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Sommario del 15/09/2014

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Il Papa: senza la Madre Chiesa non possiamo andare avanti

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Come senza Maria non ci sarebbe stato Gesù, così “senza la Chiesa non possiamo andare avanti”. E’ quanto ha detto il Papa presiedendo la Messa mattutina a Santa Marta nel giorno in cui si celebra la memoria della Beata Vergine Addolorata. Il servizio di Sergio Centofanti

La Liturgia – afferma Papa Francesco – dopo averci mostrato la Croce gloriosa, ci fa vedere la Madre umile e mite. Nella Lettera agli Ebrei “Paolo sottolinea tre parole forti”: dice che Gesù “imparò, obbedì e patì”. “E’ il contrario di quello che era accaduto al nostro padre Adamo, che non aveva voluto imparare quello che il Signore comandava, che non aveva voluto patire, né obbedire”. Gesù, invece, pur essendo Dio, "si annientò, umiliò se stesso facendosi servo. Questa è la gloria della Croce di Gesù”:

“Gesù è venuto al mondo per imparare a essere uomo, ed essendo uomo, camminare con gli uomini. E’ venuto al mondo per obbedire, e ha obbedito. Ma questa obbedienza l’ha imparata dalla sofferenza. Adamo è uscito dal Paradiso con una promessa, la promessa che è andata avanti durante tanti secoli. Oggi, con questa obbedienza, con questo annientare se stesso, umiliarsi, di Gesù, quella promessa diventa speranza. E il popolo di Dio cammina con speranza certa. Anche la Madre, ‘la nuova Eva’, come lo stesso Paolo la chiama, partecipa di questa strada del Figlio: imparò, soffrì e obbedì. E diventa Madre”.

Il Vangelo ci mostra Maria ai piedi della Croce. Gesù dice a Giovanni: “Ecco tua madre”. Maria - ha affermato il Papa - “è unta Madre”:

“E questa è anche la nostra speranza. Noi non siamo orfani, abbiamo Madri: la Madre Maria. Ma anche la Chiesa è Madre e anche la Chiesa è unta Madre quando fa la stessa strada di Gesù e di Maria: la strada della obbedienza, la strada della sofferenza e quando ha quell’atteggiamento di imparare continuamente il cammino del Signore. Queste due donne – Maria e la Chiesa – portano avanti la speranza che è Cristo, ci danno Cristo, generano Cristo in noi. Senza Maria, non sarebbe stato Gesù Cristo; senza la Chiesa, non possiamo andare avanti”.

“Due donne e due Madri” – ha proseguito Papa Francesco – e accanto a loro la nostra anima, che come diceva il monaco Isacco, l’abate di Stella, “è femminile” e assomiglia “a Maria e alla Chiesa”:

“Oggi, guardando presso la Croce questa donna, fermissima nel seguire suo Figlio nella sofferenza per imparare l’obbedienza, guardandola guardiamo la Chiesa e guardiamo nostra Madre. E, anche, guardiamo la nostra piccola anima che non si perderà mai, se continua a essere anche una donna vicina a queste due grandi donne che ci accompagnano nella vita: Maria e la Chiesa. E come dal Paradiso sono usciti i nostri Padri con una promessa, oggi noi possiamo andare avanti con una speranza: la speranza che ci dà la nostra Madre Maria, fermissima presso la Croce, e la nostra Santa Madre Chiesa gerarchica”.

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Papa in Albania. P. Lombardi: in primo piano martiri e dialogo interreligioso

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Si è svolto stamani nella Sala Stampa vaticana il briefing di padre Federico Lombardi sul viaggio apostolico in Albania, in programma domenica prossima 21 settembre. Si tratta del quarto viaggio internazionale di Papa Francesco, il primo in uno Stato europeo. Il portavoce vaticano ha sottolineato che il viaggio in Albania avrà come temi chiave la fede dei martiri e il dialogo interreligioso. Padre Lombardi ha inoltre affermato che non ci sono minacce specifiche da parte islamista nei confronti del Papa. Il servizio di Alessandro Gisotti: 

Un viaggio di un giorno, breve ma intenso, che metterà al centro la fede dei martiri uccisi dal comunismo ateo e l’incoraggiamento al dialogo e alla convivenza tra le religioni. Questa in estrema sintesi, nelle parole di padre Federico Lombardi, la cifra della visita di Francesco all’Albania. Una scelta che sottolinea la predilezione del Papa argentino per le periferie:

“Un primo motivo è quello dell’omaggio per il martirio per la fede, vissuto in questo Paese, con una persecuzione terribile da parte del comunismo ateo: è stato considerato il primo Stato ateo del mondo, ha iscritto l’ateismo nella Costituzione stessa… E, come egli stesso ha notato – mi pare anche quando facevamo il viaggio di ritorno dalla Corea – gli interessa molto incoraggiare un clima di convivenza interreligiosa, positiva, serena, armonica, in modo tale che la buona convivenza tra le diverse confessioni e religioni in Albania possa essere un messaggio anche per altri Paesi, per altre parti del mondo”.

Per quanto riguarda il programma della visita, che si concentrerà nella città di Tirana, il Papa terrà 6 discorsi, tutti in italiano. Momenti salienti - dopo la cerimonia di benvenuto al palazzo presidenziale - saranno la Messa nella grande piazza di Tirana dedicata a Madre Teresa, l’incontro interreligioso all’Università Cattolica “Nostra Signora del Buon Consiglio” e i Vespri nella nuova Cattedrale di Tirana dove ci saranno delle testimonianze di sopravvissuti alla persecuzione comunista. Il Pontefice visiterà, inoltre, il Centro Betania che accoglie bambini disabili e abbandonati. Rispondendo ad una domanda sulle minacce da parte dello Stato Islamico (Is) e altri gruppi jihadisti nei confronti del Papa, padre Lombardi ha risposto:

“Se la domanda è: ‘Vi risultano minacce specifiche e preoccupazioni specifiche, per cui si prendono misure molto particolari?’, la risposta è ‘No!’. Quindi, non risultano minacce, rischi specifici per cui cambi il modo in cui il Papa si comporta, in cui il viaggio viene organizzato. No. Si va tranquilli, si usa la jeep di Piazza San Pietro nel trasferimento principale in mezzo alla gente con il principio che sappiamo del Papa che desidera essere senza ostacoli nel suo incontro con la gente”.

Madre Teresa e Karol Wojtyla, ha detto il direttore della Sala Stampa vaticana, saranno le due grandi figure che accompagneranno questo viaggio. Padre Lombardi ha ricordato in particolare il viaggio memorabile di Giovanni Paolo II del 25 aprile 1993 quando il Papa Santo ricostituì letteralmente la gerarchia cattolica albanese che era stata annientata dal regime comunista. In tale occasione, Papa Wojtyla consacrò quattro vescovi albanesi:

“Vale la pena riprendere un poco questo viaggio che era stato immensamente emozionante, anche per tutti coloro che vi hanno partecipato: discorsi molto forti; io consiglio di rileggere … si possono rileggere tutti, perché non erano tanti, i discorsi. Comunque, quello del pomeriggio sulla piazza, in cui c’era proprio la riflessione sull’esperienza dell’ateismo che aveva cercato di negare Dio e distruggere l’uomo, e invece la nuova prospettiva che si andava aprendo. Ecco, quindi, il viaggio di Giovanni Paolo II è naturalmente in mente, mentre viviamo questo nuovo viaggio di Papa Francesco in Albania”.

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Sesta riunione del Papa con il Consiglio dei nove cardinali

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E’ iniziata questa mattina la sesta riunione del Papa con il “Consiglio di Cardinali”, da lui voluto per aiutarlo nel governo della Chiesa universale e per studiare un progetto di revisione della Costituzione Apostolica Pastor bonus sulla Curia Romana. I lavori del “Consiglio dei nove” - che comprende, per decisione di Papa Francesco, anche il cardinale di Stato, Pietro Parolin - proseguiranno fino a mercoledì 17 settembre. I precedenti incontri dei cardinali consiglieri hanno avuto luogo nei giorni: 1-3 ottobre e 3-5 dicembre 2013, 17-19 febbraio, 28-30 aprile e 1-4 luglio 2014. 

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Francesco riceve il giudice federale di La Rioja, Piedrabuena

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Papa Francesco ha ricevuto a Santa Marta Daniel Rubén Herrera Piedrabuena, giudice federale di La Rioja (Argentina), con la consorte, e seguito.

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Il Papa nomina vescovo di Leeds mons. Marcus Stock

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Il Papa ha nominato vescovo di Leeds (Inghilterra) mons. Marcus Stock, del clero dell’arcidiocesi di Birmingham, finora segretario generale della Conferenza Episcopale d’Inghilterra e Galles.

Mons. Marcus Stock è nato a Londra, il 27 agosto 1961. Si è laureato in Teologia ad Oxford (1983) e poi, in Teologia Dogmatica, alla Pontificia Università Gregoriana (1988). È stato ordinato sacerdote, per l'arcidiocesi di Birmingham, il 13 agosto 1988. Dopo essere stato assistente parrocchiale presso la parrocchia di Our Lady and St. Brigid's, Northfield, dal 1991 al 1994 è stato parroco di St. Birinus, Dochester-on-Thames e, dal 1994 al 1999, di St. Peter's, Bloxwich. Dal 1999 al 2009 è stato direttore delle scuole cattoliche dell'arcidiocesi di Birmingham e contemporaneamente parroco a Coleshill, vicino Birmingham. Dal 2011 al 2013 ha svolto il compito di direttore del Servizio Educativo Cattolico. Dal 2009 è segretario generale della Conferenza Episcopale d'Inghilterra e Galles e consigliere della Facoltà di Teologia Heythrop College, Londra. Il 29 dicembre 2011 è stato nominato prelato d'onore di Sua Santità.

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Caritas Internationalis: profughi in Medio Oriente, dramma insostenibile

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È incentrata sulla crisi in Medio Oriente, in particolare in Siria, in Iraq e a Gaza, la riunione convocata da Caritas Internationalis, da oggi a mercoledì a Palazzo San Calisto, a Roma. Presenti i responsabili delle Caritas della regione, assieme ai partner internazionali, per mettere a punto una strategia comune. La guerra in Siria, l’avanzata degli estremisti dello Stato Islamico (Is), la ripresa del conflitto in Iraq, l’attacco israeliano su Gaza hanno provocato un’emergenza che coinvolge non solo le zone interessate dalle violenze, con un flusso inarrestabile di sfollati interni, ma anche i Paesi limitrofi: il Libano accoglie oltre un milione di rifugiati siriani, la Giordania più di 600 mila, la Turchia supera gli 800 mila. Proprio a causa dei combattimenti in Siria, ci sono 13 milioni di persone bisognose di aiuto. La rete Caritas negli ultimi tre anni ha risposto alle necessità di 965 mila persone in Siria, Iraq e a Gaza fornendo alloggi, assistenza sanitaria, cibo, istruzione. Per un quadro della situazione in Iraq, in particolare per i cristiani, Giada Aquilino ha intervistato mons. Shlemon Warduni, presidente di Caritas Iraq: 

R. - La situazione dei cristiani in Iraq è molto precaria, difficile, specialmente per i cristiani del Nord, di Mosul e della Piana di Ninive, perché sono stati cacciati dalle loro case, dai loro villaggi, hanno perso tutto. Non hanno lasciato che prendessero niente.

D. - Perché sono stati cacciati? E da chi?

R. - Perché sono cristiani. E miliziani dell’Is o Daash hanno questo spirito di fanatismo terribile, non hanno coscienza, fanno degli atti cannibaleschi perché sono inumani contro l’umanità! Cosa hanno fatto ai bambini, alle donne, ai poveri, agli anziani? Li hanno lasciati camminare scalzi e con 48° al sole! Hanno preso le loro macchine, hanno fatto tutto. E come e perché? E da dove? Noi ci chiediamo anche questo. Certamente ci sono Nazioni che li aiutano e questo dovrebbe essere messo in evidenza.

D. - Dove si trovano ora i cristiani, soprattutto quelli del Nord?

R. - I cristiani di Mosul e della Piana di Ninive si trovano ancora più a Nord, nei villaggi cristiani. Anche la Chiesa ha cercato di trovare dei posti, dei luoghi dove farli vivere. In 120 mila sono arrivati dalla Piana di Ninive, in 30-40 mila da Mosul e molti di loro, come dicevo, non avevano niente: dormivano sotto le stelle. E (questi miliziani, ndr) sono stati così cattivi che una donna ha partorito in un giardino.

D. - Come sta operando la Caritas e a quale strategia si punta con la riunione a Palazzo San Calisto?

R. - All’inizio abbiamo detto al direttore, ai funzionari, ai volontari: “Ecco, questo è il tempo di lavorare per la Caritas, per amore. Ascoltiamo la Parola del Signore che dice: “Tutto ciò che avete fatto per uno dei miei piccoli fratelli, lo avete fatto per me”. E abbiamo aiutato più di 7.500 famiglie. Ora, con questa riunione, dobbiamo arrivare a dei risultati, per aiutare queste famiglie non solo in Iraq ma anche in Siria, Gaza, Libano: ovunque c’è bisogno di aiuto, la Caritas deve darsi da fare.

D. - Cosa serve urgentemente?

R. - Prima di tutto i viveri, medicine, anche un po’ di denaro per comprare qualche vestito, qualcosa, poi anche un tetto. Adesso arriva l’inverno: cosa faranno? E per i bambini poveri che vogliono andare scuola? Le scuole, che ospitano i profughi, saranno svuotate e queste persone non avranno più un riparo.

La Caritas è presente anche in Libano, accanto ai profughi. Sentiamo padre Paul Karam, presidente di Caritas Libano, intervistato da Giada Aquilino: 

R. – Abbiamo un grande problema: in Libano sono presenti già un milione e 600 mila siriani e ultimamente abbiamo raggiunto quasi 400 famiglie che vengono dall’Iraq e ogni giorno ci sono nuovi arrivi. Inoltre abbiamo il problema dei profughi palestinesi, che sono presenti sul nostro territorio già da 60 anni. Dunque, è emergenza a livello di numeri, soprattutto perché il Libano non è un Paese grande e la nostra popolazione, i nostri fedeli si stanno impoverendo da un giorno all’altro. Facciamo appello alla comunità internazionale affinché si assuma le proprie responsabilità per fermare questo ‘gioco politico’ in atto nella regione.

D. – Cosa raccontano i profughi?

R. – Sono stato in Iraq con la delegazione ufficiale dei Patriarchi. Davvero, è una vera tragedia che ci porta le lacrime agli occhi: quando, per esempio, vedi persone che hanno camminato per circa 70 chilometri, per nove ore al giorno, poi si attaccano alla tua veste, alla tua croce e ti dicono: “padre, prega per me, benedicimi”, oppure ti chiedono: “pace: vogliamo la pace, vogliamo tornare nella nostra terra, nella nostra casa” … questo tocca il nostro cuore. Anche i siriani sono fuori dalle loro case, dalla loro terra. Ma è tutta la problematica politica, che ruota intorno a questa situazione. Inoltre i fanatici sono aumentati tanto. Prima si parlava della rivoluzione, adesso non se ne parla più; abbiamo sentito parlare dell’Esercito libero, adesso non se ne parla più. Adesso si parla soltanto di jihadisti, di fanatici. E questo risolve il problema di tutta una zona ferita?

D. – Quando è andato a Erbil, ma anche quando parla con i profughi in Libano, cosa raccontano di questi combattenti? Perché agiscono così i miliziani dello Stato Islamico?

R. – Quando uno non crede più ai diritti umani, non crede più alla libertà religiosa, non crede più alla convivenza tra i popoli, quando uccidono, cosa possiamo chiedere a una persona così?

D. – Come la Caritas Libano è impegnata affianco di questi profughi?

R. – A livello nazionale, in Libano noi abbiamo già avviato un piano urgente di aiuti che riguarda soprattutto alloggi, kit alimentari e igienici, cerchiamo anche di provvedere - dove possibile - ai luoghi per alloggiare le persone: anche questa è una grande emergenza. E la cosa grave che affrontiamo con i nostri assistenti sociali, è che la maggior parte di questi profughi, fratelli iracheni, entrano in Libano avendo in mente di voler prendere un visto per andare in Occidente. E’ un grande peccato per i nostri fratelli iracheni: non dovrebbero mai lasciare la loro terra.

D. – Cosa vi aspettate dalla riunione della Caritas Internationalis?

R. – Che ci sia un appello molto forte a livello della politica internazionale, perché ci sia una vera giustizia in tutta la zona.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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La guerra non è la risposta: all’Angelus il Papa ricorda la visita di sabato a Redipuglia e lancia un appello per la Repubblica Centroafricana.

A Bangui pace difficile: Pierluigi Natalia sull’avvio della missione delle Nazioni Unite.

Dopo lo sdegno: a Parigi la conferenza internazionale per dare concretezza alla coalizione anti-Is.

Sant’Ambrogio nello zaino: Lucio Coco illustra la lezione dei Padri della Chiesa.

Fili riannodati: Francesco Amarelli sul giurista e politico Gabrio Lombardi e la ricerca sulle origini della libertà.

Anticipazione dell’incipit dell’introduzione del libro intervista di Stefano Lorenzetto con lo stampatore Fabio Franceschi “L'Italia che vorrei. Il manifesto civile dell’uomo che fa i libri”.

Lente deformante e acuta: nel centenario della nascita, Emilio Ranzato ricorda il regista Pietro Germi.

Ogni creatura ama le sue catene: Marcello Filotei sulla lectio magistralis del cardinale Gianfranco Ravasi alla Sagra Musicale Umbra.

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Oggi in Primo Piano



Tre naufragi nel Mediterraneo: si temono 700 morti

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Potrebbero essere 700 i migranti morti nel Mediterraneo negli ultimi cinque giorni: è la stima comunicata dall'Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim). In particolare sarebbero circa 500 i dispersi del naufragio avvenuto la scorsa settimana al largo di Malta, molto probabilmente causato dagli stessi trafficanti che, da una seconda imbarcazione, avrebbero di proposito fatto colare a picco il barcone dei migranti - siriani, palestinesi, egiziani e sudanesi - con i quali era nato un violento scontro. Ci sono poi i 200 dispersi del naufragio avvenuto domenica al largo della Libia e quelli di un terzo incidente con vittime di fronte alla costa egiziana. Nell'intervista di Fausta Speranza, la riflessione di Daniele De Luca, docente di Storia delle relazioni internazionali all’Università del Salento:  

R. - Questa è una tragedia enorme! È già una tragedia che queste persone che si debbano imbarcare in condizioni assolutamente disperate e disumane su barconi, gommoni ed altro, ma, ancor peggio, che - ahimè - muoiano nel Mediterraneo. Molte di queste non vengono recuperate perché, se non interviene la marina italiana e qualche altra marineria ufficiale, la Libia non può fare assolutamente nulla. In questo momento non ha le strutture, non ha la forza economica per recuperare i cadaveri, per evitare che queste persone muoiano nel Mediterraneo.

D. - E viene da sottolineare che la Libia in questo momento è un buco nero …

R. - Sì, la situazione in Libia è particolarmente preoccupante; c’è una totale confusione governativa e militare nel Paese, determinata dalla caduta del presidente Gheddafi e dal non incontro delle esigenze delle varie opposizioni e dalla mancanza probabilmente di un supporto da parte dell’Occidente che si è preoccupato soltanto di far cadere Gheddafi ma poi non ha aiutato nella ricostruzione di quel Paese. C’è quindi un totale vuoto governativo.

D. - In questo momento l’Europa discute la trasformazione di Mare Nostrum in Frontex, ma il problema va affrontato anche nei Paesi di partenza?

R. - L’Europa dovrebbe comprendere che la frontiera europea è una frontiera unica - parlo di frontiera marina -; bisognerebbe prevenire la morte di queste persone che sono sicuramente alla ricerca di una situazione migliore, aiutarli nei Paesi dove i problemi ci sono. Il problema maggiore in questo momento è la Libia: una porta totalmente sfondata verso il Mediterraneo dove scafisti, criminalità organizzata e quant’altro si organizzano per portare queste persone nel mare o meglio più che portare, per abbandonare queste persone in mare.

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Vertice di Parigi sull'Iraq: sì a lotta con ogni mezzo contro l'Is

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Sostenere la lotta contro il sedicente Stato Islamico (Is) con ogni mezzo compreso quello militare. E’ quanto è emerso dalla conferenza sulla sicurezza e la pace in Iraq convocata dal presidente francese Hollande a Parigi, alla quale hanno partecipato circa 25 Paesi, anche arabi. Ce ne parla Benedetta Capelli:

La dichiarazione finale è forte come forte è la minaccia del sedicente Stato Islamico contro l’Iraq e la comunità internazionale. Alla Conferenza di Parigi hanno partecipato le delegazioni di Onu, Unione Europea e Lega Araba più i ministri di 25 Paesi tra questi Arabia Saudita, Bahrein, Egitto, Emirati Arabi, Giordania, Kuwait, Libano, Oman e Qatar. Paesi che hanno dato la disponibilità nella lotta ai jihadisti ma con le dovute differenze. Tutti concordi però a sostenere il governo di Baghdad nella sua battaglia, aprendo ad una adeguata assistenza militare che però non viene specificata. Viene chiarito invece che tale assistenza dovrà essere “in linea con le necessità espresse dalle autorità irachene, nel rispetto del diritto internazionale e senza mettere a rischio la sicurezza della popolazione civile”. Accordo poi sull’idea di un’azione determinata a sradicare in futuro il gruppo jihadista “coordinando i servizi di sicurezza e rafforzando la sorveglianza delle frontiere”. Oggi aprendo il vertice, nel giorno in cui le forze francesi hanno dato il via ai primi voli di ricognizione militare sull’Iraq, Hollande aveva detto che non c’è più tempo da perdere mentre il presidente iracheno Massoum parlava del “genocidio” in corso nel suo Paese. Per l’Iran, che non è stato chiamato a partecipare, la conferenza era da ritenersi “inutile”, respinto poi l’invito degli Usa a cooperare per sconfiggere l’Is. 

I primi voli di ricognizione militare francesi saranno da preludio all'impegno di altri Paesi europei? Benedetta Capelli ha rivolto la domanda ad Alessandro Corneli, già docente di Relazioni Internazionali alla Luiss di Roma:  

R. – Senza dubbio la Francia, fin dalle vicende siriane, ha cercato di ricavarsi uno spazio di iniziativa forte: era disposta anche a un intervento in Siria contro il regime di Assad che poi si è bloccato. Quindi, la Francia cerca di recuperare questo aspetto internazionale, anche per far fronte alle difficoltà interne e, addirittura, personali del proprio presidente, Hollande. In ogni caso, senz’altro, è di esempio ad altri Paesi europei: per quanto riguarda il Regno Unito, non ci sono dubbi che l’impegno c’è, al fianco degli Stati Uniti; più cauta a impegnarsi a fondo è la Germania e, in fondo, anche l’Italia, ma fino a un certo punto.

D. – Intanto, l’Iran ha detto no alla proposta di cooperazione americana in questa partita nei confronti dell’Is. Però, i nodi più spinosi riguardano proprio Teheran e, ovviamente, anche Mosca...

R. – Sì, certo. Per quanto riguarda l’Iran ci sono state dichiarazioni, anche recenti, del presidente Obama e del segretario di Stato Kerry, in base alle quali gli Stati Uniti non avevano intenzione di chiedere una collaborazione con l’Iran. Questo, naturalmente, ha posto gli iraniani nella condizione di dire, “non cooperiamo”. È chiaro che l’Iran è un protagonista della vicenda, sia per i suoi rapporti con tutte le formazioni sciite, sia perché si trova nel cuore della regione; rimane uno spettatore interessato. “Spettatore” per modo di dire, perché naturalmente i gruppi sciiti fanno riferimento all’Iran dal quale ricevono aiuti. Questa è un po’ la situazione di tutti i Paesi dell’area, ciascuno dei quali ha, praticamente, un doppio fronte, se non un triplo fronte nei confronti della minaccia del califfato che interessa non tanto l’Iran quanto piuttosto la comunità sunnita. I vicini nella regione sono sospettosi l’uno dell’altro. Basti pensare al rapporto tra Iran e Arabia Saudita, i due giganti, poi ci possiamo mettere anche la Turchia la quale sta, appunto, alla finestra e non vuole assolutamente impegnarsi.

D. – I Paesi arabi hanno accettato comunque - in linea di principio - di prendere parte alla lotta contro l’Is, ma la loro posizione è diversa, piena di condizioni; lei diceva la Turchia, ma c’è anche il Qatar. Dal ruolo dei Paesi arabi, secondo lei, può venire una svolta nella lotta contro il sedicente Stato Islamico?

R. – Alla formazione di un’alleanza dura e compatta non ci credo, anche perché ciascuno da questa vicenda cerca di ricavare il massimo vantaggio: per esempio, se prendiamo l’Egitto - un Paese arabo che è stato a lungo leader di tutto quel mondo – ha, con il suo nuovo presidente Al Sisi, l’occasione di legittimarsi, è quindi uno dei Paesi più attivi, però considera la minaccia estremista non solo limitata alla regione del nord Iraq e Siria, ma ritiene che sia una minaccia molto più vasta e che quindi arrivi anche al Sinai, praticamente, nel suo stesso territorio quindi vorrebbe finalità più ampie, cosa che non è facile anche per motivi formali, basti pensare al caso della Siria. Le ricognizioni prime ed eventualmente gli attacchi e bombardamenti poi nel nord Iraq sono ancora sotto un’egida internazionale ma per quanto riguarda la Siria se non c’è il consenso dell’Onu è difficile violare la sovranità di questo Paese; tanto più che la Russia si oppone e questo fa vedere come sia anche rischioso, in questo momento, alienarsi un Paese come la Russia, che – comunque sia – è un Paese sicuramente contrario agli estremisti.

D. - Tra l’altro la Turchia teme anche un rafforzamento del Kurdistan iracheno e quindi anche la questione curda potrebbe ricadere a pioggia su Erdogan...

R. – Infatti, in questo momento sono proprio i curdi e i loro combattenti, i peshmerga, che si sono opposti e hanno pagato un forte tributo di sangue ai combattenti dello Stato Islamico. Questo accredita l’immagine del Kurdistan e quindi solletica le sue ambizioni verso l’indipendenza. Siccome, però, l’area curda comprende anche un bel pezzo di Turchia, il governo turco non vuole che i curdi emergano come protagonisti della vicenda, per questo non ha messo a disposizione le proprie basi e lascia ad altri questa incombenza. Quindi, il nemico comune dello Stato Islamico non è poi egualmente comune per tutti quanti. 

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Ucraina: scontri nell'est, filo-russi denunciano violazione tregua

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In Ucraina orientale, vacilla la tregua siglata nei giorni scorsi tra il governo e i ribelli filo-russi. Quest’ultimi riferiscono della morte di 11 loro miliziani e di sei civili a Donetsk. Intanto nell’ovest del Paese prendono il via le esercitazioni sotto il comando Usa, a cui partecipano diversi Paesi della Nato e Kiev annuncia che sono in arrivo armi proprio dai Paesi dell’Alleanza Atlantica. Marco Guerra: 

Scontri a fuoco e colpi di mortaio si sono registrati a più riprese da ieri sera a Donetsk, la principale roccaforte dei filorussi in Ucraina orientale. Stamane anche gli  osservatori dell'Osce hanno denunciato di essere finiti sono il fuoco dell’artiglieria mentre pattugliavano la zona del mercato Putilovka. Uno dei leader dei separatisti che hanno firmato la tregua con l'esercito ucraino avanza dubbi sull'opportunità di portare avanti i negoziati di pace con il governo di Kiev, accusandolo di violare il cessate il fuoco. Tuttavia, sempre i filo-russi si dicono pronti ad un nuovo scambio di prigionieri con le forze di Kiev.  E sempre stamani sono iniziate nell’ovest del Paese manovre militari sotto il comando degli Stati Uniti, alle quali partecipano 1.300 soldati di 12 Paesi Nato e tre non appartenenti all’Alleanza Atlantica. Sul fronte politico, il presidente ucraino Petro Poroshenko ha sottoposto oggi al parlamento l'accordo di associazione tra Kiev e Ue. La ratifica è prevista per domani. Il Cremlino comunica che "le potenziali conseguenze negative" di questa intesa sono state discusse dal presidente Putin con il Consiglio di Sicurezza russo. E in vista delle elezioni politiche del 26 ottobre, Il partito filo-russo delle Regioni ha detto che non parteciperà al voto poiché, secondo il suo leader Boris Kolesnikov, non è possibile votare in 44 distretti dell’Est dove è in corso la guerra. Un quarto del Paese rischia quindi di non essere rappresentato nel nuovo parlamento. Infine, i ministri degli Esteri di Russia, Francia e Germania hanno approfittato della presenza in contemporanea alla conferenza sull’Iraq a Parigi per un colloquio a tre sulla crisi ucraina. Per un’analisi della situazione sul terreno e a livello politico sentiamo il commento di Paolo Calzini, docente di Studi Europei, alla John Hopkins University di Bologna: 

R. - È una tregua indubbiamente fragile perché il fronte è molto frastagliato, ci sono forze non regolari da una parte e dell’altra e quindi le possibilità di rotture locali sono evidenti. Mi sembra però che ci sia un interesse generalizzato, sia fra le parti avverse ucraine che fra Occidente e Russia, affinché la tregua tenga. Quanto poi questa tregua sia la premessa di un processo - per quanto lento, contraddittorio e difficile - per arrivare ad una soluzione di compromesso è difficile dirlo, perché, al di là dei richiami alla distensione di molte parti, le posizioni, da una parte dei governativi di Kiev e dall’altra dei separatisti, sono per ora non conciliabili. Infatti il governo di Kiev vuole ristabilire il controllo e l’integrità territoriale sull’insieme dell’Ucraina e i separatisti tentano di mantenere una posizione di autonomia in questa regione - se non proprio di separazione - con il supporto della Russia che chiaramente è intenzionata a mantenere un’area di influenza all’interno dell’Ucraina futura.

D. - Sono iniziate questa mattina ad Ovest del Paese manovre militari sotto il comando Usa alle quali partecipano 12 Paesi Nato e tre non membri dell’alleanza. In che ottica vanno lette queste esercitazioni?

R. - Fanno parte dell’escalation dimostrativa - e niente di più - da parte dei Paesi occidentali - e in questo caso è interessante che non sia la Nato ufficialmente, ma un gruppo di Paesi appartenenti alla Nato ed alcuni esterni - per dare il senso al governo ucraino di un sostegno, potenzialmente militare. C’è anche questo progetto di rifornimenti di armamenti … Perché il fatto è che la tregua è stata ottenuta rivelando che le parti avverse non giocano ad armi pari, in quanto le armi separatiste possono contare su un appoggio diretto militare russo mentre questo non avviene per le parti ucraine. Di fatti la tregua è basata su un riequilibrio della situazione sul campo che ha stabilizzato a favore dei separatisti la situazione nella regione del Dombas e sul mare di Azov. Credo che questo sia il massimo che la Nato può fare adesso, perché la Nato non può e non vuole intervenire direttamente in un conflitto che vede coinvolta la Russia. Resta evidente il fatto che l’ipotesi, che era stata avanzata da Kiev, di arrivare rapidamente alla riconquista dell’area separatista è fallita e non credo che nella nuova situazione questo possa cambiare. Quindi si va incontro ad una situazione complessa in cui bisognerà rilanciare il dialogo diplomatico e non lasciare il discorso unicamente al rapporto tra le armi.

D. - Poi c’è anche il percorso di avvicinamento di Kiev all’Europa. Si gioca anche lì una partita molto grande …

R. - Sì, si gioca una partita molto grande perché l’Ucraina è un Paese con oltre 40 milioni di abitanti e quindi peserebbe sugli equilibri interni all’Europa; all’interno dell’Ucraina i problemi delle riforme democratiche sono di un’entità straordinaria. In poche parole, l’essere fortemente anti-russi non si traduce, come dire, “meccanicamente” in posizioni che corrispondono ai valori europei. In Ucraina esistono situazioni di corruzione e di tensione, soprattutto la gravissima tensione di carattere etnico tra la maggioranza ucraina e quella russofona, che non sono le premesse per arrivare alla costituzione di uno Stato democratico ucraino che possa presentarsi con le carte in regola in  l’Europa.

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Partita missione Onu per la stabilizzazione del Centrafrica

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Parte oggi ufficialmente  la missione delle Nazioni Unite per la stabilizzazione della Repubblica Centroafricana. Tre i compiti principali dei 7.600 militari dell'Onu, che saliranno poi a 10mila e a cui si uniranno anche 200 poliziotti: protezione dei civili, sostegno al processo politico e ripristino delle autorità dello Stato. La missione in una prima fase sarà impegnata nella capitale Bangui e in alcune zone a nord del Paese, per poi dispiegarsi in 45 diversi siti. Ma sulla situazione attuale nel Paese, Marina Tomarro ha intervistato don Mathieu Bondobo, sacerdote di Bangui: 

R. - Diciamo che la situazione generale in Centrafrica sta migliorando. Ci sono gli sforzi e gli impegni a favore della pace; ci sono dei segni chiari e concreti per arrivare alla pace anche se ancora non ci siamo arrivati al cento per cento. Quindi, ripeto, ci sono segnali positivi in questo senso. Nella capitale Bangui la vita sta riprendendo, anche se all’interno del Paese in alcune zone la tensione è ancora alta, però, in generale le cose stanno migliorando.

D. - Quali sono le urgenze rimaste?

R. - L’urgenza principale rimane sempre la pace, perché senza la pace non si può parlare di sviluppo, di coesione sociale. Dunque, ci sono dei segni positivi, ma non siamo ancora arrivati alla pace vera, perché ci sono ancora persone che non sono rientrate nelle loro case, persone che hanno perso tutto, persone malate che non riescono a curarsi … C’è ancora tanto da fare. Ma ci sono dei segnali.

D. - E' partita la missione Onu nel quadro del programma di peacekeeping. Secondo lei quali potrebbero essere gli effetti?

R. - Diciamo che questa missione delle Nazioni Unite è una buona notizia per i centrafricani, perché è dall’inizio di questa crisi che il popolo del Centrafrica sta chiedendo alla Comunità internazionale di intervenire. Questa crisi ha devastato il Paese, lo Stato non esiste più, quindi la popolazione è abbandonata nelle mani di questi gruppi armati e finalmente la risposta a questo grido del popolo centrafricano è stato ascoltato e la Comunità internazionale con questa missione dell’Onu sta proprio venendo in aiuto al popolo del Centrafrica. L’inizio di questa missione è veramente una buona notizia per noi, perché la missione principale dell’Onu è restaurare la pace, cercare di arrestare tutte quelli che spingono le persone alla violenza e dare un segnale forte per far vedere che l’autorità dello Stato sta tornando.

D. - Il Papa durante l’Angelus ha lanciato un appello alla Comunità internazionale per la pace in Centrafrica. Quanto sono importanti questi appelli?

R. - Sentire il Santo Padre, durante l’Angelus, parlare di Centrafrica è veramente una fonte di consolazione. Non è la prima volta che il Papa lo fa! Questo significa che il popolo centrafricano è nel suo cuore, nel cuore della Chiesa. Quindi, questo suo appello ci dà gioia, pace. È un buon segno, vuol dire che non siamo abbandonati a noi stessi ma c’è il Papa, c’è la Chiesa al nostro fianco.

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21 anni fa l'assassinio di don Puglisi. Artale: un seme che ha prodotto frutti

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Ventuno anni fa veniva assassinato dalla mafia a Palermo don Pino Puglisi. Beatificato il 25 maggio 2013, oggi viene ricordato nel capoluogo siciliano con diverse iniziative, tra cui l’apertura del nuovo anno scolastico nell’Istituto Comprensivo Statale che porta il suo nome alla presenza del premier Matteo Renzi e nel pomeriggio una Messa nella Cattedrale presieduta dal cardinale Paolo Romeo. Tiziana Campisi ha chiesto a Maurizio Artale, presidente del Centro Padre Nostro, fondato dal Beato Puglisi, quali frutti continuano a maturare dopo la sua morte: 

R. – Continua a lasciare frutti e noi ne raccogliamo tantissimi. La sua beatificazione lo ha universalmente riconosciuto come colui che ha saputo seguire le orme del suo Cristo. Padre Puglisi ha fatto tante cose, ha piantato tanti semi; purtroppo lui non li ha visti crescere, però, da lassù, li ha visti sicuramente sbocciare e fiorire, e vede che questi frutti li stiamo condividendo con la gente che lui amava tanto.

D. – Il segno più visibile è il Centro Padre Nostro, che continua a promuovere attività, manifestazioni, iniziative... Oggi cos’è questo Centro?

R. – Il Centro era il suo sogno, era lo strumento che lui aveva pensato, ideato per stare vicino alla gente povera, alla gente che aveva bisogno. In 21 anni il Centro è riuscito a realizzare il sogno di padre Puglisi: la vicinanza agli anziani, la vicinanza ai bambini, alle mamme vittime di abusi e maltrattamenti, ai detenuti, a tutte le fasce sociali deboli. Il Centro, oggi, offre tanti servizi - non soltanto a Palermo - abbiamo realizzato attività ad Agrigento, a Trapani, a Marsala, con mense dedicate agli immigrati, agli ex detenuti, a detenuti in esecuzione penale esterna. Quel seme che lui ha piantato, quell’idea del Centro di accoglienza Padre Nostro, è esploso nella sua totalità. Certo, ci sarebbe bisogno di tante persone di buona volontà che continuino l’opera, perché ormai ci sono i servizi avviati, ci sono le strutture, però, abbiamo sempre l’esigenza di avere tanti volontari che continuino la sua opera.

D. – Diverse le iniziative, in questi giorni, per ricordare l’anniversario della morte di padre Pino Puglisi; fra le tante, questa mattina, la piantumazione di un albero...

R. - La piantumazione di un albero nel Giardino della Memoria, dove ci sono gli alberi di Falcone, di Borsellino e di tante vittime della mafia. Padre Puglisi è un segno, sicuramente per tutta la Chiesa universale, ma è anche un segno per chi continua a lottare contro la mafia.

D. – E la casa di padre Puglisi, oggi, è una casa museo...

R. – Arrivando a piazzale Anita Garibaldi, si vede una statua che lo raffigura, si vede il medaglione che indica il luogo preciso dove è caduto padre Puglisi e poi casa sua. Non abbiamo voluto fare un museo tradizionale. E’ una casa con tutti i suoi affetti, con le sue cose, i libri, i suoi vestiti e paramenti; dove la gente si raccoglie in preghiera. La nostra più grande emozione, oltre a quella della famiglia che ci ha dato la possibilità di rimettere in quella casa le cose che gli erano rimaste – i mobili e gli affetti personali di padre Puglisi – sono i tanti amici di Puglisi che si rivedono su quel divano amaranto, su quella poltroncina un po’ sgangherata, dove hanno trascorso ore e ore con il beato Puglisi, a parlare. E lui che li ascoltava. Oggi, abbiamo voluto dedicare questo luogo a tutti.

D. – Ad un anno dalla beatificazione di padre Puglisi, il 21.mo anniversario della sua morte come viene vissuto?

R. - Viene vissuto come sempre: con grande gioia, perché raccontiamo i frutti che ha dato padre Puglisi, ma anche con grande dolore, perché chi l’ha conosciuto sente un vuoto. Chi non l’ha conosciuto però può continuare a parlare con lui. Noi lo facciamo conoscere attraverso la sua opera. Abbiamo realizzato alcune attività all’interno delle carceri, regalando momenti di serenità; abbiamo voluto fare queste cose proprio dove c’è sofferenza, dove c’è la reclusione di chi deve stare lontano dalla società civile. Padre Puglisi voleva stare vicino a queste persone ed è quello che noi continueremo a fare.

D. – Ci può ricordare una delle frasi che padre Puglisi soleva ripetere?

R. – Se ognuno fa qualcosa, se facciamo comunità, se facciamo comunione, le cose le possiamo realizzare. Il centro ha dimostrato, in questi 21 anni, che mettendo insieme persone di buona volontà, istituzioni, autorità politiche e terzo settore si realizzano tantissime cose. Molte volte, però, questa frase viene citata ma non viene poi messa in pratica. Se le istituzioni e la politica cominciassero veramente a fare ognuno la loro parte – per quelle che sono le rispettive competenze – allora, penso che noi potremmo veramente cambiare non soltanto Brancaccio. 

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Riforma scuola. Don Viviani: istituti paritari non temono controlli

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Primo giorno di scuola in Italia, dove si discute animatamente sulla riforma anticipata del governo nei principali contenuti. E parte oggi una consultazione on line – la prima promossa su questo ambito in Europa – che durerà due mesi, cui possono partecipare tutti i cittadini per esprimere proposte e critiche, in vista dell’approvazione del Decreto legge a gennaio. Roberta Gisotti ha intervistato don Maurizio Viviani, direttore dell’Ufficio per l’educazione cattolica, la scuola e l’università della Chiesa italiana: 

D. - Don Maurizio, questa riforma ha l’ambizione di chiamarsi: “La buona scuola”; ma c’è chi, tra studenti, docenti, famiglie e sindacati, denuncia un inizio d’anno nel caos. L’impresa, dunque, non sarà facile?

R. – E’ un testo importante che cerca di invitare tutti a risolvere l’aspetto occupazionale degli insegnanti. Poi, vi sono altri temi: rilanciare una progettualità che ambisce a pensare in grande; ed anche fare in modo che si motivino tutti coloro che vivono all’interno del mondo della scuola, perché questo è forse in parte marginalizzato nella crisi in cui tutti siamo inseriti, e forse anche per la scarsa considerazione sociale di cui gode. In merito al testo, ci si augura che – grazie anche alla consultazione aperta oggi on line – possano entrarvi, con un peso pedagogico ed educativo maggiore, altri temi, quali: l’orientamento; la cura delle relazioni interne al mondo della scuola; la continuità orizzontale e verticale; le varie forme di disagio che ancora ci sono, a volte, in forma abbastanza pesante nel mondo della scuola e poi, anche la cura della comunità educativa.

D. – Che cosa chiede, auspica la scuola non statale, i cui allievi – sappiamo - sono scesi sotto il milione? Il ministro Giannini rivendica controlli sulla qualità degli istituti privati, al pari di quelli statali ma promette anche finanziamenti. C’è da crederci?

R. – Sì, c’è l’auspicio e l’augurio - il ministro Giannini l’ha detto e ribadito in diverse circostanze, in questi mesi – che trovi attuazione e che ci sia una sempre maggiore considerazione della scuola paritaria; in particolar modo della scuola cattolica, o di ispirazione cristiana, che sono una parte importante e significativa, sia sotto il profilo numerico, sia sotto il profilo pedagogico ed educativo.

D. – Dunque, la scuola cattolica non teme controlli, o intromissioni...

R. – Assolutamente no. Si va verso un pieno rispetto delle leggi che già ci sono; si va verso la trasparenza, una delle indicazioni e condizioni per avere diritto ad importanti e necessari finanziamenti.

D. – Mi sembra di capire che l’importante è partire in questo nuovo anno scolastico con spirito costruttivo?

R. – Direi che le premesse ci sono tutte e credo ci sia anche una sempre maggiore consapevolezza negli insegnanti, che la loro azione è di fondamentale importanza, proprio perché la scuola è il luogo che apre al mondo e che permette ad un alunno di assumere progressivamente - a poco a poco - le informazioni e la visione del mondo che gli è indispensabile per poter giungere alla fase della piena maturità. Vorrei chiudere con una affermazione importante, di Plutarco: “I giovani non sono vasi da riempire, ma fiaccole da accendere”, cioè, una sempre maggiore consapevolezza del ruolo dell’insegnante che può essere, più che un mero trasmettitore di informazione, un maestro che forgia progressivamente, nel pieno rispetto, tutti i suoi alunni. 

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Nella Chiesa e nel mondo



Si è spento il Superiore generale dei Paolini don Silvio Sassi

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Si è spento ieri, domenica 14 settembre, Festa dell’Esaltazione della Santa Croce, per un arresto cardiocircolatorio nella Casa generalizia di Roma, don Silvio Fausto Sassi, Superiore generale dei Paolini. Aveva 65 anni: 54 di vita paolina e 37 di sacerdozio. 

Nato a Vezzano sul Crostolo (Reggio Emilia) il 10 luglio del 1949, era entrato nel vocazionazio paolino di Modena nel 1960. Ordinato sacerdote nel 1977 aveva conseguito la licenza in Teologia presso la Facoltà Pontificia San Bonaventura in Roma. Dopo la specializzazione in Scienze della Comunicazione alla Università della Sorbina di Parigi, aveva conseguito il dottorato all’Ecole des Hautes Etudes en Sciences Sociales con una tesi sulla semiologia della pubblicità. Rientrato a Roma, è stato direttore dello Studio Paolino Internazionale della Comunicazione sociale (Spics) e docente di Etica e Comunicazione presso l’Accademia Alfonsiana in Roma.

Dopo due incarichi come Consigliere provinciale d’Italia, nel maggio del 2004 era stato eletto Superiore generale della Congregazione. Inoltre Benedetto XVI lo aveva chiamato come consultore del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni sociali.

Sua costante preoccupazione, l’attenzione particolare al carisma paolino. Per il centenario di fondazione della Società San Paolo e della Famiglia Paolina, tuttora in corso, don Sassi aveva già pronta la lettera annuale: “Evangelizzare nella comunicazione con la comunicazione”, tema a lui molto caro, che sarebbe stata pubblicata il 26 novembre prossimo, festa del beato Giacomo Alberiore.

Le esequie di don Sassi si terranno giovedì prossimo alle ore 11.00, in via Alessandro Severo, 58 a Roma, nella cripta del santuario  Regina Apostolorum dove nel 1977 era stato ordinato sacerdote. (R.P.)

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Ucraina: la croce e l'icona della Gmg attraversano il Paese

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La Croce e l’Icona della Giornata Mondiale della Gioventù (Gmg), che stanno viaggiando in tutto il mondo nell’ambito dei preparativi della Gmg 2016 in Polonia, sono state consegnate all’Ucraina la settimana scorsa dai giovani della Lituania e saranno portate in pellegrinaggio in tutto il Paese fino al 4 ottobre.

“Che la permanenza della Croce nella nostra amata Ucraina sia il segno della forza, della verità e della vittoria di Dio”, ha dichiarato per l’occasione il vescovo ausiliare dell’arcidiocesi di Leopoli, mons. Benedict Aleksiychuk, esprimendo l’auspicio che la gente, così duramente provata dai conflitti, possa trarre forza dalla Croce per “andare avanti” nella vita.

Il vescovo mons, Brian Bayda, presidente della Commissione sinodale per i giovani della Chiesa greco-cattolica ucraina (Ugcc) - riporta l'agenzia Sir - ha sottolineato che la presenza della Croce e dell’Icona della Gmg in Ucraina è “particolarmente importante vista la difficile situazione del Paese” e ha invitato i fedeli a pregare per la pace. (R.P.)

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Nigeria. Vescovo di Maiduguri: Boko Haram ha ucciso 2.500 fedeli

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Sono 2.500 i fedeli della diocesi nigeriana di Maiduguri uccisi dalle violenze di Boko Haram. Lo denuncia in un’intervista al quotidiano Thisday, il vescovo del luogo, mons. Oliver Dashe Doeme, che è rifugiato nella parrocchia Santa Teresa di Yola nello Stato di Adamawa, insieme a migliaia di fedeli.

La diocesi di Maiduguri (capitale dello Stato di Borno nel nord-est della Nigeria) comprende gli Stati di Borno, Yobe e alcune aree di quello di Adamawa. In questi tre Stati, dove si concentrano le azioni di Boko Haram, nel 2013 il Presidente Goodluck Jonathan ha decretato lo stato d’emergenza, che non ha impedito però alla guerriglia islamista di continuare le proprie azioni, passando di recente alla conquista di alcune località dove è stato proclamato il “califfato”.

Mons. Doeme afferma che la maggior parte degli sfollati accolti nella parrocchia di Yola sono scampati per poco dall’essere uccisi dai membri di Boko Haram. Nella fuga precipitosa molte famiglie sono rimaste divise e diversi genitori sono ancora alla ricerca dei figli dispersi. Il vescovo ha inoltre denunciato che in diverse occasioni i militari nigeriani fuggono senza combattere e questo, secondo mons. Doeme, è dovuto in primo luogo alla corruzione.

La drammatica situazione degli sfollati è al centro del documento di Caritas Nigeria e della Commissione episcopale “Giustizia e Pace” dal titolo “Adattare le nostre vita alla guerra in corso” nel quale si afferma testualmente: “la semplice verità è che la Nigeria è in guerra”. (R.P.)

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India: marcia di migliaia di cristiani contro le violenze in Iraq, Siria e Africa

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Migliaia di cristiani di diverse denominazioni hanno marciato ieri per le strade di Bangalore per esprimere solidarietà ai loro fratelli perseguitati in Iraq, Siria e Africa. "Dobbiamo far sentire la nostra voce. Restare in silenzio - ha detto mons. Bernard Moras, arcivescovo della città - dinanzi a questo olocausto, alle brutali torture e agli omicidi, significa essere complici di tali violenze contro l'umanità".

I partecipanti alla "Domenica di solidarietà", partita dalla St. Joseph's Indian High School - riferisce l'agenzia AsiaNews - erano cattolici, anglicani (Church of South India), metodisti, battisti, pentecostali, siriaco-ortodossi, evangelici e altre denominazioni. Una delegazione formata da vescovi e leader religiosi cristiani ha presentato un memorandum al governatore del Karnataka, per chiedere "una denuncia forte dell'olocausto dei cristiani iracheni da parte dell'India".

Secondo stime non ufficiali, circa 170mila persone sono già state uccise, anche se rapimenti, torture, esplosioni, conversioni forzate ed esecuzioni di cristiani non sono stati tutti riportati sui media internazionali.

I leader religiosi cristiani hanno lanciato un appello anche alle altre comunità religiose dell'India - indù, musulmani, sikh, gianisti, buddisti e parsi - affinché tutti condannino la persecuzione e l'uccisione dei cristiani in Iraq, Siria e in altri Paesi del mondo. (R.P.)

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India: appello dei Gesuiti per le inondazioni in Kashmir

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“Siamo consapevoli delle devastanti inondazioni in Kashmir. Due bisogni primari sono il sostegno finanziario per l'acquisto di materiali, medicinali e aiuti umanitari; attivare la rete dei volontari”: è quanto dice in un appello inviato all'agenzia Fides il gesuita padre Louis Prakash, che ha sensibilizzato tutta la famiglia dei Gesuiti in India ad agire in favore delle popolazioni colpite. “Stiamo lanciando l'appello in nome di un Forum di diverse associazioni che difendono i diritti umani, che ha contatti diretti in diversi villaggi del Kashmir”, spiega.

Tra i medicinali necessari, urgono antibiotici, per evitare l’insorgere di epidemie, e materiali sanitari come mascherine e camici per volontari e medici. L’India Social Institute di Delhi, noto Centro studi dei Gesuiti è uno dei punti di raccolta.

Le autorità indiane continuano ad essere in stato di emergenza a causa delle alluvioni che nei giorni scorsi hanno sconvolto il Kashmir, causate da piogge monsoniche. Numerosi fiumi sono straripati, con un bilancio che in India supera le 200 vittime.

I soccorritori in India hanno annunciato di aver evacuato 130.000 persone, ammettendo di non essere ancora riusciti a raggiungerne altre 300.000 bloccate in centri abitati e villaggi della Valle. Passando i giorni, il pericolo è quello di possibili epidemie di gastroenterite, colera e congiuntivite, perchè la violenza delle acque ha distrutto tutto e interrotto la distribuzione di acqua potabile, un bene di cui ora dispone solo il 20% della popolazione del Kashmir. (R.P.)

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Commissioni Giustizia e pace Europa riunite su dignità umana e crisi economica

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“Promuovere la dignità umana nel contesto della crisi economica”: sarà questo il tema dell’Assemblea generale delle Commissioni Giustizia e pace d’Europa, in programma ad Atene e Corinto dal 3 al 7 ottobre prossimi. 22 le Commissioni presenti all’evento, su 30 esistenti; nel corso dei lavori, l’arcivescovo di Lussemburgo, Jean-Claude Hollerich, subentrerà a mons. William Kenney, ausiliare di Birmingham, in qualità di presidente di “Giustizia e pace Europa” per il triennio 2014-2017.

La conferenza inaugurale dell’Assemblea sarà tenuta ad Atene dal prof. Vassilis Karydis, deputato greco; seguiranno una visita presso un Centro di permanenza dei migranti, un incontro con i disoccupati ed i senza tetto e alcuni colloqui con rappresentanti di partiti politici. Un evento simbolico, inoltre, verrà organizzato sulla collina dell’Areopago, dove San Paolo pronunciò un discorso agli ateniesi.

Successivamente, i lavori si sposteranno a Corinto, dove si rifletterà sulla cooperazione tra le Commissioni Giustizia e pace e la Comece (Commissione delle Conferenze Episcopali della Comunità Europea), avviata ufficialmente nel gennaio scorso. Altro punto in agenda, il 50.mo anniversario della “Gaudium et spes”, la costituzione pastorale del Concilio Vaticano II che per la prima volta faceva riferimento ad un organismo della Chiesa universale per la promozione della pace e lo sviluppo dei popoli. All’Assemblea si prevede la presenza anche di un delegato del Pontificio Consiglio Giustizia e pace. (I.P.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVIII no. 258

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.