è curare le ferite, non fare il dosaggio del colesterolo… Questo verrà dopo… E’ chiaro?”.

Infine, la terza parola: “fare scuola”. “Senza una adeguata opera di formazione delle nuove generazioni – ha affermato - è illusorio pensare di poter realizzare un progetto serio e duraturo a servizio di una nuova umanità”. Bisogna formare “uomini e donne nuovi” – ha concluso citando Chiara Lubich -  “uomini e donne con l’anima, il cuore, la mente di Gesù e per questo capaci di riconoscere e di interpretare i bisogni, le preoccupazioni e le speranze che albergano nel cuore di ogni uomo”.

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Il Papa: Cristo si capisce portando la croce come il Cireneo

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Un cristiano non può capire il Cristo Redentore senza la croce, senza che sia disposto a portarla con Gesù. Lo ha affermato Papa Francesco all’omelia della Messa mattutina celebrata nella cappella di Casa Santa Marta. Il servizio di Alessandro De Carolis

Cristiano uguale “cireneo”. L’avere fede sta in questa identificazione: si appartiene a Gesù se si regge con Lui il peso della Croce. Altrimenti si percorre una via “buona” all’apparenza, ma non “vera”. A guidare la riflessione di Papa Francesco è il Vangelo del giorno, in cui Cristo chiede ai discepoli cosa dica la gente di Lui, ricevendo in risposta le ipotesi più disparate. L’episodio, osserva il Papa, si inquadra nel contesto del Vangelo che vede Gesù custodire “in una maniera speciale la sua vera identità”. In più occasioni, ricorda, quando “qualcuno si avvicinava” a comunicarla, “lo fermava”, così come impedisce più volte anche al demonio di rivelare la sua natura di “Figlio di Dio” venuto a salvare il mondo. Questo perché, spiega Papa Francesco, la gente non equivocasse e pensasse al Messia come a un condottiero venuto a cacciare i Romani. Solo in privato, ai Dodici, Gesù comincia a “fare la catechesi sulla vera identità”:

“Il Figlio dell’uomo - disse - cioè il Messia, l’Unto, deve soffrire molto, essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e degli scribi, venire ucciso e risorgere. Questa è la strada della vostra liberazione. Questa è la strada del Messia, del Giusto: la Passione, la Croce. E a loro spiega la sua identità. Loro non vogliono capire e nel brano di Matteo si vede come Pietro rifiuta questo: ‘No! No! Signore…’. Ma incomincia ad aprire il mistero della sua propria identità: 'Sì, io sono il Figlio di Dio. Ma questo è il mio cammino: devo andare in questa strada di sofferenza'”.

È questa, afferma Papa Francesco, la “pedagogia” che Gesù usa per “preparare i cuori dei discepoli, i cuori della gente, a capire questo Mistero di Dio”:

“E’ tanto l’amore di Dio, è tanto brutto il peccato, che Lui ci salva così: con questa identità nella Croce. Non si può capire Gesù Cristo Redentore senza la Croce: non si può capire! Possiamo arrivare fino a pensare che è un gran profeta, fa cose buone, è un santo. Ma il Cristo Redentore senza la Croce non lo si può capire. Ma i cuori dei discepoli, i cuori della gente non erano preparati per capirlo. Non avevano capito le Profezie, non avevano capito che Lui era proprio l’Agnello per il sacrificio. Non era preparata”.

È solo la Domenica delle Palme, nota il Papa, che Cristo permette alla folla di dire, “più o meno”, la sua identità, con quel “Benedetto Colui che viene nel nome del Signore”. E questo perché, disse, “se questa gente non grida, grideranno le pietre!”. Invece, è solo dopo la sua morte che l’identità di Gesù appare in pienezza e la “prima confessione” viene dal centurione romano, rammenta Papa Francesco. Che conclude: “passo passo”, Gesù  ci “prepara per capirlo bene”. Ci “prepara ad accompagnarlo con le nostre croci nella sua strada verso la redenzione”:

“Ci prepara ad essere dei cirenei per aiutarlo a portare la Croce. E la nostra vita cristiana senza questo non è cristiana. E’ una vita spirituale, buona… ‘Gesù è il grande profeta, anche ci ha salvato. Ma Lui e io no…’. Tu con Lui! Facendo la stessa strada. Anche la nostra identità di cristiani deve essere custodita e non credere che essere cristiani è un merito, è un cammino spirituale di perfezione. Non è un merito, è pura grazia.”

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Ottobre, impegni del Papa: Sinodo e Beatificazione di Paolo VI

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È un ottobre denso di impegni quello che si prepara per Papa Francesco. Su tutto, spicca il Sinodo straordinario sulla famiglia, che si svolgerà dal 5 al 19 ottobre in Vaticano. E proprio alla vigilia, il 4 ottobre, Papa Francesco – comunica il maestro delle Celebrazioni Liturgiche Pontificie, mons. Guido Marini – sarà in Piazza S. Pietro alle 18 per la Veglia di preghiera in preparazione al Sinodo. Il giorno dopo, nella Basilica vaticana, il Papa presiederà la Messa solenne di apertura dell’assise sinodale.

La domenica successiva, 12 ottobre, alle ore 10 Papa Francesco sarà di nuovo sull’altare in San Pietro per una Messa di ringraziamento per la canonizzazione equipollente dei due Santi canadesi.

Particolarmente importante sarà l’appuntamento di domenica 19 ottobre in Piazza S. Pietro. Con questa celebrazione, in programma alle 10.30, Papa Francesco concluderà il Sinodo sulla famiglia e contemporaneamente eleverà agli onori degli altari Paolo VI, proclamandolo Beato.

Ultimo impegno di ottobre è fissato per lunedì 20 ottobre, quando il Papa presiederà alle 10 il Concistoro per alcune cause di Canonizzazione.

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Benedetto XVI sarà presente all'incontro coi nonni in Piazza San Pietro

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Invitato da Papa Francesco, Benedetto XVI ha accettato volentieri di prendere parte all’incontro-dialogo con gli anziani e i nonni che si svolgerà domenica prossima in Piazza San Pietro. Il Papa emerito sarà presente dalle 9.30 alle 10.30, ma non alla celebrazione della Messa.

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Domani Beato Alvaro del Portillo. Il postulatore: fu servo fedele

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A Madrid sarà beatificato domani il Servo di Dio mons. Alvaro del Portillo, primo successore di San Josemaria Escrivá de Balaguer, fondatore dell’Opus Dei. Alla celebrazione, presieduta dal prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, il cardinale Angelo Amato, si prevede la partecipazione di migliaia di persone giunte da tutto il mondo. Don Javier Medina Bayo, postulatore della Causa di beatificazione, traccia un ritratto del nuovo Beato al microfono di Federico Piana

R. – Prima di tutto, è stato figlio in una famiglia cristiana. Erano otto fratelli di cui lui era il terzo. È stato uno studente che si impegnava molto, è stato ingegnere, e poi ha conosciuto San José Maria Escrivá, il fondatore dell’Opus Dei, e così ha scoperto la sua chiamata a santificarsi nel bel mezzo della sua strada, con il lavoro ordinario. Poi è diventato sacerdote, ha lavorato tantissimo per l’Opus Dei, ovviamente, ma anche in altri incarichi della Chiesa. Poi è stato prelato, poi vescovo e tutta la sua vita si può riassumere in questa frase della Scrittura: “E’ stato un servo buono e fedele”.

D. – Ma, fedeltà di che tipo?

R. – La fedeltà di un cristiano, un sacerdote, un uomo sposato, un uomo celibe, in primo luogo sempre è fedeltà a Dio: se non c’è fedeltà a Dio non può esserci altra fedeltà. E questa fedeltà a Dio si manifesta nella fedeltà alla propria vocazione, nella fedeltà in ogni momento della propria vita. E don Alvaro è stato così: è stato un uomo molto fedele all’Opus Dei perché è stato molto fedele a Dio e molto fedele alla Chiesa. Infatti, non si può essere fedeli all’Opus Dei o a un’istituzione della Chiesa se non si è fedeli, prima di tutto, alla Chiesa e al Papa, evidentemente.

D. – E’ vero che la massima preoccupazione di don Alvaro era quella di salvare più anime possibile?

R. – Senz’altro. Ma non era una preoccupazione “scarna”. Io sono arrivato qui a Madrid e sono rimasto veramente molto colpito, molto colpito dell’ambiente di famiglia cristiana che ho trovato tra i partecipanti alla sua Beatificazione. Sono venute persone dall’Africa, dall’Asia, dall’Europa, ovviamente dall’America… Si sa che oltre tremila famiglie hanno aperto le porte delle loro case per ricevere persone bisognose che non avrebbero avuto i soldi per pagarsi l’albergo, qua. E c’era veramente un ambiente di famiglia incredibile: se non si vede, non ci si crede. Ma questo è un ambiente che ha creato il fondatore dell’Opus Dei e don Alvaro ha saputo continuare in tutta la sua fedeltà.

D. – Secondo lei, come mai don Alvaro ha colpito così tanti cuori? Secondo lei, il segreto spirituale dov’è?

R. – Nella santità. La santità attrae. A me fa tanta pena la tristezza della gente. In questo nostro mondo, che è così opulento, purtroppo la gente soffre molto. Soffre molto perché non ha pace nel cuore. Allora, ci sono delle persone che cercano la felicità, non so, nei soldi o nel potere, o in non so che cosa, e non la trovano perché in fondo non sanno dove sta la sorgente. I Santi sono le persone che hanno trovato la sorgente della felicità. Ii Santi sono quelli che la praticano di più, per così dire. E questo attrae.

D. – Cosa può insegnare oggi don Alvaro alle persone, alle famiglie soprattutto?

R. – Insegna il messaggio dell’Opus Dei, cioè la santificazione del lavoro ordinario, dei doveri ordinari del proprio stato: questo è il messaggio fondamentale. Per le famiglie, a me fa tanto piacere constatare una cosa: sono arrivate moltissime grazie per l’intercessione di don Alvaro in questi anni, dalla sua morte fino ad oggi. Certamente, tra queste grazie ci sono tantissime – grazie a Dio! – guarigioni straordinarie, ma ci sono soprattutto anche moltissime grazie ordinarie, come ad esempio coniugi che volevano avere figli e non arrivavano: pregano don Alvaro e arriva il bambino. Ci sono tantissime grazie. Io penso che don Alvaro avesse un amore molto grande per la famiglia e questo suo amore, adesso, in Cielo, si manifesta nella sua particolare facilità a concedere le richieste che riceve in questo senso.

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Card. Ravasi: nella vita del cristiano presente ed eternità si incontrano

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Il dialogo tra il cardinale Gianfranco Ravasi e il cantautore Gino Paoli apre questa sera a Bologna il “Cortile dei gentili” promosso dal Pontificio Consiglio della Cultura sul tema del tempo. Ma cosa è il tempo secondo la concezione cristiana? Antonella Palermo lo ha chiesto allo stesso cardinale Ravasi, presidente del dicastero che ha organizzato l’evento: 

R. - La concezione cristiana, a differenza di certe altre concezioni religiose - pensiamo a quelle indiane che non conoscono la categoria tempo e conoscono casomai solo la categoria dell’eternità - concepisce una sorta di intreccio tra il tempo e l’eternità. Dio non è relegato nei cieli della sua trascendenza soltanto: entra nella storia. E’ per questo che l’eternità è già un po’ nell’interno del presente; è per questo che la vita di grazia, come si suol dire col linguaggio cattolico, è in pratica iniziare già a vivere la vita della pienezza. Di fatti si dichiara: il Verbo si è fatto carne. Il Verbo che era presso Dio, che era Dio, è diventato carne, cioè storia, umanità, fragilità. Ma le due cose sono insieme. Dio non è remoto e astratto, il credente per raggiungere Dio non deve decollare dalla realtà verso cieli mitici e misticoidi; deve invece vivere nell’interno del presente - ecco l’impegno morale, l’impegno esistenziale - perché Dio lì si rivela. La fedeltà all’oggi diventa fondamentale. Per questo nel Vangelo di Giovanni si dà molto rilievo all’ora: l’ora di Gesù è il momento in cui si incrocia il tempo e l’eterno. Per noi è un po’ così: ogni nostro momento ha in sé una apparizione forse di Dio, che non dobbiamo lasciar morire, spegnere. La grande malattia, soprattutto della nostra società, la società contemporanea, è l’indifferenza, la superficialità.

D. - Il tempo della preghiera può essere considerato un tempo vissuto in eternità?

R. - Questo è verissimo: è il tempo della Liturgia. Infatti, se si vede bene, il sacerdote, quando celebra l’Eucaristia e giunge al momento cosiddetto della Consacrazione parla al presente e parla in prima persona, perché appunto si tratta di un evento che avviene una volta per sempre e che continua però, perché è eterno. E quindi può irradiare tutto il tempo.

D. - Domenica prossima il Papa incontrerà gli anziani. Come guarda lei a questo incontro?

R. - La vecchiaia di solito è considerata, dal punto di vista della Bibbia, soprattutto come il tempo della sapienza. Purtroppo, però, tante volte accade che o da un lato sono solo un peso per la società; oppure - dall’altro - loro stessi vogliono vivere giovanilisticamente, in maniera quasi ingenua, perché probabilmente non hanno più un tesoro da comunicare e la società contemporanea, che è molto frenetica, non bada molto a loro.

D. - Pensando a Papa Francesco, molti tra i non credenti apprezzano quello che definiscono per lo più un “Pontefice di rottura col passato”. Ci aiuta a capire, alla luce della riflessione sul tempo, in che senso la Chiesa debba adattarsi al tempo storico in cui vive, pur rimanendo figlia della tradizione…

R. - La Chiesa cammina sempre nell’interno della sua avventura storica su un crinale: da un lato ha dei principi che sono permanenti e questi principi naturalmente permangono, devono permanere, sono molto di meno di quanti qualcheduno ritiene, perché la tentazione di portare tutto a principio è più semplice alla fine, è schematica; dall’altra parte, però, non dobbiamo dimenticare che i principi sono per gli uomini, cioè per le persone, per la vicenda umana e come tali perciò portano anche, incarnandosi, il peso della contingenza, cioè il peso della quotidianità e della storia. Per questo motivo bisogna che la Chiesa ininterrottamente veda che esse scendono, si impolverano anche qualche volta, ma necessariamente devono essere lampada, luce che illumina il cammino della storia: quindi con mutamenti, con variazioni, con una attenzione alla domanda, alle interrogazioni che l’umanità ininterrottamente fa attraverso i secoli.

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Iraq. Kaiciid: no a violenze commesse in nome della religione

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Il Centro internazionale per il Dialogo interreligioso e interculturale Re Abdullah bin Abdulaziz (KAICIID), con sede a New York, ha diffuso ieri una dichiarazione di principi, firmata dai ministri degli Esteri di Austria, Arabia Saudita e Spagna e da padre Miguel Angel Ayuso Guixot, M.C.C.J., segretario del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso, nella sua qualità di osservatore della Santa Sede, per affrontare in modo unitario, la violenza e la crisi umanitaria nel nord dell'Iraq, in Siria e in altre parti del mondo.

La dichiarazione, intitolata “Di fronte al conflitto”, è stata approvata all'unanimità dal Consiglio di Amministrazione del KAICIID che rappresenta le principali religioni del mondo: buddismo, cristianesimo, induismo, islam e giudaismo.

“Crediamo – si legge nel testo – nella sacralità della vita e nell'intrinseca dignità della persona umana. Riteniamo che la religione favorisca il rispetto e la riconciliazione, riteniamo che il dialogo fra persone di diverse religioni e culture sia la via verso una pace duratura e la coesione sociale.

Riaffermiamo gli obiettivi e i principi della Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo, in particolare il diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione. Tali diritti universali e inalienabili di tutti i membri della famiglia umana, sono il fondamento della libertà, della giustizia e della pace nel mondo”.

Il KAICIID condanna inoltre “tutte le forme violente di conflitto, ancor più le violenze commesse in nome della religione, e chiediamo la fine delle ostilità. Deploriamo la perdita di tante vite umane ed elogiamo quanti si adoperano per alleviare le sofferenze e promuovere benessere, armonia e pace. Ci opponiamo alla strumentalizzazione della religione per giustificare le guerre. Condanniamo con forza – si afferma ancora – il terrorismo in tutte le sue forme e manifestazioni, quale che ne sia l'autore, in qualunque luogo e per qualsivoglia scopo. Condanniamo i discorsi carichi d'odio e gli estremismi che incitano alla violenza e alimentano l pregiudizi”.

Il KAICIID, si legge nel testo,  “combatte il pregiudizio e l'intolleranza, in tutte le sue forme” e si propone “di denunciare l'abuso della religione per giustificare l'oppressione, la violenza e il conflitto e mira a promuovere la risoluzione pacifica portando le parti in conflitto al tavolo del dialogo. Continuiamo a sviluppare il dialogo interreligioso e interculturale per promuovere rispetto, comprensione e cooperazione”.

“Ci proponiamo – concludono i firmatari – di promuovere il rispetto reciproco e la comprensione fra i fedeli di tutte le religioni ed i popoli di tutte le culture, in particolare per mezzo del dialogo. Guardiamoci l'un l'altro come fratelli e sorelle e, consideriamo la differenza un arricchimento piuttosto che temere la 'diversità' come una minaccia”.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Contemplare per uscire e fare scuola: il Papa al movimento dei Focolari.

La vera identità: messa a Santa Marta.

Per rimuovere le cause del terrorismo: intervento del cardinale segretario di Stato al Consiglio di sicurezza dell’Onu.

A colpi di fioretto: Adriano Roccucci sulla diplomazia vaticana e l’Ostpolitik vaticana.

Chi contempla prende parte all’azione: Daniele Libanori sulla pala d’altare dipinta da Safet Zec per la cappella della Passione nella chiesa del Gesù.

Da Fukuoka, Cristian Martini Grimaldi illustra i sentieri nuovi nell’isola giapponese di Iki dove nel XVII secolo vennero torturati centinaia di cristiani.

Antonio tra oriente e occidente: Cristiana Dobner recensice un volume dedicato al santo eremita.

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Oggi in Primo Piano



Patriarca Younan: in Siria e Iraq genocidio di cristiani e minoranze

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L’Iraq e la Siria si stanno svuotando di cristiani e di minoranze, perseguitati solo perchè non professano l’islam. Dopo anni di convivenza nel Medio Oriente, è in pericolo l’idea stessa di “tolleranza”: un disastro umano e spirituale. Questa in sintesi la dolorosa riflessione del patriarca di Antiochia dei siro-cattolici, Ignace Joseph III Younan, in occasione della presentazione, oggi alla Camera dei deputati, del documentario “L’esodo dei cristiani di Siria”, curato da Elisabetta Valgiusti. Ma ascoltiamo il patriarca Younan al microfono di Gabriella Ceraso: 

R. - Possiamo definirlo esodo, genocidio… una calamità che nel XXI secolo non può essere accettata, né dal punto di vista della Carta dei diritti umani del ’48, né da quello della Costituzione dei diritti fondamentali dell’Unione Europea. Come gente pacifica può essere perseguitata solo perché di una religione differente dall’islam?

D. - Cosa sta scomparendo dall’Iraq e dalla Siria? Abbiamo visto città distrutte, abbiamo visto chiese distrutte…

R. - Diciamo che scompare la nostra sopravvivenza. Finora, abbiamo vissuto quanto più possibile con gli altri, ma adesso vogliono proprio annientarci! E’ una grandissima sfida per noi cristiani rimanere, specialmente riuscire a convincere la nostra gioventù a dare testimonianza della loro fede. Moltissimi sono coloro che dicono: “Come cominciano il dialogo? L’altra parte non ti accetta, non ti riconosce!”.

D. - All'Onu e in generale a livello internazionale si sta ripetendo di continuo: non vogliamo combattere l’islam, ma vogliamo combattere il terrorismo.E' così? 

R. - E’ sicuro. Noi non possiamo e non dobbiamo assolutamente combattere una religione. Però, abbiamo il diritto e anche il dovere e la responsabilità di dire ai capi religiosi dell’islam di essere chiari, di essere fermi nel dire che uccidere una persona, a qualsiasi religione appartenga, è un crimine grave e non è accettato da Dio. Sono atti proprio contro la civiltà. Lo dicono anche coloro che hanno la responsabilità nei governi dei Paesi arabi, quelli del Golfo, ma finora non abbiamo visto interventi effettivi per dire ai loro cittadini che questo non è accettato. Faccio questo appello, prima di tutto ai nostri fedeli cristiani e a noi, siri-cattolici e siri-ortodossi, che ultimamente siamo stati colpiti più di tutte le altre comunità, dato che i nostri centri sono stati attaccati e abbattuti. Faccio appello ai nostri di ravvivare la loro speranza malgrado tutto: noi faremo di tutto per portare la loro voce al mondo intero.

D. - Come cristiano, però, il messaggio è...?

R. - Continuiamo a pregare e a essere fedeli a Gesù, che è il nostro Maestro della Verità.

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Nuovi attacchi contro l'Is. Cameron: continueranno per anni

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Proseguono i raid aerei della coalizione internazionale, guidata dagli Usa, sui campi di petrolio controllati dai jihadisti nelle province siriane di Deir Ezzor e Hasakeh. Il Pentagono fa sapere che la maggior parte delle raffinerie controllate dal sedicente Stato Islamico in Siria, con un ricavo presunto di circa 2 milioni di dollari al giorno, è ora inutilizzabile. Da parte sua, il premier britannico Cameron ha detto che quella in Iraq "sarà una missione che non durerà qualche settimana, ma anni. Bisogna essere pronti a questo impegno". Cameron ha aggiunto che l'intervento è "del tutto legale" in quanto risponde a una richiesta irachena. "E' moralmente giusto quindi agire – ha detto - e agire adesso”. Secondo il coordinatore europeo contro il terrorismo, De Kerchove, intervistato dalla Bbc, sarebbero "più di 3.000" gli europei che si sono uniti all'Is in Siria e Iraq. De Kerchove mette in guardia dal rischio che i raid aerei scatenino attentati per rappresaglia in Europa. 

Dal canto loro, i fondamentalisti, nella città irachena di Tikrit, hanno distrutto la moschea di Al Arbain e la Chiesa Verde, risalente al VII secolo, simbolo della cristianità in Iraq. Intanto, all’Assemblea generale dell’Onu, il presidente iraniano, Rohani, punta il dito contro l’Occidente: “I jihadisti vogliono distruggere la civiltà – ha detto – ma la colpa è della errata politica in Medio Oriente”. Sulla posizione iraniana, Giancarlo La Vella ha intervistato Riccardo Redaelli, dell’Università Cattolica di Milano: 

R. – L’Iran è il nemico per eccellenza dell’Is e dell’estremismo violento sunnita. Quindi, l’Iran è un alleato naturale dell’Occidente. Ma, ovviamente, ha anche molta acrimonia, perché l’Occidente lo ha a lungo considerato il principale problema del Medio Oriente e quindi Teheran lo accusa anche di aver tollerato troppo l’estremismo sunnita, soprattutto in Siria. Infine, l’Iran parla in modo così duro, soprattutto a uso interno, per non irritare i conservatori, che sono contrari a ogni avvicinamento con l’Occidente. Ma noi sappiamo che in realtà, da tempo, Iran e Stati Uniti, Iran e Paesi occidentali stanno collaborando in Iraq a vantaggio dei curdi, pressati dal terrorismo jihadista.

D. – La posizione di Teheran ha qualche collegamento con il negoziato in corso sul nucleare iraniano?

R. – Assolutamente sì. Gli iraniani erano stati messi molto sulla corda, sulla difensiva, a livello di negoziati nucleari, soprattutto per le terribili sanzioni finanziarie che hanno colpito la loro economia. Ora, dato che sono anche negoziatori molto duri, credo cerchino di approfittare delle difficoltà occidentali e del fatto che è emersa la responsabilità del mondo sunnita, vicino al terrorismo jihadista, per ottenere qualcosa di più.

D. – Intanto, sul fronte della lotta all’Is basterà neutralizzare le raffinerie dei jihadisti per limitarne l’operatività?

R. – Assolutamente no. Se ne parla poco in questi giorni di bombardamenti, ma le cose non stanno andando benissimo. I curdi sono in estrema difficoltà. Gli americani stanno bombardando in Siria, ma hanno alleggerito i bombardamenti in Iraq. Le forze armate irachene, che veramente risultano disastrose in battaglia, hanno perduto un’altra roccaforte nell’Iraq centrale. Dunque, non bastano questi bombardamenti e sicuramente non basta colpire le raffinerie.

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Filippine. Abu Sayyaf appoggia Is: uccideremo ostaggi tedeschi

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Cresce la preoccupazione per la sorte dei due turisti tedeschi nelle mani del gruppo terrorista Abu Sayyaf, nelle Filippine. I fondamentalisti, via twitter, minacciano di decapitarli se la Germania non pagherà entro il 10 ottobre un riscatto di 5,5 milioni di dollari e non interromperà ogni sostegno all’operazione contro il sedicente Stato Islamico (Is) in Iraq e Siria. Dalle autorità di Berlino e di Manila è unanime il no ad ogni trattativa. Ma quale il legame tra Is e Abu Sayyaf? Paolo Ondarza lo ha chiesto a padre Sebastiano D’Ambra, missionario attivo nel dialogo interreligioso nelle Filippine: 

R. - Abu Sayyaf è presente nelle Filippine dagli anni ’90.  Il nostro padre Salvatore Carzedda è stato ucciso nel ’92 molto probabilmente in quel contesto lì. Abu Sayyaf è stato sempre in contatto prima con Al Qaeda e adesso con l’Is. Ci sono già centinaia di filippini che hanno aderito all'Is. Addirittura, qualcuno mi ha detto che ricevono una somma piuttosto elevata per poter aderire. Quindi, sono molti soldi che circolano e penso che per i filippini, a causa della povertà,  questo potrebbe costituire un’attrattiva. Molti rapimenti sono dovuti a motivi di soldi. Poi, cosa fanno i terroristi con i soldi?  Comprano le armi, ad esempio…

D. - Intenzione di Abu Sayyaf da sempre è la creazione di uno Stato islamico all’interno delle Filippine: ora però tale obbiettivo assume un altro contorno alla luce di quanto sta accadendo in Iraq e in Siria…

R. - Abu Sayyaf non ha una grossa forza dal punto di vista organizzativo ed è  anche un po’ disordinato al suo interno nel senso che ci sono diversi leader. Però, fa paura perché, in effetti, le minacce che fa possono anche essere nella linea dell’Is in Iraq: usano la stessa strategia. Certamente, c’è da dire che qui siamo nelle Filippine, un Paese ancora a maggioranza cattolica, quindi ci sono considerazioni diverse da fare. Inoltre attualmente il governo sta facendo sforzi piuttosto grossi per creare, secondo gli accordi presi con i separatisti islamici, una regione autonoma nell’isola di Mindanao, a maggioranza musulmana. E' un momento delicato. Probabilmente Abu Sayyaf gioca su questo fatto per poter attirare l’attenzione.

D. - Ma quanto è diffuso il fondamentalismo islamico nelle Filippine?

R. – Si sta diffondendo sempre di più. In questo periodo anche i musulmani moderati si trovano in difficoltà perché in questi ultimi anni abbiamo informazioni di gruppi che pagano leader religiosi affinché mantengano una linea dura, di radicalismo e fondamentalismo, che poi alimenta il terrorismo.

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Blasfemia: sempre più a rischio la vita dei cristiani nelle prigioni pakistane

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In Pakistan si registra l’ennesima vittima delle legge sulla blasfemia. Questa volta si tratta del pastore cristiano, Zafar Bhatti. L’uomo, noto per il suo impegno a difesa delle minoranze e del dialogo interreligioso, era detenuto in carcere in attesa di processo in quanto accusato di un episodio di blasfemia. Ad uccidere il pastore un agente della prigione che ha ferito un altro prigioniero condannato a morte con la stessa accusa. Bhatti, dopo due anni di carcere preventivo, avrebbe dovuto presentarsi in tribunale di primo grado oggi. Sulla vicenda, Marco Guerra ha sentito il prof. Mobeen Shahid, docente alla Pontificia Università Lateranense e segretario dell’associazione dei Pakistani Cristiani in Italia: 

R. – Il pastore Zafar Bhatti si è dedicato con tutto il suo impegno anche coinvolgendo la famiglia, per la difesa delle minoranze religiose del Pakistan, cercando anche di costruire ponti per il dialogo con i musulmani, che sono la maggioranza della nazione; ma è stato accusato di blasfemia proprio per danneggiare l’uomo che difende i cristiani perseguitati del Pakistan, perché le correnti fondamentaliste – in questo caso la Sunni Etihad – ritengono che chi difende un accusato di blasfemia sia a sua volta blasfemo. Allora, fu impiantata una cospirazione per accusarlo di blasfemia e alcuni carcerati l’avevano anche minacciato. Ora non è stato ancora verificato se è coinvolta la polizia o meno …

D. – Quindi, anche in carcere chi è accusato di blasfemia rischia la vita?

R. – In realtà, la polizia in prigione dovrebbe difenderli, ma non riesce a gestire la situazione perché in questo momento circa 5.000 poliziotti, quelli di Islamabad e quelli di Rawalpindi, sono impegnati per la sicurezza della Camera dei Deputati, perché due partiti stanno facendo le manifestazioni lì. Quindi, la polizia stessa in questo momento è indebolita nel numero dei propri dipendenti. Però il carcere dovrebbe provvedere al minimo necessario di sicurezza, specialmente per i casi di accusati di blasfemia: infatti, non è il primo caso in cui l’accusato viene ucciso in carcere. Si dovrebbe provvedere ad una adeguata sicurezza di queste persone. Ora noi – pakistani cristiani insieme altre associazioni che sono nostri amici – vogliamo anche chiedere alla comunità internazionale di aumentare la pressione internazionale affinché ci possa essere la cancellazione della legge sulla blasfemia, o che si possa provvedere ad una procedura che permetta la verifica del fatto e anche la sicurezza perché si rischia di essere uccisi ancora prima di arrivare in tribunale!

D. – Ma chi uccide queste persone, in carcere? Altri carcerati?

R. – Essenzialmente, alcuni che sono stati gonfiati d’odio dai fondamentalisti o dagli ulema, che promuovono la cultura della religiosità che odia.

D. – Si conosce una stima di quante persone, in Pakistan, sono in carcere perché colpite dall’accusa di blasfemia?

R. – Ora, questo lo dico in via informale, nel senso che io ho i dati della Commissione internazionale Giustizia e Pace, ma non ce l’ho sottocchio, per cui non saprei dirle il numero esatto. Ma esistono delle stime: sono all’incirca oltre duemila.

D. – Tutto il mondo conosce il caso di Asia Bibi. Come sta la 49.enne mamma cattolica, dopo 1.500 giorni di prigionia?

R. – Asia Bibi più che mai ora è tesa, proprio perché ha saputo della morte del pastore Zafar Bhatti in prigione, e immaginiamo cos’altro potrebbe succedere ad Asia Bibi: potrebbero farla fuori facilmente, essendo peraltro una donna e in un carcere femminile. Teniamo presente che aveva già ricevuto minacce da parte delle altre prigionieri e a livello psicologico e fisico non sta nelle migliori condizioni, perché è troppo tempo che sta in prigione. Io chiedo maggiore sicurezza per Asia Bibi e non solo per Asia Bibi: per tutte le persone imprigionate con l’accusa di blasfemia che quotidianamente, 24 ore su 24, rischiano di essere uccise proprio per mano dei fondamentalisti e non si sa chi, quando e come verrà per ucciderle. Questi atti, infatti, sono ben programmati perché non è possibile uccidere un prigioniero in carcere, senza il coinvolgimento delle autorità competenti.

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Mons. Galantino: priorità a lavoro e famiglia, no a polemiche sterili

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La Chiesa sta dicendo con forza cosa bisogna fare per affrontare il tema della pedofilia. Lo ha detto il segretario generale della Cei, mons. Nunzio Galantino, a margine della conferenza stampa a conclusione del Consiglio Episcopale Permanente. Preoccupazione per il clima di scontro sull’articolo 18. Alessandro Guarasci: 

E’ tempo di cambiamenti anche per la Cei. La Sante Sede infatti ha approvato la nuova modalità per eleggere il presidente. Viene confermato che sarà il Papa a scegliere sulla base di una terna. Un motivo in più per guardare avanti. Preoccupa infatti il clima di confronto–scontro tra sindacati e governo sull’articolo 18. Per mons. Galantino bisogna guardare di più alle persone:

“Io ho l’impressione che ci sia troppa gente ancora nei sindacati e nella politica che, piuttosto che badare ai contenuti e alle soluzioni che la gente si aspetta, bada a tenere alto il numero dei propri iscritti. Finché continuerà questo tipo di mentalità, io la vedo dura… Altro che preoccupazione!”.

Mons. Galantino afferma che i vescovi non partecipano al dibattito se Renzi è simpatico o antipatico, “noi diamo già un giudizio" quando diciamo che "la famiglia non ci pare messa al centro della politica italiana". Dunque serve un fisco diverso; migliore conciliazione con i tempi del lavoro; più investimenti sulla scuola, anche paritaria. E presso l’opinione pubblica non può passare il messaggio secondo cui il Sinodo per la Famiglia che si sta per aprire tratterà principalmente dei divorziati risposati. Ma soprattutto i vescovi “prendono le distanze” dal tentativo del Parlamento di riconoscere le “cosiddette unioni di fatto”. Poi, il tema degli abusi sessuali commessi da alcuni sacerdoti:

“Una Chiesa che con grande coraggio, con grande decisione, con grande impegno sta dicendo cosa bisogna fare di fronte a questa piaga. Quale Stato in questo momento, quale organizzazione, anche di categoria, in questo momento sta vedendo al suo interno se ci sono pedofili e cosa stanno facendo?”.

La Chiesa è inoltre vicina ai tanti cristiani che vivono nei teatri di guerra. La Presidenza della Cei sarà in visita a Gaza dal 3 al 4 novembre prossimi.

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Al via il nuovo anno della Pastorale Universitaria di Roma

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«Eucarestia e nuovo umanesimo. “Non avevano che un solo pane.. (Mc 8,14)”» E’ questo il tema del nuovo anno pastorale proposto dall’Ufficio per la Pastorale Universitaria del Vicariato di Roma, presentato ieri sera nella capitale. Tra gli appuntamenti più importanti, le Settimane culturali che da novembre a maggio coinvolgono attraverso diverse iniziative tutti gli atenei romani e il tradizionale incontro natalizio del Papa con gli universitari, oltre al XII Simposio internazionale dei docenti previsto nel giugno 2015. Ascoltiamo il commento del vescovo, mons. Lorenzo Leuzzi, delegato per la Pastorale universitaria diocesana, al microfono di  Marina Tomarro: 

R. – Il primo evento importante che riunirà le Università di Roma, sarà il pellegrinaggio che quest’anno si svolgerà a Orvieto, proprio perché a Orvieto si conclude l’Anno eucaristico. Noi quest’anno vogliamo proporre ai ragazzi un cammino di riscoperta della celebrazione eucaristica, per permettere loro di comprendere come la partecipazione costituisca un momento importante per la vita dello studio. Recuperare questo rapporto tra Eucarestia e vita di studio è un traguardo per preparare poi professionisti capaci di dare testimonianza di come il battezzato sia aiutato dal Risorto a essere costruttore della società, negli ambiti di propria competenza.

D. – Quanto la presenza dei cappellani all’interno delle Università è importante?

R. – I cappellani sono compagni di viaggio per tanti giovani, soprattutto pensiamo ai giovani che vengono da fuori Roma, e la cappellania nella quale si ritrova la comunità cristiana è un luogo importante per poter ricreare quelle relazioni ecclesiali che sono significative per la loro crescita umana e spirituale.

D. – Ma in che modo si porta il Vangelo nelle aule degli atenei? Ascoltiamo alcuni commenti degli universitari presenti al convegno...

R. – Sicuramente, per andare a coinvolgere coloro che sono al di fuori di queste realtà, la cosa migliore è la testimonianza. Testimoniare con le nostre vite, con il nostro operato ciò che effettivamente viviamo, ciò in cui crediamo e che facciamo.

R. – Il Vangelo fuori dalle aule universitarie, nella mia vita, si porta con le azioni, con la quotidianità, con l’incontro e soprattutto cercando di non avere paura dell’incontro con il diverso, quindi dell’incontro con le nuove culture. Quindi, portare il Vangelo, in questi casi, è cercare di dimostrare una condotta di vita che sia la più condivisibile possibile per la comunità.

R. – Portare il Vangelo è una sfida che tocca tutti, in quanto battezzati, soprattutto nel momento in cui ci si trova nella condizione di andare a evangelizzare le culture. L’università diventa quindi un luogo privilegiato, ma soprattutto noi dobbiamo considerare che sono il nostro esempio e la coerenza della capacità di fare seguire alle parole dei fatti a consentirci di essere riconoscibil. Ma soprattutto ci consentono di dare alla nostra fede una certa credibilità, che le sole parole non potrebbero dare.

D. – Papa Francesco vi invita spesso a prendere in mano la vostra vita, a diventare protagonisti. Allora, in che modo rispondere a questa sua esortazione?

R. – Tutti quanti possiamo provare, in qualche modo, a diventare santi nella nostra quotidianità, anche se magari ambiamo a successi economici, o a successi personali, possiamo comunque glorificare il Signore con la nostra vita, con la nostra carriera e con la nostra esperienza.

R. – Io, come penso molti altri dei miei coetanei, cercando di prendere in mano la mia vita sia da un punto di vista accademico, sia da un punto di vista personale delle relazioni, anche con i nuovi compagni di università. È appunto nella gestione di questo genere di rapporti che, secondo me, riusciamo a prendere in mano le nostre persone. 

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Nella Chiesa e nel mondo



Ebola. Muore religioso medico contagiato in Sierra Leone

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Sono un dramma nel dramma le continue morti di personale religioso medico e infermieristico, causate dall’epidemia di Ebola in Africa. Ieri si è spento fra Manuel García Viejo, medico specializzato in medicina interna e diplomato in medicina tropicale, che dirigeva l’ospedale San Giovanni di Dio di Lunsar in Sierra Leone. Risultato positivo al virus dell’ebola è morto all’ospedale La Paz-Carlos III di Madrid. Fra Manuel García Viejo, dell’Ordine ospedaliero di San Giovanni di Dio (Fatebenefratelli), aveva 69 anni e lavorava in Africa da 30, da 12 dirigeva l’ospedale di Lunsar. Un altro missionario spagnolo dello stesso ordine, fra Miguel Pajares, dopo aver contratto il virus in Liberia era deceduto a Madrid nel mese di agosto. La Famiglia religiosa dei Fatebenefratelli ha perso quattro confratelli, una religiosa e vari collaboratori a causa dell’epidemia di Ebola. “I nostri confratelli hanno donato la loro vita per gli altri, come Cristo, fino al punto di morire contagiati da questa epidemia”, ha scritto Fra Jesús Etayo, priore generale, dopo la morte di Fra Pajares. “Sebbene ciò ci riempia di tristezza e di dolore – ha proseguito – dobbiamo viverlo anche con fede, speranza e un sano orgoglio per la loro fedeltà e la loro testimonianza radicale di ospitalità… La nostra intenzione, in Liberia e in Sierra Leone, è quella di continuare ad essere al servizio della popolazione di queste due nazioni, specialmente in questo momento, quando cioè hanno più bisogno di noi”. (A.D.C.)

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Uruguay. I vescovi: la vita umana vale più del conto in banca

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“Sogniamo e lottiamo perché questo Paese sia un luogo in cui la vita umana e ogni famiglia vale più di un ettaro di terra, di un conto in banca, di un titolo universitario o di un particolare abilità; e perché le aspirazioni dei giovani non si soddisfino unicamente con un cellulare, una motocicletta o un titolo per fare soldi”. Così si legge nel messaggio diffuso dai vescovi dell’Uruguay, ad un mese dalle elezioni presidenziali e parlamentari del 26 ottobre. Nel documento, i presuli indicono una Giornata di preghiera per il Paese e per i futuri governanti che avrà luogo domenica 12 ottobre. Nel ricordare che la maggiore espressione della vita democratica è costituita dalle elezioni, i vescovi ribadiscono che per i cristiani il “gesto di votare” esprime l’impegno in favore di una società che offra l’opportunità di vivere con la speranza e con la certezza di poter sviluppare le doti che Dio ha donato ad ognuno di noi. Il voto – affermano i presuli - esprime il nostro impegno ad eleggere chi avrà l’onore e la grave responsabilità di governare il Paese, fare le leggi e cercare i consensi, ma anche di essere consapevoli del proprio impegno come “esseri politici”, abitanti di una “polis”, in cui si vive e si comunica tutti insieme, “sotto lo stesso cielo”. “Avere cura l’uno dell’altro e aver cura dell’ambiente in cui viviamo è una priorità cittadina che s’insegna e s’impara da piccoli nel primo ambito della convivenza  che è la famiglia”, scrivono i vescovi, invitando i fedeli ad innalzare lo sguardo e il cuore verso Dio. “Egli guarda con speciale tenerezza al povero e al piccolo, a chi non ha una fissa dimora dove ripararsi la notte, a chi è caduto e non ha una mano amica per risollevarsi”. L’invito della Chiesa dell’Uruguay è, quindi, quello di pregare Dio perché illumini le menti e i cuori delle persone nei momenti oscuri, affinché si illumini la via della giustizia, della libertà, della verità e della solidarietà nei confronti di tutti. (A.T.)

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Manila. I bambini di strada al Papa: "Vogliamo incontrarti!"

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Un gruppo di ex bambini di strada della capitale filippina Manila, oggi assistiti da una ong locale, ha inviato un migliaio di lettere a Papa Francesco per ottenere un incontro con lui durante il suo viaggio apostolico nelle Filippine, previsto dal 15 al 19 gennaio 2015. All’inedita iniziativa - riferisce l’agenzia di informazione della Conferenza episcopale filippina, Cbpbnews -  ha dato il suo sostegno il cardinale arcivescovo della città. Luis Antonio Tagle che,  oltre ad avere dedicato parte del proprio tempo a questi giovani strappati dalla strada dalla Fondazione Tulay ng Kabataan (Tnk Foundation), consegnerà personalmente le loro lettere al Santo Padre. La portavoce della fondazione Alexandra Chapeleau spiega che i ragazzi "hanno deciso di scrivergli", perché il Pontefice possa "far loro visita" e "stanno aspettando con impazienza e grande speranza una sua risposta". Il messaggio dei giovani ha già avuto una diffusione in rete e sui social network attraverso l'hashtag #EvenUs, rilanciato dall'ong francese Anak, "sorella" della filippina Tnk. Per l’occasione, è stato realizzato anche un video che mostra, tra l’altro, le fasi di stesura delle lettere e testimonianze dei bambini che descrivono la vita vissuta in strada. "Vogliamo che il video sia visto dal maggior numero possibile di persone e, soprattutto, dal Papa", ha detto Thierry d'Arcangues, social media manager di Anak, che ha esortato il pubblico ad aiutare questi ragazzi a realizzare il loro sogno, condividendo e rilanciando il video. (L.Z.)

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Nobel Alternativo assegnato allo srilankese cattolico Basil Fernando

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Un leader mondiale nella promozione e nella difesa dei diritti umani in Asia: così amici, colleghi e conoscenti descrivono Basil Fernando, cattolico dello Sri Lanka, membro dell'Asian Human Rights Commission. A lui va il Right Livelihood Award 2014, noto anche come "Nobel Alternativo". Gli altri vincitori sono Edward Snowden (Usa), Alan Rusbridger (Regno Unito), Asma Jahangir (Pakistan), Bill Mckibben (Usa).

Il Right Livelihood Award – ricorda AsiaNews -è stato istituito nel 1980 in Svezia da Jakob von Uexkull, scrittore ed ex membro del Parlamento europeo. Viene assegnato a individui e gruppi che nel mondo sostengono, a costo di sacrifici personali, i principi di una "vitalità sana", ma che spesso vengono contrastati dai poteri forti che si sentono intralciati dal loro lavoro.

La giuria del Nobel Alternativo ha deciso di premiare Basil Fernando "per il suo instancabile e notevole lavoro di sostegno e il suo documentare il miglioramento dei diritti umani in Asia".

Nato il 14 ottobre 1944, Basil Fernando si è laureato all'allora University of Ceylon nel 1972. Per otto anni ha insegnato inglese come seconda lingua in ambito accademico, prima di diventare praticante in uno studio legale penale nel 1980. In quegli anni diventa sempre più consapevole della corruzione dilagante e della politicizzazione del sistema giudiziario. Nel 1989, con decine di migliaia di persone già "scomparse", il suo nome viene inserito in una lista nera e costretto a fuggire a Hong Kong, dove vive ancora oggi.

Qui, tra il 1991 e i 1994, lavora per la sezione diritti umani della Un Transitional Authority of Cambodia e per il centro per i diritti umani dell'Onu. Queste esperienze lo aiutano nel delineare l'approccio con cui dirigerà l'Asian Human Rights Commission e l'Asian Legal Resources Centre associato.

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La Chiesa in Senegal: necessario più sostegno alle famiglie

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Promuovere e sostenere l’accompagnamento delle famiglie, vigilare sulle ideologie che le minacciano, educare i giovani al matrimonio: sono alcuni degli obiettivi dei sacerdoti del Senegal, che si sono riuniti nei giorni scorsi al Santuario mariano di Popenguine. “Il sacerdote senegalese di fronte alle nuove sfide della famiglia”: questo il tema della 38.ma assemblea dell’Unione del Clero Senegalese (Ucs), scelto in vista del Sinodo sulla famiglia che si svolgerà a Roma dal 5 al 19 ottobre. In un documento pubblicato al termine dei lavori, i sacerdoti senegalesi evidenziano le loro preoccupazioni per le difficoltà socio-economiche di tante famiglie e per l’impatto della povertà nell’ambiente domestico. Inoltre un pensiero per quei cristiani che vivono la poligamia, il levirato e il concubinato. A richiedere attenzione sono anche i separati, i divorziati e i divorziati risposati. Di fronte a tutto ciò, è emersa l’esigenza di una preparazione al matrimonio da sviluppare nel tempo, la necessità di rivalorizzare i fidanzamenti, i matrimoni, di studiare i costumi sul matrimonio delle diverse etnie per conoscerli meglio ed impostare una pastorale adeguata ai valori cristiani, sostenendo anche iniziative solidali per aiutare quanti scelgono la vita matrimoniale. Rivolgendosi poi ai laici, l’Unione del Clero senegalese esorta all’educazione familiare, alla preghiera quotidiana e in famiglia, ad aderire a movimenti ed associazioni al servizio dell’apostolato familiare. Non manca infine la raccomandazione ai politici e a tutti gli uomini di buona volontà a vegliare sulla famiglia umana e naturale, “santuario della vita, luogo di paternità, di maternità, di filiazione e di parentela responsabile e di comunione”. E ai giovani, infine, viene rivolto l’invito a sviluppare convinzioni religiose forti ed a vivere secondo la morale sessuale cristiana. (T.C.)

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La famiglia al centro delle Giornate missionarie in Portogallo

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Puntare sul “ricambio generazionale” e su una “crescita” e uno “sviluppo sano e sostenibile” della famiglia nel lavoro, nell’educazione e nella sicurezza, che permettano “buone prospettive per il futuro”. È quanto hanno chiesto i partecipanti alle Giornate missionarie e di pastorale giovanile del Portogallo riuniti nei giorni scorsi a Fatima sul tema “Famiglia, un progetto”. Nell’ambito dell’ampia riflessione avviata dalla Chiesa universale sulle sfide pastorali della famiglia nel contesto della nuova evangelizzazione, che sarà al centro del prossimo Sinodo straordinario dei vescovi di ottobre, l’incontro si proponeva di compiere un esame a tutto tondo delle diverse realtà della famiglia oggi in Portogallo: dalle unioni di fatto, ai divorziati risposati, al problema del calo della natalità, alle politiche per la famiglia ed alla missione di quest’ultima nella società. Dai dibattiti è emerso un quadro preoccupante, ma anche proposte concrete per cambiare la situazione. “La famiglia – si sottolinea il documento finale, ripreso dall’agenzia Ecclesia - è una scuola insostituibile di affetti, valori, virtù umane e sociali”, in quanto "punto di partenza e di convergenza per la trasformazione della società”.  Alla famiglia come istituzione si chiede quindi di adempiere alla sua missione educativa, “nella coerenza della testimonianza", ma anche di aiutare “a creare relazioni autentiche” e di essere “aperta al bene comune” e "custode della dignità umana". A  fronte del clima di generale sfiducia per “il basso tasso di fertilità e l’invecchiamento della popolazione nel Paese", il documento finale risponde puntando sulla speranza che “nasce sia dal desiderio di invertire questa tendenza, sia dalla volontà politica di alcuni di porre fine a segnali contraddittori” imboccando “nuove strade per promuovere la vita”. " In questo senso - è stato sottolineato in conclusione - anche la Chiesa deve fare la sua parte: essa deve essere più attenta, aperta e disponibile ad aiutare "le famiglie a superare le difficoltà”, diventandone così “fonte di vita”. (L.Z.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVIII no. 269

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.