Logo 50 Radiogiornale Radio Vaticana
Redazione +390669883674 | +390669883998 | e-mail: sicsegre@vatiradio.va

Sommario del 17/09/2014

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Francesco: la Chiesa è cattolica perché esce verso il mondo

◊  

La Chiesa è universale perché è nata “in uscita”, cioè missionaria, ed è sempre “ancorata” alla “lunga catena” originata dal primo annuncio dei discepoli. Così Papa Francesco ha spiegato alle 50 mila persone presenti all’udienza generale in Piazza San Pietro le due caratteristiche peculiari della Chiesa: l’essere “cattolica” e “apostolica”. Il servizio di Alessandro De Carolis

Se fosse stato un circolo di pochi eletti, non avrebbe avuto una storia di duemila anni e una casa grande quanto il mondo. E invece, grazie all’“effetto-Pentecoste”, è una comunità che parla “tutte le lingue” e la si trova dovunque. Papa Francesco spiega alla folla dell’udienza generale in senso dei due principali appellativi della Chiesa. Il suo essere cattolica, “universale” – creata così dallo Spirito Santo che l’ha resa “missionaria” fin dall’ora zero – e “apostolica”, perché sorretta dalla testimonianza dei dodici Apostoli, primi anelli della lunga catena della fede:

“La Parola di Dio oggi si legge in tutte le lingue, tutti hanno il Vangelo nella propria lingua, per leggerlo. E torno sullo stesso concetto: è sempre buono prendere con noi un Vangelo piccolo, per portarlo in tasca, nella borsa e durante la giornata leggerne un passo. Questo ci fa bene. Il Vangelo è diffuso in tutte le lingue perché la Chiesa, l’annuncio di Gesù Cristo Redentore, è in tutto il mondo”.

Per Papa Francesco, la cattolicità è in sostanza quella porta che un giorno girò sui cardini del Cenacolo e proiettò i discepoli verso l’esterno, verso il mondo:

“Se gli Apostoli fossero rimasti lì nel cenacolo, senza uscire a portare il Vangelo, la Chiesa sarebbe soltanto la Chiesa di quel popolo, di quella città, di quel cenacolo. Ma tutti sono usciti per il mondo, dal momento della nascita della Chiesa, dal momento che è disceso su di loro lo Spirito Santo. E per questo la Chiesa è nata ‘in uscita’, cioè missionaria”.

Dunque, la staticità non appartiene al dna della Chiesa. Gli Apostoli si mettono in viaggio, raggiungono terre lontane, vi fondano “nuove chiese”. E tutti noi, oggi, ricorda Papa Francesco, “siamo in continuità con quel gruppo di Apostoli che ha ricevuto lo Spirito Santo e poi è andato in ‘uscita’, a predicare”:

“È lo Spirito Santo, infatti, a superare ogni resistenza, a vincere la tentazione di chiudersi in sé stessi, tra pochi eletti, e di considerarsi gli unici destinatari della benedizione di Dio. Se ad esempio alcuni cristiani fanno questo e dicono: ‘Noi siamo gli eletti, solo noi’, alla fine muoiono. Muoiono prima nell’anima, poi moriranno nel corpo, perché non hanno vita, non sono capaci di generare vita, altra gente, altri popoli: non sono apostolici”.

Far parte di una Chiesa cattolica e apostolica, allora, significa – dice il Papa – “prendersi a cuore la salvezza di tutta l’umanità, non sentirsi indifferenti o estranei di fronte alla sorte di tanti nostri fratelli, ma aperti e solidali verso di loro”. Vuol dire “essere consapevoli che la nostra fede è ancorata alla “lunga catena” che viene dagli Apostoli e dai loro successori, annunciatori senza confini del Vangelo. E qui, il cuore di Papa Francesco si sofferma sulla “vita eroica” di “tanti, tanti missionari e missionarie che – ripete – hanno lasciato la loro patria per andare ad annunciare il Vangelo in altri Paesi, in altri continenti”.

“Mi diceva un cardinale brasiliano che lavora abbastanza in Amazzonia, che quando lui va in un posto, in un paese o in una città dell’Amazzonia, va sempre al cimitero e lì vede le tombe di questi missionari, sacerdoti, fratelli, suore che sono andati a predicare il Vangelo: apostoli. E lui pensa: tutti questi possono essere canonizzati adesso, hanno lasciato tutto per annunciare Gesù Cristo (...) Ringraziamo il Signore di questo”.

E il grazie si rinnova al momento dei saluti ai gruppi di lingua araba, del Medio Oriente, che il Papa chiama “figli di quelle Terre Sante” e che sprona e essere “sempre, nonostante le difficoltà, portatori coraggiosi e gioiosi del Messaggio della salvezza, della verità e della benedizione”.

inizio pagina

Il Papa: pregate per il mio viaggio in Albania

◊  

Domenica 21 settembre, Papa Francesco si recherà in visita a Tirana, in Albania. Ne ha parlato ai fedeli in Piazza San Pietro al termine dell’udienza generale. Ascoltiamo le sue parole: 

“Domenica prossima, con l’aiuto di Dio, mi recherò in Albania. Ho deciso di visitare questo Paese perché ha tanto sofferto a causa di un terribile regime ateo e ora sta realizzando una pacifica convivenza tra le sue diverse componenti religiose. Fin da ora saluto con affetto il popolo albanese e ringrazio per la preparazione di questa visita. Chiedo a tutti di accompagnarmi con la preghiera, per intercessione della Madonna del Buon Consiglio. Grazie”.

Sulla Chiesa in Albania e le sofferenze subite dai cristiani in tanti anni di comunismo ateo, Jean-Baptiste Cocagne ha intervistato Maia Lucia, piccola sorella di Gesù, che vive a Tirana: 

R. - Occorre sempre ricordare che la Chiesa e i cattolici in Albania hanno subito una persecuzione molto forte, soprattutto durante il regime di Enver Hoxha. Quindi, sono rimasti per quasi 50 anni non solo nel silenzio, ma anche nella paura della persecuzione. In Albania il regime è caduto 23 anni fa, quindi tutto il periodo del Concilio qui è mancato completamente. C’è stato subito un grande fervore: fin dal momento dell’apertura, c’è stato questo legame tra tutti gli albanesi, uniti ai musulmani, agli ortodossi ai cattolici. Nella Chiesa albanese c’è stato questo apporto molto positivo dei missionari che sono venuti da fuori. Un aspetto positivo è che adesso questa presenza di missionari resta. Stanno nascendo presenze di un clero locale e anche e soprattutto un numero sempre più forte di religiosi e religiose locali. Questo certo è un segno di speranza.

D. - C’è una specificità in Albania: la coabitazione tra le diverse religioni, musulmani compresi ad esempio…

R. - Questa è proprio la nostra specificità. Questo noi lo avevamo già nella nostra permanenza in Kosovo, dove abbiamo vissuto questa stessa specificità. Abbiamo abitato prima in un quartiere lontano dalla chiesa - in Kosovo i cattolici erano una piccola minoranza, il quartiere era completamente musulmano - e la cosa chi mi ha colpito arrivando è stata questa apertura e questa coabitazione pacifica nella vita quotidiana. Questo aspetto si vede - questo ce lo dicono anche qui a Tirana le persone anziane - durante le feste: questo andare con facilità, con spontaneità da parte dei cattolici presso le famiglie musulmane per fare gli auguri per la festa di Bajram e viceversa i musulmani venire a fare gli auguri per le feste cristiane. Noi anche qui in questa nostra fraternità di Tirana viviamo questa realtà molto semplice, ma molto positiva di questo scambio, di queste relazioni che si intessono anche intorno alla diversità delle religioni.

D. - Quindi, la visita del Papa è molto attesa qui…

R. - Sì, molto attesa, e penso sarà un incoraggiamento molto importante. Noi, nel nostro quotidiano, sentiamo come anche le persone che sono di altre religioni lo aspettino. L’altro giorno, ad esempio, il signore che vende il pane, o quello che vende la frutta: si sente che c’è un’attesa del popolo albanese. Perché bisogna ricordare che il popolo albanese ha questa specificità: tutti in profondità si sentono albanesi. Quindi, c’è un’attesa veramente tranquilla. La televisione albanese ultimamente ha dato molto spazio in diretta avvenimenti, ai viaggi del Papa. Quindi, Papa Francesco è di casa e sapere che lui viene qui è una grande gioia. Penso che i media abbiano colto e abbiano fatto cogliere la caratteristica di questo Papa: questo suo amore per le periferie, per i piccoli. Penso quindi che sia atteso anche per questo.

inizio pagina

Riunione C9: formulata bozza Introduzione Costituzione

◊  

Si conclude oggi la sesta riunione del Consiglio dei nove cardinali, voluto da Papa Francesco per aiutarlo nel governo della Chiesa e la riforma della Curia romana. Sull’importante riunione di tre giorni, si è tenuto in Sala Stampa un briefing di padre Federico Lombardi. Il servizio di Alessandro Gisotti: 

Il Consiglio dei 9 cardinali ha steso una bozza di Introduzione per la nuova Costituzione apostolica. E’ quanto riferito da padre Federico Lombardi che ha sottolineato come i lavori dell’organismo voluto da Francesco stiano dando i suoi primi frutti dopo una fase di studio e verifica dei dicasteri. Anche in questa riunione, il Papa ha sempre partecipato ai lavori tranne, ovviamente, nel tempo occupato dall’udienza generale. Le considerazioni di questi giorni, ha affermato il portavoce vaticano, si sono concentrate “intorno a due fuochi principali”: il primo comprende “i temi del laicato e della famiglia”; il secondo “i temi della giustizia e della pace, della carità” come anche dei migranti, dell’ecologia e della tutela della vita. Si tratta, ha soggiunto, di capire come strutturare il governo della Chiesa per dare indicazioni e orientamenti su questi temi.

Il cardinale Rodriguez Maradiaga, coordinatore del Consiglio, ha poi detto padre Lombardi, “per dare maggiore speditezza a questa nuova fase dei lavori, ha preparato uno schema complessivo, per facilitare l’organizzazione dei contributi e delle riflessioni già compiute nelle riunioni precedenti e l’integrazione di quelli nuovi”. L’auspicio è che con le prossime riunioni del Consiglio (9-11 dicembre prossimo e 9-11 febbraio 2015) la Bozza della nuova Costituzione “giunga ad uno stadio avanzato di maturazione, così da rendere possibili le ulteriori considerazioni che il Papa voglia compiere”. Padre Federico Lombardi ha quindi annunciato il primo incontro della Commissione varata per la riforma dei media vaticani:

“Questa commissione si riunisce per una prima sessione nei giorni 22-24 della prossima settimana, quindi ha una prima riunione a Santa Marta con la presidenza di Lord Patten e il segretario, mons. Tighe. Si tratta della prima riunione, quindi c’è da mettere sul tavolo le informazioni, le basi di informazione comune su cui poi la Commissione deve lavorare; c’è da elaborare un piano di lavoro e un metodo per lavorare … Quindi è proprio un po’ una riunione costitutiva e di avvio del lavoro della Commissione”.

Il 4 e 5 ottobre, ha aggiunto padre Lombardi, sarà invece la volta della riunione della Commissione voluta dal Papa per la tutela dei minori:

“In concomitanza di questa riunione possiamo aspettarci la precisazione di ulteriori elemento importanti: quindi, la precisazione degli Statuti, di altri membri che si era detto avrebbero dovuto integrare il primo nucleo dei membri, e così via. Quindi ai primi di ottobre sapete che c’è questa nuova riunione della Commissione e che, in quel contesto, avremo anche ulteriori sviluppi di questa istituzione”.

inizio pagina

Presto santi Adelaide Brando e Giuseppe Vaz, apostolo dello Sri Lanka

◊  

Papa Francesco ha ricevuto il cardinale Angelo Amato, prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, autorizzando il dicastero a promulgare i Decreti riguardanti due nuovi santi e due nuovi beati. Il servizio di Sergio Centofanti

I due prossimi santi sono la Beata napoletana Maria Cristina dell’Immacolata Concezione, al secolo Adelaide Brando, fondatrice della Congregazione delle Suore Vittime Espiatrici di Gesù Sacramentato (nata a Napoli il 1° maggio 1856 e morta a Casoria il 20 gennaio 1906), alla cui intercessione è stato riconosciuto un miracolo, e il Beato indiano Giuseppe Vaz, sacerdote dell’Oratorio di San Filippo Neri, fondatore dell’Oratorio della Santa Croce dei Miracoli nella Città di Goa (nato a Benaulin, India, il 21 aprile 1651 e morto a Kandy, Sri Lanka, il 16 gennaio 1711). Il Papa ha approvato i voti favorevoli della sessione ordinaria dei cardinali e vescovi circa la canonizzazione del Beato Vaz. Il Pontefice ha quindi deciso di convocare prossimamente un Concistoro per la canonizzazione dei due beati.

Adelaide Brando promosse fortemente l’adorazione dell’Eucaristia in riparazione dei peccati contro il Sacro Cuore di Gesù nel Santissimo Sacramento: in particolare per le comunioni ricevute in peccato e per le Messe pessimamente ascoltate. Fece costruire a Casoria una cella, chiamata, a imitazione del presepe, “grotticella”. In questo luogo passò ogni notte, seduta su una sedia, a tener compagnia, nella veglia e nel riposo, a Gesù Eucaristia. Dall’adorazione sono nate poi opere caritative ed educative, come orfanotrofi e scuole.

Giuseppe Vaz è stato beatificato da Giovanni Paolo II durante il suo viaggio in Sri Lanka, nel gennaio 1995. E’ stato “un grande prete missionario”, disse allora Papa Wojtyla. Venne in quest’isola in assoluta povertà in un’epoca di persecuzioni. Girava scalzo, come un mendicante con un rosario al collo, guidato dall’unico desiderio di condurre la gente a Cristo. Sopportò privazioni di ogni tipo e fu anche arrestato. Portò clandestinamente il suo aiuto ai cattolici del luogo che tenevano nascosta la loro fede, celebrando per loro la Messa di notte. Tradusse il Vangelo nelle lingue tamil e cingalese. Rifiutò la carica di vicario apostolico per l’isola per rimanere umile missionario.

“La Chiesa oggi – affermò Giovanni Paolo II – ha bisogno più che mai di missionari come questi”, in particolare in Asia, dove “la santità sarà sempre la prima e più efficace forma di insegnare le verità ed i valori del Vangelo” (Omelia di Beatificazione a colombo, 21 gennaio, 1995).

I due prossimi beati sono il Venerabile Servo di Dio Pio Alberto del Corona, dell’Ordine dei Frati Predicatori, arcivescovo titolare di Sardica, vescovo emerito di San Miniato, fondatore della Congregazione delle Suore Domenicane dello Spirito Santo ( nato a Livorno il 5 luglio 1837 e morto a Firenze il 15 agosto 1912) e la Venerabile Serva di Dio Maria Elisabetta Turgeon, fondatrice della Congregazione delle Suore di Nostra Signora del Santo Rosario (nata a Beaumont, Canada, il 7 febbraio 1840 e morta a Rimouski, Canada, il 17 agosto 1881).

inizio pagina

Oggi su "L'Osservatore Romano"

◊  

Tutte le lingue della Chiesa: all’udienza generale Papa Francesco ricorda che l’annuncio del Vangelo è universale.

Un’analisi di Francesco Citterich dal titolo “Se la Scozia sceglie l’indipendenza”: sfida sul filo di lana nel referendum secessionista.

Dimenticando che c’è una storia: Lucetta Scaraffia sui tanti stereotipi in un volume francese su donne e Chiesa.

Non siamo guachos: Jorge Milia spiega come parla Jorge Mario Bergoglio.

Eserciti evoluti e vittime civili: Andrea Possieri su guerre in un mondo globale.

Parabole d’oriente: Silvia Guida su una mostrra fotografica dedicata alle minoranze cristiane.

inizio pagina

Oggi in Primo Piano



Usa pronti a colpire jihadisti anche in Siria

◊  

Nuovi possibili scenari in Iraq e in Siria. Il capo di Stato maggiore americano, il generale Martin Dempsey non esclude un possibile intervento delle truppe di terra in Iraq. Il capo del Pentagono, Chuck Hagel, annuncia operazioni militari anche in Siria. Sono inoltre previsti oggi colloqui del presidente americano, Barack Obama, con i generali statunitensi per pianificare le prossime azioni militari degli Stati Uniti contro i miliziani jihadisti dell'autoproclamato Stato islamico (Is). In Siria, il vescovo di Aleppo, mons. Antoine Audo, lancia l'allarme per i cristiani siriani: "Viviamo - sottolinea il presule - nell'insicurezza totale". Intanto, sembra delinearsi un nuovo asse tra Al Qaeda e jihadisti dell'Is. Il servizio di Amedeo Lomonaco: 

Gli Stati Uniti, dopo aver condotto raid aerei nei pressi di Baghdad per sostenere le forze irachene, sono pronti a compiere operazioni militari anche in Siria. Gli obiettivi, indicati dal capo del Pentagono, sono centri di comando e infrastrutture del cosiddetto Stato islamico. Anche le Nazioni Unite non escludono la via dell’intervento militare. Il segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, si è dichiarato a favore di operazioni decisive contro il terrorismo. “Ma è prematuro – ha aggiunto – parlare di ciò che non è ancora successo”. Ban Ki-moon ha anche elogiato il presidente americano, Barack Obama, per aver costruito una coalizione contro i miliziani islamici. Ma in questo complesso scenario si delinea una nuova alleanza: due gruppi di al Qaeda hanno lanciato un appello ai combattenti jihadisti dell’Is ad unire le forze per combattere contro la coalizione internazionale. Fino ad oggi i rapporti tra Al Qaeda e Stato islamico sono stati conflittuali. Ma il gruppo maghrebino e quello yemenita di Al Qaeda puntano ora alla creazione, in Iraq e in Siria, di un asse contro la coalizione composta dagli Stati Uniti e dai loro alleati.

Due gruppi di Al Qaeda hanno dunque chiesto ai combattenti dell'Is di combattere insieme contro la coalizione internazionale. Amedeo Lomonaco ne ha parlato con Camile Eid, giornalista e scrittore, esperto del mondo arabo: 

R. – Quest’appello è stato sottoscritto da due filiali di al Qaeda, quella del Maghreb islamico e quella della penisola arabica, con base nello Yemen. L’appello non è stato rivolto da Al Zawahiri, che è il capo supremo, riconosciuto da tutte queste filiali. Però rimane significativo un appello di questo tipo, da parte di due gruppi che comunque subiscono scissioni al loro interno; comandi interi che si staccano per raggiungere i ranghi dello Stato islamico, del Califfato.

D. - Si può prevedere come sarà accolto quest’appello dal sedicente Stato islamico?

R. – Come sarà accolto è da vedere perché ultimamente lo Stato islamico e Al Qaeda si sono scambiati critiche, riguardo soprattutto la liberazione dei 45 caschi blu delle Fiji proprio in concomitanza con l’anniversario dell’11 settembre. Le critiche sono state anche severe perché lo Stato islamico contestava la liberazione senza ottenere nulla in cambio. Bisogna vedere se lo Stato islamico acconsente, in nome dell’unità terroristica o jihadista, a trattare alla pari i suoi simili, i suoi rivali o concorrenti.

D. – Quest’appello da parte di due gruppi di Al Qaeda fa anche pensare però che Al Qaeda sia in una posizione di debolezza rispetto allo Stato islamico?

R. – Sì, io la vedo proprio così. In effetti molti gruppi che prima facevano capo ad Al Qaeda, si sono staccati. Una richiesta di questo tipo di aiuto, di un appello all’unità, quantomeno doveva provenire da chi si sente il primo bersaglio dell’offensiva imminente della coalizione internazionale. Quindi doveva provenire dallo Stato islamico, per fare fronte comune a un nemico dell’islam e dei musulmani in generale.

D. - Come è cambiata la mappa jihadista con la nascita dell’autoproclamato Stato islamico?

R. – La nascita dello Stato Islamico, come un gruppo indipendente autonomo mette anche in discussione le leadership di Al Qaeda. E la proclamazione addirittura, da parte dello Stato islamico, di un califfato islamico ha scombussolato completamente il panorama delllo jihadismo internazionale. Quindi abbiamo due poli contrapposti l’uno all’altro, dove chiaramente la posizione di preminenza spetta proprio allo Stato islamico e non più ad Al Qaeda. E questo è dovuto a un fattore molto importante, che è quello della presenza per lo Stato islamico di un territorio geografico sotto il loro controllo, abbastanza vasto, con risorse naturali, gas, petrolio. Al Qaeda invece è un insieme di bande senza fissa dimora. Questi elementi rappresentano la forza dello Stato islamico. Li stanno proprio impiegando completamente.

inizio pagina

Mosca: critiche alla Nato ma rapporti non compromessi con Ue

◊  

Il giorno dopo la firma dell’accordo di partenariato tra Ucraina e Unione Europea, il ministro degli Esteri russo Lavrov lancia accuse alla Nato: l'Alleanza Atlantica – sostiene - spinge il governo filo-occidentale di Kiev a risolvere il conflitto nelle regioni russofone del sud-est con l'uso della forza. Lo fa in un’intervista a Rossiskaia Gazeta e El Pai's in cui però dichiara che Russia e Unione Europea non hanno compromesso i rapporti. "Non si è oltrepassato il punto di non ritorno" – assicura Lavrov - e "la rete di sicurezza creata negli ultimi anni sarà abbastanza forte da permettere non solo di ristabilire lo status quo precedente al conflitto" in Ucraina, "ma anche di andare oltre". Di equilibri tra Mosca e Bruxelles Fausta Speranza ha parlato con Riccardo Redaelli, docente di geopolitica all'Università Cattolica di Milano: 

R. – Sì, i rapporti rischiano di essere molto complicati da una pluralità di fattori. Innanzitutto, noi dobbiamo comprendere che l’Ucraina è oggettivamente una società lacerata e multi-identitaria, e la componente etnica russa non può essere sottostimata. Dall’altro lato, come dire, Putin non può esasperare il gioco che ha fatto in questo periodo, cioè di giocare pesante militarmente e nello stesso tempo di contare sulle divisioni europee o sulla paura europea di perdere troppi affari lucrosi con la Russia.

D. – Questo accordo ratificato dalla Rada ucraina con l’Unione Europea è un pezzo dell’accordo previsto. Un’altra parte è stata rimandata al 2015. Al momento è un abbraccio a metà?

R. – E’ un abbraccio a metà perché dobbiamo anche vedere come evolve l’Ucraina. Io credo che l’Unione Europea dovrebbe saggiamente fare evolvere anche il governo di Kiev verso una politica più moderata e più aperta verso la minoranza russa e l’est. Nello stesso tempo è un accordo a metà anche perché finché l’Ucraina era fra le braccia di Mosca, era Mosca che pagava i conti, ma se l’Ucraina entra fra le nostre braccia, temo che saremo noi a dover pagare i conti. L’Ucraina, infatti, ha bisogno di forti aiuti economici. Pensiamo solo se prima o poi dovrà iniziare a pagare veramente il gas russo.

D. – Mosca accusa la Nato di sobillare l’est dell’Ucraina, un’accusa pesante...

R. – E’ un’accusa eccessiva, anche se va riconosciuto che in questi anni la Nato non si è sempre mossa in modo saggio nei confronti della Russia. Si è molto giocato sulla stessa ambizione, sulla politica dura di Putin. Ma vi è anche una parte, una componente Nato, soprattutto i Paesi che una volta erano sotto il giogo dell’Unione Sovietica e che ora fanno parte della Nato, che hanno una sorta di riflesso pavloviano, che sono dal principio sempre molto ostili e molto contrari a tutto ciò che viene da Mosca. La Nato ha cercato di reinventarsi, di trovarsi – diciamo così - un nuovo lavoro, dopo aver vinto la Guerra Fredda, lo dimostrano l’Afghanistan e così via. Per alcuni anni la Nato ha avviato politiche di cooperazione e di amicizia con la Russia. Ha pesato un po’, però, sia la svolta totale di Putin, sia – come dicevo – questa diffidenza, storicamente ben comprensibile, ma che politicamente non ha aiutato, da parte di tutti i Paesi dell’est.

inizio pagina

Ebola. Secondo l'Oms le vittime sono oltre 2.400

◊  

L’epidemia di Ebola in Africa Occidentale spaventa il mondo. Il presidente Usa, Barack Obama, presentando un piano di contenimento ha parlato di virus "fuori controllo". Il capo della Casa Bianca ha chiesto anche maggiore cooperazione internazionale e ha previsto l’invio di tremila soldati, medici, infermieri e ingegneri. Ad oggi le vittime della pandemia secondo l’Oms sono 2.461, oltre 4.900 i contagiati. Antonio Elia Migliozzi ha intervistato don Dante Carraro, direttore di Medici con l’Africa CUAMM di ritorno dalla Sierra Leone, Paese duramente colpito dal virus: 

R. - La situazione è grave per vari motivi. I numeri che le statistiche generali riportano dei diversi ministeri, quindi il Ministero della salute della Sierra Leone, così come quello della Liberia, della Guinea e l’Oms, ufficialmente dice che sono dalle due alle quattro volte sottostimati. Si calcola che alla fine l’epidemia porterà a 20 mila casi di ebola. Quello che noi vediamo sul campo è una forte incidenza di questi casi anche da parte degli operatori sanitari. C’è tanta paura. La gente ha paura: non si stringe la mano, non va più a Messa… L’ebola sta davvero destabilizzando il Paese.

D. - Come vi state muovendo per prestare aiuto alle popolazioni colpite?

R. - Non c’è possibilità reale di trattare questi pazienti. Dato strano di questa patologia finora è che, a differenza di alte epidemie di ebola, la mortalità sembra meno grave: circa il 50% dei pazienti affetti da ebola sopravvive alla malattia. Questo è una dato che nelle epidemie precedenti non c’era. Ma in realtà quelli che sopravvivono, o sono giovani, o hanno un sistema immunitario un po’ più strutturato… Quello che noi possiamo fare e stiamo facendo sostanzialmente sono tre cose. La prima è la formazione, la seconda riguarda i materiali di protezione. Stiamo distribuendo nel nostro ospedale e nei centri sanitari - ce ne sono 70 intorno all’ospedale - tantissimo materiale da protezione: guanti, occhiali, berretti, stivali, tute, perché una volta usati vanno buttati. É un distretto molto grande di 350 mila abitanti. Il terzo grande capitolo è quello delle ambulanze, perché quando usi un mezzo del genere per un caso sospetto o certo di ebola la gente non vuole assolutamente più salire su quella macchina... Questo sono solo alcuni dei capitoli principali di ciò che stiamo facendo a Pujehum e poi in particolare a Zimmi questo villaggio dove c’è il focolaio dell’epidemia di ebola.

D. - Questa epidemia di ebola sta avendo anche gravi ripercussioni economiche?

R. - Gravissime, perché gli aeroporti e i porti stanno chiudendo, le compagnie aeree da una parte e quelli navali dal’atra stanno bloccando tutto e questo ha tre grandi conseguenze: il personale sanitario non riesce ad arrivare, stanno finendo i guanti, gli stivali, le mascherine e non riusciamo a portarli a destinazione dove c’è bisogno. Quindi, è un ulteriore problema. Questo fa salire i prezzi sia del materiale sia dei farmaci che del cibo! Sta crescendo la fame. Si è calcolato che la Sierra Leone, a causa dell’ebola, abbia per l’anno prossimo una riduzione del Pil del quattro percento.

inizio pagina

Scozia. Referendum sull'indipendenza: sondaggi, in testa i 'no'

◊  

In Scozia, alla vigilia dello storico referendum del 18 settembre sull'indipendenza, tre sondaggi indicano il fronte del 'no' in leggero vantaggio sugli indipendentisti. Un rilevamento condotto per il Daily Telegraph vede gli unionisti in testa con il 52% e il fronte del 'sì' al 48%, con l'esclusione degli indecisi. Così anche un sondaggio pubblicato su Scotsman e un rilevamento condotto per il Daily Mail. Dopo 4 mesi di campagna elettorale, che ha visto in prima linea il premier scozzese e capofila del fronte indipendentista, Alex Salmond, e l'ex ministro delle Finanze britanniche, il laburista Alistair Darling, leader della campagna 'Better together', che si oppone all'indipendenza - l’esito del test di domani non appare affatto scontato. Oltre 4 milioni gli elettori; le urne saranno aperte dalle 7.00 alle 22.00 locali. Giada Aquilino ha intervistato David Willey, corrispondente in Italia della Bbc: 

R. - Credo che in questo momento sia molto difficile fare una previsione. Ma certamente è stato uno dei referendum più contestati nella vita politica del Regno Unito negli ultimi anni. C’è ovviamente un enorme interesse soprattutto in Scozia, ma anche il governo britannico è dovuto intervenire perché dava per certo che i “no” avrebbero vinto facilmente. E invece il distacco è estremamente minimo. Fino all’ultimo momento non sapremo come finirà.

D. - Quali sono i nodi cruciali? Cosa influenzerà poi la decisione degli scozzesi?

R. - I temi riguardano soprattutto la sopravvivenza del Regno Unito in quanto tale. Il Regno Unito ha una storia lunga di almeno tre secoli. Gli scozzesi sono cinque milioni; il Regno Unito conta oltre 60 milioni di abitanti. Nonostante questo, la Scozia ha una reputazione molto forte nell’industria, nelle guerre del passato, nella vita culturale del Paese e anche nella vita politica. Non dimentichiamo che ci sono stati tanti uomini politici scozzesi che sono ancora membri o ex membri del governo britannico.

D. - La questione delle risorse, il petrolio del Mare del Nord, la sterlina come valuta: quale di questi fattori sarà poi determinante?

R. - Credo che la divisa avrà un’influenza molto importante, perché anche le principali banche scozzesi hanno detto che trasferiranno il loro quartier generale in Inghilterra se il “sì” vincesse. E c’è anche la possibilità che in una Scozia indipendente i prezzi nei negozi aumentino.

D. - I leader dei principali partiti britannici hanno fatto fronte comune, pubblicando sulla stampa scozzese la loro promessa a concedere maggiori poteri alla Scozia, a garantire una condivisione delle risorse in maniera equa e assicurando l’impegno nel riconoscere al governo scozzese la decisione sul finanziamento del servizio sanitario nazionale, che è una questione molto sentita. Che promesse sono queste?

R. - Queste sono promesse molto importanti, perché gli scozzesi in un certo senso ne uscirebbero vincitori sia in caso di vittoria del “sì”, sia in caso di vittoria del “no”, perché avrebbero la garanzia da parte del governo britannico che i poteri del Parlamento scozzese - che esiste già - saranno aumentati.

D. - Quale sarebbe il futuro della Scozia nell’Unione Europea? Londra potrebbe mettere il veto per un ingresso nell’Unione? E poi si potrebbero riaccendere focolai di separatismo nel resto d’Europa?

R. - Se i “sì” vincessero, credo che ci sarebbe un effetto europeo. Ad esempio in Catalogna, che rivendica la propria indipendenza dal governo spagnolo e così anche in altri Paesi d’Europa. Tutto ciò fa ricordare che l’Europa è una realtà molto complessa, con dei nazionalismi che forse sono stati dimenticati nel passato ma che non vanno via. I governi centrali dei vari Paesi europei dovrebbero fare più attenzione a questi nazionalismi locali, che fanno parte del mosaico europeo.

D. - Quanto al veto di Londra per un eventuale ingresso della Scozia nell’Unione Europea?

R. - Non credo possa succedere. Se vincono i “sì” la cosa più importante riguarderà la questione della divisa: ci saranno dei lunghi negoziati - credo - sia con il governo britannico, sia con l’Unione Europea. Credo che ad ogni modo ci saranno dei cambiamenti nei mesi prossimi, sia che vinca il “sì” sia che vinca il “no”.

inizio pagina

Cresce gioco d'azzardo. Consulta antiusura: cambiare l'approccio

◊  

In Italia, il fenomeno del gioco d’azzardo cresce di continuo come dimostra l’andamento dei flussi di denaro coinvolto e può sfociare in vera dipendenza,di certo ad esso sono associati usura e illegalità che spesso portano al tracollo economico intere famiglie. Dati noti e ribaditi nella relazione fatta nei giorni scorsi al parlamento, dal Dipartimento antidroga: una panoramica troppo generica e che sorvola su alcuni aspetti fondamentali perché questo fenomeno possa essere effettivamente risolto. Lo rileva il sociologo Maurizio Fiasco della Consulta antiusura, al microfono di Gabriella Ceraso: 

R. – In gran parte, la dipendenza, la patologia e la sofferenza sono state costruite dall’alto. Capisco molto bene che un organismo governativo si trovi in contraddizione con una politica governativa che è perdurata per 15 anni. Questo porta a risentirne anche nella stessa obiettività delle evidenze che si vogliono mostrare al Paese. Lo dico brutalmente, ma il nodo - secondo me - è un nodo etico-politico e sta in questo.

D. – I dati che vengono forniti sono dati realistici: parliamo di oltre seimila, quasi settemila, soggetti sottoposti a trattamento. Un censimento, dunque, più o meno, fatto nel corso del 2013...

R .– Il censimento non ci riporta al fenomeno, ma ci riporta all’offerta di terapia sul fenomeno. Finché in Italia non esisterà una generalizzata, accessibile, capillare offerta di terapia, noi non sapremo mai quanto sia esteso statisticamente questo fenomeno. Sappiamo che, però, è un fenomeno molto rilevante. Dobbiamo partire da come l’offerta ha arruolato al gioco d’azzardo una popolazione sterminata, con uno strumento diagnostico che, secondo me, va messo a punto nelle condizioni del nostro Paese, dove da una parte abbiamo la promozione che è su una strada spianata e, dall’altra parte, il rivolgersi alla cura è invece contrassegnato da tutta una serie di barriere. Una vera asimmetria.

D. – Quali sono di contro invece i punti su cui si sentirebbe di dire: “Interveniamo subito”...

R. – Primo, un chiaro riconoscimento del rilievo di questa patologia, non solo dal punto di vista clinico-sanitario, ma anche dal punto di vista relazionale, economico e sociale. Secondo, interrompere l’induzione al gioco d’azzardo con un arruolamento a tappeto, come si sta facendo in Italia. Terzo, fare un bilancio costi-risultati di questo consumo che includa la condizione delle famiglie, la condizione del corpo sociale, la legalità, le conseguenze economiche e anche, perché no, le conseguenze per la spesa pubblica. Quindi, un insieme coerente di atti che qualifichino in modo serio la scelta del pubblico di venire fuori da questa secca.

inizio pagina

Maria Voce: Focolari, impegnati a costruire l'unità nel mondo

◊  

Terminate le operazioni di voto per il rinnovo dei dirigenti, prosegue a Castel Gandolfo l’Assemblea generale del Movimento dei Focolari con il compito di delineare gli orientamenti per i prossimi 6 anni. Grande l’attesa dell’incontro con Papa Francesco, in Vaticano, al termine dei lavori, il 26 settembre. Presidente dei Focolari, che secondo gli Statuti deve essere sempre una donna, è stata confermata Maria Voce, la prima a succedere alla fondatrice, Chiara Lubich il cui carisma nasce dalla preghiera di Gesù: “Che tutti siano uno”. Adriana Masotti ha chiesto a Maria Voce, laureata in giurisprudenza con studi di teologia e di diritto canonico, consultrice del Pontificio Consiglio per i Laici e di quello per la Promozione della Nuova Evangelizzazione, come ha vissuto questa rielezione: 

R. – Intanto con la gratitudine a Dio e con la gratitudine a tutti quelli che mi hanno scelto perché mi è sembrata una dimostrazione di stima e di comprensione per quello che è stato fatto in questi sei anni precedenti. Anche con timore, perché capisco che è una nuova sfida che mi si presenta davanti. La complessità del mondo che ci circonda non è diminuita, anzi mi sembra che sia aumentata, e quindi le domande dell’umanità sono tante e non facili. Però, io sento che ho risposto di sì a Dio, ancora una volta, e quindi se Dio affida una responsabilità a qualcuno, sicuramente darà una grazia a questo qualcuno per corrispondere a questa responsabilità. E inoltre per il nostro carisma io sento di non essere sola in questa risposta, ma di rispondere insieme a tutti gli altri collaboratori.

D. - Da quanto si è saputo, i partecipanti all’Assemblea, che provengono da tutto il mondo, sono di tutte le età e le vocazioni, stanno vivendo in questi giorni proprio un’esperienza di profonda comunione e di dialogo, è così?

R. – E’ così. Intanto, già prima di arrivare qui all’Assemblea, si sono preparati partecipando allo studio, alla ricerca di tutte le istanze che provenivano dalle diverse parti del mondo per affrontarle poi insieme in Assemblea. E qui quest’ampia comunione si sta concretizzando in un ascolto profondo, in un saper spostare quell’idea che magari ci si era fatti prima di venire, per accettare l’idea dell’altro fino in fondo, e nel partecipare veramente, attivamente, alla costruzione di un’unità che garantisce poi l’attuazione di quanto viene visto insieme.

D. – I lavori continuano fino a fine mese: può accennarci qualcosa di ciò che emerso finora in quanto agli orientamenti futuri del Movimento?

R. - Il Movimento, essendo così diffuso in tutto il mondo, sente i problemi e le domande di tutto il mondo. E quello che mi sembra che stia emergendo è proprio questa esigenza di essere sempre attenti a queste domande, quindi di farsi ancora più capaci di cogliere i bisogni e di prepararsi per rispondere a questi bisogni. Quindi, è una grande esigenza di una formazione più adeguata di fronte alle sfide dell’umanità di oggi.

D. – Alla sua prima elezione, lei ha tenuto ben presente il testamento di Chiara Lubich, la fondatrice dei Focolari: “essere famiglia”. C’è una parola d’ordine, se così si può dire, di inizio di questo suo secondo mandato?

R. – Non so se è proprio una parola d’ordine, ma questo “essere famiglia” che abbiamo cercato di costruire in questi sei anni insieme non soltanto qui al Centro del Movimento ma in tutto il mondo, mi sembra che adesso sia come pronto per aprirsi e cercare di allargare questo spirito di famiglia a tutta l’umanità, tenendo sempre presente come frontiera la frontiera del “Che tutti siano uno”, ma arrivarci partendo da quanti ci circondano, costruendo rapporti di famiglia con tutti quelli che sono intorno a noi.

D. – Ci può fare un esempio di come il Movimento porta l’unità, porta l’amore del mondo?

R. - Basta pensare a quello che si fa nei Paesi del Medio Oriente dove in questo momento c’è tanto odio e tante morti e dove il Movimento cerca di costruire rapporti con persone al di là di qualsiasi differenza di credo, di classe sociale o di appartenenza territoriale, al di là di ogni confine, per costruire l’unità e per cercare di contrapporre all’odio l’amore. Questo a qualcuno può sembrare poco, però non credo che sia meno, anzi credo sia molto di più di tutti gli sforzi delle diplomazie per arrivare a compromessi che comunque non sono la pace. Oppure, pensare anche alle opere sociali che ci sono ormai dappertutto in aiuto ai bambini orfani, in aiuto ai profughi come sulle coste nel sud dell’Italia.

D. - Alcuni temevano che alla morte di Chiara il Movimento potesse risentirne in negativo, vivere una specie di autunno, un calo di vitalità, di smalto. A distanza di sei anni da quell’evento che cosa può dire a riguardo?

R. – Direi che lo spirito del Movimento è rimasto intatto, anzi posso dire, dopo sei anni, che c’è una grande vitalità che ha portato a un nuovo impegno in tutti i campi, a un desiderio di incidere maggiormente, ad una maggiore attenzione a essere concreti nelle risposte da dare all’umanità. Naturalmente il Movimento vive in quest’umanità e sente anche tutte le crisi che l’umanità ha vissuto, le sente anche al suo interno, però posso dire che veramente è vivo e vitale.

D. – Il 26 settembre lei, con gli altri dirigenti dei Focolari e tutta l’Assemblea, sarà ricevuta da Papa Francesco. Qual è il volto del Movimento che le piacerebbe presentare al Papa in quest’occasione tanto attesa?

R. – Sì, io vorrei intanto che per il Papa l’incontro col Movimento fosse una gioia. Vorrei che il Papa potesse vedere il Movimento com’è e mi sembra che in questo momento il suo volto sia quello di un Movimento unito e lanciato. Unito nel suo seno, quindi mi sembra che si possa presentare veramente come un piccolo esempio di corpo mistico attuato. E lanciato nel senso che vuole veramente arrivare fino ai confini della terra per poter portare la tutti la vita del Vangelo.

inizio pagina

Assisi. "La fragile bellezza", meeting sulla tutela del creato

◊  

La tutela della natura, così a cuore a Papa Francesco, è un valore spesso minacciato da interessi che mirano piuttosto allo sfruttamento dell’ambiente. E “fragile bellezza” è per l’appunto il titolo dato al Meeting internazionale “Nostra Madre Terra” organizzato per il decimo anno consecutivo dal Sacro Convento di Assisi e dall’Accademia Nazionale delle Scienze detta dei XL - e da quest'anno anche dalla Conferenza episcopale umbra – su ambiente, arte e salvaguardia del creato. Rosario Tronnolone ne ha parlato con padre Enzo Fortunato, direttore della Sala stampa del Sacro Convento di Assisi: 

R. – Può dirci che intanto bisogna prendere coscienza che l’ambiente non è qualcosa di estraneo, ma è qualcosa che ci appartiene. Non è qualcosa che va sfruttato, ma è qualcosa che va custodito e coltivato. E sono i nomi che Francesco dà alle realtà che ci circondano: Fratello Sole, Madre Terra, e potrei continuare alla luce del Cantico. Poi, sottolineo quello che il cardinale Bassetti e il custode del Sacro Convento, padre Mauro Gambetti, hanno evidenziato nell’introdurre questo Convegno: “Se la natura non può essere idolatrata, senza scadere in una sorta di visione panteista, allo stesso tempo però non può essere ridotta a luogo di sfruttamento selvaggio, in cui gli appetiti dell’uomo si saziano senza limiti”. E questo è il primo Sos che parte da Assisi, tenendo presente che tutto ciò che ci circonda è fragile, è bello e quindi va custodito.

D. – Forse, a un primo sguardo superficiale, può sembrare che il problema ecologico, il problema della salvaguardia dell’ambiente, non sia direttamente collegato con il sacro. Invece, forse, proprio la crisi ecologica è collegata alla crisi della sacralità, al considerare il mondo...

R. – Come un oggetto da sfruttare e non come qualcosa invece che rimandi al Creatore, a Colui che l’ha creato, in questo senso, il rimando al sacro. Francesco questo lo aveva compreso così bene, per cui ogni aspetto – "frate foco", "frate vento" – rimandava all’azione di Dio, nel chiamarli fratello e sorella.

inizio pagina

Nella Chiesa e nel mondo



Giordania: Re Abdallah II difende la presenza dei cristiani arabi

◊  

Nei conflitti settari che dilaniano il Medio Oriente la Giordania vuole rappresentare anche nel futuro “un'oasi di sicurezza e stabilità”, impegnandosi nel contempo a fare il massimo per proteggere gli arabi cristiani e incrementare la loro presenza nella regione. Così – secondo fonti giordane consultate dall'agenzia Fides - il Re Abdallah II ha delineato il profilo del Paese da lui guidato in un incontro con i rappresentanti del governo e della società civile convocato ieri per delineare la posizione giordana rispetto alle misure annunciate da attori geo-politici regionali e globali davanti alla preoccupante progressione dei jihadisti dello Stato Islamico.

Nell'incontro il monarca ha anche chiamato intellettuali, leader religiosi e operatori dei media ad assumersi le proprie responsabilità nel contrastare le ideologie estremiste che sfigurano l'autentica immagine dell'islam.

Parole di aprezzamento per i propositi nuovamente espressi del Re di Giordania sono state espresse dal patriarca di Gerusalemme dei Latini, Fouad Twal: “noi in Giordiania accogliamo i rifugiati, e non siamo tra coloro che sono rifugiati. La Giordania è sempre stata casa e rifugio per tutti” ha ribadito il patriarca, facendo riferimento anche alle recenti disposizioni del governo giordano che nelle ultime settimane hanno permesso di accogliere nel Regno Hascemita centinaia di cristiani fuggiti dall'Iraq. (R.P.)

inizio pagina

Vescovi scandinavi: "asilo a iracheni e siriani in pericolo di vita"

◊  

“Chiediamo ai governi di sostenere con generosità le Nazioni Unite e le organizzazioni umanitarie che lavorano in Medio Oriente: i Paesi nordici possono permetterselo”: l’appello arriva dalla Conferenza episcopale dei Paesi scandinavi, riunita nei giorni scorsi a Turku, in Finlandia.

“Noi vescovi - si legge in una nota - chiediamo anche ai governi e ai popoli dei nostri Paesi la generosità di permettere alle persone di restare dove possono trovare sicurezza e di accogliere rifugiati” e rivolgono un “accorato appello” ai propri governi (Norvegia, Svezia, Danimarca Islanda e Finlandia) affinché “sia revocata la decisione di rimpatriare i rifugiati iracheni e siriani in pericolo di vita e sia loro concesso l’asilo permanente”.

Durante l’Assemblea - riferisce l'agenzia Sir - i rappresentanti delle Caritas scandinave hanno illustrato il quadro della situazione di crisi e i vescovi hanno incontrato l’arcivescovo caldeo di Teheran, Ramzi Guarmou, testimone delle sofferenze dei cristiani in Medio Oriente. È emersa in particolare “la necessità che ci sia uguaglianza per le donne nel combattere la povertà” e “l’importanza dell’istruzione per le ragazze”.

I vescovi, si legge ancora nel comunicato finale, “auspicano che le donne siano sempre più incoraggiate e sostenute nel raggiungere la propria indipendenza economica, secondo l’insegnamento della Dottrina sociale della Chiesa”. (R.P.)

inizio pagina

Sud Sudan. Una missionaria: Malakal distrutta dalla guerra

◊  

“Siamo nell’instabilità e buona parte della popolazione vive in condizioni estremamente precarie” dice suor Elena Balatti, raggiunta dall’agenzia Fides a Malakal, capitale dello Stato petrolifero dell’Alto Nilo, che è stata al centro dei combattimenti tra militari governativi del Sud Sudan e i ribelli fedeli all’ex vice Presidente Riek Machar. La città che prima della guerra civile contava 250.000 abitanti rimane un obiettivo militare, ricorda la missionaria comboniana. Nonostante gli accordi di tregua, la situazione rimane tesissima nel Paese, e in queste condizioni anche i media ne risentono, come dimostra tra l’altro la vicenda della radio diocesana di Juba.

Suor Elena racconta così l’ultimo episodio bellico avvenuto nei pressi della città: “ Il 21 agosto, alle 8,30 del mattino, abbiamo sentito il fragore dei bombardamenti dal fronte che si trova a 25 km. Come la maggior parte degli abitanti della città, anche noi suore comboniane abbiamo lasciato la città in 10 minuti, in attesa di vedere l’esito dello scontro. Abbiamo già avuto esperienza della ferocia delle milizie dell’opposizione. Malakal ha visto in pochi mesi ben sei attacchi”.

Tra l’altro a farne le spese è stata pure la radio delle diocesi, “Sout al Mahaba” (Voce di Carità), della quale suor Elena è responsabile. “La radio - racconta suor Elena - ha subito un primo saccheggio il 18 febbraio, in occasione del terzo attacco delle forze dell’opposizione. Ai primi di agosto sono riuscita a tornare a Malakal ed ho verificato che il saccheggio dell’emittente era stato completato. È iniziato con le forze dell’opposizione ed è continuato dopo che, il 18 maggio, i governativi hanno ripreso la città. Persino la recinzione è stata rubata. Siamo riuscite a recuperare il trasmettitore che però è danneggiato. Speriamo di poterlo riparare. Anche la torre delle antenne di 72 metri è in condizioni precarie perché uno dei cavi che la sostiene è stato tranciato da una scheggia di granata. Cerchiamo di ripararlo per evitare che la torre cada. Lo staff della radio è disperso, in parte nel campo Onu, in parte nei villaggi vicini”.

Suor Elena racconta con emozione i danni subiti da quella che era la seconda città del Sud Sudan: “La parte sud di Malakal è quella più danneggiata. In quell’area non c’erano abitazioni in muratura ma solo capanne. Ora che siamo nella stagione delle piogge, la vegetazione ha preso il sopravvento sulle capanne ormai distrutte, al punto che non si riesce più a distinguere i punti di riferimento che esistevano prima della distruzione dell’area. Per capire a che punto siamo basta dire che le iene sono tornate e diverse persone affermano di aver visto aggirarsi una leonessa con i cuccioli”.

“La gente è tornata ma rimane prudente. Le donne hanno aperto dei piccoli posti di ristoro per avere una minima fonte di guadagno. Il piccolo commercio è ripreso. La sera la città si svuota, la gente attraversa il Nilo per recarsi nei villaggi limitrofi oppure torna nel campo profughi dell’Onu che si trova a 4 km da Malakal” conclude la religiosa. (R.P.)

inizio pagina

Pakistan: la Chiesa contro l'esecuzione di un musulmano

◊  

“Urge fermare il boia e non riportare il Pakistan indietro nel tempo. Diciamo ‘no’ all’esecuzione del musulmano Shoaib Sarwar, che sarebbe la prima di un civile dopo sei anni, e chiediamo al governo di intraprendere un percorso per l’abolizione della pena di morte”: è l’appello affidato all’agenzia Fides da Cecil Shane Chaudhry, direttore esecutivo della Commissione nazionale “Giustizia e Pace” (Ncjp) dei vescovi cattolici del Pakistan.

Secondo quanto reso noto dalle autorità pakistane, l’esecuzione dell’uomo – un detenuto condannato a morte nel 1998 con l'accusa di omicidio – sarebbe prevista per domani, 18 settembre nel carcere di Rawalpindi. Nel Paese diverse associazioni della società civile come la “Human Rights Commission of Pakistan”, e anche Ong come Amnesty International, hanno alzato la voce chiedendo al governo di fermare il boia, confermando ufficialmente una moratoria sulla pena di morte, passo verso l’abolizione.

La condanna a Sarwar è stata confermata dopo che due appelli sono stati respinti nel 2003 e nel 2006 dall'Alta Corte di Lahore e dalla Corte Suprema. L’uomo è nel braccio della morte. Se giustiziato, sarebbe la prima vittima civile dal 2008 (nel 2012 è stato giustiziato un soldato).

Cecil Shane Chaudhry rimarca a Fides: “Come cristiani chiediamo l’abolizione della pena capitale, che non è uno strumento utile a scoraggiare o combattere il crimine. E’ uno strumento che lede la dignità umana. In Pakistan molti innocenti sono in carcere e potrebbero essere uccisi per errori giudiziari”.

Secondo Chaudhry, “il governo di Nawaz Sharif potrebbe essere in qualche modo spinto a ripristinare le esecuzioni capitali su pressione di gruppi estremisti” ma la società civile è contraria. Il 26 settembre si terrà a Lahore una Convention organizzata dalla “Human Rights Commission of Pakistan” per coagulare tutti i movimento che si oppongono alla pena di morte, a cui la Ncjp parteciperà.

Per Amnesty International, “la sospensione delle esecuzioni in vigore in Pakistan negli ultimi anni è uno dei pochi settori dei diritti umani in cui il Pakistan registra un record positivo. La ripresa delle esecuzioni sarebbe una grave regressione”. In Pakistan più di 8.000 prigionieri si trovano nel braccio della morte, per la maggior parte hanno esaurito i processi di appello e sono in attesa di esecuzione. (R.P.)

inizio pagina

Congo: no dei vescovi alla revisione della Costituzione

◊  

“L’avvenire sereno della Repubblica Democratica del Congo (Rdc) risiede incontestabilmente nel rispetto della Costituzione” affermano i vescovi del Paese in una Lettera pastorale nella quale ribadiscono la loro opposizione (espressa a giugno) alla riforma dell’articolo 220 della Costituzione che stabilisce tra l’altro che “il numero e la durata dei mandati del Presidente della Repubblica non possono essere oggetto di alcuna riforma costituzionale”.

Un’eventuale emendamento dell’articolo aprirebbe la strada al processo per permettere di aumentare a tre, invece che due, i mandati del Capo dello Stato, permettendo così al Presidente in carica, Joseph Kabila, di ricandidarsi alle elezioni del 2016.

“L’articolo 220 pone le basi della stabilità del Paese e dell’equilibrio dei poteri nelle istituzioni. Modificarlo significherebbe fare marcia indietro lungo il cammino per la costruzione della nostra democrazia e compromettere in modo grave il futuro armonioso della nazione” ammoniscono i vescovi, che hanno pubblicato il loro messaggio mentre si trovano a Roma per la visita ad limina in Vaticano. (R.P.)

inizio pagina

Sant'Egidio: ad Auschwits-Cracovia IV incontro dei giovani europei

◊  

Dal 18 al 20 settembre si svolgerà ad Auschwitz-Cracovia la IV edizione dell’Incontro internazionale “Giovani europei per un mondo senza violenza”, promosso dalla Comunità di Sant’Egidio. All’incontro - riferisce l'agenzia Sir - parteciperanno 1.000 giovani provenienti da Repubblica Ceca, Georgia, Italia, Polonia, Romania, Russia, Slovacchia, Ucraina, Ungheria.

La Comunità di Sant’Egidio è radicata da più di venti anni nei Paesi dell’Europa centro-orientale, in modo particolare nel mondo giovanile. Sant’Egidio conduce da un quindicennio un’attiva opera di sensibilizzazione e formazione di giovani dell’Europa centro-orientale con l’organizzazione di convegni, di cicli di seminari e lezioni nelle scuole e nelle università, manifestazioni pubbliche, sui temi dell’antisemitismo, dell’antigitanismo, della discriminazione razziale per promuovere una cultura del convivere tra diversi, sfida decisiva per il futuro delle società a livello europeo e globale.

L’incontro di quest’anno è segnato dall’urgenza della pace in un mondo che è costellato da fuochi di guerra, anche in Europa con il conflitto nelle regioni orientali dell’Ucraina. Esso si svolge a 100 anni dall’inizio della Prima Guerra mondiale, quando milioni di giovani europei furono chiamati a combattere. Il convenire dei giovani europei ad Auschwitz è una mobilitazione per la pace. 

I giovani convocati da Sant’Egidio cercheranno nella memoria della seconda guerra mondiale, della Shoà e del Porrajmos, le ragioni per un futuro di pace in un’Europa ferita dalla guerra. Tra loro anche giovani provenienti dall’Ucraina e dalla Russia uniti dal comune desiderio e dalla comune ricerca della pace.

L’incontro di Auschwitz-Cracovia è il risultato di un ampio lavoro di preparazione nelle scuole e nelle Università dei Paesi coinvolti nel corso dell’anno scolastico/accademico 2013/2014. Il programma del IV Incontro Internazionale prevede l’intervento di alcuni testimoni dei genocidi perpetrati dai nazisti contro la popolazione ebraica e contro Rom e Sinti durante la Seconda guerra mondiale, i quali parleranno ai giovani in due assemblee a Cracovia giovedì 18 settembre: Rita Prigmore, donna sinti di Würzburg (Germania), vittima degli esperimenti medici nazisti, e Mordechai Peled, ebreo di origine romena, sopravvissuto al campo di sterminio di Auschwitz-Birkenau.

Venerdì 19 settembre, dopo avere visitato il museo del campo di Auschwitz, i giovani compiranno una cerimonia nel campo di sterminio di Auschwitz-Birkenau, dove dopo una marcia silenziosa deporranno ghirlande di fiori al monumento memoriale delle vittime del campo e proclameranno nelle varie lingue l’appello per un mondo senza violenza. (R.P.)

inizio pagina

Alluvione nel Kashmir: appello vescovo per aiuti umanitari

◊  

“Lo Stato di Jammu e Kashmir ha sperimentato le peggiori alluvioni della sua storia. In questo momento siamo come a 'Ground Zero'. La vita e i mezzi di sussistenza sono azzerati. I cristiani sono tra i più colpiti”: è quanto riferisce all’agenzia Fides mons. Peter Celestine, vescovo di Jammu-Srinagar, che lancia un accorato appello alla comunità internazionale per gli aiuti umanitari. “La vita di migliaia di persone è in pericolo. La popolazione ha un bisogno impellente, mancano i mezzi di sussistenza, occorre fare presto” sottolinea il vescovo.

“La Chiesa cattolica – spiega – sta cercando di rispondere a questa triste situazione. Stiamo organizzando con la Caritas una mobilitazione per fornire con urgenza cibo e acqua potabile, rifugi temporanei, medicine alla gente colpita. Numerose famiglie cristiane musulmane sono in stato di indigenza. Il 90% delle famiglie cattoliche e cristiane presenti in Kashmir sono gravemente colpite. La Chiesa ha subìto gravi perdite anche nelle sue istituzioni e strutture”. (R.P.)

inizio pagina

Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVIII no. 260

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.