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Sommario del 23/09/2014

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Giornata migrante. Il Papa: non basta la tolleranza, globalizzare accoglienza

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“Alla globalizzazione del fenomeno migratorio occorre rispondere con la globalizzazione della carità”. E’ uno dei passaggi forti del messaggio di Papa Francesco per la Giornata mondiale del migrante e del rifugiato, pubblicato oggi. Nel documento, sul tema “Chiesa senza frontiere: madre di tutti”, il Papa chiede dunque di lottare contro il vergognoso traffico di esseri umani. Il servizio di Alessandro Gisotti: 

“La Chiesa allarga le sue braccia per accogliere tutti”, in particolare quei migranti e rifugiati che “cercano di lasciarsi alle spalle dure condizioni di vita e pericoli di ogni sorta”. Papa Francesco inizia così il suo Messaggio per la Giornata del migrante e del rifugiato e subito ribadisce che la Chiesa è chiamata a diffondere “nel mondo la cultura dell’accoglienza e della solidarietà, secondo la quale nessuno va considerato inutile, fuori posto o da scartare”. Alla “globalizzazione del fenomeno migratorio – esorta il Papa – occorre rispondere con la globalizzazione della carità e della cooperazione, in modo da umanizzare le condizioni dei migranti”. E denuncia con forza “il vergognoso e criminale traffico di esseri umani”, come “tutte le forme di violenza, di sopraffazione e di riduzione in schiavitù”. Fenomeni che necessitano una “lotta” più “incisiva ed efficace, che si avvalga di una rete universale di collaborazione, fondata sulla tutela della dignità e della centralità di ogni persona umana”. Dal Papa, dunque, l’esortazione a una fattiva “collaborazione che coinvolga gli Stati e le organizzazioni internazionali” nel gestire e regolare i movimenti migratori.

Al tempo stesso, avverte il Pontefice, “occorre intensificare gli sforzi per creare le condizioni” volte a diminuire le “ragioni che spingono interi popoli a lasciare la loro terra natale a motivo di guerre e carestie”. I movimenti migratori, fa poi notare Francesco, non di rado “suscitano diffidenze e ostilità, anche nelle comunità ecclesiali, prima ancora che si conoscano le storie di vita, di persecuzione o di miseria delle persone coinvolte”. In tal caso, prosegue, “sospetti e pregiudizi si pongono in conflitto con il comandamento biblico di accogliere con rispetto e solidarietà lo straniero bisognoso”. Gesù, si legge nel messaggio, “si è identificato con lo straniero, con chi soffre, con tutte le vittime innocenti di violenze e sfruttamento”. E ci ha chiesto di “toccare la miseria umana e mettere in pratica il comandamento dell’amore”.

“Il coraggio della fede, della speranza e della carità – sottolinea il Papa – permette di ridurre le distanze che separano dai drammi umani”. Gesù, ribadisce, “è sempre in attesa di essere riconosciuto nei migranti e nei rifugiati, nei profughi e negli esuli, e anche in questo modo ci chiama a condividere le risorse, talvolta a rinunciare a qualcosa del nostro acquisito benessere”. Il carattere “multiculturale delle società odierne – soggiunge – incoraggia la Chiesa ad assumersi nuovi impegni di solidarietà, di comunione e di evangelizzazione”. Non può “bastare la semplice tolleranza”, ammonisce Francesco, la Chiesa è chiamata a “superare le frontiere e a favorire il passaggio da un atteggiamento di difesa e di paura” a un “atteggiamento che abbia alla base la cultura dell’incontro”. 

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Card. Vegliò: no a equazione immigrato-criminale

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Il messaggio di Papa Francesco per la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato è stato illustrato nella Sala stampa della Santa Sede dal cardinale Antonio Maria Vegliò, presidente del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti, e da mons. Joseph Kalathiparambil, segretario del medesimo dicastero. Il servizio di Amedeo Lomonaco: 

Alle sfide poste dalle migrazioni si deve rispondere con la cultura dell’accoglienza e della solidarietà, come ricordato nel messaggio da Papa Francesco. Ma non di rado, ha osservato il cardinale Anonio Maria Vegliò, emergono altri atteggiamenti:

“C’è una tendenza a vedere l’immigrato con sospetto e un po’ con paura. E qui, spesso nasce l’equazione migrante uguale criminale. Cosa che assolutamente è falsa. Non possiamo accettare una cosa simile. Il Papa dice chiaramente che i migranti hanno un posto privilegiato nel cuore della Chies,a perché sono quelli che hanno più bisogno, perché sono quelli più vulnerabili”.

Bisogna dunque respingere l'equazione tra immigrati e criminali. Ma se i migranti sono delinquenti, ha aggiunto il porporato, devono essere espulsi. In ogni caso, ha spiegato il cardinale Vegliò, l'espulsione non può mai riguardare i rifugiati. E sulla situazione dei rifugiati si è poi soffermato mons. Joseph Kalathiparambil:

 “La sfida oggi è quella di non abituarci ai drammi umani vissuti dalle persone forzatamente dislocate e a non far prevalere l’indifferenza, 'la debolezza della nostra natura umana' a causa della quale spesso 'sentiamo la tentazione di essere cristiani mantenendo una prudente distanza dalle piaghe del Signore'. Ogni passo che facciamo gli uni verso gli altri ci insegna a scoprire il senso della parola solidarietà, a impegnarci per il bene comune e a diventare segno e strumento dell’unità di tutto il genere umano”.

Alla fine del 2014, per la prima volta dalla Seconda Guerra Mondiale, il numero di rifugiati, richiedenti asilo e sfollati, ha superato la soglia di 50 milioni di persone. Sono bambini, ha ricordato mons. Joseph Kalathiparambil, oltre il 50% dei rifugiati. Rispondendo infine alle domande dei giornalisti sul prossimo Sinodo sulla famiglia, il cardinale Vegliò ha affermato che bisogna evitare di ridurre tutto il dibattito al solo tema dell'ammissione, o meno, dei divorziati risposati all'Eucaristia. Riferendosi inoltre all’operazione "Mare Nostrum", condotta dall’Italia per soccorrere i migranti nel Mar Mediterraneo, e all’avvio del programma europeo "Frontex Plus", più rivolto al controllo dei confini, il porporato ha aggiunto:

“Io credo ci sarà, certamente, meno assistenza. L’Italia ha veramente dimostrato molta sensibilità, molta generosità con il programma 'Mare Nostrum'. Il programma consisteva nell’andare a prendere questi poveri migranti dappertutto: sono stati presi anche a pochi chilometri dai Paesi del Nord Africa. Non credo che 'Frontex Plus' farà questo”.

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Il Papa a vescovi Ghana: prego per vittime Ebola, grande testimonianza religiosi

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Prego per quanti in Africa soffrono a causa dell’Ebola. E’ quanto afferma il Papa nel discorso consegnato ai vescovi del Ghana, ricevuti in visita ad Limina. Francesco ricorda le vittime di questa epidemia e la grande testimonianza di sacerdoti, religiosi e religiose, degli operatori sanitari che sono rimasti al fianco dei malati a rischio della vita. Dal Papa l’auspicio che si rafforzi l’impegno per porre fine a questa tragedia. Nel discorso, il Papa invita inoltre i vescovi del Paese africano a gestire i beni della Chiesa con “onestà e responsabilità” e questo soprattutto laddove “la corruzione ha ostacolato il giusto avanzamento della società”.

Al contempo, afferma, la povertà materiale può essere occasione per dare maggiore attenzione “ai bisogni spirituali della persona umana”. Francesco incoraggia dunque la Chiesa locale a sviluppare la collaborazione ecumenica e interreligiosa che “contribuisce all’armonia sociale” del Paese. Il Ghana, constata, è stato risparmiato dalle divisioni tribali, etniche e religiose che hanno “afflitto troppe parti dell’Africa”. Di qui, l’invito ai presuli affinché siano ancor più “promotori di unità e leader al servizio del dialogo”.

Papa Francesco non manca infine di rivolgere il pensiero ai catechisti laici. Senza il loro lavoro, sottolinea il Papa, “l’impegno per l’evangelizzazione sarebbe fortemente ridotto”. Il Pontefice, riprendendo l’Africae Munus di Benedetto XVI, incoraggia dunque i vescovi a rafforzare la formazione dei laici così che la loro opera possa avere dei risultati duraturi. (A.G.)

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Arcivescovo Accra: il Papa ha detto che vescovo è maratoneta con tre odori

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Incontrando i vescovi del Ghana per la visita ad limina, il Papa – al di là del discorso consegnato – ha rivolto alcune esortazioni ai presuli, parlando a braccio. Ma come è andato l’incontro? Sergio Centofanti lo ha chiesto all’arcivescovo di Accra, Gabriel Charles Palmer-Buckle

R. – Eccezionale! Un’esperienza unica, potrei dire, perché ci ha accolti così, come un padre che ascolta i suoi figli o i suoi collaboratori, e poi ci ha detto: “Potete farmi qualunque domanda, potete dirmi qualsiasi cosa vogliate dire, fare una critica alla mia vita, al mio modo di fare”.

D. – Quali esortazioni vi ha rivolto, in particolare?

R. – Lasciando a noi di porgli delle domande, la prima cosa che ci è venuta da chiedere è una cosa che lui ha detto e cioè che il vescovo deve avere l’odore delle pecore. Ho posto questa domanda: che cosa vuol dire, questo? E lui ci ha detto: “Il pastore, il vescovo, deve avere tre odori: prima di tutto, l’odore dell’olio dell’unzione che ha ricevuto da vescovo; il secondo odore dev’essere certamente l’odore delle sue pecore e il terzo è l’odore di Dio”. Uno di noi poi gli ha detto che con la sua grande semplicità, anche prendendo il nome di San Francesco, è veramente un buon esempio. E lui ha detto umilmente che non è niente di ché, perché già da sacerdote aveva sempre voluto vivere da pastore, essere alla portata di mano dei suoi parrocchiani per poter entrare in un discorso vivo, a tu per tu, con loro, per ascoltare le loro ansie, i loro problemi … e questo l’ha fatto anche da vescovo e quindi, una volta diventato Papa, non c’era motivo di cambiare: ha voluto rimanere esattamente come è sempre stato. Non ritiene questa una cosa straordinaria, da lusingare: è la sua natura, che vuole così, che vuole stare in mezzo alla gente. Poi, ha detto che un vescovo dev’essere come un maratoneta, uno che corre tra Dio e il popolo, i suoi parrocchiani … E ha richiamato proprio la figura di Mosé: il vescovo dev’essere come Mosé. Ogni tanto, Mosé va in cima alla montagna per mettersi in contatto con Dio, in comunione con Dio, ascoltare Dio, parlare con Dio e sapere quello che Dio vuole dal suo popolo. Poi, scende dalla montagna per andare dal suo popolo e poi torna ancora da Dio per chiedergli cosa deve fare e poi ancora torna dalla gente per incoraggiarla, per cercare di portarla avanti … Quindi, una delle esortazioni che ci ha lasciato è di essere come Mosé, un maratoneta: uno che corre sempre da Dio per sapere quello che vuole Dio, e riporta il messaggio di Dio al popolo. Infine, ci ha esortati a stare attenti perché nel mondo c’è questo problema: l’adorazione del denaro. E quando uno punta sul denaro si corre il rischio, poi, di perdere di vista l’uomo come centro dell’economia. L’economia deve servire l’uomo, non l’uomo l’economia. Ma oggigiorno – ha detto – viviamo un tempo in cui tutto è puntato sull’economia: l’economia, l’economia … Fino ad arrivare al punto in cui abbiamo adesso una cultura dello scarto: si scartano i bambini, gli anziani … E ha ringraziato Iddio che almeno l’Africa, ancora, ha tanto tempo e tanta attenzione per gli anziani. Poi ha parlato dei giovani e ha detto che parecchi non hanno lavoro e per questo si sentono rifiutati dalla società. E lui dice: questa è davvero una piaga della cultura moderna che dobbiamo combattere in Ghana, in Africa e ovunque.

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Il Papa: non complichiamo il Vangelo, ascoltiamolo e viviamolo

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La vita cristiana è “semplice”: ascoltare la Parola di Dio e metterla in pratica, non limitandosi a “leggere” il Vangelo, ma chiedendosi in che modo le sue parole parlino alla propria vita. Lo ha ribadito Papa Francesco alla Messa del mattino celebrata nella cappella di Casa Santa Marta. Il servizio di Alessandro De Carolis

Le parole che diceva suonavano nuove, come “nuova” appariva l’autorità di chi le pronunciava. Parole che toccavano il cuore e nelle quali in tanti percepivano “la forza della salvezza” che annunciavano. Per questo, osserva Papa Francesco, le folle seguivano Gesù. Ma c’erano pure coloro che lo seguivano “per convenienza”, senza troppa purezza di cuore, magari solo per la “voglia di essere più buoni”. In duemila anni, riconosce il Papa, non è che questo scenario sia molto cambiato. Anche oggi molti ascoltano Gesù come quei nove lebbrosi del Vangelo che, “felici” con la loro ritrovata salute, “si dimenticarono di Gesù” che gliela aveva restituita:

“Ma Gesù continuava a parlare alla gente e amava la gente e amava la folla, a tal punto che dice ‘questi che mi seguono, quella folla immensa, sono la mia madre e i miei fratelli, sono questi’. E spiega: 'coloro che ascoltano la Parola di Dio, la mettono in pratica’. Queste sono le due condizioni per seguire Gesù: ascoltare la Parola di Dio e metterla in pratica. Questa è la vita cristiana, niente di più. Semplice, semplice. Forse noi l’abbiamo fatta un po’ difficile, con tante spiegazioni che nessuno capisce, ma la vita cristiana è così: ascoltare la Parola di Dio e praticarla”.

Ecco perché – come descritto dal brano del Vangelo di Luca – Gesù replica a chi gli riferiva che i suoi parenti lo stavano cercando: “Mia madre e miei fratelli sono coloro che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica”. E per ascoltare la Parola di Dio, la Parola di Gesù – dice il Papa – basta aprire la Bibbia, il Vangelo. Ma queste pagine, afferma, non vanno lette, vanno ascoltate. “Ascoltare la Parola di Dio – indica Papa Francesco – è leggere quello e dire: ‘Ma a me questo che dice, al mio cuore? Dio cosa sta dicendo a me, con questa parola?”. E la nostra vita cambia”:

“Ogni volta che noi facciamo questo – apriamo il Vangelo e leggiamo un passo e ci domandiamo: ‘Con questo Dio mi parla, dice qualcosa a me? E se dice qualcosa, cosa mi dice?’ – questo è ascoltare la Parola di Dio, ascoltarla con le orecchie e ascoltarla con il cuore. Aprire il cuore alla Parola di Dio. I nemici di Gesù ascoltavano la Parola di Gesù, ma gli erano vicini per cercare di trovare uno sbaglio, per farlo scivolare, e che perdesse autorità. Ma mai si domandavano: ‘Cosa dice Dio per me in questa Parola?’ E Dio non parla solo a tutti: sì, parla a tutti, ma parla ad ognuno di noi. Il Vangelo è stato scritto per ognuno di noi”.

Certo, prosegue Papa Francesco, mettere poi in pratica ciò che si è ascoltato “non è facile”, perché “è più facile vivere tranquillamente senza preoccuparsi delle esigenze della Parola di Dio”. Piste concrete per farlo, ricorda, sono i Comandamenti, le Beatitudini. Contando sempre, soggiunge, sull’aiuto di Gesù, anche quando il nostro cuore ascolta ma fa finta di non capire. Lui, conclude il Papa, “è misericordioso e perdona tutti”, “aspetta tutti, perché è paziente”:

“Gesù riceve tutti, anche quelli che vanno a sentire la Parola di Dio e poi lo tradiscono. Pensiamo a Giuda. ‘Amico’ gli dice, in quel momento dove Giuda lo tradisce. Il Signore sempre semina la sua Parola, soltanto chiede un cuore aperto per ascoltarla e buona volontà per metterla in pratica. Per questo allora la preghiera di oggi, che sia quella del Salmo: ‘Guidami Signore sul sentiero dei tuoi comandi’, cioè sul sentiero della tua Parola, e perché io impari con la tua guida a metterla in pratica”.

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Don Gjergj: Papa accolto con affetto da albanesi di ogni religione

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Sono ancora vive nella memoria le immagini dei gesti e delle parole di Papa Francesco nella recente visita di domenica scorsa in Albania.  Un viaggio breve, di un giorno solo, che però rimarrà impresso in questo Paese della “periferia” d’ Europa e negli albanesi come conferma don Gjergj Meta, responsabile delle strutture informative per la visita di Papa Francesco in Albania, al microfono di Debora Donnini

R. – E’ stata una giornata di luce, una giornata nella quale abbiamo toccato con mano una presenza diversa. Vedevi le lacrime negli occhi delle persone. Quando è sceso l’aereo, abbiamo avuto la diretta, che ha accompagnato la discesa. Io ero nella piazza grande e mentre coordinavo i giornalisti e i fotoreporter si è sentita un’ovazione generale. Alla fine della giornata, tutti ci siamo sentiti bene, perché abbiamo vissuto una grande giornata insieme a Papa Francesco.

D. – Il Papa ha sottolineato che in qualche modo l’Albania dimostra che c’è una fratellanza possibile fra persone di religioni diverse. Come si è concretizzato questo durante il viaggio di Papa Francesco in Albania?

R. – C’è stata una manifestazione di vicinanza e di affetto degli albanesi, senza distinzione di religione. Gli albanesi hanno accolto con affetto il Papa. Il dono che il presidente della Repubblica ha fatto al Santo Padre è stato un quadro di Papa Clemente XI con una scritta, che nella tradizione albanese è molto importante: la casa dell’albanese è di Dio e dell’ospite, dell’amico. Noi abbiamo accolto il Papa, noi cattolici certamente abbiamo accolto il nostro Pastore universale, ma tutti gli albanesi hanno accolto un illustre ospite e perciò nel Boulevard principale sono usciti tutti, senza distinzioni di religione: tutti erano lì per vedere il Papa. Voglio sottolineare un fatto: il Papa sull’aereo, nella via del ritorno, ha detto che in Albania non si tratta di tolleranza e neanche di convivenza, ma di fratellanza, che è un concetto un po’ più alto rispetto agli altri due. Ed è vero questo. In Albania, tu puoi trovare spesso famiglie che sono dello stesso tronco, ma una parte è musulmana e l’altra cattolica. In generale, il clima che si è vissuto in quella giornata, e che ha accolto Papa Francesco, è stato di fraternità.

D. – L’altro punto chiave di questa visita è stato quando Papa Francesco ha incontrato alcuni sopravvissuti alla persecuzione comunista. Quella della persecuzione, infatti, è stata un’esperienza che l’Albania ha vissuto fino a non tantissimi anni fa, di cui ancora oggi ci sono dei testimoni...

R. – Quello è stato un momento culminante della giornata. Non ha lasciato occhi senza lacrime, quel momento dell’abbraccio del Santo Padre con i due testimoni che hanno raccontato la loro esperienza. Abbiamo visto il Papa commosso, il Papa che si girava da una parte e asciugava le lacrime. E’ stato un momento importante di riconoscenza di questa sofferenza e anche una manifestazione di come noi non possiamo dimenticare le sofferenze, ma ne dobbiamo parlare e dobbiamo approfittarne per non dimenticare, per non ripetere, per non ripetere!

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Il Papa riceve i cardinali Pell e Cañizares

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Nel pomeriggio di ieri, lunedì 22 settembre, il Papa ha ricevuto in udienza il card. George Pell, prefetto della Segreteria per l’Economia e il card. Antonio Cañizares Llovera, arcivescovo di Valencia (Spagna).

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Papa, tweet: se manca Dio una società prospera è terribilmente povera

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Papa Francesco ha lanciato un tweet dal suo account @Pontifex: “Quando in una società manca Dio, anche la prosperità è accompagnata da una povertà spirituale terribile”.

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Card. Müller incontra mons. Fellay: auspicata piena riconciliazione

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Un cammino graduale verso il “raggiungimento della piena riconciliazione”. È l’auspicio condiviso emerso al termine dell’incontro di due ore che, dalle 11 alle 13, ha visto a colloquio in Vaticano il cardinale prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, Gerhard L. Müller, con il superiore generale della Fraternità Sacerdotale S. Pio X, mons. Bernard Fellay.

Durante l’incontro, svoltosi “in un clima di cordialità”, sono stati esaminati – informa un comunicato del dicastero – “alcuni problemi di ordine dottrinale e canonico e si è inteso di procedere per gradi e in tempi ragionevoli verso il superamento delle difficoltà e l’auspicato raggiungimento della piena riconciliazione”.

Nella sede della Congregazione per la Dottrina della Fede, dove si è tenuto l’incontro, erano presenti anche mons. Luis Ladaria, segretario del dicastero, mons. Augustine Di Noia, segretario aggiunto, e mons. Guido Pozzo, segretario della Pontificia Commissione “Ecclesia Dei”. Per parte della Fraternità S. Pio X, erano presenti in veste di assistenti i rev.di Nikolas Pfluger e Alain-Marc Nély. (A cura di Alessandro De Carolis)

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Cinque donne nella nuova Commissione Teologica Internazionale

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Il rafforzamento della presenza di teologhe è la caratteristica più evidente della nuova Commissione Teologica Internazionale, i cui membri, 30, sono stati nominati lo scorso 26 luglio da Papa Francesco, a conclusione del quinquennio di attività della precedente Commissione, creata nel 2009. Cinque le donne presenti ora nella lista, due religiose e tre laiche, tutte di origine diversa: Stati Uniti, Canada, Russia, Australia e Austria. “Questo notevole aumento della presenza femminile che costituisce oltre il 16% nella composizione della Commissione  – si legge nel comunicato dello stesso organismo – è un segno di sempre più qualificato impegno delle donne nell’ambito delle scienze teologiche”. Rispetto al precedente quinquennio, inoltre, si è proceduto anche a una diversificazione della provenienza ecclesiale dei Membri, “secondo i vari stati di vita e carismi religiosi che rappresentano”. La Commissione, “che coadiuva la Santa Sede, in particolare la Congregazione per la Dottrina della Fede, nell’esame delle questioni dottrinali di maggiore importanza ed attualità “, oltre a conservare la propria documentazione sul sito ufficiale della Santa Sede (www.vatican.va) avrà una sua pagina (www.cti.va) di più facile consultazione, che sarà strumento di aiuto, stimolo e dialogo. (F.S.)


Di seguito l'elenco dei nuovi Membri della Commissione per il quinquennio 2014-2019:

- P. SergeThomas BONINO, O.P., Segretario Generale, Francia.
- Rev.do Terwase Henry AKAABIAM, Nigeria;
- Suor Prudence ALLEN, R.S.M., Stati Uniti d'America;
- Suor Alenka ARKO, della Comunità Loyola, Federazione Russa - Slovenia;
- Mons. Antonio Luiz CATELAN FERREIRA, Brasile;
- Mons. Piero CODA, Italia;
- Rev.do Lajos DOLHAI, Ungheria;
- P. Peter DUBOVSKÝ, S.I., Slovacchia;
- Rev.do Mario Angel FLORES RAMOS, Messico;
- Rev.do Carlos María GALLI, Argentina;
- Rev.do Krzysztof GÓ?D?, Polonia;
- Rev.do Gaby Alfred HACHEM, Libano;
- P. Thomas KOLLAMPARAMPIL, C.M.I., India;
- Rev.do Koffi Messan Laurent KPOGO, Togo;
- Rev.do Oswaldo MARTÍNEZ MENDOZA, Colombia;
- Prof.ssa Moira Mary McQUEEN, Canada - Gran Bretagna;
- Rev.do KarlHeinz MENKE, Germania;
- Rev.do John Junyang PARK, Corea;
- P. Bernard POTTIER, S.I., Belgio;
- Rev.do Javier PRADES LÓPEZ, Spagna;
- Prof.ssa Tracey ROWLAND, Australia;
- Prof. Héctor Gustavo SÁNCHEZ ROJAS, S.C.V., Perú;
- Prof.ssa Marianne SCHLOSSER, Austria - Germania;
- Rev.do Nicholaus SEGEJA M'HELA, Tanzania;
- Rev.do Pierangelo SEQUERI, Italia;
- Rev.do Željko TANJI?, Croazia;
- P. Gerard Francisco P. TIMONER III, O.P., Filippine;
- P. Gabino URIBARRI BILBAO, S.I., Spagna;
- Rev.do Philippe VALLIN, Francia;
- P. Thomas G. WEINANDY, O.F.M.Cap., Stati Uniti d'America.

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Santa Sede: fermare proliferazione armi nucleari

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Incoraggiare gli studi e le applicazioni medico-sanitarie e sociali in tema di energia atomica ma assicurare il disarmo di armamenti nucleari: questa la raccomandazione della Santa Sede all'Aiea, l'Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica. L’ha espressa mons. Antoine Camilleri, sottosegretario per le relazioni con gli Stati, alla 58.ma Conferenza generale dell’'organismo, in corso a Vienna.  Mons. Camilleri ha ricordato il contributo che diverse attività dell’Aiea assicurano in particolare per i Paesi in via di sviluppo, in tema di agricoltura, sicurezza alimentare, risorse idriche, lotta all’inquinamento. Per poi sottolineare il Programma Pact, Program of Action for Cancer Therapy, per la lotta ai tumori.

Ricordando che tutto ciò che contribuisce allo sviluppo della persona e dei popoli rientra negli auspici espressi da Papa Francesco nel suo messaggio per la pace 2014, mons. Camilleri si sofferma poi sulla spinosa questione degli armamenti. Chiede che sia ferma la determinazione a bloccare la proliferazione delle armi nucleari e che speciale enfasi sia posta nel cercare il disarmo a livello mondiale. A questo proposito la Santa Sede sostiene un’iniziativa precisa: la stabilizzazione di una “free zone” nella regione mediorientale, una zona libera da armamenti nucleari e di distruzione di massa.

Mons. Camilleri ricorda i 100 anni dalla Prima Guerra Mondiale che ricorrono quest’anno insieme con i 75 anni dalla Seconda Guerra mondiale. Per riportare la memoria di tutti alle tragiche conseguenze, visibili ancora oggi, dell’uso della bomba atomica nel 1945. Dunque, il plauso per l’iniziativa dell’Austria: ospitare nei prossimi mesi la terza Conferenza sull’impatto delle armi nucleari. Con il forte incoraggiamento agli Stati a sostenere e far entrare in vigore il Trattato che mette al bando i test nucleari. In generale la Santa Sede per tutte queste tematiche raccomanda una vincente collaborazione dell’Aiea con le altre Organizzazioni  delle Nazioni Unite come l'Organizzazione Mondiale della Sanità e la Fao.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Dalla tolleranza all'incontro: il messaggio di Papa Francesco per la giornata mondiale del migrante e del rifugiato.

Per un mondo libero dalle armi di distruzione di massa: intervento della Santa Sede alla conferenza generale dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica.

Al suono dello shofar: Zion Evrony, Ambasciatore di Israele presso la Santa Sede, sulla festa ebraica di Rosh Ha-Shanah.

Il meglio è dinanzi a noi: in cultura, il presidente della Fondazione Giovanni XXIII, Ezio Bolis, presenta l'edizione di un quaderno inedito del giovane Roncalli.

Arte per mare: Fabrizio Bisconti sulla cultura figurativa paleocristiana nelle isole del Mediterraneo.

L’Europa riparte da oriente: un articolo di Mario Benotti sullo sviluppo della situazione politica in Polonia e Albania.

Pace lontana: nel servizio internazionale, in primo piano crisi irrisolte nel Sud Sudan e nella regione del Darfur.

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Oggi in Primo Piano



Siria. Usa e quattro Paesi arabi bombardano l'Is a Raqqa

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Svolta nelle operazione contro il sedicente Stato islamico (Is). La notte scorsa è scattata un’operazione militare congiunta, tra Stati Uniti, Arabia Saudita, Emirati Arabi, Giordania e Qatar, che ha colpito importanti basi dei jihadisti nel nord della Siria, causando la morte di almeno 20 miliziani. Gli attacchi si sono concentrati sulla città di Raqqa, quartier generale del califfato. Sul significato di questa nuova fase dello lotta all’Is, Giancarlo La Vella ha intervistato Lorenzo Cremonesi, esperto di Medio Oriente del Corriere della Sera: 

R. – Quello in Siria è stato un attacco annunciato: due settimane fa Barack Obama l’aveva detto. Certo, per il califfato diventa più complicato operare, su questo non c’è dubbio. Anche perché l’impressione, dai primi dati che arrivano dal Pentagono, è che si tratti d’avvero di un attacco massiccio, più massiccio di quello che abbiamo visto in Iraq, almeno nelle fasi iniziali. Però, le notizie che noi avevamo avuto negli ultimi giorni, erano che già le forze del califfato – che, attenzione, sono forze “smaliziate”, abituate alla guerra, specialmente alla guerriglia – avevano cominciato a confondersi con la popolazione, per esempio: avevano abbandonato i palazzi maggiori nel centro di Raqqa, il municipio, le loro basi più visibili... Quindi, in qualche modo, hanno fatto fronte all’eventualità di un attacco aereo massiccio.

D. – L’intervento questa volta di quattro Paesi arabi nelle operazioni contro lo Stato islamico ha un significato particolare all’interno del mondo arabo?

R. – Il significato è quello che, di fatto, preferiva Obama, il quale non voleva che fosse un’operazione prettamente americana. Il rischio è che si trasformi in una guerra che si inneschi nel contesto della grande guerra civile tra sciiti e sunniti, e cioè che le forze sunnite approfittino del potente “ombrello” americano per sfidare ancora una volta l’Iran e le forze sciite.

D. – L’intervento di ieri notte, se prolungato nei giorni, potrebbe poi portare lo Stato islamico a riprendere la guerra, con tutte le sue conseguenze, unicamente a livello terroristico?

R. – L’Is ha mille anime. Potrebbe sì subire “mutazioni genetiche”, trasformarsi. Finora, il califfato si era caratterizzato per una forza estremamente regionale. Adesso, c’è stato l’appello a colpire tutti i cittadini dei Paesi che, idealmente e fattivamente, fanno parte della coalizione guidata dagli Stati Uniti. Certamente, questo è uno dei rischi: cioè, che queste forze si trasformino – non più entità territoriale omogenea, come volevano, a cavallo tra Siria e Iraq – si disperdano, tornino in Europa e che assumano caratteristiche simili ad al-Qaeda, cioè diventino un movimento pan-islamico impegnato nella guerra anche contro l’Occidente.

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Yemen: non decolla l'accordo di pace. I ribelli conquistano Sanaa

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Sembra precipitare la situazione nello Yemen. Il presidente Abdu Rabu Mansour Hadi grida al “complotto” davanti all’avanzata dei ribelli sciiti di Ansar Allah, che hanno preso il controllo di quasi tutta la capitale Sanaa. Non si vede dunque alcun esito dell’accordo di pace firmato appena due giorni fa con la mediazione dell’Onu, che prevedeva l’immediato cessate il fuoco e, entro un mese, un nuovo governo che includesse anche i ribelli. Una situazione di fragilità che rischia di cronicizzarsi come spiega Massimo Campanini, docente di Storia dei Paesi Islamici all’Università di Trento, nell'intervista di Gabriella Ceraso: 

R. - Ci si dimentica facilmente che lo Yemen è stato uno dei Paesi coinvolti dalla cosiddetta “primavera araba”. Il coinvolgimento, però, non ha provocato una vera modificazione della realtà politica, delle istituzioni. Questo ha mantenuto in piedi le tre faglie principali che rendono complessa e variegata la realtà politica yemenita: quella tribale, quella delle divisioni religiose e quella della presenza qaedista provocano delle tendenze centrifughe, fortemente destabilizzanti.

 D. - L’accordo, però, è comunque firmato e prevede la nascita di un moderno Stato civile e federale: quindi con l’ingresso dei ribelli e dei miliziani sunniti filogovernativi nel nuovo governo…

R. - Sì. Bisogna vedere nei fatti se questo succede davvero: le forze e le tendenze armate delle varie correnti possono trovare una convergenza, ma poi bisogna che tutto ciò funzioni.

D. - Però nello Yemen si potrebbe concretizzare questa svolta per una serie di interessi, anche internazionali, che ci sono su questo Paese oppure no?

R. - Questo è augurabile. Tuttavia nella geopolitica regionale lo Yemen rimane, in qualche modo, un Paese marginale. Bisogna vedere quali sono gli interessi e le prospettive soprattutto dell’Arabia Saudita: certamente l’Arabia Saudita appoggerà l’uno o l’altro dei contendenti nella prospettiva del proprio disegno egemonico.

 D. - Dall’altra parte chi c’è? L’Iran è dietro i ribelli?

 R. - Anche se l’Iran, da un certo punto di vista, potrebbe pensare a una internazionalizzazione dello sciismo, vedo lo Yemen un po’ lontano dagli interessi strategici iraniani, anche se naturalmente l’Iran è estremamente coinvolto dalla rivalità con l’Arabia Saudita per l’egemonia regionale. Però direi che è difficile stabilire chi ci stia dietro, ma non vedo positivamente un ruolo veramente decisivo dell’Iran.

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Clima, summit all’Onu. P. Czerny: intervenire ora

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Nell’ambito della 69.ma Assemblea generale dell’Onu, si tiene a New York il summit sul clima, convocato per tentare di raggiungere, entro il 2015, un accordo sui cambiamenti climatici. Ieri, a Wall Street, circa tremila persone hanno manifestato contro il mondo della finanza, accusato di essere tra i responsabili di tali sconvolgimenti. Intanto, viene presentata oggi al segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, una dichiarazione del Vertice interreligioso sui cambiamenti climatici, svoltosi nei giorni scorsi. Il servizio di Giada Aquilino

“Il cambiamento climatico è davvero una minaccia per la vita, un dono prezioso che abbiamo ricevuto e che dobbiamo difendere”. Ne sono convinti i 30 firmatari della dichiarazione comune stilata al termine del Vertice interreligioso sui cambiamenti climatici, svoltosi domenica scorsa a New York. Tra loro il cardinale John Olorunfemi Onaiyekan, arcivescovo di Abuja, in Nigeria, il cardinale Oscar Rodríguez Maradiaga, presidente di Caritas Internationalis, e padre Michael Czerny, rappresentante del Pontificio Consiglio Giustizia e della Pace. Nel testo, si sottolinea come il cambiamento climatico si presenti oggi “come uno dei principali ostacoli allo sradicamento della povertà”. Eventi atmosferici gravi, si aggiunge, aumentano la fame, provocano insicurezza economica, costringono a spostamenti e ostacolano lo sviluppo sostenibile. È per questo che “la crisi climatica riguarda la sopravvivenza dell'umanità sul pianeta terra e l'agire immediatamente deve essere il riflesso di questi fatti”. Si sollecita quindi un impegno fattivo di tutti i Paesi dell’Onu in materia di clima, tra cui “mantenere il riscaldamento globale ben al di sotto di 2° C”, anche in vista della prossima Conferenza mondiale sul tema, a Parigi nel 2015. Stefan von Kempis ha intervistato padre Michael Czerny:

R. – Le tradizioni di fede delle diverse religioni del mondo, come parte della realtà umana, devono far fronte alla sfida del clima, dell’ambiente, del tempo e di tutti i nuovi pericoli. E, benché le varie tradizioni non siano totalmente d’accordo sull’origine o sul destino dell’essere umano e dell’universo, come parte della famiglia umana bisogna unirsi e chiedere ai leader politici di prendere buone decisioni.

D. – Qual è la novità dell’impegno interreligioso per la protezione dell'ambiente?

R. – Abbiamo già avuto una serie di incontri sul clima. Il primo è stato a Copenhagen nel 2009, dopo a Cancún, in Messico, nel 2010, poi a Durban, in Sudafrica, nel 2011. Questi incontri non ci hanno portato a decisioni definitive. Adesso, c’è una nuova unità tra le religioni del mondo che riconoscono l’urgenza di far fronte comune davanti alle sfide. Così, a New York, le varie tradizioni religiose hanno prodotto una dichiarazione unitaria per spingere la leadership politica a livello mondiale a prendere delle decisioni per avviare un migliore processo di responsabilità sul clima e sull’ambiente.

D. – Parlando del cambiamento climatico, qual è la posizione della Chiesa e della Santa Sede?

R. – La Santa Sede e la Chiesa cattolica partecipano a questo incontro interreligioso perché siamo tutti a conoscenza dell’urgenza della situazione e del bisogno di rispondere insieme come comunità umana. Questa responsabilità è parte della tradizione della Chiesa e la Dottrina sociale ci insegna che siamo responsabili, che dobbiamo prenderci cura delle cose che il Creatore ci ha affidato, che i beni della Creazione sono destinati all’uso di tutti. Bisogna essere coscienti delle generazioni future, non soltanto della nostra situazione: bisogna assicurare il futuro delle prossime generazioni e l’ambiente in cui loro vivranno, nonostante siano decisioni da prendere adesso.

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Cristiani perseguitati. ACS candidata al premio Sakharov

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La fondazione pontificia Aiuto alla Chiesa che Soffre è candidata  al premio Sakharov 2014 per la libertà di pensiero, istituito dal Parlamento europeo per valorizzare chi si spende a difesa dei diritti umani, inclusa la libertà religiosa. Tra le ragioni della nomination, il contributo straordinario offerto a sostegno dei cristiani perseguitati in Iraq e Siria. Al microfono di Paolo Ondarza la portavoce di Acs Marta Petrosillo spiega come è stata accolta la notizia: 

R. – La nostra è una Fondazione che si occupa di sostenere la pastorale della Chiesa, quindi gli aiuti umanitari non sono proprio il nostro obiettivo primario. Ma di fronte al grido di sofferenza di così tanti cristiani e non solo, in Iraq e in Siria, ovviamente ci siamo molto attivati. Abbiamo donato per sostegno a rifugiati e sfollati interni in Siria, dall’inizio della crisi nel 2011, oltre tre milioni e mezzo di euro e siamo presenti adesso in questa tragica ennesima e ultima crisi in Iraq. Nello scorso giugno abbiamo donato appena una settimana dopo che Isis aveva preso il controllo di Mosul i primi 100 mila euro per mille famiglie di rifugiati dell’arcidiocesi caldea di Mosul, e purtroppo a seguito del protrarsi della crisi e delle gravissime difficoltà delle popolazioni locali e anche della presa, da parte dell'Is, di 13 villaggi della Piana di Ninive, abbiamo donato un secondo contributo straordinario di 100 mila euro, lo scorso agosto. L’aiuto finanziario, ovviamente, non è l’unico aiuto che noi abbiamo dato alla Chiesa irachena, ma anche la vicinanza, sia nella preghiera – con una Giornata mondiale per la pace che abbiamo indetto il 6 agosto scorso – e anche il viaggio di una nostra delegazione internazionale ad Erbil per mostrare alla Chiesa, ai cristiani e alle popolazioni locali la nostra vicinanza e per poter organizzare nuovi aiuti. Quindi, questa candidatura al Premio Sakharov riconosce il nostro lavoro, ma ciò che è più importante per noi è porre sotto ai riflettori, all’attenzione dell’opinione pubblica, la tragedia che si sta consumando oggi, in particolar modo in Iraq.

D. – La candidatura di “Aiuto alla Chiesa che soffre” al Premio Sakharov per la libertà di pensiero, per la difesa dei diritti umani accende i riflettori sul tema della libertà religiosa: questo è un dato importante, da sottolineare…

R. – Molto importante. Denota questa sempre maggiore consapevolezza a livello europeo dell’importanza della libertà religiosa. E’ da notare che quest’anno per tale candidatura non ci siamo solo noi, ma anche il Patriarca caldeo Sako e, assieme a lui, nella stessa candidatura, post-mortem, Mahmoud al ‘Asali, un musulmano che ha dato la vita a Mosul il 20 luglio scorso per difendere i diritti dei cristiani. Noi siamo molto lieti di questo: i vertici di Acs hanno caldamente incoraggiato il Parlamento europeo a insignire di questo Premio il Patriarca Sako e, post-mortem, il professor al ‘Asali, perché loro davvero sono un simbolo non soltanto della libertà religiosa, ma anche della possibilità che anche in un momento tragico come questo, che vede un gruppo fondamentalista perseguitare i cristiani e le altre minoranze, vi siano esempi di veri musulmani disposti al dialogo interreligioso e anche a difendere le minoranze.

D. – La possibilità di un dialogo, in questo momento in cui si accendono le contrapposizioni, è qualcosa di cui voi vi fate testimoni?

R. – Certamente. Noi cerchiamo sempre di dare voce e di dare eco anche a storie positive di dialogo interreligioso e, per quanto ci è possibile, di promuoverle attraverso diversi progetti. In tanti Paesi siamo attivi nella promozione di mezzi di comunicazione che contribuiscono a favorire il dialogo interreligioso. E anche in luoghi in grave difficoltà, come l’Iraq, è importante ribadire che vi sono esempi di musulmani, come il professor al ‘Asali, e che anche la comunità musulmana sta soffrendo molto a causa di questo gruppo che è un gruppo fondamentalista. Non è un gruppo musulmano: un gruppo fondamentalista non rappresenta l’Islam…

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Cei. Card. Bagnasco: Sinodo non è solo su divorziati risposati

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Sarebbe fuorviante ridurre i lavori del Sinodo ai Sacramenti per i divorziati risposati. Nell’aprire i lavori del Consiglio episcopale permanente della Cei, il presidente, il cardinale Angelo Bagnasco, torna parlare di famiglia. Le modifiche apportate allo Statuto della Cei, per volontà del Papa, andranno in vigore alla fine dell’attuale mandato del Presidente. Alessandro Guarasci: 

Non è pensabile trascurare la famiglia o indebolirla con forme somiglianti. La  famiglia è un soggetto pubblico. Il presidente della Cei, il cardinale Bagnasco, torna su un tema nodale per la Chiesa, ancor più a due settimane dal Sinodo, e mette alcuni punti fermi: “Sarebbe gravemente fuorviante ridurre i lavori del Sinodo – come sembra essere indotto dalla pubblica opinione – alla prassi sacramentale dei divorziati risposati”. Ma non solo:

“Non sarà solo la luce della fede a illuminare la riflessione e il dialogo, ma anche la ragione aperta”.

La Chiesa è preoccupata per la recessione che continua a colpire il Paese, con una disoccupazione che non accenna a calare. Serve un vero patto per uscire dalle secche:

"Chiediamo a tutti i responsabili della cosa pubblica, a coloro che hanno risorse finanziarie o capacità  imprenditoriali, di fare rete 'super partes' poiché la gente è stremata e non può attendere oltre".

Ma il porporato si sofferma anche sul martirio di tanti cristiani nei diversi teatri di guerra. “Come non pensare alla volontà di un genocidio?”. I pericoli sono tanti, si prenda il fanatismo terroristico che esercita seduzione anche “nel vecchio mondo”. Un ricordo anche per le tre suore uccise in Burundi. Attenzione, infine, al pensiero unico, al totalitarismo culturale, che ci vuole imporre di cosa si può parlare e cosa è proibito. Un atteggiamento che va combattuto con “il risveglio delle coscienze”.

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Zamagni: per creare lavoro incentivare le imprese sociali

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La riforma del lavoro è sempre al centro del dibattito politico e sociale in Italia. L’assemblea del PD convocata oggi in Senato non si chiuderà con un voto, rimandato probabilmente alla prossima settimana. A intervenire sulla questione cruciale per la crescita del Paese sono stati ieri anche il presidente Napolitano e, all’apertura del Consiglio permanente della Cei, il card. Bagnasco. Per Draghi, l’uscita dalla crisi in Europa sta perdendo impulso e sono urgenti riforme da parte dei governi. Quella sul lavoro in Italia pare impantanarsi sulla questione dell’ art. 18. Ma oggi per creare nuovi posti di lavoro occorrono maggiori o minori diritti al lavoratore? Adriana Masotti ha girato la domanda all’economista Stefano Zamagni, professore ordinario di Economia Politica all'Università di Bologna ed ex presidente dell'Agenzia per il terzo settore: 

R. - Questo è un falso problema, così come viene impostato. La questione, nell’essenza, è la seguente: l’impresa capitalistica - per definizione - è una impresa nella quale il capitale controlla il lavoro. E’ chiaro che dentro il sistema di tipo capitalistico, l’imprenditore - a livello di principio - non potrà mai accettare di essere privato di quella che è la sua cifra, cioè il potere di licenziare. Ovviamente, questo imprenditore può accettare l’indennizzo, come appunto si sta realizzando. Ora, di fronte a questo, ci sono due atteggiamenti. Da un lato i rivoluzionari, che dicono “allora abbattiamo il sistema”. Dall’altro, la via della evoluzione, quella che si sta cercando di attuare in Italia, come peraltro negli altri Paesi in questi tempi, e cioè, passo dopo passo, arrivare a una configurazione che è quella verso cui dobbiamo andare, di sostanziale parità tra capitale e lavoro. Fra l’altro, questa è sempre stata la linea della Dottrina sociale della Chiesa. E’ chiaro che la tutela va garantita, però bisogna sempre dire quando tu puoi garantire le tutele subito, oppure gradualmente, come vogliono coloro che si chiamano riformisti e che favoriscono una trasformazione endogena del sistema.

D. - Riguardo proprio all’art. 18, questo è un diritto già acquisito: si tratta di tornare indietro o di evolversi verso altre forme di tutela?

R. - Se il principio sotteso all’art. 18 fosse così essenziale, come si spiega che in Italia l’80% dei lavoratori - che sono quelli che lavorano nelle imprese al di sotto dei 15 dipendenti - non ce l’hanno? Se una cosa è un valore, deve essere per tutti. E allora?

D. - E, infatti, una parte del Pd vorrebbe allargarlo a tutti, non toglierlo a quei pochi che ce l’hanno…

R. - Esatto. Torna in ballo il discorso di prima: lo so anche io che l’obiettivo deve essere la cooperazione tra capitale e lavoro, però questo obiettivo se lo impongo oggi vuol dire aggravare la situazione. Perché? Perché è chiaro che coloro i quali stanno da quell’altra parte, non faranno altro che boicottare, soprattutto il capitale straniero boicotterà l’Italia e quindi alla fine aggraveremo la situazione. Questo è il discorso: che dal piano dei principi passa a quello della realtà concreta.

D. - Quindi, lei è un riformista…

R. - Io sono per trasformare, perché se noi adesso facessimo partire un vasto e robusto settore di imprese sociali, questa storia dell’art. 18 non si sarebbe sollevata. Quello che importa non è l’art. 18, è dare il lavoro a tutti.

D. - La nostra Costituzione dice che siamo una Repubblica fondata sul lavoro e questo è bellissimo. Purtroppo, pare che oggi non sia più così…

R. - Molto opportunamente i padri costituenti misero in capo alla nostra Costituzione la famosa frase “L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro”. Venendo all’oggi, il problema è che le trasformazioni strutturali dell’economia dovute alla terza Rivoluzione industriale - la rivoluzione cioè delle nuove tecnologie infotelematiche e quel fenomeno di portata epocale che si chiama “globalizzazione” - mentre nel passato per produrre di più merci di ogni tipo occorreva creare posti di lavoro, oggi non è più così. Allora, di fronte a questo, siccome il principio base è che una società umana deve tendenzialmente essere una società della piena occupazione, bisogna creare quelle strutture lavorative diverse da quelle oggi dominanti, che sono le cosiddette “imprese sociali”, che producono beni e servizi ad alta intensità di lavoro nell’ambito sanitario, in ambito assistenziale, in ambito educativo, in ambito culturale e sportivo, dei beni naturali e culturali… Noi dobbiamo riproporzionare e invece ci intestardiamo maledettamente nel cercare di trovare un lavoro a tutti dentro i settori trainanti dell’economia di oggi. Ma questo è impossibile.

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Festa di San Pio. P. Campanella: sua figura vive nel cuore dei fedeli

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Oggi la Chiesa festeggia Padre Pio, un Santo che è nei cuori di milioni di fedeli. Nel giorno dell’anniversario della sua morte, devoti da ogni parte del mondo si riuniscono per pregare nel nome del frate di Pietrelcina. Maria Gabriella Lanza ha intervistato padre Stefano Campanella, portavoce dei frati Cappuccini: 

R. – Oggi ricordiamo il passaggio di Padre Pio da questa Terra al Cielo, che è stato il momento che lui ha desiderato in tutta la sua vita. Fin da giovane, infatti, nelle sue lettere alle figlie spirituali troviamo richieste di preghiera, affinché il Signore potesse accoglierlo con sé, soprattutto perché non vedeva l’ora di ricongiungersi a Colui, che chiamava il “suo celeste sposo”. D’altro canto, però, si rendeva conto della necessità di rimanere su questa terra, per svolgere la missione che il Signore gli aveva affidato. E’ sempre stato combattuto, quindi, fra queste due propensioni.

D. – Qual è il segno più importante che ha lasciato San Pio e cosa rappresenta ancora oggi?

R. – Sicuramente, il segno dell’assoluzione nel Sacramento della Riconciliazione. E questo è caratterizzante ancora oggi, perché i suoi confratelli qui non fanno altro che continuare questa opera di riconciliazione fra gli uomini e Dio.

D. – Padre Pio raccomandava sempre a tutti di pregare e sono tanti i gruppi di preghiera in Italia, e non solo, che si riuniscono nel suo nome...

R. – Questa è un’altra delle realtà, che rendono ancora viva la figura di Padre Pio. Lui continua a vivere attraverso i gruppi di preghiera, non soltanto nel seguire i suoi insegnamenti, ma essenzialmente nel seguire il suo esempio, perché Padre Pio pregava in continuazione. Ogni momento libero dalle confessioni, dalle celebrazioni eucaristiche, era per lui momento buono per pregare.

D. – Padre Pio diceva che la sofferenza è il segno certo che Dio ci ama e mai messaggio è stato più attuale...

R. – Padre Pio non soltanto lo diceva, ma viveva questa sofferenza! Voglio precisare che le stigmate sono state soltanto uno degli aspetti della sofferenza di Padre Pio, che ha riguardato non solo il fisico, attraverso tante malattie che gli hanno dato problemi fin dai tempi della sua adolescenza, ma ha sopportato anche sofferenze morali, persino il tradimento di persone di cui si fidava. Insomma, ha riprodotto nella sua vita tutte le sofferenze fisiche e morali, che hanno caratterizzato la vita del Cristo. Lo ha fatto perché il Signore ha voluto accontentarlo in una richiesta che lui espresse con l’ordinazione sacerdotale. Nell’immaginetta ricordo, infatti, Padre Pio scrisse: “Con te voglio essere sacerdote santo e vittima perfetta”.

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Nella Chiesa e nel mondo



Delegazione palestinese ai negoziati su tregua a Gaza

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La delegazione palestinese dopo alcune ore di consultazioni ha deciso di riprendere i negoziati indiretti in corso al Cairo per la tregua a Gaza. Negoziati che si erano momentaneamente interrotti alla notizia dell'uccisione da parte dell'esercito israeliano dei due sospettati del rapimento e dell'uccisione dei tre giovani ebrei lo scorso giugno nei pressi di Hebron. 

Ed è forte la tensione nella citta' cisgiordana di Hebron. I militari israeliani dichiarano: "Abbiamo risposto al fuoco, eravamo determinati a portarli davanti alla giustizia".  Da parte sua, il premier israeliano Netanyahu e' tornato ad accusare Hamas della responsabilita' del rapimento di tre ragazzi ebrei in Cisgiordania, dichiarando che "la mano della giustizia di Israele ha infine raggiunto'' i presunti killer.  (F.S.)

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Libia: fiducia del parlamento al governo di crisi

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Alla terza votazione in pochi giorni, alla fine il parlamento ha approvato la composizione dell’esecutivo di crisi sotto la guida del primo ministro Abdullah al Thinni. Lo ha annunciato il portavoce della Camera dei rappresentanti – con sede a Tobruk per motivi di sicurezza – Bohachim Faraj, precisando che la nuova squadra di governo ha ottenuto la fiducia con 110 voti a favore su 112 deputati che hanno partecipato alla seduta.

Del Gabinetto di crisi - riferisce l'agenzia Misna - fanno parte 13 esponenti, di cui tre vice primi ministri e dieci ministri. Tuttavia non è stata ancora assegnata la carica di ministro della Difesa. Nel nuovo esecutivo non è previsto un dicastero del Petrolio, settore cruciale per l’economia libica la cui gestione, secondo alcuni deputati, sarà affidata direttamente alla società statale National Oil Corp.

Nel frattempo a Tripoli è operativo un governo parallelo sotto la guida di Omar al Hassi, approvato dal Congresso generale nazionale (Cgn, parlamento uscente), considerato “illegittimo” dalle istituzioni elette lo scorso 25 giugno e dalla comunità internazionale. In una conferenza stampa tenuta ieri a Tripoli, il ministro del Petrolio di Hassi, che avrebbe presso il controllo della sede del dicastero, ha dichiarato che “proteggerà le risorse del Paese”.

Al di là della crisi politica ed istituzionale, sul piano della sicurezza la Libia è sprofondata nel caos totale. Da settimane sono in corso scontri tra milizie rivali sia ad ovest di Tripoli che a Bengasi (est), ormai in buona parte sotto il dominio dei gruppi islamici. Da fine agosto i miliziani di Fajr Libya (Alba della Libia) – alleati con le milizie di Misurata (ovest) – hanno preso il controllo dell’aeroporto e delle istituzioni nella capitale, dopo aver avuto la meglio sulle milizie di Zintan. A Bengasi il generale dissidente Khalifa Haftar ha lanciato l’operazione ‘Dignità’, dallo scorso maggio, per contrastare i gruppi armati islamici, ma finora con risultati contrastanti.

Ieri la missione Onu in Libia ha chiesto alle parti coinvolte nel conflitto di “porre fine alle violenze” per partecipare al “dialogo nazionale”, con una prima riunione prevista per il 29 settembre. (R.P.)

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Iraq: il patriarca Sako invita sacerdoti e religiosi emigrati a rientrare

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Un richiamo perentorio a sacerdoti e religiosi usciti dall'Iraq senza aver chiesto e ottenuto il necessario consenso dei propri superiori è stato diffuso dal patriarca di Babilonia del caldei, Louis Raphael I. Nel pronunciamento, il primate della Chiesa caldea augura a tutti di riscoprire “la gioia assoluta del servizio del Vangelo” e ricorda che, per la loro condizione, i sacerdoti e i monaci non possono decidere “dove servire, come servire e chi servire”, operando scelte in chiave individualistica, senza dare conto a nessuno delle proprie decisioni.

“Dobbiamo vivere e morire nel luogo dove Dio ci chiama” ripete il patriarca caldeo nel suo messaggio ripreso dall'agenzia Fides. Inoltre – aggiunge - sacerdoti e religiosi non devono avere come aspirazione la ricerca di condizioni di vita confortevoli, ma servire i fratelli seguendo Cristo, anche accettando di portare la croce, quando ciò viene richiesto dalla circostanze. Per questo nessuno può abbandonare la propria diocesi o la propria comunità religiosa senza l'approvazione formale del vescovo o del proprio superiore, secondo quanto è stato ribadito anche in occasione del Sinodo dei vescovi caldei tenutosi nel giugno 2013. Già in quell'occasione, per mettere un freno ad un malcostume diffusosi negli ultimi anni, il Sinodo dei vescovi caldei svoltosi a Baghdad aveva stabilito che nessun sacerdote può spostare la sua residenza da una diocesi all'altra senza il consenso di ambedue i vescovi.

Adesso, dopo i tragici eventi che nel nord iracheno hanno coinvolto decine di migliaia di cristiani costretti ad abbandonare le proprie case davanti all'avanzata dei jihadisti del sedicente Stato Islamico (Is), il patriarca Louis Raphael I richiama tutti i sacerdoti e i religiosi caldei che hanno lasciato l'Iraq, trasferendosi presso le comunità della diaspora caldea sparse nel mondo, a rientrare nel proprio Paese e a mettersi al servizio di chi si trova maggiormente nel bisogno. Il patriarca avverte infine che saranno presi provvedimenti disciplinari per chi, entro un mese, non avrà risposto al richiamo dando conto della sua situazione ai propri superiori. (R.P.)

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Sud Sudan: appello di pace dei leader religiosi

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I leader religiosi locali sono in prima fila per calmare le tensioni nell’area di confine tra Sud Sudan ed Uganda, che si sono accese tra i residenti di Kajo-Keji (Sud Sudan) e quelli di Moyo (in Uganda). Le due comunità si sono rese protagoniste di una serie di attacchi e rappresaglie lungo il confine tra i due Stati. I sud sudanesi accusano i residenti di Moyo di aver distrutto 90 abitazioni e aver rubato 37 capi di bestiame nel corso di un raid in territorio sud sudanese. Per rappresaglia, 12 donne ugandesi sono state rapite a Moyo e portate a Kajo-Keji. Negli ultimi scontri almeno 7 persone hanno perso la vita.

Un invito alla riconciliazione tra le due comunità - riporta l'agenzia Fides - è stato rivolto da mons. Erkolano Lodu Tombe, vescovo di Yei. Mons. Lodu Tombe ha invitato i residenti a non ripagare il male con il male e ad avere fiducia nell’azione dei governi dei due Paesi per risolvere la disputa di confine. Il vescovo ha poi chiesto ai due governi di accelerare le procedure per demarcare la frontiera in modo da evitare nuove tensioni ed incidenti.

Anche il vescovo anglicano di Kajo-Keji, il rev. Anthony Poggo, ha rivolto un appello alle due comunità perché cessino subito le violenze. Due delegazioni, composte ognuna da una ventina di persone delle rispettive comunità, hanno chiesto di comune accordo ai governi ugandese e sud sudanese di verificare e demarcare al più presto il confine, un’operazione attesa da più di 50 anni. (R.P.)

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Marocco: inaugurato Istituto di dialogo interreligioso

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Promuovere la collaborazione ecumenica e il dialogo interreligioso in un contesto culturale musulmano in cui la presenza cristiana, seppur minoritaria, è ancora percepita con diffidenza. Questo lo spirito che anima i corsi di formazione per animatori pastorali dell’Istituto Ecumenico di Teologia “Al Mowafaqa” di Rabat, in Marocco, per iniziativa della Chiesa cattolica e della Chiesa evangelica nel Paese.

Fondato il 16 giugno di due anni fa, l’Istituto, è stato inaugurato ufficialmente il 20 settembre dai suoi due co-presidenti, nonché ideatori, l’arcivescovo di Rabat Vincent Landel, e il pastore evangelico Samuel Amedro, alla presenza di diverse personalità marocchine e straniere. La cerimonia è stata preceduta da un colloquio internazionale dal titolo “Pensare con l’altro la fede e le culture”, da un concerto e da una celebrazione ecumenica.

Il progetto è scaturito dal desiderio di rispondere a un’esigenza comune delle comunità cristiane in Marocco: quella di formare animatori pastorali laici preparati in grado di supplire alla carenza di sacerdoti e pastori in questo Paese musulmano. L’idea di fondo è che dalla condivisione delle rispettive tradizioni teologiche possano scaturire una migliore comprensione e arricchimento reciproci. Tra le particolarità dei corsi, iniziati nel 2013, vi è, infatti, quella di essere condotti simultaneamente da due insegnanti, uno cattolico e uno protestante, provenienti dal Nord Europa, ma anche da Paesi dell’Africa sub-sahariana, da cui viene la maggior parte dei fedeli delle due Chiese in Marocco.

L’altra priorità fondamentale dell’Istituto “Al Mowafaqa” (che in arabo vuol dire “L’accordo”), è la promozione del dialogo con la comunità musulmana marocchina in un Paese dove sui cristiani continua a pesare il sospetto di fare proselitismo. I corsi di teologia, per i quali si avvale anche della collaborazione di studiosi musulmani, sono stati concepiti in questa prospettiva: “Non vogliamo una teologia importata dall’Europa, straniera, ma una adattata al contesto marocchino”, ha spiegato al quotidiano “La Croix” il direttore Bernard Coyault.

Oltre al polo universitario l’Istituto comprende anche un polo culturale destinato a promuovere l’incontro delle culture. (L.Z.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVIII no. 266

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.