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Sommario del 12/09/2014

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Il Papa a vescovi Congo: aiutare i bambini soldato, sconfiggere la violenza

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Pace, famiglia, giovani. Sono i tre temi chiave affrontati da Papa Francesco nel discorso consegnato ai vescovi della Repubblica Democratica del Congo, ricevuti al termine della Visita ad Limina. Il Papa ha, in particolare, rivolto il pensiero ai bambini e giovani costretti a combattere nelle guerre locali, chiedendo ai pastori di fare tutto il possibile per aiutarli. Il servizio di Alessandro Gisotti: 

Sono i giovani il cuore del discorso di Papa Francesco ai vescovi del Congo, soprattutto quelli che soffrono a “causa della precarietà della loro vita”, “dell’impossibilità di proseguire gli studi o trovare un lavoro”. Il Papa pensa “con sgomento” a quei “bambini, quei giovani, costretti ad arruolarsi nelle milizie e obbligati ad uccidere”. Francesco incoraggia i presuli congolesi ad “offrire ogni aiuto possibile” a questi giovani, “specialmente attraverso la creazione di spazi di formazione umana, spirituale e professionale”. Il Papa sottolinea che “il mezzo più efficace per vincere la violenza, la disuguaglianza e le divisioni etniche” consiste “nell’offrire ai giovani uno spirito critico e a proporgli un percorso di maturazione nei valori evangelici”. E chiede di rafforzare la pastorale nelle università e nelle scuole.

Dal Papa l’esortazione ai vescovi del Congo affinché “lavorino senza sosta per la realizzazione di una pace giusta e duratura, attraverso una pastorale del dialogo e della riconciliazione tra i diversi settori della società”. E questo, “sostenendo il processo di disarmo e promuovendo una efficace collaborazione con le altre confessioni religiose”. E’ “necessario – sottolinea – che la Chiesa dia il suo contributo, evitando di sostituirsi alle istituzioni politiche”. E avverte che i “pastori devono guardarsi dal prendere il posto” dei laici che hanno “la missione di testimoniare Cristo e il Vangelo in politica e in ogni altro ambito della loro attività”.

Francesco invita inoltre i presuli ad essere vicini alle famiglie. Di fronte alla “disgregazione familiare provocata, in particolare, dalla guerra e  la povertà – ammonisce – è indispensabile valorizzare e incoraggiare tutte le iniziative destinate a consolidare la famiglia, fonte di ogni fraternità, fondamento e via primaria della pace”. Il Papa non manca infine di incoraggiare il lavoro dei missionari, dei religiosi e di quanti sono “al servizio dei feriti della vita, delle vittime della violenza”. E pensa in modo speciale “ai rifugiati interni e a quelli, numerosi, che provengono dai Paesi vicini”. Come pastori, è l’esortazione del Papa, “siete chiamati a proporre degli orientamenti e delle soluzioni per la promozione di una società fondata sul rispetto della dignità della persona umana”.

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Papa Francesco: esegesi indispensabile per capire la Bibbia

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Papa Francesco ha incontrato stamani nella Sala Clementina, in Vaticano, i membri dell’Associazione Biblica Italiana al termine della 43.ma Settimana Biblica Nazionale. Un appuntamento che inaugura le celebrazioni per il 50.mo anniversario della Costituzione Dogmatica del Concilio Vaticano II sulla Divina Rivelazione “Dei Verbum”, promulgata il 18 novembre 1965. Competenza e docilità allo Spirito Santo, i due requisiti indicati da Francesco per l’esegeta cattolico. Il servizio di Adriana Masotti

Dobbiamo essere grati per le aperture che ci ha offerto il Concilio riguardo all’accesso alla Sacra Scrittura. “Il cristiano ne ha bisogno oggi più che mai, sollecitato com’è da contrastanti provocazioni culturali”. Lo dice il Papa sottolineando che la fede, per risplendere, dev’essere nutrita costantemente dalla Parola di Dio. Francesco esprime stima e riconoscenza per il lavoro svolto dall’Associazione e approfitta dell’occasione per ribadire l’importanza dell’esegesi biblica per il Popolo di Dio. Cita ciò che la Pontificia Commissione Biblica scriveva in un documento del 1993:

"L’esegesi biblica adempie, nella Chiesa e nel mondo, un compito indispensabile. Voler fare a meno di essa per comprendere la Bibbia sarebbe un’illusione e dimostrerebbe una mancanza di rispetto per la Scrittura ispirata (...) Per parlare agli uomini e alle donne, Dio ha sfruttato tutte le possibilità del linguaggio umano, ma nello stesso tempo ha dovuto sottomettere la sua Parola a tutti i condizionamenti di questo linguaggio. Il vero rispetto per la Scrittura ispirata esige che si compiano tutti gli sforzi necessari perché si possa cogliere bene il suo significato ... questo compito è affidato proprio agli esegeti".

In occasione dell’uscita di quel documento, san Giovanni Paolo II aveva ricordato, dice Papa Francesco, che l’esegesi cattolica deve “aiutare il popolo cristiano a percepire in modo più nitido la parola di Dio in questi testi”. Ciò può accadere però solo se lo stesso esegeta sa percepire in essi la Parola divina e questo è possibile se la sua vita spirituale è ricca di dialogo con il Signore:

"Perciò alla competenza accademica, all'esegeta cattolico è richiesta anche e soprattutto la fede, ricevuta e condivisa con tutto il popolo credente che nella sua totalità non può sbagliare".

Papa Francesco cita ancora San Giovanni Paolo II che raccomandava:

"Per arrivare ad un’interpretazione pienamente valida delle parole ispirate dallo Spirito Santo, dobbiamo noi stessi essere guidati dallo Spirito Santo, per questo bisogna pregare, pregare molto, chiedere nella preghiera la luce interiore dello Spirito e accogliere docilmente questa luce, chiedere l’amore, che solo rende capaci di comprendere il linguaggio di Dio, che è amore". 

Alla fine Papa Francesco indica il modello dell’esegeta: è la Vergine Maria che "insegna ad accogliere pienamente la Parola di Dio, non solo attraverso la ricerca intellettuale, ma in tutta la nostra vita".

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Il Papa: vera correzione fraterna è dolorosa, perché fatta con amore, verità e umiltà

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La vera correzione fraterna è dolorosa perché è fatta con amore, in verità e con umiltà. Se sentiamo il piacere di correggere, questo non viene da Dio. E’ quanto ha detto il Papa nell’omelia mattutina a Santa Marta, nel giorno in cui la Chiesa celebra la Memoria liturgica del Santissimo Nome di Maria. Ce ne parla Sergio Centofanti

Nel Vangelo del giorno Gesù ammonisce quanti vedono la pagliuzza nell’occhio del fratello e non si accorgono della trave che è nel proprio occhio. Commentando questo brano, Papa Francesco torna sulla correzione fraterna. Innanzitutto, il fratello che sbaglia va corretto con carità:

“Non si può correggere una persona senza amore e senza carità. Non si può fare un intervento chirurgico senza anestesia: non si può, perché l’ammalato morirà di dolore. E la carità è come una anestesia che aiuta a ricevere la cura e accettare la correzione. Prenderlo da parte, con mitezza, con amore e parlagli”.

In secondo luogo, – ha proseguito – bisogna parlare in verità: “non dire una cosa che non è vera. Quante volte nelle comunità nostre si dicono cose di un’altra persona, che non sono vere: sono calunnie. O se sono vere, si toglie la fama di quella persona”. “Le chiacchiere – ha ribadito il Papa - feriscono; le chiacchiere sono schiaffi alla fama di una persona, sono schiaffi al cuore di una persona”. Certo – ha osservato – “quando ti dicono la verità non è bello sentirla, ma se è detta con carità e con amore è più facile accettarla”. Dunque, “si deve parlare dei difetti agli altri” con carità.

Il terzo punto è correggere con umiltà: “Se tu devi correggere un difetto piccolino lì, pensa che tu ne hai tanti più grossi!”:

“La correzione fraterna è un atto per guarire il corpo della Chiesa. C’è un buco, lì, nel tessuto della Chiesa che bisogna ricucire. E come le mamme e le nonne, quando ricuciono, lo fanno con tanta delicatezza, così si deve fare la correzione fraterna. Se tu non sei capace di farla con amore, con carità, nella verità e con umiltà, tu farai un’offesa, una distruzione al cuore di quella persona, tu farai una chiacchiera in più, che ferisce, e tu diventerai un cieco ipocrita, come dice Gesù. ‘Ipocrita, togli prima la trave dal tuo occhio….’. Ipocrita! Riconosci che tu sei più peccatore dell’altro, ma che tu come fratello devi aiutare a correggere l’altro”.

“Un segno che forse ci può aiutare” – ha osservato il Papa - è il fatto di sentire “un certo piacere” quando “uno vede qualcosa che non va” e che ritiene di dover correggere: bisogna stare “attenti perché quello non è del Signore”:

“Del Signore sempre c’è la croce, la difficoltà di fare una cosa buona; del Signore è sempre l’amore che ci porta alla mitezza. Non fare da giudice. Noi cristiani abbiamo la tentazione di farci come dottori: spostarci fuori del gioco del peccato e della grazia come se noi fossimo angeli… No! E’ quello che Paolo dice: ‘Non succeda che dopo avere predicato agli altri, io stesso venga squalificato’. E un cristiano che, in comunità, non fa le cose - anche la correzione fraterna - in carità, in verità e con umiltà, è uno squalificato! Non è riuscito a diventare un cristiano maturo. Che il Signore ci aiuti in questo servizio fraterno, tanto bello e tanto doloroso, di aiutare i fratelli e le sorelle a essere migliori e ci aiuti a farlo sempre con carità, in verità e con umiltà”.

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Il Papa si recherà in Turchia a fine novembre

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Questa mattina la Santa Sede ha ricevuto la lettera di invito ufficiale da parte del presidente della Turchia, Recep Tayyp Erdogan, per una visita del Papa Francesco nel Paese. Lo ha riferito il direttore della Sala Stampa vaticana, padre Federico Lombardi.

Si procederà quindi - ha detto il portavoce vaticano - alla preparazione del viaggio negli ultimi giorni di novembre, ma la durata e il programma del viaggio stesso sono ancora da definire.

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La visita del Papa al Sacrario militare di Redipuglia

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Papa Francesco sarà domani mattina in Friuli Venezia Giulia, prima al cimitero austro-ungarico di Fogliano e poi nel vicino Sacrario militare di Redipuglia per ricordare i caduti della Prima Guerra Mondiale e lanciare un messaggio di pace al mondo. Il Papa è atteso alle 8.30 all’aeroporto di Ronchi dei Legionari dove sarà accolto, tra gli altri, dall'arcivescovo di Gorizia, mons. Carlo Roberto Maria Redaelli, e dal premier italiano, Matteo Renzi. In auto coperta raggiungerà poi il luogo della cerimonia, dove sono attese decine di migliaia di persone. Da Redipuglia, il servizio del nostro inviato Luca Collodi

Dopo 22 anni un Papa torna pellegrino a Redipuglia. Giovanni Paolo II, la sera del 3 maggio del 1992, ricordò il sacrificio e le sofferenze di migliaia di giovani vittime della Prima Guerra Mondiale che riposano nel Sacrario militare: centomila caduti di cui 60mila ancora senza nome, morti nelle trincee del Carso e dell’Isonzo. Domani, Papa Francesco pregherà, da solo, prima nel vicino cimitero austro-ungarico di Fogliano, dove riposano le spoglie dei caduti austriaci e ungheresi, il nemico di allora. Un segno forte di invocazione alla pace e di preghiera per i caduti di tutte le guerre, per dire che la guerra è ancora una “inutile strage” e  fa male, a quelli che la combatterono nel  Novecento ma anche a chi la combatte, “a pezzi”,  oggi nel mondo.  Poi l’ingresso nel Sacrario di Redipuglia dove celebrerà, davanti ad almeno 10 mila fedeli, la Messa con i cardinali di Vienna e Zagabria ed i vescovi provenienti da Slovenia, Austria, Ungheria e Croazia e dalle diocesi del Friuli Venezia Giulia, oltre ai vescovi ordinari militari e cappellani militari, ai quali, al termine della Messa, consegnerà la lampada della Pace di San Francesco che verrà accesa nelle rispettive diocesi durante le celebrazioni di commemorazione della Prima Guerra Mondiale, di cui ricorre quest’anno il centenario.

Il Papa non userà per gli spostamenti la macchina scoperta, per conservare raccoglimento e preghiera. L’annuncio del pellegrinaggio a Redipuglia fu dato direttamente da Francesco il 6 giugno scorso a Roma, in occasione della cerimonia per i 200 anni di fondazione dell’Arma dei Carabinieri. Ad accogliere il Papa a Redipuglia sarà l’ordinario militare italiano, arcivescovo Santo Marcianò. In una lettera pastorale ai cappellani, ai militari e a tutti i fedeli dell’Ordinariato militare, dal titolo “Il Dio che stronca le guerre”, edita dalla Lev, mons. Marcianò propone una riflessione sulla dimensione politica, sociale ed evangelica della pace. Riguardo alla dimensione “politica” della pace, l’ordinario scrive come non si deve fare la guerra, ma “lavorare per fermare le violenze” nel mondo. Citando il Beato don Gnocchi, cappellano militare nella Seconda Guerra Mondiale, mons. Marcianò sottolinea come la guerra sia “un temporaneo distacco dell’uomo da Dio, e un temporaneo abbandono della storia alla logica dell’errore”. Al termine della Messa, il saluto delle autorità militari, con la consegna al Papa da parte del capo di Stato Maggiore della Difesa, ammiraglio Binelli Mantelli, del foglio matricolare del nonno, Giovanni Bergoglio, bersagliere, soldato nella Prima Guerra Mondiale.

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Redipuglia. Mons. Redaelli: inutili stragi ancora oggi

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Primo atto della visita del Papa al Sacrario di Redipuglia, sarà la preghiera nel vicino cimitero austro-ungarico di Fogliano, dove riposano le spoglie dei caduti austriaci e ungheresi. Luca Collodi ha intervistato a questo proposito l'arcivescovo di Gorizia, mons. Carlo Roberto Maria Redaelli

R. - Sì, perché a Redipuglia certamente c’è il grandissimo Sacrario con i caduti italiani - più di 100 mila - ma a 500 metri di distanza, nello stesso comune, c’è il cimitero austroungarico con circa 15 mila vittime dell’altra parte: quindi il fatto che il Papa visiti anzitutto questo e poi quello italiano dice che il Papa ovviamente non si schiera da nessuna parte, ma vuole ricordare i caduti di qualunque guerra e non solo di quelle del passato, ma anche di quelle odierne.

D. - Il Papa viene a pregare per i morti di tutte le guerre e invocare il dono della pace per tutti i popoli. E’ l’occasione di una preghiera universale per la pace questa visita …

R. - Assolutamente! Penso che sia proprio una visita che vuole ricordare l’anniversario della Prima Guerra Mondiale, ma lo ricorda pensando all’oggi. Quindi quella che è stata questa inutile strage - come diceva Papa Benedetto XV - purtroppo si sta riproponendo ancora, in maniera appunto frammentata, ma altrettanto inutile e altrettanto strage e con l’uccisione di tante persone innocenti.

D. - Si parla molto di questo centenario della Prima Guerra Mondiale: c’è molto turismo, si va nelle trincee, si cerca di ricordare storicamente in questa occasione… Ma lei su questo ha voluto puntualizzare qualcosa: ha scritto una lettera per la pace…

R. - Sì, perché certamente c’è l’interesse storico, l’interesse turistico, ci sono tutti questi interessi a distanza di cento anni, ma in una terra come Gorizia questo ricordo è ancora vivo: è ancora molto vivo … Abbiamo dei sacerdoti, anche piuttosto anziani, che hanno visto - anche di recente - la foto del papà in divisa austriaca; quasi tutte le chiese qui della zona sono state distrutte e poi ricostruite dopo la Prima Guerra Mondiale… Quindi qui si sa cosa è la guerra! E quindi si sa anche cosa è la guerra di oggi. Nella lettera ho cercato di sottolineare delle azioni concrete anche per lavorare per la pace, non soltanto ricordare il passato.

D. - Vogliamo restare proprio in queste terre, di cui lei è pastore: sono terre di confine, segnate dalla violenza e non solo per la Prima, ma anche per la Seconda Guerra mondiale. Oggi nel Nordest italiano, sloveno e croato si respira aria di riconciliazione?

R. - Certamente sì! Si sono fatti notevoli passi avanti, anche il confine che divede in due la città di Gorizia non c’è più: ormai è normale passare da una parte all’altra. Certo, c’è anche tutto un cammino di purificazione della memoria, perché ci sono ancora persone che ricordano certi fatti dolorosi, dall’una e dall’altra parte. C’è la necessità di fare comunque un cammino di conoscenza, perché - nella lettera che si citava prima - ho detto, per esempio, una cosa forse banale, ma fondamentale: è più facile sparare ad una categoria che ad un volto conosciuto. Quindi l’importante è conoscersi fra persone e offrire occasioni di relazione. Noi stiamo cercando, anche con le diocesi vicine, di avere dei rapporti molto cordiali ed avere occasioni anche per pregare insieme, di avere occasioni anche per riflettere insieme.

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Redipuglia. Binelli Mantelli: monito alle nuove generazioni

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Seguirà la visita del Papa a Redipuglia anche il capo di Stato Maggiore della Difesa, ammiraglio Luigi Binelli Mantelli. Luca Collodi lo ha intervistato: 

R. – Qui si tratta di commemorare un evento epocale, mondiale, come la Prima Guerra Mondiale e dargli un contenuto valoriale. Credo che la scelta del Papa di andare a Redipuglia sia il modo più alto per inaugurare queste commemorazioni e le chiamo commemorazioni – riallacciandomi al discorso sulla memoria – perché non sono celebrazioni. Commemorazioni dei sacrifici di tante generazioni, di militari ma anche di civili che hanno sofferto questa terribile tragedia, ma vorrei dire inoltre che deve essere - nella mia chiave di lettura - anche un omaggio allo spirito di sacrificio, alla dedizione di tutti i militari, di tutte le nazioni che hanno servito nel tempo, nella nostra storia, sotto tante bandiere, sotto tante ideologie; non responsabili delle ideologie ma responsabili di tener alto l’onore della loro nazione.

D. – Redipuglia: monito al dialogo tra i popoli, monito per i giovani che non devono dimenticare la memoria di quello che è successo cento anni fa, ma anche molto altro…

R. – Sì. È un monito e io partirei da un monito all’Europa, perché la Prima Guerra Mondiale è stata sostanzialmente una guerra europea anche se mondiale e da quella guerra – poi dalla Seconda – sicuramente è venuto fuori il concetto alto di Europa Unita, perché mai più popoli europei si dovrebbero confrontare militarmente. Quindi, deve essere un monito a continuare nella costruzione dell’ideale europeo nato da De Gasperi, subito dopo la guerra, che oggi deve subire un’accelerazione, perché le sfide che ci aspettano in futuro richiedono coesione degli europei; e torna acconcio anche in questo periodo in cui l’Italia ha assunto la presidenza del Consiglio dell’Unione Europea. Questo è un primo monito che io credo si possa far derivare dalla visita del Papa a Redipuglia; e un secondo monito è alle nuove generazioni e alle culture che ci circondano. La religione viene tante volte strumentalizzata per motivi e finalità che non hanno niente a che vedere con la religione; la religione dovrebbe unire così come la memoria delle tragedie passate dovrebbe unire e invitare alla razionalità, piuttosto che al nazionalismo cieco.

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Il Papa a Strasburgo. Mons. Ambrosio: visita che aiuta tutta l’Europa

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La notizia di ieri che Papa Francesco si recherà al Parlamento di Strasburgo, il prossimo 25 novembre, ha avuto un grande risalto sulla stampa europea. Sull’importanza di questa visita, 26 anni dopo quella di San Giovanni Paolo II, Federico Piana ha intervistato mons. Gianni Ambrosio, vescovo di Piacenza-Bobbio e vice-presidente della Comece: 

R. – L’attesa è grande, anche perché vi è una certa sorpresa, nel senso che sì, si sapeva dell’invito che era stato rivolto a Papa Francesco, ma non si pensava che fosse accolto così rapidamente. Questo dice anche il desiderio del Santo Padre di essere nel cuore dell’Europa per aiutare l’Europa perché davvero tutti riconoscano che abbiamo bisogno di uno sguardo più grande: ecco, il Santo Padre può aiutarci davvero a trovare questo sguardo più grande. Il che vuol dire l’attenzione – credo – alle persone che soffrono nel contesto europeo per una mancanza di idealità, per una scarsa solidarietà anche tra i diversi popoli europei.

D. – La decisione del Papa di venire prima a Strasburgo e poi, magari, di visitare qualche Paese europeo, che segnale è? Come dobbiamo leggerlo?

R. – Credo che sia un riconoscimento del grande cammino che è stato fatto da parte dei diversi Stati europei, a conclusione della Seconda Guerra Mondiale – una guerra fratricida – da parte di grandi persone illuminate, cristiani convinti, come Schuman, Adenauer, De Gasperi, che hanno dato il via ad una progressiva Comunità Europea fino all’Unione Europea. Riconoscere tutto questo sforzo che è stato fatto per superare i nazionalismi, per cercare di collaborare insieme per essere capaci davvero di ricreare quell’unità europea andata persa, frantumata, è un riconoscimento grande da parte di Papa Francesco, tanto più che lui proviene da un altro "mondo". Ecco: riconoscere che il mondo europeo ha camminato, ha camminato bene in questa direzione, ma che ora il cammino sia per molti versi inceppato e cha ha bisogno dunque di una spinta per riprendere lo slancio, tutto questo credo che sia una grazia che Papa Francesco potrà dare all’Unione Europea e ai popoli europei, anche al di là dell’Unione Europea.

D. – Ricordiamo che il primo Papa a parlare a Strasburgo fu Giovanni Paolo II il 3 ottobre del 1988. Papa Wojtyla si soffermò sulle radici spirituali dell’Europa, sull’identità cristiana. Lei pensa che nel discorso del Papa sia possibile un richiamo a questa identità cristiana? 

R. – Io credo che il Papa certamente farà riferimento anche alla tradizione europea e dunque alle radici europee che sono fondamentalmente cristiane, ma credo anche – da qualche colloquio che abbiamo avuto, anche come vescovi della Comece – che il Papa voglia aiutarci a guardare di più verso il cielo europeo, a guardare di più verso il futuro, e quindi certamente tener conto di tutto l’apporto che la tradizione cristiana ha dato ma, allo stesso tempo, anche guardare avanti per dare risposte alla situazione europea di oggi. Credo che questa spinta propulsiva possa essere davvero molto importante, proprio per riprendere un cammino che si è inceppato.

D. – Secondo lei, quali sono i problemi più urgenti che l’Europa deve affrontare e che il Papa ci potrà aiutare ad affrontare?

R. – Io credo che innanzitutto la solidarietà tra i popoli europei sia un elemento importante da recuperare. Rispuntano vari nazionalismi o localismi di vario genere, e quindi c’è un restringimento della visione europea. Nello stesso tempo, in Europa arrivano popolazioni diverse: di fronte a questo problema l’Europa è latitante. Io credo che lo sguardo ampio del Papa possa aiutarci per ritrovare quella solidarietà che è venuta meno, ma anche ritrovare quella capacità di accogliere e di offrire alle popolazioni che qui arrivano un luogo ove poter abitare nella pace e nella concordia.

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La Cei promuove incontro con il Papa alla vigilia del Sinodo sulla famiglia

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Alla vigilia dell’ormai prossimo Sinodo sulla Famiglia, la presidenza della Conferenza episcopale italiana invita il popolo di Dio a prendere parte il 4 ottobre, dalle 18 alle 19.30 in Piazza San Pietro, a un momento pubblico di preghiera e di riflessione, che culminerà con l’intervento di Papa Francesco.

L’iniziativa, alla quale parteciperanno anche i Padri sinodali, intende manifestare l’attenzione della Chiesa italiana attorno a una tematica tanto decisiva quale quella della famiglia, nucleo vitale della società e della stessa comunità ecclesiale. Di qui, la volontà di accompagnare i lavori dell’Assemblea sinodale, invocando su di essa la luce dello Spirito Santo. L’incontro sarà ripreso dal Centro Televisivo Vaticano e trasmesso in diretta da Tv2000 e dalle altre televisioni cattoliche.

La terza Assemblea Generale Straordinaria del Sinodo dei Vescovi si svolgerà in Vaticano dal 5 al 19 ottobre sul tema “Le sfide pastorali sulla famiglia nel contesto dell’evangelizzazione”.

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Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II: decreto fissa date memoria liturgica

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Papa Francesco ha disposto che le celebrazioni di San Giovanni XXIII, Papa, e di San Giovanni Paolo II, Papa, siano iscritte nel Calendario Romano generale la prima l’11, la seconda il 22 ottobre, con il grado di memoria facoltativa. Nel decreto emanato dalla Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti che regola il culto riservato ai due nuovi Santi si legge che questi due Sommi Pontefici offrono al clero e ai fedeli “un singolare modello di virtù nel promuovere la vita in Cristo”. Papa Francesco, facendo suoi gli unanimi desideri del Popolo di Dio, ha dunque disposto la celebrazione delle memorie nelle date suddette dell’11 e 22 ottobre.

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Il Papa riceve mons. Eterović, nunzio in Germania

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Il Papa riceve oggi pomeriggio mons. Nikola Eterović, nunzio apostolico nella Repubblica Federale di Germania.

Papa Francesco ha nominato membri della Congregazione delle Cause dei Santi i cardinali Robert Sarah, presidente del Pontificio Consiglio "Cor Unum", e Mauro Piacenza, Penitenziere Maggiore.

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Amman, incontro cattolico-ortodosso su Sinodalità e Primato

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Dal 15 al 23 settembre 2014, si terrà la XIII sessione plenaria della Commissione mista internazionale per il dialogo teologico tra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa. La riunione avrà luogo ad Amman (Giordania), su invito del Patriarca greco ortodosso di Gerusalemme, Sua Beatitudine Teofilos III. Ai lavori della Commissione, che saranno presieduti dal Cardinale Kurt Koch, presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, e dal Metropolita di Pergamo Ioannis (Zizioulas), del Patriarcato Ecumenico, parteciperanno, come in precedenti circostanze analoghe, due rappresentanti di ognuna delle quattordici Chiese ortodosse autocefale ed altrettanti rappresentanti cattolici.

La sessione plenaria avrà come oggetto l’esame di una bozza di documento, dal titolo “Sinodalità e Primato”, che è stata redatta dal Comitato di Coordinamento della Commissione nel corso di due riunioni che hanno avuto luogo a Roma nel 2011 e a Parigi nel 2012. Il tema è stato scelto al termine della XII sessione plenaria, tenutasi a Vienna nel 2010, per proseguire la riflessione iniziata con l’ultimo documento approvato dalla Commissione, “Le conseguenze ecclesiologiche e canoniche della natura sacramentale della Chiesa. Comunione ecclesiale, conciliarità e autorità” (Ravenna, 2007). Lo studio del rapporto teologico ed ecclesiologico tra primato e sinodalità nella vita della Chiesa a livello locale, regionale ed universale dovrebbe offrire il quadro di riferimento, nel quale affrontare in seguito la questione cruciale del ruolo del vescovo di Roma nella Chiesa universale. Ad Amman, i membri della Commissione saranno chiamati a valutare se la bozza preparata dal Comitato di Coordinamento rispecchi in maniera adeguata il consenso attualmente esistente su questa delicata materia o se sarà necessario continuare ad approfondire la tematica.

La sessione plenaria offrirà ai partecipanti anche l’opportunità di condividere momenti di preghiera con le comunità cristiane locali e di testimoniare la propria vicinanza a coloro che soffrono a causa degli attuali conflitti della regione. Sabato 20 settembre i membri della Commissione saranno presenti alla celebrazione della Messa nella parrocchia cattolica di Our Lady of Nazareth in Amman, e domenica 21 settembre parteciperanno alla celebrazione della Divina Liturgia in una chiesa ortodossa di Amman. Infine, è previsto che la Commissione faccia visita ad un campo profughi provenienti dalla vicina Siria, per esprimere loro la solidarietà della Chiesa cattolica e della Chiesa ortodossa.

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Oggi in Primo Piano



Ucraina: Mosca annuncia una reazione lenta alle sanzioni Ue

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La Crimea tornerà ucraina. E’ la promessa del presidente Poroshenko, mentre Mosca minaccia una reazione a fronte delle nuove sanzioni economiche dell’Ue entrate in vigore oggi. La misura – afferma il ministro degli Esteri Lavrov – avrà conseguenze dirette anche sul processo di pace nella regione. E il capo di stato russo Putin chiede maggiore cooperazione alla Cina e alle ex repubbliche sovietiche dell’Asia. Il servizio è di Eugenio Bonanata: 

E’ necessario collaborare per andare incontro alle sfide del momento. Il presidente Putin parla nel giorno delle nuove sanzioni economiche dell’Ue che colpiscono finanza, energia e difesa interessando direttamente diversi magnati russi. Una linea che il Cremlino definisce incomprensibile e illegale e che per il ministro degli Esteri Lavrov avrà conseguenze dirette sul processo di pace in Ucraina. Mosca – precisa – reagirà con calma, adeguatamente e in difesa dei propri interessi. Intanto un nuovo scambio di prigionieri tra ucraini e separatisti, avvenuto in queste ore, conferma che la tregua continua a reggere. E se nei prossimi giorni il parlamento Europeo ratificherà l’accordo di associazione e libero scambio con l’Ucraina, il presidente Poroshenko promette che la Crimea tornerà sotto Kiev senza necessariamente utilizzare le armi. Inoltre, in vista della sua missione negli Stati Uniti, in calendario la prossima settimana, il leader ucraino auspica di ottenere presto per il suo Paese uno status di cooperazione speciale con la Nato.

Sull’appello del presidente russo Putin, che si è rivolto alla Cina, Eugenio Bonanata ha intervistato Fulvio Scaglione, vicedirettore di "Famiglia Cristiana" ed esperto dell’area: 

R. - Da un lato è naturalmente un appello retorico, perché la Cina non è un Paese che si può “tirare per la giacca”. La Cina ha una propria agenda, la persegue con grande lucidità e non è certamente disponibile a sostenere le agende altrui se non quando queste coincidono o convengono alla propria. L’altro aspetto è che, oggettivamente, quanto sta accadendo in Ucraina e non solo - penso anche al Medio Oriente - spinge la Russia verso Est, a cercare “una valvola di sfogo” verso Est, dove c’è una Cina che è piuttosto pronta a fornirgliela alle proprie condizioni.

D. - Martedì, l’Unione Europea ratificherà l’accordo di associazione e libero scambio con l’Ucraina. È davvero a rischio il processo di pace in questo modo?

R. - Questa adesione dell’Ucraina all’Ue è talmente scontata nei fatti, desiderata da tanti, che si passa sopra a molte cose, come al fatto – ad esempio – che questa adesione verrà ratificata da un parlamento ucraino che è già stato sciolto.

D. - Che tipo di conseguenza potrà avere questo atto, anche alla luce dell'inverno che è alle porte, e alla questione del gas che per l’Europa potrà ritornare in ballo nei prossimi mesi?

R. - La questione del gas, per quanto spiri questo forte sentimento anti-russo e anti-Putin, è ormai tutta nelle mani dell’Ucraina. Il vero punto cruciale di questa questione, che ha portato alla guerra, è che non ci si rende conto di che enorme problema strategico sia per la politica e l’economia russa il fatto di avere un governo potenzialmente ostile prima, e palesemente ostile adesso per tante ragioni, che ha le mani sui rubinetti dei gasdotti che portano il gas dalla Russia all’Europa. Europa che per la Russia è il cliente principale, è la gallina dalle uova d’oro. Questa è una questione sottovalutata fin dall’inizio, colpevolmente, nella smania di potersi in qualche modo affrancare della dipendenza energica nei confronti della Russia. Il risultato è che adesso abbiamo la dipendenza energetica dall’Ucraina, perché se l’Ucraina decide di interrompere i gasdotti o di prendersi il gas dalla Russia non c’è nessuno che possa impedirglielo.

D. - Intanto il presidente Poroshenko auspica uno status speciale per l’Ucraina in sede Nato e promette: “Ci riprenderemo la Crimea”. Qual è la valenza di questo annuncio?

R. - Per quanto riguarda la Nato credo che sia abbastanza scontato che, se non subito, prima o poi questo statuto speciale, o una qualunque altra forma di associazione dell’Ucraina alla Nato, verrà realizzata. D’altra parte l’interesse americano era tutto lì: danneggiare economicamente e politicamente la Russia con il gas e far entrare l’Ucraina nella Nato come è stato fatto con quasi tutti gli altri Paesi dell’ex blocco sovietico. Quindi su questo non ho molti dubbi; questo avverrà. Per quanto riguarda la Crimea invece, ho la sensazione esattamente opposta: non tornerà mai più all’Ucraina.

D. - Ci sono anche delle dichiarazioni un po’ “ad effetto” se vogliamo ...

R. - Sono sicuramente dichiarazioni ad effetto. Poroshenko ha un problema politico in questo momento: andare alle elezioni per il rinnovo del parlamento prima che arrivi l’inverno, perché quando questo accadrà, dovrà spiegare agli ucraini che è necessaria una politica di forti sacrifici per allinearsi alle richieste del Fondo monetario internazionale che deve - in base a quanto queste richieste saranno soddisfatte - erogare i prestiti che in questo momento tengono praticamente in vita l’Ucraina. Quindi Poroshenko ha bisogno di coprirsi sul lato destro - diciamo così- per non andare alle elezioni e vedere un buon risultato della destra che in parlamento ha appunto contestato le misure di austerità. Da qui le sue dichiarazioni...

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Cresce coalizione Paesi contro jihadisti: sì anche da 10 Paesi arabi

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Anche dieci Paesi arabi hanno accettato di partecipare alla coalizione proposta dagli Usa contro il sedicente Stato Islamico (Is). Secondo la Cia, da giugno è raddoppiato il numero di combattenti dell'Is in Siria e in Iraq: si parla di un massimo di 30mila jihadisti. A fronteggiare la loro avanzata sul territorio iracheno, gli attacchi aerei americani che in queste ore si sono intensificati attorno a Mosul. E oggi a Baghdad è arrivato il presidente francese Hollande, in segno di vicinanza al nuovo governo di al Abadi e per ribadire l’appoggio contro i terroristi islamici. A bordo del suo aereo 15 tonnellate di aiuti umanitari diretti ad Erbil. Intanto, ennesima strage in Siria: una serie di raid aerei del regime di Assad nella periferia nord di Damasco hanno provocato nelle ultime ore almeno 50 morti, in prevalenza civili. Tra di loro anche sette bambini. Degli ultimi sviluppi nella crisi siriana Fausta Speranza ha parlato con Daniele De Luca, docente di Storia delle relazioni internazionali all’Università del Salento: 

R. - Purtroppo la situazione sul terreno, in Siria, era già abbastanza complicata: se ora gli attacchi degli Stati Uniti, gli attacchi di una possibile alleanza contro l’Is in Siria non verranno pianificati e coordinati con il governo siriano, si rischia - secondo me - che possano essere più dannosi che altro. Gli uomini dell’Is sono sovvenzionati da gruppi estremamente ricchi, hanno armi e ultimamente anche abbastanza sofisticate e la loro avanzata - per esempio in Siria - è preoccupante anche perché stanno entrando in possesso di armi direttamente dell’esercito siriano… Quindi un intervento è positivo in Iraq sì, ma lì c’è un coordinamento con l’esercito iracheno e con le forze irachene; in Siria, per tutta una serie di ragioni è, invece, abbastanza complicato. Anche perché se ci si vuole, invece, coordinare con le forze ribelli nei confronti del regime di Assad, bisogna vedere con quali forze ribelli bisogna coordinarsi: quelle cui fa generalmente riferimento l’Occidente sono estremamente deboli in questo momento…

D. - Obama nella sua strategia contro l’Is su territorio iracheno e siriano trova l’appoggio - almeno - di 10 Paesi arabi; Mosca sottolinea che si tratta di una violazione del diritto…

R. - In Siria, se gli Stati Uniti dovessero attaccare con gli aerei, con i droni o con qualsiasi altro mezzo il territorio siriano è una assoluta violazione della sovranità nazionale di Damasco. Ma è ovvio che Assad, che sta conducendo da parecchio tempo la propria lotta contro il Califfato, vedrebbe con estremo favore gli attacchi americani, ma se coordinati con il governo di Damasco. Certo, qui ci sarebbe una nuova ulteriore legittimazione del governo di Damasco, che è stata tolta dagli Stati Uniti già da parecchio tempo.

D. - Il presidente francese Hollande a Baghdad dà appoggio al governo, ribadisce anche l’appoggio agli Stati Uniti contro l’Is e porta aiuti umanitari per la cittadina assediata di Erbil. E’ rappresentativo di tutto il ruolo dell’Europa? L’Europa in fondo c’è sul piano umanitario, ma non stiamo sentendo sul piano strategico un contributo particolare sulla crisi siriana…

R. - No, anzi! Il governo tedesco ha detto di non essere stato assolutamente invitato né consultato sulla questione siriana; i francesi e gli inglesi hanno detto di appoggiare la possibile azione statunitense, ma che - in ogni caso - non parteciperanno a questa azione. Quindi, ancora una volta, c’è un supporto da un punto di vista logistico, da un punto di vista umanitario, ma sul terreno l’Europa è totalmente assente! E, forse, dovrebbe essere invece presente…

D. - In tutto questo scenario qual è il ruolo dell’Iran?

R. - L’Iran ha un ruolo fondamentale, perché è anzitutto l’alleato più forte del governo di Damasco. Ci sono state delle dichiarazioni negli ultimi giorni in cui alti funzionari del governo iraniano hanno detto che con il governo americano al momento si sta parlando solo ed esclusivamente di questione nucleare e non di questione dell’Is o della Siria. Di certo il governo di Teheran non vedrebbe con favore e riterrebbe - così come Putin - l’attacco americano sul territorio siriano come una violazione del diritto internazionale, a meno che il governo americano non si copra le spalle con una risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’Onu: allora le cose sarebbe sicuramente diverse.

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A Otranto, il premio "Giornalisti del Mediterraneo"

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Ad Otranto la sesta edizione del premio “Giornalisti del Mediterraneo”, iniziativa che si colloca in un momento di forti tensioni che scuotono le sponde del Mediterraneo stesso. Sul significato dell’evento in questo contesto e sull’importanza dell’impegno per il dialogo e la pace Antonio Elia Migliozzi ha intervistato Lino Patruno giornalista e presidente della giuria: 

R. – Noi sappiamo che il Mediterraneo è la culla di tutto: è stato il mare in cui sono nate le civiltà, in cui sono nate le religioni, le scienze… Adesso, è diventato un mare in cui passano i barconi, in cui muore la gente, si trasmettono tensioni derivanti dalle guerre che ci sono sulla sponda Sud del Mediterraneo. La finalità del Premio è raccontare tutto questo, ma dare anche un’idea di come si possa superare la fase del Mediterraneo di guerra, per farlo tornare – finché sarà possibile – un Mediterraneo di pace, di dialogo e di scambio di culture.

D. – Si possono raccontare le crisi in atto nel Mediterraneo, senza tralasciare l’impegno profuso per la pace e per l’aiuto di chi si trova in difficoltà?

R. – E’ esattamente quello che fanno i giornalisti concorrenti al Premio, quest’anno come negli anni scorsi: vengono fuori racconti di solidarietà, di umanità e di organizzazioni non governative che si impegnano; ma anche l’impegno di persone, dall’altra parte del Mediterraneo, per alleviare le sofferenze delle popolazioni; perché si passi da un Mediterraneo di guerra ad un Mediterraneo nel quale la cultura, il dialogo e il giornalismo possano svolgere un ruolo fondamentale per ripristinare situazioni e condizioni delle quali il Mediterraneo è stato in passato la culla ed il fondamento.

La vincitrice assoluta di questa edizione è la giornalista Tamara Ferrari per il suo reportage sulla guerra in Sudan. Sul suo giornalismo e sulla attenzione dei media ai conflitti negli Stati che si affacciano sul Mediterraneo. La sua testimonianza:

R. – Ovunque io vada, in qualsiasi Paese del mondo colpito da una guerra, ma anche no, cerco di portare alla luce quello che è il livello umano delle guerre, delle tragedie che colpiscono le popolazioni di questi Paesi. Quindi, mi soffermo sempre sull’umanità, cerco di capire chi sono le vittime di queste guerre. Ho anche scritto un libro, pubblicato a maggio, nel quale raccolgo le testimonianze delle popolazioni dell’Iraq, del Sud Sudan, della Libia, della Siria e dell’Afghanistan: in questo libro non ci sono i motivi geo-politici, che hanno scatenato le guerre, ma parlano le persone che le guerre le subiscono.

D. – Ritiene che nel mondo della stampa si presti sufficiente attenzione ai drammi del Mediterraneo, sempre più stretto dalla morsa delle guerre?

R. – Dipende dalle testate giornalistiche, dipende dai momenti. In questo determinato periodo storico c’è un po’ più di attenzione, che però si manifesta quando c’è il fatto eclatante e poi ci si dimentica; infatti, si parla di “guerre dimenticate”. Il problema, secondo me, è che bisognerebbe tenere sempre l’attenzione puntata su quello che succede, soprattutto nelle terre del Mediterraneo, perché poi quello che succede lì si ripercuote - per cause di forza maggiore - sulle nostre vite. Siamo abituati a fare un elenco degli sbarchi, un elenco dei morti; nessuno ci ha abituato ad andare a guardare cosa c’è a monte; non sappiamo nemmeno come rapportarci a loro perché non sappiamo quello che loro hanno vissuto e quello da cui stanno ancora scappando.

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Presentato ampliamento nuovo Santuario di San Gabriele dell'Addolorata

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Un Santuario accogliente e comodo per le migliaia di pellegrini che ogni giorno si recano a trovare il "Santo dei giovani": San Gabriele dell’Addolorata. Questa mattina presso la nostra emittente è stata presentata la ristrutturazione del nuovo Santuario, che si trova ai piedi del Gran Sasso in Abruzzo, dove riposano le spoglie mortali del Santo. Ascoltiamo il rettore, padre Natale Panetta al microfono di Marina Tomarro: 

R. - Intanto per accogliere in modo decoroso i pellegrini che vengono al Santuario, perché, cosa succedeva? Il Sacramento veniva amministrato con disagio per la presenza dalla grande folla, dalla gente che andava verso il Santo, soprattutto nel periodo estivo e durante le domeniche quando l’affluenza è maggiore. Quindi è stata un’esigenza per i pellegrini.

D. - Il prossimo 21 settembre ci sarà questa Messa solenne. Il Papa vi ha inviato un messaggio …

R. - Il Papa ci ha inviato un messaggio particolare proprio perché con questa lettera dà importanza a questo evento. Il Santuario, dopo 44 anni dalla deposizione della prima pietra, viene finalmente inaugurato.

D. - San Gabriele è il "Santo dei giovani", ma è un po’ il Santo di tutti. Perché il suo culto è così diffuso secondo lei?

R. - Prima di tutto colpisce il fatto che non abbia fatto "niente" di straordinario. Noi che andiamo a cercare nella sua vita terrena miracoli, fatti, detti, scritti, abbiamo trovato solo alcune lettere che lui ha scritto alle religiose, al fratello o al padre. Ma soprattutto colpisce la quotidianità, la semplicità. San Gabriele dice: “Di fronte a Dio non vale quante cose facciamo, se sono grandi, ma come le facciamo, con quale cuore”. Quindi la Santità sono quelle grazie, quei miracoli; ancora oggi vediamo per intercessione di san Gabriele che la gente può usufruire del suo aiuto e della sua protezione.

D. - Qual è l’attualità del suo messaggio, soprattutto rivolto ai giovani, ai ragazzi come lui?

R. - La Santità è come noi viviamo la nostra vita sapendo che si tratta di uno sprazzo di tempo, è un momento, un pellegrinaggio. Il pellegrinaggio di San Gabriele è stato brevissimo e lo ha vissuto bene. Prima di tutto la felicità va ricercata in ciò che rimane, ciò che è vero, in ciò che è buono.

Il nuovo Santuario è stato rimodellato su quello già esistente dal 1976, con tre interventi di completamento importanti; sull’aula centrale e in particolare sull’altare, sulla cappella di riconciliazione e sulla cripta dove è conservato il corpo del Santo, meta ogni giorno di migliaia di pellegrini. Ascoltiamo il commento dell’architetto Eugenio Abruzzini, autore del progetto:

R. - Questi luoghi non solamente architettura: sono "architettura significante", cioè legata ai significati delle azioni liturgiche che si svolgono all’interno. Allora bisogna trovare questa connessione tra azione liturgica e spazio architettonico. Questo non deve essere chiaro a parole, si deve sentire entrando all’interno dello spazio. E questo a San Gabriele è stato realizzato.

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Nella Chiesa e nel mondo



Ucraina: appello della Chiesa greco-cattolica per la fine del conflitto

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La Chiesa greco-cattolica al termine del Sinodo che si è tenuto a Leopoli il 10 settembre scorso, lancia un appello alla comunità internazionale, perché si metta fine allo spargimento di sangue in Ucraina. Intanto in Crimea, la penisola sul mar Nero annessa da Mosca dopo un referendum popolare a marzo, si registrano difficoltà nei permessi di soggiorno per esponenti del clero sia cattolico che musulmano di nazionalità non russa.

I presuli denunciano lo sconfinamento di "centinaia di unità di armamenti pesanti, equipaggiamenti e migliaia di mercenari armati e truppe dell'esercito regolare russo", che "stanno seminando morte e distruzione, nonostante i negoziati sul cessate il fuoco e gli sforzi diplomatici".

Il Sinodo punta il dito anche contro la "propaganda, che non è meno distruttiva delle armi di distruzione di massa" e che sta diffondendo odio nella società, attraverso la distorsione dei fatti. E poi un avvertimento: "Chiunque stia uccidendo le persone in Ucraina non esiterà domani a puntare le armi contro altri nel proprio Paese e fuori dai suoi confini e attaccare qualunque Stato nel mondo".

"Fermate il bagno di sangue in Ucraina", è l'appello rivolto a tutti i credenti di ogni religione e confessione, alle persone di buona volontà e ai capi di Stato e ai membri della comunità internazionale. In questo momento - conclude il documento - il silenzio e l'inazione vanno considerati "complicità". (R.P.)

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Terra Santa: la Chiesa locale incoraggia i pellegrinaggi

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I pellegrinaggi in Terra Santa vanno incoraggiati dalle Conferenze episcopali di tutto il mondo anche perché rappresentano una modalità di sostegno concreto per le comunità cristiane locali e perché i pellegrini possono offrire un contributo importante per mettere fine al conflitto israelo-palestinese. Per questo la Commissione episcopale cattolica per i pellegrinaggi in Terra Santa ha diffuso una dichiarazione con l'intento di incoraggiare i pellegrini a visitare i Luoghi Sacri della terra dove è vissuto Gesù, mettendo da parte eventuali esitazioni e ripensamenti sorti dopo aver visto le morti e le devastazioni provocate dall'intervento militare israeliano nella Striscia di Gaza e dai missili di Hamas.

“Nelle ultime settimane - si legge nel testo diffuso dal patriarcato Latino di Gerusalemme e pervenuto all'agenzia Fides - la violenza ha di nuovo visitato la Terra Santa. Durante queste settimane di sofferenza, alcuni gruppi di pellegrini hanno cancellato il loro viaggio”. I membri della Commissione episcopale guidata dal vescovo William Shomali, vicario patriarcale del patriarcato latino, ribadiscono che anche nei giorni delle azioni militari i gruppi di pellegrini presenti in Terra Santa non hanno corso alcun rischio e che “l'itinerario del pellegrinaggio tra Nazareth, Tiberiade, Gerusalemme e Betlemme è sempre rimasto e continua a rimanere sicuro”.

Si ripete che i pellegrinaggi rappresentano anche un modo efficace per sostenere i cristiani in Terra Santa sia sul piano spirituale che su quello materiale. Inoltre – spiega il documento - i pellegrini cristiani “vengono accolti calorosamente da cristiani, musulmani e ebrei, perché sono considerati in questa area del mondo come ponti di pace tra palestinesi e israeliani”. Anche per questo i rappresentanti della Chiesa cattolica in Terra Santa incoraggiano “i pellegrini a venire e camminare dove ha camminato Cristo, ad essere partecipi con noi nella nostra testimonianza di fede” e a verificare di persona “come possono diventare parte del nostro sogno di pace”.

L'appello della Commissione si rivolge in particolare alle Conferenze episcopali di tutti i Paesi, affinché sollecitino “le diocesi, le parrocchie e le associazioni, a diffondere il nostro messaggio di incoraggiamento ai pellegrini”. (R.P.)

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Gaza: riaprono le scuole ma mancheranno molti bambini

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Sarà un triste primo giorno di scuola quello che i bambini della Striscia di Gaza si apprestano a vivere, domenica 14 settembre. Il suono della campanella dovrebbe riportare in classe 241mila studenti in 252 scuole. Nei 50 giorni dell’operazione militare israeliana “Margine protettivo”, le scuole danneggiate sono state più di 220 e tutt’ora almeno 26 edifici scolastici offrono riparo a famiglie rimaste senza abitazione. Per questo motivo sono stati programmati i doppi turni, con insegnanti e studenti che si alterneranno nelle scuole disponibili.

Negli scontri tra Israele e Hamas hanno perso la vita, secondo l’Unicef, almeno 501 bambini e 3.374 sono stati feriti. “Numeri che feriscono”, spiega all'agenzia Sir padre Aktham Hijazin, responsabile delle scuole del Patriarcato latino di Gerusalemme che a Gaza gestisce direttamente due istituti con oltre mille studenti, il 90% è musulmano, con circa cento docenti.

“Non sarà facile - dice don Hijazin - fare l’appello. Il grande e concreto timore è che tanti banchi resteranno vuoti. Quanti bambini morti? Quanti quelli feriti e mutilati che non potranno, almeno all’inizio, frequentare le lezioni?”. “Tornare a scuola non sarà facile - aggiunge don Hijazin - non possiamo chiedere ai nostri alunni di aprire subito i libri. Prima dei libri è necessario aprire i cuori, raccontarci ciò che abbiamo vissuto, ciò che di male abbiamo visto. Psicologicamente sono bambini e giovani distrutti”.

Intanto è una corsa contro il tempo per risistemare le due scuole patriarcali, che riapriranno domani 13 settembre, e ripristinare bagni, impianti elettrici, finestre e infissi vari, tutti danneggiati dalle bombe o in qualche modo utilizzati dalle migliaia di sfollati interni assistiti dalla Caritas Jerusalem. Un investimento da 150 mila dollari. (R.P.)

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Iraq: raid aerei colpiscono aree adiacenti due chiese di Mosul

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I raid aerei compiuti per colpire le postazioni dei jihadisti dello Stato Islamico (Is) insediatisi a Mosul hanno danneggiato pesantemente gli edifici adiacenti a due chiese nella zona orientale della città irachena. La notizia è riferita all’agenzia Fides da fonti locali in contatto con il sito di informazione in arabo www.ankawa.com.

Secondo le fonti contattate, nella notte di martedì 9 settembre interventi aerei attribuiti all'esercito regolare iracheno hanno preso di mira presidi delle milizie jihadiste concentrati nelle adiacenze della chiesa siro-cattolica di San Paolo e della chiesa siro-ortodossa di Sant'Efrem, nel cosiddetto “quartiere della polizia”.

Già alla fine di giugno la chiesa di Sant'Efrem era stata occupata e saccheggiata dai miliziani dello Stato Islamico, che avevano poi issato la propria bandiera sull'edificio sacro e rimosso la croce dalla cupola. Nei primi giorni successivi alla caduta di Mosul in mano ai jihadisti dell'Is e agli insorti, avvenuta il 9 giugno, gruppi di musulmani avevano presidiato le chiese per cercare di difenderle dai saccheggi, dopo che la gran parte dei cristiani erano già fuggiti dalla città. A luglio era stato incendiato il palazzo episcopale dei siro-cattolici.

Intanto l''esodo forzato dei cristiani fuggiti da Mosul e dalle città della Piana di Ninive davanti all'avanzata dei jiahdisti e alla proclamazione del Califfato Islamico ha provocato come effetto collaterale un incremento consistente delle petizioni rivolte alla Casa Bianca per chiedere di aumentare il numero dei visti da concedere a quanti vogliono lasciare l'Iraq ed emigrare negli Usa.

Secondo quanto riportato dal sito www.kaldaya.net, l'eparchia di San Pietro dei Caldei, con sede a San Diego, in California, è stata sollecitata da funzionari della Casa Bianca a compilare la lista dei cristiani caldei desiderosi di lasciare l'Iraq per sottrarsi alle persecuzioni e ai conflitti. In pochi giorni, più di 5mila moduli con nomi e dati anagrafici di quasi 25mila caldei iracheni desiderosi di ottenere il visto per gli Usa sono stati compilati negli uffici della diocesi, grazie al lavoro intenso di 20 volontari. La raccolta dei moduli compilati sarà consegnata alla Casa Bianca nei prossimi giorni direttamente dal vescovo Sarhad Jammo, alla guida dell'eparchia incaricata della cura pastorale dei caldei negli Stati Uniti occidentali. (R.P.)

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Indonesia: no dei vescovi all'aborto terapeutico e nei casi di stupro

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La Conferenza episcopale indonesiana (Kwi) è intervenuta per fare chiarezza sul tema dell'aborto, in particolare nei casi estremi di gravidanza frutto di violenza sessuale o di rischio immediato per la vita della madre. Con una nota ufficiale, i vescovi sconfessano la proposta di legge governativa che intende legalizzare la pratica per alcune "cause particolarmente significative".

Rivolgendosi alla comunità cattolica, e in particolare ai medici e alle operatrici sanitarie - riferisce l'agenzia AsiaNews - i prelati ricordano il valore supremo della vita umana, che va difesa con forza di fronte agli attacchi di cui è vittima; nel mirino le nuove disposizioni che vorrebbe introdurre il ministero della Sanità, figlie di presunte idee "illuministe", ma che si traducono in palesi violazioni del diritto supremo di nascere che è insito in ciascun feto. 

In Indonesia la pratica dell'aborto è illegittima e illegale. Qualsiasi forma di interruzione della vita, fin dal suo concepimento, viene punita dal codice: tanto i medici, quanto i pazienti sono sottoposti a indagine giudiziaria. A dispetto di quanto prevede la legge, gli aborti sono praticati in gran segreto.

I vescovi sono intervenuti con una nota ufficiale firmata dal presidente Kwi mons. Ignatius Suharyo e dal segretario generale mons. Johannes Pujasumarta, che intende inviare un messaggio "forte e chiaro" contro la proposta di Legge No.61/Anno2014, incentrata sulla Salute riproduttiva. In prima istanza, i vescovi ribadiscono che "ogni essere umano ha il diritto di vivere, per il solo fatto di avere una vita [propria]" e che essa va difesa e protetta perché frutto della creazione divina.

I prelati sottolineano che solo Dio ha il potere e la legittimazione per disporre della vita di un essere umano. Gli uomini, aggiungono, non hanno il diritto di porre "fine" alla vita, e come ricorda il Libro dell'Esodo essi non dovranno uccidere. E questa difesa della vita inizia fin dal concepimento, all'interno del ventre materno. 

La nota della Kwi si sofferma poi sulle disabilità fisiche e le malattie, che "non riducono la dignità" della vita umana; ecco perché l'aborto per disabilità fisiche "non è secondo morale e va respinto con forza".

Vi è poi il caso di gravidanze frutto di violenze sessuali, che sono di per sé causa di "traumi" nella vita "delle vittime". I vescovi chiedono al riguardo "sostegno morale" e vicinanza alle vittime, nei gesti e con la compassione, affinché possano "riacquistare una loro vita, normale e felice". Ma questa legittima aspirazione, avvertono, non può certo passare attraverso l'atto di mettere "fine" a una nuova vita. Del resto, ai tempi della guerra in Bosnia, Giovanni Paolo II a più riprese ha esortato le donne vittime di stupri a non abortire: "I vostri figli - ha ricordato il Pontefice - non sono responsabili dell'ignobile violenza che avete subito. Non sono loro gli aggressori".

L'embrione, concludono i vescovi, è forse la forma più debole e indifesa di vita umana, perché non è ancora in grado di manifestare sensazioni o sentimenti; tuttavia, Dio esorta la Chiesa a difendere i deboli, i poveri, gli emarginati, le persone più deboli. "Ecco perché l'embrione va difeso e protetto" e, secondo quanto prevede il Diritto Canonico, chi si macchia del crimine dell'aborto è "automaticamente scomunicato". (R.P.)

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Taiwan: prima chiesa del mondo cinese dedicata a San Giovanni Paolo II

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La prima chiesa dedicata a San Giovanni Paolo II nel mondo cattolico cinese è stata consacrata ed inaugurata il 6 settembre a Laiyi, nella diocesi di Kaohsiung, a Taiwan. Secondo le informazioni pervenute all’agenzia Fides, la chiesa ospita una reliquia di primo grado del Santo, tratta dal suo sangue. Mons. Peter Chen-Chung Liu, arcivescovo della diocesi di Kaohsiung, ha presieduto la solenne Eucaristia per la consacrazione della nuova chiesa, concelebrata da una ventina di sacerdoti, con piu di 1.200 fedeli presenti.

Il parroco, don Calogero Orifiamma, missionario italiano che è anche l’ideatore e l’architetto della chiesa, è venuto appositamente in Italia per prendere la reliquia del Papa Santo. “La più grande e bella notizia – commenta il sacerdote - è stata la celebrazione di 4 battesimi durante la Messa, e ai due maschi neonati è stato imposto il nome di battesimo Giovanni Paolo”.

La chiesa si trova nella zona meridionale dell’isola di Taiwan, abitata da una comunità di aborigeni Paiwan di 7 mila persone, di cui più di 2 mila cattolici. La vocazione di don Orifiamma è stata ispirata dalla figura di Giovanni Paolo II: dopo aver partecipato alla Giornata Mondiale della Gioventù 1997 a Parigi, decise di rispondere alla chiamata del Signore entrando nel seminario di Kaohsiung a Taiwan, dove è stato ordinato sacerdote nel 2007.

Essendo laureato in architettura, ha disegnato il progetto della chiesa in stile cinese, ispirandosi soprattutto all’architettura locale indigena. I lavori per la costruzione della chiesa iniziarono a febbraio dell’anno scorso, grazie alle offerte dei fedeli e della diocesi. Ora la chiesa è stata inaugurata, anche se restano ancora dei debiti da saldare, per cui il parroco si affida alla generosità di tutti i cattolici cinesi. (R.P.)

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Maria Voce rieletta presidente del Movimento dei Focolari

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L'Assemblea generale dei Focolari, composta da quasi 500 delegati, riunita in questi giorni a Castel Gandolfo, ha confermato stamattina Maria Voce presidente del Movimento. La decisione è stata raggiunta con il consenso della maggioranza di due terzi degli aventi diritto al voto. Terminate le prime tre votazioni, dopo un intenso colloquio in plenaria, la quarta votazione ha infatti registrato il convergere delle opinioni dei presenti sulla figura della presidente uscente. Maria Voce ha accettato la nomina, confermata in tempo reale dal cardinale Stanislaw Rylko, presidente del Pontificio Consiglio per i Laici, come previsto dagli Statuti dei Focolari. Maria Voce, 77 anni, calabrese, era presidente dei Focolari dal 7 luglio 2008 succedendo a Chiara Lubich, fondatrice del Movimento, la cui morte è avvenuta il 14 marzo 2008. Ringraziando per l'elezione, Maria Voce ha sottolineato l'importanza del lavoro comune per continuare quanto intrapreso nei primi sei anni del suo mandato, nello spirito di una comunione reale, che è il carattere distintivo dell'agire e dello stile di tutto il Movimento e quindi anche della sua dirigenza. L'Assemblea procederà ora alle votazioni per l'elezione del copresidente e successivamente i membri del Consiglio Centrale dei Focolari.

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVIII no. 255

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.