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Sommario del 24/09/2014

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Francesco: Cristo dà forza alla Chiesa, non l'organizzazione

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La forza della Chiesa sta “nell’amore di Cristo” e non nelle sue capacità organizzative. È ciò che insegnano i martiri del comunismo albanese. Lo ha affermato Papa Francesco all’udienza generale in Piazza S. Pietro, tenuta davanti a circa 30 mila persone. Il servizio di Alessandro De Carolis

Visi di gente che ha vinto e che ha lasciato un’impronta indelebile, esattamente al contrario di chi, uccidendoli, pensava di aver eliminato con la loro memoria anche la loro eredità. Che i martiri albanesi dell’epoca comunista abbiano impressionato Papa Francesco è cosa nota, così come il fatto – ripetuto all’udienza generale – che tutti loro, “che hanno resistito nella fede”, siano “garanzia per il destino dell’Albania”.

La catechesi che il Papa svolge in un Piazza San Pietro ingrigita da una giornata di nuvole è dunque un atto di ammirazione sconfinato per la nazione visitata domenica scorsa e per i suoi veri eroi. Una lezione di vita da cui Papa Francesco fa discendere la constatazione, peraltro non nuova nel suo magistero, su quale sia il centro di gravità dell’azione ecclesiale:

“Anche oggi, come ieri, la forza della Chiesa non è data tanto dalle capacità organizzative o dalle strutture, che pure sono necessarie: la sua forza la Chiesa non la trova lì. La nostra forza è l’amore di Cristo! Una forza che ci sostiene nei momenti di difficoltà e che ispira l’odierna azione apostolica per offrire a tutti bontà e perdono, testimoniando così la misericordia di Dio”.

Papa Francesco rammenta i 40 ritratti dei “sacerdoti assassinati”, posizionati lungo il boulevard centrale di Tirana, come punta dell’iceberg di quel gruppo – “centinaia di cristiani e musulmani – dice – assassinati, torturati, incarcerati e deportati solo perché credevano in Dio”. Ma il loro sangue, assicura, “non è stato versato invano, ma è un seme che porterà frutti di pace e di collaborazione fraterna”:

“Oggi, infatti, l’Albania è un esempio non solo di rinascita della Chiesa, ma anche di pacifica convivenza tra le religioni. Pertanto, i martiri non sono degli sconfitti, ma dei vincitori: nella loro eroica testimonianza risplende l’onnipotenza di Dio che sempre consola il suo popolo, aprendo strade nuove e orizzonti di speranza”.

Dell’Albania come casa e laboratorio funzionante di concordia tra fedi diverse, che condividono “la buona volontà di fare del bene al prossimo”, Papa Francesco aveva parlato anche all’inizio ricordando il suo incontro a Tirana con i vari leader religiosi:

“Ho potuto constatare, con viva soddisfazione, che la pacifica e fruttuosa convivenza tra persone e comunità appartenenti a religioni diverse è non solo auspicabile, ma concretamente possibile e praticabile. Loro la praticano! Si tratta di un dialogo autentico e fruttuoso che rifugge dal relativismo e tiene conto delle identità di ciascuno”.

Insomma, un viaggio indimenticabile per il Papa quello vissuto per una manciata d’ore in Albania, tra la folla di quello che definisce un “popolo-martire”:

“Ringrazio ancora una volta il Signore perché, con questo viaggio, mi ha dato di incontrare un popolo coraggioso e forte, che non si è lasciato piegare dal dolore (...) La dura esperienza del passato lo radichi sempre più nell’apertura verso i fratelli, specialmente i più deboli, e lo renda protagonista di quel dinamismo della carità tanto necessario nell’odierno contesto socio culturale. Io vorrei che tutti noi oggi facessimo un saluto a questo popolo coraggioso, lavoratore, e che in pace cerca l’unità”.

Il tema del martirio, che purtroppo continua a far parte oltre che della storia anche della cronaca della vita della Chiesa nel mondo, è stato ripreso da Papa Francesco anche durante i saluti ai vari gruppi linguistici presenti in Piazza San Pietro. Con quelli di lingua araba, il Papa ha ribadito che oggi “la testimonianza a Cristo appare, in alcuni posti, difficile e pericolosa” e questo pensiero ha trovato suggello nelle parole  finali rivolte ai malati, giovani e sposi novelli ricordando la figura di San Lino Papa, primo successore di Pietro e anch’egli martire: “Il suo amore alla Chiesa, in epoca di forti persecuzioni contro i cristiani, ispiri la vita spirituale di ciascuno: impariamo ad affrontare con coraggio anche i momenti di avversità, convinti che il Signore non fa mai mancare il suo sostegno e la sua grazia a ciascuno dei suoi figli”.

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Appello del Papa: comunità internazionale aiuti Paesi colpiti da Ebola

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La tragedia di Ebola nelle parole del Papa che, a conclusione dell’udienza generale, ha lanciato un appello affinché il mondo guardi con attenzione alle conseguenze della devastante epidemia. Servizio di Francesca Sabatinelli

“Il mio pensiero va ora a quei Paesi dell’Africa che stanno soffrendo a causa dell’epidemia di Ebola. Sono vicino alle tante persone colpite da questa terribile malattia. Vi invito a pregare per loro e per quanti hanno perso così tragicamente la vita. Auspico che non venga meno il necessario aiuto della Comunità Internazionale per alleviare le sofferenze di questi nostri fratelli e sorelle. Per questi nostri fratelli e sorelle ammalati preghiamo la Madonna”.

Drammatiche le parole del Papa, drammatiche le cifre sull’espansione della malattia. La previsione fatta dal Centers for Disease Control and Prevention (Cdc), l’ente nazionale americano che si occupa di salute pubblica è addirittura più drammatica di quella dell’Organizzazione mondiale della sanità: secondo gli americani entro il prossimo gennaio i casi di Ebola in Africa occidentale potrebbero raggiungere quota 1,4 milioni. L’Europa parla di nuove strategie per combattere l’epidemia nei Paesi africani maggiormente colpiti: Guinea, Sierra Leone e Liberia. Ed è proprio in Sierra Leone che si registra un altro caso di contagio tra i missionari dell’Ordine Ospedaliero San Giovanni di Dio-Fatebenefratelli. Un religioso spagnolo, Manuel Garcia Viejo, medico chirurgo dell’ospedale San Giovanni di Dio a Lunsar, nel nord del Paese, è stato rimpatriato in Spagna dopo aver contratto il virus, ed ora versa in condizioni difficili. A lanciare un doloroso allarme è stato il priore generale dell’ordine che in una lettera ai confratelli annuncia l’intenzione di chiudere nuovamente l’ospedale. “Non possiamo continuare l’attività da soli – si legge – abbiamo bisogno dell’aiuto del governo, della Chiesa e degli organismi internazionali che operano in campo sanitario”. Fra Moises Martìn è il direttore dell’Ufficio missioni e cooperazione internazionale presso la Curia generalizia del Fatebenefratelli:

R. – La nostra vocazione è quella di essere al servizio fino alla nostra morte, se c’è bisogno di questo. Questa volta, però, abbiamo dovuto chiudere l’ospedale, perché al momento non sappiamo bene come sia stato contagiato il nostro ultimo confratello. Dobbiamo far guarire i malati e fermare l’epidemia! Siamo consapevoli che da soli non possiamo farcela, dobbiamo lavorare assieme con altri organismi che operano sul terreno, anche con il governo e con altri enti internazionali. Noi vogliamo rimanere accanto alle persone che sono in sofferenza. Non vogliamo lasciarle sole, ma abbiamo però bisogno di altri per poter andare avanti.

D. – Il suo Ordine ha pagato fortemente l’epidemia, perché ci sono state molte vittime tra i suoi confratelli, sia in Liberia che in Sierra Leone…

R. – Certo. In Liberia sono morti tre frati, l’intera comunità del Fatebenefratelli - uno spagnolo e due africani - ma anche una suora delle missionarie dell’Immacolata Concezione e cinque nostri collaboratori. In Sierra Leone, invece, sono morti 8 collaboratori e adesso c’è il nostro confratello, un medico, rimpatriato in Spagna perché ammalato.

D. – Le notizie che a voi arrivano dai Paesi in cui siete presenti - e quindi parliamo di Liberia e Sierra Leone – quali sono?

R. – Sono ogni volta più preoccupanti, perché è difficile conoscere i numeri. L’Oms sta dando delle cifre, ma non si sa ancora molto bene. Ci sono tante persone contagiate che non sanno di esserlo. La Liberia e la Sierra Leone sono due focolai molto grandi, anche la Guinea-Conakry, ma non si può misurare.

D. – Di oggi l’appello del Papa: per lei è importante?

R. – Per me è stato molto importante che il Santo Padre abbia fatto questo appello, questo richiamo. Penso che sia molto importante, perché lui ha più forza di tante altre persone a livello mondiale. Io penso che questo appello sarà ascoltato. Abbiamo un debito con queste popolazioni, che si trovano in questa situazione. Non dobbiamo lasciarle da sole! Noi stiamo soffrendo molto per questa situazione, ma ci incoraggia il Papa.

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Udienze e nomine episcopali

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Nel pomeriggio di ieri Papa Francesco ha ricevuto in udienza il cardinale Cormac Murphy-O’Connor, arcivescovo emerito di Westminster, in Gran Bretagna.

In Bolivia, il Papa ha accettato la rinuncia al governo pastorale dell'arcidiocesi di Cochabamba, presentata per raggiunti limiti di età da mons. Tito Solari Capellari, salesiano. Al suo posto, il Pontefice ha nominato mons. Oscar Omar Aparicio Céspedes, trasferendolo dall'ufficio di ordinario militare per la Bolivia. Il presule è nato il 26 settembre 1959 a La Paz (Bolivia). Nel 1982 ha iniziato la sua formazione e gli studi di filosofia e teologia presso il Seminario Maggiore "San Jerónimo" di La Paz ed il 29 novembre 1987 ha ricevuto l’ordinazione presbiterale. Negli anni 1988-1989 a La Paz è stato Parroco a Huarina e Formatore nel Seminario Maggiore "San Jerónimo". Dal 1990 al 1992 è stato Formatore del Seminario Maggiore Nazionale "San José" a Cochabamba. Ha frequentato in seguito gli studi di teologia nella Pontificia Università Gregoriana di Roma (1992-1994) e ha ottenuto la Licenza in Teologia Dogmatica. Al suo ritorno da Roma è stato nominato Parroco della Parrocchia "San Antonio", in La Paz (1994-1995); in seguito è stato Formatore nel Seminario Maggiore "San Jerónimo", Direttore Spirituale (1996-1997) e Rettore del medesimo Seminario (1998-2002). Il 29 maggio 2002 è stato eletto Vescovo titolare di Cizio e Ausiliare di La Paz. Ha ricevuto l’ordinazione episcopale il 25 luglio successivo. Il 4 aprile 2012 è stato trasferito all’ufficio di Ordinario Militare per la Bolivia. In seno alla Conferenza Episcopale Boliviana è stato Segretario Generale. Attualmente ne è il presidente.

Sempre in Bolivia, Papa Francesco ha nominato ordinario militare mons. Fernando Bascopé Müller, salesiano, trasferendolo dalla sede titolare di Naratcata e dall'ufficio di ausiliare della diocesi di El Alto. Mons. Bascopé Müller è nato a Santa Cruz de la Sierra il 4 aprile 1962. Il 22 agosto 1987 ha emesso la sua professione solenne come religioso salesiano ed è stato ordinato presbitero il 23 settembre 1991. Ha ottenuto i seguenti titoli accademici: "Profesor de Educación Secundaria con especialidad en Filosofía y Religión", da parte dell’Instituto Superior Pedagógico Particular Salesiano. Licenziato in Filosofia da parte della Universidad Privada del Valle e in Teologia Dogmatica da parte della Pontificia Università Salesiana in Roma. Ha svolto i seguenti incarichi nella Società a cui appartiene: Professore di Sistema preventivo nel pre-noviziato, Vicario della Comunità post-noviziato, Direttore della Comunità formatrice del pre-noviziato, Direttore della Comunità formatrice del post-noviziato, Consigliere ispettoriale della Ispettoria salesiana in Bolivia, Delegato Nazionale della Pastorale Giovanile salesiana, Maestro dei Novizi della Ispettoria salesiana di Bolivia e Direttore di quella Comunità Formativa. È stato anche Segretario per la Pastorale della Conferenza Episcopale Boliviana. Il 15 luglio 2010 è stato eletto Vescovo titolare di Naratcata e Ausiliare della diocesi di El Alto, ed ha ricevuto l'ordinazione episcopale il 9 settembre del medesimo anno.

In Brasile, il Papa ha nominato vescovo della diocesi di Formosa mons. José Ronaldo Ribeiro, trasferendolo dalla diocesi di Janaúba. Il presule è nato il 28 febbraio 1957 a Uberaba, nell’omonima arcidiocesi dello Stato di Minas Gerais. Ha cominciato il suo discernimento vocazionale con i Padri Giuseppini di Murialdo, nella Parrocchia “São Paulo Apóstolo” di Brasília, studiando Filosofia e Teologia nel Seminario maggiore arcidiocesano “Nossa Senhora de Fátima”. Nel 1983, al terzo anno di teologia, fu accolto come seminarista dall’arcidiocesi di Brasília ed è stato ordinato sacerdote il 5 maggio 1985. Come sacerdote incardinato a Brasília, ha ricoperto gli incarichi di Parroco della Parrocchia “Nossa Senhora da Imaculada Conceição” a Sobradinho (1985-2007), di Vicario Episcopale del Vicariato Nord di Brasília (2005-2007) e, contemporaneamente, di Vicario Generale dell’arcidiocesi di Brasília. Il 6 giugno 2007 è stato nominato Vescovo di Janaúba, ricevendo l’ordinazione episcopale il 28 luglio 2007.

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Il Papa al Congresso sulla mediazione: gettare ponti di solidarietà

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“Via verso la cultura della pace e la partecipazione comunitaria”. Questo il tema del decimo Congresso mondiale di mediazione, aperto oggi a Genova, con il saluto augurale del Papa. In un messaggio ai partecipanti, Francesco prega Gesù “Mediatore tra Dio e gli uomini”, perché susciti in tutti ad ogni livello della società sentimenti di fratellanza e di solidarietà, per la costruzione di una civiltà nuova, fondata sul rispetto reciproco e sull’amore inclusivo”. 450 i partecipanti all’incontro, giunti da 26 Paesi. Roberta Gisotti ha intervistato il gesuita padre Nicola Gay, presidente della Fondazione San Marcellino, promotrice dell’evento con l’Università di Genova, l’Istituto di mediazione del Messico e l’Università di Sonora: 

R. – Mediazione vuol dire tante cose. Nel secolo scorso sono stati riconosciuti molti diritti, ma di fatto, poi, invece che avere tanti diritti, abbiamo molti conflitti... E allora, la mediazione vuole essere un modo attraverso cui si cerca di venire incontro ai diritti di tutti. Ci si mette nelle varie prospettive, si cerca di riconoscere quello che è vero in noi, ma anche quello che è vero in altri, rendendo in questo modo possibile una cultura che sia più della pace e non tanto della guerra. Quindi, un modo "altro" per affrontare delle situazioni di tensioni che fanno parte necessariamente della vita personale, ma anche familiare, sociale e della vita internazionale.

D. – Padre Gay, per la prima volta questo Congresso – giunto alla decima edizione – lascia l’America Latina e approda a Genova…

R. – Questo credo che possa permettere, in un periodo di globalizzazione, di fare in modo tale che ci sia un maggiore interscambio fra le modalità della mediazione, che necessariamente risentono anche delle varie culture.

D. – Dieci anni è una tappa importante per fare dei bilanci sul ruolo della mediazione nel mondo. Quali sono gli ambiti più praticati e dove si sono ottenuti maggiori risultati?

R. – La mediazione, anche in Italia, negli ultimi anni ha fatto molti passi avanti nel campo della giustizia: ci ricordava il procuratore generale di Genova, nel discorso di benvenuto, che proprio nel 2014 sono state fatte varie leggi che invitano, anzi ormai obbligano in vari ambiti, a utilizzare la mediazione. Ci sono poi anche altri campi importanti come l’immigrazione e la scuola, dove però in Italia siamo meno presenti. E poi l’ambito delle carceri, dove abbiamo fatto passi avanti significativi.

D. – Eppure, in Italia ci sono corsi universitari che preparano i mediatori…

R. – Sì, cominciano ad esserci perché la mediazione è un po’ uno stile di vita, potremmo dire, che di fatto poi si deve applicare in vari settori e allora, per esempio per la mediazione penale, per la mediazione familiare e quant’altro ci sono necessariamente dei corsi che permettono di applicare a quel settore specifico questa impostazione più ampia.

D. – Padre Gay, in una società sempre più complessa sul piano multietnico, multiculturale, multireligioso, possiamo dire che l’istituto della mediazione è quasi una necessità?

R. – Direi di sì. Proprio la complessità delle situazioni rende necessarie delle mediazioni: saper cogliere cioè quello che c’è di buono e di vero nelle varie posizioni e arrivare a una proposta di soluzione delle difficoltà e delle tensioni che sia capace di tener conto non tanto della forza di uno o dell’altro, quanto della verità di una o dell’altra posizione.

D. – La Fondazione San Marcellino a Genova è impegnata in un’attività caritativa particolare: l’assistenza ai senza fissa dimora. Quale apporto specifico porterà e sta portando a questo Congresso?

R. – Certamente, questa capacità di mediare ci aiuta, perché insegna cosa vuol dire mediare nel quotidiano, nei singoli momenti, nei vari passi della nostra vita e anche in particolare proprio per delle situazioni - come queste dei senza fissa dimora - estreme, in cui poi conta l’amicizia, la relazione che si crea tra queste persone e gli operatori e i volontari, proprio per cercare di incidere a livello sociale su una cultura di attenzione, che permetta anche di fare delle leggi che aiutino tutti e non soltanto quelli che sono più capaci e che lasciano gli altri indietro.

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Summit sul clima, card. Parolin: "Imperativo morale ad agire"

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Quando si affronta la questione dei cambiamenti climatici, c’è un “imperativo morale ad agire”. Questa la riflessione del segretario di Stato vaticano, il cardinale Pietro Parolin, ieri a New York per il Summit sul clima, nell’ambito della 69.ma Assemblea generale dell’Onu. Il servizio di Giada Aquilino

Noi tutti abbiamo “la responsabilità” a custodire e valorizzare il Creato per il bene della nostra e delle future generazioni. Il cardinale Parolin ha ricordato come vi sia “ormai un consenso scientifico piuttosto consistente sul fatto che il riscaldamento del sistema climatico, a partire dalla seconda metà del secolo scorso, sia inequivocabile”. Studi scientifici sottolineano “i grandi rischi e i costi socioeconomici dell’inerzia dell’azione umana di fronte a tale problema”. Ma trent’anni di approfondite ricerche hanno fatto emergere una “sempre più forte consapevolezza che l’intera comunità internazionale è parte di un’unica interdipendente famiglia umana”.

“There is no room…
Non vi è spazio per quella globalizzazione dell’indifferenza, per quell’economia dell’esclusione, per quella cultura dello scarto così spesso denunciate da Papa Francesco”.

Il porporato ha quindi tracciato un percorso da seguire “se davvero - ha proseguito - vogliamo essere efficaci” nelle azioni per contrastare il cambiamento climatico:

“We must implement a collective response…
E’ necessario attuare una risposta collettiva basata su quella cultura della solidarietà, dell’incontro e del dialogo, che dovrebbe essere alla base delle normali interazioni all’interno di ogni famiglia e che richiede la piena, responsabile e impegnata collaborazione da parte di tutti, secondo le proprie possibilità e circostanze”.

Il cardinale Parolin ha quindi fatto proprio il concetto della protezione dell’ambiente in cui viviamo, già richiamato dalle Nazioni Unite: “gli Stati membri - ha sottolineato - hanno una responsabilità comune” di adottare misure di adattamento, di mitigazione e di condivisione di “tecnologie e ‘know-how’”. D’altra parte, ha aggiunto, le basi tecnologiche e operative necessarie “sono già disponibili o alla nostra portata” per “alleviare gli effetti del cambiamento climatico” e lottare contro la povertà, obiettivi questi “tra di loro concatenati”:

“Market forces alone, especially…
Le sole forze di mercato, specie se prive di un adeguato orientamento etico, non possono però risolvere le crisi interdipendenti concernenti il riscaldamento globale, la povertà e l’esclusione. La sfida più grande risiede nella sfera dei valori umani e della dignità umana”.

Alla base di ogni risposta politica complessa, ha detto ancora il cardinale segretario di Stato, “devono essere chiare le motivazioni etiche che la orientano”, consolidando “una profonda e lungimirante reimpostazione dei modelli di sviluppo e degli stili di vita, per correggerne le numerose disfunzioni e distorsioni”: ciò - ha ricordato – “è richiesto anche dalle numerose crisi che l’attuale società sta vivendo in ambito economico, finanziario, sociale, culturale ed etico”. Sollecitata quindi “un’autentica svolta culturale”. “Lo Stato della Città del Vaticano, per quanto piccolo, sta compiendo - ha informato - sforzi significativi per ridurre il suo consumo di combustibili fossili, realizzando progetti di diversificazione e di efficienza energetica”.

E, ha assicurato il porporato, “sono molte le istituzioni educative cattoliche, così come le Conferenze episcopali, le diocesi, le parrocchie e le Ong di ispirazione cattolica impegnate” in tale campo, “nella convinzione che il degrado della natura è direttamente legato alla cultura che plasma la coesistenza umana”: il rispetto dell’ecologia ambientale è d’altro canto strettamente legato al “ rispetto dell’ecologia umana nella società”:

“The Holy See attaches great importance…
La Santa Sede attribuisce grande importanza alla necessità di diffondere un’educazione alla responsabilità ambientale che cerchi anche di tutelare le condizioni morali per un’autentica ecologia umana”.

L’impegno è dunque quello ad “un profondo rinnovamento culturale e una riscoperta dei valori fondamentali su cui edificare un migliore futuro dell’intera famiglia umana”. La Santa Sede, ha concluso il cardinale Parolin, “si impegna in tale direzione, affinché in questo ambito la comunità internazionale venga guidata dall’imperativo etico di agire, ispirato dai principi di solidarietà e di promozione del bene comune, nella consapevolezza che - come ha scritto Papa Francesco nell’Esortazione apostolica Evangelii gaudium - ‘la dignità di ogni persona umana e il bene comune sono questioni che dovrebbero strutturare tutta la politica economica’”.

Dagli interventi al Summit dell’Onu, è emerso un generale appello alla comunità internazionale per l’assunzione di responsabilità riguardo al riscaldamento globale in atto. Un invito ai 120 leader mondiali (assenti Cina e India) ad agire per combattere l'emergenza è giunto dal segretario generale dell'Onu, Ban Ki-moon: “chiedo a tutti i governi di impegnarsi per un accordo universale sul clima a Parigi nel 2015 e di fare la loro parte per limitare l'aumento della temperatura globale a meno di 2 gradi”, ha detto. “Il nostro clima sta cambiando molto più velocemente dei nostri sforzi per affrontarlo. E' la minaccia numero uno del secolo”, ha quindi sottolineato il presidente statunitense Barack Obama, ricordando che nessun Paese è immune dal cambiamento: “Stati Uniti e Cina - ha aggiunto - hanno la responsabilità di guidare il mondo nella lotta” al surriscaldamento.

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Lord Patten: media vaticani sempre più efficaci al servizio del Vangelo

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Si è conclusa oggi la prima riunione della Commissione sui media vaticani, presieduta da Lord Chris Patten. L’incontro, iniziato lunedì scorso, si è tenuto a Casa Santa Marta. Al termine dei lavori, Philippa Hitchen ha sentito lo stesso Lord Patten:

R. – All of us as Christians and catholics…
Tutti noi come cristiani e cattolici siamo consapevoli del messaggio meraviglioso della Chiesa - di riconciliazione, d’amore, di speranza, di generosità di spirito - e della nostra responsabilità nel cercare di comunicarlo il più possibile. Naturalmente quelli che sono in prima linea per questo compito sono i giornalisti professionisti e quelli che li aiutano qui in Vaticano. Quello che ci colpisce fortemente tutti, come cattolici, è che Sua Santità stesso sia uno straordinario comunicatore. Ci fa capire quanto debbiamo fare noi, per usare una frase sportiva, per alzare il tiro. In aggiunta a questo, c’è una questione che è rilevante per tutti i media e che io ho incontrato nella mia esperienza: i media devono cercare di tenersi sempre al passo con la tecnologia che cambia. Se ne capisce l’entità, per esempio con i giovani, che ricevono informazioni in modi molto differenti dal mio, che le ricevo in maniera tradizionale. Non significa che non siano informati, significa che si informano in maniera diversa. Quindi c’è questo aspetto in più nel nostro lavoro: considerare come i media vaticani debbano tenere il passo con i cambiamenti della tecnologia. Non significa che tutte le vecchie tecnologie siano irrilevanti. Per esempio, tutti noi sappiamo quanto ancora sia importante la radio ad onde corte nel comunicare con alcuni dei gruppi più poveri del mondo, in modo particolare in Africa e in Asia. Tutti noi sappiamo quanto le persone tendano a credere a quello che sentono, per esempio, da alcune radio locali, che va ben oltre quello che sono preparati a credere dalle autorità pubbliche. Quindi nessuno di noi del gruppo di esperti con cui sto lavorando pensa che si possa semplicemente dimenticare quello che è stato fatto nel passato. Ma bisogna assicurarsi che le differenti istituzioni lavorino insieme e che si prenda in considerazione, per essere più efficaci, tutta la nuova tecnologia. E noi dobbiamo assicurarci che il messaggio meraviglioso che la Chiesa cattolica ha da offrire sia offerto in modo che possa raggiungere i giovani, i poveri ed altri gruppi, nel modo più efficace.

D. – Si parla della necessità di tagliare i costi…

R. – This is about being more effective...
Questo significa essere più efficaci e non c’è niente di sbagliato nel tentativo della Chiesa di usare i soldi donati dai fedeli nella maniera più efficace possibile. Siamo guidati da una preoccupazione morale, per comunicare meglio. Se, comunicando meglio, non spendiamo molti soldi, in un ambito come in un altro, se si usano meglio le risorse, questo è magnifico. Noi vogliamo assicurarci che le risorse vaticane, che non sono illimitate, siano usate nella maniera più efficace possibile, e che le persone prendano delle decisioni razionali su come spendere i soldi.

D. – A proposito di tagli, prevede quello che succederà?

R. – I can’t really, because we just…
Non posso in realtà, perché questo è stato il nostro primo incontro. Sono assolutamente determinato sul fatto che dovremmo concludere questo processo, giustamente, nel modo più rapido possibile. E cercheremo di presentare il nostro lavoro al cardinale Pell, al segretario di Stato e agli altri collaboratori, entro la prossima primavera. Parleremo con la Radio Vaticana, parleremo con l’Osservatore Romano, parleremo con il Ctv, parleremo con altri che fanno parte dei media vaticani, e continueremo questo processo da novembre fino a dicembre. Vogliamo anche ascoltare altri fuori: le Conferenze episcopali, i giornalisti che si occupano di Vaticano e delle sue attività e chiederemo alla gente se c’è qualcosa che vuole dirci, per comunicarlo a mons. Paul Tighe, che è il nostro segretario. Cercheremo di essere più aperti possibile. Quello che non voglio fare è impegnare me stesso in una sorta di radiocronaca di quello che stiamo facendo, perché sarebbe estremamente ingiusto. C’è sempre un pericolo reale nel far trapelare delle informazioni che confondono o preoccupano. Quindi, non rilascerò un’intervista ogni volta che avremo un incontro. Quello che voglio dire all’esterno è che saremo aperti verso quello che le altre persone hanno da dirci; saremo molto decisi nel cercare di concludere questo processo in breve tempo; e speriamo di anticipare alcune proposte che riconoscono la particolare importanza di quello che la Chiesa comunica e il modo in cui può meglio comunicare il suo messaggio nel XXI secolo.

D. – Dimettendosi dalla Bbc ha detto che il lavoro è stato dieci volte più difficile di quello che si aspettava. Come valuta il lavoro qui in Vaticano …

R. – I don’t think it’s going to be as difficult...
Non penso che sarà così difficile come quello alla Bbc o come altri lavori che ho fatto. La sfida alla Bbc stava nel fatto che ero il regolatore, ma non avevo responsabilità esecutive. Questo significava inevitabilmente che venivo accusato quando le cose andavano male, e non voglio trovare scuse, per ciò di cui non ho responsabilità. Questo è stato, occasionalmente, abbastanza scocciante. Ma che mi sia stato chiesto di fare questo è un onore e in particolare di lavorare con persone così illustri, che conoscono i media cattolici molto meglio di me. Io, però, sono stato il direttore di un giornale nazionale nel Regno Unito e il capo della Bbc Trust. Conosco molto di più del mondo mediatico globale, perché ho visto molto di quello che sta accadendo…

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Amman, cattolici e ortodossi: già uniti nel martirio

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Si è conclusa ad Amman, in Giordania, la XIII sessione plenaria della Commissione mista internazionale per il dialogo teologico tra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa. La riunione, svoltasi dal 15 al 23 settembre nella capitale giordana su invito del Patriarca greco ortodosso di Gerusalemme, Sua Beatitudine Teofilos III, è stata dedicata ai cristiani perseguitati in Medio oriente e alla bozza di documento intitolato “Sinodalità e Primato”, che è stata redatta dal Comitato di Coordinamento della Commissione a Roma nel 2011 e a Parigi nel 2012. 

A causa delle molte questioni sollevate sul testo, la Commissione ha deciso di elaborare una nuova bozza che è stata poi discussa e rivista nei dettagli. La Commissione ha deciso che il testo sia sottoposto al prossimo Comitato di coordinamento per ulteriori miglioramenti, in vista della prossima sessione plenaria della Commissione mista.

Sabato 20 settembre, i membri cattolici hanno celebrato l'Eucaristia nella parrocchia di Nostra Signora di Nazareth presieduta dal cardinale Kurt Koch. Nella sua omelia, il porporato ha detto che "i cristiani sono già uniti in molti modi e soprattutto nel martirio dei nostri fratelli e sorelle appartenenti a diverse Chiese e Comunioni ecclesiali". Lunedì 22 settembre, il Principe giordano Ghazi ha portato il saluto del Re Abdullah al-Hussein e ha espresso il suo interesse personale per il progresso del dialogo, sottolineando che qualsiasi dialogo spirituale, intellettuale o teologico non può essere interrotto da una crisi.

I membri della Commissione hanno alzato la loro voce per esprimere profonda preoccupazione e solidarietà con i cristiani e membri di altre tradizioni religiose che in questa regione sono perseguitati, costretti a fuggire e uccisi. Hanno respinto con fermezza assoluta l'idea che tali crimini orribili possono essere giustificati in nome di Dio o della religione. Hanno pregato ardentemente per questi fratelli e sorelle, esprimendo profonda gratitudine a tutti coloro che sono impegnati nel portare sollievo a milioni di rifugiati e sfollati.

La Commissione implora la comunità internazionale perché adotti i mezzi più utili per intervenire e proteggere coloro che sono perseguitati e per assicurare la presenza costante e vitale del cristianesimo in Medio Oriente. Hanno inoltre rinnovato l'appello per la liberazione dei metropoliti di Aleppo, Mar Gregorios Yohanna Ibrahim e Boulos Yazigi, i sacerdoti e religiosi e tutti coloro che sono stati rapiti. Forte la preghiera a Dio perché abbrevi questi tempi difficili e porti la pace, la giustizia e la riconciliazione a tutta la regione. Per sottolineare questo senso di solidarietà con i popoli sofferenti della regione, sabato 20 settembre, i co-presidenti, accompagnati da altri membri della Commissione, hanno visitato un centro per rifugiati ad Amman, dove hanno vissuto in prima persona i bisogni urgenti dei rifugiati.

La riunione è stata caratterizzata da uno spirito di amicizia e collaborazione fiduciosa. La Commissione ha lavorato sotto la direzione dei suoi due co-presidenti, il cardinale Kurt Koch e il metropolita Giovanni di Pergamo, assistiti dai co-segretari, il metropolita Gennadios di Sassima (Patriarcato ecumenico) e mons. Andrea Palmieri (Pontificio Consiglio per la Promozione dell'Unità dei Cristiani).

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"Scrutate", lettera ai consacrati: custodire la ricerca del Volto di Dio

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E’ stata pubblicata dalla Libreria Editrice Vaticana la Lettera “Scrutate”, indirizzata dalla Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica ai consacrati e alle consacrate. Si tratta del secondo titolo, dopo “Rallegratevi”, di un itinerario di riflessione personale e comunitaria verso il 2015, Anno che la Chiesa dedica alla vita consacrata, che in questa pubblicazione il cardinale João Braz de Aviz e l’arcivescovo José Rodríguez Carballo, prefetto e segretario della Congregazione, definiscono “segno dei beni futuri nella città umana, in esodo lungo i sentieri della storia”.

Il titolo è spiegato in apertura della Lettera: “Scrutare gli orizzonti della nostra vita e del nostro tempo in vigile veglia. Scrutare nella notte per riconoscere il fuoco che illumina e guida, scrutare il cielo per riconoscere i segni forieri di benedizioni per le nostre aridità. Vegliare vigilanti e intercedere, saldi nella fede”. La vita consacrata “custodisce la ricerca del volto di Dio, vive la sequela di Cristo, si lascia guidare dallo Spirito, per vivere l’amore per il Regno con fedeltà creativa e alacre operosità”, accettando al contempo di “misurarsi con certezze provvisorie, con situazioni nuove, con provocazioni in processo continuo, con istanze e passioni gridate dall’umanità contemporanea”. Tale eredità viene presentata in questa Lettera, che ripercorre “i passi compiuti negli ultimi cinquant’anni”, dal Concilio Vaticano II, “evento di rilevanza assoluta per il rinnovamento della vita consacrata”, fino alle esortazioni di Papa Francesco. Il documento costituisce pertanto un invito a discernere: “Il Signore è vivente e operante nella nostra storia, e ci chiama alla collaborazione e al discernimento corale, per nuove stagioni di profezia al servizio della Chiesa, in vista del Regno che viene”.

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Ex nunzio Wesolowski agli arresti domiciliari in Vaticano

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L’ex nunzio J. Wesolowski è agli arresti domiciliari all’interno del Vaticano: è quanto ha dichiarato il direttore della Sala Stampa vaticana, padre Federico Lombardi.

Il promotore di Giustizia del Tribunale di prima istanza dello Stato della Città del Vaticano – ha affermato padre Lombardi - ha convocato l’ex nunzio (il 23 settembre), a carico del quale aveva avviato un’indagine penale. Al prelato - già condannato in prima istanza dalla Congregazione per la Dottrina della Fede alla dimissione dallo stato clericale al termine di un processo amministrativo penale canonico - "sono stati notificati i capi di imputazione del procedimento penale avviato a suo carico per gravi fatti di abuso a danni di minori avvenuti nella Repubblica Dominicana. La gravità degli addebiti – ha proseguito padre Lombardi - ha indotto l’Ufficio inquirente a disporre un provvedimento restrittivo che, alla luce della situazione sanitaria dell’imputato, comprovata dalla documentazione medica, consiste negli arresti domiciliari, con le correlate limitazioni, in locali all’interno dello Stato della Città del Vaticano”.

“L’iniziativa assunta dagli organi giudiziari dello Stato – ha concluso il portavoce vaticano - è conseguente alla volontà espressa del Papa, affinché un caso così grave e delicato venga affrontato senza ritardi, con il giusto e necessario rigore, con assunzione piena di responsabilità da parte delle istituzioni che fanno capo alla Santa Sede".

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Per le vittime dell'ebola: all'udienza generale il Papa chiede ai fedeli la preghiera e sollecita l'impegno della comunità internazionale.

Responsabilità comune di proteggere il creato: intervento del cardinale segretario di Stato al vertice dell'Onu sul clima.

Seconda notte di raid sulla Siria.

Quel disagio censurato: Margherita Pelaja e Lucetta Scaraffia sulla nuova edizione per "Due in una carne".

Per non negare la creazione: Giulia Galeotti racconta chi sono le cinque teologhe della Commissione teologica internazionale.

Avamposto missionario in Sardegna: Vincenzo Fiocchi Nicolai su una chiesa paleocristiana individuata dagli archeologi a Fondongianus.

Al Pio X di Gianpaolo Romanato il Premio Aqui storia.

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Oggi in Primo Piano



Nelle ultime ore 13 raid della coalizione contro Is in Siria

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Sono 13 i raid aerei della coalizione arabo-sunnita guidata dagli Stati Uniti compiuti nelle ultime ore nella regione orientale siriana di Dayr az Zor, al confine con l'Iraq, contro postazioni del sedicente Stato islamico (Is). Lo riferisce l’Osservatorio nazionale per i diritti umani in Siria, precisando che i bombardamenti sono tornati a colpire anche il valico frontaliero di Albukamal-Qaim. Intanto, fa discutere l’assoluzione in Giordania del predicatore islamico considerato dai Servizi britannici il braccio destro di Bin Laden in Europa. E, nel giorno in cui si apre la 69.ma sessione dell'Assemblea generale Onu, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite affronta i contorni della crisi. Delle dinamiche della coalizione internazionale e delle prospettive del dopo intervento armato, Fausta Speranza ha parlato con Marco Lombardi, docente di Politiche della Sicurezza all'Università Cattolica di Milano: 

R. - In fin dei conti, in questo momento, sta accadendo che di fatto in quell’area uno Stato chiamato Siria praticamente non c’è più. Intendo dire: la Siria è un Paese da anni in conflitto interno e in questo momento ci sono altri Paesi che stanno bombardando parti di territori che già erano fuori del controllo dello Stato. Infatti, tutta la zona di Aleppo, di Raqqa - che conosciamo per i bombardamenti in atto - è ormai al di fuori del controllo del governo siriano, perché è sotto il controllo di Is.

D. - E’ tutto un altro scenario rispetto al conflitto che va avanti da oltre tre anni. Si commenta anche che, a questo punto, le forze della coalizione siano alleate di Assad contro l’Is. Come fotografare il conflitto in questo momento in Siria?

R. - Ormai “Siria” è un vecchio modo di chiamare un territorio del quale restano alcune istituzioni un po’ perse: penso al presidente Assad. Con lui si cerca forse di ricucire per l’intervento contro Is, ma non oserei parlare di “alleati”. Ricucire può significare avere rapporti per esempio di informazione di quello che si va a fare sul territorio. La presenza di Is è andata a colmare un buco, lasciato in un Iraq fallimentare, in una Siria fallimentare, di assenza di governo tra Iraq e Siria. E ha completamente distrutto, a mio modo di vedere, quelle che erano le entità statuali allora presenti.

D. – Che dire di questa coalizione - Stati Uniti e Paesi arabi - ma anche con la Francia esposta in prima linea?

R. - Una strana coalizione, anche perché ci sono dentro Paesi arabi che da tempo hanno sostenuto il terrorismo. Mi lasci dire che l’Arabia Saudita, gli wuabiti, sono un problema. Il Qatar è stato un attore estremamente significativo anche del finanziamento di gruppi terroristici di recente. È sicuramente una coalizione opportunistica all’estremo, che in questo momento ha identificato un nemico nell’Is e quindi si trovano a combatterlo sul campo.

D. - Tutti concordano nel combattere la minaccia del cosiddetto Stato Islamico, ma c’è un piano per il dopo?

R. - Il grande dubbio è questo: al momento sono tutti aggregati nel combattimento, però senza un "dopo" ci ritroviamo con problemi ancora più gravi. Is in questo momento fa vedere che c’è una possibilità, anzi una necessità, di rivedere i rapporti con la Turchia - altamente problematica - con la Siria che non c’è più, con l’Iraq che non c’è mai stato e l’Iran che evidentemente deve avere un altro ruolo. In questa visione, dobbiamo collocare l’azione immediata dei combattimenti. Senza questa visione, andiamo a procrastinare il caos. Eliminare Is - che è uno Stato che si va costituendo e questo è l’enorme problema - per andare a rilasciare un "buco" creerebbe una criticità che distruggerebbe la coalizione e farebbe emergere tutta la divisione in questo momento ricomposta dalla necessità di usare le stesse pallottole verso le stesse persone o verso gli stessi target.

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Nigeria, i vescovi: "Boko Haram minaccia l'intera nazione"

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“L’intera Nigeria è in pericolo di fronte alle violenze di Boko Haram”. A dirlo sono i vescovi nigeriani al termine della seconda Assemblea plenaria tenutasi a Warri. Aumenta il numero delle persone che si sono rifugiate nella cattedrale di Yola in cerca di protezione. La Caritas nigeriana è stata mobilitata per portare assistenza agli sfollati ed è stata indetta una preghiera nazionale per il 13 e il 14 novembre. I vescovi locali hanno affermato di essere rimasti sconvolti dallo sterminio di massa attuato dagli islamisti. Maria Gabriella Lanza ha chiesto a padre Michele Esasa, tornato da poco dalla Nigeria, in che modo la comunità cristiana sta vivendo questi giorni: 

R. - E’ difficile, perché Boko Haram fa morire i cristiani. Loro vivono come rifugiati: non hanno niente da mangiare, hanno lasciato il loro lavoro, tanti sono morti. I cristiani hanno abbandonato le loro chiese perché hanno paura. Ci sono stati alcuni episodi dove alcuni cristiani si trovavano in Chiesa e lì hanno messo una bomba.

D. - Secondo l’Onu ci sono 650 mila sfollati: di cosa hanno bisogno?

R. - Hanno bisogno di sicurezza. E' la cosa più importante ora, perché quando si ha paura è difficile vivere. E hanno bisogno anche di cibo, di vestiti…

D. - Nonostante l’impegno del governo nigeriano, Boko Haram continua la sua avanzata e più di 200 ragazze sono ancora nelle loro mani…

R. - Sì. Mi sembra che i soldati abbiano paura ad affrontarli, perché temono che possano attaccare le ragazze. Tutti noi siamo preoccupati, non sappiamo veramente se vivano ancora.

D. - Ci può raccontare una storia di cristiani che sono stati perseguitati da Boko Haram?

R. - Per esempio, una famiglia di cinque persone - papà, mamma e tre bambini - che ha perso tutti e tre i bambini a causa di Boko Haram. È una cosa che capita ogni giorno, alcune famiglie non esistono più. Uccidono le persone così, anche se sono musulmani, ma loro non lo accettano e le fanno morire.

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Fenomeno "Social street", quando le web-amicizie diventano reali

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“Dal virtuale al reale, dal reale al virtuoso”. Con questo slogan nasceva un anno fa il fenomeno della “Social Street”, con lo scopo di aggregare la realtà sociale di chi abita fianco a fianco, ma non si conosce. La prima "Social Street" è stata fondata in Via Fondazza, a Bologna, da un papà che cercava dei compagni di giochi per il figlio piccolo che fossero nelle vicinanze della sua abitazione. Oggi, il fenomeno si è allargato e grazie all’uso dei social network su Internet anche le numerose social street riescono a mantenersi in contatto, sempre senza perdere di vista l’obiettivo primario: il contatto tra le persone e la comunità, come ci spiega Federico Bastiani, giornalista e inventore della social street di Via Fondazza al microfono di Stefano Leszczynski

R. - “Social Street” consiste molto semplicemente nel vivere la città, il posto dove si abita in modo differente, ricostruendo il senso di comunità che nelle città è molto più difficile da avere: è normale nei piccoli paesi, dove ci si conosce un po’ tutti, ma nelle città si vive più questo senso di anonimato e di indifferenza. “Social Street” vuole abbattere questo muro dell’indifferenza e per far questo utilizza la creazione dei gruppi Facebook chiusi per cercare di far socializzare il vicinato, con l’obiettivo, appunto, di condividere necessità, esperienza, ma soprattutto di conoscersi ed instaurare rapporti di fiducia nei confronti del vicinato.

D. - Ma nella pratica questo che cosa comporta?

R. - Ti cambia proprio la vita, perché ti senti parte del posto dove abiti. Tanto è vero che lo slogan di “Social Street” è “Dal virtuale al reale, al virtuoso”. Questi primi contatti che avvengono attraverso Facebook hanno poi l’obiettivo di andare al reale: fare cioè in modo che queste persone si conoscano, scendano in strada, socializzino e facciano anche nascere degli eventi, come abbiamo fatto noi in Via Fondazza: abbiamo scoperto che c’erano diverse persone interessate al trekking urbano e così una domenica mattina - ci si dà appuntamento su Facebook - ci si trova all’angolo della strada alle 9.00 e andiamo a scoprire percorsi di trekking urbano per la città. Da qua poi le esperienze possono diventare moltissime e si arriva addirittura anche alla gestione dei beni comuni: residenti che hanno deciso di adottare delle aiuole, che hanno magari l’erba incolta, che non sono curate dal Comune. Così, alcuni cittadini si trovano quindi la domenica mattina, se ne prendono cura e fanno aperitivi nelle aiuole spartitraffico. Quindi, riappropriazione anche degli spazi dove si vive.

D. - Questo sembra tutto molto positivo, ma ci saranno anche aspetti difficili da gestire, ci saranno momenti di tensione… Come si superano queste cose?

R. - “Social Street” vuole soprattutto unire tutte le energie positive di una strada e tutto ciò che accomuna, cercando di lasciare fuori tutto quello che divide. E di cose che dividono nella nostra città ce ne sono già troppe… “Social Street” non è un comitato che nasce per qualcosa o contro qualcosa: semplicemente mette insieme le persone che abitano in una strada. L’obiettivo è la socialità, non è lottare contro - non so - la chiusura al traffico di una strada o contro qualsiasi altra cosa… Non è quello l’obiettivo. L’obiettivo è semplicemente instaurare rapporti di fiducia, di conoscenza tra le persone che abitano vicino a te.

D. - Questo fenomeno ha preso piede anche al di fuori dell’Italia. Da quando voi lo avete iniziato, lo avete un po’ inventato, si è esteso in Italia e si è esteso anche all’estero…

R. - Nel mondo sono 332 le social street, di cui una trentina all’estero: due sono in Brasile - una a Belo Horizonte e una a Fortaleza - una in Nuova Zelanda, vicino Nelson, una a Barcellona, una in Croazia; e a breve partirà a Santiago del Cile e a Francoforte. Noi vogliamo semplicemente riattivare dei rapporti sociali, quello che era normale 30-40 anni nelle città. Adesso ci siamo disabituati alla normalità: ci è difficile anche salutarsi. Oggi quando qualcuno di saluta per strada, la prima cosa che fai è mettere la mano sul portafoglio o pensi “cosa vuole questa persona?”. Ci siamo irrigiditi nei rapporti! Quindi “Social Street vuole un pochino distendere questo clima nella strada per creare - appunto - questo senso di comunità. E le potenzialità sono davvero infinite…

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Teologia. Cettina Militello: bene più donne a tutti i livelli

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Il rafforzamento della presenza di teologhe è la caratteristica più evidente della nuova Commissione Teologica Internazionale, i cui 30 membri sono stati nominati lo scorso 26 luglio da Papa Francesco. Cinque le donne presenti ora nella lista, due religiose e tre laiche, Questo aumento della presenza femminile – si legge nel comunicato reso noto ieri – "è un segno di sempre più qualificato impegno delle donne nell’ambito delle scienze teologiche”. Ma come legge questa novità la teologa Cettina Militello, docente di Ecclesiologia, Liturgia e Mariologia presso diverse Facoltà ecclesiastiche di Roma e, dal 2002, direttrice della cattedra Donna e Cristianesimo presso la Pontificia Facoltà Teologica "Marianum". La sua riflessione al microfono di Adriana Masotti: 

R. – La leggo in modo assolutamente positivo, perché la mia opinione è che le donne più ci sono, meglio è. E lo dico a tutti i livelli: lo dico per i Dicasteri, per le Commissioni, per tutto quel vissuto di Chiesa che esige finalmente la copresenza di uomini e di donne. Detto questo, rimane sempre da considerare che ancora le donne ne devono fare di strada per essere riconosciute nel loro partenariato, perché cinque rispetto a trenta è ancora una cifra piccolina. Devo dire che sono prevalentemente – per quanto ho capito – delle persone giovani e sono tutte assolutamente qualificate. Rimane, per me, il rammarico che tutto sommato ci sia una rappresentanza del bacino occidentale. Mi sarebbe piaciuto che ci fosse stata nella Commissione qualche qualificata teologa, per esempio, del Sud America: ce ne sono diverse, vivaci e interessanti. Ci sono teologhe anche nell’area asiatica, africana…

D. – La Commissione Teologica Internazionale è chiamata ad aiutare la Santa Sede nell’esame delle questioni dottrinali di maggior importanza e attualità. C’è un contributo particolare che le teologhe possono offrire in tutto questo?

R. – Sicuramente. Le donne offrono la loro sensibilità e la loro competenza. Offrono la loro peculiarità, che è difficile da definire, ma che è un fatto oggettivo. Il problema però, secondo me, è quello di capire quali sono questi problemi più urgenti e a mio avviso sono quelli relativi al ridire la fede, che è secondo me l’emergenza. Ridire la fede, ripensare il simbolo, riesprimerlo in forme contigue alla mutazione culturale: quello sì che è il nostro dovere. E come donne teologhe penso che possiamo dare il nostro contributo. Da questo punto di vista, quello che hanno fatto le bibliste è straordinario, perché è nel confronto con la tradizione perenne che noi possiamo trovare le risposte. La fede tante e tante volte è stata ridetta: oggi siamo a uno snodo terribile di conflitto culturale e siamo chiamati, ancora una volta, a reinventarci la fede non nel senso di dire cose nuove, ma nel senso di dirle in modo da suscitare attenzione. Questo per me è il compito fondamentale della teologia: testimoniare la fede, trasmetterla, ma in coerenza di vita e con un linguaggio nuovo.

D. – In merito al ruolo della donna nella Chiesa, ci sono attese particolari da parte delle teologhe?

R. – In generale, da parte delle teologhe può darsi pure di sì. Io personalmente, però, da Papa Francesco vorrei un’altra cosa: una rapida riforma della Chiesa. Se parte la riforma noi donne ci staremo dentro per peso naturale. Riforma della Chiesa nel senso di avere il coraggio, sulla scia del Vaticano II, di restituire la Chiesa alla sua bella forma originaria. Quindi, liberarsi di tutto quello che è sovrastruttura, ritornare all’essenziale del Vangelo, che poi è quello che Papa Francesco vuole.

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Nella Chiesa e nel mondo



Siria. Arcivescovo di Aleppo: i raid aumentano i problemi

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I raid aerei contro le basi jihadiste in Siria, realizzati dagli Usa con il sostegno di alcuni Paesi arabi, non suscitano attese positive tra la popolazione siriana di Aleppo, timorosa “che questo tipo di intervento esterno possa peggiorare la situazione”. Lo riferisce all'agenzia Fides l'arcivescovo armeno cattolico di Aleppo, Boutros Marayati. “Qui la gente non ha una visione chiara di quello che sta succedendo - fa notare l'arcivescovo - ma certo non vede gli autori dei bombardamenti come dei 'liberatori'. Il sentimento prevalente è che i raid non risolveranno i problemi, e potrebbero addirittura aumentarli. Aumenta ancora l'incertezza che tutti vivono ogni giorno. Quella con cui, ogni giorno, i padri e le madri di famiglia si chiedono se sia ancora possibile rimanere o se l'unica salvezza sia ormai da cercare nella fuga”.

Intanto le scuole nei quartieri di Aleppo controllati dal governo hanno riaperto. I capi delle Chiese e delle comunità cristiane si incontrano una volta al mese – la prossima riunione sarà sabato prossimo – per fare il punto della situazione e trovare forme condivise per alleviare le sofferenze e le difficoltà del popolo: “noi rimaniamo qui - ripete l'arcivescovo Marayati - e cerchiamo di sostenere tutti per fare in modo che rimangano qui, che non vadano via, finchè è possibile.

C'è acqua solo due ore al giorno, sui nostri quartieri cadono ogni giorno i missili dei ribelli, manca il cibo. Tanti vanno via. Ma c'è anche chi è tornato dal Libano e dall'area costiera di Latakia, quando sono ricominciate le scuole. Il nostro unico compito, in questa situazione, è cercare di far vivere i germogli di speranza che fioriscono tra le macerie”. (R.P.)

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La Cei stanzia un milione di euro per le comunità cristiane in Iraq

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A sostegno delle comunità cristiane in Iraq, duramente provate dalla violenza persecutoria scatenata dagli estremisti, la Presidenza della Conferenza episcopale italiana ha deliberato lo stanziamento di un milione di euro.

La somma è stata prelevata dai fondi dell’8xmille e affidata alla nunziatura di Baghdad, perché insieme con i vescovi del Paese provveda ad affrontare la prima emergenza e a sostenere progetti di solidarietà. Il contributo si aggiunge a quello, analogo per entità, stanziato in luglio per far fronte all’emergenza in Siria.

In entrambi i Paesi la Chiesa, anche grazie al contributo di Caritas Italiana, ha messo a disposizione le sue strutture, aprendo le porte per assicurare un’assistenza di base alle centinaia di migliaia di profughi, in grande maggioranza cristiani, costretti a fuggire dai loro luoghi d’origine. (R.P.)

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Card. Rai: cristiani e musulmani libanesi condividono stesso destino

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“Per il bene della nazione, come Capi spirituali, il nostro dovere è proteggere i valori morali e spirituali e i principi costituzionali e nazionali fondamentali”. Così si è espresso il patriarca di Antiochia dei maroniti, Bechara Boutros Rai, dopo l'incontro avuto ieri con il nuovo Gran Mufti del Libano, Abdel Latif Derian, unanimemente riconosciuto come uomo di dialogo e di sguardo lungimirante.

In alcune dichiarazioni riportate dalla stampa locale, il primate della Chiesa maronita ha riproposto la collaborazione tra cristiani e musulmani sciiti e sunniti come fattore fondante dell'identità nazionale libanese e ricchezza per impedire che il Paese dei Cedri venga di nuovo contagiato dai conflitti settati che dilaniano il Medio Oriente. “A livello sociale - ha ripetuto il card. Rai -musulmani e cristiani in Libano rappresentano una famiglia, con uno stesso destino e una cultura comune”. Il patriarca ha anche sottolineato l'urgenza di favorire il decentramento amministrativo come strumento per contrastare la corruzione che infesta le istituzioni nazionali.

Intanto, nella giornata di ieri, il leader sciita Sayyed Hasan Nasrallah in un'intervista televisiva ha ribadito che il partito sciita Hezbollah è contario a ogni coinvolgimento, anche parziale, del Libano nella coalizione a guida Usa che ha iniziato i raid aerei in territorio siriano contro le postazioni dei jihadisti dello Stato Islamico (IS). “Gli Usa - ha detto tra l'altro Nasrallah - non sono moralmente qualificati per guidare una coalizione contro il terrorismo”. (R.P.)

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Vescovi nigeriani: le violenze di Boko Haram creano insicurezza al Paese

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 È stata una Plenaria ad ampio spettro quella tenuta dalla Conferenza episcopale della Nigeria (Cbcn) ad Effurun, dall’11 al 19 settembre. Numerosi, infatti, i temi affrontati nel corso dell’Assemblea, la seconda del 2014. Come riporta il comunicato finale dei lavori, i presuli hanno riflettuto innanzitutto sul Sinodo straordinario sulla famiglia, in programma in Vaticano dal 5 al 19 ottobre.

“Preghiamo – si legge nel comunicato finale – affinché le nostre famiglie siano sempre più santuari di vita e di amore, scuole insostituibili e fondamentali di umanità”. Di qui, l’esortazione ad “intensificare la cura pastorale per le famiglie attraverso un’adeguata preparazione al matrimonio ed un giusto supporto per le coppie di coniugi, per quelle unite in matrimoni misti, per coloro che vivono situazioni irregolari, per le famiglie in crisi, per i separati, i divorziati, i risposati ed i single”.

Al secondo punto della Plenaria, la Conferenza episcopale nigeriana ha posto il tema dell’insicurezza nel Paese, dovuta alle violenze perpetrate dai gruppi armati Boko Haram: ricordando la “brutalità” con cui le persone vengono “uccise, rapite, mutilate” e costrette ad abbandonare le loro abitazioni, i presuli condannano ogni forma di violenza e tutti coloro che “giustificano tali azioni con motivi religiosi, agendo in modo falso e blasfemo”.

I vescovi lanciano quindi un appello al governo nigeriano affinché metta in atto misure adeguate per “la restaurazione della pace nel Paese”, provvedendo anche al “sostengo materiale delle vittime”. Purché, mettono in guardia i presuli, tali atti istituzionali non vengano trasformati in “vantaggi politici e gratificazioni personali”, poiché “nessuna nazione può svilupparsi o prosperare in una atmosfera di insicurezza”.

Allo stesso tempo, la Cbcn “riafferma il diritto alla libertà religiosa e di espressione, così come sancita dalla Costituzione” e sottolinea che tale diritto “non si limita alla libertà di scegliere, praticare ed esprimere la propria fede, fatalmente negato in alcune parti della nazione, ma include anche l’opportunità di contribuire alla costruzione della società”. E ciò “presuppone il riconoscimento pubblico ed il rispetto degli autentici valori religiosi in grado di rispondere alle più profonde preoccupazioni dell’umanità e capaci di fornire motivazioni etiche alle responsabilità sociali e personali”. Per questo, i vescovi nigeriani ribadiscono il loro impegno “al dialogo ed alla collaborazione con gli altri cristiani e le altre religioni”, in nome “dell’armonia e del progresso della nazione e per il bene dell’umanità”.

Guardando, poi, al 2015, anno in cui si terranno le elezioni generali, la Chiesa di Abuja lancia un appello affinché le consultazioni si svolgano senza irregolarità, garantendo ai cittadini “il fondamentale diritto di voto”, da esercitare “senza paura, favoritismi e intimidazioni” ed offrendo ai nigeriani “l’opportunità di dimostrare la loro maturità attraverso un procedimento elettorale libero, equo, duraturo e credibile”.

La Plenaria della Cbcn ha poi, naturalmente, affrontato anche la preoccupante epidemia di ebola che attanaglia alcuni Paesi africani: esprimendo apprezzamento per tutti gli sforzi che vengono compiuti per fermare il virus e diffondere l’informazione adeguata, i presuli esortano i cittadini a seguire le misure igieniche precauzionali predisposte.

Infine, l’Assemblea dei vescovi ha reso noto alcuni appuntamenti che si terranno ad Abuja: dal 28 al 31 ottobre, si svolgerà il secondo summit nazionale dell’educazione cattolica, mentre dal 13 al 14 novembre si terrà un pellegrinaggio nazionale di preghiera presso il Centro nazionale crisitiano della città. (A cura di Isabella Piro)

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Sudan: colpiti dalle alluvioni migliaia di profughi in Darfur

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Oltre 3 mila abitazioni sono andate distrutte dalle piogge torrenziali che hanno recentemente colpito i campi profughi di Nierteti, nel Darfur centrale. A sud del Paese, nel campo di Kalma, vicino Nyala la capitale dello Stato - riferisce l'agenzia Fides - ne sono crollate 700.

Secondo fonti riportate alla locale Radio Dabanga, le vittime di Nierteti stanno vivendo all’aperto, senza alcun riparo e hanno urgente bisogno di aiuto. Nel campo di Kalma le inondazioni hanno anche bloccato molte strade e stanno gravemente danneggiando la salute degli sfollati che, per proteggersi da sole e pioggia, stanno utilizzando dei sacchi. Hanno un disperato bisogno di aiuto in particolare quelli registrati nel 2014, privi di qualsiasi tipo di riparo e genere di sostentamento, nonostante mesi fa i rappresentanti delle organizzazioni umanitarie avessero promesso di provvedere subito.

Circa 3 mila nuove famiglie di profughi non hanno ancora ricevuto generi alimentari. Da marzo di quest’anno i campi nel Sud Darfur hanno accolto decine di migliaia di nuovi arrivi, dopo che le Forze paramilitari hanno attaccato e incendiato molti villaggi nelle aree sudorientali di Nyala. (R.P.)

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Vescovi croati: nel referendum sul sistema elettorale tutelare la democrazia

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“Non siamo contrari all’indizione di un referendum sul sistema elettorale croato, se esso contribuisce in modo fruttuoso alla democrazia”: lo scrive la Commissione Giustizia e pace dei vescovi croati, guidata da mons. Vlado Košic, in una nota diffusa in questi giorni.

Nel documento, i presuli fanno riferimento all’iniziativa popolare “In nome della famiglia” che ha lanciato una raccolta firme per indire un nuovo referendum volto ad introdurre, nel Paese, un sistema elettorale basato sul voto preferenziale. Intitolata “Scegliamo i deputati per nome e cognome”, la raccolta firme proseguirà fino al 5 ottobre. La Chiesa di Zagabria, dunque, non si dice contraria a tale proposta di referendum, purché esso “non infranga le leggi ed i regolamenti dello Stato e, soprattutto, non violi i valori cristiani, parte importante della cultura croata”. Per questo, viene data la possibilità di raccogliere firme anche davanti alle Chiese.

Ad ogni modo, i presuli esortano “i fedeli ed i cittadini ad informarsi bene sulla questione, esaminando le soluzioni proposte e decidendo come votare, secondo coscienza”. “Senza entrare nel merito del referendum – sottolineano ancora i vescovi croati – respingiamo comunque la possibilità di porre una moratoria sulle consultazioni popolari nel Paese, perché ciò significherebbe la sospensione dell’ordine politico democratico e sarebbe contrario alla Costituzione della Repubblica croata”.

La Commissione Giustizia e pace ribadisce, inoltre, l’importanza della “libertà dei mass media”, chiedendo alle autorità di “promuoverne l’indipendenza, la libertà e la responsabilità, siano essi sia pubblici che privati”, così che possano restare lontani da “pressioni ed interferenze” da parte di “individui singoli e istituzioni”. Al contempo, ai funzionari pubblici viene richiesto di essere “virtuosi ed attenti all’interesse comune e non a quello privato”.

Infine, i vescovi di Zagabria affrontano la delicata questione dei bunjevci: minoranza di religione cattolica arrivata nel XVII secolo dall'Erzegovina e dalla Dalmazia nell'attuale Vojvodina, provincia autonoma serba, per Zagabria essi fanno parte a pieno titolo della popolazione croata. La Serbia, invece, li considera “un popolo autoctono né croato, né serbo”. Un fatto “doloroso” e “inaccettabile”, dicono i vescovi croati, chiedendo alle autorità di Zagabria di “intervenire per far sì che i croati in Serbia si vedano garantiti gli stessi diritti delle minoranze serbe in Croazia”. “I diritti umani sono universali – concludono i presuli – ed è dovere ed obbligo delle autorità averne cura, affinché siano rispettati ed implementati”. (I.P.) 
 

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVIII no. 267

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.