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Sommario del 16/09/2014

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Il Papa: se non si è vicini alla gente e non si dà speranza, le prediche sono vanità

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Si possono fare belle prediche, ma se non si è vicini alle persone, se non si soffre con la gente e non si dà speranza, quelle prediche non servono, sono vanità: è quanto ha detto il Papa nell’omelia mattutina a Santa Marta, nel giorno in cui la Chiesa ricorda i Santi Cornelio, Papa, e Cipriano, vescovo, martiri. Il servizio di Sergio Centofanti

Il Vangelo del giorno parla di Gesù che si avvicina ad un corteo funebre: una vedova di Nain ha perso il suo unico figlio. Il Signore compie il miracolo di riportare alla vita il giovane – afferma il Papa – ma fa di più: è vicino. “Dio – dice la gente – ha visitato il suo popolo”. Quando Dio visita “c’è qualcosa in più, c’è qualcosa di nuovo”, “vuol dire che la sua presenza è specialmente lì”. Gesù è vicino:

“Era vicino alla gente. Dio vicino che riesce a capire il cuore della gente, il cuore del suo popolo. Poi vede quel corteo, e il Signore si avvicina. Dio visita il suo popolo, in mezzo al suo popolo, e avvicinandosi. Vicinanza. E’ la modalità di Dio. E poi c’è un’espressione che si ripete nella Bibbia, tante volte: ‘Il Signore fu preso da grande compassione’. La stessa compassione che, dice il Vangelo, aveva quando ha visto tanta gente come pecore senza pastore. Quando Dio visita il suo popolo, gli è vicino, gli si avvicina e sente compassione: si commuove”.

“Il Signore – ha proseguito Papa Francesco - è profondamente commosso, come lo è stato davanti alla tomba di Lazzaro”. Come è commosso quel Padre “quando ha visto tornare a casa il figlio” prodigo:

“Vicinanza e compassione: così il Signore visita il suo popolo. E quando noi vogliamo annunziare il Vangelo, portare avanti la Parola di Gesù, questa è la strada. L’altra strada è quella dei maestri, dei predicatori del tempo: i dottori della legge, gli scribi, i farisei … Lontani dal popolo, parlavano … bene: parlavano bene. Insegnavano la legge, bene. Ma lontani. E questa non era una visita del Signore: era un’altra cosa. Il popolo non sentiva questo come una grazia, perché mancava la vicinanza, mancava la compassione e cioè patire con il popolo”.

“E c’è un’altra parola – ha sottolineato il Papa - che è propria di quando il Signore visita il suo popolo: ‘Il morto si mise seduto e incominciò a parlare, ed egli – Gesù – lo restituì a sua madre’”:

“Quando Dio visita il suo popolo, restituisce al popolo la speranza. Sempre. Si può predicare la Parola di Dio brillantemente: ci sono stati nella storia tanti bravi predicatori. Ma se questi predicatori non sono riusciti a seminare speranza, quella predica non serve. E’ vanità”.

Guardando Gesù che ha restituito alla mamma il figlio vivo – ha concluso il Papa – “possiamo capire cosa significa una visita di Dio al suo popolo. E chiedere la grazia che la nostra testimonianza di cristiani sia testimonianza portatrice della visita di Dio al suo popolo, cioè di vicinanza che semina la speranza”.

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Tweet del Papa: il Signore sempre ci aspetta per accoglierci nel suo amore

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Nuovo tweet del Papa sull’account @Pontifex in nove lingue: “Il Signore sempre ci aspetta per accoglierci nel suo amore è una cosa stupenda, che non finisce di sorprenderci”.

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Incontro Famiglie Filadelfia. Mons. Chaput: speriamo nella presenza del Papa

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Si è tenuta stamani, in Sala Stampa vaticana, la conferenza stampa di presentazione della preparazione all’VIII Incontro mondiale delle Famiglie che si svolgerà a Filadelfia, negli Stati Uniti, dal 22 al 27 settembre dell’anno prossimo. Alla conferenza hanno preso parte l’arcivescovo Vincenzo Paglia, presidente del dicastero per la Famiglia, l’arcivescovo Joseph Chaput, arcivescovo di Filadelfia e una famiglia della città americana impegnata nella vita della Chiesa locale. Il servizio di Alessandro Gisotti: 

E’ iniziato il conto alla rovescia per l’Incontro Mondiale delle Famiglie. Così l’arcivescovo di Filadelfia, mons. Joseph Chaput, ha sintetizzato la trepidazione con la quale si attende, o meglio si sta preparando, il grande evento del settembre 2015. Il presule non ha poi nascosto la grande speranza che è nel cuore di tutti a Filadelfia:

“We sincerely hope for a visit from the Holy Father. …
Speriamo fortemente che il Santo Padre venga da noi. L’evento dell’anno prossimo diventa più reale, con il passare di ogni ora. Filadelfia ha profonde radici religiose e Papa Francesco è molto amato, sia all’interno sia all’esterno della Chiesa cattolica negli Stati Uniti. Quindi, come ho già detto in altra occasione, sono previsti tra i 10 mila e i 15 mila partecipanti da tutto il mondo, al Congresso sulla famiglia. Una Messa celebrata dal Papa potrebbe facilmente richiamare oltre un milione di persone …”.

L’arcivescovo Chaput ha quindi ricordato il tema dell’Incontro, “L’amore è la nostra missione, la famiglia è viva”, ed ha sottolineato che è stato preparato un testo di catechesi sui temi forti riguardanti la famiglia. Il presule ha inoltre rammentato i due patroni dell’evento: San Giovanni Paolo II, che proprio 20 anni fa, dava vita agli Incontri mondiali delle Famiglie e Santa Gianna Beretta Molla, esempio straordinario di madre e moglie cristiana. Alla conferenza stampa era presente anche la famiglia Riley di Filadelfia, impegnata nei preparativi dell’Incontro. La testimonianza di Barbara Riley:

“We are excited, in Philadelphia, to have such an event with the focus on …
Siamo molto emozionati, a Filadelfia, di poter ospitare un evento di tale portata, incentrato sulla famiglia. La famiglia è così importante, determinante per la crescita dei figli. 20 anni fa mi sono convertita al cattolicesimo: sono stata attratta dalla sua attenzione alle donne, alle madri e alla famiglia”.

Dal canto suo, mons. Vincenzo Paglia, ha enumerato una serie di eventi e iniziative che precederanno l’Incontro di Filadelfia: in particolare, il prossimo 18 settembre, il convegno “Famiglia e povertà”, promosso assieme a “Caritas Internationalis” e soprattutto l’incontro di Papa Francesco con i nonni, il prossimo 28 settembre a Piazza San Pietro. Si attendono, ha detto il presule, circa 40 mila persone – da 20 Paesi – tra cui una coppia di anziani profughi iracheni che daranno la loro testimonianza sulle sofferenze del popolo dell’Iraq. Tutti questi eventi, ha sottolineato mons. Paglia, sottolineano l’importanza della famiglia nonostante le difficoltà che deve affrontare:

“Grazie a Dio, e spesso sono dimenticate e a volte bastonate, ci sono milioni e milioni di famiglie che tengono letteralmente in vita la Chiesa e la società”.

Rispondendo alle domande dei giornalisti, mons. Paglia ha quindi offerto un commento su “Manif pour tous”, il movimento popolare francese a difesa della famiglia sorto dopo l’approvazione in Francia della legge sulle unioni omosessuali:

“Direi che è un esempio molto bello, quello che è accaduto in Francia, e cioè di coinvolgere il più largamente possibile credenti, credenti in altro modo, non credenti, chiunque, per sostenere questa dimensione della famiglia come cellula fondante delle nostre società”.

Nella conferenza stampa è stato sottolineato che l’Incontro di Filadelfia sarà un’occasione feconda di confronto dopo il Sinodo straordinario sulla famiglia. Mons. Chaput ha quindi voluto evidenziare che non si deve parlare solo dei problemi della famiglia, ma della sua bellezza nel progetto di Dio:

“We are going to deal with these realistic issues …
Tratteremo argomenti reali: dovremo parlare infatti del progetto di Dio partendo dalla realtà delle nostre proprie esperienze, anche delle esperienze difficili. Lo scopo, però, è quello di incoraggiare le famiglie affinché accolgano con gioia il progetto di Dio. La Chiesa ha duemila anni di esperienza nell’impegno ad aiutarci a compiere questa riflessione, ad aiutare le famiglie ad incorporare questa consapevolezza nella loro vita”.

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Ior: Mauricio Larraín e Carlo Salvatori membri Consiglio di Sovrintendenza

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La Commissione Cardinalizia dell'Istituto per le Opere di Religione (Ior) ha assegnato a Mauricio Larraín (Cile) e Carlo Salvatori (Italia) la carica di membri del Consiglio di Sovrintendenza dello Ior. Il cardinale Santos Abril y Castelló, presidente della Commissione Cardinalizia di Vigilanza dello Ior, ha affermato: “Lo Ior è lieto di lavorare con questi due membri aggiuntivi, che apporteranno all’Istituto una notevole esperienza in campo finanziario e un’ottica globale proprio nel momento in cui lo Ior si sta rafforzando e raggiungendo gli obiettivi segnalati dal Santo Padre.”

Con queste designazioni – riferisce un comunicato dello Ior - sono ora ricoperte tutte le cariche del Consiglio di Sovrintendenza dell'Istituto. Oltre a Mauricio Larraín e Carlo Salvatori, esso conta Jean-Baptiste de Franssu (Francia) quale presidente dell'organismo, Clemens Boersig (Germania), la prof.ssa Mary Ann Glendon (USA) e sir Michael Hintze (UK), insediatisi il 9 luglio 2014. A questi sei membri laici si aggiunge, in veste di segretario non votante, mons. Alfred Xuereb, segretario generale della Segreteria per l'Economia.

Come sancito dallo Statuto dell'Istituto, modificato nel 1990, il Consiglio di Sovrintendenza dello Ior definisce la strategia e assicura la supervisione delle operazioni. I suoi membri ricoprono la loro carica in conformità al nuovo contesto giuridico e per cinque anni. La nomina di un segretario non votante e la designazione di un sesto membro rispettivamente al Consiglio di Sovrintendenza dello Ior e alla Commissione Cardinalizia dell'Istituto sarannoformalizzate una volta conclusasi la revisione dello Statuto attualmente in corso.

Mauricio Larraín è direttore esterno del Gruppo Banco Santander Cile e direttore generale della ESE Business School dell'Università Los Andes del Cile. Dal 1992 al 2014 ha ricoperto la carica di presidente e direttore generale del Gruppo Banco Santander del Cile e, dal 2000 al 2014, di presidente della Santander Chile Holding S.A. e della Universia Chile S.A. Durante quel periodo il Gruppo Banco Santander del Cile è stato scelto per sei anni come miglior banca dell’America Latina dalla rivista América Economía. Prima di giungere alla Santander, Mauricio Larraín è stato senior finance specialist presso la Banca Mondiale di Washington D.C., manager del Debito Estero della Banca Centrale del Cile e vice sovrintendente Bancario della Sovrintendenza Bancaria del Cile. Per i suoi successi manageriali è stato insignito di diversi riconoscimenti. Nel 2008 ha ricevuto l'Estrategia Newspaper Award per il miglior dirigente. Nel 2007 è stato scelto come uno dei 3 migliori dirigenti e manager del Cile da Adimark GfK/La Segunda Newspaper; nel 2004 ha invece figurato nella rosa dei 10 migliori dirigenti del Cile degli ultimi 20 anni, nominati dal giornale La Tercera della Pontificia Università Cattolica del Cile. Mauricio Larraín ha conseguito lauree in legge e in economia (candidato) presso la Pontificia Università Cattolica del Cile e una in legge presso l'Università di Harvard. Nato il 31 luglio 1950, Larraín è sposato e ha sei figli.

Carlo Salvatori è presidente della banca d'investimento Lazard Italia dal giugno 2010 e della compagnia assicurativa Allianz SpA dal maggio 2012. È altresì membro del Consiglio di Amministrazione dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, della Chiesi Farmaceutici, del Gruppo Riso Gallo nonché presidente dell’Unione Cristiana Imprenditori Dirigenti Sezione di Milano. Carlo Salvatori ha ricoperto diverse cariche di alta dirigenza nel settore bancario italiano, tra cui quella di amministratore delegato di Unipol Gruppo Finanziario, di presidente di UniCredit e di vice presidente di Mediobanca. E’ stato anche amministratore Delegato e CEO di Banca Intesa, Cariplo, Banco Ambrosiano Veneto e direttore centrale di BNL. Lo stesso ha inoltre ricoperto il ruolo di presidente del Supervisory Board della Bank-Austria di Vienna e di membro del Supervisory Board della HypoVereinsbank di Monaco (Germania). Carlo Salvatore ha conseguito una laurea in Economia e Commercio presso l’Università degli Studi di Bologna, una in Scienze Bancarie presso l’Università di Siena e una laurea honoris causa in Scienze Politiche presso l’Università degli Studi di Macerata. Nato a Sora (Frosinone, Italia) il 7 luglio 1941, Carlo Salvatori è sposato e ha tre figli.

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Caritas: senza soluzioni, Gaza presto senza cristiani

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Prosegue a Roma l’incontro della Caritas Internationalis sulle crisi in Medio Oriente. Il cardinale Oscar Andrés Rodriguez Maradiaga, presidente dell’organismo, ha esortato tutti i governi a fermare l’invio di armi nell’area, denunciando la pulizia etnica e religiosa che stanno compiendo gli estremisti in Siria e Iraq. Stiamo vivendo – ha detto - la più grande crisi dopo la Seconda Guerra Mondiale: milioni di persone sono disperate. Secondo il porporato, occorre intraprendere la via del dialogo e dell’aiuto umanitario. Ha poi definito disumano il blocco israeliano di Gaza, chiedendo a Israele di porre fine all’occupazione. Sulla situazione a Gaza, Giada Aquilino ha intervistato padre Raed Abusahlia, direttore della Caritas di Gerusalemme: 

R. – Tre settimane fa c’è stato il cessate-il-fuoco, ma la situazione è rimasta terribile, nel senso che la popolazione è abbandonata: da allora non c’è stato nessun intervento da parte della comunità internazionale e nessun negoziato tra Hamas e Israele. La situazione, quindi, è drammatica. Noi abbiamo quasi 400 mila persone a Gaza senzatetto, che non sanno dove andare - metà di loro vivono nelle scuole - che non hanno più le case. Certamente questo problema non si può risolvere in un giorno o in un mese. Tutti, quindi, stanno aspettando due cose: la prima, gli incontri per un negoziato tra israeliani e palestinesi, per arrivare alla soluzione delle cause di questo ultimo conflitto e, seconda cosa, il prossimo mese, l’incontro dei Paesi donatori, che dovrebbero promettere ... miliardi di dollari per ricostruire Gaza! Per questo ci vorranno cinque o sette anni almeno e ci sarà bisogno di una cifra tra i sette e i dieci miliardi di dollari. Nel frattempo noi, e tutte le organizzazioni umanitarie che lavorano a Gaza, in Palestina, dovremmo intervenire per dare un piccolo contributo, un aiuto a questa popolazione. E’ quello che abbiamo fatto durante la guerra e che stiamo facendo alla fine della guerra.

D. – Voi siete a contatto diretto come Caritas con la popolazione, che speranze ci sono? C’è fiducia che poi in un prossimo futuro la situazione possa migliorare?

R. – Da tutto quello che ho sentito finora, prima di tutto dal nostro staff – 16 persone che sono lì – dal nostro vescovo, mons. Shomali, che è andato lì lunedì scorso, dal nostro parroco, dal Crs, Catholic relief service, che sono andati lì, dal nostro collega del Pontifical Mission of Palestine, tutti sono tornati delusi. La popolazione di Gaza non ha fiducia per tutto quello che è successo: hanno detto che tutta questa guerra è assurda e non vedono una soluzione per quello che sta succedendo adesso. Tutti i cristiani di Gaza, poi, se non ci sarà una soluzione il più presto possibile, se ne andranno. Questo vuol dire che non ci saranno più cristiani a Gaza. Loro sono già pochi:1300 persone. Allora, non vogliamo una Terra Santa senza cristiani.

D. – Quindi come fare a mantenere i cristiani a Gaza?

R. – Noi abbiamo bisogno della collaborazione di tutta la comunità internazionale, di tutti i cristiani del mondo e anche della Caritas Internationalis, dei nostri colleghi delle Caritas in Europa e in America, per darci un aiuto, per aiutare questa comunità fino a quando non ci sarà una soluzione politica. Loro, infatti, devono capire e sapere veramente che la responsabilità della presenza cristiana in Terra Santa non è soltanto una responsabilità dei cristiani della Terra Santa, ma è responsabilità di tutti i cristiani del mondo, di tutte le chiese del mondo.

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Convegno diocesano. Card. Vallini: mostrare a giovani vita bella della Chiesa

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Rilanciare l’azione pastorale nelle parrocchie per promuovere non solo l’appartenenza alla comunità ecclesiale dei ragazzi, ma per coinvolgere anche i loro genitori nel cammino di fede. Questo l’obiettivo del Convegno pastorale della diocesi di Roma sul tema “Un popolo che genera i suoi figli. Comunità e famiglia nelle grandi tappe dell’iniziazione cristiana”, che si è concluso ieri sera nella Basilica di San Giovanni in Laterano. Il servizio di Marina Tomarro

Una fede vissuta e forte, che arriva a far rileggere tutta la propria vita alla luce del Vangelo. Questo deve essere il primo aspetto fondamentale di coloro che vogliono diventare catechisti. E avere competenze educative soprattutto verso gli adolescenti, stabilendo un rapporto di fiducia con loro. Il commento del cardinale vicario Agostino Vallini sulle conclusioni del convegno pastorale della diocesi di Roma:

“L’iniziazione cristiana, vale a dire il generare alla fede delle nuove generazioni, non si può fare con una serie di incontri che rimangono fini a loro stessi e che non producono poi un’esperienza spirituale capace di orientare la vita. Quindi, si tratta davvero di metterci davanti alla realtà, comprendere che ci sono delle grandi sfide, e allora i punti fondamentali sono questi: innanzitutto, noi dobbiamo saper mostrare l’attrazione del Signore attraverso una vita bella della Chiesa. In secondo luogo, dobbiamo operare per recuperare al cammino di fede le famiglie dei ragazzi. E terzo, che tutto parte dall’esperienza dell’incontro con il Signore in una realtà che è l’annuncio del kerygma: se non c’è un primo annuncio che tocca il cuore delle persone, non illudiamoci, perché anche gli stessi incontri potranno essere pure interessanti, ma non susciteranno l’interesse e la disponibilità dei ragazzi”.

E quindi l’iniziazione cristiana, per arrivare al cuore dei giovani, deve imparare a parlare il loro linguaggio. Ascoltiamo ancora il cardinal Vallini.

“I ragazzi di oggi sono molto diversi rispetto a quando eravamo ragazzi noi, sia per il contesto generale, sia anche per le sfide che essi affrontano. Se noi riduciamo l’iniziazione cristiana agli incontri, seduti di fronte a catechisti che fanno piccole lezioni, non andremo molto avanti. E’ un grande tema, molto impegnativo, sul quale però sono ottimista e naturalmente, però, chiedo anche tanto impegno”.

E fondamentale diventa il ruolo delle parrocchie, soprattutto per portare la buona novella a quelle famiglie ancora lontane dal cammino di fede. Don Andrea Lonardo, direttore dell’ ufficio catechistico del Vicariato:

R. – Io direi una prima cosa che il Papa ricorda: la parrocchia in realtà vicina alle persone. A Roma, in Italia, le persone sono vicine alla parrocchia. Paradossalmente, c’è un funerale, c’è una nascita: le persone sentono che Gesù c’entra. Però anche la parrocchia dev’essere aperta. Deve innanzitutto essere accogliente, non deve fare le dogane pastorali: deve realmente accogliere! Poi, deve uscire non semplicemente andando fisicamente, ma anche comprendendo ciò che la gente pensa, i suoi problemi e quindi andare anche incontro fisicamente, andare nell’ultimo posto, andare dove sono i problemi della scuola, i problemi dell’educazione, i problemi degli anziani che sono soli, poi dell’handicap … Per esempio, un portatore di handicap dà uno sguardo diverso a tutti gli altri ragazzi: non è un peso, ma un dono!

D. – Tanti sono a volte i ragazzi che ricevono i Sacramenti e poi si allontanano. Allora, qual è il modo di far loro continuare un cammino di fede, coinvolgendo magari anche le famiglie?

R. – Coinvolgere le famiglie è una cosa essenziale, perché i genitori per primi devono scoprire la bellezza della fede. D’altro canto, noi non dobbiamo spaventarci perché i giovani si allontanano, perché i giovani sono fatti per allontanarsi: è un momento in cui devono riappropriarsi personalmente. Ma lì serve una proposta che li aiuti veramente.

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Mons. Tomasi: anziani non sono "tassa demografica"

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Da qui al 2050 il numero degli anziani triplicherà raggiungendo i due miliardi, ma il significato di tale tendenza demografica viene ormai troppo spesso misurato solo sulla base dell’impatto economico che potrebbe avere. Mons. Silvano Maria Tomasi, osservatore permanente della Santa Sede presso l’ufficio delle Nazioni Unite di Ginevra, in un intervento alla 27.ma sessione del Consiglio per i Diritti Umani dedicata alla protezione della terza età, critica il pensiero ricorrente che legge nell’incremento degli anziani un effetto negativo sulla crescita economica nei prossimi due decenni nel mondo e che ritiene che il dividendo demografico che ha spinto la crescita economica in passato, si trasformerà in una "tassa demografica".

Mons. Tomasi esprime quindi il timore che una tale limitata visione possa costituire una seria minaccia al pieno godimento dei diritti da parte delle persone anziane. “Oggi – afferma – la società efficientista tende ad emarginare i nostri fratelli e sorelle vulnerabili, incluse le persone anziane, come se fossero un peso o un problema per la società”. “Al contrario – spiega ancora mons. Tomasi – possono dare il loro contributo alla società per un lungo periodo. Ma perché ciò avvenga, abbiamo bisogno, tra l’altro, di strategie e di applicare nuove soluzioni per strutturare la società in generale, il mondo del lavoro, le infrastrutture sanitarie e l’assistenza. ”L’approccio agli anziani puramente economico e funzionale - conclude mons. Tomasi - può creare una cultura in cui gli elementi più deboli e più fragili della società rischiano di essere ‘scartati’ da un sistema che deve essere efficiente a tutti i costi”. (F.S.)

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Quando Dio visita: Messa del Papa a Santa Marta.

Laboratorio di annuncio: nell'intervista di Nicola Gori l'arcivescovo Fisichella parla dell'incontro sull'Evangelium gaudium che si apre giovedì in Vaticano.

Guerra da vincere: ancora troppe persone soffrono la fame nel mondo.

Completate le nomine per la sovrintendenza dello Ior.

Mediazione in equilibrio: il cardinale Loris Francesco Capovilla ricorda il cardinale Giovanni Urbani.

Dante l'ecumenico: anticipazione dell'articolo di Giuseppe Frasso pubblicato sulla rivista "Vita e Pensiero".

Cristina Acidini sulla sfida del gigante: nel David di Michelangelo il canone della bellezza maschile.

Un messaggio inascoltato: Felice Accrocca ed Enzo Fortunato su san Francesco e l'ambiente.

Claudia Montuschi sul messale di Buzukus: dalla Biblioteca Vaticana il dono di Papa Francesco al presidente dell'Albania.

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Oggi in Primo Piano



Iraq. Sako: bombardare non è soluzione, importante mandato Onu

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Il patriarca caldeo di Baghdad, Louis Raphael I Sako avverte: nella crisi irachena serve un mandato dell'Onu e non solo raid aerei. Il patriarca interviene dopo che, per la prima volta dall'inizio della campagna militare Usa ai primi di agosto contro il cosiddetto Stato Islamico (Is), questa notte i caccia americani hanno colpito nei pressi di Baghdad. Ieri, alla conferenza internazionale a Parigi, il fronte della coalizione anti-Is si è compattato e ha chiesto di lottare "con ogni mezzo necessario" contro la minaccia globale dell'esercito islamico, "compreso un aiuto militare appropriato". Nell'intervista di Fausta Speranza, il patriarca caldeo Sako spiega quanto sia importante un mandato dell'Onu:  

R. – Sì, perché è molto importante. Non si può andare, bombardare così, alla cieca … sarà uccisa anche tanta gente, e la gente che sta lì e si bombarda non sta con l'Is! Bisogna cercare dunque una soluzione più adatta e risparmiare la vita della gente sul luogo, non distruggere le infrastrutture, le case … Perciò penso che il mandato dell’Onu sia molto importante. Io ho chiesto anche che i Paesi arabi prendano una loro iniziativa, perché loro conoscono la nostra situazione, la nostra cultura, la nostra lingua e loro possono anche negoziare con l'Is, senza fare una guerra.

D. – Che altro aggiungere sulla crisi irachena?

R. – Ci vogliono truppe di terra, non solo bombardamenti, perché bombardare non è una soluzione. Credo che sia necessario aiutare anche l’esercito iracheno, l’esercito curdo per dare una vera protezione, affinché questa gente possa ritornare nelle proprie case. Dunque, ci vuole appoggio di tutti e due i processi.

D. – L’Iraq è stato colpito dagli esponenti di questo cosiddetto Stato Islamico, ma non solo: c’è anche l’area della Siria. Dunque una sorte di conflitto che va oltre i confini dell’Iraq …

R. – Sì: il conflitto è più grande dell’Iraq. Poi, ci dobbiamo chiedere: questi gruppi fondamentalisti chi li finanzia, chi li appoggia, da dove vengono? Loro sono di per sé un pericolo e invece di cambiare qui e lì i regimi, bisogna anche provvedere ad una soluzione per questi gruppi che rappresentano veramente una sfida per il mondo intero.

D. – Lei è in Europa; oggi è a Bruxelles, per auspicare un mandato dell’Onu per intervenire in Iraq: è così?

R. – Per presentare alcune soluzioni alla situazione in Iraq: chiedo aiuto immediato umanitario, poi anche la liberazione di questi villaggi e la protezione internazionale per aiutare questa gente a ritornare nelle proprie case.

Degli equilibri in atto dal punto di vista geopolitico, Fausta Speranza ha parlato con Germano Dottori docente di Studi strategici all’Università Luiss: 

R. - Il Medio Oriente è profondamente cambiato e la rete delle alleanze formali degli Stati Uniti non corrisponde alla rete dei rapporti di fatto. A ogni buon conto, mi pare di capire, soprattutto con l’entrata in scena della Francia, che il maggiore punto di attrito tra gli americani e l’Arabia Saudita sia stato superato e ci sia un pieno coinvolgimento. Proprio per questo motivo l’Iran è tenuto fuori, la Siria non è integrata all’interno del quadro delle forze che devono ostacolare il califfato islamico, e anche la Turchia viene in qualche modo contenuta. Vedremo se tutto questo basta. Io sono dell’avviso che l’amministrazione Obama mira, in questa fase, soltanto ad attuare una strategia di contenimento. Il problema del Califfato non si risolve se non si pone fine alla guerra in Siria.

D. – L’Iraq ha chiesto proprio raid sul suo territorio: veramente l’Iraq sta nella disperazione di chiedere aiuto?

R. – L’Iraq è in una situazione di frammentazione di fatto, non controlla una parte importante del suo territorio ed è proprio per questo che chiede aiuto alla comunità internazionale: comunità internazionale che reagisce, diciamo, con una soluzione di compromesso, cioè utilizzando il potere aereo che dovrebbe bastare a spezzare le linee di comunicazione del Califfato islamico ma non con truppe di terra. Se questo poi passerà è tutto da vedere perché in Iraq il tessuto sociale ha subito tante e tali di quelle ferite dal 2003 in poi che è molto difficile pensare di poter rimettere i cocci a loro posto in un arco breve di tempo.

D. - Alla conferenza di Parigi ci sarebbe stato qualcosa che avrebbe voluto sentire e invece non è stato detto?

R. – Non avevo aspettative straordinarie. Mi pare che le fratture siano tali che si è cercato di fare tutto quello che era possibile, si è ottenuto tutto ciò che realisticamente si poteva avere in questa fase. Il problema è che una buona parte dell’instabilità in Medio Oriente deriva, da un lato, dalla necessità dei sauditi e dei loro alleati di contenere la Fratellanza musulmana - ed è per questo che l’insurrezione in Siria non ha vinto – e, dall’altro lato, dalla necessità, avvertita sempre da questi Paesi, di creare ostacoli al processo di riconciliazione tra l’Iran e gli Stati Uniti. E, comunque, in qualche modo, va avanti e molti, me compreso, si augurano che riesca ad arrivare ad una conclusione soddisfacente.

D. - Si parla di un possibile intervento su territorio siriano perché il cosiddetto Stato Islamico controlla un’area irachena e un’area siriana. Ma anche se l’intervento Usa non sconfina su territorio siriano, in qualche modo, il conflitto ha già sconfinato…

R. – Sì, certo. Il punto è – semplificando - che qualsiasi intervento venga fatto contro lo Stato islamico avvantaggia o il regime di Assad - e questo agli americani non necessariamente va male, potrebbe anche andar bene, ma va male per i sauditi - oppure avvantaggia componenti che vengono, per ragioni di comodo, definite “moderate”, che in realtà sono molto vicine alla Fratellanza musulmana. E quindi tutto questo va bene agli americani, va bene al Qatar, va bene forse ai turchi, non va bene in alcun modo, invece, ai sauditi. E’ un po’ il problema della coperta troppo corta.

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Perego: sì a visti d'ingresso a migranti per contrastare trafficanti

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“I morti nel mar Mediterraneo sono omicidi e non incidenti”: così si è pronunciato oggi l’ufficio del Commissario Ue agli affari interni, Cecilia Malmstrom, riferendosi alle centinaia di immigrati morti o dispersi nei naufragi di questi giorni, aggiungendo che l’Unione rafforzerà le sue azioni contro i trafficanti di esseri umani. Intanto sulle coste italiane nelle ultime ore sono giunti centinaia di migranti soccorsi dal dispositivo di Mare Nostrum. Il numero più ingente è sbarcato a Salerno: 837 le persone giunte a bordo di una nave militare per lo più di nazionalità eritrea, somala, siriana, palestinese, sudanese. Tra loro anche 140 minori. Altre 500 sono invece arrivate a Vibo Valentia. E domani ad Augusta in Sicilia, vi sarà una riunione della commissione Cei per le Migrazioni e di Fondazione Migrantes. All’ordine del giorno, il problema dei richiedenti asilo e rifugiati in Italia e quello degli sbarchi e dell’accoglienza in Sicilia. Su perché della scelta di Augusta, Francesca Sabatinelli ha intervistato mons. Giancarlo Perego, direttore di Migrantes: 

R. – Per dare un segnale forte di una presenza della Chiesa italiana, laddove le nostre comunità parrocchiali stanno vivendo questo gesto così importante di accoglienza di molti migranti. Non poteva che essere la Sicilia la nostra scelta, in particolare Augusta, uno dei luoghi in cui portare il nostro ringraziamento, come Migrantes e come Conferenza episcopale italiana, a chi sta vivendo i gesti dell’ospitalità concretamente. Soprattutto incontrando alcuni dei protagonisti, i parroci di Augusta, che hanno vissuto in prima persona questo gesto di accoglienza e che stanno educando le comunità a sentire forte la necessità di non chiudersi di fronte ad una realtà quale è l’immigrazione, ma a dare dei segnali che possano essere anche interpretati dalla società civile e dalla politica.

D. – I parroci di Augusta in una lettera aperta scrivono: “Fratello che fuggi dalla guerra o dalla miseria sii il benvenuto”. Ma questi fratelli sono i benvenuti qui in Italia?

R. – Diciamo che proprio da Augusta viene forte questa esperienza positiva, che speriamo si allarghi e diventi un’esperienza comune di tutte le nostre comunità, di tutte le nostre città. Sappiamo come tante volte si faccia fatica a leggere queste migrazioni forzate come un aspetto importante dentro la vita di una città, su cui ripensare anche la stessa città. Da Augusta viene forte invece un’esperienza positiva, che possa essere letta al Sud come al Nord del nostro Paese, e possa aiutare le nostre città a capire l’importanza di strutturare i nostri luoghi di vita anche per accogliere persone in fuga, sapendo che questo non è solo un diritto da parte di queste persone, ma anche un dovere da parte delle nostre comunità che riconoscono questo diritto.

D. – Lei, all’indomani di un’ennesima tragedia, questa volta nelle acque libiche, ha lanciato la richiesta che si rafforzi la possibilità di visti d’ingresso nei Paesi europei, per chi fugge da conflitti e da persecuzioni. Su questa linea è fermo anche l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite. E’ dunque fondamentale che l’Europa capisca la necessità di dare visti umanitari...

R. – Certamente. Se non si dà da subito una regolarità ad un percorso per colui che è richiedente asilo, o che comunque chiede una protezione internazionale, il rischio è che questo percorso venga gestito da altre organizzazioni. Il visto d’ingresso quindi è un primo strumento importante, credo, anche per combattere chi si arricchisce su questi viaggi della speranza.

D. – Siamo al bivio che ci fa lasciare Mare Nostrum per avviarci verso Frontex Plus. Le sue perplessità quali sono?

R. – Che non si riesca a fare la stessa grande operazione umanitaria che è stata fatta con Mare Nostrum e cioè di andare alla ricerca nel Mediterraneo di chi è in difficoltà e ha intrapreso un viaggio per portarlo in salvo sulle nostre coste. Temo che ci si possa fermare semplicemente a presidiare dei confini. Abbiamo già visto in altre occasioni come presidiare i confini significhi tante volte lasciar morire tantissime persone.

D. – Che cosa si augura che emerga alla fine della vostra riunione di Augusta?

R. – Che emerga forte l’interesse e l’impegno della Chiesa italiana nei confronti di chi arriva sul territorio italiano, ed emerga anche forte il moltiplicarsi dell’impegno, dell’accoglienza dentro le nostre comunità. Augusta è un po’ il segno di una Chiesa in Italia che vuole fare dell’accoglienza una delle esperienze fondamentali per rileggere il proprio umanesimo e per aiutare anche le città a rileggere questa capacità di valorizzare e salvaguardare la dignità di ogni persona come un aspetto centrale del nostro cammino storico.

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Referendum in Scozia. Mons. Cushley: cattolici sui due fronti

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Giovedì prossimo 18 settembre, gli scozzesi saranno chiamati alle urne per decidere in un referendum l'indipendenza o meno della Scozia dal Regno Unito. Su questo voto cruciale, Susan Hodges ha sentito mons. Leo Cushley, arcivescovo di St. Andrews ed Edimburgo: 

R. – Well, I think the people of Scotland, the people of the United Kingdom ...
Mi sembra che la gente di Scozia, la gente del Regno Unito nel suo insieme, stia rapidamente scoprendo, in particolare in questi giorni, l’importanza della decisione che gli scozzesi stanno per prendere …

D. – Gli ultimi sondaggi parlano di un margine sempre più stretto tra i “sì” e i “no”…

R. – I always expected this to happen, and the any reading that I did …
Mi aspettavo che questo accadesse e tutto quello che ho letto in proposito, i manifesti che si vedono in giro, dicevano la stessa cosa: che il margine si sarebbe ristretto, ed è esattamente quello che pensano gli analisti. Ciò nonostante, sembrerebbe – secondo alcuni – che la campagna per il “sì” abbia saputo mobilitare i propri seguaci meglio di quanto non abbiano fatto i sostenitori del “no” e sembra che questo stia producendo il suo effetto – almeno secondo alcune proiezioni. Ma comunque, il punto della questione è che il margine si riduce … ma chi può dire fino a che punto?

D. – Quale tipo di affluenza alle urne ci si aspetta? Perché, tradizionalmente in Scozia è stata molto bassa, in occasione delle elezioni …

R. – Yes … it’s very interesting, this point. …
Sì ed è un aspetto interessante, questo. Per quanto ne so, non c’è mai stato un dibattito politico così vivace … Ovunque io vada, in qualsiasi occasione questo referendum diventa parte della conversazione: tutti ne parlano. Però, so anche che la gente sta andando a registrarsi per poter votare come non è mai accaduto prima. Credo in primo luogo perché Londra e la sede del Parlamento principale del Regno Unito sono così lontani – almeno psicologicamente. Credo che finora gli scozzesi abbiano in qualche modo delegato a Londra tutto questo senza assumere una vera consapevolezza politica della situazione. Un altro aspetto che caratterizza l’attuale dibattito è che finora è sempre stato tranquillo, cordiale e non violento: e questo è una testimonianza per la società scozzese.

D. – Come descriverebbe gli umori in Scozia, mentre ci si prepara a questo voto storico? Cosa ne pensano i cattolici?

R. – Catholics, according to statistics that I have seen, it would seem that there is …
Secondo le statistiche che ho visto, sembrerebbe che ci sia una percentuale significativa di cattolici che si dichiarano a favore dell’indipendenza, anche se è abbastanza equilibrata la posizione dei cattolici. Ho incontrato cattolici appassionatamente coinvolti su tutti e due i fronti …

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Rapporto Fao: 1 persona su 9 soffre la fame nel mondo

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Presentato a Roma, nella sede della Fao, il Rapporto 2014 sullo stato dell’insicurezza alimentare nel mondo (Sofi), curato insieme al Pam e all’Ifad. Ancora lontano l’obiettivo del Millennio, stabilito dalle Nazioni Unite, di dimezzare il numero degli affamati nel mondo entro il 2015. Appello delle tre agenzie Onu, dedicate al settore agricolo-nutrizionale, perché i governi collaborino con il settore privato e la società civile per garantire il diritto al cibo. Il servizio di Roberta Gisotti

“Partiamo dalle buone notizie”, ha esordito José Graziano da Silva, direttore generale della Fao. Su 137 Paesi monitorati dal Rapporto, 63 hanno dimezzato il numero di affamati, ovvero persone sottonutrite croniche. Erano più di un miliardo nel 1990, ora sono 805 milioni, 209 milioni in meno. Massima parte 791 milioni vivono nei Paesi in via di sviluppo; oltre mezzo miliardo in Asia; 226 milioni, addirittura in crescita in Africa; 37 milioni, quasi dimezzati, in America Latina. Manca però poco più di un anno alla fine del 2015, e sarà impossibile scendere ai 400 milioni, indicati negli obiettivi del Millennio: allora infatti gli affamati erano già 800 milioni! Dietro le cifre una grande amarezza. Negli ultimi anni  – ha sottolineato da Silva – abbiamo avuto produzioni record. E, oggi abbiamo abbastanza cibo per tutti nel mondo! Ma un terzo del cibo prodotto – ricorda oggi la Coldiretti – non viene consumato, viene sprecato.

Ciò che manca sovente è la volontà politica, ha denunciato la direttrice esecutiva del Pam, Ertharin Cousin, evidenziando le tante guerre che impediscono di vincere la sfida della fame. Dobbiamo puntare di più sulla cooperazione dei governi, ha suggerito il vicepresidente dell’Ifad John McIntire, perché mettano le politiche agricole al centro dei loro programmi, sostenendo le popolazioni rurali più povere e i piccoli agricoltori. Parole chiave nella lotta alla fame restano: disponibilità e accesso al cibo, protezione sociale, stabilità dei Paesi.

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Mons. Nzapalainga: bene Onu, ma centrafricani siano protagonisti pace

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La nuova forza delle Nazioni Unite in Centrafrica (Minusca) ha ufficialmente preso ieri il comando del mantenimento della pace nel Paese, sostituendo la forza militare africana Misca. La forza Onu avrà a disposizione, in questa prima fase, 7.600 uomini, ma in totale arriverà a contare 12.000 unità tra soldati e poliziotti. Sul ruolo avuto dalla Misca, Christelle Pire ha sentito mons. Dieudonné Nzapalainga, arcivescovo di Bangui:

R. - La Misca a portée une solidarieté …
La Misca ha portato una solidarietà africana dove i centrafricani  erano in difficoltà, presi nei loro conflitti interni, non riuscivano più a parlarsi senza uccidersi; la Misca si è fatta da intermediario per mettere fine alle uccisioni, alle violazioni dei diritti umani, agli stupri, ai massacri di massa. A questo livello bisogna essere riconoscenti, perché se non ci fosse stata la Misca forse avremmo conosciuto il peggio. Allo stesso tempo, la Misca è anche una forza africana. Molte forze africane hanno difficoltà al livello di materiali. Le forze africane in certi ambiti erano abbandonate a se stesse e questo ha mostrato i loro limiti. Ecco perché era arrivato il momento che subentrasse un'altra forza, dell’Onu.

D. - Ci sono ancora violenze nel Paese. Pensa che queste nuove forze che sono sotto l’autorità dell’Onu saranno più capaci di calmare le tensioni?

R. -  Les forces qui sont venues sous l’autorité …
Le forze dell’Onu potrebbero essere anche un miliardo o anche di più! Ma se i centrafricani non prendono coscienza che questo Paese ci appartiene, che siamo chiamati a vivere insieme, anche se fossero un miliardo i soldati dell’Onu, non riuscirebbero a fare nulla. Le forze della Misca devono essere un punto di riferimento, per dare sostegno ai centrafricani nei loro sforzi di riconciliazione. Penso che i soldati siano i benvenuti, ma la prima riposta deve venire dal Centrafrica.

D. - Ci sono state delle manifestazioni che chiedevano ai francesi dell’operazione Sangaris di lasciare il Paese, passando le consegne alla Misca. La Francia ha iniziato a lasciare il Centrafrica a partire dalla fine dello scorso anno. Questo contribuirà a calmare le acque?

R. - Je pense que il faut qu’on ne se trompe pas d’adversaire …
Credo che dobbiamo fare attenzione a non sbagliare “nemico”: il primo nemico siamo noi centrafricani quando cominciamo a seminare l’odio, la vendetta; quando cominciamo a diffamare: questo è il nemico che dobbiamo combattere! Certo, gli altri che sono venuti qui, hanno avuto i loro limiti, non hanno saputo risolvere tutti i nostri problemi. E ora, noi cerchiamo dei capri espiatori. Non voglio giustificare nessuno, ma lo dico perché noi, come centrafricani, ricominciamo daccapo. Quello che è accaduto ormai è accaduto; ora, in prima linea ci siamo noi, i centrafricani; i francesi hanno concluso la loro missione. In alcune circostanze i soldati della missione Sangaris hanno avuto un ruolo importante: due settimane fa c’è stato un incidente stradale; i soldati sono venuti con l’elicottero e hanno portato i feriti in ospedale, salvando delle vite. Non bisogna nascondere la faccia: bisogna dire la verità. Hanno fatto anche cose positive. Se poi ci sono stati errori, è un’altra questione: è umano. Ma non bisogna fermarsi a questo, bisogna andare avanti. Bisogna guardare piuttosto al compito che era stato affidato e che è stato realizzato: dare una certa stabilità per preparare la missione dell’Onu che è appena arrivata.

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Il Coro della Sistina in Cina. Don Palombella: evento che aiuta il dialogo

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Per la prima volta nella storia, il coro della Cappella Musicale Pontificia "Sistina" si esibirà in territorio cinese. In programma dal 19 al 23 settembre ci sono infatti tre concerti nelle città di Macao, Hong Kong e Taipei, su iniziativa di Istituti e diocesi locali, per promuovere lo scambio culturale, condividendo le tradizioni musicali dell’Oriente e dell’Occidente e costruendo, con queste, nuovi canali di comunicazione e di comunione. A guidare il coro è il maestro don Massimo Palombella. Il servizio di Gabriella Ceraso

Il “Coro del Papa” che da secoli custodisce la tradizione musicale della Chiesa si appresta a varcare le soglie del territorio cinese. Caro alla Cappella, al suo direttore e ai Papi che lo hanno sostenuto, è il progetto ecumenico che il Coro porta avanti e che lo ha visto già nei mesi e negli anni passati fare tappa a Mosca, a Londra e a Lipsia per incontrare in veste musicale la Chiesa ortodossa, anglicana e luterana. Ora il passo è ancora più rilevante ma l’intento è lo stesso lanciare, attraverso l’arte, dei ponti di dialogo e di incontro, usando le fonti comuni e quei linguaggi che vanno oltre la teologia e la diplomazia, come conferma il direttore della Cappella Sistina, don Massimo Palombella :

“Quando noi studiamo, ricerchiamo, andiamo alle fonti, cerchiamo di essere onesti professionalmente. Questa è la prima base per un dialogo culturale, proprio perché le fonti sono comuni. Anche nella musica ci sono fonti comuni”.

“Melodie celestiali nella Grande Cina", è il titolo dei tre concerti con musiche di Palestrina, Orlando di Lasso, Gregorio Allegri e Lorenzo Perosi, storicamente nel repertorio delle Celebrazioni del Papa, che si svolgeranno il 19 settembre, nella Cattedrale di Macao; il 21 presso il centro culturale di Hong Kong e il 23 settembre a Taipei presso il National Concert Hall:

“Fondamentalmente noi facciamo sempre un concerto nel quale c’è il gregoriano: Palestrina, de Victoria e Orlando di Lasso, dunque proprio l’espressione più ortodossa della polifonia classica”.

Il 21 nella Cattedrale di Hong Kong, il Coro della Cappella Musicale Pontificia, su mandato del cardinale Segretario di Stato, accompagnerà anche la liturgia domenicale della Celebrazione Eucaristica, presieduta dal cardinale John Tong Hon. Ancora don Massimo Palombella:

“Sarà una cosa molto interessante, lavorare insieme alla realtà musicale del coro della Cattedrale di Hong Kong, ritrovare i punti comuni nell’unica realizzazione della riforma liturgica del Concilio Vaticano II: con tradizioni musicali diverse, ma con l’unica ecclesiologia di fondo che ci lega”.

Questa estate sorvolando per la prima volta la Cina di ritorno dalla Corea, il Papa non ha mancato di esprimere il suo affetto e la sua stima per il popolo cinese, rivelando il suo grande desiderio di visitarlo. Quale dunque il messaggio del Papa che la Cappella Sistina porterà in questo viaggio così lontano?

“L’unico messaggio del Papa che noi portiamo è un messaggio di scambio culturale. Poniamo le basi per lo scambio culturale e dunque le basi per l’evangelizzazione. La cultura, infatti, è veicolo di evangelizzazione”.

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Religion Today Filmfestival dedicato quest'anno al cambiamento

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“Change! Religioni, società, cambiamento” è il tema della XVII edizione del Religion Today Filmfestival, che si svolgerà dal 10 al 21 ottobre a Trento e in altre località italiane. Il Festival, che è stato presentato con una conferenza stampa presso la Sala Marconi della Radio Vaticana, è nato nel 1997 per promuovere una cultura del dialogo e della pace tra religioni e culture differenti. Il tema di quest’anno è dunque il cambiamento: perché? Rosario Tronnolone lo ha chiesto alla direttrice artistica Katia Malatesta

R. - Crediamo che sia davvero la sfida che le religioni e anche la società civile stanno vivendo in questo momento. Per cui “Cambiamento!”- con il punto esclamativo - in primo luogo lo offriamo come un’esortazione, un invito, un appello. Da una parte è evidente che nel mondo si rincorrono cambiamenti anche epocali che a volte ci spaventano; torna con prepotenza il fantasma deprecabile dello scontro di civiltà -  un festival come il nostro non può non affrontare questa paura diffusa, questo senso di minaccia - e dall’altra parte anche le religioni, che a volte soprattutto dall’esterno vengono viste inevitabilmente come roccaforti di conservazione, stanno vivendo invece dei cambiamenti che riguardano tutti e per tutti. Qui a Radio Vaticana non possiamo non citare Papa Francesco, i suoi gesti e la reazione che stanno avendo non solo per il popolo cristiano.

D. - In questo momento sembra che ci siano più contrasti tra le religioni che non possibilità di dialogo. In che modo il cinema può invece trasformarsi in una lingua che permette questo dialogo?

R. - Questa è proprio da sempre la scommessa da sempre del Religion Today Filmfestival. Noi crediamo che il cinema abbia un grande potenziale per il dialogo. Forse è più facile intuire il potenziale negativo: tutti siamo consapevoli di quanto il cinema, nei decenni, abbia alimentato visioni stereotipate, incomprensioni, equivoci, fraintendimenti. Dall’altra parte invece la scelta dei nostri film è orientata a favorire una maggiore comprensione reciproca, a divulgare informazione corrette sulle diverse tradizioni religiose; ma c’è qualcosa di più: siamo convinti che guardare un bel film che viene da un’altra cultura, una religione che magari a volte ci spaventa, ci possa prima di tutto far apprezzare l’umanità, il mestiere, la professionalità, il brio, l’intelligenza, l’arguzia. Quindi anche questo, la bellezza, la dimensione estetica del cinema, può creare quel primo momento di avvicinamento che puoi può diventare incontro.

D. - Il Religion Today non ha un’unica sede ma è un festival itinerante. Quali sono le tappe di questa 17.ma edizione?

R. - Come sempre il Religion Today resta prima di tutto un festival di Trento, città con una storica vocazione a fare da ponte tra diversi popoli, culture, fedi, confessioni. Quindi dal 10 al 18 ottobre saremo a Trento con programma particolarmente ricco su questo tema del cambiamento. Poi da sempre, il festival è pronto ad andare laddove c’è qualcuno che ci vuole ospitare; quindi sedi tradizionali che con le loro differenze - noi parliamo di un viaggio nelle differenze - alimentano diversi aspetti della proposta del festival, per cui ci può essere Nomadelfia, la comunità grossetana fondata da don Zeno Saltini sulla legge della fraternità, ci può essere Bassano, casa di esercizi spirituali dei Gesuiti, ma poi c’è una vetrina prestigiosa come Roma, in particolare grazie alla collaborazione consolidata con l’Università pontificia salesiana. L’anima del festival resta migrante, un tema tra l’altro che affrontiamo anche con la proposta cinematografica.

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Nella Chiesa e nel mondo



Ue e Ucraina ratificano l'Accordo di associazione

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Il Parlamento europeo ha ratificato, in contemporanea con il voto del parlamento di Kiev, l'Accordo di associazione tra Ue e Ucraina,  definito "storico" dal presidente dell'europarlamento Martin Schulz. L'attuazione della creazione di una zona a libero scambio prevista dall'accordo è stata tuttavia rimandata a dopo la  fine del 2015, per consentire alla Russia di fare fronte alle conseguenze dell'intesa sul fronte commerciale.

Il Parlamento ucraino ha anche approvato la legge che introduce per tre anni uno status speciale ai distretti del Donbass controllati dagli indipendentisti e la convocazione di elezioni locali nell'est il 7 dicembre prossimo e l'amnistia per chi ha combattuto a Luhansk e Donetsk, un provvedimento che non si estende ai responsabili, ancora da individuare, dell'abbattimento dell’aereo malese.

Oggi il ministro russo dell'Energia Aleksandr Novak ha dichiarato che si terrà "certamente la settimana prossima", il nuovo incontro tra Russia, Ucraina ed Ue sulla forniture di gas russo a Kiev, ma la data precisa deve essere ancora fissata. Il ministro ieri aveva respinto la proposta europea di riprendere i colloqui trilaterali il 20 settembre. "Pensiamo che a breve sarà presa una decisione dettagliata sull'incontro, ma certo ci sarà la settimana prossima", ha detto Novak oggi a Vienna.

Dal canto suo il segretario generale della Nato, Anders Fogh Rasmussen ha affermato che la Nato non riconosce le elezioni che si sono tenute domenica scorsa in Crimea. ''Continuiamo a condannare l'annessione illegale della Crimea da parte della Russia e la  destabilizzazione delle regioni orientali dell'Ucraina da parte di  Mosca in violazione delle leggi internazionali'', ha ribadito Rasmussen. (R.P.)

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Gaza: i bambini tornano a scuola ma "hanno perso la loro umanità"

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Come in tanti Paesi del mondo, anche a Gaza ieri è stato il primo giorno di scuola. Ma nella Striscia, gli studenti che sono tornati a sedere tra i banchi sono bambini ormai incapaci di parlare, correre, piangere. Molti sono sporchi, vivono per la strada, senza nemmeno una tenda o una coperta a ripararli. Altri sono stati accolti da quelle poche famiglie la cui casa è rimasta in piedi per miracolo. Una situazione "quanto mai drammatica - conferma all'agenzia AsiaNews padre Manawel Musallam, sacerdote palestinese che da 15 anni dirige una scuola cattolica a Gaza - perché questi bambini hanno perso la loro umanità".

Nella Striscia le attività scolastiche hanno ripreso con tre settimane di ritardo rispetto ai ritmi normali, dopo quasi due mesi di conflitto tra Israele e Hamas. Iniziate l'8 luglio scorso, le violenze hanno causato la morte di oltre 2.140 palestinesi, di cui più di 500 erano bambini. Su 1,8 milioni di abitanti, quasi il 45% della popolazione ha meno di 14 anni. Secondo il ministero dell'Istruzione, almeno 24 scuole sono state distrutte dai bombardamenti israeliani e 190 parzialmente danneggiate.

Secondo l'Agenzia Onu per i rifugiati palestinesi (Unrwa) - che nella Striscia dirige 245 scuole - 373mila bambini e adolescenti "avranno bisogno di sostegno socio-psicologico specializzato e diretto". Per questo, l'organismo ha offerto speciali corsi di formazione agli insegnanti.

"Molte scuole - spiega ad AsiaNews padre Musallam, che per diversi anni è stato parroco della Santa Famiglia - sono state trasformate in rifugio per i palestinesi a cui hanno distrutto le case. Ma quando riunisci più di mille persone in un luogo che non ha elettricità, né acqua, si può solo immaginare il problema sanitario. Abbiamo impiegato più di 15 giorni per pulire e riordinare tutto".

Tuttavia, confessa il sacerdote palestinese, "a volte io per primo mi domando il senso di riaprire queste scuole. Non impareranno arabo, inglese, scienze, fisica. Non studieranno. Avrebbero bisogno di almeno un anno di cure e riabilitazione psicologica, ma qui in Palestina non abbiamo nessuno specializzato che si prenda cura di loro. Sono esseri umani feriti: ma una persona nelle loro condizioni, senza trattamenti adeguati, rischia di diventare pericolosa per gli altri".

Noi, aggiunge, "dovremmo lavorare per trasformarli in agenti di pace. Ma i ragazzi che oggi hanno 17 anni hanno già visto quattro guerre. Israele non ha mostrato alcuna misericordia verso il popolo palestinese. Ora questi bambini hanno perso la loro umanità, la gioia, la libertà; sono di nuovo lontani dalla pace, dall'amore verso l'altro, dall'accettare il prossimo. Questi ragazzi sono i combattenti di domani, ma rischiano di diventare terroristi". (G.M.)

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Libano: si insedia il nuovo Mufti, uomo del dialogo

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Oggi, assume in pieno le sue funzioni il nuovo mufti della Repubblica libanese, lo Sheikh Abdel Latif Deryan, eletto in agosto. La cerimonia di investitura si tiene presso la moschea Mohammad el-Amin, in presenza del premier libanese Tannam Salam e delle alte cariche del Paese, dove da mesi i blocchi politici che dominano la scena politica non riescono a trovare l'accordo per l'elezione del nuovo Presidente. Anche il patriarca maronita Boutros Bechara Rai ha voluto interrompere la sua visita pastorale negli Stati Uniti per prendere parte alla cerimonia.

Il 61enne Deryan dovrebbe rivestire la carica di mufti della Repubblica libanese fino all'età di 72 anni, ed è conosciuto come uomo di dialogo e di sguardo lungimirante. Secondo quanto riportato dalla stampa libanese, con la sua investitura diviene possibile realizzare presto un meeting interreligioso per delineare un fronte comune dei leader delle diverse comunità religiose libanesi contro il pericolo che anche il Libano venga destabilizzato da parte dei gruppi jihadisti in azione in Medio Oriente.

Il nuovo mufti libanese, nei suoi primi discorsi dopo l'elezione, ha esplicitamente stigmatizzato lo scontro tra sciiti e sunniti che contribuisce pesantemente a insanguinare e destabilizzare tutta l'area mediorientale, e ha usato parole di condanna anche per lo sradicamento forzato delle comunità cristiane locali. “I rapporti tra sciiti e sunniti in Libano - ha affermato tra l'altro Deryan - non sono quelli che dovrebbero essere. Quello che ci facciamo gli uni gli altri, in Siria, Iraq, in Libano e nello Yemen o in Libia, supera quello che gli israeliani hanno potuto fare a Gaza e in Palestina”.

“In meno di cinque anni – ha sottolineato il nuovo mufti libanese - le guerre tra noi hanno fatto mezzo milione di morti e 12 milioni di rifugiati, senza contare lo sradicamento dei cristiani e delle altre comunità e la loro oppressione. Fenomeni che bisogna combattere giorno dopo giorno”. (R.P.)

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Sri Lanka: "Rimanere nell’amore di Dio” tema della visita papale

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“Per la visita del Papa, che sarà in Sri Lanka dal 13 al 15 gennaio 2015, abbiamo scelto il tema ‘Rimanete nel mio amore’, tratto dal Vangelo di Giovanni, perché crediamo che l’amore sia la cifra di questo pontificato. Papa Francesco con ogni sua parola e gesto ci invita a restare nell’amore di Dio e a portarlo al prossimo: un messaggio prezioso per noi in Sri Lanka”. Lo afferma, in un colloquio con l’agenzia Fides, il card. Malcolm Ranjith, arcivescovo di Colombo, presentando il programma del prossimo viaggio di Papa Francesco.

Il cardinale dice a Fides: “Siamo molto felici per la presenza del Santo Padre nella nostra terra. Lo consideriamo un onore e un grande incoraggiamento per la Chiesa in Sri Lanka. I preparativi vanno avanti senza ostacoli, a livello spirituale e organizzativo. Lo attendiamo con gioia e lo riceveremo come un carissimo ospite”.

“Il tema ‘Rimanete nel mio amore’ – spiega il cardinale – mette in luce l’orientamento principale del pontificato di Francesco, che cerca di rendere la Chiesa sempre più una realtà che riflette e porta l’amore di Cristo ai fratelli, soprattutto ai poveri e ai bisognosi. In Sri Lanka viviamo una fase in cui la Chiesa è chiamata a essere veicolo del messaggio di pace, amore e riconciliazione”.

“Il tema della riconciliazione – prosegue l’arcivescovo di Colombo – sarà centrale. La visita a Madhu, al Santuario mariano in area tamil, vuole esprimere proprio questo messaggio. Abbiamo passato e superato un’epoca triste, segnata dalla guerra. Oggi stiamo cercando di curare le ferite e recuperare uno spirito di fratellanza e di pacifica convivenza. Il cammino è faticoso e disseminato di ostacoli: la presenza del Papa sarà un forte incoraggiamento sul percorso della riconciliazione”.

Un altro punto su cui la comunità cristiana locale ripone speranze è la canonizzazione del beato Joseph Vaz, considerato un pilastro della Chiesa srilankese: “Speriamo e preghiamo che possa avvenire durante la visita del Papa. Sappiamo che la Congregazione per le Cause dei Santi sta lavorando alacremente per cercare di concludere l’iter. Se la Chiesa qui esiste e si è salvata dalle persecuzioni olandesi, lo deve a questo grande missionario, che ha fortificato la fede della comunità in un momento molto difficile”.

Alle dichiarazioni ostili di alcuni leader buddisti e nazionalisti, il card. Ranjith non dà troppo peso: “Cercano solo di guadagnare consenso e visibilità. Credo che tutto il Paese e tutte le religioni accoglieranno Papa Francesco con grande spirito di amicizia”. (R.P.)

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Cina. E' morto mons. Giuseppe Wu Shizhen, arcivescovo di Nanchang

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Il 25 agosto scorso, dopo una lunga malattia, è deceduto, all’età di 93 anni, mons. Giuseppe Wu Shizhen, arcivescovo di Nanchang, nella provincia cinese di Jiangxi. Il presule era nato il 19 gennaio 1921 nella contea di Linchuan, nella città di Fuzhou (Jiangxi), da una famiglia di lunga tradizione cattolica. Entrato in Seminario nel 1933 all’età di 12 anni, aveva completato la sua formazione filosofica e teologica dal 1942 al 1949 ed era stato ordinato sacerdote dall’allora vescovo di Yujiang, mons. William Charles Quinn, il 6 novembre 1949.

Dopo l’ordinazione sacerdotale, il rev. Wu dovette tornare al suo paese d’origine per occuparsi di agricoltura. Successivamente si dedicò alla pratica della medicina tradizionale cinese, svolgendo un servizio di assistenza medica presso alcuni ospedali della contea di Linchuan fino agli anni '80. Nel 1982 rientrò in diocesi ed intraprese il ministero pastorale presso le comunità cattoliche di Linchuan, Jiujiang e Lushan.

Mons. Wu ha svolto il suo ministero in tempi difficili. Ha cercato di assicurare una solida formazione umana e spirituale ai seminaristi ed alle religiose della sua arcidiocesi, ha riparato e riaperto diverse chiese, e ha guidato le comunità locali con zelo pastorale.

Le esequie hanno avuto luogo il 30 agosto scorso, presso la cattedrale dell’Immacolata Concezione di Maria a Songbaixiang (Nanchang). (R.P.)

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Madrid: Giornate sociali cattoliche su fede e futuro europeo

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“La fede cristiana e il futuro dell’Europa”: è il tema della seconda edizione delle Giornate sociali cattoliche per l’Europa, in programma dal 18 al 21 settembre a Madrid, “durante le quali specialisti nell’apostolato sociale della Chiesa, provenienti da 29 Paesi europei”, affronteranno le principali sfide del vecchio continente alla luce del Vangelo e della dottrina sociale della chiesa.

Gli organizzatori - riferisce l'agenzia Sir - sono le due istituzioni di vescovi cattolici d’Europa, Ccee e Comece, insieme all’arcidiocesi di Madrid e con la collaborazione della Conferenza episcopale spagnola: “È stato il card. Rouco Varela - chiarisce una nota - a offrire come sede la diocesi madrilena dopo che le prime Giornate ebbero luogo a Danzica (Polonia) dall’8 all‘11 ottobre 2009”.

Le Giornate sociali prenderanno avvio giovedì 18, alle ore 18, con una Messa celebrata dal vescovo di Calahorra e La Calzada Logroño, e presidente della commissione per la Pastorale sociale della Conferenza episcopale spagnola, mons. Juan José Omella Omella.

Successivamente avrà luogo la sessione di apertura con interventi, tra gli altri, dei cardinali Antonio Maria Rouco Varela, amministratore apostolico di Madrid, Angelo Bagnasco, arcivescovo di Genova e vicepresidente Ccee, e Reinhard Marx, arcivescovo di Monaco e presidente Comece. In seguito, il rettore dell’Università ecclesiastica di San Damaso (Madrid), don Javier Prades López, pronuncerà la prima conferenza intitolata: “Il contributo della fede cristiana per il presente e il futuro dell’Europa: la persona”. (R.P.)

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Don Guanella: dal 21 settembre inizio centenario della morte

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Fermento nella famiglia guanelliana per l‘ormai prossimo inizio dell‘anno centenario della morte del fondatore, San Luigi Guanella (1915-2015), che si aprirà a Roma il 21 settembre con una solenne concelebrazione presso la basilica di San Giuseppe al Trionfale, presieduta dal card. Joao Braz de Aviz, prefetto della Congregazione per gli Istituti di vita consacrata.

Diverse le iniziative in cantiere - riferisce l'agenzia Sir - tra le quali, la “formazione sul carisma” in corso a Roma dal 18 agosto: un mese di approfondimenti biblici e teologici, riferimenti alle fonti, ma anche visita ai luoghi natali del fondatore, laboratori ed incontri con alcune comunità guanelliane - Perugia, Napoli, Trionfale e via Aurelia Antica - per fare esperienza concreta del carisma in opera nella missione, una proposta rivolta a venti giovani confratelli provenienti da Nigeria, Repubblica Democratica del Congo, Filippine, India, Cile, Argentina, Paraguay.

“Un percorso per giovani religiosi guanelliani - sottolinea il vicario generale, don Umberto Brugnoni - per sondare l‘identità del carisma, inteso come dono dello Spirito, e la Sua azione, che si manifesta negli atteggiamenti e nei comportamenti degli uomini”. A cento anni dalla morte, don Guanella interroga ancora e scuote il perbenismo odierno.

“Oggi come allora il messaggio di San Luigi è sinonimo di benevolenza, cuore misericordioso, tenerezza, paternità, spirito di famiglia tra anziani e giovani generazioni. Certo - sottolinea Brugnoni - colpisce l‘attualità del messaggio se pensiamo alla cultura attuale e alle principali sottolineature espresse dal magistero di Papa Francesco”.

Del resto anche gli Addenda, approvati nel 2013, alle Costituzioni dei Servi della Carità, vanno nella direzione di una crescente attenzioni ai poveri, alla difesa della vita umana, al rispetto della natura e alla cura delle persone in situazioni di fragilità. “Orizzonti sterminati - aggiunge - se visti con il cuore che abita il mondo intero”.

Il carisma non si può definire ma si racconta con la vita. E così a margine di una delle giornate di approfondimento padre Stephen Onyeks, direttore delle attività dell‘Oseper a Kinshasa, racconta come in Congo guanelliani significhi essere accanto ai ragazzi di strada per una loro crescita integrale, il reinserimento nelle famiglie, in vista poi di una progressiva autonomia, mentre in Nigeria l‘impegno urgente a cui sono chiamati a dare risposta è la dignità ai bambini disabili, vivendo con loro e prendendosene cura, offrendo a questi ragazzi una qualità di vita indipendente dalla possibilità di partecipazione delle famiglie alle spese. (R.P.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVIII no. 259

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.