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Sommario del 19/09/2014

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Il Papa: l'identità cristiana si compie con la nostra resurrezione

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Il percorso del cristiano si compie nella Resurrezione. E’ quanto affermato da Papa Francesco nell’omelia mattutina a Casa Santa Marta. Il Pontefice, commentando le parole di San Paolo nella Prima Lettera ai Corinzi, ha sottolineato che i cristiani sembrano aver difficoltà a credere alla trasformazione del proprio corpo dopo la morte. Il servizio di Alessandro Gisotti: 

Papa Francesco ha incentrato l’omelia sulla prima lettura che vede San Paolo impegnato a fare una “correzione difficile”, “quella della Resurrezione”. L’Apostolo delle Genti si rivolge alla comunità dei cristiani a Corinto. Costoro credevano che “Cristo è risorto” e “ci aiuta dal Cielo”, ma non era chiaro per loro che “anche noi resusciteremo”. “Loro – ha detto Francesco – pensavano in un altro modo: sì, i morti sono giustificati, non andranno all’inferno – molto bello! – ma andranno un po’ nel cosmo, nell’aria, lì, l’anima davanti a Dio, l’anima soltanto”.

Del resto, ha proseguito, anche San Pietro “la mattina della Resurrezione è andato di corsa al Sepolcro e pensava che lo avessero rubato”. E così anche Maria Maddalena. “Non entrava nella loro mente – ha osservato – una resurrezione reale”. Non riuscivano a capire quel “passaggio nostro dalla morte alla vita”, attraverso la Resurrezione. Alla fine, ha commentato il Papa, “hanno accettato quella di Gesù perché lo hanno visto”, ma “quella dei cristiani non era capita così”. Del resto, ha rammentato, quando San Paolo va ad Atene e incomincia a parlare della Resurrezione di Cristo, i greci saggi, filosofi, si spaventano:

“Ma la resurrezione dei cristiani è uno scandalo, non possono capirlo. E per questo Paolo fa questo ragionamento, ragiona così, tanto chiaro: ‘Se Cristo è risorto, come possono dire alcuni tra voi che non vi è resurrezione dai morti? Se Cristo è risorto, anche i morti risusciteranno’. C’è la resistenza alla trasformazione, la resistenza a che l’opera dello Spirito che abbiamo ricevuto nel Battesimo ci trasformi fino alla fine, alla Resurrezione. E quando noi parliamo di questo, il nostro linguaggio dice: ‘Ma, io voglio andare in Cielo, non voglio andare all’Inferno’, ma ci fermiamo lì. Nessuno di noi dice: ‘Io resusciterò come Cristo’: no. Anche a noi è difficile capire questo”.

“E’ più facile – ha ripreso – pensare a un panteismo cosmico”. E questo perché “c’è la resistenza ad essere trasformati, che è la parola che usa Paolo: ‘Saremo trasformati. Il nostro corpo sarà trasformato’”. “Quando un uomo o una donna deve subire un intervento chirurgico – ha rilevato il Papa – ha molta paura perché o gli toglieranno qualcosa o gli metteranno quell’altra cosa … sarà trasformato, per così dire”. E ha ribadito che “con la Resurrezione, tutti noi saremo trasformati”:

“Questo è il futuro che ci aspetta e questo è il fatto che ci porta a fare tanta resistenza: resistenza alla trasformazione del nostro corpo. Anche, resistenza all’identità cristiana. Dirò di più: forse non abbiamo tanta paura dell’Apocalisse del Maligno, dell’Anticristo che deve venire prima; forse non abbiamo tanta paura. Forse non abbiamo tanta paura della voce dell’Arcangelo o del suono della tromba: ma, sarà la vittoria del Signore. Ma paura della nostra resurrezione: tutti noi saremo trasformati. Sarà la fine del nostro percorso cristiano, quella trasformazione”.

Questa “tentazione di non credere alla Resurrezione del morti – ha proseguito – è nata” nei “primi giorni della Chiesa”. E quando Paolo ha dovuto parlare su questo ai Tessalonicesi, “alla fine, per consolarli, per incoraggiarli dice una delle frasi più piene di speranza che ci sono nel Nuovo Testamento, e dice così: ‘Alla fine, saremo con Lui’”. Ecco, ha detto Francesco, cos’è l’identità cristiana: “Stare con il Signore. Così, con il nostro corpo e con la nostra anima”. Noi, ha soggiunto, “resusciteremo per stare con il Signore, e la Resurrezione incomincia qui, come discepoli, se noi stiamo con il Signore, se noi camminiamo con il Signore”. Questa, ha ribadito, “è la strada verso la Resurrezione. E se noi siamo abituati a stare con il Signore, questa paura della trasformazione del nostro corpo si allontana”.

La Resurrezione, ha detto ancora, “sarà come un risveglio”. Giobbe ci dice: “Io lo vedrò con i miei occhi”. “Non spiritualmente – ha fatto notare il Papa – no”, “con il mio corpo, con i miei occhi trasformati”. “L’identità cristiana – ha avvertito – non finisce con un trionfo temporale, non finisce con una bella missione”, l’identità cristiana si compie “con la Resurrezione dei nostri corpi, con la nostra Resurrezione”:

“Lì è la fine, per saziarci dell’immagine del Signore. L’identità cristiana è una strada, è un cammino dove si sta con il Signore; come quei due discepoli che ‘stettero con il Signore’ tutta quella serata, anche tutta la nostra vita è chiamata a stare con il Signore per – alla fine, dopo la voce dell’Arcangelo, dopo il suono della tromba – rimanere, stare con il Signore”.

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Dal Papa il presidente armeno: mondo si impegni per il Medio Oriente

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La crisi in Medio Oriente, specie quella umanitaria, e la situazione dei cristiani perseguitati nell’area sono stati due dei temi principali affrontati da Papa Francesco e dal presidente dell’Armenia, Serzh Sargsyan, ricevuto in Vaticano.

“Durante i cordiali colloqui – informa una nota ufficiale – è stata espressa soddisfazione per lo sviluppo e il rafforzamento dei rapporti bilaterali, rilevando il particolare ruolo del cristianesimo nella storia e nella vita della società armena”. Sulla “situazione politica regionale”, è stato invece “auspicato il superamento delle complesse questioni irrisolte, attraverso il dialogo fra tutte le Parti interessate. Inoltre, si è accennato al tema dei conflitti nel Medio Oriente, confidando nello sforzo comune delle Nazioni e delle comunità religiose interessate, per giungere alla pacifica convivenza dei popoli dell’intera regione”. 

“Speciale attenzione”, precisa il comunicato, è stata dedicata “alla situazione delle comunità cristiane e di altre minoranze religiose nell’area, e alla crisi umanitaria riguardante i profughi provenienti dalle zone colpite”. Dopo l’incontro con il Papa, il presidente armeno si è intrattenuto con il cardinale segretario di Stato, il cardinale Pietro Parolin, accompagnato dal segretario per i Rapporti con gli Stati, l’arcivescovo Dominique Mamberti. (A.D.C.)

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Roma, mostra sui luoghi di preghiera dei cristiani d'Oriente

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L’attività a favore dei poveri, così come del dialogo interreligioso ed ecumenico, sono stati alcuni dei temi toccati dal fondatore della Comunità di Sant’Egidio, Andrea Riccardi, e dal presidente Marco Impagliazzo, nell’incontro con il Papa che li ha ricevuti questa mattina in Vaticano. Ieri proprio Impagliazzo, assieme al presidente di Armenia, Serzh Sargsyan, anch’egli ricevuto oggi da Francesco, aveva inaugurato una mostra fotografica ospitata al Vittoriano di Roma sino al primo ottobre. “Parabole d’Oriente. Il Cristianesimo alla sfida del nuovo millennio”, presenta gli scatti di Michele Borzoni che dall’Iraq all’Azerbaijan, dalla Turchia, alla Giordania e alla Siria documentano la diaspora dei cristiani dai Paesi del Mediterraneo orientale, spesso ridotti a minoranze perseguitate. Francesca Sabatinelli ha intervistato Marco Impagliazzo

R. – Con il prof. Riccardi siamo stati ricevuti dal Santo Padre per ringraziarlo, innanzitutto, della bellissima visita che lui ha fatto alla Comunità nel mese di giugno e per l’incontro che ha avuto con tanti poveri. Abbiamo riferito al Papa dell’incontro interreligioso per la pace, avuto pochi giorni fa ad Anversa, in Belgio, nell’anniversario dello scoppio della Prima guerra mondiale, e abbiamo anche annunciato al Santo Padre l’intenzione di svolgere lo stesso incontro il prossimo anno a Tirana, in Albania. Si è parlato molto della situazione di questo Paese, soprattutto della sua storia di persecuzione durante gli anni del comunismo, del fatto che sia stato il primo Stato ateo del mondo e di aver visto la testimonianza di migliaia e migliaia di nuovi martiri cattolici, ortodossi, protestanti, di tutte le confessioni cristiane. Naturalmente, abbiamo aggiornato anche il Santo Padre della nostra opera per l’Africa, per lo sviluppo di questo grande continente, particolarmente di ciò che la comunità sta facendo per la cura dell’Aids. Il Santo Padre si è fortemente interessato a questa opera. E poi, naturalmente, si è parlato tanto di Iraq, di cristiani d’Oriente.

D. – Il Papa oggi ha ricevuto anche il presidente della Repubblica d’Armenia che con lei, Impagliazzo, ieri ha inaugurato un’importante mostra su dove pregano i cristiani d’Oriente. Che percorso ci indica questa mostra?

R. – Si chiama “Parabole d’Oriente” ed è una mostra che mette in evidenza la storia religiosa di queste comunità attraverso fotografie molto toccanti dei loro luoghi di culto, molti dei quali purtroppo adesso versano in cattivo stato architettonico, ed è anche una mostra che testimonia, seppure nella loro piccolezza, la vitalità di tante comunità di cristiani d’Oriente, non solo cattoliche, ma anche ortodosse. Ed è un’occasione per tutti noi e per tutti i visitatori, di condividere, seppure in parte, e da lontano, la sofferenza di queste comunità in un periodo così difficile della loro storia per ciò che sta accadendo con la guerra in Iraq e in Siria.

D. – Le foto sono molto attuali, ma alcune ci riportano anche a un lontano passato. Ne cito una che mostra un sacerdote di una città della Turchia, Diarbakir, che oggi non ha praticamente quasi più cristiani: si parla di sei famiglia siriache, mentre nel 1869 contava 21 mila cristiani. Questa mostra sembra parli della storia e dell’agonia, se vogliamo, dei cristiani in Oriente…

R. – Sì. Io direi che più che l’agonia è la sofferenza di questi cristiani. Il caso che lei cita è un caso che conosco, perché ho visitato personalmente questo prete ortodosso che è molto felice di essere lì con i suoi fedeli. Ma quello che devo dire è che in tutta l’Anatolia e nella Turchia orientale si realizza il vero ecumenismo, l’ecumenismo che raduna le varie comunità, le varie confessioni attorno a un unico prete. E, in fondo, questi sono anche luoghi in cui viene mostrata la vitalità e la forza dell’unità dei cristiani: quando i cristiani sono uniti, possono resistere anche alle più grandi difficoltà. Ciò che mostra la storia di questi cristiani è che l’unità si può vivere anche molto in pratica, nella vita di tutti i giorni e nel condividere la stessa liturgia.

D. – Quindi, il percorso delle foto ci mostra la tragedia di queste popolazioni, ma anche la loro capacità di sopravvivenza grazie all’unità?

R. – Sì. Qualche anno fa è uscito un libro francese molto bello, che si intitola “Vita e morte dei cristiani d’Oriente”. In Oriente esiste sempre questo duello, che poi è il duello che noi vediamo nella Pasqua: il duello tra la vita e la morte. E i cristiani, oggi, stanno testimoniando la forza della resurrezione nell’unità e noi dobbiamo mostrare loro che siamo tanto vicini a loro e condividiamo con loro la gioia della resurrezione.

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Altre udienze e nomine di Papa Francesco

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Papa Francesco ha ricevuto questa mattina in udienza l’arcivescovo Luis Francisco Ladaria Ferrer, S.I., segretario della Congregazione per la Dottrina della Fede; mons. James Patrick Green, nunzio apostolico in Perú. Il Papa ha ricevuto inoltre il professor Ignazio Marino, sindaco di Roma, con alcuni chirurghi partecipanti al Congresso sul traffico di organi per trapianto.

Il Papa ha ricevuto ieri in udienza l’arcivescovo Guido Pozzo, segretario della Pontificia Commissione "Ecclesia Dei"; mons. Óscar Vicente Ojea, Vescovo di San Isidro (Argentina); e un gruppo di Ciclisti dell’Associazione "Cruce por la educación argentina".

In Germania, Papa Francesco ha nominato Vescovo della diocesi di Erfurt mons. Ulrich Neymeyr, trasferendolo dalla sede titolare di Maraguia e dall’ufficio di Ausiliare della diocesi di Mainz.

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Card. Parolin: Papa in Albania, religione non sia mai motivo di conflitto

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Alla vigilia del viaggio di Papa Francesco in Albania, domenica 21 settembre, il cardinale segretario di Stato Pietro Parolin illustra - in una intervista rilasciata al Centro Televisivo Vaticano - i principali temi al centro dell’evento. Primo fra tutti, dopo gli anni bui del regime, la capacità di Tirana di aver scelto la via del dialogo con un governo di unità nazionale tra islamici, ortodossi e cattolici. Ascoltiamo il porporato al microfono di Barbara Castelli: 

R. - E’ possibile il dialogo, è possibile la cultura dell’incontro, sulla quale insiste tanto il Papa. E vorrei sottolineare il fatto che il Papa preferisce parlare attraverso esempi concreti, attraverso modelli. (…) Io credo che Papa Francesco ha scelto di andare in Albania per sottolineare che questo Paese, che sappiamo ha sperimentato difficoltà non piccole nel suo passato, ha scelto di non utilizzare mai la religione come motivo di scontro e di conflitto.

D. - Quale è l’incoraggiamento che la Santa Sede vuole offrire oggi all’Albania, che dallo scorso mese di giugno è ufficialmente candidata all’adesione nell’Unione Europea? Quali sono le questioni più impellenti alle quali dovrebbe dare una risposta?

R. - L’Albania esce da un lungo inverno di isolamento nei confronti degli altri Paesi e, quindi, la Santa Sede offre il suo incoraggiamento, offre il suo sostegno all’integrazione europea dell’Albania, ricordando anche il contributo specifico che l’Albania deve portare a questa integrazione. Possiamo ricordare il patrimonio spirituale, che è stato conservato nonostante gli anni della repressione religiosa, della persecuzione religiosa e che va custodito e vivificato. Possiamo ricordare, per esempio, il forte senso della famiglia che caratterizza la società albanese, proprio con questa sottolineatura che piace al Papa, quella dei giovani da una parte, che sono un po’ il futuro, e quella degli anziani dall’altra, che sono un po’ la memoria e che hanno un patrimonio di saggezza e di esperienza che deve essere valorizzato. Quindi, l’Albania, soltanto portando queste sue ricchezze e queste sue peculiari caratteristiche potrà contribuire in maniera efficace al progetto di integrazione europea.

D. - Un’altra questione cara a Papa Francesco, il tema della libertà religiosa, in un Paese – ha rimarcato sempre durante il volo da Seoul – dove in passato sono state distrutte 1820 chiese. Quale è la situazione oggi?

R. - La libertà religiosa è rispettata. In questo contesto la Chiesa ha avviato già da tempo la sua ricostruzione, anche se sarà una ricostruzione – diciamo – abbastanza lunga. E’ stata una persecuzione molto severa, molto dura, una vera devastazione: oltre all’aspetto delle chiese e alla distruzione di tutti i luoghi di culto, ricordiamo anche l’eliminazione di quasi tutto il personale religioso. Mi pare che prima dell’avvento del comunismo, c’erano circa 180-200 preti. Alla fine, nel 1990, ne sono rimasti solo 33. Questo per dire come c’è stata proprio una politica di eliminazione del personale religioso. Poi l’Albania ha ricominciato la sua ricostruzione e nel 2000 ci sono state le prime ordinazioni sacerdotali, ci sono stati anche molti giovani che hanno aderito alla vita religiosa, sia maschile sia femminile, e i laici stanno ritrovando un loro ruolo. Insomma c’è speranza. Anche qui, però, siamo vigili: speriamo che l’Albania non ceda a quell’onda di secolarizzazione che caratterizza un po’ tutto il continente europeo. Mi pare importante dire che un Paese dove Dio è stato eliminato, è stato cancellato per legge, deve insegnarci a vivere una vita sempre in rapporto con il Signore, senza lasciarsi tentare da una vita dove Dio viene messo da parte.

D. - Il Pontefice incontrerà anche i sacerdoti, le religiose e i religiosi, i seminaristi e i membri dei movimenti laicali. Quale è oggi la vita della Chiesa in Albania, quali i suoi tratti peculiari?

R. - Si tratta di una Chiesa giovane, con molti giovani e molte persone che si avvicinano alla fede; una Chiesa caratterizzata dalla nota del martirio, una testimonianza apprezzata da tutti perché è stata una testimonianza di perdono nei confronti dei persecutori. Una Chiesa caratterizzata anche da una fede semplice, soprattutto delle persone anziane, che hanno saputo preservarla e trasmetterla aldilà di questo periodo tormentato e travagliato della persecuzione; e una Chiesa anche missionaria, nel senso che ha ricevuto molti missionari. Soprattutto dopo la caduta del regime, vista la scomparsa quasi del clero locale, c’è stata una grande generosità da parte dei missionari di recarsi in Albania, di lavorare in Albania, tra questi anche i missionari italiani, che hanno dato uno dei contributi maggiori. Ecco queste – mi pare – sono le caratteristiche principali di questa Chiesa, che devono tradursi anche in un rinnovato impegno per continuare a crescere e a trasmettere la fede e a valorizzare tutte le sue componenti.

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Il Papa a Giornate sociali cattoliche: amore della Chiesa è per chi soffre

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“Una delle grandi sfide per la Chiesa in Europa consiste nel trovare dei modi efficaci per far sì che la luce del Vangelo entri in relazione con le questioni urgenti che il continente si trova ad affrontare”. E’ quanto si legge in un messaggio di Papa Francesco, a firma del cardinale segretario di Stato Pietro Parolin, letto ieri in apertura della seconda edizione delle Giornate sociali cattoliche per l’Europa, in corso fino al 21 settembre a Madrid, dal titolo “La Fede Cristiana e il Futuro dell’Europa”. Ad organizzarle le due istituzioni di vescovi cattolici d’Europa, Ccee e Comece, assieme all’arcidiocesi di Madrid e alla conferenza episcopale spagnola.  

Il Papa con le sue parole incoraggia i circa 200 partecipanti ad “approfondire la ricerca della santità attraverso un fermo impegno alla preghiera e alla conversione personale”, per poter poi “offrire ai diversi settori della società una testimonianza più coerente e gioiosa che risvegli le coscienze alla realtà che i beni temporali e l'ordinamento della società debbono essere al servizio della persona umana e della sua realizzazione finale in Dio”. La preghiera e l’auspicio di Francesco sono soprattutto che l’evento “metta in evidenza i modi in cui la fede ci porta a trasmettere l'amore della Chiesa per i poveri, per quelli che subiscono persecuzioni, per tutti coloro che sono costretti a fuggire dalle loro case e per coloro che vengono in Europa in cerca di rifugio”. “Una Chiesa che presta maggiore attenzione ai bisogni materiali di coloro che soffrono  - conclude il messaggio – imparerà anche a offrire un annuncio più convincente di verità e di salvezza a coloro che hanno fame e sete di vita eterna e a coloro che ‘vi domandano ragione della speranza che è in voi’” (1 Pt 3,15).

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Il Papa a Napoli il 21 marzo 2015. Card. Sepe: la città ha fame di Dio

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Lo aveva promesso nel luglio scorso, recandosi a Caserta, e oggi è giunta la conferma: Papa Francesco visiterà Napoli sabato 21 marzo 2015. Ad annunciarlo oggi, in un giorno di festa per il capoluogo partenopeo, è stato l’arcivescovo della città, il cardinale Crescenzio Sepe, durante la cerimonia che ha visto ripetersi alle 10.11 l’evento della liquefazione del sangue del Patrono, San Gennaro, contenuto in un’ampolla.

Papa Francesco, ha affermato il cardinale Sepe durante l’omelia della Messa presieduta in Cattedrale, arriverà in “una città che ha fame di Dio”, di "lavoro, legalità e progettualità” e inizierà la sua visita dalla periferia di Napoli, dove avrà un incontro con alcuni rappresentanti del mondo del lavoro e della cultura. Subito dopo, il Papa raggiungerà la Cattedrale per venerare le reliquie di San Gennaro e intrattenersi con il clero locale. Nel segno della solidarietà anche il pranzo, condiviso con alcuni detenuti, e un incontro con gli ammalati, mentre il pomeriggio di Francesco si svolgerà assieme ai giovani e al laicato e sarà concluso alle 17 da una Messa solenne.

Il cardinale Sepe ha poi rivolto un “pressante invito” a tutti i cittadini della diocesi: “Ognuno faccia la sua parte – ha detto – nel ridare vivibilità e dignità a questa terra” e a una città sulla quale pesano le “conseguenze di una crisi mondiale che ha reso più precarie le sue già difficili condizioni di vita”.

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Evangelii Gaudium in Vaticano: interviste con Fisichella e Vanier

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Circa duemila partecipanti all’Incontro internazionale promosso dal Pontificio Consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione accolgono alle 16.30, in Aula Paolo VI, Papa Francesco. Il tema dell'evento è incentrato sull’Esortazione “Evangelii Gaudium” e vede vescovi e operatori pastorali provenienti da 60 Paesi. Ma come fare arrivare l'annuncio del Vangelo alla società attuale? Marina Tomarro  ne ha parlato con mons. Rino Fisichella, presidente del dicastero della nuova evangelizzazione: 

R. – Innanzitutto, l’ascolto della Parola di Dio e la contemplazione della Parola di Dio. Papa Francesco è stato molto chiaro in proposito, ha detto: l’evangelizzazione si fa in ginocchio. Una volta che abbiamo questa dimensione, per cui abbiamo di nuovo fissato lo sguardo sull’essenziale, su Gesù Cristo, sulla Parola che ci salva, la grazia trasforma il cuore e ci rende anche capaci di “partecipare ad altri” questa dimensione. Ovviamente c’è il grande tema della formazione: in che modo possiamo vivere e comunicare questa speranza, avendo al centro e a fondamento la Resurrezione di Gesù, e dare questa speranza come risposta alle grandi domande, che sono sempre presenti nel cuore di ogni persona. Quindi lontano dal pensare alla formazione e alla pastorale come qualcosa di teorico, ma come una realtà fortemente esistenziale.

D. – Papa Francesco nell’Evangelii Gaudium parla di audacia e creatività...

R. – Sono parole molto significative. Audacia significa fare in modo di sentire la responsabilità che il Signore ha nei nostri confronti e con la quale ci ha investiti. Allora, se Dio si fida di noi, vuol dire che io devo rimboccarmi le maniche, avere coraggio, perché sono sostenuto dalla sua grazia. La creatività significa appunto essere capaci di non vivere la realtà come un’ovvietà. Abbiamo invece bisogno di capire che le persone ci chiedono realmente una parola che dia speranza, che dia forza, soprattutto in un periodo così profondo di crisi, come quello che il mondo sta vivendo per tante situazioni.

D. – Spesso Papa Francesco parla di una Chiesa accogliente, cosa vuol dire?

R. – Una Chiesa accogliente significa una Chiesa che non ha le porte chiuse, non solo metaforicamente: è una Chiesa che sa accogliere quanti bussano alla sua porta. Per alcuni versi l’accoglienza è non permettere neppure che qualcuno bussi, ma essere noi soprattutto già sulla porta per consentire l’ingresso.  

E tra i relatori dell' incontro anche Jean Vanier fondatore della comunità dell' Arca, dove sono accolte amate e curate persone con disabilità fisiche e mentali. Ascoltiamo il suo commento.  

R. - Je crois que toute la vision de l’evangelisation …
Penso che tutta la visione dell’evangelizzazione sia gioiosa, perché abbiamo ricevuto la Buona Novella! Il mondo non è solo un mondo di violenza, ma il Verbo si è fatto carne, Dio è venuto per dirci qualcosa. Dio ama l’umanità, Dio è presente. Questo non significa che non ci sia la lotta contro il male. C’è la violenza nel mondo; c’è la violenza in me e in noi tutti. Ma Gesù è più forte e conserviamo la speranza che Egli ci aiuti a crescere: questa è la fonte della gioia!            

 D. - Lei ha aiutato tante persone: perché secondo lei la società di oggi ha difficoltà ad accettare persone con la malattia, persone differenti, persone che hanno più difficoltà a vivere nella quotidianità …

 R. - On est dans un monde très difficile. On a passé …
Viviamo in un mondo molto difficile. Siamo passati da un mondo estremamente strutturato, dove c’era una certa visione della società. Adesso viviamo in un mondo molto individualista, molto competitivo, anche nella Chiesa. Quindi non è facile. Forse la più grande difficoltà è che gli elementi fondamentali sono stati danneggiati: la famiglia, perché ciascuno di noi ha bisogno di una comunità, di una famiglia, di una parrocchia! Abbiamo perso questo senso dello stare insieme. Quando non siamo insieme non esiste comunità. È difficile affrontare il mondo in questo modo. Tutti ci sentiamo soli e nello stesso tempo la televisione mostra molta violenza, sesso, … Per i giovani è complesso… Ciò che è importante è che proviamo a restare insieme da qualche parte sia nella famiglia che nei piccoli gruppi all’interno delle parrocchie per sostenerci a vicenda.

 D. - Cosa spinge ad occuparsi degli ultimi? In che modo si entra in comunione con queste persone, con i disabili, con i malati, con coloro che sono messi da parte dalla società di oggi?

 R. - On est dans un monde de communication …
Siamo nel mondo della comunicazione, ma non sempre in un mondo di presenza, nel senso che comunichiamo facilmente con smartphone, internet, … I giovani sono abituati a molta comunicazione, ma spesso non alla presenza. Allora bisogna provare a ritrovarsi, perché ciò di cui le persone malate, quelle che si sentono sole, hanno bisogno è la presenza e l’amicizia.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Paura di risorgere: messa del Papa a Santa Marta.

Fuori dal lungo inverno: il testo integrale dell'intervista di Barbara Castelli (del Centro televisivo vaticano) al cardinale segretario di Stato in occasione del viaggio del Papa in Albania.

Regno unito: il referendum sull'indipendenza della Scozia bocciato con il 55,3 per cento dei voti.

Jorge Milia su un esame di riparazione col prof. Bergoglio al collegio di Santa Fe.

La bellezza non merita superficialità: Marco Ivan Rupnik su arte sacra e liturgica.

Un articolo di Roberto Genovesi dal titolo "Tolkien, Artù e la tempesta": tradotto in italiano un poema inedito e incompiuto del padre degli hobbit.

Universalissimo pittore: Antonio Paolucci illustra gli innumerevoli mondi di Jacopo Ligozzi.

Le differenze si celebrano: Giovanni Zavatta sulla settimana interculturale ecumenica che si svolge in Germania dal 21 al 27 settembre.

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Oggi in Primo Piano



Scozia: vincono i "no" nel voto sull'indipendenza da Londra

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La Scozia rimane nel Regno Unito. Questo l’esito del referendum di ieri sulla scissione di Edimburgo da Londra. Il 55% dei votanti si è detto favorevole a rimanere nell’Unione, il 45% quello a favorre dell’indipendenza. Ora comunque è previsto l’avvio di un processo di maggiore autonomia per la Scozia, ma anche per il Galles e per l’Irlanda del Nord. E c’è attesa per il discorso che la Regina Elisabetta II farà nel pomeriggio. Da Edimburgo, Giovanni Vale

Sta prendendo forma nel Regno Unito il dibattito sui nuovi rapporti tra Londra ed Edimburgo, mentre nella capitale scozzese gli abitanti tornano pian piano alla normalità, dopo la lunga notte elettorale. Con la vittoria del "no", la Scozia resta infatti nell’Unione, ma si moltiplicano le richieste di maggiori poteri per il parlamento scozzese. Il primo a essersi espresso subito dopo il voto è stato l’indipendentista Alex Salmond, che ha chiesto al fronte del "no" di rispettate quelle promesse di "devolution" fatte durante la campagna elettorale. Da Downing Street, il premier britannico, David Cameron, ha confermato che un progetto di decentramento sarà subito studiato, non soltanto per la Scozia, ma anche per il Galles, l’Inghilterra e l’Irlanda del Nord. A occuparsi del progetto di riforma, ha detto Cameron, sarà Lord Smith of Kelvin. I nuovi poteri riguarderanno le tasse, la spesa pubblica e il welfare. Dello stesso avviso il primo ministro del Galles, Carwyn Jones, che ha evidenziato l’urgenza di una riforma. “La vecchia Unione è morta e dobbiamo costruirne una nuova”, ha dichiarato Jones. Per il leader dell’Ukip, l’euroscettico Nigel Farage, la riforma dovrà però funzionare anche in senso opposto, per impedire ai deputati scozzesi a Londra di decidere su questioni prettamente inglesi. Nel frattempo, arrivano anche le prime reazioni dall’estero. Il presidente del Consiglio europeo, Herman Van Rompuy, ha espresso rispetto per la scelta degli scozzesi, così come l’ex presidente della Commissione europea, José Manuel Barroso. Mentre da Madrid, il premier Mariano Rajoy si è detto contento del risultato. Questo pomeriggio si attende infine il discorso della Regina, che dovrà cercare di riunificare un Paese per il momento molto, molto diviso.

 

In che modo gli scozzesi hanno vissuto questo referendum? Lidia O’Kane lo ha chiesto a mons. John Keenan, vecovo della diocesi scozzese di Paisley:

R. – The Scots believe in democracy...
Gli scozzesi credono nella democrazia, credono nel processo politico, credono nell’onestà e nella franchezza. Poi, dopo che la decisione è stata presa, cioè quella del rimanere uniti e di procedere su questa strada, io credo non ci saranno difficoltà eccessive per quanto riguarda il processo di riconciliazione. Certo, alcuni hanno perso e sono amaramente delusi, altri hanno vinto e sono molto sollevati. Ma penso anche che quelli che hanno vinto stiano riflettendo sullo svolgimento della campagna elettorale. Penso che quando tutto questo polverone si sarà attenuato, tutti gli scozzesi saranno orgogliosi dell’andamento del referendum e anche di come la loro regione sia stata guardata da tutto il mondo. La Chiesa sarà coinvolta ovviamente nell’incoraggiare le persone che non fanno parte dello schieramento che ha vinto ad accettare questa decisione, ad accettarsi l’un l’altro, per costruire una Scozia migliore. Ma ho la sensazione che questa campagna elettorale abbia mostrato il modo in cui gli scozzesi sono abituati a condurre diversità di opinioni e dibattiti, e alla fine hanno mostrato il loro volto migliore.

 

Sugli aspetti salienti del referendum per l’indipendenza della Scozia, Giancarlo La Vella ha chiesto l'opinione di Gianni Riotta, del quotidiano La Stampa: 

R. – Intanto il risultato in sé, perché un paio di settimane fa il "sì" era passato avanti nei sondaggi e quindi la vittoria del "no", così larga, non era né scontata, né facile. Un netto risultato, quindi, a favore dell’Unione, che però lascia molti problemi aperti: per esempio quelli di una "devolution", diciamo un’autonomia di stampo sudtirolese, a cui certamente adesso la Scozia guarderà.

D. – Un referendum che va a colpire il senso di tradizione che c’è nel Regno Unito, anche in campo politico...

R. – Il risultato unitario ha confermato che, malgrado tutti i problemi e tutti gli acciacchi di 307 anni di Unione, gli scozzesi sono voluti rimanere con la Regina. Io credo veramente che l’intervento di Elisabetta II, uscendo dalla Chiesa, sabato scorso, abbia avuto un importantissimo effetto quando la regina ha detto “Riflettete, riflettete”. Ecco, gli scozzesi hanno avviato una loro riflessione e hanno deciso che era meglio rimanere con Londra.

D. – Praticamente, come si pensa possano cambiare i rapporti ora tra Londra ed Edimburgo, ma non solo, si parla anche di Galles e Irlanda del Nord?

R. – Galles e Irlanda del Nord erano pronti ad andare avanti se ci fosse stata anche una secessione scozzese. Non c’è stata e quindi si fermeranno. Ora, deve esserci uno sforzo intelligente da parte del premier Cameron, che deve guardare con favore all’autonomia scozzese. Allo stesso tempo, però, gli scozzesi devono capire che il popolo ha parlato. In Inghilterra c’è il partito di Farage, che è molto irritato nei confronti degli scozzesi che lamentano una sorta di oppressione da parte degli inglesi. Quindi, tirare troppo la corda da una parte o dall’altra sarebbe esiziale.

D. – Quale ricaduta, per quanto riguarda le varie istanze autonomiste che ci sono in Europa, dopo questo referendum?

R. – Questo risultato sembra dire: “Non fate sciocchezze, non pensate che sia il momento di alzare bandierine autonomistiche, perché la crisi economica e la crisi geopolitica – dalla Libia, all’Ucraina, alla Grecia – è pronta a ricordarvi con grande fermezza che l’unione fa la forza.

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Si allarga il fronte internazionale contro l'Is

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Il Senato americano ha approvavo la risoluzione che autorizza il sostegno ai ribelli filoccidentali siriani. Previsto anche il conferimento di armi per fronteggiare il sedicente Stato islamico (Is). Il presidente Usa, Barack Obama, plaude all'adesione della Francia ai raid aerei in Iraq e assicura la distruzione dell’Is. Sulla decisione di Hollande Antonio Elia Migliozzi ha intervistato Antonio Ferrari editorialista del Corriere della Sera: 

R. - Si allarga il campo dei partecipanti e più si allarga, più per l’Is dovrebbe essere il pesantissimo segnale che il mondo è determinato. Abbiamo molti Paesi dell’Occidente e abbiamo anche molti Paesi dell’islam, dell’islam cosiddetto moderato. E questo per l’Is è un segnale molto importante. Le possibilità a questo punto per questi tagliagole - perché non trovo altro termine per classificarli - sono o di alzare ancora il tiro - non so fino a quanto a loro convenga, ma la loro logica naturalmente ci sfugge - oppure di cominciare a ripensare - se c’è qualcuno pensante all’interno di questa congrega! - a una strategia che per il momento ha soltanto scatenato la rabbia del mondo. E se un presidente degli Stati Uniti si è spinto a dire, in maniera molto chiara e netta, “li annienteremo”, questo vuol dire qualcosa…

D. - Preoccupa l’ingresso tra i ranghi dell’Is di ribelli balcanici?

R. - E’ un’altra novità, oltre a quelle che abbiamo ascolto nei mesi scorsi, nelle settimane scorse, con un forte inserimento di europei, magari di discendenza islamica o comunque anche non islamici che volevano andare a trovare una ragione di vita. Nei Balcani ci sono delle tensioni che non sono state superate: basta andare a Sarajevo - e non soltanto a Sarajevo - per rendersi conto che sotto la cenere cova ancora una grandissima percentuale d’odio e di risentimento per quello che è stato stabilizzato finora. Questa - ahimè  - può essere una spinta molto pericolosa, perché rischia di creare veramente la “multinazionale del terrore”. Era quello che si temeva un tempo e che oggi potrebbe esserci se il mondo non fa seguire alle minacce di intervento un’azione concreta. Voglio dire: se non succede questo, il rischio di creare questa “multinazionale del terrore” è molto ampio.

D. - Si combatte anche in Siria e il Congresso americano autorizza la Casa Bianca a fornire sostegno ai ribelli filoccidentali. C’è il rischio che queste armi finiscano per essere usate contro l’Occidente?

R. - Abbiamo vissuto questi ultimi anni con mille sorprese. Abbiamo seguito la storia di Osama Bin Laden, che aveva avuto le armi dagli americani per combattere contro i sovietici in Afghanistan e poi ha rivolto queste stesse armi contro chi gliele aveva date e cioè contro gli americani, fino a organizzare o a pianificare gli attentati alle Torri dell’11 settembre del 2001. Quindi, è evidente che abbiamo dei precedenti e questo - quello che ho appena citato - non è l’unico. Credo che questa sia semplicemente una formulazione per dire non siamo favorevoli al regime di Assad, ma siamo pronti anche ad aiutare i ribelli: io non so dove si trovino questi ribelli "puri", diciamo non contaminati dai due estremismi islamici presenti sul territorio… In fondo, questa mi sembra una dichiarazione e un proponimento più legato ad acquietare quelli che si chiedono come sia possibile che l’anno scorso gli americani fossero pronti, diciamo, a bombardare il regime di Assad e oggi, in qualche misura, possono essere visti come coloro che agiscono contro i nemici di Assad. 

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Ebola: Sierra Leone confinata. Testimonianza di Emergency

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L’Ebola e' una crisi umanitaria, sociale ed economica che minaccia pace e sicurezza. All’indomani dell’allarme lanciato dall’Oms la comunità internazionale si mobilita: l’Onu sta organizzando una nuova missione in Africa occidentale per coordinare gli aiuti, velocizzare gli interventi e fornire sostegno medico. Un impegno non facile: ieri, almeno sette persone, tra operatori sanitari e giornalisti impegnati in una campagna di sensibilizzazione sul virus in alcuni villaggi nel sudest della Guinea, sono stati uccisi dalla folla inferocita a colpi di machete e con armi da fuoco. Molti in Guinea, afferma una fonte della polizia, pensano che il virus Ebola sia un'invenzione dei bianchi per uccidere i neri, da qui gli episodi di violenza e il rifiuto di qualunque aiuto. Le vittime del virus Ebola in Africa sono salite a 2.622 e la situazione più critica si registra in Liberia, con quasi 1500 morti, e in Sierra Leone dove la popolazione, fino a domenica, è stata confinata nelle abitazioni e sottoposta ad una campagna informativa porta a porta. Gabriella Ceraso ha raccolto, da Freetown, la testimonianza di Luca Rolla coordinatore di Emergency in Sierra Leone: 

R. – Questa dichiarazione di una tre giorni di “stay-at-home” della popolazione è iniziata questa mattina, non c’è nessuno per le strade. Diciamo che questi tre giorni dovrebbero permettere allo staff sanitario o a organizzazioni non governative di identificare casi sospetti.

D. – Fa parte di questo piano la campagna formativa. L’informazione, dopo tanti mesi, è ancora fondamentale?

R. – E’ fondamentale, perché l’epidemia è totalmente nuova in questa parte dell’Africa. Se il sistema sanitario della Sierra Leone prima dell’epidemia di Ebola era molto vacillante, adesso è totalmente al collasso. E’ molto importante, a livello della popolazione locale, ma è molto importante anche per la popolazione sanitaria locale, perché hanno forti pressioni dalle famiglie che non vogliono che continuino ad andare a lavorare in ospedale, perché sanno che negli altri ospedali il personale si è infettato e alcuni sanitari sono deceduti.

D. – Com’è il flusso e la quantità di nuovi malati?

R. – Diciamo che le statistiche del governo danno dai 20 ai 30 nuovi casi al giorno. Il 17 settembre, alle 24.00, i dati ufficiali danno 1.585 casi confermati e stimati per difetto. L’Organizzazione mondiale della sanità stima che in Africa ogni persona abbia un contatto con almeno dieci persone, potenziali malati…

D. – La situazione è, come ha detto il presidente americano, fuori controllo o voi potete dire che invece un controllo e tutto quello che si può fare si sta facendo?

R. – La situazione è fuori controllo per le forze che sono sul campo. Gli ospedali governativi sono totalmente al collasso, la maggior parte sono chiusi e quei pochissimi che sono aperti, lavorano a singhiozzo. Da 36 giorni, l’ospedale pediatrico di riferimento di Freetown è completamente chiuso, quindi i bambini non hanno nessun posto dove poter essere visitati. Le sale operatorie del’ospedale governativo sono chiuse da tre mesi…

D. – Quindi, il fatto che l’Onu e l’Oms si stiano mobilitando e stiano preparando addirittura una nuova missione ha senso? Secondo lei, quali sono le cose che effettivamente servono?

R. – Se l’Onu o le grandi agenzie internazionali manderanno giù esclusivamente medici e infermieri che lavoreranno in strutture governative, una volta vista la povertà di queste strutture governative dopo due giorni scapperanno. Se invece decideranno di costruire in modo molto veloce dei centri di trattamento dell’Ebola lavorando con lo staff nazionale, può darsi che il contenimento del problema sia ancora possibile. E’ fondamentale la possibilità di lavorare con lo staff nazionale, perché chiunque venga in Sierra Leone abbatta almeno la barriera culturale di approccio con le persone della popolazione locale.

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Rapporto della Coop: senza figli non c’è futuro

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I costi del declino demografico sono la recessione e la deflazione. E quanto emerge dal Rapporto Coop 2014 su consumi e distribuzione. Nel programma dei mille giorni, presentato martedì scorso dal premier Matteo Renzi, sono necessarie – si sottolinea nel dossier – politiche di sostegno alle famiglie per rilanciare la natalità e incrementare i consumi. Il servizio di Amedeo Lomonaco: 

L’invecchiamento della popolazione rallenta il prodotto interno lordo. Senza figli si allontanano la crescita e l’incremento dei consumi. Nei supermercati, quando cala il numero di passeggini, i carrelli sono meno pieni. In Italia il declino demografico – si ricorda nel Rapporto della Coop – si accompagna ad un tasso di fecondità, 1,39 figli per donna, tra i più bassi d’Europa. Nel 2013 le nascite, circa 514 mila, hanno toccato il minimo storico. Tra le cause, indicate nel dossier, le difficoltà nel trovare lavoro e le restrizioni al credito per l’acquisto della casa. Cresce inoltre il numero dei nuclei con un solo componente, quasi il 30% del totale. L’economista Giacomo Vaciago:

“Il futuro di un Paese è dei figli, delle future generazioni. Se la demografia è negativa, ci sono sempre meno bambini e sempre più anziani. E la piramide demografica diventa rovesciata: una piramide con una punta piccola, che sono le nuove generazioni, e con una grande piattaforma, dall’altra parte però, al rovescio. E quindi è una situazione fragile. Ai giovani viene imposto l’onere di mantenere sempre più anziani. I migliori, cui più grava quest’onere, hanno interesse ad andarsene e quindi la tendenza si aggrava. Questo è vero in altri Paesi: era vero in Francia e non lo è più, è stato vero in Germania e lo è molto meno. La Francia ha sostenuto le famiglie, incentivando molto il terzo figlio. E’ il terzo figlio che fa la differenza. Fino a due figli, infatti, la popolazione è ancora in declino, di poco, ma in declino. Il terzo figlio fa la differenza. L’Italia è il Paese peggiore. Noi abbiamo fatto una legge che nessuno rispetta per evitare gli immigrati, che in parte ci servono. Dall’altra parte, non abbiamo fatto nulla per favorire il terzo figlio, con servizi sociali alle mamme e così via. Quindi, la demografia è abbandonata a se stessa: i giovani se ne vanno, i vecchi sanno che sono abbandonati a se stessi e, alla fine, la demografia negativa rende anche più parsimoniosa la gente, che spende meno, perché ha un futuro incerto”.

Crescere un figlio fino alla maggiore età, secondo stime di Federconsumatori, costa circa 170 mila euro. Il quoziente familiare e maggiori detrazioni per i figli sono alcune delle misure indicate nel rapporto della Coop per sostenere le famiglie. Si ricorda poi che i minorenni in Italia sono oltre 10 milioni, quasi lo stesso numero dei lavoratori che percepiscono il bonus di 80 euro introdotto dal governo Renzi. Escludendo 4 milioni di lavoratori, comunque non incapienti e senza carichi familiari, ci sarebbero i fondi – sottolinea il quotidiano “Avvenire” – per destinare 80 euro al mese ad ogni figlio minorenne. Ancora l’economista Giacomo Vaciago:

“Io credo che vada fatto un ragionamento più complesso. Non è solo un problema di soldi. Molte donne non si sposano o non fanno figli, perché non hanno attorno a loro i servizi sociali che ciò richiede. Quello che oggi vediamo è proprio una caduta. I figli, cioè, se li possono permettere i ricchi. Una volta parlavamo di proletariati: i figli li facevano i poveri; oggi, viceversa, è un bene di lusso. I ricchi possono fare figli, avere donne di servizio, i servizi in casa a tutela dei figli, mandarli nelle scuole migliori e così via. E’ chiaro che bisogna fare un ragionamento di lungo periodo e guardare alle determinanti vere, a cosa induce la gente a sposarsi, a far famiglia, a far figli”.

La speranza di vita in aumento, giunta a 79,8 anni per gli uomini e 84,6 per le donne, e la bassa fecondità delineano lo scenario attuale di un Paese, l’Italia, che parla sempre più il linguaggio degli anziani. Ogni 100 giovani con meno di 15 anni sono 151 le persone con più di 65 anni. E sono sempre più numerosi - si sottolinea nel rapporto della Coop - i cittadini che lasciano l’Italia: nell’ultimo anno stati oltre 80 mila, principalmente giovani alla ricerca del primo lavoro. Si tratta del flusso più alto degli ultimi dieci anni con un incremento del 40% rispetto al 2011. Si devono sostenere le famiglie: senza figli – si legge nello studio della Coop - non c’è futuro.

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Educazione "gender" a scuola, Amato: genitori si oppongano

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Si è tenuto ieri Roma un convegno sulle teorie di genere. Nel corso dell’incontro si è parlato dell’introduzione di nuovi corsi educativi nelle scuole, del disegno di legge contro l’omofobia e delle nozze gay. Tra i presenti, l’avvocato Gianfranco Amato, presidente dell’associazione “Giuristi per la Vita”. Sergio Centofanti lo ha intervistato: 

R. - Abbiamo sottolineato, innanzi tutto, l’importanza di tenere alta la tensione sul disegno di legge Scalfarotto contro l’omofobia, rilevandone gli aspetti più pericolosi dal punto di vista della libertà di opinione - che sappiamo è garantita dall’art. 21 della Costituzione - e soprattutto della libertà religiosa, tutelata e garantita dall’art. 19. Si è parlato di questa propaganda che sta diventando veramente inquietante riguardo il gender, soprattutto negli ambiti più delicati come l’istruzione, l’educazione nel sistema scolastico. Ricordiamo che il famigerato documento dell’Organizzazione mondiale della santità intitolato “Standard per l’educazione sessuale in Europa” sta per essere applicato in moltissime scuole materne ed elementari. Ad esempio, questo documento divide la popolazione in fasce di età: da zero a quattro anni, da quattro a sei, da sei a dodici, e così via e, nella fascia delicatissima - cioè quella che va dai quattro ai sei anni - si dice, tra l’altro, che i bambini devono essere introdotti alla masturbazione infantile precoce, alla capacità di identificare i genitali fin nei dettagli e soprattutto all’identità di genere, cioè dire: “Non siete maschietti e femminucce ma dovete decidere cosa essere”. Purtroppo in moltissime scuole materne ed elementari d’Italia si sta diffondendo con applicazioni aberranti; ricordiamo scuole dove i bambini vengono vestiti da bambine e viceversa, dove i bambini vengono truccati da donna con il rossetto, scuole dove - ricordiamo anche a Roma - la festa del papà viene abolita per non discriminare bambine che hanno due mamme lesbiche. Questo è uno degli aspetti. Poi ricordiamo, la comunicazione: non possiamo dimenticare che l’Unar, l’Ufficio nazionale antidiscriminazione razziale, un ufficio del Dipartimento delle pari opportunità presso la presidenza del Consiglio dei ministri, quindi un ufficio del governo italiano, ha emanato un decalogo per i giornalisti in cui si dice cosa e come scrivere quando toccano i temi “Lgbt”. Ad esempio, si dice che non potrà essere più utilizzata l’espressione “famiglia naturale”, pena essere deferiti al Consiglio dell’Ordine dei giornalisti; non potrà più essere utilizzata l’espressione “famiglia tradizionale”; non si potrà più scrivere che un bambino per un suo completo sviluppo ha bisogno di un padre e una madre; non si potrà più utilizzare l’espressione “utero in affitto”, perché dispregiativa ed andrà sostituita con “gestazione di sostegno”. Se poi ricordiamo che l’ultimo precedente in cui il governo italiano ha emanato direttive ai giornalisti su cosa e come scrivere quando si toccavano certi temi risale alle famigerate veline del “MinCulPop”, il Ministero della cultura popolare fascista, non è un bellissimo precedente.

D. - Che cosa possono fare i genitori nelle scuole dove i loro figli hanno questi indirizzi di educazione sessuale?

R. - Possono e devono opporsi ad ogni sperimentazione, ricordando che l’art. 26, terzo comma, della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo dice che i genitori hanno diritto di priorità nell’educazione dei propri figli rispetto allo Stato. Questo articolo è stato introdotto nella Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo nel 1948 proprio perché dopo la guerra l’esperienza aveva dimostrato come fosse stato devastante e distruttivo l’indottrinamento dei giovani da parte del sistema di istruzione statale pubblico del Terzo Reich. Quindi anche qui, dopo 70 anni, siamo costretti a invocare di nuovo lo stesso principio. Bisogna protestare, opporsi, fino a che questo è consentito, perché voglio ricordare che se dovesse passare la legge contro l’omofobia, poi l’opposizione a ricorsi di questo tipo sarà un problema, in quanto potrà essere considerata una forma di omofobia e quindi perseguita legalmente.

D. - Le nozze gay fanno sempre più capolino anche in Italia con adozioni …

R. - La trascrizione di matrimoni stipulati all’estero è un atto assolutamente simbolico, che non ha nessun effetto giuridico - i sindaci ne sono consapevoli - è un’operazione mediatica, ideologica, proprio per spingere verso questo obiettivo. Le adozioni vanno in questo senso. È chiaro che siamo di fronte ad una spaventosa pressione sul’opinione pubblica; ma la cosa più spaventosa è che tutto questo avviene violando la legge, perché l’art. 44 della legge sull’adozione è chiarissimo.

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Nella Chiesa e nel mondo



India. Mons. Moras: difendiamo i cristiani in Iraq e Siria

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“I cristiani in Iraq e Siria vengono massacrati, stuprati, uccisi e torturati. Noi, come membri della comunità cristiana, dobbiamo alzare la nostra voce e chiedere al governo indiano di prendere una posizione decisa in sostegno dei nostri fratelli e sorelle di fede in questi Paesi". È reciso nel prendere posizione mons. Bernard Moras, arcivescovo di Bangalore, nello Stato indiano del Karnataka. Il presule, riferisce Asianews, in un memorandum consegnato ieri da una delegazione di leader cristiani al governatore del Karnataka, e diretto al presidente dell’India Pranab Mukherjee, spiega le ragioni che hanno spinto la diocesi ad organizzare varie iniziative per i cristiani perseguitati in Medio Oriente.

“Prima di incontrare il governatore – dice ad AsiaNews lo stesso mons. Moras – abbiamo voluto organizzare un giorno di preghiera e digiuno (il 12 settembre – ndr) e una marcia (14 settembre) per i cristiani perseguitati. Il senso era anzitutto quello di pregare insieme, ma soprattutto di far comprendere alle nostre comunità cristiane, di tutte le denominazioni, la portata della disumana tragedia che sta avvenendo in quei Paesi. I nostri cristiani devono essere consapevoli della dura realtà delle sofferenze dei loro fratelli e sorelle in Iraq e Siria”.

“Il governo dell'India – sottolinea ancora il presule – può avere un'influenza significativa sulla situazione in Medio Oriente, dato che molti nostri concittadini vi lavorano, dando un grande contributo a quei Paesi”. (A.D.C.)

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Nigeria. Mons. Doeme: Boko Haram controlla 25 città

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Boko Haram ha preso il controllo di 25 città nel nordest della Nigeria: lo ha affermato, Oliver Dashe Doeme, vescovo di Maiduguri, la capitale dello Stato del Borno minacciata dall’avanzata del gruppo islamista. La Fides riferisce che mons. Doeme, che è stato costretto a rifugiarsi insieme a migliaia di fedeli nella parrocchia Santa Teresa di Yola, nello Stato di Adamawa. Secondo il presul – che ha preso la parola alla riunione della Conferenza episcopale a Warri, nel Delta del Niger – le devastazioni compiute dalla setta islamista nell’ultimo mese possono essere comparabili a quelle commesse dal sedicente Stato islamico in Iraq e Siria.

“Migliaia di persone – ha detto mons. Doeme – sono state costrette a rifugiarsi nelle grotte sulle montagne o nelle foreste; quei pochi che sono riusciti a fuggire sono assistiti dagli amici a Maiduguri, Mubi e Yola. Migliaia sono fuggiti in Camerun e vivono in condizioni miserevoli”.

A essere colpiti, ha poi notato, sono stati sia i cristiani che i musulmani. “C’è un sottofondo religioso nell’intero problema”, ha osservato il presule.” “Possiamo essere timorosi, rimanere silenti e incapaci di parlare di un piano per islamizzare il nord della Nigeria o l’intera Nigeria. Ma quello a cui stiamo assistendo nel nord Adamawa è una conferma chiara del dispiegarsi di questa agenda”.

Il vescovo di Maiduguri ha posto l’accento anche sull’armamento sofisticato del quale si è dotato negli ultimi mesi Boko Haram (mezzi blindati, armi anticarro e antiaeree, munizioni in quantità) ed ha stigmatizzato il comportamento dei militari regolari, definiti “tiepidi” di fronte alla minaccia rappresentata dai miliziani. (A.D.C.)

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Yangoon. L'arcivescovo: stop a tratta esseri umani in Myanmar

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Stop al traffico di esseri umani. È l’appello rivolto dall’arcivescovo di Yangoon, Charles Maung Bo, al governo del Myanmar. Secondo ong internazionali, questo commercio abbietto è ritenuto dilagante nel Paese birmano. L’Osservatore Romano riferisce che l’appello del presule giunge mentre le autorità locali intendono vietare temporaneamente ai cittadini birmani di recarsi a Singapore per lavoro, poiché sono allarmanti le notizie di abuso e sfruttamento dei lavoratori domestici che avvengono in quella città. Secondo monsignor Bo, “occorre proteggere i giovani dal traffico e da ogni forma di schiavitù. La tratta di esseri umani è un inferno virtuale per milioni di persone vulnerabili.

Ogni anno più di un milione di birmani sono vittime della tratta e circa 400 mila donne sono costrette a diventare schiave del sesso”. Il mondo, prosegue il presule, “è già responsabile della vergogna della perpetuazione della schiavitù sotto tutte le sue forme moderne; ma il Sudest dell’Asia rimane la parte più vulnerabile del mondo in questo campo”.

Secondo dati recenti, negli ultimi venti anni più di tre milioni di persone sono state costrette a emigrare in condizioni molto pericolose. “I nostri giovani – ha affermato mons. Maung Bo – sono fuggiti dalla povertà, dalla guerra, dalla persecuzione, dalla mancanza di istruzione e di lavoro. Come sfollati o rifugiati, tre milioni di nostri concittadini hanno dovuto abbandonare le loro case. E centinaia di nostre ragazze languono nelle baraccopoli dimenticate in Paesi stranieri”.

Quelli che “gestiscono il traffico di esseri umani – ha denunciato ancora – hanno molto da guadagnare dal traffico della nostra gioventù innocente del Myanmar. Li vendono come merce, sono lavoratori privi di documenti nelle piantagioni in Malesia, sottopagati e sfruttati in Thailandia, oggetti di desiderio nei mercati del sesso in Thailandia e Cina, o ancora ‘mogli provvisorie’ gettate in pasto a ricchi uomini dei Paesi vicini, in modo che esse diano loro dei figli prima di essere gettate come un fazzoletto sporco nella spazzatura e tornare a casa, distrutte nel corpo e nello spirito”.

“Esortiamo il governo, la società civile e i leader religiosi – ha concluso il presule – ad affrontare la minaccia del traffico di esseri umani. Comunità, istituzioni e gruppi religiosi devono sensibilizzare la popolazione su questi problemi e fare una campagna a fianco del governo affinché sia messo in atto un efficace controllo delle frontiere. Le vittime, anche quelle che sono state rimpatriate, hanno bisogno di essere sostenute, curate e riabilitate”. (A.D.C.)

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Guatemala. Al via assemblea dell'Osa su lotta al narcotraffico

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Unificare progressivamente le politiche sulle droghe per poi presentarne una continentale all’Assemblea generale delle Nazioni Unite nel 2016: è il tema al centro della 46.ma Assemblea generale straordinaria dell’Organizzazione degli Stati americani (Osa) in programma oggi e domani in Guatemala.

Al summit, riferisce l’Agenzia Misna, sono attesi ministri e viceministri degli Esteri di 32 dei 34 Paesi membri dell’Osa, come indicato alla presentazione dell’evento. Il capo della diplomazia di Guatemala, Carlos Raúl Morales Moscoso, e il segretario generale del blocco panamericano, José Miguel Insulza, hanno espresso l’auspicio che si compiano i primi passi verso una strategia contro il narcotraffico condivisa.

“Non esiste una ricetta universale nella lotta alle droghe poiché colpiscono tutti i Paesi in modi distinti”, ha affermato Insulza, per il quale “una larga parte delle droghe che si consumano e producono in questo mondo ha origine in America”.

L’evento che si apre oggi segue quello ospitato nella città coloniale di Antigua Guatemala nel 2013, il primo dedicato alla ricerca di una strategia condivisa contro il narcotraffico. “Questa assemblea – ha aggiunto Insulza – sarà ricordata per molto tempo come il momento istituzionale in cui si è preso nota di tutti i difetti e le difficoltà che incontrano le nostre politiche contro le droghe”. (A.D.C.)

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Sud Sudan. Riprenderà a trasmettere Radio Bhakita, chiusa dal governo

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Le trasmissioni di “Radio Bhakita”, promossa dall’arcidiocesi di Juba, capitale del Sud Sudan, riprenderanno presto. Lo afferma l’agenzia Fides, che riferisce della dichiarazione rilasciata all’Agenzia CISA di Nairobi dal direttore dell’emittente, Albino Tokwaro. Le autorità hanno vietato all’emittente cattolica di occuparsi di “materie politiche”. Lo scorso 16 agosto, le autorità locali avevano imposto la chiusura dell’emittente e arrestato il capo redattore, Ochan David Nicholas (poi rilasciato), in seguito alla notizia diffusa dalla radio che il 15 agosto, nello Stato di Bentiu, le truppe governative fedeli al presidente Salva Kiir si erano scontrate con quelle dell’opposizione, legate all’ex Vice Presidente Riek Machar.

“Le chiavi della sede della radio ci sono state restituite il 12 settembre ed ora stiamo aspettando l’approvazione dell’arcivescovo per riprendere le trasmissioni”, ha detto il direttore dell’emittente, aggiungendo che facendo seguito agli avvertimenti del servizio di sicurezza, “la radio sarà incentrata solo su programmi relativi allo sviluppo e all’educazione”.

Secondo fonti di Fides, da quando è scoppiata la crisi politica nel Sud Sudan, nel dicembre 2013, si sono accentuate le pressioni sui media locali per limitare la diffusione di notizie sgradite al governo. (A.D.C.)

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Le catacombe di S. Giovanni a Siracusa arrivano a Roma

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“Strepitus Silentii … le notti delle catacombe”, l’evento che da dieci anni fa rivivere di notte le catacombe di San Giovanni a Siracusa, le seconde per estensione dopo quelle di Roma, si trasferisce nella capitale. Venerdì 19, sabato 20 e domenica 21 settembre la catacomba di San Callisto (via Appia Antica 110/126) ospita le visite notturne teatralizzate. Il progetto della società Kairos è promosso dalla Pontificia Commissione di Archeologia Sacra, dall’Arcidiocesi di Siracusa e dalla Custodia della Catacomba di San Giovanni, dall’Istituto Superiore di Scienze Religiose “San Metodio”, in collaborazione con i Salesiani.

Il visitatore non è semplicemente accompagnato lungo il percorso ma la forma teatralizzata consente momenti di riflessione e meditazione sul percorso della vita cristiana. Una visita alle catacombe con maggior consapevolezza che crea stimoli e domande sul senso della vita cristiana agli albori del cristianesimo. “Abbiamo ricontestualizzato alle catacombe di San Callisto la struttura dell’evento nato a Siracusa – ha spiegato Enzo Dente della Kairos – San Callisto rappresenta un tesoro, storicamente e sotto il profilo cristiano. Una delle più antiche e delle più visitate catacombe della Capitale Abbiamo riscritto, in forma teatrale, la storia delle catacombe basandoci sul testo del salesiano Antonio Baruffa e con le citazioni dell’archeologo Giovanni Battista de Rossi che ha riscoperto il sito nel 1850. Gli attori potranno impersonare sia Baruffa che de Rossi raccontando ad esempio l’emozione di quella riscoperta. Le due attrici invece, in maniera parallela, rappresentano la voce dei cristiani del tempo”. Voci recitanti sono Margherita Adorisio, Marinella Scognamiglio, Maurizio Faraoni e Alberto Mosca, accompagnati dal flauto di Romualdo Trionfante.

La prima visita è alle ore 20.30 e la seconda alle ore 22.00. L’ingresso è di 15 euro ed il ricavato sarà devoluto per fini caritativi.

Le catacombe di San Callisto si trovano sulla destra della Via Appia Antica, dopo la chiesetta del “Quo Vadis?”. Fanno parte di un complesso cimiteriale che occupa un'area di 15 ettari di terreno, con una rete di gallerie lunghe quasi 20 chilometri, su diversi piani, e raggiungono una profondità superiore ai 20 metri. In esse trovarono sepoltura decine di martiri, 16 pontefici e moltissimi cristiani. Prendono nome dal diacono S. Callisto, che, all'inizio del III secolo, fu preposto da Papa Zefirino all'amministrazione del cimitero e così le catacombe di S. Callisto divennero il cimitero ufficiale della Chiesa di Roma. Nel sopratterra sono visibili due basilichette con tre absidi, dette “Tricore”. In quella orientale furono probabilmente sepolti il papa S. Zefirino e il giovane martire dell'Eucarestia, S. Tarcisio. Il cimitero sotterraneo consta di diverse aree. La Cripta dei Papi è il luogo più sacro ed importante di queste catacombe, chiamato "il piccolo Vaticano" perché vi furono sepolti 9 papi e, probabilmente, 8 dignitari della Chiesa del 3º secolo. Lungo le pareti sono le iscrizioni originali in greco di cinque Papi.

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVIII no. 262

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.