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Sommario del 14/09/2014

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Il Papa: matrimonio non è "fiction", l'amore di Cristo è garanzia per sposi

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Le famiglie come il popolo di Israele in cammino nel deserto sotto la guida di Mosè, un cammino impegnativo, a volte faticoso, a volte conflittuale. E’ sulla prima lettura della liturgia odierna, nella Festa dell’Esaltazione della Croce, che si concentra l’omelia di Papa Francesco che oggi, nella Basilica vaticana, ha celebrato la Santa Messa con il rito del matrimonio. Venti le coppie di sposi intorno all’altare: i più giovani hanno meno di trent’anni, i più maturi una cinquantina e hanno esperienze di vita diverse alle spalle. Il servizio di Adriana Masotti

L’emozione e la gioia sono evidenti sul volto degli uomini e delle donne oggi uniti in matrimonio dal Papa. Lacrime di commozione scendono sul volto di una sposa. In Basilica si respira un clima di festa. I “sì” degli sposi interpellati da Papa Francesco ciascuno e ciascuna per nome, sono chiari e decisi, ma c’è anche molto realismo nella celebrazione e nelle parole del Papa. La vita matrimoniale non è una “fiction”, dirà al termine della sua omelia incentrata sull’esperienza del popolo d’Israele nel deserto raccontata dalla prima Lettura tratta dal libro dei Numeri, esperienza che fa pensare alla Chiesa in cammino nel deserto del mondo di oggi, al Popolo di Dio, che è composto in maggior parte da famiglie.

“E’ incalcolabile la forza, la carica di umanità contenuta in una famiglia: l’aiuto reciproco, l’accompagnamento educativo, le relazioni che crescono con il crescere delle persone, la condivisione delle gioie e delle difficoltà… Le famiglie sono il primo luogo in cui noi ci formiamo come persone e nello stesso tempo sono i 'mattoni' per la costruzione della società”.

Ma il cammino nel deserto è stancante, manca l’acqua, diventa insopportabile e, dice il Papa, c’è la tentazione di tornare indietro.

“Viene da pensare alle coppie di sposi che 'non sopportano il viaggio' della vita coniugale e familiare. La fatica del cammino diventa una stanchezza interiore; perdono il gusto del Matrimonio, non attingono più l’acqua dalla fonte del Sacramento. La vita quotidiana diventa pesante, tante volte 'nauseante'”.

Il popolo si ribella, poi però si pente e supplica Mosè di chiedere al Signore di allontanare i serpenti velenosi che mordevano la gente. E il Signore dà il rimedio: un serpente di bronzo, appeso ad un’asta; chiunque lo guarda, viene guarito.

“Che cosa significa questo simbolo? Dio non elimina i serpenti, ma offre un 'antidoto': attraverso quel serpente di bronzo, fatto da Mosè, Dio trasmette la sua forza di guarigione, che è la sua misericordia, più forte del veleno del tentatore. Gesù, come abbiamo ascoltato nel Vangelo, si è identificato con questo simbolo... Chi si affida a Gesù crocifisso riceve la misericordia di Dio che guarisce dal veleno mortale del peccato”.

Il rimedio che Dio offre al popolo, il suo stesso Figlio che muore sulla Croce, vale anche, in particolare, per gli sposi, dice Francesco, che “non sopportano il cammino” e vengono morsi dalle tentazioni dello scoraggiamento, dell’infedeltà, della regressione, dell’abbandono... Se si affidano a Lui, li guarisce con l’amore misericordioso che sgorga dalla sua Croce, con la forza di una grazia che rigenera e rimette in cammino sulla strada della vita coniugale e familiare.

“L’amore di Gesù, che ha benedetto e consacrato l’unione degli sposi, è in grado di mantenere il loro amore e di rinnovarlo quando umanamente si perde, si lacera, di esaurisce. L’amore di Cristo può restituire agli sposi la gioia di camminare insieme; perché questo è il matrimonio: il cammino insieme di un uomo e di una donna, in cui l’uomo ha il compito di aiutare la moglie ad essere più donna, e la donna ha il compito di aiutare il marito ad essere più uomo”.

Il Papa torna a sottolineare che il cammino a cui gli sposi sono chiamati non è un cammino liscio, senza conflitti, non sarebbe umano, ma questa è la vita! E offre il suo consiglio:

“E’ normale che gli sposi litighino: è normale. Sempre si fa. Ma vi consiglio: mai finire la giornata senza fare la pace. Mai. E’ sufficiente un piccolo gesto. E così si continua a camminare”.

Alla fine l’augurio del Papa:

“Vi auguro, a tutto voi, un bel cammino: un cammino fecondo; che l’amore cresca. Vi auguro felicità. Ci saranno le croci: ci saranno! Ma sempre il Signore è lì per aiutarci ad andare avanti. Che il Signore vi benedica!".

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Sposi: Cristo ci accompagni nel nostro cammino

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Grande emozione nelle coppie di sposi, per aver potuto pronunciare il loro “si” davanti a Dio, alla presenza di papa Francesco. Subito dopo la cerimonia Marina Tomarro ha raccolto il commento di una delle coppie unite in matrimonio dal pontefice, Mario Risso e Lahra Liberti: 

R. – (moglie) Durante l’omelia, il Santo Padre ci ha esortati a iniziare un cammino di comunione per una vita in famiglia, e poi, dopo la cerimonia, ha anche molto gradito l’iniziativa collettiva delle 20 coppie di sostenere opere di carità della diocesi, segno di riconoscenza per questo immenso dono che ci è stato fatto.

D. – Quali sono le parole del Papa che vi accompagneranno?

R. – (marito) Le parole del Pontefice che, nella semplicità  ha detto una grande verità: parlava di litigi che sono inevitabili, fanno parte della quotidianità e della vita all’interno della coppia e del matrimonio; ma nello stesso tempo, avere quell’apertura nei confronti dell’amore reciproco che significa non chiudere la giornata senza essersi riappacificati.

R. – (moglie) E anche la presenza di Gesù che ci accompagna e quindi ci sostiene in tutte le prove dandoci spirito di coraggio e di fiducia.

D. – Cosa significa per voi avere ricevuto il Sacramento del matrimonio dal Santo Padre?

R. – (moglie) E’ un immenso privilegio, un immenso dono.

Sull’importanza del sacramento nuziale, ascoltiamo alcuni commenti raccolti tra i partecipanti alla Messa con rito di matrimonio, presieduta dal Pontefice:

R. – Proprio il sigillo che dà forza e dà senso al percorso che si fa.

R. – E’ il fine ultimo di un vero credente, che voglia entrare in una vita di coppia: non avrebbe senso sposarsi se non davanti al Signore.

D. – Durante l’omelia, il Papa ha invitato a superare quella stanchezza che può derivare dalla quotidianità. Allora, in che modo si va “oltre”?

R. – Sì, un amore alla luce della fede è l’unica cosa che ti può aiutare a superare tutte le difficoltà e tutte le stanchezze che possano esserci.

R. – Rivolgendo lo sguardo sempre a Dio, nel momento delle difficoltà, chiedendo aiuto a Lui. E così senti veramente che la tensione si ammorbidisce perché l’amore di Dio è molto più forte delle tensioni che vengono a crearsi all’interno della coppia.

R. – Secondo me, ci si deve ritagliare sempre un momento per Gesù, nella coppia: pregare insieme, magari la mattina, o la sera prima di andare a dormire. E poi, è un po’ un percorso di vita, sia personale che di coppia. Dio ci chiede continuamente di fidarci di Lui. Le prove nella vita ce le abbiamo tutti. Noi siamo sposati da due anni e abbiamo perso quattro bambini: non è stato facile. Però, ci fidiamo di quello che Dio vuole per noi.

D. – Quanto coraggio ci vuole per sposarsi oggi, secondo lei?

R. – Ci vuole molto coraggio perché la società ti propone dei modelli che vanno contro questa scelta; però, se a un certo momento ti guardi dentro, scopri che questo desiderio di stare con la persona che hai accanto, questa spinta, questa forza poi in realtà cancella tutte le distrazioni che ti possono portare lontano da questa scelta.

R. – Sicuramente è vero che è un periodo difficile, soprattutto per le giovani coppie, per mettere su famiglia, per tutti i motivi che conosciamo. Però, mai come in questo momento è importante creare una famiglia, proprio per rispondere anche ad un’esigenza di stabilità. E’ la famiglia che crea stabilità.

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Il Papa all'Angelus: guerra, pazzia da cui non abbiamo imparato

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Nell’odierna festa dell’Esaltazione della Santa Croce, il pensiero del Papa all’Angelus in Piazza San Pietro è andato ai cristiani perseguitati per la loro fede e, subito dopo, alle vittime di tutte le guerre, ricordando il pellegrinaggio di ieri a Redipuglia, e alla Repubblica Centroafricana, dove domani avrà inizio una missione di pace dell’Onu. Il Pontefice, dopo aver spiegato che nella Croce di Gesù è rivelato “l’amore di Dio per l’umanità”, ha salutato anche le coppie appena unite in matrimonio nella Basilica di San Pietro. Il servizio di Giada Aquilino

La guerra, “una pazzia dalla quale l’umanità non ha ancora imparato la lezione”. Di fronte alla Croce di Gesù, che “esprime tutta la forza negativa del male” e “tutta la mite onnipotenza della misericordia”, Papa Francesco ha preso spunto dal pellegrinaggio di ieri al Cimitero austro ungarico e al Sacrario militare di Redipuglia per riflettere sugli “spaventosi” numeri della Grande Guerra e dei conflitti in generale e pregare per le vittime:

“Si parla di circa 8 milioni di giovani soldati caduti e di circa 7 milioni di persone civili. Questo ci fa capire quanto la guerra sia una pazzia! Una pazzia dalla quale l’umanità non ha ancora imparato la lezione, perché dopo di essa ce n’è stata un’altra, seconda, mondiale e tante altre che ancora oggi sono in corso. Ma quando impareremo, noi, questa lezione? Invito tutti a guardare Gesù Crocifisso per capire che l’odio e il male vengono sconfitti con il perdono e il bene, per capire che la risposta della guerra fa solo aumentare il male e la morte”!

Quindi il Pontefice ha invitato a pensare “con commozione” ai tanti “fratelli e sorelle che sono perseguitati e uccisi a causa della loro fedeltà a Cristo”:

“Questo accade specialmente là dove la libertà religiosa non è ancora garantita o pienamente realizzata. Accade però anche in Paesi e ambienti che in linea di principio tutelano la libertà e i diritti umani, ma dove concretamente i credenti, e specialmente i cristiani, incontrano limitazioni e discriminazioni. Perciò oggi li ricordiamo e preghiamo in modo particolare per loro”.

Il Papa ha spiegato il senso dell’esaltazione della Croce di Gesù, in cui - ha detto -“si è rivelato al massimo l’amore di Dio per l’umanità”. Il Padre, ha aggiunto ricordando il Vangelo odierno di Giovanni, ci ha “dato” il Figlio per salvarci: Gesù è morto in Croce “a causa della gravità del male che ci teneva schiavi”, ha proseguito. Egli è stato “fedele fino alla fine al disegno d’amore del Padre”: per questo “ Dio ha ‘esaltato’ Gesù, conferendogli una regalità universale”. La Croce quindi non è il suo fallimento, “in realtà segna la sua vittoria”. Guardando alla Croce, dunque, contempliamo il segno dell’amore infinito di Dio per ciascuno di noi e la radice della nostra salvezza”:

“Da quella Croce scaturisce la misericordia del Padre che abbraccia il mondo intero. Per mezzo della Croce di Cristo è vinto il maligno, è sconfitta la morte, ci è donata la vita, restituita la speranza. Questo è importante: per mezzo della Croce di Cristo ci è restituita la speranza. La Croce di Gesù è la nostra unica vera speranza”!

Per questo la Chiesa “esalta” la santa Croce e noi cristiani “benediciamo con il segno della croce”, ha spiegato ancora il Papa:

“Noi non esaltiamo le croci, ma la Croce gloriosa di Gesù, segno dell’amore immenso di Dio, segno della nostra salvezza e cammino verso la Risurrezione. E’ questa è la nostra speranza”.

Poi, il Santo Padre ha voluto ricordare la Repubblica Centrafricana, sconvolta da una anno e mezzo di sanguinose violenze. Domani, ha detto, comincerà la missione voluta dal Consiglio di Sicurezza dell’Onu “per favorire la pacificazione del Paese e proteggere la popolazione civile, che sta gravemente soffrendo le conseguenze del conflitto in corso”:

“Mentre assicuro l’impegno e la preghiera della Chiesa cattolica, incoraggio lo sforzo della Comunità internazionale, che viene in aiuto dei Centroafricani di buona volontà. Quanto prima la violenza ceda il passo al dialogo; gli opposti schieramenti lascino da parte gli interessi particolari e si adoperino perché ogni cittadino, a qualsiasi etnia e religione appartenga, possa collaborare per l’edificazione del bene comune. Che il Signore accompagni questo lavoro per la pace”.

Alla Vergine Addolorata, che sarà celebrata nella liturgia, il Pontefice ha affidato “il presente e il futuro della Chiesa, perché tutti sappiamo sempre scoprire ed accogliere il messaggio di amore e di salvezza della Croce di Gesù”, e le coppie che, poco prima nella Basilica di San Pietro, aveva avuto “la gioia di unire in matrimonio”. Infine i saluti a tutti i fedeli e i pellegrini giunti in Piazza San Pietro.

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Vaccari: a Redipuglia, il Papa ha scosso le coscienze sulla guerra

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L’omelia di Papa Francesco al Sacrario di Redipuglia - pellegrinaggio ricordato dal Pontefice anche all'Angelus - ha avuto una forte valenza di denuncia del male della guerra come anche dell’indifferenza con la quale troppo spesso si guarda alle sofferenze dei popoli travolti dai conflitti. Vibrante anche la denuncia degli interessi che si nascondono dietro le guerre, piccole o grandi che siano. Per un commento sull’omelia del Papa, Alessandro Gisotti ha intervistato Franco Vaccari, presidente dell’associazione “Rondine-Cittadella della pace”: 

R. - Due grandi emozioni. Una, come dire, si è riacutizzato un dolore: in questo momento sono a "Rondine-Cittadella della Pace", e veniamo da un luglio e ad un agosto terribili, perché qui abbiamo studenti palestinesi e israeliani, tra gli altri; abbiamo gli studenti russi e della zona del Caucaso e quindi le due grandi crisi che sono qui davanti a noi le viviamo quotidianamente. Ecco, quindi si riacutizza tutto il dolore. Come dire: viene fuori il dolore del “siamo ancora lì”. Ci sembra che veramente l’uomo non impari mai! Questa è la prima grande cosa. E la seconda, però, è la consolazione perché mi pare che il Papa abbia centrato una cosa formidabile che è l’indifferenza: questo ripetere “A me che importa?”. Questa domanda che genera tutti i mali. L’indifferenza che è la tragica illusione, anche del nostro tempo, di una società - per mutuare un po’ la Parola di Dio - dei buontemponi, che se la ridono e se la cantano e che vanno dritto contro un muro di nuovo, come gli scenari che abbiamo sotto gli occhi ci presentano.

D. - A Lampedusa, pensando alle vittime del Mediterraneo, Francesco aveva domandato “Chi ha pianto?”; per l’appunto adesso un altro interrogativo di fronte alle guerre: “A me che importa?”. Il Papa in un qualche modo, interroga la coscienza del mondo con queste domande così forti, che poi si ricordano effettivamente e si ricorderanno…

R. - Dovrebbero essere domande che ci facciamo la sera prima di addormentarci, con un esame di coscienza. Forse è una pratica che nella cultura del nostro Occidente è un po’ in disuso questa…. Quindi un Papa che si fa umile, lui per primo, e che invece di proporre risposte certissime di fronte a questi inediti scenari, ci ripropone la domanda che è di tutti noi, mi pare grande, ci arriva subito, ci arriva nel profondo e ci fa subito comunione, comunione oltre ogni differenza e oltre ogni appartenenza.

D. - Anche oggi, "dopo il secondo fallimento di un’altra guerra mondiale - ha detto il Papa - forse si può parlare di una terza guerra combattuta a pezzi". Quindi torna questo pensiero così forte di una Terza Guerra Mondiale in un qualche modo non dichiarata, ma combattuta in modo - appunto - frammentato…

R. - Sì, scuote le coscienze! Come se all’improvviso prendessimo coscienza di qualcosa che sentivamo, ma che non volevano sentire; vedevamo, ma non volevano vedere. Questa parola ripetuta evidentemente nel suo magistero ci tocca, ci inquieta, direi anche un po’ ci angoscia.

D. - Francesco ha anche indicato con molta chiarezza quali sono gli interessi: i piani geopolitici, avidità di denaro e di potere e l’industria delle armi - ha detto - che sembra essere tanto importante…

R. - Certo. Infatti l’intervento salda perfettamente la dimensione prioritaria della coscienza di ciascuno di noi, che se non è vigile non fa partire mai nulla di duraturo e di efficace per la storia, fino agli esiti culturali certamente, ma anche agli esiti politici. E questo mercato delle armi, la parte clandestina tutta legata al malaffare e alle criminalità mondiali trasversali organizzate, fa parte di quelle immagini che già aveva usato Giovanni Paolo II con le “strutture di peccato”, cioè quell’insieme di interessi che alla fine sembrano governare il mondo, al di là di quello che le singole persone possono fare. Mi pare, quindi, che questa visione generale va da quello che può fare la persona alla lucidità della visione globale. Questa è per noi una sollecitazione a vivere la nostra domenica con una consapevolezza migliore e non nell’impotenza del “che cosa si può fare?”. La domanda è posta alla radice della nostra coscienza e lì tutti possiamo dare una risposta.

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Caritas Internationalis: vertice sulle crisi in Medio Oriente

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La Caritas Internationalis riunirà a Roma, da domani al 17 settembre, i presidenti e i direttori delle Caritas del Medio Oriente per riflettere sulla pianificazione dei prossimi interventi a sostegno delle popolazioni mediorientali. “Il Medio Oriente è in tumulto, le Caritas sono sopraffatte dai bisogni che aumentano, mentre le risorse diminuiscono”: così il presidente di Caritas Internationalis, Michel Roy, che sottolinea anche come l’incontro a Palazzo San Calisto miri a creare le basi per una collaborazione con altre organizzazioni della Chiesa cattolica, al fine di promuovere la pace. Quali sono in questo momento gli ambiti di maggiore emergenza in cui operano le Caritas nella regione mediorientale? Elvira Ragosta lo ha chiesto a John Coughlin, coordinatore del gruppo emergenze di Caritas Internationalis: 

R. – Le maggiori crisi che la Caritas sta affrontando in Medio Oriente riguardano la Siria, l’Iraq e Gaza. La crisi siriana ha avuto gravi conseguenze per i Paesi confinanti e la Caritas sta contribuendo in modo rilevante in Giordania, Libano e Turchia. Le risposte in questi Paesi sono concentrate nell’assistenza sanitaria, nel reperimento degli alloggi, nella fornitura di generi alimentari e nell’assistenza sociale. Dall’inizio della crisi abbiamo aiutato 900 mila persone toccate dall’emergenza siriana; per quanto riguarda Gaza, 16 mila persone; e per quanto riguarda l’Iraq, 13 mila persone. In termini finanziari questo vuol dire che abbiamo contributo, attraverso i nostri membri, con 70 milioni di euro in Siria, con 2 milioni di euro in Iraq e con 100 mila euro a Gaza.

D. – Come vengono organizzati i progetti di intervento a sostegno della popolazione?

R. – Questi interventi vengono organizzati bilateralmente, cioè aiutando una Caritas nazionale, oppure attraverso il meccanismo degli appelli di Caritas Internationalis, che sono progetti formulati dalle Caritas nazionali e rilanciati a tutti i nostri 165 membri nazionali, in modo che loro possano contribuire ai progetti secondo le loro possibilità. La nostra missione - di Caritas Internationalis - è di coordinare il lavoro della Caritas sul terreno e di agevolare la risposta della Chiesa cattolica a queste gravi crisi umanitarie.

D. – Il presidente di Caritas Internationalis, Michel Roy, ha sottolineato che i bisogni nell’area mediorientale sono sempre in aumento, mentre le risorse diminuiscono …

R. – Esatto. Questa riunione di alto livello vuole evidenziare i continui bisogni che esistono e che gravano in questi Paesi; soprattutto, l’incontro vuole impostare una risposta più coordinata delle confederazioni e dei suoi membri, non solo in termini programmatici, cioè i progetti, ma anche nella comunicazione dei finanziamenti di tali progetti e sull’influenza riguarda alle politiche umanitarie. Per esempio, si nota un sottofinanziamento dei programmi dell’Onu: ci risulta che il programma dell’Onu sia stato finanziato solo per il 40 per cento della somma necessaria. In Giordania, questo ha significato un’espansione massiccia del programma di assistenza sul posto, il che ha imposto la necessità di revisionare il programma e chiedere più finanziamenti.

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Oggi in Primo Piano



Is decapita ostaggio britannico. Minacce a Europa e cristiani

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Un altro ostaggio nelle mani dei militanti dello Stato Islamico (Is) è stato decapitato nelle ultime ore: si tratta del britannico David Heines, che era scomparso in Siria un anno fa. Gli estremisti minacciano anche i cristiani e “gli alleati dell’America”. Il servizio di Roberta Barbi: 

L’Europa, la coalizione voluta da Obama, i cristiani: non risparmiano le minacce i militanti dell’Is nel video di due minuti e 27 secondi diffuso in rete con la decapitazione del cooperante britannico David Heines e in un altro video reperito nel web con il titolo “Contro l’Europa e i cristiani in Siria”, ma poi ritirato, di cui anche per gli esperti del monitoraggio di internet è difficile stabilire l’autenticità. Il copione è sempre lo stesso: promesse di guerra e appello ai kamikaze affinché indossino le cinture esplosive contro l’Occidente che reagisce con nuovi raid Usa su Siria e Iraq e con la promozione di una coalizione unita contro l’estremismo islamico, per ora sottoscritta da 10 Paesi arabi e 30 Nazioni. Importantissimo, a questo proposito, il sostegno ricevuto dall’Egitto di Al Sisi durante la missione al Cairo del segretario di Stato americano Kerry. E proprio di rappresaglia contro l’adesione della Gran Bretagna all’alleanza, parla la voce nel video dell’esecuzione di Heines, terzo a perdere la vita in un mese, dopo i giornalisti americani Sotloff e Foley, mentre è già stata annunciata l'intenzione di uccidere un nuovo ostaggio, l’inglese Alan Henning. E su quella che sembra una vera e propria escalation di violenza dei militanti dello Stato Islamico abbiamo chiesto un commento a Fulvio Scaglione, vicedirettore di Famiglia Cristiana:

R. – Credo che, paradossalmente, queste atroci esecuzioni dimostrino che lo Stato Islamico è intimorito forse più di quello che ci sembri, perché mi pare che queste esecuzioni siano messaggi lanciati non a Cameron e non a Obama, come dicono i boia, ma siano invece lanciati al resto del mondo islamico per dimostrare “noi non abbiamo paura, noi resisteremo, noi non ci facciamo intimorire dalla reazione occidentale”. Il che, ovviamente, dimostra che la paura e il timore ci sono.

D. – Il video diffuso in rete contiene anche un messaggio “agli alleati dell’America”, cioè alla coalizione voluta da Obama e che per ora comprende 10 Paesi arabi e 30 Nazioni. Cosa è lecito aspettarsi?

R. – Dalla coalizione è lecito aspettarsi un intervento militare rapido, incisivo e intelligente, dove per intelligente io intendo un intervento che non ripeta gli errori di passate coalizioni guidate dagli americani che hanno prodotto, in Medio Oriente, quasi esclusivamente disastri. Da parte invece dell’Is, quello che io mi attendo di fronte a questa reazione – se avverrà e quando avverrà – è che si sbandi, si disperda; ma noi dovremo fare attenzione a non darlo per finito, perché questi movimenti non sono eserciti regolari: sono movimenti fluidi, sono movimenti che possono sciogliersi nella popolazione e riagglomerarsi in caso di necessità.

D. – Sono stati minacciati direttamente anche i cristiani, soprattutto quelli che vivono nell’area, se non si convertiranno all’Islam. Com’è la situazione, oggi?

R. – La situazione, per i cristiani, è drammatica. D’altra parte, è drammatica almeno dal 2003, dalla guerra nell’Iraq. In tutti questi anni, i cristiani iracheni sono stati decimati – nel senso letterale del termine – o costretti all’esilio, o costretti a diventare profughi interni nello stesso Iraq. Questa è la goccia che fa traboccare il vaso, perché anche in quelle zone nelle quali i cristiani iracheni erano riusciti a ritirarsi a una vita sicuramente non bella, ma almeno possibile, adesso sono merce a rischio per la presenza dell’Is. Però chi si occupa e si preoccupa dei cristiani oggi avrebbe fatto bene a preoccuparsene anche negli anni scorsi.

D. – Si può fermare questo esodo?

R. – Temo che fermare l’esodo dei cristiani dal Medio Oriente sia molto difficile, in queste condizioni, perché non si può chiedere alle persone, a degli esseri umani, di immolarsi sull’altare di una presenza storica, di una presenza non solo legittima, ma doverosa, perché i cristiani sono parte integrante di queste Nazioni.

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Libia: Habeshia, sempre più critica la situazione dei migranti

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Ennesima tragedia nel Mar Mediterraneo: un battello con almeno una trentina di migranti è naufragato ieri tra Malta e Creta. Le operazioni di soccorso hanno visto coinvolte unità militari italiane, maltesi ed elleniche, che hanno ricuperato almeno due cadaveri e numerosi superstiti, tra i quali una bimba di due anni in gravi condizioni. E incessanti sono gli arrivi, in diversi porti italiani, dei migranti salvati dalla Guardia costiera negli ultimi giorni a sud di Lampedusa. Solo a Crotone su una nave della Marina militare sono giunti nelle ultime ore in 956, di varie nazionalità, che viaggiavano a bordo di due barconi. Molti dei migranti che cercano di arrivare in Europa provengono dalla Libia, dove sono in corso combattimenti tra forze filo governative e milizie integraliste islamiche di Ansar Al Sharia, con centinaia di morti. Mario Galgano ha intervistato don Mussie Zerai, presidente dell’Agenzia Habeshia per la Cooperazione allo Sviluppo: 

R. - In Libia, ma anche nei Paesi da cui provengono queste persone, c’è il caos totale. Finché non ci sarà una pacificazione seria ed una ricerca di una soluzione dei problemi alla radice è ovvio che questi flussi di migranti, fuggiti dalla loro terra di origine che cercano di arrivare in altri Paesi, continueranno anche una volta giunti nei Paesi limitrofi, in quelli di transito, fino a quando troveranno un posto dove possano ricostruire una vita tranquilla e serena. E così queste persone si trovano ad affrontare viaggi lunghi, costosi, rischiosi e molti perdono la vita prima ancora di arrivare nel Mediterraneo.

D. - Secondo lei, l’Europa nella sua globalità come dovrebbe aiutare i migranti che cercano di arrivare nel Continente europeo?

R. - La soluzione non è la militarizzazione del Mediterraneo; la soluzione va cercata alla radice. Quindi bisogna lavorare su tre livelli. Il primo: spegnere i conflitti in corso in questi Paesi africani. Nell’attesa che si arrivi alla pacificazione di queste zone, il secondo livello: nei Paesi vicini bisogna creare un contesto di vivibilità per questi profughi, offrire loro un’alternativa di vita con la cooperazione internazionale, con le borse di studio, con diversi meccanismi che possano trattenerli nei territori vicini al loro Paese di origine, senza dover essere costretti ad affrontare lunghi viaggi. Terzo livello: per quei casi più vulnerabili, più a rischio - persone bisognose della protezione internazionale - in accordo con l’Unione europea viene individuato un terzo Paese che li accoglie e che garantisce loro le condizioni di vita di cui hanno bisogno. Se non si passa attraverso questi tre livelli non riusciremo a fermare gli arrivi.

D. - Può raccontarci i casi di profughi, di persone che cercano di venire in Europa che lei sta seguendo?

R. – Io sto seguendo la situazione soprattutto in Libia. Molte persone chiamano dai vari centri di detenzione dove sono tenuti dai miliziani. Mi raccontano che in questi luoghi vivono in condizioni non dignitose per una persona, che vengono continuamente maltrattati; ci sono uomini costretti a prendere parte al conflitto, che vengono usati dai miliziani come “portantini”: portano le munizioni, le bombe... Quindi li mettono in mezzo al conflitto. Molti hanno perso la vita, molti sono feriti ed hanno bisogno di cure. Ci sono persone in condizioni gravi, con ferite andate in cancrena perché nessuno li ha curati, nessuno li porta in ospedale, non possono muoversi. Sono arrivati al punto di amputare la gamba ad un ragazzo; un altro ragazzo ha la schiena spezzata e non sta trovando cure. Quindi sono queste le situazioni che stiamo seguendo.

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Unicef: emergenza bambini in Asia meridionale

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In occasione del 25esimo anniversario della Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, l’Unicef pubblica un allarmante rapporto sulla condizione dei bambini in Asia meridionale: India, Bangladesh e Nepal in primis. Ogni anno muoiono oltre 2 milioni di bambini per cause prevenibili prima di aver compiuto i 5 anni. Antonio Elia Migliozzi ha intervistato Giacomo Guerrera, presidente di Unicef Italia: 

R. - Per quanto riguarda la mortalità infantile, successi ne abbiamo ottenuti, ma purtroppo ancora la situazione non è del tutto risolta e l’‘Obiettivo del Millennio’ non è così vicino come si pensava potesse essere. Questi sono dati allarmanti sui quali la nostra organizzazione è fortemente impegnata, perché la mortalità infantile è un dramma inaccettabile al giorno d’oggi, come è inaccettabile che ancora avvenga e per fatti veramente prevenibili. Nelle nostre nazioni quel tipo di patologie sono sparite da molti, molti anni… Dobbiamo cercare di fare di più, tutti quanti assieme: è questo l’impegno dell’Unicef, che ha anche lanciato una campagna "100% vacciniamoli tutti", perché questo è un modo per azzerare questo dramma o quanto meno per ridurlo al massimo.

D. - In Asia meridionale vive il maggior numero di bambini malnutriti del mondo…

R. - Questa - possiamo dire - è una area geografica con delle forti contraddizioni: tutti i Paesi dell’Asia meridionale hanno incluso aspetti importanti nella loro legislazione, approvando la Convenzione, indicando con norme precise la salvaguardia dei diritti dei minori, ma purtroppo ancora l’Asia meridionale continua ad essere uno dei luoghi più a rischio del mondo per affrontare una gravidanza, per partorire, con il secondo più alto numero di mortalità materna. Sicuramente in Asia meridionale queste contraddizioni esistono: ancora oggi ci sono 8 milioni di bambini con meno di un anno che non sono vaccinati; 100 milioni di bambini sotto i cinque anni che non sono stati registrati alla nascita. Questa è una situazione drammatica, che non si verifica soltanto in Asia meridionale, ma si verifica in molti altri Paesi.

D. - Cosa proponete e cosa state facendo per prevenire queste situazioni di difficoltà ed assicurare delle opportunità a questi bambini?

R. - Siamo impegnati in tutti i Paesi. Per quanto riguarda l’Asia meridionale, abbiamo lanciato una campagna specifica “Generation@25”, che è una campagna per i diritti dei bambini con l’obiettivo di migliorare l’istruzione, per noi fondamentale: l’istruzione è il salvavita più importante per queste popolazioni. Ma anche prevenire la malnutrizione in India, porre fine alla defecazione all’aperto nel Nepal e assicurare a tutti i bambini in Bangladesh la registrazione alla nascita. E’ importante. Non si tratta soltanto di un diritto. Bisogna tener presente che la mancata registrazione di un bambino alla nascita è sintomo di diseguaglianza e di disparità sociale: i bambini non registrati hanno difficoltà a frequentare la scuola, non hanno possibilità di accesso ai servizi sanitari. E non dobbiamo neanche dimenticare che questi bambini sono i figli delle famiglie più povere e delle madri analfabete. Quindi ecco perché l’istruzione è fondamentale ovunque, in tutte le parti del mondo: l’istruzione non solo migliora le condizioni di vita di questi bambini, ma migliora anche economicamente le condizioni del Paese. E’ questa la risposta ai drammi che vivono molti Paesi ancora.

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Cristiani perseguitati: iniziative di preghiera ad Agrigento

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Una Giornata di commemorazione e preghiera per i cristiani perseguitati: è stata indetta oggi nell’arcidiocesi di Agrigento da mons. Francesco Montenegro per sensibilizzare i fedeli al dramma di quanti nel Medio Oriente, a causa della loro fede, stanno perdendo case, famiglie e radici. Sono previste speciali preghiere in tutte le parrocchie, momenti di riflessione, fiaccolate e Via Crucis. Tiziana Campisi ha chiesto all'arcivescovo Montenegro perché questa giornata proprio il 14 settembre, festa dell’Esaltazione della Croce: 

R. - Croce significa morte e anche tanti buoni cristiani sono stati condannati alla croce. Ma croce per i credenti significa anche vita, risurrezione. Allora, poggiamo sulla Croce questo desiderio che la pace possa prendere il sopravvento.

D. - Chi è oggi il cristiano perseguitato?

R. - Chi ha il coraggio di manifestare la propria fede e mettere a rischio la propria vita. Là dove si usano le armi, tante volte ci sono altre forme di persecuzioni tacite: può essere l’indifferenza, può essere l’ironia… Ormai manifestare la propria fede richiede davvero coraggio. E siamo chiamati a viverlo. Per molti ancora la fede è facile, ma la fede vera ha sempre un prezzo da pagare.

D. - Se nei Paesi del Medio Oriente le persecuzioni sono violente, in Occidente forse assumono altre forme…

R. - Sì. Ci può essere l’indifferenza, ci può essere il non ascolto, il non tener conto di chi, attraverso la fede, vuol manifestare ciò che ha nel cuore e vuole metterlo nelle vene della società. La fede è sempre andare controcorrente: è il Vangelo che ce lo insegna. E andare controcorrente è sempre una fatica!

D. - Di fronte a queste persecuzioni come reagire?

R. - Prendere coscienza, appunto, che il Vangelo per noi è ciò che conta di più e vale di più: molti cristiani affermano “è meglio morire che fare quello che loro ci dicono”; prendere coscienza del fatto che la pace deve diventare un elemento che unisce i popoli. Allora tutti ci dobbiamo mettere in campo per costruire relazioni di pace. Non possiamo soltanto restare spettatori davanti a ciò che succede in altre terre, ma dobbiamo diventare protagonisti nella nostra terra, aprire i cuori, aprire gli occhi e condividere il cammino.

D. - Dopo la Giornata diocesana di commemorazione e preghiera per i cristiani perseguitati, come andare avanti?

R. - Deve allargarsi la cultura della solidarietà e dell’accoglienza. Abbiamo da tener conto che sono fratelli che portano una ferita nel cuore e il Vangelo ci dice che l’amore può lenire le ferite. Ma l’amore dovrebbe essere anche concreto e non solo fatto a parole: allora come Chiesa, trovare l’olio e il vino e portarli alla locanda, perché il fratello possa ritrovare la sua dignità e la sua serenità.

D. - Da lei l’invito, a tutta la diocesi, a trovare delle modalità di preghiera affinché i fedeli possano esprimere solidarietà nei confronti dei cristiani perseguitati. Quali iniziative in particolare?

R. - Abbiamo chiesto incontri nelle chiese, la celebrazione eucaristica, lo spostarsi al Calvario, lungo la Via Crucis, per ricordare il cammino fatto da Gesù, fermarsi davanti alla Croce del Calvario per un momento di riflessione e di preghiera, ma col cuore aperto alla speranza e non solo alla paura.

D. - Se volesse lanciare una riflessione più ampia…

R. - La fede è qualcosa che deve investire la nostra vita pienamente. La fede non è soltanto devozione, è il coraggio di manifestare con la propria vita ciò in cui si crede. Metterci dalla parte del Crocifisso e del Risorto è percorrere una strada difficile; allora dobbiamo ritrovare il coraggio delle nostre azioni, dobbiamo trovare l’amore per la verità e dobbiamo essere persone che, guardando il Cielo, percorrono questa terra portando quei valori che oggi - forse in parte - sono dimenticati.

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Nella Chiesa e nel mondo



Sri Lanka: in rete il sito web della visita del Papa

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E’ in rete il sito web della visita che Papa Francesco compirà nello Sri Lanka dal 13 al 15 gennaio prossimo (www.popefrancissrilanka.com). Il sito in lingua inglese, oltre a una biografia e ad alcune foto del Santo Padre, contiene informazioni riguardanti la Chiesa srilankese e i messaggi di benvenuto del cardinal Ranjith, presidente della Conferenza episcopale del Paese, e del nunzio apostolico, mons. Pierre Nguyên Van Tot. Accanto al logo una scritta riproduce il motto della visita: "Dimorare nell'amore" (Abide in love). Da qui al 13 gennaio, il sito sarà aggiornato regolarmente con le ultime notizie sui preparativi della visita. (S.L.)

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Seminario Caritas su famiglia miglior difesa dalla povertà

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Circa 150 persone provenienti dal Vaticano, dalle Caritas, dalle Pontificie università, Congregazioni religiose e diocesi italiane, si riuniranno a Roma il 18 settembre per una giornata di seminario sul tema: “La famiglia: una risorsa per superare la crisi”. L’iniziativa è stata organizzata da Caritas Internationalis e dal Pontificio Consiglio per la Famiglia. I partecipanti analizzeranno come la Caritas, braccio caritatevole della Chiesa, può, tramite le famiglie, promuovere meglio lo sviluppo. Sulle conclusioni della riunione si baseranno le proposte per il prossimo Sinodo dei Vescovi sulla famiglia.

L’incontro - riporta l'agenzia Fides - sarà aperto dal card. Oscar Rodríguez Maradiaga, presidente di Caritas Internationalis, il quale ha affermato: “La crisi economica ha aumentato la disuguaglianza e l’esclusione. Di fronte a così tante sfide, la famiglia di sangue, la famiglia umana universale e la famiglia spirituale sono diventate più importanti che mai per non cadere nella solitudine e nella disperazione. Laddove i sistemi economici e sociali falliscono, la solidarietà e la protezione delle famiglie sono la migliore difesa contro la povertà”. Il seminario esaminerà inoltre gli effetti psicologici della crisi economica, la migrazione e gli approcci pastorali e spirituali.

La crisi finanziaria iniziata nel 2008 ha fatto cadere milioni di famiglie nella povertà. In molti Paesi, anche in quelli più ricchi, i posti di lavoro diminuiscono e le famiglie hanno sempre più difficoltà a sfamarsi. Le varie Caritas offrono diversi servizi, tra questi generi alimentari, vestiti, consulenze, prestiti, formazione professionale, sanità e alloggio. (R.P.)

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Argentina: docenti cattolici riflettono sulla pedagogia dell'incontro

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Oltre 700 docenti cattolici della provincia di Buenos Aires hanno partecipato al X Incontro di educatori cattolici dal tema “Verso una pedagogia dell’incontro in una Chiesa in comunione e missione”. Il dibattito, che si è tenuto all’Istituto Pio XI della capitale argentina, ha permesso di analizzare le sfide del ruolo del docente cattolico e dare risposta alla chiamata all’evangelizzazione e alla missione rivolta da Papa Francesco a tutta la comunità cristiana.

Ad aprire l’evento il presidente del Consiglio superiore di educazione cattolica, padre Alberto Bustamante che nel suo intervento dal tema “Professione e vocazione docente: una sfida per generare la cultura dell’incontro”, ha ribadito che la scuola cattolica è uno spazio della Chiesa che “per forza” deve essere in dialogo permanente con il mondo. Mons. Andrès Stanovnik, arcivescovo di Corrientes ha introdotto il dibattito con una relazione sulla “Evangelii Gaudium: trasformazione missionaria della educazione” nella quale ha ricordato che purtroppo sono molti gli studenti che escono dagli istituti cattolici e non sono praticanti. “E’ il docente - ha affermato il presule - che deve lasciare una impronta negli alunni, e per fare ciò, è necessaria una vera conversione, una ferma decisione missionaria che impregni il curricula educativo e la condotta dell’educatore cattolico”.

Infine, il Ministro di Educazione in un messaggio ai partecipanti dell’incontro ha affermato che "insegnare è un esercizio d’immortalità, un esercizio che garantisce la libertà dell’alunno" e per questo il docente cattolico ha il compito speciale di portare fede alla realtà dell’uomo. (A.T.)

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Terra Santa: nuovo tracciato muro israeliano a Cremisan

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Un percorso alternativo al tracciato iniziale del muro di separazione nella valle di Cremisan, nei pressi di Betlemme. A proporlo è lo Stato di Israele. E’ in atto da molti mesi un braccio di ferro con 50 famiglie palestinesi di Bejt Jala sui cui terreni, essenziali alla loro sopravvivenza, dovrebbe passare il muro di cemento armato.

Dopo numerosi appelli – riferisce l’agenzia Sir – la Corte Suprema di Israele ha chiesto allo Stato di prendere in considerazione un percorso diverso prima di arrivare a una decisione definitiva. Secondo quanto riferisce la Société Saint Yves che segue le famiglie in questo percorso giudiziario, “il ministero della Difesa israeliano ha presentato alla Corte Suprema il 4 settembre scorso un percorso alternativo per la barriera di separazione nella valle di Cremisan”.

Il nuovo tracciato prevede che “i conventi e il monastero salesiano debbano trovarsi sul lato palestinese del muro, mentre le terre agricole circostanti su quello israeliano. Pertanto l’accesso ai terreni da parte dei religiosi e dei proprietari delle terre avverrà attraverso dei cancelli agricoli”. Questa proposta, afferma in una nota la Société Saint Yves, si basa su una decisione della Corte Suprema israeliana, assunta dopo l’udienza del 4 agosto scorso sul percorso del muro di separazione nella valle di Cremisan, nella quale la Corte ha chiesto allo Stato di Israele di prendere in considerazione altre possibilità per il percorso in modo che il convento e il monastero salesiano siano nello stesso lato palestinese del muro”. Da St. Yves arriva la “condanna a qualsiasi proposta che porterebbe a una separazione del convento delle suore salesiane dalle terre circostanti”. (R.P.)

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Le piogge monsoniche non danno tregua a India e Pakistan: 480 i morti

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Resta grave la situazione tra India e Pakistan, nelle province del Kashmir e del Punjab dove da oltre una settimana insistono devastanti piogge monsoniche che hanno causato almeno 480 morti e migliaia di sfollati. Nel Kashmir indiano sono circa 200 mila i senzatetto, ma secondo le autorità ci vorrà ancora qualche giorno prima di avere una stima completa dai danni. Qui, dopo qualche momento di tregua, il tempo è nuovamente peggiorato, tanto da far interrompere le operazioni di soccorso ed evacuazione a Sringar, la principale città dell’area himalayana, dove la popolazione ha trovato rifugio sui tetti. Le autorità lanciano l’allarme sulla mancanza di latte e pane per i bambini, ma soprattutto sul rischio di epidemie che si cerca di contenere con la massiccia distribuzione di medicine. In tutta l’aera, inoltre, sono stati allestiti 137 campi che danno assistenza a oltre centomila persone. Non è migliore la situazione nel vicino Pakistan: secondo le autorità quasi tre milioni di persone sono state colpite dalle alluvioni, mentre i soccorsi si concentrano nella zona intorno alla città di Multan, che conta due milioni di abitanti. (R.B.)

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Ucraina: la tregua regge. Domani accordo di associazione con Ue

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Fragile e con violazioni da entrambe le parti, ma sembra reggere la tregua tra Ucraina e Russia firmata a Minsk il 5 settembre scorso, soprattutto a due giorni dalle nuove sanzioni ai danni di Mosca - alle quali Putin ha promesso di reagire - sanzioni peraltro revocabili a seconda dell’evoluzione della crisi. Sul terreno, intanto, si sono registrati spari ed esplosioni a Makiivka - che i miliziani attribuiscono all’esercito governativo - e c’è stato un attacco di ribelli sostenuti da sei carrarmati all’aeroporto di Donetsk. Nel frattempo, la Nato ha iniziato la consegna di armi in Ucraina, in ottemperanza a quanto deciso nel vertice dell’Alleanza Atlantica svoltosi la settimana scorsa in Galles. Ed è attesa per domani dal Parlamento ucraino l’approvazione dell’accordo di associazione tra il Paese e l’Unione europea, la cui entrata in vigore è però slittata al 2016 proprio per agevolare un dialogo tra Bruxelles, Kiev e Mosca. (R.B.)

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Oggi le Politiche in Svezia. Il 18 referendum per l'indipendenza scozzese

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Urne aperte dalle 8 di questa mattina e fino alle 20, in Svezia, dove si vota per il rinnovo del Parlamento. Favoriti i socialdemocratici di Stefan Lofven, che potrebbero tornare al potere dopo 8 anni di governo del Partito moderato di centrodestra guidato dall’attuale premier, Fredrik Reinfeldte. Grande attesa per il risultato della formazione populista ed euroscettica denominata Democratici, di Jimmie Akesson.

Riflettori puntati anche su un altro importante appuntamento elettorale della settimana: il referendum sull’indipendenza scozzese che avrà luogo giovedì 18 settembre. Sono circa 4,3 milioni gli scozzesi che si sono registrati al voto nei circa cinquemila seggi che resteranno aperti dalle 7 alle 22, un record per la Scozia. Secondo l’ultimo sondaggio effettuato da Survation – e commissionato dalla campagna per il no all’indipendenza – il fronte del no si attesta al 47%, seguito dal sì al 40.8 e si rileva un 12% di indecisi che potrebbe fare la differenza.

Il fronte del no potrebbe essere cresciuto a causa degli allarmanti dati degli economisti, secondo i quali nel solo mese di agosto c’è stata una fuga di capitali dalla Gran Bretagna pari a 16.8 milioni di sterline, che potrebbe aggravarsi in caso di secessione: la maggior parte degli intervistati che dichiarano di votare no, infatti, teme condizioni economiche più svantaggiose in caso di vittoria del sì. (R.B.)

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Liberia: bambini orfani a causa dell’Ebola

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Il 20% dei bambini liberiani con meno di 2 anni di età ha perso i genitori a causa dell’epidemia di Ebola che, dallo scorso mese di marzo, sta colpendo l’Africa occidentale. Molti rimangono completamente soli, abbandonati per le strade, senza alcun riparo nè assistenza medica o alimentare. L’impatto del virus sui sistemi e servizi sanitari già molto precari sta diventando devastante.

Quasi tutti i Centri sanitari sono chiusi o funzionano parzialmente, riferisce l'agenzia Fides. I bambini non vengono seguiti neanche per le malattie pediatriche più comuni come malaria, polmonite, diarrea e denutrizione acuta grave. Anche il settore dell’istruzione dei piccoli sta subendo l’influsso del virus. Sia in Liberia che in Sierra Leone oltre 3 milioni e mezzo di bambini non possono tornare nelle scuole che, fino a nuovi avvisi, rimangono chiuse.

Secondo il bilancio dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, l’epidemia di Ebola in Sierra Leone, Liberia, Guinea, Nigeria e Senegal, ha finora fatto registrare 4.269 contagi e 2.288 morti. (R.P.)

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Nigeria. Crolla un edificio di una chiesa evangelica, 40 morti

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Circa 40 persone sono morte, mentre 124 sono state tratte in salvo dalle macerie causate dal crollo di un edificio di proprietà di una chiesa evangelica a Lagos, in Nigeria. Inizialmente i seguaci hanno impedito alle autorità di avvicinarsi al palazzo imploso venerdì scorso, ma ieri hanno dato il via libera ai soccorritori: il bilancio aggiornato, infatti, è stato fornito dal portavoce dell’agenzia nazionale per le emergenze, Ibrahim Farinloye, mentre un precedente bollettino contava 17 vittime. (R.B.)

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Sagra Musicale Umbra: il cardinal Ravasi premia il compositore Venturini

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Rivestire di note la madre di tutte le preghiere della cristianità, il Pater noster, è intento che ha visto cimentarsi lungo i secoli moltissimi compositori dai nomi illustri. Ad arricchire questa antica tradizione è stata la 69.a Sagra Musicale Umbra che, in collaborazione con il Pontificio Consiglio della Cultura guidato dal cardinale Gianfranco Ravasi, ha celebrato ieri sera, nella Basilica Superiore di San Francesco ad Assisi, l’atto conclusivo della seconda edizione del Concorso di composizione per un’opera di musica sacra “F. Siciliani”.

Fra le tre partiture finaliste - rese come sempre magistralmente, all’interno di un ricco programma di brani sacri, dal St. Jacob’s Chamber Choir di Stoccolma diretto da Gary Graden - la Giuria internazionale presieduta da Ennio Morricone, ieri assente al concerto per motivi di salute, ha premiato l’originalità e l’inventiva espresse dal compositore udinese Andrea Venturini, che ha ricevuto il premio dalle mani del cardinale Gianfranco Ravasi.

A suscitare grande interesse e partecipazione, così come accaduto nella prima edizione del Concorso nel 2012, è stata la possibilità offerta ai giornalisti specializzati e alle 200 persone presenti al concerto di votare la composizione preferita su un sistema di tablet collegati in tempo reale a un software. Unanime in questo caso l’esito dei conteggi, entrambi risultati a favore del giovane compositore di Vicenza, Leonardo Schiavo, che ha prevalso sia su Venturini sia sul terzo finalista, Federico Zattera. Al termine del concerto, il direttore del festival umbro Alberto Batisti, ha sottolineato il valore assoluto della libertà, tema guida della Sagra di quest’anno e “sigillo ideale”, ha ribadito, di qualsiasi aspirazione civile e umana.

E il tema della libertà, da un versante eminentemente religioso e culturale, era stato trattato nel pomeriggio, durante un’affollata conferenza, dal cardinale Gianfranco Ravasi, con un denso e magistrale intervento tenuto nell’Aula magna dell’Università per stranieri di Perugia. Distinguendo tra una libertà da - cioè dal male e da una visione dell’esistenza ripiegata su di sé, ammalata di “autismo spirituale”, e all’opposto una libertà per, ovvero capace di apertura e di confronto - il presidente del Pontificio Consiglio della Cultura ha definito la libertà “una grande avventura” che l’uomo, ha detto, “non può esercitare da solo” ma in un contesto di “dialogo”. E soprattutto, ha concluso, con uno sguardo capace di guardare “alle stelle”, simboli di quella “coscienza morale” che oggi pure brilla ma spesso per la sua assenza. (A.D.C.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVIII no. 257

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.