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Sommario del 20/09/2014

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Francesco: la Chiesa accorci le distanze dalla gente

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“Si avverte oggi l’imperiosa necessità di una conversione missionaria”. Una conversione che riguarda ogni battezzato e ogni parrocchia, ma che i pastori “sono chiamati a vivere e a testimoniare per primi”. E’ quanto ha sottolineato Papa Francesco incontrando i vescovi partecipanti al Seminario promosso dalla Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli. Il servizio di Amedeo Lomonaco: 

Le sfide del mondo attuale “rendono ancora più ardua la missione dei vescovi”. Il servizio all’umanità – ha ricordato Papa Francesco – è il fulcro della “conversione missionaria della Chiesa”, chiamata a imitare “il Signore che ha lavato i piedi ai suoi discepoli”. “La Chiesa, in quanto comunità evangelizzatrice, è chiamata a crescere nella prossimità, ad accorciare le distanze, ad abbassarsi fino all’umiliazione se è necessario”.

“I vescovi – ha osservato il Papa - devono comportarsi ‘come coloro che servono’, avendo sempre sotto gli occhi l’esempio del Buon Pastore”. La Chiesa – ha sottolineato - ha bisogno di pastori, di servitori, “di vescovi che sappiano mettersi in ginocchio davanti agli altri per lavare loro i piedi”. “Pastori vicini alla gente, padri e fratelli miti, pazienti e misericordiosi; che amano la povertà, sia come libertà per il Signore sia come semplicità e austerità di vita”.  

Un esempio luminoso di tale servizio pastorale – ha ricordato il Pontefice – “sono i santi Martiri coreani, Andrea Kim Taegŏn, sacerdote, Paolo Chŏng Hasang e compagni”, la cui memoria liturgica si celebra oggi. “Ancorati in Cristo, Buon Pastore, non hanno esitato a versare il proprio sangue per il Vangelo, di cui erano dispensatori fedeli e testimoni eroici".

Il pensiero del Papa è poi andato ai vescovi cinesi che, per varie ragioni, non hanno potuto partecipare all’incontro odierno. “Come vorrei – si è augurato il Papa – fossero presenti all’incontro di oggi! In fondo al cuore, però, auspico che non sia lontano quel giorno”. Se a volte possono avere l’impressione di essere soli – ha aggiunto il Santo Padre – “più forte è la certezza che le loro sofferenze porteranno frutto” per il bene dei loro fedeli e di tutta la Chiesa.

Papa Francesco, ricordando il cammino sinodale sulla famiglia, ha poi chiesto ai vescovi partecipanti al Seminario di pregare per la prossima Assemblea del Sinodo. “Le famiglie – ha spiegato – sono alla base dell’opera evangelizzatrice”. Il Papa ha incoraggiato infine i presuli “a promuovere la pastorale familiare, affinché le famiglie, accompagnate e formate, possano dare sempre meglio il loro apporto alla vita della Chiesa e della società”.

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Il Papa: una pastorale senza preghiera non raggiunge il cuore

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"Una pastorale senza preghiera e contemplazione non potrà mai raggiungere il cuore delle persone". Lo ha affermato Papa Francesco incontrando in Aula Paolo VI, in  Vaticano, i partecipanti all’incontro internazionale organizzato dal Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione sul tema “Il progetto pastorale di Evangelii Gaudium”. “Questo è il tempo favorevole – ha detto Francesco – per essere vicini a quanti vivono nella sofferenza". Il servizio di Paolo Ondarza

Sono le persone, nelle tante periferie esistenziali dei nostri giorni, stanche e sfinite “come pecore senza pastore” simili alle folle di fronte a cui Gesù sentì compassione, quelle che il Papa indica ai responsabili della pastorale. Attendono la Chiesa: a noi spetta chiederci come raggiungerle e rispondere in modo saggio e generoso alle loro attese. "Il Papa – dice ancora Francesco – non ha il compito di offrire un’analisi dettagliata e completa sulla realtà contemporanea, ma invita tutta la Chiesa a farsi "ospedale da campo" e cogliere i segni dei tempi che il Signore ci offre senza sosta per riconoscere la sua presenza nel mondo di oggi". “In mezzo a tante realtà negative, che come sempre fanno più rumore, noi vediamo anche tanti segni che infondono speranza e coraggio”:

“Questo è il 'tempo favorevole', è il momento dell’impegno concreto, è il contesto dentro il quale siamo chiamati a lavorare per far crescere il Regno di Dio”.

Quante le persone in sofferenza che chiedono alla Chiesa di essere segno di vicinanza, misericordia, bontà di Dio? Francesco esorta a non spaventarsi o ripiegarsi su se stessi per paura e difesa. E’” la tentazione del clericalismo e della sufficienza”:

“Quel codificare la fede in regole e istruzioni, come facevano gli scribi, i farisei e i dottori della legge del tempo di Gesù. Avremo tutto chiaro, tutto ordinato, ma il popolo credente e in ricerca continuerà ad avere fame e sete di Dio”.

Il Papa chiede di uscire instancabilmente ad incontrare quanti cercano il Signore. Come quel padrone della vigna che – racconta Gesù” – uscì in diverse ore del giorno per chiamare lavoratori nella sua vigna. Francesco mette in guardia dal fare della pastorale “una convulsa serie di iniziative, perdendo l’essenziale dell’impegno dell’evangelizzazione, ovvero “l’attenzione “alle persone e al loro incontro con Dio”. Priorità quindi alla preghiera:

“Una pastorale senza preghiera e contemplazione non potrà mai raggiungere il cuore delle persone. Si fermerà alla superficie senza consentire che il seme della Parola di Dio possa attecchire, germogliare, crescere e portare frutto”.

Infine, due parole importanti: pazienza e perseveranza:

“Non abbiamo la 'bacchetta magica' per tutto, ma possediamo la fiducia nel Signore che ci accompagna e non ci abbandona mai”.

 “Seminiamo e diamo testimonianza”, conclude Francesco:

“Le parole senza testimonianza non vanno, non servono. La testimonianza è quella che porta e dà validità alla parola. Grazie del vostro impegno! Vi benedico e, per favore, non dimenticatevi di pregare per me, perché io devo parlare tanto [ride]: anche io dia un po’ di testimonianza cristiana. Grazie”.

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Papa crea Commissione riforma del processo matrimoniale canonico

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Una Commissione speciale di studio per la riforma del processo matrimoniale canonico, con l'obiettivo di "semplificarne la procedura, rendendola più snella e salvaguardando il principio di indissolubilità del matrimonio". A istituirla oggi è stato Papa Francesco, che ha chiamato a presiederla - informa una nota della Sala Stampa vaticana - mons. Pio Vito Pinto, decano del Tribunale della Rota Romana.

Il nuovo organismo avrà tra i suoi componenti il cardinale Francesco Coccopalmerio, presidente del Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi, mons. Luis Francisco Ladaria Ferrer, S.I., segretario della Congregazione per la Dottrina della Fede, mons. Dimitrios Salachas, esarca apostolico per i cattolici greci di rito bizantino. Ne faranno parte anche i monsignori Maurice Monier, Leo Xavier MichaelArokiaraj e Alejandro W. Bunge, prelati uditori del Tribunale della Rota Romana, nonché padre Nikolaus Schöch, O.F.M., promotore di Giustizia Sostituto del Supremo Tribunale dellaSegnatura Apostolica, padre Konštanc Miroslav Adam, O.P., rettore magnifico della Pontificia Università San Tommaso d’Aquino (Angelicum), padre Jorge Horta Espinoza, O.F.M., decano della Facoltà di Diritto Canonico della Pontificia Università Antoniamum, e il prof. Paolo Moneta, già docente di Diritto Canonico presso l’Università di Pisa.

"I lavori della Commissione speciale - conclude la nota - inizieranno quanto prima e avranno come scopo di preparare una proposta di riforma del processo matrimoniale, cercando di semplificarne la procedura, rendendola più snella e salvaguardando il principio di indissolubilità del matrimonio".

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Mons. Rudelli nuovo osservatore S. Sede al Consiglio d'Europa

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La Santa Sede ha un nuovo osservatore permanente  presso il Consiglio d'Europa a Strasburgo. Papa Francesco ha designato per questo incarico mons. Paolo Rudelli, 44 anni, consigliere di Nunziatura, il quale assume il ruolo ricoperto fino allo scorso anno da mons. Aldo Giordano, attuale nunzio apostolico in Venezuela.Mons. Rudelli, laureato in Teologia Morale, è entrato nel Servizio diplomatico della Santa Sede il primo luglio 2001, ha prestato la propria opera nelle Rappresentanze pontificie in Ecuador e in Polonia e presso la Sezione per gli Affari Generali della Segreteria di Stato. Parla spagnolo, inglese, francese, tedesco, polacco.

Nello stesso giorno dell’ufficializzazione della nomina, Papa Francesco ha ricevuto il segretario generale del Consiglio d’Europa, Thorbjørn Jagland, in un secondo momento ha salutato il suo vicesegretario, Gabriella Battaini Dragoni. Del significativo incontro con il Papa e delle sfide attuali che il Consiglio d’Europa affronta, Fausta Speranza ha parlato con l’italiana Gabriella Battaini Dragoni: 

R. – Sì, un’emozione fortissima e allo stesso tempo, dolcissima. Queste sono le due parole con le quali caratterizzerei questo incontro. Noi sentiamo che il problema della migrazione, del traffico illecito di persone nel Mediterraneo, tutti questi che sono temi del sociale, permettono di riscoprire ogni volta quanto siano comuni i valori che il Vaticano, da una parte, e noi, come Consiglio d’Europa, dall’altra, promuoviamo sulle grandi tematiche intorno alla dignità dell’uomo.

D. – Tante le sfide globali di cui parla spesso e con parole molto forti Papa Francesco. Tante le sfide che il Consiglio d’Europa cerca di affrontare. Tra queste, c’è quella della violenza contro le donne. Su questo, il Consiglio d’Europa sta portando avanti una battaglia molto precisa, molto concreta...

R. – Sì. Proprio ieri abbiamo potuto festeggiare l’entrata in vigore di questa importantissima Convenzione, che si chiama anche “Convenzione di Istanbul” perché era stata lanciata a Istanbul. E’ entrata in vigore il primo agosto. Aremmo dovuto avere almeno 10 Paesi aderenti, ne abbiamo avuti subito 12 e abbiamo anche, nel frattempo, ottenuto 22 firme ulteriori e questo ci fa pensare che molto rapidamente questa Convenzione si potrà avvalere della presenza di molti dei nostri Stati membri.

 D. – Non soltanto l’obiettivo è quello degli Stati membri, quindi all’interno dell’Europa, ma anche lanciare un segnale forte al mondo…

R. – Certamente. Siamo molto soddisfatti della presenza, proprio ieri, alla Camera dei deputati, di numerosi rappresentanti di Paesi di vicinato: rappresentanti dal Marocco, dalla Tunisia, dall’Algeria, dalla Libia, dall’Autorità palestinese, dalla Giordania… Questi sono alcuni dei Paesi che mi vengono in mente immediatamente. Perché questa è una Convenzione che è stata fatta effettivamente da noi, come europei, ma che non è solo per le donne europee: è soprattutto per tutti coloro che, qui in Europa e altrove, vogliono poter lottare contro questa minaccia costante che, purtroppo, ancora esiste e che fa sì che non ci sia eguaglianza tra donne e uomini, per quanto se ne parli a destra e a sinistra. Infatti, potersi permettere di aggredire, di usare violenza nei confronti delle donne – che sia violenza fisica, o emotiva o psicologica – è ovviamente indicazione chiara che non c’è né riconoscimento di tutti i diritti ai quali possano aderire tutte le donne, né uguaglianza. Questa Convenzione è l’unica al mondo che copre in modo globale tutti i tipi di violenza che possano essere esercitati sulle donne e ha avuto il riconoscimento delle Nazioni Unite di essere il “Gold Standard” in materia di protezione delle donne.  

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Francesco incontra i presidenti di Lettonia e Argentina

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La soluzione alla crisi in Ucraina sia “politica, fondata sul diritto” e “mediante il dialogo”. È l’auspicio che è scaturito dal cordiale incontro avvenuto stamattina nel Palazzo Apostolico fra Papa Francesco e il presidente della Lettonia, Andris Bērziņš.

Nel corso dei colloqui, riferisce un comunicato ufficiale, “sono state evocate le buone relazioni esistenti fra la Lettonia e la Santa Sede, nonché il positivo apporto della Chiesa cattolica alla società, specialmente in ambito educativo e sociale”. Inoltre, sono stati affrontati “alcuni aspetti della vita del Paese”, assieme a “tematiche internazionali di mutuo interesse, in particolare nel contesto del turno di Presidenza del Consiglio dell’Unione Europea, che la Lettonia assumerà dal 1° gennaio 2015”.

“Speciale attenzione –precisa la nota – è stata riservata alla situazione in Ucraina, auspicando che sia privilegiata la ricerca di una soluzione politica, fondata sul diritto, mediante il dialogo”.

Dopo l’incontro con il Papa, il presidente lettone si è intrattenuto a colloquio con il cardinale segretario di Stato, Pietro Parolin, e l’arcivescovo Dominique Mamberti, segretario per i Rapporti con gli Stati.

Alla fine della mattinata, verso le 12.30, Papa Francesco ha ricevuto in udienza la presidente dell’Argentina, Cristina Fernandez de Kirchner, con la quale si è intrattenuto per un colloquio privato nella sala di casa S. Marta per una quindicina di minuti. Subito dopo, il Papa si ha incontrato a lungo la delegazione ufficiale per un momento di saluto e di scambio di doni. L’incontro è poi proseguito con il pranzo a S. Marta.

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Albania, il nunzio: Francesco viene a onorare il coraggio dei martiri

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È vigilia per il quarto viaggio apostolico di Papa Francesco, in procinto di volare in Albania. Tanti i temi al centro di questo atteso evento. Primo fra tutti, dopo gli anni bui del regime comunista e della guerra civile, la capacità di Tirana di aver scelto la via del dialogo e della convivenza tra etnie e religioni diverse. Esempio di sincera condivisione, l’Albania di oggi è caratterizzata dalla comune partecipazione di islamici, ortodossi e cattolici. Su questi aspetti, il nostro inviato a Tirana, Mario Galgano, ha intervistato il nunzio apostolico in Albania, mons. Ramiro Moliner Inglés

R. – Il Papa l’ha detto chiaramente: “Io vado in Albania per dimostrare che si può vivere insieme”. E io mi permetto di dire: “Si deve e si può”. Però, si può vivere rispettandosi gli uni gli altri.

D. – Dunque, può essere anche un messaggio che si può dare al mondo musulmano, in un Paese dove c’è una grande comunità musulmana …

R – Sì. Gli albanesi sono contenti di questo, perché anche loro si sentono orgogliosi di poter vivere insieme con tutti gli altri. Ci sono state due dichiarazioni molto chiare della comunità interreligiosa, formata da cattolici, ortodossi, musulmani sunniti, bektashi e poi Alleanza evangelica, di condanna totale e assoluta di questi crimini che si commettono evocando o appoggiandosi alle religioni. La religione non può essere mai una scusa o il motivo o l’incentivo per permettere questi crimini. Quindi, penso che tutti si sentano orgogliosi di questo apprezzamento, di questa nota di identità culturale che è vissuta in modo particolare qui, in Albania.

D. – L’Albania del passato è quasi l’esatto contrario, quando la religione – qualsiasi religione – era perseguitata…

R. – Il Santo Padre arriverà in questo boulevard dove, entrando, si vedono fotografie di molti dei nostri martiri, non soltanto cattolici, ma ci sono anche musulmani e ortodossi. Io penso che il Santo Padre venga qui per onorare il coraggio di questi albanesi e di tutti quelli che hanno dato la vita per non perdere la fede, che hanno saputo essere testimoni di Cristo, anche nei momenti più critici, più oscuri della vita.

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Papa in Albania. Caritas Tirana: nostro Paese guardato da Dio

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Due i temi chiave di questa visita in Albania sottolineati dal Papa stesso durante la conferenza stampa di rientro dalla Corea: il tema dei martiri e quello del dialogo interreligioso. Due temi che stanno molto a cuore a Papa Francesco, che li ha sottolineati, all’epoca in Corea, e gli ha sottolineati ancora per questo viaggio in Albania. Stefano Leszczynski ha chiesto al dottor Albert Nikolla, direttore della Caritas albanese e coordinatore del viaggio in Albania cosa significa per l’Albania questo viaggio del Papa: 

R. – Direi che questo viaggio significa “Chiesa”, cioè significa proprio “ecclesia” nel senso più profondo della parola, ovvero comunione, e la comunità cattolica si sente molto emozionata da questa visita del Santo Padre perché il padre spirituale di tutti i cattolici è presente tra noi quel giorno. Per tutti gli albanesi significa un messaggio di pace, un messaggio di coraggio, nella strada che abbiamo intrapreso verso la comunità europea e questa emozione si percepisce da ogni parte dell’Albania. Tutti attendono il Papa con le porte aperte. Il Santo Padre ha pubblicato recentemente delle interviste che ho avuto il piacere di leggere e uno dei libri pubblicati recentemente dice che “la mia porta è sempre aperta”. Ecco, gli albanesi hanno spalancato le porte per il Santo Padre.

D. – Nel 1993, San Giovanni Paolo II è stato in Albania ed ha celebrato la ritrovata libertà religiosa nel Paese. Come si può confrontare l’Albania di allora con l’Albania di oggi? 

R. – L’Albania in quel momento era veramente traumatizzata, era una società uscita da una dittatura spietata, orribile. Ma le sue parole sembrano, ancora oggi, molto attuali perché l’Albania è avanzata in questi anni di sviluppo abbastanza veloce e problematico dal punto di vista dei valori – problematico anche per il fatto che l’influsso del consumismo occidentale come forma mentis è stato abbastanza forte. Dunque, queste parole risuonano come attuali. Noi, come Chiesa in Albania, come gruppo di coordinamento, stiamo cercando di far passare un messaggio culturale importante: il dialogo interreligioso sul quale insiste il Santo Padre non è e non può rimanere una realtà a sé stante, perché è il fondamento di una convivenza civile. Sappiamo bene che il cristianesimo è l’elemento che ha fatto nascere la cultura e la civiltà europee.

D. – In questo contesto, dott. Nikolla, diventa particolarmente importante il ruolo dei laici albanesi…

R. – È assolutamente vero. I laici in Albania stanno assumendo un ruolo assolutamente importante. Ci sono tantissimi laici cattolici che stanno tornando sia dall’Italia che da altri Paesi europei in Albania e che sono accolti bene dalla Chiesa locale. Esiste una tradizione dei laici, benché i laici albanesi hanno lavorato nel loro Paese anche prima del Concilio Vaticano II e malgrado l’esistenza di una mentalità abbastanza difficile per i laici. Però basta ricordare il fatto che, tra i quaranta martiri di cui è stato avviato il processo di canonizzazione, ci sono anche laici. Questo è veramente un punto interessante nella vita della Chiesa in Albania. Dunque, il ruolo dei laici è per me veramente fondamentale, ma vorrei comunque ringraziare tutto l’episcopato albanese perché ha creato degli spazi veramente fruttuosi, di collaborazione con i laici: ha dato degli spazi ai laici affinché questi potessero dare il proprio contributo nella Chiesa.

D. – Quale può essere il ruolo dei giovani nella Chiesa d’Albania e, soprattutto, alla luce dei tanti problemi di giustizia sociale presenti nel Paese?

R. – Il ruolo dei giovani è per me fondamentale oggi e ovunque nel mondo. Per quanto attiene all’Albania, il ruolo dei giovani è fondamentale per un motivo storico e antropologico, perché i giovani di oggi sono nati nel 1990, quando è caduto il regime. Questi giovani non hanno vissuto il comunismo e sono cresciuti nella Chiesa che stava rinascendo. Così, con le loro azioni, con il loro operare, con la loro fede, essi diventano veri ed autentici evangelizzatori, mentre c’è stata una generazione, alla quale appartengo io stesso, che ha avuto e vissuto dei momenti bui nel corso della sua storia, bui anche spirituali. Questo perché siamo nati nel 1960 e abbiamo vissuto un certo comunismo, vivendo un momento di difficoltà nel nostro intimo, nel nostro essere, di fronte a questa violenza istituzionale del comunismo. Dunque, i giovani li vedo estremamente importanti per la vita della Chiesa albanese. Per quanto riguarda la giustizia sociale, credo ci sia molto da fare. L’Albania è una realtà multiculturale, multireligiosa, e fare giustizia sociale, proteggere i meno abbienti, i poveri, gli ammalati, gli orfani, le vedove, è un po’ diverso dal punto di vista culturale rispetto alla realtà italiana o europea. Questo perché noi facciamo questa protezione, questa giustizia sociale, soprattutto con le nostre azioni, aiutando.

D. – Dottor Nikolla, una riflessione e una speranza per questa visita…

R. – Chiuderei con un’analogia. Quando ho letto l’intervista di padre Antonio Spadaro della Civiltà Cattolica a Papa Francesco, mi ha colpito molto un punto. Il Papa diceva di essere un peccatore al quale Dio ha guardato. Ecco, io credo che l’Albania sia un Paese di peccatori al quale il Papa ha guardato.

 

Subito dopo il suo arrivo Albania, Papa Francesco incontrerà verso le 10, nel palazzo presidenziale di Tirana, le autorità del Paese. Fra loro vi è una delle personalità più direttamente impegnate nell’organizzazione della visita pontificia, il ministro della Cultura, Mirela Kumbaro, intervistata da Jean-Baptiste Cocagne: 

R. – Noi riteniamo che la visita del Papa non sia soltanto l’evento di un giorno e non si possa ridurre soltanto a qualche ora di presenza nella capitale. Noi lo abbiamo concepito sin dall’inizio come un grande evento, importante per tutta la nazione, per tutti gli albanesi che vivono non soltanto in Albania, ma anche negli altri Paesi della regione – Kosovo, Macedonia, Montenegro – e per tutte le popolazioni dei Balcani. Abbiamo anche considerato che questo è un evento che deve durare, che deve lasciare tracce e ha già cominciato a farlo con tutti i cantieri che il governo ha già organizzato per la preparazione di questa visita, partendo dalla preparazione della Piazza Madre Teresa – anche lei di origine albanese – dove avrà luogo la Messa. Quindi, anche una riabilitazione importante di parte della capitale e del patrimonio culturale. Ci stiamo prepariamo poi per ricevere i giornalisti, sia albanesi che stranieri, che saranno presenti per seguire la visita del Papa in Albania: noi vogliamo approfittare di questa occasione per mostrare a tutto il mondo che l’Albania non è “un giorno”, è un Paese che vive, anche con i due messaggi che il Papa ci ha consegnato. Questa visita rappresenta anche un evento culturale molto importante, non nel senso stretto del termine, ovvero della cultura artistica, ma cultura intesa come civilizzazione. Dunque, abbiamo preparato una serie di eventi culturali che si svolgeranno non solo a Tirana e non soltanto nel giorno della visita del Papa e che sono in realtà già cominciati in diverse città, così che tutti gli albanesi si sentano coinvolti in questa atmosfera incandescente, che è già percepibile e che certamente continuerà anche dopo della visita del Papa. Non dimentichiamo poi un fatto: penso che questa visita sia un po’ particolare e diversa dalle altre visite del Papa. Per noi è stato un qualcosa di improvviso, un colpo forte, quasi un fulmine a ciel sereno. E’ stata decisa, penso, in un momento di forte emozione del Papa, durante l’incontro con il primo ministro Edi Rama, che lo ha invitato personalmente. Dunque, una risposta di cuore… Per noi questo è molto importante e vogliamo cercare di dare tutta la dimensione che questa forte emozione merita e che deve essere messa in evidenza.

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Giovanni Paolo II in Albania, quando la fede sconfisse l’ateismo

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Il viaggio che Papa Francesco si appresta a compiere in Albania avviene 21 anni dopo la memorabile visita di San Giovanni Paolo II in terra albanese, il 25 aprile 1993. In tale occasione, Papa Wojtyla ricostituì letteralmente la Chiesa del Paese, dopo gli anni terribili della persecuzione anticristiana da parte del regime ateo-comunista. Nella Cattedrale di Scutari, che i comunisti avevano trasformato in un palazzetto del sport, il Papa consacrò quattro vescovi albanesi. Quindi, prima di tornare a Roma, si rivolse alla nazione albanese nella piazza Scanderbeg di Tirana. Riascoltiamo alcuni passaggi di questo storico discorso nel servizio di Alessandro Gisotti: 

Il sole è ormai tramontato su Tirana quando Giovanni Paolo II inizia a parlare. Ma le persone che affollano Piazza Scanderbeg sanno che c’è una luce più grande che li illumina. E che non si può spegnere. E’ la luce della fede in Cristo, che ha resistito nei cuori degli albanesi ai lunghi e freddi giorni bui dell’inverno comunista. Karol Wojtyla, il Papa venuto dalla Polonia che sa bene quale sofferenze abbiano dovuto patire i cristiani albanesi, è voluto essere in Albania per condividere “la gioia per la ritrovata libertà” e ad onorare la “fede indistruttibile del popolo albanese”.

Il futuro Santo ha negli occhi la commozione dei nuovi vescovi ordinati la mattina a Scutari e le lacrime dei fedeli che hanno assistito commossi ad una meraviglia che solo un anno prima sembrava utopia: la visita di un Papa in un Paese che aveva inscritto l’ateismo come fondamento della sua Costituzione. Del resto, è lo stesso Pontefice ad affermare che l’Albania “è sprofondata in un abisso dal quale è un vero miracolo che sia potuta uscire”. Per il Papa, quanto è successo in questo remoto angolo dell’Europa, d’altro canto, ha un significato che va ben oltre i confini della piccola Albania. E’ un monito per tutta l’umanità e per i cittadini europei in particolare:

“Si è trattato di una dura lotta contro la religione, in linea con un intoccabile dogma del programma sociale e politico propugnato dall’ideologia comunista. Sembrava quasi che il mezzo più necessario per realizzare l’auspicato e sbandierato 'paradiso sulla terra' fosse quello di privare l’uomo della forza che egli attinge da Cristo, forza decisamente condannata come debolezza indegna della persona. In realtà, più che indegna, era piuttosto scomoda, come i fatti hanno poi dimostrato: l’individuo umano, infatti, forte dell’energia che gli proviene dalla fede, non permette facilmente di essere spinto nell’anonimato collettivo”.

Giovanni Paolo II ribadisce, come ha già fatto e farà ancora tante volte, che la libertà religiosa “è un dono per tutti, perché è garanzia basilare d’ogni altra espressione di libertà”. Essa, sottolinea, “tocca l’uomo nell’intimo, in quel sacrario inviolabile che è la coscienza, dove l’essere umano si incontra col Creatore ed acquista piena consapevolezza della propria dignità”:

“Da tale libertà, quando essa è correttamente usata, non v’è da temere alcun disordine sociale. La fede sincera, infatti, non divide gli uomini, ma li unisce, pur nelle loro differenziazioni. Niente come la fede ci ricorda che, se abbiamo un unico Creatore, siamo anche tutti fratelli! La libertà religiosa è così un baluardo contro i totalitarismi e un contributo decisivo all’umana fraternità. La vera libertà religiosa rifugge dalle tentazioni dell’intolleranza e del settarismo, e promuove atteggiamenti di rispettoso e costruttivo dialogo”.

Libertà religiosa e dialogo. Karol Wojtyla mette l’accento sulla convivenza possibile che si sperimenta in Albania tra le diverse comunità religiose e che è un esempio per la tormentata regione dei Balcani. Chiede agli albanesi di perseverare in questo atteggiamento, anche se il dialogo “comporta fatica”. Il Papa incoraggia, inoltre, la giovane democrazia albanese e ricorda, con la Centesimus Annus, che “una democrazia senza valori si converte facilmente in un totalitarismo aperto oppure subdolo, come la storia dimostra”. Giovanni Paolo II tuttavia non individua solo un pericolo, indica anche un antidoto: “un vero umanesimo – afferma – che ponga la persona umana, vista alla luce di Dio e colta in tutte le sue dimensioni, al centro di ogni progetto economico, sociale e politico”:

“L’uomo e Dio non stanno in alternativa, non sono concorrenti. Al contrario, l’uomo ha una dignità altissima, proprio in quanto creatura fatta a immagine di Dio. Il riconoscere alla persona umana questo valore e questa centralità farà sì che nell’economia sia trovato il giusto equilibrio tra le ragioni dell’efficienza e quelle preminenti della solidarietà, e renderà l’impegno politico una ricerca responsabile del bene comune, da perseguire sempre nel rispetto di tutte le esigenze etiche e morali”.

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Altre udienze e nomine di Papa Francesco

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Papa Francesco ha ricevuto questa mattina in udienza il cardinale Marc Ouellet, prefetto della Congregazione per i Vescovi.

Il Pontefice ha nominato il cardinale Oswald Gracias, arcivescovo di Bombay, suo inviato speciale alle celebrazioni del 500.mo anniversario dell’evangelizzazione del Myanmar, in programma a Yangon dal 21 al 23 novembre prossimi.

In Italia, il Santo Padre ha nominato abate ordinario dell’Abbazia territoriale di Montevergine padre Riccardo Luca Guariglia, monaco benedettino della medesima Abbazia, finora priore claustrale e maestro dei novizi. Padre Guariglia è nato a S. Maria di Castellabate, nella diocesi di Vallo della Lucania, il 2 marzo 1967. Entrato in monastero nel 1992, ha emesso la professione solenne nel 1997. Dopo gli studi filosofico-teologici, è stato ordinato presbitero il 29 aprile 2000 da mons. Francesco Pio Tamburrino, già Abate di Montevergine. Nel 2001 ha iniziato il corso di studi in Sacra Liturgia nel Pontificio istituto liturgico di Sant’Anselmo a Roma, dove ha conseguito la licenza. Nel 2004 viene nominato economo della comunità monastica. Dal 2006 è docente di Liturgia Fondamentale presso l’Istituto teologico “Madonna delle Grazie” di Benevento. Attualmente è anche consigliere del Visitatore della Provincia italiana della Congregazione benedettina sublacense cassinese.

negli Stati Uniti, il Papa ha accettato la rinuncia al governo pastorale dell’arcidiocesi metropolitana di Chicago presentata dal cardinale Francis E. George per raggiunti limiti d’età, e ha nominato nuovo arcivescovo metropolita della città monsignor Blase J. Cupich, finora vescovo di Spokane. Nato a Omaha, in Nebraska, il 19 marzo 1949, il presule ha frequentato il “College of Saint Thomas” a Saint Paul, in Minnesota, dove ha ottenuto il Baccalaureato in filosofia nel 1971. Dal 1971 al 1975 è stato alunno del Pontificio collegio americano del nord a Roma ed ha studiato teologia presso la Pontificia Università Gregoriana. Più tardi ha ottenuto la licenza e il dottorato in Teologia Sacramentale presso l’Università Cattolica d’America a Washington, D.C. Ordinato sacerdote il 16 agosto 1975, ha svolto vari incarichi, fino alla nomina vescovile a Rapid City, in South Dakota, nel 1998. È stato nominato vescovo di Spokane, Washington, nel 2010. È stato Membro di numerosi comitati della Conferenza episcopale ed è attualmente presidente del “Subcommittee on the Church in Central and Eastern Europe”, membro del “National Collections Committee” e del “Subcommittee on the Translation of Scripture Text”. E’ anche membro del “Board of Governors” della “Catholic Extension Society” e presidente del “Board of Directors” della “National Catholic Education Association”. 

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Papa, tweet: giovani, ascoltate Cristo che bussa al vostro cuore

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Papa Francesco ha lanciato un tweet dal suo account @Pontifex: “Cari giovani, ascoltate dentro di voi: Cristo bussa alla porta del vostro cuore”.

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A Como la Beatificazione di madre Giovannina Franchi

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La Chiesa ha una nuova Beata, l’italiana Giovannina Franchi, fondatrice delle Suore Infermiere dell’Addolorata, morta a Como nel 1872. In rappresentanza del Papa, la Santa Messa con rito di Beatificazione è stata presieduta stamani nella città lombarda dal cardinale Angelo Amato, prefetto della Congregazione per le Cause dei Santi. Il servizio di Giada Aquilino

Sacrificò vita e patrimonio per i poveri fino alla morte, per un'epidemia di vaiolo forse contratta proprio da uno dei suoi assistiti. È madre Giovannina Franchi, vissuta a Como tra il 1807 e il 1872. Di nobile e agiata famiglia, dopo una educazione profondamente religiosa, venne promessa in matrimonio a un uomo molto più anziano, che però a causa di una malattia morì prima di sposarla. Mossa da una sincera fede, decise di dedicarsi alla cura dei poveri. Il cardinale Angelo Amato:

“Papa Francesco chiama madre Giovannina colei che 'per amore di Cristo Crocifisso si è dedicata con tutte le sue forze all'assistenza corporale e spirituale degli infermi e dei moribondi'. È il ritratto essenziale della nuova Beata, che fu un'autentica eroina della carità cristiana. Imitando Gesù, da ricca si fece povera, utilizzando i suoi notevoli beni economici per alleviare le sofferenze degli ammalati poveri e abbandonati”.

Acquistò quindi un edificio in un quartiere povero della città e ne fece il centro della sua opera caritativa:

“Fondò le Suore Infermiere dell'Addolorata, ancora oggi sulla breccia nel campo della carità in Italia, Svizzera e Argentina. La missione era l'accoglienza e l'assistenza dei bisognosi, in modo particolare degli infermi da visitare a domicilio”.

L’inchiesta diocesana per la Causa di beatificazione di madre Giovannina fu aperta vent’anni fa. Benedetto XVI l'ha dichiarata venerabile nel 2012. Lo scorso 9 dicembre, Papa Francesco ha approvato il miracolo che ha aperto la strada della beatificazione. Ancora il cardinale Amato:

“Madre Giovannina fa parte di quell'epopea gloriosa di suore, autentiche eroine della nostra patria. Esse abitano in mezzo a noi e sono fari di solidarietà, di fraternità e di carità. La loro presenza è una benedizione per tutti, per la Chiesa e per la società. Per questo il nostro sentimento oggi è di ringraziamento al Signore per il dono prezioso delle Suore, generosamente dedite alla sequela di Cristo e al servizio dei fratelli con la fatica e il sacrificio quotidiano. Il nostro grazie diventa preghiera affinché lo Spirito Santo continui a far sentire la sua voce, chiamando le giovani alla vita religiosa, una vita tutta concentrata su Dio e tutta spesa nella carità verso i bisognosi”.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Segno di vicinanza: il Papa ai partecipanti al convegno sull’Evangelii gaudium promosso dal dicastero per la nuova evangelizzazione.

L’esempio albanese: alla vigilia del viaggio del Papa, intervista di Gaetano Vallini all’arcivescovo di Tirane-Durres.

Per la riforma del processo matrimoniale canonico: istituita da Papa Francesco una Commissione speciale di studio.

Istituita per uscire da se stessa: il vescovo Victor Manuel Fernandez sulla Chiesa che non deve essere autoreferenziale.

Marcello Filotei sul Leone d’oro a Steve Reich.

La fraternità antidoto alla guerra: intervista di Nicola Gori al cardinale segretario di Stato sulla visita del Pontefice a Redipuglia.

Meno profitto e più solidarietà: l’arcivescovo Rodriguez Carballo sulla gestione dei beni degli istituti religiosi.

Il contributo della politica al dialogo tra le fedi: in preparazione del quinto Congresso dei leader delle religioni mondiali e tradizionali.

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Oggi in Primo Piano



Ucraina. Accordo a Minsk per il cessate il fuoco

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Nuovo accordo per un cessate il fuoco in Ucraina orientale. A Minsk è stato firmato anche un protocollo per la creazione di una zona demilitarizzata di 30 km. L'annuncio è avvenuto dopo sette ore di colloqui del cosiddetto gruppo di contatto ovvero: Osce, Mosca, Kiev e separatisti. Abbiamo firmato un memorandum", ha detto alla stampa l'emissario di Kiev, l'ex presidente Leonid Kuchma. Il documento "dovrebbe portare alla realizzazione di una zona di massima sicurezza", ha affermato il leader separatista Igor Plotnitski. Giuseppe D'Amato: 

L’accordo è stato raggiunto in piena notte dopo 7 ore di negoziati, cominciati in notevole ritardo rispetto al previsto. Viene creata una zona demilitarizzata di 30 chilometri, sono vietati i voli militari nelle zone del conflitto, vengono ritirati i cosiddetti “mercenari stranieri” da ambedue le parti. Le misure si aggiungono a quelle già decise due settimane fa, sempre a Minsk, dallo stesso Gruppo di contatto. In totale, stando a quanto affermato dall’ex presidente ucraino Kuchma, rappresentante di Kiev, sono 9 i punti concordati nel memorandum da realizzare in 24 ore. L’Osce farà da supervisore. La questione dello status dei distretti in Donbass e nella regione di Lugansk sotto controllo separatista non è stata discussa. La tregua finora regge, nonostante le continue violazioni che hanno provocato ancora decine di morti. Si hanno ennesime notizie di scontri nei pressi dell’aeroporto di Donetsk ed alla periferia di Mariupol sul mare di Azov.

 

Per un commento all'accordo tra separatisti e Kiev, Massimiliano Menichetti ha intervistato Raffaele Marchetti, docente di relazioni Internazionali all'università Luiss: 

R. – Certamente è un passo avanti e va considerato in senso del tutto positivo. Creare una zona cuscinetto, proibire il volo dei caccia dell’aeronautica ucraina nei territori dell’Est e allontanare le truppe mercenarie dal conflitto sono tre misure, io direi, cruciali per proseguire in un cammino di stabilizzazione e pacificazione della regione.

D. – Il cessate-il-fuoco precedente era entrato in vigore il 5 settembre e molteplici sono state le violazioni...

R. – Quello che cambia è che nel frattempo c’è stata la ratifica del Trattato di associazione con l’Unione Europea da parte del governo di Kiev, e contemporaneamente una serie di misure passate dal Parlamento ucraino di riconoscimento di una grande autonomia per le zone orientali, oltre alla scarcerazione di una serie di prigionieri e l’indizione di elezioni amministrative per il prossimo dicembre. Questi sono passaggi importanti, perché da un lato mettono un paletto verso l’Europa, dall’altro il governo di Kiev ha fatto importanti concessioni, dando spazio e autonomia e questo accordo di Minsk continua in questa direzione.

D. – Da quell’accordo con l’Ue è rimasta fuori la parte economica, che è stata posticipata al 2015. Venerdì prossimo, il 26 settembre, ci sarà un nuovo incontro trilaterale sul gas, tra Unione Europea, Russia e Ucraina. Ricordiamo che al centro ci sarà la questione delle trattative tra le forniture a Kiev e i pagamenti arretrati dell’Ucraina nei confronti di Mosca. Un nodo che ha creato non poche tensioni tra i due Paesi e nei confronti dell’Europa...

R. – Certamente, la questione economica e delle risorse naturali è molto importante. L’accordo che è stato raggiunto però ha visto la partecipazione della Russia e questo è un fatto importante in sé. L’idea poi di posticipare la liberalizzazione degli scambi, ossia delle merci, che entrano in territorio ucraino fino al dicembre 2015, quindi con entrata in vigore dal primo gennaio 2016, è un gesto che vuole lasciare spazio per trovare un accomodamento con il sistema di libere tariffe, in vigore, oggi, tra Ucraina e Russia. Tutti i passaggi di questi ultimi giorni vanno nella direzione giusta. E per aumentare ancora di più questa tendenza positiva verso una pacificazione, bisognerebbe pensare a un cammino di incentivi positivi anche per la Russia.

D. – Sarebbe una grande retromarcia, perché in piedi in questo momento ci sono diverse tranche di sanzioni che dall’Europa gravano su Mosca...

R. – Certo, ma appunto questo è un cammino che va fatto: non soltanto togliendo le sanzioni, ma magari offrendo delle condizioni economiche vantaggiose e rilanciare un tentativo di consolidamento della partnership politica. Questo è un cammino positivo che è stato, tra l’altro, anche suggerito da un incontro che si è tenuto da alcuni uomini d’affari sotto l’egida del World Economic Forum, a Davos, la settimana scorsa. Pensare un cammino con incentivi positivi è di fatto la sfida più grande oggi che riguarda non solo l’Ucraina, ma anche il futuro delle relazioni tra Unione Europea e Russia.

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Ebola in Sierra Leone. Padre Boa: tra povertà e paura diamo speranza

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Cresce la paura per l’epidemia di ebola in Sierra Leone. Proclamato un coprifuoco dal 19 al 21 settembre per tentare di arginare l’impetuosa diffusione del virus. Mancano farmaci e personale medico. Sulla difficile situazione sanitaria e sociale Antonio Elia Migliozzi ha raggiunto telefonicamente in Sierra Leone padre Maurizio Boa missionario giuseppino nel martoriato Paese africano.  

R. - L’impressione è la paura. Ed è una paura grande; si sta in casa, se si esce si cerca di non toccare nessuno. Si calcola che normalmente ogni giorno si registrano dai 20 ai 30 casi nuovi. Tuttora si dice che le persone infette siano state 1500 di cui 500 morte. Queste sono cifre approssimative, non riusciamo a sapere il numero dei morti, questa è la notizia che viene fuori. In questi tre giorni di silenzio - venerdì, sabato e domenica in cui si è obbligati a stare in casa a riflettere - dei “team” ebola stanno passando casa per casa per controllare la situazione, a rassicurare la gente che è sì una malattia grave, ma che ci si può curare se viene presa in tempo. Abbiamo vissuto 10 anni con la paura della guerra; ora stiamo vivendo questo periodo con questa paura. La città di Freetown è affollata di gente che cerca rifugio ma che non sa dove trovarlo. Oggi purtroppo la situazione è questa: la gente vede il nemico nel fratello, nel vicino, in chi ti ama; nessuno ti tocca, non accarezzi neanche i bambini e il nemico - l’ebola - avanza invisibile, letale, reale e si vede; si vede e si sente soprattutto nell’urlo delle sirene che vanno e vengono in continuazione.

D. - Come state aiutando la popolazione in questo difficile contesto?

R. - Noi non stiamo aiutando la popolazione dal punto di vista medico, se non dal pulpito delle chiese dicendo loro quelli che sono i modi di evitare il contagio. Poi confortiamo la gente, diamo un po’ di speranza. Vedo che qui pregano volentieri, ci si mette insieme a pregare: altro non si può fare. Ci sono i Centri appositi per ebola. La sanità è al collasso e non è la prima. Quella della Sierra Leone è stata una sanità significativa: tutto è a pagamento quindi gli ospedali, i Centri medici non sono visti con grande gioia. Adesso sono chiusi. Moltissimi ospedali, quelli non governativi, sono chiusi: ordine del governo. Restano aperti gli ospedali governativi e la gente non sa dove andare a curarsi quando sta male e ha anche paura di andare nei Centri aperti perché sono luoghi dove appena vedono u po’ di sangue, febbre o altro, pensano subito ad ebola, non a malaria, tifo o a sintomi di gravidanza.

D. - Quali ripercussioni sta avendo questa epidemia di ebola sulla vita sociale ed economica della Sierra Leone?

R. - L’economia è al collasso. Noi lo avvertiamo dall’aumento incontrollato dei prezzi; ogni giorno c’è un prezzo diverso. Chiunque fa il prezzo che vuole. Già prima non c’era lavoro, adesso per le strade i ragazzi che vendono acqua fresca, quattro banane, un pacchetto di caramelle o altro, sono aumentati a dismisura. Attorno ad ogni macchina si vedono una decina di ragazzini con qualcosa in mano da vendere. Non c’è più il modo per mangiare il cibo quotidiano. Diventa difficile anche questo. Più che pensare alla malattia ebola direttamente, noi come missione pensiamo alla povertà della gente, a quelli che non hanno nulla da mangiare, a coloro che hanno bisogni immediati. Queste situazioni a cui nessuno pensa perché adesso la cosa importante è ebola. Le Caritas diocesana di Freetown e di Makeni sono in prima linea proprio nella sensibilizzazione contro l’ebola e anche nell’aiuto con i loro ospedali, con i loro Centri, nell’aiuto sanitario. Penso che la Chiesa sia in tanti sensi in prima linea in questa situazione e la gente avverte questa nostra vicinanza.

 

Per tutte le necessità sanitarie della sua parrocchia in Sierra Leone, padre Maurizio Boa ha aperto un fondo. Le offerte possono essere inviate al Bonifico bancario intestato a: Murialdo World onlus, codice IBAN: IT 17 E076 0103 2000 0100 1330 032, causale: emergenza Ebola - Sierra Leone

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Iraq. Liberati 49 turchi presi in ostaggio dai jihadisti

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I 49 cittadini turchi presi in ostaggio a giugno in Iraq dalle milizie jihadiste del sedicente Stato Islamico (Is) sono stati liberati e sono tornati sani e salvi nel loro Paese. Lo ha confermato il primo ministro di Ankara, Ahmet Davutoglu. Nessuna precisazione è stata fatta circa le condizioni del rilascio. Da Istanbul, Susanna Iacona Salafia: 

Sono atterrati stamane all’aeroporto di Ankara i 49 ostaggi del personale d’ambasciata turca di Mosul in Iraq, tra cui anche donne e bambini, nelle mani dell’autoproclamato Stato Islamico da tre mesi. Il gruppo fu fatto prigioniero dalle milizie terroristiche al termine della presa di Mosul l’11 giugno scorso, dopo un raid militare nella simbolica sede dell’ambasciata, già palazzo ministeriale del deposto Saddam Hussein. Raggiunti a Sanliurfa, sul confine turco-siriano, dal premier Ahmet Davutoglu, gli ostaggi sono apparsi stanchi ma in buone condizioni. Il premier ha ringraziato gli uomini dei servizi segreti. E’ questo il secondo rilascio che il governo turco ottiene dai miliziani, dopo quello dei 29 camionisti anch’è essi rapiti a Mosul, nel giugno scorso ma liberati dopo 10 giorni di intensa trattativa​. La dinamica del rilascio di oggi non è ancora chiara ma appare evidente che i 49 ostaggi siano stati subito trasferiti dall’Iraq in Siria e liberati vicino Sanliurfa, in Turchia. E sempre sul confine turco-siriano ieri si sono verificati tafferugli tra la popolazione locale e l’esercito che non lasciava entrare migliaia di profughi provenienti dalla provincia di Kobane, in Kurdistan, dove 21 villaggi sono stati assaliti dall’Is, in una battaglia ancora in corso con l’esercito dei Peshmerga. Oggi dopo due giorni di pressione al confine e scontri con la polizia è stato finalmente consentito l’ingresso. Si annuncia quindi una nuova catastrofe umanitaria che investe i curdi, dopo l’attacco alla comunità degli yazidi nel mese scorso, anch’essi ospitati in campi profughi della Turchia. L’Is ha circondato la provincia di Kobane in una morsa a tenaglia. Intanto la polizia turca da giorni sta dando la caccia a un minibus con dentro dieci militanti islamici, partito da Istanbul e diretto verso la Siria per unirsi all’esercito della Stato Islamico. L’allarme sulle possibili “cellule dormienti” dell’Is, presenti in Turchia e pronti ad agire, è stato lanciato recentemente sia dalla Cia americana sia dalla stessa polizia turca a tutti di distretti del Paese.

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Scozia: regina Elisabetta, sostegno e rispetto. Scontri nella notte

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È stata la regina Eleisabetta II a porre il "sigillo" sul referendum in Scozia, con la vittoria del fronte del "no" all’indipendenza da Londra. “Ora andiamo avanti”, ha esortato la sovrana rivolgendosi direttamente agli scozzesi. Da Edimburgo, Giovanni Vale

“Non ho dubbi che gli scozzesi siano in grado di esprimere le loro forti convinzioni per poi tornare di nuovo insieme in uno spirito di sostegno e di rispetto reciproco”. Questo quanto affermato ieri sera dalla regina Elisabetta II in un messaggio diffuso da Balmoral, la proprietà scozzese della famiglia reale. La sovrana si è detta disposta a fare tutto il possibile per aiutare gli scozzesi in questo difficile compito, ossia quello di trovare l’unità dopo un referendum che ha letteralmente spaccato in due il Paese. Intanto, dal punto di vista politico, il voto continua a produrre conseguenze. Ieri, il leader indipendentista Alex Salmond ha rassegnato le sue dimissioni: l’ormai ex primo ministro di Edimburgo ha detto che contribuirà alla vita politica del suo Paese ma senza più ricopre questa carica. Infine, ieri sera a Glasgow la festa del referendum è stata guastata dagli scontri. La polizia è stata infatti costretta a intervenire per separare gli unionisti e gli indipendentisti: tre persone sono state arrestate.

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Il commento di don Ezechiele Pasotti al Vangelo della Domenica

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Nella 25.ma Domenica del Tempo ordinario, la liturgia ci presenta il passo del Vangelo in cui Gesù racconta la parabola degli operai dell’ultima ora. Questi sono pagati come i primi, che perciò mormorano contro il padrone della vigna che a sua volta dice ad uno di essi: “Non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure tu sei invidioso perché io sono buono?”. Gesù conclude:

“Così gli ultimi saranno primi e i primi, ultimi”.

Su questo brano evangelico, ascoltiamo il commento di don Ezechiele Pasotti, prefetto agli studi nel Collegio Diocesano missionario “Redemptoris Mater” di Roma: 

La parabola di oggi, per quanto scomoda per noi spesso così sensibili solo a una giustizia terra-terra, rivela la bontà del cuore di Dio. Un padrone esce al mattino in cerca di operai per la sua vigna e si accorda con loro per il giusto salario: un denaro.  Lungo il giorno esce altre volte, sino ad un’ora prima della conclusione del lavoro. Poi paga tutti, incominciando dagli ultimi fino ai primi. Ad ognuno dà il salario di un’intera giornata di lavoro, provocando la mormorazione di quelli che hanno lavorato tutto il giorno. Il padrone risponde ad uno: “Amico, io non ti faccio torto. Non hai forse concordato con me per un denaro? Prendi il tuo e vattene. Ma io voglio dare anche a quest'ultimo quanto a te: non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure tu sei invidioso perché io sono buono?”. Commenta un autore: “È lecito o no che Lui faccia ‘nel suo’ quanto vuole, la giustizia e insieme la larga carità? Certo, gli ultimi hanno lavorato di meno; ma sono più deboli, e hanno bisogno come i primi. I due criteri, la giustizia e la bontà, non solo non si escludono, ma alla fine sono il medesimo comportamento”. Certo, l’immagine posta su questo denaro con cui viene pagato il salario, ha davvero poco a che fare con Cesare e con la sua giustizia terrena! Riflette piuttosto la Bontà divina. Dice che la vera ricompensa non è il salario, ma l’essere stati invitati a lavorare per il Signore, nella sua Vigna (cf T. Federici). Ecco perché  “gli ultimi saranno primi e i primi, ultimi”.

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Nella Chiesa e nel mondo



Guinea Bissau: nota dei vescovi per prevenire l'Ebola

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“Preoccupati per la reale minaccia del virus, invitiamo tutte le nostre comunità a cercare sempre più informazioni sull’evoluzione della situazione e a continuare a mettere in pratica tutte le misure necessarie per evitare la diffusione del virus”: lo scrivono i vescovi della Guinea Bissau (mons. José Câmnate na Bissign, vescovo di Bissau, e mons. Pedro Carlos Zilli, vescovo di Bafatá), in una lettera ai fedeli sulla diffusione del virus ebola.

Nel testo, inviato all’agenzia Fides dalla curia di Bissau, i vescovi invitano a mettere secchi con acqua e disinfettante all’entrata delle chiese e dei luoghi di incontro perchè tutti possano lavarsi le mani; ad evitare raduni; a ricevere la Comunione sulla mano; a non scambiarsi l’abbraccio di pace durante la celebrazione della Santa Messa.

I due vescovi apprezzano l’impegno del governo, degli organismi internazionali e delle comunità religiose per prevenire l’epidemia in Guinea Bissau, e notano con soddisfazione “il grande sforzo” delle comunità parrocchiali per la sensibilizzazione. “Attraverso Caritas Guinea-Bissau, la Commissione Giustizia e Pace e Radio Sol Mansi – prosegue il testo - sarà sviluppato un programma di formazione che permetterà alle nostre comunità di partecipare attivamente alla sensibilizzazione e alla prevenzione dell’epidemia di Ebola e di altre epidemie. Che tutte le parrocchie e le missioni siano aperte alle linee guida che saranno emesse”.

Il comunicato conclude: “Come cristiani, radicati nella fede, continuiamo a chiedere al Signore che allontani questa malattia dai nostri Paesi e ci aiuti a trovare forme concrete di solidarietà verso le popolazioni più colpite. Fiduciosi nel Dio della vita, affrontiamo questa sfida con lungimiranza e coraggio”. (R.P.)

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Iraq: i bambini nelle zone cristiane non possono andare a scuola

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Per la prima volta nella loro storia, i cristiani irakeni che da sempre "mantengono un grado elevato di istruzione" nella regione, sono privati del diritto allo studio e non potranno frequentare le scuole. A lanciare l'allarme è mons. Emil Shimoun Nona, arcivescovo caldeo di Mosul, nel nord, secondo centro per importanza del Paese e prima città a cadere nelle mani delle milizie dello Stato islamico.

Interpellato dall'agenzia AsiaNews, il prelato conferma che "al momento tanto fra le famiglie dei profughi", quanto "per i bambini che vivono nelle zone cristiane" è impossibile iniziare l'anno scolastico. "Le circa 700 scuole sparse fra Erbil, Ankawa e Zakkho - spiega - ospitano gli sfollati e sono piene. In altre aree, non cristiane, le lezioni sono cominciate, ma non qui". Il problema è vivo anche nelle zone occupate dal Califfato islamico, dove è cambiato il curriculum degli studi, improntato all'islam e al Corano.

Mons. Nona è stato il primo a lanciare l'allarme sul pericolo posto dall'avanzata degli islamisti dopo la conquista di Mosul, dove circa 500mila persone - cristiani e musulmani - sono fuggite a inizio giugno per non doversi convertire all'islam e dove è stato fondato un Califfato e imposto la sharia. In città e nelle zone della piana di Ninive sotto il controllo dello Stato islamico le scuole hanno aperto i battenti. Tuttavia, dietro direttiva dei loro leader il curriculum è cambiato: al bando la storia, la geografia e la letteratura; si studia l'arabo e la religione musulmana, vietato parlare di Repubblica d'Iraq o della Siria, perché esiste solo il Califfato.

Un insegnante delle elementari di Mosul di matematica e arabo afferma che "siamo nel 2014, ma sembra di essere tornati indietro di 14 secoli". Il 95% dei 2.450 istituti della zona - Mosul e piana di Ninive - sono nelle mani degli islamisti, che vietano classi miste e hanno chiuso la facoltà di Legge, perché "il diritto convenzionale non è più in vigore". Norme rigide, imposte con una forza, che creano sempre maggiore insofferenza fra la popolazione. Se in un primo momento la gente li considerava liberatori verso un governo centrale (dell'ex premier sciita al Maliki) visto come oppressore, oggi il 98% della gente - secondo quanto riferisce un universitario di Mosul - "vorrebbe vederli cacciati al più presto".

Mons. Nona chiede di pregare perché la situazione col tempo "diventa sempre più drammatica", in particolare con l'arrivo dell'inverno; anche l'interruzione del percorso di studi per i giovani cristiani rappresenta un grave problema, perché blocca di fatto lo sviluppo di una intera generazione di cristiani irakeni, che in passato si sono sempre distinti per il loro livello culturale e il grado di scolarizzazione. 

Nella storia della comunità l'educazione ha sempre rappresentato un tassello "importante per noi", commenta l'arcivescovo di Mosul, e come Chiesa "stiamo cerando di affittare il maggior numero di case possibili" per liberare le scuole e consentire la ripresa delle lezioni. Tuttavia, l'operazione è "molto lenta, perché non è sempre possibile trovare case o alloggi disponibili". In chiusura, egli vuole però lanciare un piccolo messaggio di speranza: in questi giorni "abbiamo preso in affitto un palazzo con 56 appartamenti - racconta - che potrà accogliere tutte le famiglie che, in questo momento, si trovano ospitate in una scuola di Ankawa". Una sola su 11, aggiunge, mentre l'obiettivo è "liberarne almeno altre due o tre". (D.S.)

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Alluvioni a Manila: oltre 50mila persone in fuga

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Le forti piogge portate dalla coda della tempesta tropicale Fung-Wong hanno causato la paralisi di Manila, costringendo decine di migliaia di cittadini ad abbandonare le loro case inondate e bloccando il traffico. Ieri - riferisce l'agenzia AsiaNews - numerose aree della capitale filippina sono invase da uno spesso strato di acqua, in particolare nei popolosi distretti orientali per lo straripamento di un grande fiume; altre parti della metropoli e la regione a nord hanno registrato anch'esse inondazioni diffuse. Al momento non si registrano però morti, né feriti.

A dispetto di una velocità moderata dei venti, con una velicità massima di 65 km/h, la tempesta tropicale Fung-Wong ha generato forti acquazzoni, riversando nella notte oltre 268 mm di pioggia come confermano gli esperti del Centro meteo.

In una sola notte è caduto un volume di acqua pari al 76% della media mensile; secondo le previsioni è in arrivo altra pioggia, di elevata intensità, soprattutto nelle aree montagnose del nord-est.

Le inondazioni hanno causato la fuga di almeno 50mila persone, che hanno abbandonato in tutta fretta le loro abitazioni a Manila e nelle zone circostanti la capitale. Il governo ha annunciato una giornata di chiusura delle scuole e rimandato a casa dipendenti pubblici non coinvolti in prima persone nelle operazioni di soccorso e gestione dell'emergenza; chiusi anche i mercati finanziari.

Cancellati 21 voli interni all'aeroporto di Manila, sei tratte internazionali sono state dirottate su altri scali del Paese a causa del maltempo. Intanto monta il malcontento fra la popolazione, costretta all'emergenza quando i fenomeni atmosferici superano una certa intensità.

Ogni anno le Filippine sono colpite, in media, da almeno 20 tifoni che causano centinaia di morti e gettano nella miseria milioni di cittadini inermi. Nel novembre dello scorso anno il super-tifone Haian (Yolanda nelle Filippine), il più forte di sempre a colpire l'arcipelago, ha lasciato dietro di sé almeno 7.300 fra morti e dispersi. Sono quasi 11 milioni gli abitanti che hanno subito danni o perdite a vario titolo, sparsi in 574 fra municipalità e città diverse. (R.P.)

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India: appello dei Vescovi per la libertà religiosa dei dalit

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“Urge proteggere il diritto dei dalit in Madhya Pradesh a professare e praticare la propria religione”: è l’accorato appello giunto all'agenzia Fides dalla Commissione “Giustizia, Pace e Sviluppo” della Conferenza episcopale dell’India. Padre Charles Irudayam, Segretario della Commissione, spiega a Fides. “I dalit del distretto di Shivpuri, in Madhya Pradesh (India centrale) non hanno libertà. Quanti perseguono tale libertà sono trattati come criminali. La loro vita è una vera schiavitù: questo è un affronto per qualsiasi società civilizzata. Occorre ripristinare le libertà fondamentali dei dalit e garantire una vita dignitosa per loro, cittadini dell'India come gli altri”.

La Commissione “Giustizia, Pace e Sviluppo” ha inviato una lettera alla Commissione nazionale per le minoranze e alla Commissione nazionale per i diritti umani, chiedendo un intervento urgente. Padre Irudayam segnala “gravi violazioni dei diritti e delle libertà fondamentali. I dalit che dicono dei volersi convertire alla religione musulmana o cristiana vengono aggrediti e sottoposti forzatamente a riti di purificazione per tornare all'induismo. La comunità, oltre all’ignominia dell’intoccabilità, subisce pesanti coercizioni e intimidazioni dai gruppi estremisti indù, che bloccano la possibilità di abbracciare una fede di propria scelta”

La Commissione chiede al governo e agli organi preposti di intervenire immediatamente, per garantire la vita dei dalit e proteggere la loro libertà di cambiare fede e di professare e praticare la propria religione. (R.P.)

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Giornate sociali europee: le voci del card. Bagnasco e mons. Crepaldi

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“La Chiesa ama l’Europa, per questo offre ciò che di più caro e prezioso ha con sé: Gesù Cristo”. Il card. Angelo Bagnasco, presidente Cei e vicepresidente Ccee (Consiglio delle Conferenze episcopali d’Europa), nell’omelia della Messa alle Giornate sociali europee in corso a Madrid, ha preso spunto dalla lettura della parabola del seminatore per una riflessione sul rapporto tra Chiesa ed Europa nel contesto attuale.

“Il Vangelo illumina la nostra presenza nel continente - ha affermato il porporato -. Si tratta dello slancio missionario di una ‘Chiesa in uscita’, che Papa Francesco sollecita perché testimoni e annunci la gioia del Vangelo. Sappiamo che ogni cristiano è seminatore e campo, e che i diversi tipi di terreno si trovano innanzitutto dentro di noi. Per questo il primo messaggio è rivolto a noi credenti e a noi pastori, consapevoli che la vita spirituale è il primo modo di fare pastorale e di annunciare il Vangelo”.

Quindi, addentrandosi nel testo biblico, l’arcivescovo ha affermato: “L’ampio gesto del seminatore, che sparge il seme senza selezionare i terreni più fertili, ci spinge a essere generosi nell’annuncio, a non giocare al risparmio, a non pretendere di vedere il frutto. L’Europa può apparire come l’asfalto, terreno pieno di sassi e di rovi. La fede, però, ci chiede di essere realisti non pessimisti, di giocare d’anticipo la grande partita dell’evangelizzazione”. 

Nel corso dell’omelia, il card. Bagnasco ha aggiunto: “La situazione del continente la conosciamo. Come un adolescente vuole emanciparsi da tutto, anche da Dio, ha rifiutato le sue origini. Il risultato non è un’umanità più libera e felice, ma più smarrita e incerta. Non volendo guardare alla sua storia, non sa più chi sia”. “Viene così da chiederci: in questo terreno irto e duro, è ancora possibile seminare il Vangelo che è il grande ‘sì’ di Dio alla voglia di vita, di libertà, di amore?". E ancora: "Come possiamo seminare il buon seme di Cristo? Innanzitutto continuando la prossimità con il popolo”; “la Chiesa desidera servire i popoli dell’Europa e, potendolo, vuole crescere nella fantasia dell’amore verso i poveri e gli invisibili”. “Se la Chiesa si limitasse a questo”, ha aggiunto il cardinale, “sarebbe solo la pietosa ‘infermiera della storia’. Essa ha anche un altro compito: il servizio della profezia. Che l’uomo occidentalista sia aiutato a ritrovare le vie della fede e di una ragione fedele a se stessa, aperta all’essere, alla realtà piena dell’uomo e del cosmo”.

Dal canto suo mons. Giampaolo Crepaldi, arcivescovo di Trieste e presidente della commissione “Caritas in veritate” del Ccee parlando del processo di integrazione comunitaria, ha affermato che: “l’Europa è un progetto straordinario, fondato sulla realizzazione della pace, che avanza con alterne fortune, con stagioni differenti, fra cui quella odierna, di oggettiva difficoltà”.

Mons. Giampaolo Crepaldi ha quindi posto una domanda finale: quanto questa Europa stima e riconosce la presenza dei cristiani? Mi pare che la vicenda del mancato riconoscimento delle radici cristiane nel Preambolo del Trattato costituzionale - ha detto il presule - sia un elemento fortemente indicativo”. (R.P.)

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Zamagni: Individualismo e teoria del gender minano la famiglia

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Individualismo e teoria del gender, sono gli elementi alla base “di un attacco mai visto nelle epoche precedenti nei confronti della famiglia”, è quanto sostiene il professore Stefano Zagmani intervenendo a Madrid alle II Giornate Sociali Cattoliche per l’Europa. Per il professore bolognese, “l’abbassamento del tasso di natalità, l’aumento dei divorzi e delle separazioni, l’invecchiamento medio della popolazione sono tutti effetti di una causa che sta più a monte, e che ha a che vedere con la de-istituzionalizzazione che in Europa viene portata avanti nei confronti della famiglia”.

La famiglia – dice Zagmani – “oggi viene vista come il luogo e centro degli affetti e non più come istituzione sociale”. Questo argomento viene giustificato – dice l’economista italiano – “sulla base di considerazioni che non sono reali: da un lato la necessità di affermare la piena libertà delle persone, cioè l’individualismo che porta a considerare che quello che piace a me, lo devo poter fare; dall’altro il processo di emancipazione della donna nei confronti dell’uomo da cui deriva la cosiddetta questione di genere”. E allora cosa può fare in questo contesto il mondo cattolico?

“E’ chiaro che può fare molto di più di quanto non abbia fatto finora”, dice Zagmani, e “questo ‘movimento cattolico europeo’ nelle sue diverse articolazioni deve impegnarsi affinché questa situazione non si generalizzi e diventi irreversibile”. E per fare ciò il professore di Bologna individua tre punti qualificanti: passare dalle politiche di conciliazione famiglia-lavoro a delle politiche di armonizzazione; centrare il modello di welfare in Europa sulla famiglia non più sull’individuo.

“Oggi i nostri modelli di welfare, sono tutti riferiti al singolo e non alla famiglia in quanto tale”; ed infine valorizzare maggiormente la dimensione culturale. Si tratta, per Zamagni, di tradure i principi della dottrina sociale della Chiesa in operatività. “Questo lavoro di traduzione non c’è stato, se non in rari casi e piccola misura…è una lacuna di non poco conto”. (R.P.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVIII no. 263

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.