Logo 50 Radiogiornale Radio Vaticana
Redazione +390669883674 | +390669883998 | e-mail: sicsegre@vatiradio.va

Sommario del 18/09/2014

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Il Papa ai vescovi: siate testimoni gioiosi del Vangelo, non guardiani di un fortino

◊  

Siate vicini al popolo, testimoniando a tutti la gioia del Vangelo. E’ l’esortazione rivolta da Papa Francesco ai vescovi consacrati nell’ultimo anno. Un’udienza fraterna, nella quale il Vescovo di Roma ha chiesto ai nuovi presuli di non “essere spenti o pessimisti”, custodi di un “fortino” che si vede “assalito”. Il Papa ha inoltre ammonito i vescovi dal cadere nella tentazione di circondarsi di corti e cordate. Il servizio di Alessandro Gisotti: 

“E’ bello veder rispecchiato nel volto il mistero di ciascuno e poter leggere quanto Cristo vi ha scritto”. Papa Francesco ha sintetizzato così la bellezza e la gioia dell’incontro fraterno con i nuovi vescovi. Un’occasione per il Vescovo di Roma di incoraggiare i confratelli all’inizio del cammino di pastori alla guida del gregge loro affidato. Il Papa ha incentrato il suo discorso sull’amore che sempre deve legare il pastore al popolo. Ed ha rammentato che sin dal Concilio di Trento si sottolineava che “quando latita il Pastore o non è reperibile, sono in gioco la cura pastorale e la salvezza delle anime”. Francesco ha, dunque, tracciato un ritratto di come dovrebbe essere un buon pastore. Ed ha messo in guardia da vescovi che sono “contenti in superficie”, ma non cercano lo Spirito in profondità:

“Per favore, non siate Vescovi con scadenza fissata, che hanno bisogno di cambiare sempre indirizzo, come medicine che perdono la capacità di guarire, o come quegli insipidi alimenti che sono da buttare perché oramai resi inutili (cfr Mt 5,13). È importante non bloccare la forza risanatrice che sgorga dall’intimo del dono che avete ricevuto, e questo vi difende dalla tentazione di andare e venire senza meta, perché 'nessun vento è favorevole a chi non sa dove va'”.

“Per abitare pienamente nelle vostre Chiese – ha ripreso – è necessario abitare sempre in Lui e da Lui non scappare: dimorare nella sua Parola, nella sua Eucaristia”:

“Pertanto, non Vescovi spenti o pessimisti, che, poggiati solo su sé stessi e quindi arresi all’oscurità del mondo o rassegnati all’apparente sconfitta del bene, ormai invano gridano che il fortino è assalito. La vostra vocazione non è di essere guardiani di una massa fallita, ma custodi dell’Evangelii gaudium, e pertanto non potete essere privi dell’unica ricchezza che veramente abbiamo da donare e che il mondo non può dare a sé stesso: la gioia dell’amore di Dio”.

Il Papa ha quindi esortato i nuovi vescovi a non lasciarsi “illudere dalla tentazione di cambiare di popolo”:

“Amate il popolo che Dio vi ha dato, anche quando loro avranno 'commesso grandi peccati', senza stancarvi di 'salire dal Signore' per ottenere perdono e un nuovo inizio, anche al prezzo di veder cancellate tante vostre false immagini del volto divino o le fantasie che avete alimentato circa il modo di suscitare la sua comunione con Dio (cfr Es 32,30-31)”.

Papa Francesco ha quindi raccomandato ai nuovi presuli di essere vicini ai sacerdoti. “Ce ne sono tanti – ha affermato – che non cercano più dove Lui abita, o che dimorano in altre latitudini esistenziali, alcuni nei bassifondi”. Altri, “vivono come se non ci fossero più padri o si illudono di non aver bisogno di padri”. Di qui l’esortazione a “trovare spazio” per i propri sacerdoti: “riceverli, accoglierli, ascoltarli, guidarli”. Vorrei vescovi, ha soggiunto, “rintracciabili non per la quantità dei mezzi di comunicazione di cui disponete, ma per lo spazio interiore che offrite per accogliere le persone e i loro concreti bisogni, dando loro l’interezza e la larghezza dell’insegnamento della Chiesa, e non un catalogo di rimpianti”:

“E l’accoglienza sia per tutti senza discriminazione, offrendo la fermezza dell’autorità che fa crescere e la dolcezza della paternità che genera. E, per favore, per favore, non cadete nella tentazione di sacrificare la vostra libertà circondandovi di corti, cordate o cori di consenso, poiché nelle labbra del Vescovo la Chiesa e il mondo hanno il diritto di trovare sempre il Vangelo che rende liberi”.

Francesco ha così rivolto nuovamente l’attenzione al Popolo di Dio. “Questo Popolo – ha detto – ha bisogno della vostra pazienza per curarlo, per farlo crescere”. So bene, ha constatato, “quanto si è reso deserto il nostro tempo”. Per questo serve “la pazienza di Mosè”, “senza paura di morire come esuli, ma consumando fino all’ultima energia vostra non per voi ma per far entrare in Dio coloro che guidate”. “Niente – ha detto il Papa – è più importante che introdurre le persone in Dio!”. Nella parte finale del discorso, il Pontefice ha esortato i vescovi ad essere “le sentinelle, capaci di svegliare” le proprie Chiese, alzandosi “prima dall’alba o in mezzo alla notte per ridestare la fede, la speranza, la carità”. E questo senza lasciarsi “assopire o conformare con il lamento nostalgico di un passato fecondo ma ormai tramontato”. Bisogna scavare ancora nelle “sorgenti, con il coraggio di rimuovere le incrostazioni che hanno coperto la bellezza” e il vigore degli “antenati pellegrini e missionari che hanno impiantato Chiese e creato civiltà”:

“Dialogate con rispetto con le grandi tradizioni nelle quali siete immersi, senza paura di perdervi e senza bisogno di difendere le vostre frontiere, perché l’identità della Chiesa è definita dall’amore di Cristo che non conosce frontiera. Pur custodendo gelosamente la passione per la verità, non sprecate energie per contrapporsi e scontrarsi ma per costruire e amare”.

inizio pagina

Papa a vescovi ivoriani: dialogare con islam per scoraggiare derive violente

◊  

Il vostro Paese ha patito “gravi divisioni”, voi fate “tutta la vostra parte nell'opera di riconciliazione nazionale”. È l’invito che Papa Francesco ha rivolto ai vescovi della Costa d’Avorio, ricevuti in visita ad Limina. Il Papa ha anche esortato i presuli a proseguire il dialogo con i musulmani, così “da scoraggiare – ha detto – ogni deriva violenta e ogni errata interpretazione religiosa del conflitto che avete sperimentato”. Il servizio di Alessandro De Carolis

C’è il sole della speranza, che illumina una Chiesa in crescita. E c’è il “vento contrario” che rende “fragile” la fede di tanti, perché i recenti conflitti che hanno insanguinato il Paese, lo hanno anche diviso e “il particolarismo etnico” ha preso il “sopravvento sulla fraternità evangelica spingendo “molti battezzati, stanchi o delusi”, ad allontanarsi “dalla luce della verità e ad aderire a proposte più facili”.

È la Costa d’Avorio a metà del secondo decennio del 21.mo secolo, secondo Papa Francesco, che la ritrae sulla base delle relazioni dei vescovi locali, incontrati nel Palazzo Apostolico. Il Papa definisce “grande” il lavoro di evangelizzazione svolto nella nazione africana e, come in queste circostanze, le indicazioni pastorali del Papa sono tutte per la cura del clero, l’attenzione agli Istituti religiosi, l’impegno per i laici specialmente se giovani.

Ma l’inizio del discorso consegnato ai presuli è soprattutto uno sguardo al ruolo sociale della Chiesa ivoriana. Avete sofferto molto, riconosce Papa Francesco, e quindi avete bisogno di riscoprire la “fraternità”. Ricostruirla richiede un “grande impegno” e dunque, prosegue, “non posso che invitarvi a fare tutta la vostra parte nell'opera di riconciliazione nazionale”, a patto che – asserisce – rifiutiate “qualsiasi coinvolgimento personale in dispute politiche a scapito del bene comune”.

È “importante – ripete il Papa – mantenere relazioni costruttive con le autorità del proprio Paese, come con le varie componenti della società, in modo da diffondere un vero spirito evangelico di dialogo e collaborazione”. E in ciò “il ruolo della Chiesa – che è apprezzata e ascoltata – può essere fondamentale”. Con “questo stesso spirito”, soggiunge, “vi incoraggio a proseguire il dialogo con i musulmani, in modo da scoraggiare la deriva violenta e qualsiasi errore di interpretazione religiosa del conflitto che avete sperimentato”.

Confronto, “ascolto”, clima di reciproca confidenza. Questo costruisce un cristiano là dove vive. E le ricadute di questo spendersi, assicura Papa Francesco, sono semi che fanno crescere la pianta del bene. Per esempio fra i preti, seguiti – chiede ai vescovi – con “dolcezza”,  “persuasione” e “incoraggiamento” perché è solo con un “presbiterio fraterno e solidale attorno al proprio vescovo, che i sacerdoti – dice il Papa – saranno attaccati alla propria diocesi e portati a servirla come una priorità”, a differenza di quei “molti tentati di andare troppo lontano, a scapito del popolo di Dio e delle esigenze del loro ministero”.

O come fra le famiglie, realtà rese oggi “molto fragili”, ribadisce Papa Francesco, sia dal “processo di secolarizzazione che raggiunge ora la società ivoriana – o a causa dello spostamento delle persone e delle divisioni causate dal conflitto – sia per le proposte, meno esigenti sul piano morale, che sorgono da tutti i lati”. O fra gli anziani molti dei quali, “nonostante la tradizionale mentalità africana che ‘li circonda di una venerazione speciale”, sono ormai – afferma il Papa – soli e abbandonati, giacché la coltivazione del ‘rifiuto’ appare ora nelle vostre società”.

L’ultimo pensiero è in realtà un pensiero sintesi ed è dedicato all’inculturazione, in risposta alle altre “proposte facili” che seducono anche tanti cristiani. “È certamente necessario – sostiene Papa Francesco – approfondire il dialogo con la realtà culturale e religiosa tradizionale al fine di giungere a un’autentica inculturazione della nostra fede, rifiutando senza ambiguità ciò che è contrario, ma accogliendo e portando a compimento ciò che è buono”.

inizio pagina

Il Papa: il coraggio di riconoscersi peccatori apre alla carezza di Gesù

◊  

Il coraggio di riconoscerci peccatori ci apre alla carezza di Gesù, al suo perdono: è quanto ha detto il Papa nella Messa mattutina a Santa Marta. Il servizio di Sergio Centofanti

La liturgia del giorno presenta il Vangelo della peccatrice che lava i piedi di Gesù con le sue lacrime e li cosparge di profumo asciugandoli con i capelli. Gesù è invitato a casa da un fariseo, “una persona di un certo livello, di cultura” – afferma il Papa - che “voleva sentire Gesù”, la sua dottrina, saperne di più. E giudica dentro di sé sia la peccatrice, sia Gesù perché se “fosse un profeta saprebbe chi è e di quale genere è la donna che lo tocca”. “Non era cattivo”, ma “non riesce a capire quel gesto della donna”:

“Non riesce a capire i gesti elementari: i gesti elementari della gente. Forse quest’uomo aveva dimenticato come si carezza un bambino, come si consola una nonna. Nelle sue teorie, nei suoi pensieri, nella sua vita di governo – perché forse era un consigliere dei farisei – aveva dimenticato i gesti elementari della vita, i primi gesti che noi tutti, appena nati, abbiamo incominciato a ricevere dai nostri genitori”.

Gesù – sottolinea Papa Francesco – rimprovera il fariseo “con umiltà e tenerezza”: “la sua pazienza, il suo amore, la voglia di salvare tutti” lo porta a spiegargli cosa ha fatto la donna e quali gesti di cortesia non ha fatto lui. E tra il mormorio scandalizzato di tutti dice alla donna: “I tuoi peccati sono perdonati!”. “Vai in pace, la tua fede ti ha salvata!”:

“La parola salvezza – ‘La tua fede ti ha salvata’ – la dice soltanto alla donna, che è una peccatrice. E lo dice perché lei è riuscita a piangere i suoi peccati, a confessare i suoi peccati, a dire ‘io sono una peccatrice’, a dirlo a se stessa. Non la dice a quella gente, che non era cattiva: loro si credevano non peccatori. I peccatori erano gli altri: i pubblicani, le prostitute… Questi erano i peccatori. Gesù dice questa parola – ‘Tu sei salvo, tu sei salva, ti sei salvata’- solamente a chi sa aprire il cuore e riconoscersi peccatore. La salvezza soltanto entra nel cuore quando noi apriamo il cuore nella verità dei nostri peccati”.

“Il posto privilegiato dell’incontro con Gesù Cristo – ricorda il Papa - sono i propri peccati”. Sembra una “eresia questa - osserva - ma lo diceva anche San Paolo” che si vantava di due cose soltanto: dei suoi peccati e di Cristo Risorto che lo ha salvato:

“E per questo riconoscere i propri peccati, riconoscere la nostra miseria, riconoscere quello che noi siamo e quello che noi siamo capaci di fare o abbiamo fatto è proprio la porta che si apre alla carezza di Gesù, al perdono di Gesù, alla Parola di Gesù ‘Vai in pace, la tua fede ti salva!’, perché sei stato coraggioso, sei stata coraggiosa ad aprire il tuo cuore a Colui che soltanto può salvarti”.

Gesù dice agli ipocriti: “le prostitute e i pubblicani vi precederanno nel Regno dei Cieli”. “E’ forte questo!” – conclude il Papa – perché quanti si sentono peccatori “aprono il loro cuore nella confessione dei peccati, all’incontro con Gesù, che ha dato il sangue per tutti noi”.

inizio pagina

Francesco in Albania: forte incoraggiamento a integrazione europea

◊  

Fervono gli ultimi preparativi a Tirana, in Albania, per la visita che Papa Francesco compirà domenica prossima, 21 settembre. Tra i momenti principali, la Messa in Piazza Madre Teresa alle 10.00 e nel pomeriggio gli incontri con i leader di altre religioni e confessioni cristiane e con il clero e i laici cattolici. Jean-Baptiste Cocagne ha intervistato don Gjergj Meta, responsabile della comunicazione per la visita del Papa: 

R. - La visita del Papa è particolarmente attesa qui da tutte le componenti della società albanese, non solo dai cattolici ma anche da altre persone di fede musulmana o ortodossa. Anche il mondo politico e civile sta aspettando questa visita del Papa. È certamente una visita che ha come motivo quello di incoraggiare un popolo che ha sofferto, ma anche di incoraggiare ancora di più la cultura dell’incontro tra le diverse religioni ma anche tra le diverse culture. Inoltre, questa visita è importante perché l’Albania è il primo Paese europeo che il Papa visita: è un segnale forte, un incoraggiamento per rafforzare i nostri passi verso l’integrazione europea del Paese. Perciò c’è molta attesa da parte di tutti.

D. - È la seconda visita di un Papa a Tirana. C’è il ricordo della visita di Giovanni Paolo II del ’93 …

R. - Sì. Molte persone ricordano questa visita. Ultimamente ho ricevuto la lettera di una mia amica che mi diceva: “ Senti, don Gjorgj, sarà possibile per mia figlia incontrare il Papa? Perché io ho incontrato Giovanni Paolo II quando ero piccola” - sono passati 20 anni da allora ed ora questa mia amica è mamma - “ adesso vorrei che mia figlia incontrasse il Papa, perché per me quell’incontro è stata una benedizione. Adesso vorrei che fosse lo stesso anche per mia figlia”. Non so se questo sarà possibile - probabilmente no - però ecco tra le persone che hanno incontrato Giovanni Paolo II c’è questo desiderio di rivivere quello che hanno vissuto come un momento di grazia; vorrebbero che si ripetesse questo momento che sicuramente sarà un momento di grazia.

inizio pagina

Mons. Anthony Colin Fisher è il nuovo arcivescovo di Sydney

◊  

Il Papa ha nominato arcivescovo metropolita di Sydney, in Australia, mons. Anthony Colin Fisher, domenicano, finora vescovo di Parramatta. Mons. Fisher è nato a Sydney il 10 marzo 1960. Dopo gli studi secondari al “St. Ignatius College”a Sydney, ha conseguito il Baccellierato in diritto nel 1984 presso l’Università di Sydney e ha lavorato per un gruppo di avvocati. All’età di 25 anni è entrato nell’Ordine dei Predicatori e si è trasferito a Melbourne, dove ha fatto gli studi di teologia presso la “Yarra Theological Union”. Ha emesso i voti perpetui il 18 febbraio 1987 ed è stato ordinato sacerdote il 14 settembre 1991. Subito dopo è stato inviato all’Università di Oxford, dove ha conseguito il Dottorato in filosofia nel 1995.

Al suo ritorno in Australia, ha operato nella Casa provinciale dei Domenicani a Melbourne, insegnando allo stesso tempo nell’“Australian Catholic University”. Nel 1999 è stato nominato maestro dei Novizi dell’Ordine. Nel 2000, ha fondato il “John Paul II Institute for Marriage and the Family” a Melbourne, e ne è stato nominato primo direttore. Dopo è stato nominato membro della Pontificia Accademia per la Vita. Dal 1997 al 2010 è stato vicario episcopale per “Life and Health Care”, prima a Melbourne e poi a Sydney. E’ stato cappellano del Parlamento dello Stato di Victoria dal 1997 al 2000. È stato nominato vescovo titolare di Buruni il 16 luglio 2003 come ausiliare di Sydney, e consacrato il 3 settembre del medesimo anno.

Mons. Fisher si è impegnato come coordinatore per la preparazione e lo svolgimento della Giornata Mondiale della Gioventù (Sydney 2008). L’8 gennaio 2010 è stato nominato vescovo di Parramatta. Attualmente, mons. Fisher è presidente del “Catholic Education Commission of New South Wales”. Nella Conferenza Episcopale dell’Australia, è il “delegate for youth” e membro dei Comitati: “Bishops Commission for Doctrine and Morals”; “Bishops Commission for Health and Community Services”; “Bishop’s Commission for Pastoral Life” e presidente del “Bishops’ Euthanasia Task Force”.

inizio pagina

Tweet del Papa: “Maria, donaci la grazia di essere gioiosi nella libertà dei figli di Dio”

◊  

“Maria, donaci la grazia di essere gioiosi nella libertà dei figli di Dio”. E’ il tweet pubblicato da Papa Francesco sul suo account @Pontifex, seguito da oltre 15 milioni di follower.

inizio pagina

Il card. Maradiaga: anche i poveri hanno diritto a formare una famiglia

◊  

L’impatto della crisi economica e sociale sulle famiglie. Le sfide pastorali di fronte alla precarietà dei sentimenti che minaccia il tessuto familiare. Sono stati alcuni dei temi al centro del Seminario internazionale “La famiglia una risorsa per superare la crisi”, apertosi oggi a Roma e promosso da Caritas Internationalis e dal Pontificio Consiglio per la Famiglia. Il servizio di Amedeo Lomonaco: 

Un’economia non può definirsi moderna se concentra le ricchezze, se produce disoccupazione, se divide l’umanità tra “inclusi ed esclusi”. La vera sfida, ha detto il cardinale Oscar Maradiaga, presidente di Caritas Internationalis, è di rifondare insieme con le famiglie e sui valori evangelici “un’economia e una società veramente orientate al bene comune”:

R. – Uno dei punti è cosa fare per aiutare i giovani che vogliono costituire una famiglia: se non hanno possibilità di uscire da una povertà estrema, non potremo avere famiglie sane. E’ necessario che ci preoccupiamo dei poveri nel tema della famiglia. Anche loro hanno diritto a formare una famiglia. Anche loro hanno diritto ad avere le condizioni necessarie per guardare al futuro con speranza e non semplicemente come un sopravvivere.

D. – E oggi, per le famiglie, è sempre più difficile trovare delle risposte che consentano di guadare con maggiore serenità al futuro…

R. – Come possiamo raccomandare ai giovani di sposarsi se non hanno casa e neppure una possibilità di avere una casa, date le condizioni economiche attuali? Il bene comune vuol dire favorire il futuro dei giovani, perché possano formare famiglie, perché possano vivere con una qualità di vita. La qualità di vita non è soltanto considerare tutto quello che offre la società consumistica, ma offrire veramente le condizioni perché ogni persona possa vivere con dignità.

Deve essere valorizzata – ha aggiunto mons. Vincenzo Paglia, presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia – la dimensione della povertà intesa come sobrietà ma, soprattutto, “come libertà dalla schiavitù del consumo”:

R. – Il non essere schiavi dell’iperconsumismo, delineare una vita più sobria. Tutto questo è un valore che va riscoperto, perché aiuta il mondo ad essere più umano. Noi cristiani dobbiamo riscoprire quella spesso dimenticata frase di Gesù: “C’è più gioia nel dare che nel ricevere”.

D. – E alla fragilità economica si aggiunge la vulnerabilità dei sentimenti: le famiglie faticano a restare unite…

R. – Le famiglie ferite hanno bisogno del sostegno delle famiglie più sane. Io credo che la parabola del Buon Samaritano sia il paradigma della Chiesa di oggi ma, direi, della vita di chiunque. Non a caso, il samaritano non era un credente. Spesso, i credenti come quel prete o quel sacrestano, guardano, vedono, e passano oltre: dobbiamo fermarci, stare accanto a tutte le famiglie messe ai margini della vita per aiutarle. C’è bisogno prima di trovare un po’ di olio e vino, poi delle bende e poi – siccome nessuno di noi è il “Nembo Kid”, delle soluzioni – c’è bisogno di chiedere aiuto alla comunità, sia civile sia religiosa.

inizio pagina

Mons. Tomasi: diritti dei popoli indigeni ancora violati

◊  

Le iniziative a favore dei popoli indigeni siano sempre “ispirate e guidate dal principio del rispetto” delle loro identità e cultura, con particolare riguardo alle specifiche tradizioni, anche religiose, e alla capacità di decidere del proprio sviluppo in collaborazione con i governi nazionali. È l’esortazione dell’arcivescovo Silvano Maria Tomasi, osservatore permanente della Santa Sede agli uffici Onu di Ginevra, intervenuto alla 27.ma sessione del Consiglio dei diritti umani. Il servizio di Giada Aquilino

“I diritti umani e le libertà fondamentali dei popoli indigeni continuano purtroppo ad essere violati”. L’arcivescovo Tomasi interviene a Ginevra facendo il quadro delle condizioni di 370 milioni di indigeni in 90 Paesi del modo e, basandosi su dati e studi Onu, parla di “discriminazione sistematica” ed “esclusione dal potere politico ed economico”, ma anche di una “mancanza di un adeguato accesso alla giustizia”, come pure di povertà, analfabetismo e indigenza. L’osservatore permanente denuncia il gran numero di sfollati a causa di guerre e disastri ambientali e “molestie, persecuzioni, rappresaglie”, addirittura uccisioni di “difensori dei diritti umani degli indigeni”. Di conseguenza, prosegue, “lo sviluppo completo è in ritardo, se non negato”.

Un esempio particolare sono i rapporti tra le imprese industriali e compagnie trans- nazionali e le popolazioni indigene. Le Nazioni Unite, ricorda mons. Tomasi, mettono in evidenza “conseguenze negative, anche devastanti, per i popoli indigeni causate dalle industrie estrattive”: al di là del vantaggio economico, andrebbero adottati “modelli di sviluppo autentico” che non vadano a violare i diritti dei popoli indigeni, incoraggiando “un uso responsabile dell'ambiente”.

Da “definire e proteggere” anche le merci prodotte dalle popolazioni indigene, affinché non vengano “utilizzate da chiunque, senza tener conto degli interessi e dei diritti delle comunità” stesse. Le leggi sulla proprietà intellettuale e del lavoro, purtroppo, non hanno ancora fornito garanzie sufficienti “per tutelare tali prodotti”.

Anche in vista della Conferenza mondiale sui popoli indigeni, il 22 e 23 settembre prossimi al Palazzo di Vetro di New York, la Santa Sede - da sempre impegnata sul tema - auspica l’inclusione diretta di queste popolazioni “nei processi decisionali relativi alla gestione delle risorse naturali nei loro territori”, esortando “l'eliminazione di ogni tentativo di emarginare le popolazioni indigene”. Ciò significa “rispettare” le loro proprietà e i relativi accordi, soddisfare le loro esigenze sociali, sanitarie e culturali, sollecitare quindi una “riconciliazione tra i popoli indigeni e le società in cui vivono”. Su questi aspetti, ascoltiamo l’arcivescovo Silvano Maria Tomasi:

R. – Si parla di oltre 370 milioni di persone di 90 Paesi diversi che vengono considerate, ‘catalogate’ come popolazioni indigene. Dalla prospettiva della Dottrina Sociale della Chiesa, a queste persone si deve riconoscere la loro identità come comunità umana, rispettare le loro tradizioni e le loro scelte, quindi riconoscere anche che hanno diritto di vivere nel territorio in cui da sempre sono presenti. C’è una volontà da parte della Comunità internazionale di affrontare con maggior efficacia questa situazione, alle volte, anche di discriminazione delle comunità indigene: ad esempio, fra poco ci sarà a New York la Conferenza mondiale sui popoli, che cercherà di legittimare, oltre che far conoscere, le pratiche più efficienti e più rispettose dell’identità di queste popolazioni, in modo da poter accelerare il benessere, la crescita umana, ma anche umana e spirituale di queste persone.

D. – Secondo l’Onu, lei ha detto, i diritti umani e le libertà fondamentali dei popoli indigeni continuano ad essere violati: come?

R. – Nei territori dove vivono queste comunità indigene, abbiamo per esempio corporazioni trans-nazionali che entrano per utilizzare le miniere, per estrarre materiali utili e preziosi oppure per sfruttare certe caratteristiche locali, di piante e di conoscenze, che vengono poi messe sul mercato senza che siano rispettate le esigenze ecologiche del territorio o ancora i diritti di queste comunità, che da sempre hanno avuto uso di certe tradizioni folkloristiche o di certe utilizzazioni delle risorse naturali: adesso dovrebbero essere riconosciuti anche degli interessi monetari, perché sono prodotti e iniziative culturali tipiche di queste popolazioni.

D. – Quindi si può affermare che lo sviluppo completo di queste popolazioni è in ritardo, se non negato?

R. – Le popolazioni indigene devono essere sostenute nel loro cammino di sviluppo umano ed economico, perché spesso sono un po’ ai margini della società e vengono dimenticate dagli Stati o dai governi. L’incoraggiamento che si sta dando - attraverso varie iniziative, come la Dichiarazione sui diritti delle popolazioni indigene del 2010 o la Conferenza mondiale che sta per cominciare - è quello di mettere sotto i riflettori internazionali le esigenze di queste popolazioni: non solo facilitare il loro progresso, ma anche aprire la strada a una riconciliazione tra la maggioranza della popolazione, le autorità dello Stato e questi gruppi, in modo che – assieme – si possano raggiungere degli obiettivi di convivenza serena e costruttiva. La Santa Sede si è pronunciata, appunto, in questo senso, affinché ci sia un cammino di progresso e di sviluppo che sia in convergenza e non in conflitto tra i popoli indigeni e il resto della popolazione nazionale.

inizio pagina

Scuola sulle migrazioni. Bentoglio: immigrati irregolari, non clandestini

◊  

Negli ultimi anni, numerose sono state le iniziative formative dedicate al fenomeno epocale delle migrazioni internazionali: in questo quadro, la Summer School “Mobilità umana e giustizia globale”, in corso a Lecce, promossa dall’Università Cattolica del Sacro Cuore e dallo Scalabrini International Migration Institute (Simi) della Pontificia Università Urbaniana, si caratterizza per un “riposizionamento” di prospettiva. Essa colloca l’analisi dei processi di mobilità umana all’interno di una riflessione che rinvia anche alla questione della giustizia globale e le sue implicazioni economiche, politiche, sociali, culturali ed etiche. Gabriele Beltrami ne ha parlato con Laura Zanfrini, ordinario di Sociologia della convivenza interetnica (Università Cattolica), quindi con padre Fabio Baggio, preside del Simi e con mons. Gabriele Bentoglio, sottosegretario del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti, presenti all’evento: 

R. – Con questa scuola abbiamo voluto proprio fare questo: sprovincializzare il modo attraverso il quale di solito si guarda l’immigrazione, come fosse un’emergenza, una catastrofe o qualcosa che è capitato di punto in bianco alla società italiana, trovandola sostanzialmente impreparata. Prendere, quindi, un attimo le distanze dalle questioni di più stringente attualità che naturalmente restano sullo sfondo della nostra riflessione; abituare i giovani, ma non solo i giovani, perché la nostra è un’offerta formativa che si rivolge sia agli studenti, sia agli operatori, agli insegnanti, a tante persone che a vario titolo sono coinvolte da questi fenomeni, abituarli appunto a vedere nell’immigrazione un’occasione per capire meglio, comprendere e affrontare i grandi processi di trasformazione della nostra società, in tutte le loro implicazioni, e saperle appunto raccogliere come una sfida, in qualche maniera profetica, per progettare quello che sarà il nostro futuro.

D. - Padre Fabio Baggio, questa quinta edizione della scuola ha per tema le parole che la società e le istituzioni, i media e la gente comune, e gli stessi migranti utilizzano per definire, rappresentare e comunicare il fenomeno dell’immigrazione: quali sono i nodi da sciogliere?

R. – Abbiamo notato negli ultimi anni, a partire da tutta questa esperienza degli arrivi, degli sbarchi, l’utilizzo molto vago, confuso, di alcuni termini come “migrante”, “profugo”, “rifugiato” e “richiedente asilo”. Molte volte questo utilizzo è finito sui mezzi di comunicazione, sui giornali, sulle televisioni e ha prodotto molta confusione nella testa delle persone, pensando che ci fosse quasi un’invasione di milioni di persone pronte a sbarcare e a invadere quel poco di bene comune, di welfare, che si è creato in Italia e in Europa. Immagino che l’utilizzo delle parole, l’utilizzo dei termini, la chiarezza anche nell’espressione diventi molto più importante anche nei numeri. In questo senso, questa edizione della Summer School ha voluto concentrarsi proprio su questo concetto: la chiarezza dei termini, la chiarezza delle parole, l’utilizzo delle parole. Le parole contano moltissimo, quando vogliono stigmatizzare, codificare, discriminare un gruppo rispetto ad un altro. Ed è proprio quello che abbiamo voluto mettere in evidenza in questa scuola.

D. - Mons. Gabriele Bentoglio, come il linguaggio del Magistero su questo tema e la testimonianza di Papa Francesco possono contribuire su questo argomento?

R. – In tema di mobilità umana e in particolare di immigrazioni, il linguaggio del Magistero e il linguaggio e i gesti che Papa Francesco sta ponendo in atto, mi pare innanzitutto siano attenti a rispettare la persona umana, la persona nella sua dignità, nella centralità e nella tutela, appunto, della priorità che la persona umana ha, creata a immagine e somiglianza di Dio. Questo significa che la persona umana è aiutata e sostenuta attraverso il linguaggio della Chiesa ad un incontro anzitutto con Dio. E’, nella misura in cui si rapporta a Dio che la persona umana incontra se stessa, e incontrando se stessa incontra il prossimo. Il linguaggio della Chiesa gira attorno a questo grande messaggio: l’incontro, il dialogo, la cultura che evita lo scarto e promuove la persona umana è appunto un incontro con se stessi, con Dio e con il prossimo. Questo si fa attraverso alcuni esempi che in questi giorni sto ponendo qui alla Summer School, che si sta svolgendo a Rocca di Melendugno. Il primo esempio potrebbe essere quello di evitare alcune espressioni che sono fuorvianti, ambigue o addirittura negative. La Chiesa, per esempio, preferisce evitare il termine “clandestino”, sostituendolo con il termine “migrante irregolare”, perché il clandestino dà già l’idea che ci sia un’equazione tra migrante e criminale, mentre nel caso del migrante irregolare si tratta di una persona che non ha le carte in regola; appunto, lo dice bene il linguaggio. Un altro termine che la Chiesa cerca di evitare, per privilegiarne un altro, è quello di “assimilazione”. Nel campo dell’immigrazione l’assimilazione pretende l’eliminazione delle differenze, in nome di una uniformità che elimina invece la varietà, le diversità, per creare quella unità che è comunione delle differenze, il rispetto delle diversità nella ricerca di ciò che è comune, di ciò che unisce. La Chiesa privilegia altre forme di linguaggio di questo genere, sempre tenendo conto di questo grande principio: il rispetto della centralità e della dignità della persona umana, in modo da far sì che possa incontrare Dio, incontrare se stessi, incontrare il prossimo.

inizio pagina

Cortile dei Gentili “Sul tempo”: Ravasi incontra Gino Paoli

◊  

“Sul tempo”: si dibatterà nel prossimo Cortile dei Gentili, in programma a Bologna dal 26 al 28 settembre, organizzato dal Pontificio Consiglio della Cultura, in collaborazione con l’Università di Bologna Alma Mater Studiorum. L’evento è stato presentato, nella sala stampa vaticana, dal cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del dicastero promotore, insieme al prof. Ivano Dionigi, rettore dell’Ateneo bolognese. Il servizio di Roberta Gisotti: 

Ad aprire la tre giorni, venerdì al pomeriggio nell’Aula Magna dell’Università di Bologna, sarà un incontro “sorprendente” – ha esordito il cardinale Ravasi – chiamato a dialogare – “sarà una scoperta” ha detto - con il cantautore Gino Paoli. Sabato si entrerà quindi nel vivo del tema per “interrogare il tempo”, dall’antichità ad oggi, coniugato nei vari ambiti del sapere con il contributo di intellettuali e scienziati. In serata l'incontro nella Basilica di San Petronio aperto dal saluto del cardinale Carlo Caffarra. Ma perché si è voluto parlare del tempo dal punto di vista religioso? Lo ha spiegato il cardinale Gianfranco Ravasi:

“Il titolo che è stato dato è 'Il tempo, casa di Dio', perché gioca su un elemento veramente suggestivo che è nel Secondo Libro di Samuele, dove Davide vuole costruire il tempio, e il suo profeta dice: 'Non sarai tu – dice Dio – che costruirai una casa a me (casa-spazio) ma sarò io che costruirò una bait (una casa) a te'. E che cosa vuol dire 'bait' anche? Casato. Casato è la dinastia davidica, il sionismo... E’ squisitamente il tempo. E questo è veramente significativo, perché il tempo è la realtà in assoluto più umana: lo spazio è una pelle esterna, il tempo è dentro di noi”.

Ad illustrare il programma, il prof. Dionigi, che ha evidenziato la grande attesa per la prima esposizione pubblica prevista alla domenica, del Rotolo della Torah, il più antico al mondo per integrità, datato al XII secolo, scoperto nel 2013, nella Biblioteca universitaria di Bologna, da Mauro Pirani ordinario di Ebraico. Questo riflettere sul tempo sarà un’occasione preziosa per credenti e non credenti, ha concluso il prof. Ivano Dionigi:

“E’ un banco di prova, proprio un bel test per credenti o non credenti. Io amo dire che ‘credente’ è il participio presente del verbo credere, perché uno può aver creduto e non credere più; non credere e credere domani: credente, participio presente, non è una assicurazione. Come a dire che la ricerca continua: meglio accorgersi e forse, solo alla fine, se siamo stati credenti o non credenti".

Infine p. Laurent Mazas, direttore esecutivo del Cortile dei Gentili, ha segnalato la premiazione del Concorso rivolto agli studenti delle scuole italiane, che si terrà al MAXXI-Museo Nazionale delle Arti del XXI secolo di Roma, il 30 settembre.

inizio pagina

Oggi su "L'Osservatore Romano"

◊  

In prima pagina, in apertura, “Vescovi senza frontiere”; ai nuovi presuli ordinati nel corso dell’anno il Papa ha ricorda che ogni riforma autentica della Chiesa comincia dalla presenza, e ai pastori della Costa d’Avorio raccomanda dialogo e collaborazione per scoraggiare derive violente.

È il tema centrale del discorso che giovedì 18 settembre, Papa Bergoglio ha rivolto ai presuli nominati nell’ultimo anno, impegnati in un corso di formazione promosso dalle Congregazioni per i vescovi e per le Chiese orientali. Non servono – ha ribadito il Papa - pastori latitanti o a scadenza, che non amano il popolo e si circondano di corti e cordate.

Di spalla, “Obama prepara i raid in Siria, cresce l’allarme terrorismo negli Stati Uniti; sotto, un articolo dedicato all'ennesimo attacco di Boko Haram in Nigeria, che stavolta ha colpito un campus universitario, uccidendo quindici persone.

A pagina due, “Sfida all’ultimo voto in Scozia”, alle urne per il referendum sulla secessione.

Nelle pagine della cultura, "La compagnia della bellezza" di Gualtiero Bassetti; “Per vivere al livello del cuore” di Jean Vanier, il fondatore della comunità dell’Arca, e “Porte aperte. Evangelizzazione e accoglienza” di Rino Fisichella.

In ultima pagina, l’incontro del Papa con una delegazione del World Jewish Congress che si è svolto mercoledì 17 settembre, nella Casa Santa Marta, in attesa del Rosh Hashanah, il capodanno ebraico, che cade il 24 settembre.

inizio pagina

Oggi in Primo Piano



Scozia: referendum sull'indipendenza

◊  

Gli scozzesi votano per il referendum sull’indipendenza. Secondo gli ultimissimi sondaggi il ‘no’ dovrebbe essere in leggero vantaggio, ma il divario tra gli indipendentisti e gli unionisti è troppo ridotto per poter preannunciare un vincitore. Da Edimburgo, Giovanni Vale: 

E’ in un clima rilassato ma carico di attese che il voto sul referendum si sta svolgendo ad Edimburgo e in tutta la Scozia. Nella capitale, il fronte del ‘sì’ e del ‘no’ sono ancora fianco a fianco fuori dagli uffici elettorali. Gli attivisti distribuiscono volantini e sperano di convertire gli ultimi elettori indecisi… La legge britannica non prevede, infatti, alcun silenzio elettorale. I rapporti tra gli indipendentisti e gli unionisti restano cordiali. Ma la sensazione è quella di una giornata storica per il Paese. Il leader indipendentista e primo ministro scozzese, Alex Salmond, ha votato questa mattina nella sua città natale, a Strichen. All’uscita dall’ufficio elettorale ha dichiarato che il Paese è “nelle mani del popolo scozzese”. Alistair Darling, il portavoce della campagna unionista intitolata "Better Together", ha votato attorno alle undici a Edimburgo, così come l’ex primo ministro britannico, Gordon Brown. Sono più di 4 milioni gli scozzesi chiamati alle urne fino alle 22 di stasera. Più di 700 000 elettori hanno invece già votato per posta. In generale, il 97% degli aventi diritto al voto si è iscritto per partecipare a questo referendum che potrebbe rivoluzionare l’aspetto del Regno Unito.

inizio pagina

Obama: 40 Paesi coalizzati contro lo Stato Islamico

◊  

La comunità internazionale pronta a coalizzarsi contro lo Stato Islamico (Is). Gli Stati Uniti in particolare sono pronti ad una nuova fase dell'offensiva contro i terroristi. “Oltre 40 Paesi sono con noi”, ha annunciato il presidente americano, Barack Obama, spiegando che “non ci sono minacce specifiche verso gli Usa”, mentre ieri sul web i jihadisti hanno diffuso l’invito ad attaccare Times Square e altri obiettivi in America. Sulla possibile offensiva contro il gruppo che sta terrorizzando il mondo, Giancarlo La Vella ha intervistato Arduino Paniccia, docente di Studi strategici e direttore della Scuola di competizione economica di Venezia: 

R. – Certamente, la situazione è molto diversa dal conflitto con al Qaeda e con gli altri gruppi terroristici del passato. Qui, ci troviamo di fronte a un’organizzazione che ha riflettuto, studiato ed elaborato non solo delle nuove strategie, ma anche tattiche e operatività, nel senso che le forze dello Stato Islamico stanno concentrandosi e non allargandosi come aveva fatto al Qaeda: stanno quindi definendo un territorio nel quale operare; hanno messo in piedi delle strutture che assomigliano a quelle di un vero e proprio Stato, comprese addirittura quelle fiscali e finanziarie. Quindi, non stanno vivendo di finanziamenti nascosti attraverso dei canali clandestini, stanno invece sostanzialmente contrabbandando petrolio a prezzi bassissimi, attraverso degli intermediari dell’area.

D. – Un nemico che utilizza strategie anche comunicative del tutto nuove, sofisticate, basti vedere l’altissima qualità dei drammatici video che diffondono. Che cosa c’è dietro a tutto questo?

R. – C’è uno studio accurato che evidentemente non può fare solo riferimento alle mere capacità dello Stato Islamico. L’ultimo video propagandistico avrebbe potuto farlo il corpo dei Marines americano con la qualità e addirittura con la frase finale “coming soon”: “arriveremo presto”.

D. – Quaranta Paesi uniti per combattere lo Stato Islamico, secondo quanto detto dal presidente americano Obama. C’è a questo punto un problema anche nel mettere insieme diverse strategie?

R. – Sì, ma anche diversi eserciti e aviazioni: un compito immane. Ma le coalizioni, più che operativamente, hanno la funzione di far capire una cosa, questa sì fondamentale, cioè quella di dare il senso dell’isolamento ai terroristi. Questo è il vero obiettivo delle coalizioni, quasi più ancora di quello militare.

inizio pagina

Ebola: 2622 i morti. Liberia e Sierra Leone a rischio recessione

◊  

Isolamento, coprifuoco, quarantena: gli esperti si interrogano sull’efficacia di questo tipo di misure per lottare contro l’epidemia di Ebola che nei Paesi dell’Africa dell’Ovest non solo ha già provocato, secondo l'Oms, 2.622 morti, ma con la sua espansione rischia di mettere in ginocchio la crescita economica per anni. Intanto, si attende che il Consiglio di Sicurezza dell’Onu si pronunci su un progetto americano destinato a mobilitare i governi contro la propagazione del virus. Il servizio di Gabriella Ceraso

I costi economici di ebola sono dovuti soprattutto al fattore paura. Lo denuncia la Banca Mondiale che cita riflessi concreti. Chiusura luoghi di lavoro, perdita di occupazione, blocco delle attività commerciali e più nel dettaglio corsa all’acquisto di viveri e dunque rialzo dei prezzi. Già in Senegal e Camerun e Costa d’Avorio o in Kenya la crisi ha portato a chiudere le frontiere o a interdire l’accesso di turisti, ma dove come in Liberia da domani scatteranno tre giorni di isolamento per l’intero Paese la situazione può farsi catastrofica. Per la Banca Mondiale, Liberia e Sierra Leone rischiano la recessione. Il parere di Arrigo Pallocchi, docente di storia dell’Africa all’Università di Bologna:

R. - Sono Paesi che escono da conflitti civili molto gravi, in cui un aumento dei tassi di povertà avrebbe effetti devastanti anche sulla tenuta delle istituzioni politiche. Nella gran parte dell’Africa la crescita economica non si è tradotta in posti di lavoro, non si è tradotta in un miglioramento collettivo delle condizioni di vita. Se poi la crescita economica viene meno, la situazione diventa ancora più ingarbugliata. 

E’ urgente un intervento veloce, chiedono gli Stati Uniti, mentre l’Onu e l’Unione europea continuano a pensare agli stanziamenti di denaro, ma forse non basta. Ancora il prof. Pallocchi:

R. – Qui c’è una carenza cronica di fondi e di assistenza allo sviluppo per questi Paesi, per cui l’ebola va ad aggiungersi a tanti altri campi. Anche altri settori, per esempio il processo di ricostruzione in Sierra Leone, il processo di ricostruzione in Liberia, hanno messo in luce una serie di difficoltà, dei colli di bottiglia. La comunità internazionale in questo momento su questi Paesi non ha l’attenzione che dovrebbe avere.

D.- Allora come poter intervenire, date le condizioni particolare di quest’area dell’Africa?

R. - C’è urgenza di un intervento assolutamente mirato per rafforzare quelli che sono i presidi medici. Dall’altra parte, bisogna fare una campagna di grande informazione per evitare gli effetti di panico, che invece non hanno poi ragione di essere.

Intanto oggi sul terreno si registra un nuovo contagio, si tratta di una volontaria francese di "Medici Senza Frontiere" in servizio nella capitale della Liberia.

inizio pagina

Acli: più che l'abolizione dell'art. 18 serve un piano industriale

◊  

Via libera della commissione Lavoro del Senato alla delega sul mercato del lavoro. Voto positivo anche all'emendamento del governo che introduce il contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti e apre la strada a modifiche sull'articolo 18. Il ministro del Lavoro Poletti afferma che non il governo non apporterà modifiche al provvedimento. Alessandro Guarasci ha sentito il presidente Gianni Bottalico

R. – Non sono tanto le regole in questo momento che ci devono appassionare, ma ci deve appassionare il fatto che dobbiamo creare un lavoro e quindi dobbiamo riportare le aziende, quelle che sono andate via, nel nostro Paese, e dobbiamo cercare di far crescere nuove imprese, perché ne abbiamo chiuse tante. Questo Paese ha bisogno di una grande riflessione, di un grande piano industriale per decidere su quale "asset" investire e coerentemente tutti quanti concorrere a questo. Il sistema deve concorrere a questo: il sistema formativo, il sistema della cultura d’impresa, il sistema creditizio.

D. – Mi sembra che il tema della riforma dello Statuto dei lavoratori, non vi appassioni molto?

R. – Noi riteniamo in questo momento che l’art. 18 sia stato l’elemento per l’espulsione dal mondo del lavoro e oggi sia un ostacolo perché si faccia impresa. Credo che i problemi siano ben altri. Credo che in questo momento ci siano date da scrivere nuove regole e altre regole. Parliamo di quali tutele oggi mettiamo in campo per aiutare chi oggi perde il posto di lavoro a ritrovarne un altro. Questa è infatti l’angoscia: non tanto quella di rimanere a lavorare nello stesso posto per 30 anni, come poteva essere prima, ma sapere che nel momento in cui perdo il posto io posso trovarne un altro e che soprattutto c’è un sistema di servizi, pubblico o privato, che mi aiuta a risolvere questo problema.

D. – Un piano, dunque, industriale per l’Italia. Ma, secondo lei, perché il Paese in questo momento è poco attrattivo nei confronti di quelle aziende che potrebbero nascere?

R. – Il tema della giustizia civile in questo momento è uno dei temi che creano questo ostacolo. Il tema creditizio, l’accesso al credito delle banche, è un tema estremamente attuale. Il fatto che questa burocrazia ci impieghi due o tre anni per poter dare la possibilità a qualcuno di impiantare un’impresa è un problema serio. C’è poi un tema vero che è l’aspetto malavitoso. Non dimentichiamo che questo Paese è spaccato in due e c’è un Paese in mano alla malavita. Poi, credo ci sia anche qui un’assunzione di responsabilità da parte degli imprenditori, per incominciare a creare imprenditori che abbiano una cultura d’impresa. Noi veniamo da anni in cui molta classe imprenditoriale ha deciso e ha preferito investire nella finanza, in tutto e subito, invece che investire nel fare e nel produrre cose, prodotti e oggetti.

inizio pagina

Scuole salesiane: rivalutare la formazione professionale

◊  

Valutare per migliorare o valutare per escludere? E’ il titolo del Seminario di Formazione Europea in corso a Roma su iniziativa del Centro Italiano Opere Femminili Salesiane–Formazione Professionale. Al centro dei lavori le prove Invalsi, cioè il sistema di valutazione degli apprendimenti nel sistema educativo che entrano in vigore da quest’anno e che, sostengono gli organizzatori, dovrebbero tener conto della diversità degli indirizzi scolastici scelti dagli allievi. In particolare di chi frequenta i corsi di formazione professionale. Nel corso del Seminario verrà presentato un progetto sperimentale in tal senso, autorizzato dallo stesso Invalsi. Adriana Masotti ha sentito Dario Nìcoli, docente di sociologia economica e del lavoro presso il Dipartimento di Scienze della Formazione della Cattolica di Brescia: 

R. – L’obiettivo generale è quello di definire un modello di valutazione degli apprendimento e del sistema, che sia conforme alla natura della formazione professionale. Però, c’è un altro obiettivo che è quello di far conoscere attraverso la valutazione, il valore della formazione professionale che è attestato da tutte le ricerche.

D. – Perché la necessità di criteri di valutazione specifici per chi frequenta i corsi professionali?

R. – I ragazzi della formazione professionale hanno, come diceva don Bosco, l’intelligenza nelle mani, quindi lo spunto per apprendere i contenuti del sapere, anche quelli teorici, è sempre pratico. Quindi, quando si fanno delle prove standardizzate, nazionali, diciamo inerti, con delle domande, dei problemini che non siano collegati ad un compito concreto che mobiliti i ragazzi, questo penalizza la formazione professionale, perché la padronanza linguistica, matematica e scientifica di questi ragazzi è mobilitata dentro i compiti reali. Sarebbero molto più appropriate prove caratterizzate dalla cultura del tipo di istituto con cui abbiamo a che fare. Quindi, l’Istituto Invalsi è già d’accordo con gli Enti di formazione professionale per elaborare delle prove ad hoc che abbiano la stessa equivalenza formativa di quella unificata ma che sottoponga quesiti, compiti e problemi nella veste del compito reale, nella veste del problema concreto.

D. – Diceva poco fa che i corsi di formazione professionale sono una realtà che funziona, oggi, in Italia….

R. – L’istituzione della formazione professionale ha già dei risultati notevoli, perché è il tipo di formazione che perde meno ragazzi, anzi: li recupera. Ha il tasso di dispersione del 12 per cento contro il 21-22 per cento della media delle scuole; inoltre, ha a che fare con un’utenza difficile, quindi raggiunge questi risultati con un’utenza difficile. Ancora: acquista studenti durante gli studi, cioè si iscrivono passando spesso dalla scuola ragazzi che sono demotivati di là e si sentono più orientati, interessati qua. E poi, nel nostro Paese i corsi brevi sono quelli che garantiscono maggiormente lavoro. E’ quindi un modello che funziona. Stiamo costruendo un sistema di valutazione che rispetti la qualità che già ha la formazione professionale, per farla conoscere e per rendere anche i politici responsabili delle loro decisioni. La Regione Campania, ad esempio, non finanzia corsi di formazione, per motivi ideologici, perché ritiene di dover finanziare solo le scuole, perché questi sono centri di formazione del privato-sociale. Eppure, c’è il Centro Don Bosco di Napoli che lavora con i ragazzi affidati dalla Magistratura, e li recupera! Ma non può fare corsi di formazione professionale successivi alla terza media perché la Regione non li finanzia!

D. – Infatti, sono tanti i centri e le scuole di formazione professionale gestiti da realtà appartenenti al mondo cattolico …

R. – Il 70 per cento della formazione professionale è di origine cattolica. In un tempo in cui c’è una crisi educativa, in cui c’è il problema di demotivazione e di perdita dei ragazzi, possiamo permetterci il lusso di perdere o di depotenziare uno strumento come questo?

D. – Per quanto riguarda la valutazione dell’apprendimento in futuro cambieranno le cose, però…

R. – Sì: diciamo che con una prova non basata sulla letteratura antica ma con una prova basata su un testo con cui i ragazzi hanno maggiore familiarità, la comprensione sarà maggiore. Però, non è questo, il punto. Il punto è che la formazione professionale non riuscirà mai a dare ai ragazzi una preparazione culturale, nel senso delle discipline, simile a quella dell’istituto tecnico. Quello che la formazione professionale fa è di formare un lavoratore capace di svolgere il suo lavoro ed essere cittadino del mondo ed avere una coscienza personale e sociale. Questo è il punto. Cioè: che cosa vogliamo, noi, da questi ragazzi? Vogliamo che sappiano agire in modo responsabile e autonomo nel mondo. Questo è quello che vogliamo.

inizio pagina

Nella Chiesa e nel mondo



Caritas Internationalis: ridare speranza e dignità al Medio Oriente

◊  

L’impegno per “un Medio Oriente aperto a tutte le fedi, dove la dignità e i diritti umani siano rispettati e ognuno possa vivere in pace con il proprio vicino”, ha segnato ieri la conclusione di un incontro organizzato a Roma da Caritas Internationalis.

“Il nostro dovere è dare speranza alle comunità del Medio Oriente” ha detto Michel Roy, segretario generale della federazione cattolica. Costante il riferimento - riferisce l'agenzia Misna - alle conseguenze drammatiche dei conflitti nei Territori occupati palestinesi, in Iraq e in Siria. “I cristiani in Terra Santa – ha detto padre Raed Abusahliah, direttore di Caritas Gerusalemme – vivono sotto l’ombra di Cristo sulla Croce, simbolo della sofferenza in Medio Oriente”.

All’incontro, cominciato lunedì, hanno preso parte i rappresentanti Caritas di tutti i Paesi della regione. Centrale è stata la definizione di strategie e interventi a sostegno della popolazione della Striscia di Gaza, colpita dall’offensiva militare di Israele di luglio e agosto, e di minoranze come quella cristiana e yazida, vittime delle violenze commesse in Iraq e in Siria dai combattenti sunniti dello Stato islamico.

Al termine dei lavori, si riferisce in una nota, “è stato approvato un piano di lungo periodo che si concentra sulla cooperazione interreligiosa, la costruzione della pace a livello comunitario, il rafforzamento delle Caritas nazionali e un lavoro più stretto con la Chiesa e altre associazioni religiose”. (R.P.)

inizio pagina

Myanmar. Mons. Bo: drammatico appello contro la tratta

◊  

In una drammatica e appassionata lettera aperta, mons. Charles Bo, arcivescovo di Yangon, denuncia la triste situazione di molti, in particolare donne e ragazze, vittime del traffico di esseri umani nei paesi confinanti.

“Il Myanmar – scrive monsignor Bo nella lettera ripresa dall'agenzia Misna – ha una deprimente storia di permettere ai suoi figli e figlie di essere sfruttate da ogni nazione del globo. Siamo una nazione di esodo. Un esodo progettato ed eseguito da disastri causati dall’uomo, sei decenni di dittatura spietata che ha prolungato il sottosviluppo. Negli ultimi due decenni, più di tre milioni di persone sono state costrette a rischiare l’ emigrazione. I nostri giovani sono dovuti fuggire dalla povertà, dalla guerra, dalla persecuzione, dalla mancanza di istruzione e dalla mancanza di occupazione.

Nel nostro Paese, i trafficanti di esseri umani hanno un grande business di giovani innocenti. Li hanno venduti come merce, come i lavoratori privi di documenti nelle piantagioni in Malesia, come le domestiche sottopagate e sfruttate nella Thailandia, come oggetti del desiderio nei mercati del sesso della Thailandia e della Cina, come mogli temporanee di ricchi uomini in Paesi vicini, utilizzate come fabbriche per bambini e poi scartate come immondizia. Centinaia tornano a casa con corpi e anime frantumate.

Questo problema ha attirato l’attenzione del governo del Myanmar solo in questi ultimi anni. Le agenzie internazionali hanno accusato il governo di Myanmar di indifferenza verso questo problema, anche accusando singoli funzionari di collusione con il traffico di esseri umani. Gruppi per i diritti civili hanno più volte accusato il governo militare per il lavoro forzato e l’ incapacità di proteggere le frontiere dai trafficanti di esseri umani.

Ciò che ci rende triste, sottolinea l’arcivescovo di Yangon, è l’assenza di forti meccanismi interni che fermino il dilagare di questo traffico. Le ragazze, in particolare dal delta, sono vittime della tratta nelle aree industriali, nelle città di confine, nelle aree minerarie e nelle zone dei casinò e del turismo sessuale.

Il nuovo Myanmar è impegnato su tre fronti : la costruzione dello Stato, la costruzione della nazione e la costruzione della pace. Ci rallegriamo vivamente – sottolinea mons. Bo – per gli sforzi da parte dei soggetti statali e non statali nel trovare un accordo sulle questioni ancora aperte. Ma uno Stato che non può fornire sicurezza umana ai più vulnerabili, garantendo a tutti la dignità di un sostentamento sicuro, l’istruzione di base e un futuro sicuro , sta fallendo. (…) Esortiamo il governo, la società civile e i leader religiosi a intraprendere una guerra contro la minaccia del traffico di esseri umani. I rapporti degli esperti continuano a denunciare che migliaia ragazze sono vendute in Thailandia e in Cina, spesso in schiavitù sessuale. Il governo del Myanmar deve garantire i suoi confini, ottenere dai Paesi confinanti un equo trattamento dei cittadini secondo le linee guida dell’Oil e salvare le ragazze del Paese dall’industria del sesso.

La Cina con la sua politica del figlio unico ha milioni di uomini senza donne. Questo ha prodotto una delle più odiose tratte di esseri umani di questi ultimi tempi. Donne provenienti dalle aree colpite della guerra sono acquistate da trafficanti di esseri umani e vendute alle frontiere cinesi, con la promessa di fornire loro un posto di lavoro. Esse sono trasportate in remoti villaggi cinesi dove gli uomini le abusano, le utilizzano per produrre i bambini senza il loro consenso. Alcune di esse sono rivendute da questi uomini ad altri uomini singoli. Spesso i bambini vengono portati via dalla madri e queste rimandate a mani vuote.

Esorto il governo del Myanmar che ha un esercito permanente di quasi mezzo milione di soldati, di fermare questa pratica il più presto possibile e di riportare a casa tutte le ragazze sposate contro la loro volontà nelle città sul confine cinese. Chiedo inoltre al governo, al fine di garantire dignità ai poveri giovani del Paese di affrontando con urgenza le cause alla radice.

Come Chiesa – conclude mons. Bo - assicuriamo con tutto il cuore la nostra cooperazione agli sforzi del governo per porre fine all’inferno in cui migliaia di nostri giovani innocenti vengono consegnati da mafie senza cuore. Anche Papa Francesco coglie ogni occasione per denunciare le” molte forme abominevoli di schiavitù che persistono nel mondo di oggi “e si è “ unito con i leader di altre grandi tradizioni religiose a promuovere gli ideali di fede e dei valori umani, al fine di sradicare la schiavitù moderna e il traffico di esseri umani”. Lasciate che su questo Paese, abolendo ogni forma di schiavitù moderna, nasca una nuova alba di libertà”. (R.P.)

inizio pagina

Centrafrica. Premiato un Camilliano: ha protetto i musulmani

◊  

Padre Bernard Kinvi, religioso Camilliano, è stato insignito del premio Alison Des Forges, accordato da Human Rights Watch, a chi si è distinto nel difendere i diritti dell’uomo. 

Padre Bernard - riferisce l'agenzia Fides - ha offerto protezione e assistenza a centinaia di musulmani che rischiavano di essere uccisi dalle milizia anti-balaka, nella missione di Bossemptélé nel Nord-Ovest della Repubblica Centrafricana, a 300 Km dalla capitale Bangui.

“Abbiamo fatto la scelta di restare nel gennaio 2014 quando la guerra civile è scoppiata” ha detto il religioso che ricorda che in quanto Camilliano ha fatto voto di soccorre i malati. La scelta di padre Bernard, del suo confratello Brice Patrick e delle suore Carmelitane di Santa Teresa di Torino, non è stata però accettata dalle milizie anti-balaka che hanno proferito minacce di morte nei loro confronti.

“Diversa gente voleva uccidere i musulmani, visti come nemici. Mi sono opposto con forza. Tutta la missione cattolica si è opposta” racconta padre Bernard. Il religioso auspica che il premio conferitogli “serva a far comprendere al mondo intero che in Centrafrica, diversi preti, diversi cristiani e religiosi hanno protetto i musulmani. Per dire che non si tratta di una guerra confessionale ma politica”.

“Questo premio è un appello alla pace e alla riconciliazione. Invito i miei fratelli centrafricani a unirsi per lavorare per la pace e lo sviluppo nel nostro Paese” conclude il religioso. (R.P.)

inizio pagina

Sri Lanka: la Chiesa esulta per Joseph Vaz, proclamato Santo

◊  

“Cosa direste se si realizza un desiderio atteso da 300 anni? Tutta la Chiesa srilankese oggi esulta di gioia. Ringraziamo di cuore Papa Francesco per il dono della canonizzazione di Joseph Vaz, cofondatore della nostra Chiesa”: con queste parole, mons. Vianney Fernando, vescovo di Kandy, esprime all’agenzia Fides, l’immensa soddisfazione dei vescovi e di tutta la comunità cattolica srilankese per la notizia della prossima canonizzazione del Beato Joseph Vaz, comunicata dalla Santa Sede.

“Abbiamo lavorato intensamente e superato tanti ostacoli – afferma – ora siamo semplicemente felici. Speriamo e preghiamo perché la celebrazione possa avvenire durante la visita del Papa in Sri Lanka. La nostra gioia sarebbe perfino raddoppiata”, aggiunge, raccontando che il 14 settembre, la Chiesa locale ha vissuto una speciale giornata di preghiera con questa intenzione.

Il vescovo riferisce a Fides di aver anche condiviso la gioia con il vescovo di Goa, città indiana di cui Vaz era originario. Il Beato Vaz, ha ricordato mons. Fernando, “è stato ispiratore di pace e riconciliazione nei momenti critici attraversati dal Paese, specialmente durante la guerra civile”.

Joseph Vaz, chiamato “l’Apostolo dello Sri Lanka”, è nato a Benaulin (stato indiano di Goa) nel 1651. Ordinato sacerdote nella Congregazione di san Filippo Neri, si reca ben presto in missione in Sri Lanka, dove i calvinisti olandesi avevano lanciato un violenta persecuzione contro i cattolici. Nella sua opera di conforto sotterraneo alla comunità perseguitata, fonderà oltre 15 chiese e 400 cappelle. Preziosa anche la sua traduzione del Vangelo nelle due lingue del Paese: tamil e singalese. Vaz muore a Kandy nel 1711, il 16 gennaio, giorno in cui la sua festa si celebra nel calendario liturgico. È stato beatificato da Giovanni Paolo II il 21 gennaio 1995, durante la sua visita apostolica in Sri Lanka. (R.P.)

inizio pagina

Messico: incontro nazionale della pastorale dei migranti

◊  

"Ascoltare il fratello migrante è ascoltare la voce di Gesù. Quindi la nostra missione è quella di ridare la dignità al migrante. Oggi, l'agente della pastorale, sacerdote, religioso o laico, è chiamato dal Dio Pellegrino a costruire il Regno di giustizia e solidarietà nel mondo della mobilità umana" ha affermano mons. Emilio Carlos Berlie Belaunzarán, arcivescovo di Yucatán, nella Messa di apertura del XV Incontro nazionale sulla Mobilità Umana. L'evento - riporta l'agenzia Fides - si svolge a Yucatán dal 16 al 19 settembre e vede la presenza di diversi vescovi impegnati nella pastorale del migrante.

Dopo la Messa si è tenuta una conferenza stampa per sottolineare i principali punti dell'Incontro: "Vogliamo sostenere ed aiutare i migranti, cosa che facciamo da tempo, ma lo vogliamo fare meglio di fronte alle nuove realtà con le quali si devono confrontare attualmente", ha detto il vescovo ausiliare di Puebla e segretario della Conferenza episcopale del Messico, mons. Eugenio Lira Rugarcía.

Il Messico presenta una situazione di migrazione molto difficile da gestire che negli ultimi tempi coinvolge un numero crescente di bambini. La Chiesa in Messico è forse l’unica istituzione non governativa che assiste e protegge questo gruppo che man mano sta diventando una “popolazione fluttuante” nel Paese. Una popolazione di periferia, ecco perché questo anno, nella preparazione dell'evento, si sono cercati dei contributi sulle riflessioni del "discepolo missionario che porta il Vangelo alle periferie del mondo". (R.P.)

inizio pagina

Vescovi italiani: 22-24 settembre Consiglio permanente

◊  

Con un momento di adorazione eucaristica, inizia alle ore 16 di lunedì 22 settembre la sessione autunnale del Consiglio episcopale permanente della Conferenza episcopale italiana, in programma fino alle 19.30 del 24 settembre.

Dopo la prolusione del card. Angelo Bagnasco, arcivescovo di Genova e presidente della Cei, i lavori si concentreranno innanzitutto sulla preparazione dell’Assemblea Generale straordinaria della Cei (Assisi, 10-13 novembre 2014), dedicata al tema della vita e della formazione permanente dei presbiteri. All’ordine del giorno del Consiglio permanente, un aggiornamento sulla situazione dei cristiani perseguitati, con la concretizzazione degli impegni assunti; l’esame della “Traccia” per la preparazione nelle diocesi del 5° Convegno ecclesiale nazionale (Firenze, 9-13 novembre 2015); le iniziative per l’Anno della vita consacrata, che sarà celebrato nel 2015.

La conferenza stampa del segretario generale, mons. Nunzio Galantino, con la presentazione del Comunicato finale, è fissata per venerdì 26 settembre, alle ore 12, presso la Sala Marconi della Radio Vaticana. (R.P.)

inizio pagina

Editoriale Romasette su nozze gay: sindaco tenta di forzare il diritto

◊  

“Continuano in Campidoglio i tentativi di forzare il diritto a scopo ideologico”. Lo afferma il direttore responsabile della testata on line Romasette.it della diocesi di Roma, Angelo Zema, dopo la dichiarazione di intenti del sindaco di Roma Capitale, Ignazio Marino, di avviare “il processo per il riconoscimento dei matrimoni contratti all’estero, sia di eterosessuali sia di omosessuali, di coppie che si trasferiscono a vivere qui”. Un intento - riporta l'agenzia Sir - che si inserisce nel solco del controverso provvedimento adottato a Bologna (e contestato dal prefetto) e che arriva dopo il “gemellaggio” di Marino con il “Gay Pride” di San Francisco e dopo la sua partecipazione al “Pride” romano.

“Idea-grimaldello, per scardinare la politica e il diritto - sostiene Zema -, è infatti quella di equiparare la trascrizione delle ‘unioni’ omosessuali contratte all’estero con i ‘matrimoni’ ugualmente registrati al di fuori dei confini nazionali, spacciando tale equiparazione come urgenza della città”. Vera urgenza, sottolinea Zema, è invece “il tanto atteso rilancio” di Roma che “ancora non si è visto e le famiglie ne fanno le spese, travolte dalla crisi e dagli aumenti dei costi dei servizi comunali e disorientate da progetti educativi che anziché ‘promuovere le differenze’, come da intenti dichiarati, finiscono per negarle”. (R.P.)

inizio pagina

Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVIII no. 261

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.