Logo 50 Radiogiornale Radio Vaticana
Redazione +390669883674 | +390669883998 | e-mail: sicsegre@vatiradio.va

Sommario del 11/09/2014

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Francesco: amare i nemici spaventa, ma ce lo chiede Gesù

◊  

Solo con un cuore misericordioso potremo davvero seguire Gesù. E’ quanto affermato da Papa Francesco nella Messa mattutina a Casa Santa Marta. Il Pontefice ha ribadito che la vita cristiana “non è una vita autoreferenziale”, ma è dono fino alla fine, senza egoismo. Solo così sarà possibile amare i propri nemici come ci chiede il Signore. Il servizio di Alessandro Gisotti: 

Amate i vostri nemici. Papa Francesco ha svolto la sua omelia soffermandosi sul passo del Vangelo di Luca in cui il Signore indica il cammino dell’amore senza confini. Gesù, ha detto il Papa, ci chiede di pregare per chi ci tratta male e ha messo l’accento sui verbi utilizzati dal Signore: “Amate, fate del bene, benedite, pregate” e “non rifiutate”. “E’ proprio dare se stesso – ha affermato – dare il cuore, proprio a quelli che ci vogliono male, che ci fanno male, ai nemici. E questa è la novità del Vangelo”. Gesù ci mostra, infatti, che non è un merito se amiamo quelli che ci amano, perché quello lo fanno anche i peccatori. I cristiani sono invece chiamati ad amare i loro nemici: “Fate del bene e prestate senza sperare nulla. Senza interesse e la vostra ricompensa sarà grande”. Certo, ha riconosciuto il Pontefice, “il Vangelo è una novità. Una novità difficile da portare avanti. Ma è andare dietro a Gesù”:

“‘Padre, io … io non me la sento di fare così!’ – ‘Ma, se non te la senti, è un problema tuo, ma il cammino cristiano è questo!’. Questo è il cammino che Gesù ci insegna. ‘E cosa devo sperare?’. Andate sulla strada di Gesù, che è la misericordia; siate misericordiosi come il Padre vostro è misericordioso. Soltanto con un cuore misericordioso potremo fare tutto quello che il Signore ci consiglia. Fino alla fine. La vita cristiana non è una vita autoreferenziale; è una vita che esce da se stessa per darsi agli altri. E’ un dono, è amore, e l’amore non torna su se stesso, non è egoista: si dà”.

Gesù, ha ripreso, ci chiede di essere misericordiosi e di non giudicare. Tante volte, ha detto, “sembra che noi siamo stati nominati giudici degli altri: chiacchierando, sparlando … giudichiamo tutti”. E invece il Signore ci dice: “Non giudicate e non sarete giudicati. Non condannate e non sarete condannati”. E alla fine chiede di perdonare e così saremo perdonati. “Tutti i giorni – ha rammentato Francesco – lo diciamo nel Padre Nostro: ‘Perdonaci come noi perdoniamo’. Se io non perdono, come posso chiedere al Padre: ‘Mi perdoni?’”.

“Questa è la vita cristiana. ‘Ma, Padre, questa è una stoltezza!’ – ‘Sì’. Abbiamo sentito, questi giorni, San Paolo che diceva lo stesso: ‘La stoltezza della Croce di Cristo’, che non ha niente a che fare con la sapienza del mondo. ‘Ma, Padre, essere cristiano è diventare stolto, in un certo senso?’ – ‘Sì’. In un certo senso, sì. E’ rinunciare a quella furbizia del mondo per fare tutto quello che Gesù ci dice di fare e che se facciamo i conti, se facciamo un bilancio sembra a nostro sfavore”.

“Ma questa – ha avvertito – è la strada di Gesù: la magnanimità, la generosità; il dare se stesso senza misura”. E per questo, ha soggiunto, “Gesù è venuto al mondo, e così ha fatto Lui: ha dato, ha perdonato, non ha parlato male di nessuno, non ha giudicato”. “Essere cristiano non è facile”, ha riconosciuto il Papa, e noi “possiamo diventare cristiani” solo “con la grazia di Dio” e non “con le nostre forze”:

“E qui viene questa preghiera che dobbiamo fare tutti i giorni: ‘Signore, dammi la grazia di diventare un buon cristiano, una buona cristiana, perché io non ce la faccio’. Una prima lettura di questo, spaventa: spaventa. Ma se noi prendiamo il Vangelo e ne facciamo una seconda, una terza, una quarta, del capitolo VI di San Luca: facciamolo; e chiediamo al Signore la grazia di capire cosa è essere cristiano, e anche la grazia che Lui ci faccia, a noi, cristiani. Perché noi non possiamo farlo da soli”.

inizio pagina

Il Papa parla con il presidente tunisino di libertà religiosa

◊  

Papa Francesco ha ricevuto il presidente della Repubblica tunisina Mohamed Moncef Marzouki, che poi ha incontrato il cardinale segretario di Stato Pietro Parolin e mons. Dominique Mamberti, segretario per i Rapporti con gli Stati.

“Nel corso dei cordiali colloqui – riferisce la Sala Stampa vaticana - sono stati passati in rassegna alcuni temi di comune interesse, quali la promozione della pace, del dialogo interreligioso e dei diritti umani, con particolare riferimento alla difesa della libertà di coscienza e della libertà religiosa, nonché il rifiuto di ogni forma di estremismo e di violenza. In seguito, è stato rilevato l’impegno della Chiesa Cattolica in campo sociale, sanitario ed educativo, a servizio di tutti i cittadini tunisini, soprattutto dei più poveri e bisognosi. Infine, sono state esaminate alcune questioni di carattere internazionale e regionale, con speciale attenzione per la situazione nel bacino del Mediterraneo”.

inizio pagina

Papa Francesco il 25 novembre al Parlamento Europeo a Strasburgo

◊  

Papa Francesco ha accettato l’invito a visitare il Parlamento Europeo a Strasburgo e a rivolgere un discorso ai suoi membri in occasione di una sessione solenne. Lo ha confermato il direttore della Sala Stampa vaticana, padre Federico Lombardi, dopo l’annuncio del presidente dell’assemblea Martin Schulz. La visita avrà luogo nella giornata del prossimo 25 novembre. Il programma è ancora in via di definizione, ha detto padre Lombardi, che ha precisato che non si tratterà di una visita in Francia ma all’Europarlamento, il che non esclude altri inviti in Francia.

Il presidente Schulz aveva rivolto l’invito a Papa Francesco in occasione della sua visita ufficiale in Vaticano, l'11 ottobre 2013. Dopo l’incontro col Pontefice, in una intervista alla Radio Vaticana così aveva spiegato le ragioni del suo invito:

“Oggi, viviamo in un mondo globalizzato in cui l’Unione Europea dovrebbe svolgere un ruolo di stimolo per ottenere maggiore giustizia, maggiore cooperazione; dovrebbe essere strumento per la creazione di un mondo più giusto e più equo. E il luogo in cui si discute di tutto questo è il Parlamento europeo. La Santa Sede e il Papa hanno un impatto enorme sul dibattito mondiale sui cambiamenti di cui abbiamo bisogno. Per questo, un uomo con un tale impatto e una tale importanza, dovrebbe prendere la parola proprio in quel contesto in cui si discute del ruolo dell’Europa nel mondo. Questa è la ragione per la quale ho cercato di convincerlo a rivolgersi al Parlamento europeo”.

inizio pagina

Tweet del Papa: “Non possiamo confidare nelle nostre forze, ma solo in Gesù e nella sua misericordia”

◊  

“Non possiamo confidare nelle nostre forze, ma solo in Gesù e nella sua misericordia”. E’ il tweet pubblicato oggi da Papa Francesco sul suo account Twitter @Pontifex, seguito da 15 milioni di follower.

inizio pagina

I vescovi del Congo dal Papa: evangelizzazione, pace, famiglia

◊  

Il Papa ha ricevuto oggi un primo gruppo di presuli della Conferenza Episcopale della Repubblica Democratica del Congo, in visita "ad Limina". Tra di loro, mons. Nicolas Djomo Lola, presidente della Conferenza. Padre Jean-Pierre Bodjoko lo ha intervistato, chiedendogli innanzitutto quali siano le sfide della Chiesa nel Paese:

R. - Le sfide maggiori nel nostro Paese sono legate all’evangelizzazione: parliamo sempre di più della necessità di evangelizzare in profondità, di radicare e consolidare la fede in Cristo dei nostri fedeli in un contesto in evoluzione segnato dall’offensiva delle sètte, dalla povertà estrema, dalla mancanza di pace. In questo contesto, la nostra attenzione si è concentrata sulla famiglia, perché riteniamo che la famiglia resti la leva fondamentale per far fronte a tutte queste grandi sfide che abbiamo davanti.

D. - La seconda Assemblea Speciale del Sinodo dei Vescovi per l’Africa aveva come tema: “La Chiesa in Africa al servizio della riconciliazione, della giustizia e della pace”. Qual è l’impegno della Chiesa in Congo per mettere in pratica questi valori?

R. - Subito dopo il Sinodo dei Vescovi a Roma, abbiamo lavorato su due livelli. Innanzitutto, ci siamo occupati della base dei fedeli. La Conferenza episcopale, attraverso la Commissione Giustizia e Pace, si è dedicata a educare la base a una cultura della pace nel nome di Cristo: ci impegniamo perché, attraverso l’amore e l’unità, la pace possa radicasi nei cuori delle persone. Questa pastorale viene portata avanti in tutte le diocesi. A livello nazionale, subito dopo il Sinodo abbiamo cercato di coinvolgere in particolare i fedeli dell’élite intellettuale, soprattutto quelli impegnati in politica, perché diventino autentici ambasciatori di Cristo, chiamati a promuovere una politica ispirata ai valori cristiani. A livello nazionale e a livello diocesano, abbiamo promosso diverse iniziative perché i principi cristiani che hanno ricevuto con il Battesimo possano portare frutti nella società, segnatamente nella vita politica. Adesso stiamo creando un ufficio di collegamento permanente con i parlamentari di tutti gli orientamenti per contribuire a trasformare le coscienze delle élite. Si tratta, a nostro avviso, di una leva importante per stabilire una pace durevole nel nostro Paese.

D. - La Chiesa universale celebrerà a ottobre il Sinodo per la famiglia a Roma. Come si sta preparando la Chiesa del Congo?

R. - La nostra Chiesa ha dedicato il 2014 proprio alla famiglia e siamo contenti che il Santo Padre abbia convocato un Sinodo su questo tema. Ci siamo messi subito al lavoro: abbiamo distribuito un questionario tra i fedeli, l’anno prossimo raccoglieremo le risposte e individueremo le problematiche principali per preparare un’Esortazione pastorale sul ruolo della famiglia cristiana. A livello diocesano, abbiamo chiesto alle diocesi di organizzare diverse attività, celebrazioni, pellegrinaggi, per sensibilizzare i fedeli sull’importanza della famiglia cristiana.  Abbiamo quindi già avuto modo di fare delle riflessioni che sottoporremo all’assemblea sinodale. Di fatto il Sinodo vuole rilanciare e rafforzare la famiglia e capita al momento giusto. Quindi ci stiamo preparando con grandi speranze a questo Sinodo che ci permetterà di fare avanzare la pastorale familiare nel Paese.

D. - La situazione socio-poltica in Congo è segnata dalle guerre, soprattutto nella parte orientale del Paese, dove sono presenti molti gruppi armati e ribelli. Che impatto ha questa situazione sul lavoro pastorale della Chiesa del Paese dove anche alcuni operatori pastorali sono stati vittime delle violenze?

R. - Il nostro pensiero va innanzitutto ai tre sacerdoti che sono stati sequestrati qualche tempo fa (si tratta dei tre Assunzionisti p. Jean-Pierre Ndulani, p. Anselme Wasikundi e p. Edmond Bamutute, rapiti il 19 ottobre 2012 vicino a Butembo nella parte orientale del Congo, ndr) e continuiamo a pregare anche per i molti innocenti uccisi nel Nord Kivu. In questa regione molti fedeli sono veramente in difficoltà e questo tocca tutta la nostra Chiesa che soffre per la situazione nell’Est. Attraverso la Commissione Giustizia e Pace, essa ha promosso iniziative per riportare una pace durevole nell’Est e in tutto il territorio del Congo e ha portato assistenza alle persone in difficoltà. Ma è necessario un lavoro in profondità per sradicare le cause profonde dell’instabilità, sia politiche che economiche. Su quest’ultimo fronte, in collaborazione con i nostri partner stranieri e con le Conferenze episcopali di altri Paesi ci battiamo perché le compagnie estrattive che sfruttano illegalmente le miniere rispettino le regole così da permettere alla popolazione locale di beneficiare delle risorse naturali del Paese. Sul piano politico interveniamo costantemente presso le autorità per promuovere una democrazia sana, lo stato di diritto, e richiamare la classe politica al dovere di rispettare costituzione democratica. Lavoriamo sia a livello nazionale, per una pace durevole, sia sul terreno, perché la pace si stabilisca nei cuori.

D. - La Chiesa nella Rdc è finanziariamente autosufficiente?

R. - Dopo diversi anni di lavoro sentiamo che c’è una progressiva presa di coscienza da parte dei fedeli. Le entrate nelle diocesi non coprono ancora tutti i bisogni pastorali, ma c’è una presa di coscienza. Nel 1994 abbiamo inviato una brochure per chiedere ai fedeli di prendersi carico della loro Chiesa e a vent’anni di distanza avvertiamo che questa presa di coscienza c’è. In alcune diocesi i fedeli cominciano a prendersi carico dei loro sacerdoti, anche a costruire le loro chiese. A livello nazionale l’Episcopato ha lanciato varie iniziative di sensibilizzazione. A questo scopo è stato anche costituito un gruppo che si chiama Théophile che si sta sviluppando. Quindi questa presa di coscienza, sia a livello nazionale che locale, comincia a produrre effetti che in futuro porteranno all’autosufficienza delle nostre Chiesa.

D. - Cosa può dirci in conclusione?

R. - Siamo nel 50.mo anniversario del martirio della Beata Clementina Nengapeta Anuarite e tutta la nostra Chiesa ringrazia il Signore per averci donato questa Santa, figlia del nostro Paese e che è diventata per noi un modello. In occasione del cinquantenario abbiamo deciso di farla conoscere meglio ai nostri fedeli. A dicembre ci ritroveremo in pellegrinaggio a Isito per ringraziare il Signore del dono della vita santa della Beata Anuarite.

inizio pagina

Mons. Marcianò: Papa a Redipuglia, monito contro la guerra

◊  

Papa Francesco compirà sabato prossimo 13 settembre un pellegrinaggio al Sacrario militare di Redipuglia, in provincia di Gorizia, per pregare per i caduti di tutte le guerre. L’occasione è il centenario dell’inizio della Prima Guerra Mondiale. Il Pontefice, proprio per rispettare il carattere commemorativo dell’evento, non utilizzerà negli spostamenti la papamobile. Sul significato di questa visita, Luca Collodi ha intervistato l’arcivescovo Santo Marcianò, ordinario militare per l’Italia: 

R. - Ritengo che la commemorazione, con tutte le celebrazioni e riflessioni annesse, della Prima Guerra Mondiale sia un monito, un monito forte: un monito - da una parte - per non per non far perdere la memoria, perché il mondo di oggi è un mondo “sme-morato”, cioè senza memoria; e quindi - dall’altra - recuperando la memoria far sì che si individuino percorsi pedagogici, culturali, religiosi e antropologici di realizzazione per la pace.

D. - Non è un’occasione solo per storici, non è un momento di festa e di turismo della Prima Guerra Mondiale: il Papa arriva prima in un cimitero e poi in un sacrario militare…

R. - Intanto vorrei sottolineare che un sacrario - pur essendo un cimitero - è luogo sacro per due motivi: è luogo sacro perché lì riposano corpi umani e il corpo umano è sacro; è sacro perché in questo luogo c’è la presenza di Dio. Il Papa ha scelto di venire in questi luoghi per pregare, mi verrebbe da dire per trovare il Signore e per invocare il dono della pace da Lui. E credo che questa sia un po’ la parola chiave. Si parla, infatti, di pellegrinaggio. Da qui la seconda dimensione di questo pellegrinaggio: la preghiera per i caduti, ma la preghiera per la pace. Chiederà, forse per l’intercessione anche di questi morti, il dono della pace. Da qui il tono direi, lo stile di questo pellegrinaggio, che mi sembra importante sottolineare. Non vorrei contrapporlo al termine festa o alla dimensione della festa, perché dove c’è il Signore c’è sempre festa: noi crediamo nella Risurrezione, quei morti sono morti che vivono in Cristo. Però quegli aspetti un po’ più esteriori, che caratterizzano di solito la visita del Papa, quelli si cercherà di evitarli proprio per sottolineare il senso di questo pellegrinaggio, il senso di questa visita. Non si userà la papamobile… Si cercherà di tenere un tono - possiamo dire - sommesso, quasi penitenziale: ovvero riconoscere che quei morti non sono morti naturali, ma sono morti causate da quell’orribile e inutile strage che è stata la Prima Guerra Mondiale.

D. - Lei, mons. Marcianò, proprio su questi temi ha composto anche una preghiera…

R. - Pregheremo al termine della Messa lì a Redipuglia. E’ una preghiera per coloro che sono morti; è una preghiera per invocare la pace; è una preghiera dove io voglio stigmatizzare i valori, ma anche i disvalori; voglio stigmatizzare quello che dovrebbe, in qualche modo, scomparire nell’umano martoriato e segnato purtroppo dal peccato. Io vorrei che questa preghiera fosse un elemento che accumuni tutti nell’invocazione a Dio del dono della pace.

D. - Mons. Marcianò, cosa significa oggi difendere la sicurezza e la libertà dei popoli?

R. - Significa, prima di tutto, riconoscere che l’uomo, la persona umana ha una sua dignità e che la vita è il valore più assoluto nel Creato. L’uomo è un essere libero: noi parliamo di figli di Dio liberi, della libertà dei figli di Dio. E allora difendere la sicurezza e difendere la libertà significa difendere l’uomo. La Gaudium et Spes fa riferimento a quello che è il compito, a quelli che sono i compiti dei militari: i militari sono a servizio di questo; i militari sono a servizio della sicurezza; i militari sono a servizio della libertà, della difesa della libertà e quindi sono i difensori della pace. Il Concilio questo lo dice con estrema chiarezza e se il Concilio parla della vita militare e della militarità evidentemente i militari hanno una loro - tra virgolette - importanza all’interno di una società, di un popolo, di un Paese; sono necessari proprio perché costituiscono questa garanzia, questa possibilità di difesa- tra virgolette - in senso ampio.

inizio pagina

Santa Sede: impegno a stabilire relazioni diplomatiche con il Vietnam

◊  

Si è svolto ad Hanoi, il 10 e 11 settembre 2014, il quinto incontro del Gruppo di Lavoro Congiunto tra la Santa Sede e il Vietnam, come concordato durante il quarto colloquio avvenuto in Vaticano nel giugno 2013. L’incontro è stato co-presieduto dal vice-ministro degli Affari Esteri, Bui Thanh Son, capo della Delegazione vietnamita, e dal sotto-segretario della Santa Sede per i Rapporti con gli Stati, mons. Antoine Camilleri, capo della Delegazione della Santa Sede.

La Delegazione della Santa Sede - come riferisce un comunicato congiunto - ha apprezzato l’appoggio fornito a tutti i livelli dalle competenti autorità alla Chiesa cattolica in Vietnam per lo svolgimento della propria missione. Ha, altresì, preso nota degli sviluppi nelle politiche religiose del Vietnam, recepite nella Costituzione emendata del 2013. Lo Stato vietnamita ha facilitato le visite di lavoro in Vietnam al rappresentante pontificio non residente della Santa Sede in Vietnam, mons. Leopoldo Girelli. La Delegazione della Santa Sede ha confermato di attribuire grande importanza allo sviluppo delle relazioni con il Vietnam in particolare e con l’Asia in generale, come sottolineato dal recente e dai prossimi viaggi papali nel Continente. La Santa Sede ha riaffermato il proprio impegno verso l’obiettivo di stabilire relazioni diplomatiche con il Vietnam e, insieme con la Chiesa cattolica nel Paese, desidera contribuire più attivamente allo sviluppo del Paese nei campi ove la Chiesa cattolica possiede punti di forza, come per esempio nella sanità, nell’educazione, nella carità e nelle opere umanitarie.

La Parte vietnamita ha ribadito la politica coerente dello Stato e del Partito nel rispettare la libertà religiosa e di credo di tutti e nell’appoggiare la Chiesa cattolica in Vietnam a partecipare attivamente nello sviluppo socio-economico nazionale.

Le due Parti hanno evidenziato ancora i principi sottesi di “vivere il Vangelo all’interno della Nazione” e di “essere buoni cattolici essendo buoni cittadini”. La Delegazione della Santa Sede ha sottolineato che Papa Francesco ha seguito con interesse i recenti sviluppi nelle relazioni tra la Santa Sede e il Vietnam e ha incoraggiato la comunità cattolica in Vietnam a continuare a contribuire all’avanzamento dei maggiori obiettivi del Paese. Le due Parti hanno notato con soddisfazione i positivi sviluppi delle relazioni tra la Santa Sede e il Vietnam, come evidenziato dai crescenti scambi e contatti a tutti i livelli, dagli incontri del Gruppo di Lavoro Congiunto alle visite di lavoro del rappresentante pontificio non residente della Santa Sede in Vietnam. Esse hanno concordato di proseguire il dialogo e i contatti, creando nel contempo condizioni favorevoli per la missione del rappresentante pontificio, poiché aiuta la Chiesa cattolica in Vietnam a dare seguito al Magistero pontificio.

L’Incontro ha avuto luogo in un’atmosfera franca, sincera e di mutuo rispetto. Le due Parti hanno convenuto di tenere il sesto incontro del Gruppo di Lavoro Congiunto tra la Santa Sede e il Vietnam in Vaticano. Il periodo dell’incontro verrà stabilito attraverso i canali diplomatici. In questa circostanza, la Delegazione della Santa Sede ha reso una visita di cortesia al vice primo ministro e ministro degli Affari Esteri, Pham Binh Minh, e si è incontrata con il vice ministro degli Affari Interni e presidente del Comitato governativo per gli Affari Religiosi, Pham Dung. Ha anche colto l’occasione per visitare alcune Istituzioni cattoliche ad Hanoi e a Ho Chi Minh City.

inizio pagina

Card. Turkson: non sono le risorse che provocano la guerra, ma la politica

◊  

Basta con le politiche di austerità, servono investimenti pubblici capaci di sostenere la domanda: è quanto chiede l’Unctad, la Conferenza delle Nazioni Unite sul commercio e lo sviluppo, in occasione della pubblicazione del suo rapporto annuale. Alla presentazione del rapporto a Roma era presente anche il cardinale Peter Turkson, presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, che ha parlato del legame tra sviluppo e pace. Eugenio Bonanata lo ha intervistato: 

R. – Non si può realizzare una pace duratura senza lo sviluppo. E come possiamo promuovere, mantenere, sostenere lo sviluppo? Certamente con i metodi di commercio che abbiamo: lo scambio di doni, di culture, di talenti e di tutte le nostre scoperte. Allora sarà molto importante ascoltare ciò che ha detto Papa Benedetto: per facilitare lo sviluppo abbiamo bisogno di aderire alla logica del dono, una specie di gratuità. E questo è necessario soprattutto quando si parla dei talenti, con lo scambio di invenzioni, di creatività ecc. per promuovere lo sviluppo dei Paesi.

D. – Nel rapporto si parla anche di corruzione ed evasione fiscale, due pratiche che minano le possibilità di sviluppo…

R. – La globalizzazione, attraverso il movimento di capitali, ha indubbiamente facilitato lo sviluppo. Però, all’interno dei Paesi abbiamo spesso situazioni di disuguaglianza. Le cause sono diverse: c’è, la corruzione, il nepotismo e c’è anche il malgoverno. Conosco una persona che ha scritto un libro sul perché l’Africa è ancora povera. La sua risposta è che questa è una povertà scelta. Strano, no? Una povertà scelta vuol dire che i governi adoperano politiche che in realtà facilitano e sostengono la crescita della povertà. Quindi, dipende molto dai governi: ci vuole un buon governo per realizzare misure di sviluppo.  

D. – Un altro tema riguarda l’ingiusta redistribuzione dei ricavi che derivano dallo sfruttamento delle risorse naturali...

R. – Ad alcuni Paesi viene proposto di diventare “investor-friendly”, cioè un Paese amico degli investimenti. E cosa vuol dire? Vuol dire che le compagnie che arrivano in un Paese avranno la libertà di esportare tutti i guadagni, senza lasciare niente nel Paese; avranno libertà e tasse ridotte sulle merci. Questa situazione viene presentata sempre come “investor-friendly conditions”, condizioni che favoriscono l’arrivo di investimenti. Ma, secondo me, è qui che i governi devono mostrare un po’ di maturità. Un’investor-friendly, che poi lascia il Paese povero … non è “investor-friendly”. C’era un presidente del Ghana che diceva che tutte le cose devono esser prese dal sottosuolo e nulla dalla superficie. Questo significa lasciare la superficie ai coltivatori, all’agricoltura, eccetera. Quindi, chi vuole estrarre i minerali, deve andare “sotto”. Questo è stato un modo per far rispettare la terra che non è soltanto di chi vuole trovare queste risorse, ma anche di chi ha bisogno della superficie per la vita, per la sopravvivenza. In alcuni casi ci sono contratti stipulati centinaia di anni fa e che sono in vigore ancora oggi, nonostante le situazioni siano cambiate. Quindi, in tantissimi casi credo che sia necessaria equità da parte delle compagnie nella revisione di questi contratti. E dall’altra parte ci vuole la determinazione dei governi a chiamare in causa alcuni di questi contratti per una revisione, almeno per dare alla gente una ricompensa equa rispetto a quello che viene fatto della sua terra.

D. – Lo sfruttamento delle risorse naturali rischia spesso di provocare tensioni e addirittura conflitti….

R. – Non sono le risorse che provocano la guerra; è la politica, sono gli interessi che trasformano la presenza delle risorse in motivo di conflitto. È quello che succede in Congo, nella zona dei Grandi Laghi. Quando Bush è andato in Iraq, cosa voleva? Allora, bisogna trattare tutto ciò con un po’ di etica: l’etica non solo per il bene condiviso per i popoli, ma l’etica anche per la pace che deve regnare in questi Paesi, senza pensare unicamente al nostro guadagno. L’invito di Papa Benedetto rispetto alla logica del dono è veramente essenziale: ci invita a guardare al benessere delle altre persone che dipendono da queste risorse per la loro sopravvivenza.

 

Sui contenuti del rapporto, Eugenio Bonanata ha intervistato David Bicchetti, economista dell’Unctad: 

R. – L’economia mondiale, anche se in parte si è ripresa dalla crisi del 2007-2008, rimane ancora molto fragile. Nel rapporto abbiamo sottolineato diversi rischi che ci sono per l’economia mondiale, sia nei Paesi sviluppati sia anche nei Paesi in via di sviluppo. La diseguaglianza, per esempio, è molto forte: avere un salario degno per i lavoratori è fondamentale, perché sostiene l’economia, la domanda e anche gli investimenti. Se i lavoratori non hanno abbastanza guadagno, si arriva, attraverso il debito, a mantenere un certo livello di vita. Però, alla fine, il debito lo si dovrà ripagare ed è lì che iniziano le crisi e anche i problemi. Il rapporto, inoltre, sulla base di nostre simulazioni, dimostra anche che, se ci fosse un’alternativa alle politiche individualiste di ogni Paese – ciascuno a modo proprio – e se ci fosse una politica economica coordinata a livello mondiale, la crescita sarebbe più consistente a livello mondiale, specialmente per i Paesi in via di sviluppo dove il tasso di crescita quasi raddoppia.

D. – Quali sono gli strumenti secondo le vostre previsioni e il vostro modello?

R. – Per noi è importante lottare contro la diseguaglianza: c’è stato un trend, in questi ultimi anni, dove i lavoratori hanno ricevuto molto meno di quello che avrebbero dovuto ricevere se ci fosse stata una divisione corretta tra i guadagni del capitale e i lavoratori. Poi, ci vuole il sostegno del governo; si deve smettere con queste politiche di austerità, si devono avere politiche espansive che sostengono l’economia. Non pensiamo che la politica monetaria da sola sia sufficiente; al contrario, ci vuole il sostegno di una politica fiscale espansiva. C’è bisogno di risorse e per questo motivo parliamo anche dell’evasione fiscale perché costa molto ai Paesi sviluppati ma anche, in particolare, ai Paesi in via di sviluppo.

D. – Fate anche delle proposte di nuove istituzioni che possano contemplare questo approccio alternativo?

R. – Ci sono istituzioni già esistenti: c’è il comitato delle Nazioni Unite per le questioni fiscali, ma questo comitato ha bisogno del sostegno di tutti i Paesi. Si deve trovare una soluzione multilaterale, non una soluzione bilaterale come sta succedendo in Europa. È un problema globale e per un problema globale ci vuole una soluzione globale. Questo è il messaggio di questo rapporto.

inizio pagina

Libreria Editrice Vaticana a Pordenone dal 20 al 25 ottobre

◊  

Dal 20 al 25 ottobre prossimi si svolgerà l’ottava edizione della manifestazione de “La Libreria Editrice Vaticana a Pordenone”.  L’evento, organizzato dall’agenzia Euro92, è stato presentato questa mattina, presso la sala Marconi della nostra emittente. Il servizio di Elvira Ragosta: 

Dieci incontri tematici e cinquanta ospiti provenienti dal mondo della cultura, della scienza e dello sport per l’ottava edizione de “La Libreria editrice vaticana a Pordenone”. Un appuntamento che esprime nel suo sottotitolo, “Ascoltare, leggere e crescere”, l’intento culturale e divulgatore dell’evento, come ha spiegato ai nostri microfoni don Giuseppe Costa, direttore della Lev:

"L’ascolto è un atteggiamento fatto anche di curiosità e silenzio. La lettura e poi la decisione, seguita all’ascolto; poi la crescita come fatto consequenziale".

La kermesse di Pordenone sarà preceduta da un’anteprima, sabato 27 settembre, per la presentazione del volume “Diplomazia pontifica in un mondo globalizzato”, del cardinale Tarcisio Bertone. Poi, dal 20 ottobre, inizierà la cinque giorni dedicata ai dibattiti e alla presentazione degli altri volumi della Libreria editrice vaticana. Ancora don Costa:

R. - Noi abbiamo un incontro con le scuole elementari e medie, e all’interno presentiamo una biografia scritta da Giovanna Chirri su Giovanni Paolo II e una Bibbia a fumetti. Poi, abbiamo anche vari documenti legati al tema del Sinodo; un altro è sui diritti del minore alla “bi-genitorialità”; poi, abbiamo anche un tema sulla responsabilità dell’uomo davanti alla vita. Per ognuno di questi temi ci sono dei libri: su quest’ultimo tema, ad esempio, ci saranno i documenti della Pontificia Accademia per la Vita.

D. – Quali sono i punti di forza che fanno sì che questo evento possa svolgersi ogni anno, mettendo insieme più realtà in più giorni?

R. –  C’è una chiave “strategica” - possiamo dire così - che ci fa comprendere il successo di questa iniziativa: innanzitutto l’entusiasmo della "Euro92" e poi il coinvolgimento - anche minimo, ma sempre rilevante ai fini del successo complessivo - di più istituzioni, dei vari club services che sostengono vari sponsor e ciascuno dà un proprio contributo. Da questa unione nasce poi il successo dell’offerta culturale; quindi sono incontri con molta presenza e con un pubblico sempre nuovo.

D. – C’è una sinergia molto forte con il mondo della scuola…

R. – La lettura è un fatto centrale nella nostra civiltà, un calo della lettura significa un calo di civiltà, un calo di valori.

inizio pagina

Oggi su "L'Osservatore Romano"

◊  

In prima pagina, un editoriale di Jorge Milia dal titolo “La parola ripetuta” sul messaggio di Papa Francesco dal Brasile alla Corea.

Si delinea l’azione internazionale nella lotta contro l’Is: nel servizio internazionale, la crisi irachena e l'annuncio di Obama di attacchi aerei in Siria.

Navigando nell'oceano della prateria: in cultura, Gianpaolo Romanato sui lunghi viaggi dei gesuiti da Buenos Aires verso Córdoba.

Kafka all'interporto: Ferdinando Cancelli sui meccanismi della burocrazia.

Attenti all'uguaglianza: Marcello Filotei sulla questione della libertà sollevata da Ernesto Galli della Loggia alla Sagra musicale umbra.

Aiuti umanitari insufficienti per gli sfollati dell’Iraq: il World Council of Churches lancia l’allarme.

inizio pagina

Oggi in Primo Piano



Obama: Usa pronti a distruggere Is in Siria e Iraq

◊  

È stata definita la prima guerra di Barack Obama, perché non l’ha ereditata dal predecessore George W. Bush. È la strategia del capo della Casa Bianca per “indebolire” e “distruggere” i terroristi dello Stato Islamico (Is) che hanno proclamato il Califfato nelle regioni settentrionali dell’Iraq e in quelle orientali della Siria. Obama ha parlato ieri in diretta televisiva, alla vigilia delle celebrazioni odierne per i 13 anni dall’11 settembre 2001, quando Al Qaeda e Bin Laden colpirono il cuore degli Stati Uniti, con gli attentati alle Torri Gemelle, al Pentagono e il volo abbattutosi in Pennsylvania, e un bilancio di tremila vittime. Da New York, il servizio di Elena Molinari

Le operazioni Usa contro l’Is sono pronte. Il presidente americano ha detto infatti di essere determinato a fermare, con le bombe e con il supporto alle forze locali, la marcia sanguinosa dei militanti sunniti che si sono impadroniti di vaste aree fra Iraq e Siria. Con un discorso alla nazione, Obama ha spiegato che l’intervento Usa in territorio siriano sarà intenso e capillare, più di quello usato contro al Qaeda in Yemen o Pakistan.

Nessun soldato statunitense combatterà sul terreno, ma alcuni saranno stazionati in Arabia Saudita per addestrare i gruppi moderati che lottano contro l’Is e 500 in Iraq per sostenere le forze locali. Obama ha riaffermato con forza il primato dell’America nel mondo e il suo dovere di guidare e proteggere, ma si è anche fatto forte dell’appoggio di una serie di Paesi schieratisi al suo fianco, compresi alcuni arabi. “L’America guiderà un’ampia coalizione – ha detto Obama – per respingere questa minaccia terroristica”.

 

Obama ha dunque annunciato una coalizione internazionale, con raid americani anche in Siria e ovunque sarà necessario colpire i terroristi, operazioni sul terreno condotte dai gruppi di opposizione siriani e dal ricostituito esercito regolare iracheno. Il piano, che prevede l’invio di soldati Usa come istruttori e formatori, include anche la formazione di una guardia nazionale a Baghdad che consenta ai cittadini sunniti di unirsi alla lotta contro l’Is. Ma cosa vuol dire per Obama - nell’anniversario dell’11 settembre - indebolire e distruggere lo Stato islamico? Risponde Stefano Maria Torelli, ricercatore per il Medio Oriente dell’Istituto per gli studi di politica internazionale (Ispi), intervistato da Giada Aquilino: 

R. - Dobbiamo distinguere due livelli del discorso di Obama. Uno è il messaggio che il presidente manda proprio nel giorno dell’anniversario dell’11 settembre, in un momento in cui anche a livello interno la sua presidenza è stata fortemente criticata per essere stata - diciamo così - troppo debole con il terrorismo islamico in Medio Oriente e in un momento in cui sono alle porte le elezioni di medio-termine a novembre. Il messaggio è far vedere, soprattutto alla nazione, che farà qualcosa per combattere il fenomeno dello Stato Islamico in Medio Oriente. Il secondo aspetto è, invece, più concretamente cosa vuol dire ‘distruggere’ o ‘indebolire’ lo Stato Islamico in Medio Oriente. Da questo punto di vista, in realtà, Obama non lancia grandi novità. Sostanzialmente ha ribadito che proporrà una coalizione che si limiterà ad una serie di interventi - soprattutto attacchi aerei - contro lo Stato Islamico in Iraq e in Siria, ma che per il momento non è previsto alcun tipo di coinvolgimento diretto di militari sul terreno. Quindi questo vuol dire che sostanzialmente si continua a fare quello che già si sta facendo, ma in maniera più intensificata e cercando e sperando di coinvolgere una coalizione, la più ampia possibile.

D. - Sono previsti raid in Siria e operazioni sul terreno condotte dall’opposizione siriana. Ma questo come si rapporta poi con la situazione in Siria: che reazione avrà Assad? L'agenzia governativa siriana ‘Sana’ ha già criticato il piano Usa…

R. - La questione è abbastanza delicata. E’ ipotizzabile che anche ad Assad possa far comodo un’azione statunitense contro l’Is; probabilmente di meno gli può far comodo il supporto - anche materiale - che gli Stati Uniti possono dare a gruppi ribelli allo stesso Assad. Quindi questo è un punto che andrebbe maggiormente chiarito dalla presidenza statunitense.

D. - Una strategia che prevede raid statunitensi, operazioni sul terreno condotte da forze locali, per esempio il "Free Syrian Army" e l’esercito di Baghdad, ma anche il coinvolgimento dei sunniti moderati. Quindi si punta a separare gli estremisti dal resto dei sunniti?

R. - Questa è una delle priorità in questo momento, direi. Com’era già stato fatto, con successo in realtà, dal generale Petraeus negli anni addietro, la chiave di volta per sconfiggere lo Stato Islamico in questo caso è sicuramente quella di coinvolgere la popolazione, le tribù sunnite e portarle dal lato statunitense o comunque contro lo Stato Islamico: perché in questo momento se non si può dire che le tribù e le popolazioni sunnite sono alleate dello Stato islamico, sicuramente però si può dire che non vi è una insurrezione locale contro lo stesso.

D. - Obama ha fatto cenno alle atrocità commesse dall’Is: uccisione di prigionieri e di bambini, forme di schiavitù, violenza sulle donne, persecuzioni sulle minoranze religiose… Cosa è cambiato da Al Qaeda dell’11 settembre allo Stato islamico di oggi?

R. - Sebbene sentiamo tanto parlare del fatto che - ed è vero - in questo momento Stato Islamico e Al Qaeda siano di fatto dei nemici sul campo, in qualche modo l’Is è figlio di Al Qaeda: lo Stato Islamico non è una organizzazione che nasce oggi, ma ha le sue radici addirittura a quasi 10 anni fa, quando nacque appunto la cosiddetta Al Qaeda in Iraq, organizzazione che aveva prestato fedeltà ad Al Qaeda. Poi, con il tempo, ha cambiato nome in Stato Islamico: le visioni e gli interessi locali sono stati sempre più divergenti fino a che l’Is adesso è nemico anche di Al Qaeda. Però non dobbiamo dimenticare questa origine quasi comune: lo Stato Islamico di fatto parte come un’emanazione di Al Qaeda. Oggi sicuramente gli obiettivi sono diversi e sono diverse anche le tattiche che vengono usate: Al Qaeda sostanzialmente, seppure avesse una propaganda di incitamento alla costituzione di un Califfato, come fa anche lo Stato Islamico, non ha mai messo in pratica una sorta di attacco e controllo diretto sul territorio, come invece sta facendolo adesso l’Is.

inizio pagina

Libia: Ue vede rischi di nuovo califfato islamico

◊  

In Libia la situazione potrebbe peggiorare con un nuovo focolaio dello Stato Islamico: è l’allarme lanciato ieri a margine del meeting dei ministri della difesa europei. E un nuovo appello al dialogo arriva dall’inviato speciale dell’Onu nel Paese nord-africano, mentre sul terreno si continua a combattere a Bengasi e a Sud-Ovest di Tripoli, 50 le vittime. Il servizio di Marco Guerra: 

La Libia potrebbe diventare un nuovo terreno di espansione dello Stato Islamico. Lo ha detto al termine di un incontro con i suoi omologhi europei il ministro della Difesa italiano, Roberta Pinotti. “Il tema della Libia ha una sua specificità – ha spiegato il ministro -, ma che rischia una degenerazione che potrebbe diventare foriera di sostenere lo sviluppo di quel califfato islamico che ora vediamo in Iraq e Siria”. Nei giorni scorsi, fonti militari egiziane già avevano confermato un coordinamento tra il gruppo Ansar al Sharia e l’Is, che passa anche per il ramo in Sinai delle formazioni jihadiste. Ed è proprio infatti Il Cairo a guidare un’iniziativa per riportare ordine e stabilità nel Paese, attraverso il cessate il fuoco e il disarmo delle milizie "irregolari". Intanto il Paese resta diviso in diverse aree di influenza, con il parlamento eletto a Tobruk, le milizie islamiste a Tripoli e i jihadisti più integralisti di Ansar a Bengasi, deve si continua combattere. Violenze anche a Warshefana, roccaforte fedele al defunto rais Muammar Gheddafi assediata dalle milizie filo-islamiche. Qui si contano almeno 50 morti in 3 giorni di combattimenti. Ma sul rischio del califfato sentiamo Arturo Varvelli, esperto dell’Ispi, l’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale: 

R. - Io penso che le due cose rimangono separate, perché i due gruppi - quello dello Stato Islamico e le milizie libiche - hanno comunque diversi obiettivi, perché sono finalizzati naturalmente all’interno delle aree in cui operano. Invece è vero - senza ombra di dubbio - che vi siano collegamenti tra le milizie islamiche radicali presenti sul territorio libico - in particolare in Cirenaica - e lo Stato Islamico. Questo è accertato dal fatto che numerosi combattenti libici sono presenti sul teatro siriano e iracheno. Bisogna anche ricordare che i libici - e in particolare i provenienti dalla Cirenaica - sono sempre stati molto numerosi sui fronti iracheno e afghano nei decenni passati. Questi legami si formano quasi naturalmente all’interno di un quadro jihadista di tutta l’area.

D. - La Libia potrebbe essere una sorta di testa di ponte del terrorismo islamico verso l’Europa: l’Unione Europea se ne è accorta solo adesso? L’ha sottovalutata?

R. - Io penso che l’allarme arrivi ora perché ci sono motivazione politiche molto evidenti, motivazioni politiche che pongono l’attenzione verso lo Stato Islamico e insieme verso una nuova ondata di jihadismo nell’area. Il problema è che adesso l’Is, avendo conquistato grande parte del territorio, ha posto una nuova enfasi anche mediatica sulla situazione: la minaccia purtroppo si può reiterare in altre aeree e certamente la Libia è una di queste, perché esiste uno stato di anarchia nel Paese: uno stato di anarchia che non è stato superato neanche dalle elezioni del giugno scorso… Forse, volendo guardare bene, queste elezioni hanno accresciuto l’instabilità nel Paese, perché hanno fatto sì che la Fratellanza musulmana venisse quasi esclusa e in questa maniera ha, in qualche modo, polarizzato sul piano militare ancora di più la situazione. Quindi, in questo momento, certamente la Libia può essere un nuovo "campo d’azione".

D. - Quindi sul terreno resta il caos più totale. Alcune settimane fa si parlava di una Libia divisa in tre…

R. - Le prospettive rimangono negative! Non vedo una Libia divisa in varie zone di competenza, anche perché nessuno è capace - come abbiamo visto a Tripoli, come abbiamo visto a Bengasi, dove ci sono ancora forze che combattono - di controllare integralmente il territorio. Mi aspetto ancora instabilità e probabilmente scontri, perché questo è dettato anche dall’influenza di potenze straniere. Abbiamo visto che l’Egitto, naturalmente, in mano ad Al-Sisi e ai militari, non può certamente tollerare una Libia e una Cirenaica in particolare in mano alle milizie estremiste e islamiche; ma neppure può tollerare - tutto sommato -  una Libia che cada nella sfera di influenza, seppure politica, della Fratellanza musulmana. Quindi la situazione è molto complessa e non può che essere risolta in un tempo medio-lungo - purtroppo! - da un nuovo processo di riconciliazione nazionale: la guerra civile libica non è terminata con la caduta di Gheddafi. Deve essere posta a termine solamente con un nuovo patto sociale tra i cittadini, tra i libici.

inizio pagina

Mons. Kaigama: “Boko Haram” non agisce in nome dell’islam

◊  

All’incontro di Anversa con i leader religiosi, promosso dalla Comunità di Sant’Egidio ha avuto ampio spazio il Continente africano con i suoi conflitti e le sue speranze di riconciliazione. Sulla situazione in particolare in Nigeria, la nostra inviata ad Anversa Francesca Sabatinelli ha raccolto la testimonianza di mons. Ignatius Kaigama, arcivescovo di Jos, presente all’incontro: 

R. – La situazione è ancora grave, perché la violenza aumenta. Finora il governo federale non ha fatto niente. Ci disturba molto pensare che “Boko Haram” possa esercitare questa violenza sulla gente e poi la situazione rimane grave.

D. – Qui ad Anversa sono intervenute parecchie personalità dell’islam: tutti hanno detto che l’islam non è violenza. L’islam in Nigeria, cosa sta facendo?

R. – I musulmani sono nostri amici: possiamo dirlo. Ci sono due livelli: l’islam moderato e quindi musulmani moderati. Con loro siamo uniti nel cercare la pace. Questo senz’altro, e per questo sono venuti qui con l’emiro di Ouassé, un grande leader islamico che è venuto con me. Seconda cosa: c’è "Boko Haram" che senza razionalità, senza ordine distrugge in nome di Dio e in nome dell’islam. Queste due cose dobbiamo separarle: l’islam come una religione di pace, sì; non vuol dire, questo, che non abbiamo tensioni. Abbiamo anche tensioni, in Nigeria, anche nei nostri rapporti con l’islam moderato su argomenti come il matrimonio, la conversione, sui luoghi nei quali costruire le chiese … i problemi ci sono. Ma non sono così gravi come il problema di “Boko Haram”. Il secondo livello è quello di “Boko Haram”, che ammazza e distrugge: è terribile!

D. – In Iraq i cristiani chiedono che ci sia l’intervento della comunità internazionale. In Nigeria?

R. – Sì: chiediamo questo aiuto, ma non lo vedo. Allora, l’aiuto internazionale è importante ma non so né come né cosa possano fare. L’aiuto molto grande che io credo che la comunità internazionale possa dare è fermare “Boko Haram”, fermare la strada che porta le armi: senz’altro ricevono aiuto da altri Paesi … Come è possibile che “Boko Haram” abbia armi più sofisticate dell’esercito regolare nigeriano? Devono esserci persone o Paesi, all’esterno della Nigeria, che aiutano “Boko Haram” a perpetrare questa violenza. La comunità internazionale può fermare questo: è possibile, con le conoscenza fornite dalle diverse intelligence su “Boko Haram” e sul terrorismo in Iraq e altrove. E’ possibile. Se la volontà c’è, io credo che si possa fermare “Boko Haram”.

D. – Voi siete venuti qui ad Anversa per parlare di dialogo, di pace, di unità, di fratellanza tra le religioni. E’ quindi questa l’arma che può disarmare la violenza?

R. – Senz’altro. Con l’amore manifestato in questi giorni, qui, le persone, i leader provenienti da altre culture e da altre religioni, dal Medio Oriente, dall’Africa, dall’Europa, dagli Stati Uniti … è una cosa meravigliosa, è un miracolo: un miracolo della presenza. Essere presenti uno per l’altro. Essere presenti vuol dire capire meglio, vuol dire giudicare meglio, vuol dire evitare i pregiudizi … Poi, l’amicizia si crea. L’appello molto importante che voglio fare a “Boko Haram” è questo: che riconsiderino la situazione. Quello che fanno non è cosa di Dio. Dicono che fanno quello che fanno per l’islam, per Dio: questo non è reale, non è autentico. Quindi, il primo appello è per loro: che abbiano compassione per le ragazze rapite. Poi, che finisca la crudeltà che stanno portando nel Paese: non è umano.

inizio pagina

A Bukavu, in Congo, il funerale delle tre suore saveriane

◊  

Si sono svolti oggi nella Cattedrale di Bukavu, nella Repubblica Democratica del Congo, i funerali di suor Olga, suor Lucia e suor Bernardetta, le tre missionarie saveriane uccise barbaramente in Burundi. Ieri a Bujumbura, capitale del Burundi, una grande folla ha partecipato alla Messa in suffragio delle religiose italiane. Antonio Elia Migliozzi ha intervistato padre Faustino Turco, superiore regionale dei saveriani in Congo che ha concelebrato la Messa esequiale a Bukavu: 

R. – La folla a Bujumbura si è unita alle tre sorelle e alla Chiesa locale cattolica. C’era un clima di preghiera, molto cordoglio e vicinanza per quello che è successo. Dopo, partendo dal Burundi, siamo andati in una parrocchia dove lavorano le sorelle saveriane e c’è stata una veglia di preghiera tutta la notte. Dopo la veglia, i funerali in Congo, a Bukavu perché lì la Congregazione delle Missionarie Saveriane hanno la delegazione, il luogo di riferimento per il Congo e il Burundi. Le tre suore, Olga, Bernardetta e Lucia hanno lavorato molto anche in Congo. Qui a Bukavu, i saveriani hanno un cimitero di riferimento per tutta la circoscrizione del Congo.

D. – Quali sono i sentimenti della popolazione locale?

R. – E’ difficile poter valutare attualmente un sentimento che all’inizio sembrava più una rivolta, soprattutto quando c’erano state voci secondo cui avrebbero ritrovato una persona nel cortile dell’edificio dei missionari. Questo ha suscitato un movimento popolare in favore della giustizia, anche se quando la folla interviene è importante anche poterla orientare. Attualmente, si sta assimilando il vissuto; siamo nella fase di assimilazione.

D. – Dove sono state sepolte suor Olga, suor Lucia e suor Bernadetta?

R. – A Panzi, un quartiere della periferia di Bukavu. A Bukavu le sorelle hanno la loro casa di riferimento e a Panzi c’è anche una nostra casa di formazione con il camposanto, il cimitero, dove altri missionari sono stati sepolti: saveriani, religiosi e religiose.

inizio pagina

Sgreccia: eterologa, anonimato nega diritto nascituro a conoscere genitore

◊  

Il tema della fecondazione artificiale eterologa e dell’anonimato o meno del donatore o donatrice sta accendendo animati dibattiti nei Paesi in cui è stata già legalizzata e in quelli – come l’Italia - che si apprestano ad introdurla nel proprio ordinamento. Un argomento di grande interesse etico per credenti e non credenti, come spiega mons. Elio Sgreccia, presidente emerito della Pontificia Accademia della Vita, ribadendo la posizione della Chiesa sulla procreazione assistita. Ascoltiamolo nell‘intervista rilasciata a Danusa Rego, della Radio Televisione cattolica brasiliana Canção Nova, nello Stato di San Paolo: 

R. – Perché una tecnica di aiuto alla vita sia lecita, occorrono tre condizioni. La prima è che non vadano perduti degli esseri umani, cioè degli embrioni fecondati. La seconda è che si rispetti la struttura della famiglia, cioè che il figlio che nasce sia il risultato di un atto di amore tra padre e madre, tra i due coniugi. E, la terza è che colui che nasce abbia come padre e madre i due coniugi, cioè non intervenga il contributo di una persona estranea. Ora, l’eterologa – per definizione – rompe l’unità della famiglia in quanto colui che nasce è frutto della donazione di un gamete – che sia l’ovulo o che sia lo spermatozoo – estraneo alla coppia sposata; e per quella omologa la Chiesa usa l’espressione ‘moralmente illecita’, perché anche quando la procreazione artificiale è frutto di una tecnica sostitutiva dell’atto coniugale, anche se fatta a vantaggio di due coniugi e con i loro gameti, però sostituisce l’atto coniugale, ed anche in questo caso non adempie il disegno creativo, naturale della coppia stessa.

D. – Quali sono i ‘danni’ della fecondazione artificiale?

R. – La Chiesa non è contraria all’uso della tecnica o dell’intervento della medicina per aiutare la procreazione. Però, quello che è tenuta a richiamare – per il bene di colui che nasce, anzitutto, e anche per il bene della coppia e della società - è anzitutto la perdita degli embrioni procreati artificialmente, quale forma di aborto; e secondo, la divisione dell’unità della coppia, quando chi genera non sono gli stessi sposi, ma interviene un terzo. Unità della coppia che è lesa anche quando a procreare è una tecnica, e quindi l’atto più importante di una coppia, che è quello di mettere al mondo un figlio, è alienato, conferito a un laboratorio.

D. – La legge e la scienza possono considerare che offrire alla persona nata da una fecondazione eterologa di conoscere i suoi genitori biologici sia sufficiente per affermare che tale tecnica sia eticamente corretta. Per la Chiesa, però, questo ragionamento non è convincente …

R. – La Chiesa dice che ciò non è sufficiente, perché dire a un figlio: “tu non sei figlio dei genitori che hai accanto, ma di uno che ha donato il suo seme” oppure “di una che ha donato …”, non è un aiuto al figlio; è un bloccare e turbare la sua identità; è mettere il figlio in una ricerca, in un’ansia e dover poi – anche quando l’avesse saputo – dover superare tutto un legame che si è creato con la coppia che l’ha ricevuto. Quindi, questo ‘dare la notizia’ di chi sono i veri genitori, non basta! Però, questo è un elemento importante, comunque. Per cui, tra le legislazioni che hanno regolato finora la procreazione artificiale, ce ne sono alcune che hanno posto l’anonimato, altre che lo hanno negato. Ma la tendenza che c’è adesso, è che l’anonimato debba essere tolto. L’Austria, la Germania, la Svizzera, l’Olanda, la Norvegia, la Svezia, il Nuovo Galles e altri hanno ridotto sempre più l’anonimato perché il fatto di sapere di chi si è figli è un diritto e mettere l’anonimato significa inaugurare un tipo di paternità irresponsabile, anonima appunto, nascosta, una specie di monumento al padre ignoto o alla madre ignota, che graverebbe sulla coscienza di colui che nasce come un macigno perché non concede di realizzare la propria identità. Il rivelarglielo è un diritto, anzi: alcune Nazioni stanno usando questa strategia di togliere l’anonimato per frenare la procreazione eterologa. E infatti, si è visto che laddove è stato tolto l’anonimato la procreazione eterologa è calata.

D. – Cosa può fare una coppia - in accordo con gli orientamenti della Chiesa - che non possa avere figli?

R. – E’ che quando c’è una infertilità invincibile, che non si possa curare legittimamente con terapie, con un atto chirurgico o con uno stimolo farmacologico – gli aiuti terapeutici sono sempre leciti – e quindi si veda che per quella coppia non c’è niente da fare dal punto di vista medico-sanitario per ridarle l’integralità delle funzioni procreative, allora c’è da prospettare l’adozione.

inizio pagina

Costalli (Mcl): serve riforma mercato lavoro, governo faccia sua parte

◊  

“Far tornare il lavoro al centro delle politiche economiche e sociali”. Lo chiede il presidente del Movimento Cristiano Lavoratori, Carlo Costalli, che oggi pomeriggio apre la tre giorni di dibattiti dell’organizzazione a Senigallia proprio su questi temi. Per Costalli, oltre alle riforme istituzionali, bisogna spingere sul fronte della scarsa competitività dell'Italia. Alessandro Guarasci

I tassi di disoccupazione sono pesanti in tutta l’area Ocse: 7,4% a luglio. Ma in Italia assumono toni drammatici: il dato è schizzato al 12,6%, con punte del 50% tra i giovani in alcune aree del Sud. Certo qualche segnale si vede: i nuovi rapporti di lavoro avviati nel secondo trimestre 2014 sono stati 80 mila in più rispetto al 2013, ma la ripresa è molto fragile. Per Carlo Costalli, presidente dell’Mcl, bisogna accelerare sul Jobs Act:

“E’ necessaria soprattutto una riforma del mercato del lavoro. E il governo deve fare la sua parte. Abbiamo discusso, sei mesi, di una legge per fare un quarto della riforma del Senato: adesso i prossimi quattro, cinque mesi vanno dedicati a questo tema”.

Proprio oggi è proseguito il dibattito, in Commissione Lavoro al Senato, sul Jobs Act, ma il nodo dell’articolo 18 è stato rimandato alla prossima settimana. Altro capitolo, secondo l’Mcl, è la delega fiscale, anch'essa in Parlamento. In questo caso bisognerà prevedere più sgravi per le famiglie, soprattutto le numerose. Tutto questo deve essere fatto, dice Costalli, consultando le associazioni del mondo del lavoro, della produzione e del volontariato:

“Io credo che su questi gravi temi ci dovrebbe essere un coinvolgimento maggiore, perché penso che queste organizzazioni hanno fatto tanto per tenere il Paese, in momenti di grave difficoltà, in una situazione di non 'belligeranza'. E coinvolgerle in questo dibattito potrebbe essere importante rispetto ad alcuni contributi sul come fare riforme, che credo siano importanti”.

inizio pagina

Giornata prevenzione suicidi. Intervista con Michela Pensavalli

◊  

In occasione della Giornata mondiale per la prevenzione del suicidio (10-11 settembre), l’Organizzazione mondiale della Sanità (Oms) ha promosso una serie di iniziative per riflettere su un fenomeno sempre più drammatico nella società contemporanea: ogni anno, afferma l’Oms, un milione di persone si tolgono la vita. Il suicidio è un problema complesso e poco trattato e colpisce sempre più giovani che vanno dai 15 ai 34 anni. Martina Boccalini ne ha parlato con la psicoterapeuta Michela Pensavalli

R. – Intanto, si tratta di una fascia di età molto sensibile ai rischi a cui si espone la nostra modernità, quindi sono ragazzi molto giovani che però al tempo stesso vivono tutta l’incertezza del nostro tempo. Uno dei motivi è sicuramente l’appiattimento della visione del futuro e in questa fascia di età, in cui si desidera costruire il proprio avvenire, i ragazzi trovano difficoltà a vedersi proiettati in un futuro felice.

D. – Secondo lei, si può associare l’incremento del tasso di suicidio alla situazione di crisi della nostra società?

R. – Assolutamente sì! Sono ragazzi che non hanno speranza nel futuro. I nostri centri si popolano di ragazzi che sviluppano depressioni e spesso disturbi del pensiero che portano poi necessariamente al decadimento della speranza. Sicuramente c’è una labilità caratteriale e personologica: non possiamo dimenticare la correlazione del disturbo ossessivo-compulsivo – quindi le idee ripetute nella testa – che gettano la persona nella paura. Molto spesso il suicidio è legato poi a questa idea e sofferente della mente. Non esistono in effetti solo alcune cause o una o poche; le cause possono essere molte. Fondamentale è anche il contesto nel quale la persona vive:il supporto della famiglia, ad esempio, la rete sociale, le associazioni di persone che vivono attorno alla persona, quanto e cosa possono fare e hanno fatto fino al momento in cui la persona magari ha compiuto un gesto che inizialmente è solo dimostrativo, che dichiara solo una sofferenza, come sono i tentati suicidi, che però esprimono una sofferenza. Quello che avviene molto spesso in queste famiglie è che per vergogna, per difficoltà di accettazione, si nega il dolore. Quindi, sicuramente ciò che si apprende in un percorso di terapia è la necessità di accompagnare la famiglia stessa ad accettare la sofferenza del membro stesso della famiglia, che la porta. Riguardo alla persona stessa che dichiara di avere idee suicidarie, è importantissimo intanto comprendere l’idea ossessiva che sviluppa la depressione, e quindi è significativo tutto ciò che viene raccolto per le richieste di aiuto, se il tentativo diventa poi l’unica strada percorribile. Ed ecco che allora è fondamentale poter trasmettere a queste persone che vi è una strada possibile. Va preso anche in esame che dalla sofferenza non si possa uscire, perché negare il dato di realtà significa rinnegare la sofferenza. E in questa nostra società, oggi, facciamo tutti quanti un po’ fatica ad accettare le sofferenze …

D. – Pensa che questo argomento sia poco trattato?

R. – E’ poco trattato, in effetti, rispetto a quello che le statistiche ci dimostrano nei dati concreti. Le famiglie non sono ancora tanto pronte a trattare l’argomento. Anche nelle scuole, per esempio, è difficilissimo trattare l’argomento suicidio perché le famiglie, ovviamente, tendono alla negazione, si spaventano e hanno paura dell’effetto-omologazione. Bisognerebbe fare assolutamente molto più informazione sull’argomento. Sicuramente va fatto un lavoro di prevenzione del suicidio: quindi bisogna avere il coraggio di parlare un po’ di più, di capire le radici che portano poi alla sofferenza umana. Quindi, una formazione in più punti alla dimensione fiduciaria della crescita dei giovani, con attività che sviluppino la capacità di riconoscere le emozioni, di narrarsi e – perché no? – anche l’accettazione dei limiti, delle fragilità: ci sono cose da obiettare, da rinnegare della nostra vita, ma le imperfezioni fanno parte della vita. Quindi, un’ideologia di accettazione dei limiti più o meno espliciti di ogni essere umano.

inizio pagina

Stazione Spaziale Internazionale, esempio di cooperazione

◊  

Atterrati in Kazakhstan tre astronauti della Stazione Spaziale Internazionale (Iss). Si tratta di due russi e un americano che hanno trascorso nello spazio quasi sei mesi, durante i quali – tra le altre cose - hanno girato attorno alla Terra per ben 2.700 volte. Una missione segnata dalla stretta cooperazione tra diversi Paesi, nonostante le tensioni geopolitiche che spesso tendono a dividere le cancellerie. Eugenio Bonanata ne ha parlato con Giovanni Caprara, giornalista scientifico del "Corriere della Sera" e presidente dell’Unione dei giornalisti scientifici italiani: 

R. – La Stazione spaziale internazionale è il più grande progetto di cooperazione internazionale mai esistito, tanto che mettere assieme diversi Paesi è stata un’impresa – è stato detto – più difficile che realizzare, da un punto di vista tecnologico, la base cosmica. Però, si è riusciti e quindi è un esempio molto importante di come – mettendo da parte le contrapposizioni che nascono sulla Terra – nello spazio si può proseguire a vantaggio dell’intera umanità. Questo viaggiare di continuo tra la Stazione spaziale e la Terra è iniziato nel 1998 e nel tempo si è consolidato, e oltre a equipaggi russi e americani, ci sono equipaggi giapponesi, europei...

D. – Come vengono ricomposti gli interessi dei singoli Paesi, che pure ci sono?

R. – Ci sono accordi internazionali per cui tutto parte da questa logica di attribuzione legittima, legata alla nazione che ha realizzato una parte della stazione dove si lavora, salvo ovviamente diversi accordi; perché ci possono essere strumenti realizzati congiuntamente da diverse nazioni e quindi il risultato deve essere condiviso.

D. – Cosa dire dei risultati scientifici ottenuti fino ad ora?

R. – Una Stazione spaziale è una frontiera nella quale l’uomo si misura per realizzare cose impossibili sulla terra, sfruttando una risorsa fondamentale che è l’assenza di gravità: infatti, senza la forza di gravità si possono produrre nuovi farmaci, nuove leghe metalliche, quindi nuovi prodotti che portati sulla terra consentono di vivere meglio. Poi, c’è anche un’altra frontiera altrettanto importante che riguarda lo studio dell’uomo, perché messo in condizioni estreme si possono capire meglio i suoi problemi e affrontarli con interventi che non sarebbero comprensibili sulla terra. Primo fra tutti, ad esempio, è la decalcificazione ossea che riguarda tutti gli astronauti - generata appunto dall’assenza di gravità - ed è un problema che se viene risolto può aiutare l’analoga situazione che si verifica nel proseguo degli anni - con l’arrivo dell’anzianità – e che potrebbe portare alla produzione di un farmaco capace di rendere più sicuri e può consolidare le ossa quando perdono il loro prezioso contenuto di calcio.

D. – Tra gli obiettivi e i risultati c’è anche quello di condividere queste scoperte, o questa attività con le scolaresche; un ambito che si è sempre più sviluppato in questi anni...

R. – Sono iniziative che coinvolgono gli astronauti per dimostrare cosa si può fare lassù. Questa è una sorta di scuola dallo spazio, un lavoro nel quale gli astronauti periodicamente si impegnano compiendo collegamenti – tra l’altro, in diretta - con le scuole di diverse nazioni; se ne sono fatti diversi anche con l’Italia. Questo è un aspetto importante perché fa parlare direttamente gli astronauti con i ragazzi delle nostre scuole; tra l’altro gli stessi radioamatori si sono impegnati su questa frontiera in modo da consentire facili collegamenti.

D. – Prima i collegamenti erano solo a livello audio, ultimamente si è aperta anche la dimensione visiva...

R. – Certamente, il collegamento ora è completo sotto ogni aspetto: questo consente di interagire, in maniera molto più efficace, sia da parte degli astronauti, che dei ragazzi nelle scuole, perché mentre si effettua il collegamento vedono gli astronauti, vedono cosa stanno facendo quindi c’è un lavoro in comune quasi come se i 400 chilometri di altezza si annullino nel momento in cui c’è questa unione tra la terra e lo spazio, tra la scuola e la Stazione spaziale.

inizio pagina

Nella Chiesa e nel mondo



Comece: visita Papa al Parlamento europeo è un segnale forte

◊  

Un segnale forte: con queste parole, il card. Reinhard Marx, presidente della Comece (Commissione delle Conferenze episcopali della Comunità europea), commenta la decisione di Papa Francesco di accettare l’invito a visitare il Parlamento europeo, a Strasburgo. La visita si terrà il prossimo 25 novembre e vedrà il Papa rivolgere un discorso alla Plenaria parlamentare. La decisione del Pontefice di recarsi a Strasburgo “prima di visitare uno Stato membro dell’Ue”, afferma il card. Marx, indica “il sostegno e l’incoraggiamento del Pontefice a proseguire il progetto di integrazione e di unità dell’Europa”.

Papa Francesco, continua il porporato, “riconosce così il carattere unico delle Istituzioni europee nella vita del continente”, guardando al progetto europeo soprattutto nel “suo ruolo di vettore di pace”, sottolineato anche dal premio Nobel per la pace, ricevuto nel 2012. “L’integrazione europea – sottolinea quindi il card. Marx – ha beneficiato del sostegno della Chiesa cattolica sin dal principio”,  tanto che già nel 1988 Giovanni Paolo II si recò in visita Parlamento europeo.

“Speriamo – conclude il presidente della Comece – che la visita di Papa Francesco incoraggi i parlamentari europei nel loro lavoro e che indichi come i valori fondamentali dell’Unione, ispirati in gran parte alla fede cristiana, possano contribuire a costruire l’Europa del domani”. (I.P.)

inizio pagina

Card. Tagle: Papa nelle Filippine porterà cambiamento nella società

◊  

“La visita del Papa nelle Filippine farà la differenza nella vita dei singoli e della società”: lo scrive il card. Louis Antonio Tagle, arcivescovo di Manila, in una lettera indirizzata ai fedeli, in vista della visita del Pontefice nel Paese. Papa Francesco, infatti, si recherà nelle Filippine dal 15 al 19 gennaio 2015, divenendo così il terzo pontefice a visitare la nazione, dopo i due viaggi di Giovanni Paolo, nel 1995 e nel 1981, e la visita di Paolo VI nel 1970.

“La visita pastorale del Papa – scrive il porporato – il cui motto è ‘Misericordia e compassione’, offrirà certamente molte opportunità di sperimentare la grazia, di sconvolgere positivamente le nostre “zone di comfort”, per valorizzare i poveri, rinnovare la società, prenderci cura del Creato e vivere in maniera degna”. Quindi, il porporato esorta i fedeli a “condividere le impressioni del viaggio papale, una volta concluso, per comprendere come esso ci conduca verso ulteriori percorsi di fede e di missione”.

Infine, il card. Tagle ripercorre la propria storia personale: aveva tredici anni nel 1970, quando Paolo VI visitò le Filippine. Le immagini di quella visita “non sono mai state dimenticate”, tanto che il porporato ha dedicato i suoi studi universitari proprio a Papa Montini ed al Concilio Vaticano II. “Quella visita pontificia del 1970 – conclude l’arcivescovo di Manila – mi aprì una porta alla missione della Chiesa”. Quello nelle Filippine sarà il secondo viaggio apostolico di Papa Francesco in Asia, dopo la visita in Corea del Sud, svoltasi dal 13 al 18 agosto scorso. Subito prima di arrivare a Manila, inoltre, il Pontefice visiterà lo Sri Lanka, dove si fermerà dal 12 al 15 gennaio 2015. (I.P.)

inizio pagina

Spagna: Settimana Sociale sul tema "Per una società nuova"

◊  

Le nuove sfide che scaturiscono dalle circostanze e dai cambiamenti della società attuale studiati e analizzate alla luce della Dottrina Sociale della Chiesa: è l’obiettivo della 42.ma Settimana Sociale spagnola, sul tema “Per una società nuova”, che si celebrerà dal 23 al 25 ottobre nella città di Alicante. Il dibattito si articolerà in diversi tavoli tematici: il rapporto tra Stato e società; la crisi economica e la famiglia; il senso del lavoro nella ‘società dello scarto’; l’impegno dei cattolici nel rilancio del progetto europeo; la crisi di fronte all’impegno sociale e le prospettive economiche della Spagna. Uno studio pastorale e socio-economico, quindi, che aprirà con la relazione del card. Phlillippe Barbarin, arcivescovo di Lione, invitato d’onore a questo evento che riunirà professori e specialisti di economia, politica, sociologia, insieme a rappresentanti ecclesiali ed esponenti di varie ong.

Le Settimane Sociali, che sin dal 1906 vengono in diverse città spagnole, si presentano come un servizio della Conferenza episcopale spagnola per lo studio, la diffusione e l’applicazione della Dottrina Sociale della Chiesa nelle questioni più importanti e urgenti che riguardano la società di ogni tempo. All’apertura della 42.ma edizione parteciperanno il nunzio apostolico in Spagna, l’arcivescovo Renzo Fratini; il vescovo di Orihuela-Alicante, mons. Jesùs Murgui Soriano e il consigliere delle Settimane Sociali di Spagna e vescovo di Mondoñedo-Ferrol, mons. Manuel Sánchez Monge. A chiudere l’evento, la celebrazione eucaristica presieduta dal vescovo di Alicante nella Concattedrale de San Nicolás. (A.T.)

inizio pagina

Dalla Caritas Svizzera, un milione di franchi per gli sfollati dell’Iraq

◊  

Un milione di franchi svizzeri a sostegno delle famiglie dell’Iraq, costrette a fuggire a causa del conflitto scatenato dai miliziani dello Stato Islamico: questi gli aiuti offerti dalla Caritas Svizzera, presente nel Paese dal 1990. In particolare, informa una nota, gli aiuti saranno destinati a 4.600 famiglie sfollate a Erbil, Duhok e Suleymaniye e consisteranno in derrate alimentari sufficienti per tre mesi, coperte, materassi, kit igienici e utensili per la casa.

L’organismo caritativo, prosegue la nota, “si prende cura anche dei figli di rifugiati siriani ed iracheni, sostenendone in totale 4.800 non solo dal punto di vista della sopravvivenza materiale, ma garantendo anche un contesto psicosociale”, affinché i ragazzi possano “frequentare regolarmente la scuola, malgrado le esperienze traumatiche vissute” in guerra. Inoltre, la Caritas elvetica porta avanti un vasto programma di ricostruzione nella regione curda dell’Iraq e si dedica alla promozione dei diritti dei bambini, delle donne e delle minoranze. Infine, insieme a Caritas Iraq, l’organismo elvetico finanzia centri per i bambini sotto-nutriti in diverse regioni del Paese. (I.P.)

inizio pagina

Angola. Apostolato della donna: tutelare la vita e la famiglia

◊  

“Donna, da te dipende il progresso dell’umanità”: su questo tema si è conclusa in questi giorni la quarta Assemblea generale di Promaica, il Movimento di apostolato per la promozione della donna angolana nella Chiesa cattolica. L’incontro, svoltosi nell’arcidiocesi di Huambo e presieduto da mons. Jesus Tirso Blanco, assistente ecclesiastico di Promaica, ha visto la presenza di 181 partecipanti, provenienti da numerose diocesi del Paese.

Nel comunicato diffuso al termine dei lavori, si ribadisce che “la vita è un bene che deve essere difeso sin dal suo concepimento” e si condannano “tutte le pratiche di mutilazione della vita stessa, in particolare l’aborto”, per il quale si raccomanda “una maggiore consapevolezza riguardo alla sua gravità”. Quindi, la nota si sofferma sulla famiglia, definendola “un laboratorio di cultura sui valori sociali e religiosi”, perché “quello che si apprende nel contesto familiare serve per tutta la vita”. “L’obbedienza, il rispetto, la lealtà, la verità e la santità – prosegue il comunicato di Promaica – sono virtù di cui la famiglia deve usufruire per la sua stabilità”, anche in un’ottica di evangelizzazione della società.

Tra gli altri temi affrontati dall’Assemblea, quello della “fermezza nella fede”: il Movimento di apostolato ringrazia tutte “le donne che lottano nella perseveranza della loro fede”, perché essa “esige coraggio, attitudine, audacia nelle azioni”. Quanto alle sfide rappresentate dalle sètte e dal relativismo religioso, i partecipanti all’incontro raccomandano “lo studio approfondito delle Sacre Scritture, del Catechismo e dei documenti ufficiali della Chiesa cattolica”, insieme alla “intensificazione della preghiera in famiglia”. Infine, Promaica si sofferma sulle sfide rappresentate dalle nuove tecnologie di informazione e dai mezzi di comunicazione sociale: definiti “un bene per il progresso dell’umanità”, essi però “esigono competenze” giuste per il loro utilizzo, così da evitare, ad esempio, quei programmi radiofonici o televisivi che “minano la stabilità della famiglia”, offrendone un’immagine distorta. (I.P.)

inizio pagina

I vescovi canadesi alle famiglie: seminare speranza e gioia

◊  

“Famiglie, Cristo ci chiama a seminare la speranza e la gioia!”: è il titolo del messaggio dell’Organismo cattolico per la vita e la famiglia (Ocvf) della Conferenza episcopale canadese pubblicato in questi giorni e che fa eco all’appello di Papa Francesco alle famiglie. Alla cellula fondamentale della società il Pontefice ha chiesto in varie occasioni di rendere contagiose la speranza e la gioia, invitandole a riflettere sulla dignità umana e sull’urgenza di formare testimoni di Cristo che sappiano riconoscerlo, amarlo e servirlo nei poveri, nei malati, negli emarginati.

Il messaggio dell’Ocvf, come riferisce il portale www.ocvf.ca, sottolinea che nel grande progetto d’amore di Dio, la famiglia ha ricevuto, dalle origini, una vocazione primordiale: quella di promuovere la vita. Su questo tema una guida, che può essere utilizzata in famiglia, nelle parrocchie, tra amici, offre spunti di riflessione. L’invito è a guardare alla famiglia come luogo in cui si impara ad amare, come centro naturale della vita umana, fatta com’è di persone che amano, dialogano, si sacrificano per l’altro e difendono la vita, soprattutto quella dei più fragili e i più deboli. (T.C.)

inizio pagina

Uruguay: Giornata educazione cattolica. I vescovi: garantire libertà di scelta

◊  

 Libertà per i genitori e per gli educatori ed uguaglianza di diritti per gli alunni. Questo l’appello della Chiesa uruguayana nella Giornata dell’educazione cattolica che ogni anno si celebra il 10 settembre. In un messaggio, mons. Alberto Sanguinetti, vescovo di Canelones e responsabile del dipartimento di educazione cattolica della Conferenza episcopale dell’Uruguay, afferma che “questa celebrazione deve rappresentare anzitutto un nuovo impegno nella fedeltà all’identità cattolica” che comporta la difesa della “libertà di scelta, per i genitori, di una educazione secondo le proprie convinzioni e  la propria fede” ed “il rispetto della libertà di educare secondo questi valori senza discriminazioni economiche né controlli statali ingiustificati”.

Mons. Sanguinetti ha, poi, fatto un appello perché “si concedano ai giovani iscritti presso gli istituti privati, senza discriminazioni, gli stessi benefici di cui usufruiscono i giovani delle scuole statali”, ad esempio, i biglietti gratuiti per il trasporto pubblico o ingressi ridotti a spettacoli culturali. “La libertà religiosa implica anche - ha ribadito il presule - la libertà di educazione della religione nelle scuole dell’amministrazione statale per coloro che la ritengano opportuna per i propri figli”.

La Giornata dell’educazione cattolica si celebra ogni anno in memoria della petizione fatta, il 10 settembre dell’1815, dall’eroe della Patria, Josè Artigas, a due sacerdoti perché aprissero delle scuole. Ed è proprio da questo riferimento storico che parte mons. Sanguinetti per ripercorrere il ruolo della Chiesa nell’educazione, portata avanti a grande scala nel Paese sudamericano, raggiungendo tutti i settori delle società.  Nel suo messaggio, il presule ricorda che la prima scuola popolare gratuita europea è stata aperta nel 1597 da San Giuseppe Calasanzio, a Roma. “Non è stata la Chiesa a sostituire lo Stato o le sue funzioni, come si vuole far credere - sottolinea il vescovo di Canelones - perché gli Stati, come comunità politiche, non avevano considerato l’insegnamento né l’educazione come una loro competenza. Sono stati, invece, i cristiani, religiosi, religiose e laici, a vedere nell’educazione un modo per fare del bene”. Il messaggio episcopale conclude con un invito a pregare Dio ed a sostenere le istituzioni cattoliche perché siano sempre più fedeli alla loro identità di configurazione a Cristo ed alla Chiesa. (A.T.)

inizio pagina

Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVIII no. 254

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.