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Sommario del 09/09/2014

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Francesco: Gesù sta in mezzo alla gente, non è professore che parla dalla cattedra

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Gesù non è un professore che parla dalla cattedra, ma sta in mezzo alla gente e si lascia toccare per guarire. Lo ha detto Papa Francesco nella Messa mattutina presieduta a Santa Marta. Il servizio di Sergio Centofanti

Commentando il Vangelo del giorno, Papa Francesco riflette su tre momenti della vita di Gesù. Il primo è la preghiera. Gesù passa “tutta la notte pregando Dio”. Gesù “prega per noi. Sembra un po’ strano che Lui che è venuto a darci la salvezza, che ha il potere” – osserva il Papa – “prega il Padre”. E “lo fa spesso”. Gesù “è il grande intercessore”:

“Lui è davanti al Padre in questo momento, pregando per noi. E questo deve darci coraggio! Perché nei momenti difficili di difficoltà o di bisogno e di tante cose, pensare: ‘Ma Tu stai pregando per me. Prega per me. Gesù prega per me il Padre!’. E’ il suo lavoro di oggi: pregare per noi, per la sua Chiesa. Noi dimentichiamo spesso questo, che Gesù prega per noi. E’ la nostra forza questa. Dire al Padre: ‘Ma se Tu, Padre, non ci guardi, ma guarda tuo Figlio che prega per noi’. Dal primo momento Gesù prega: ha pregato quando era in terra e continua a pregare adesso per ognuno di noi, per tutta la Chiesa”.

Dopo la preghiera, Gesù sceglie i 12 Apostoli. Il Signore lo dice chiaramente: “Non siete stati voi a scegliere me. Sono io che ho scelto voi!”. “Questo secondo momento - afferma il Papa - ci dà coraggio: ‘Io sono scelto, io sono scelta dal Signore! Nel giorno del Battesimo Lui mi ha scelto’. E Paolo, pensando a questo diceva: ‘Lui scelse me, fin dal seno della mia madre’”. Noi cristiani, dunque, siamo stati scelti:

“Queste sono cose di amore! L’amore non guarda se uno ha la faccia brutta o la faccia bella: ama! E Gesù fa lo stesso: ama e sceglie con amore. E sceglie tutti!  Nella lista, non c’è nessuno importante - fra virgolette - secondo i criteri del mondo: è gente comune. C’è gente comune. Ma hanno una cosa - sì - da sottolineare in tutti: sono peccatori. Gesù ha scelto i peccatori. Sceglie i peccatori. E questa è l’accusa che gli fanno i dottori della legge, gli scribi: ‘Questo va a mangiare con i peccatori, parla con le prostitute….’. Gesù chiama tutti! Ricordiamo quella parabola delle nozze del figlio: quando gli invitati non sono venuti, cosa fa il padrone di casa? Invia i suoi servi: ‘Andate e portate a casa tutti! Buoni e cattivi’, dice il Vangelo. Gesù ha scelto tutti!”.

Gesù – ha proseguito – ha scelto anche Giuda Iscariota, “che divenne il traditore… Il peccatore più grande per Lui. Ma è stato scelto da Gesù”. Poi c’è il terzo momento: “Gesù vicino alla gente”. In tantissimi vengono “per ascoltarlo ed essere guariti dalle loro malattie. Tutta la folla cercava di toccarlo” perché “da Lui usciva una forza che guariva tutti”. Gesù è in mezzo al suo popolo:

“Non è un professore, un maestro, un mistico che si allontana dalla gente e parla dalla cattedra, lì. No! E’ in mezzo alla gente; si lascia toccare; lascia che la gente gli chieda. Così è Gesù: vicino alla gente. E questa vicinanza non è una cosa nuova per Lui: Lui la sottolinea nel suo modo di agire, ma è una cosa che viene dalla prima scelta di Dio per il suo popolo. Dio dice al suo popolo: ‘Pensate, quale popolo ha un Dio così vicino come Io sono con voi?’. La vicinanza di Dio col suo popolo è la vicinanza di Gesù con la gente”.

“Così è il nostro Maestro, così è il nostro Signore – ha concluso il Papa -: uno che prega, uno che sceglie la gente e uno che non ha vergogna di essere vicino alla gente. E questo ci dà fiducia in Lui. Ci affidiamo a Lui perché prega, perché ci ha scelto e perché ci è vicino”.

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Messaggio del Papa ai familiari di Steve Joel Sotloff

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Papa Francesco ha inviato un messaggio ai familiari di Steven Joel Sotloff, il secondo giornalista statunitense decapitato dai jihadisti del sedicente Stato Islamico (Is). Il Pontefice, nel messaggio a firma del cardinale segretario di Stato e datato 5 settembre, esprime il suo profondo dolore per la "tragica morte” del reporter, affidando la sua anima al Signore e assicurando le sue preghiere per quanti lo piangono.

Il Papa lancia un appello a “tutte le persone a rifiutare la violenza, l'aggressione e la mancanza di compassione e chiede a ognuno di pregare e lavorare per il perdono, la guarigione e la pace".

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Sinodo sulla famiglia: 253 i partecipanti, tra loro anche 14 coppie di sposi

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Saranno 253 i partecipanti al terzo Sinodo straordinario sulla famiglia, in programma in Vaticano dal 5 al 19 ottobre. Tra loro, anche 14 coppie di sposi, suddivise tra esperti e uditori. Lo rende noto la Segreteria generale del Sinodo, che oggi ha diffuso l’elenco ufficiale dei partecipanti ai lavori. Ce ne parla Isabella Piro:

“Sinodo” vuol dire “camminare insieme”: ecco, allora, che dai cinque continenti la Chiesa universale si mette in cammino verso la sede di Pietro per riflettere su “Le sfide pastorali sulla famiglia nel contesto dell’evangelizzazione”. 253 i partecipanti al Sinodo, il terzo straordinario nella storia dell’Assemblea, dopo quelli del 1969 e del 1985, dedicati  rispettivamente al rapporto tra Conferenze Episcopali e collegialità dei vescovi ed all’applicazione del Concilio Vaticano II.

Nello specifico, i Padri Sinodali saranno 191, tra cui 25 capi dicastero della Curia e 114 presidenti di Conferenze episcopali: 36 dall’Africa, 24 dall’America, 18 dall’Asia (per la Cina, ci sarà l’arcivescovo di Taipei, mons. Shan-Chuan), 32 dall’Europa, tra cui il cardinale italiano Angelo Bagnasco, e 4 dall’Oceania.

62 saranno gli altri partecipanti, inclusi 8 delegati fraterni: tra loro, anche Hilarion, presidente del Dipartimento per le relazioni esterne del Patriarcato di Mosca. Dalle Chiese Orientali arriveranno tredici esponenti, provenienti anche da Paesi in conflitto, come l’Iraq e l’Ucraina, rappresentati dal Patriarca caldeo Louis Sako e dall’arcivescovo maggiore greco-cattolico Shevchuk. Tredici, inoltre, le coppie di coniugi che faranno parte dei 38 uditori, con diritto di parola ma non di voto in Aula; altri due consorti rientrano, invece, tra i 16 esperti, ovvero i collaboratori del Segretario speciale. Tra i membri di nomina pontificia, è presente il padre gesuita Antonio Spadaro, direttore della rivista dei gesuita “La Civiltà Cattolica”.

Durante le due settimane di lavori, i partecipanti all’Assemblea rifletteranno sul Documento di lavoro diffuso a giugno scorso. Lo scopo, spiega il card. Lorenzo Baldisseri, segretario generale del Sinodo, è quello di “proporre al mondo odierno la bellezza e i valori della famiglia, che emergono dall’annuncio di Gesù Cristo che dissolve la paura e sostiene la speranza”.

Come già annunciato dal Consiglio ordinario del Sinodo, i lavori seguiranno una nuova metodologia interna, per favorire una partecipazione più dinamica dei Padri sinodali. Si compiranno i passi necessari - spiega ancora il card. Baldisseri – “per emendare norme o eventualmente mettere mano ad una vera e propria ristrutturazione dell’organismo sinodale”. Non si prevedono documenti finali al termine di questa Assemblea straordinaria: essa, infatti, è solo la prima tappa di un percorso che si concluderà nel 2015, quando dal 4 al 25 ottobre si terrà il 14.mo Sinodo generale ordinario sul tema “Gesù Cristo rivela il mistero e la vocazione della famiglia”.

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Sinodo. Mons. Forte: grande desiderio di famiglia, nonostante crisi e ferite

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Per un commento sui partecipanti al Sinodo straordinario sulla famiglia, in particolare sulla presenza di 14 coppie di coniugi, Isabella Piro ha intervistato mons. Bruno Forte, arcivescovo di Chieti-Vasto e segretario speciale dell’Assemblea: 

R. - Parlando della famiglia, i protagonisti primi che hanno esperienza di essa e che possono dunque contribuire a discernere vie adeguate per proporre, con nuovo slancio e nuova attrazione, il Vangelo della famiglia sono proprio quelli che la vivono in prima persona come le coppie, come i coniugi e come i genitori. Dunque è una scelta che guarda alla famiglia non solo come ad una destinataria dell’attenzione che la Chiesa ed il Sinodo avranno verso i suoi problemi, ma anche come ad un soggetto, un protagonista diretto nella ricerca di prospettive e soluzioni adeguate.

D. - Durante il Sinodo si seguiranno nuove modalità di lavoro…

R. - Papa Francesco ha più volte ribadito di credere fortemente nel valore della collegialità, di volere promuovere, sollecitare il consiglio e il contributo dei vescovi di tutto il mondo nel discernimento di linee adeguate ad affrontare le sfide del nostro presente. Dunque una struttura, quella sinodale, che dovrà caratterizzarsi sempre più come luogo di esercizio effettivo della collegialità. Ecco perché il lavoro dovrà essere, in una prima settimana, soprattutto di dialogo a tutto campo sui temi di fondo che interessano oggi la famiglia e anche l’esperienza della separazione, del divorzio, eccetera; e poi, nella seconda settimana, si lavorerà all’indicazione di proposte che potranno portare non solo un messaggio alla Chiesa, ma anche, nell’anno che separa dall’Assemblea ordinaria del 2015, le soluzioni, le indicazioni, le riflessioni da presentare al Santo Padre.

D. - Lei sarà segretario speciale di questa assemblea straordinaria: come ha accolto questa nomina e come porterà avanti questo incarico?

R. - Con grande senso di responsabilità nei confronti delle attese anzitutto del Santo Padre e poi della Chiesa tutta, e nella profonda umiltà di sapere che il vero lavoro lo fa lo Spirito Santo, attraverso i Padri Sinodali in comunione con il Successore di Pietro.

D. - A Suo parere, qual è l’immagine della famiglia che emerge con più rilevanza dall’Instrumentum Laboris di questo Sinodo?

R. - Il primo dato è che, in un momento in cui si parla di crisi dell’istituto familiare, c’è - specialmente tra i giovani - un grande desiderio di famiglia, di relazioni autentiche, in cui potersi liberamente esprimere e in cui poter maturare anche il proprio cammino di vita, di formazione, di maturazione umana, spirituale e intellettuale. Quindi la famiglia è avvertita come un bene desiderato. Contemporaneamente, però, ci sono poi tante situazioni di crisi, soprattutto nei Paesi dell’Occidente - nel Nord e Sud America, ma anche in Europa - che riguardano l’istituto familiare: aumenta il numero delle coppie di fatto, aumentano le situazioni di separazione e di divorzio. Ora, su tutto questo, si posa certamente lo sguardo della misericordia di Dio, che ama tutti i suoi figli. Ed ecco allora la grande sfida del Sinodo: come tradurre questo sguardo di misericordia nelle scelte pastorali della Chiesa.

D. – Per il 28 settembre è stata indetta una Giornata di preghiera per il Sinodo: questo ci ricorda anche l’importanza spirituale di questa Assemblea…

R. - Proprio il fatto che Papa Francesco abbia voluto anche questa mobilitazione nella preghiera ci fa capire quanto gli stia a cuore questo Sinodo, quanto egli metta in luce come il protagonista del Sinodo dovrà essere lo Spirito Santo, che dovrà illuminare i Padri e aiutarli ad arrivare a proposte credibili, affidabili per il bene della Chiesa e della famiglia.

D. - Questo Sinodo straordinario è solo la prima tappa di un percorso che si concluderà nel 2015. Quali sono, quindi, i suoi auspici per queste due Assemblee sinodali?

R. - Il mio auspicio fondamentale è che si possano trovare vie per mostrare sia alle famiglie felici e unite, sia alle famiglie ferite, sia agli stessi divorziati e risposati, il Vangelo, cioè la Buona Novella dell’amore di Dio e della sua misericordia. La Chiesa non è altro che lo strumento che deve attualizzare, nell’oggi e nel tempo, il dono dell’infinita misericordia che c’è stata fatta in Gesù Cristo. Questa mediazione fra la salvezza e la storia è la sfida che noi dobbiamo assumere e certamente non è facile, ma sicuramente il Signore non ci fa mancare il suo aiuto.

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Ecumenismo e lotta alla tratta nell'incontro del Papa con il St. Peter’s Cricket Club

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Papa Francesco ha ricevuto, in forma privata a Santa Marta, un gruppo di sacerdoti e seminaristi del St. Peter’s Cricket Club, provenienti da diverse Università e Collegi Pontifici a Roma, che il 19 settembre prossimo affronteranno a Canterbury una squadra della Chiesa d'Inghilterra. L’iniziativa ecumenica, promossa dal Pontificio Consiglio della Cultura d’intesa con l’appoggio dell’arcivescovo di Canterbury, si svolge nell’ambito di un pellegrinaggio intitolato “La luce della Fede”. La partita, per volontà di Papa Francesco, sarà occasione per una raccolta fondi che saranno impiegati per la lotta alla tratta e alla schiavitù. Per la prima volta, dunque, Papa Francesco ha benedetto una squadra di Cricket. Ascoltiamo mons. Melchor Sànchez de Toca, sottosegretario del Pontificio Consiglio della Cultura, al microfono di Philippa Hitchen

R. – L’ha fatto con una squadra di calcio in occasione della partita interreligiosa per la pace. Ora, il cricket è lo sport più popolare nel subcontinente indiano. Se la Chiesa è cattolica, è cattolica anche dal punto di vista sportivo, è aperta a tutti gli sport.

D. – Anche se il Papa forse non conosce bene le regole del gioco, comunque è interessato a qualsiasi iniziativa che promuova questo spirito di incontro…

R. – Non solo il Papa, probabilmente in Vaticano sono pochissimi a sapere come si gioca una partita di Cricket… Però lo sport, qualsiasi sport ha un potenziale educativo, culturale e spirituale. E per questo il Pontificio Consiglio della Cultura promuove anche la pratica dello sport popolare, lo sport per tutti.

D. – Al centro di questa iniziativa del St. Peter’s Cricket Club, c’è anche un’importante dimensione ecumenica…

R. – E’ una nuova forma di ecumenismo, attraverso lo sport, in un dialogo simpatico, usando il fair play, uno sport che vorremmo estendere anche a studenti o formazioni simili di altre confessioni. Per esempio, sarebbe un sogno giocare contro studenti di una madrasa (scuola musulmana, ndr), studenti del mondo islamico che vogliano incontrarsi con noi sul terreno di gioco.

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Tweet del Papa: fedeltà di Dio è più forte dei nostri tradimenti

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Il Papa ha pubblicato un nuovo tweet sull’account @Pontifex: “La fedeltà di Dio è più forte delle nostre infedeltà e dei nostri tradimenti”.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Scenari per il futuro: in prima pagina Lucetta Scaraffia su identità femminile, crisi della famiglia, tecnoscienze.

Da tutto il mondo: i nomi dei partecipanti alla terza assemblea generale straordinaria del Sinodo dei vescovi, con una presentazione del cardinale Lorenzo Baldisseri.

Senza lavoro: nell'informazione internazionale, la crisi occupazionale globale secondo uno studio pubblicato dalla Banca mondiale.

Unanime cordoglio per le tre suore uccise: fermati due sospetti per il delitto nella capitale burundese Bujumbura.

Speranze flebili per la pace in Somalia: Pierluigi Natalia sulla nuova recrudescenza del conflitto.

Verso un mondo migliore: celebrata in Argentina la Giornata del migrante.

Quando la fede soccorre la ragione: Rosino Gibellini ricorda il teologo Wolfhart Pannenberg.

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Oggi in Primo Piano



Suore uccise in Burundi. P. Marano: testimonianza dà fastidio, ma è seme di vita

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Le tre suore saveriane uccise in Burundi saranno sepolte nei pressi della città di Bukavu, nell’Est della Repubblica Democratica del Congo, nel cimitero di Panzi, vicino ad altri missionari che sono morti o sono stati uccisi in questa regione. Le prime celebrazioni si apriranno domani mattina alle nove a Bujumbura; le salme saranno poi trasportate giovedì mattina a Bukavu, passando per Luvungi. In questa missione, dove le suore hanno speso parte della loro opera missionaria, si sta preparando una lunga Veglia notturna per celebrare la loro presenza instancabile in favore delle comunità locali. Papa Francesco, nel suo messaggio di cordoglio, ha ricordato il loro amore per l’Africa, auspicando che il “sangue versato” sia “seme di fratellanza”. Proprio sui frutti che possono nascere dalla testimonianza, semplice ed eroica, delle tre suore, Alessandro Gisotti ha raggiunto telefonicamente a Bujumbura il missionario saveriano padre Claudio Marano, da oltre 20 anni in Burundi come responsabile del Centro giovanile di Kamenge: 

R. – Sembrerà strano, ma meritiamo lo stesso trattamento che merita la gente. Siamo talmente inseriti, con i nostri fratelli del Burundi, che meritiamo lo stesso trattamento che è riservato alla gente. Qui è giornaliero il fatto che c’è gente che sparisce, gente che si trova nel lago, gente che non ha futuro, gente che viene messa in prigione perché dice una parola, gente che viene obbligata a dire cose che non sono poi vere, etc. E questo avvenimento ci porta ancora a questo fatto: al fatto che noi stranieri, noi fratelli, noi che siamo qui, che viviamo qui con loro, noi abbiamo meritato e meritiamo lo stesso trattamento che è riservato alla popolazione. Sono cose che fanno pensare parecchio, fanno pensare alla gente del Burundi. Dobbiamo arrivare assolutamente alla pace, dobbiamo far sì che tutti quanti siamo pronti anche a dare il sangue per arrivare alla pace.

D. – Papa Francesco nel messaggio di cordoglio per le tre missionarie diceva: “Questo sangue sia seme di fratellanza”…

R. – Esattamente, questo è il messaggio che viene dato. Io vivo con i giovani qui al Centre Jeunes Kamenge e sono migliaia ogni giorno che vengono, qui, e sono attoniti per questo avvenimento. Ma nello stesso tempo li vedo sufficientemente sereni. Io parlo spesso del fatto di donare la propria vita per migliorare il mondo. Bisogna arrivare a questa conclusione perché se abbiamo paura, se non parliamo, se non agiamo, etc., etc., non riusciremo mai a risolvere il problema. Il dono di queste tre sorelle è molto grande. Chi è stato? Sono ancora tutte cose da chiarire e non verranno mai chiarite, passati cinque minuti ritorna tutto nella normalità. Si tratta di tre sorelle che hanno vissuto, dato la loro vita per l’Africa. Tre sorelle che erano anziane, che non facevano niente, nel senso che non avevano un compito specifico ma avevano il servizio di andare a trovare gli ammalati, il servizio della carità, il servire alla parrocchia e davano tutte loro stesse ed erano tutto il giorno in giro a fare qualcosa. E sono state ammazzate. Anche noi è capitato abbastanza spesso che gli animatori sono stati ammazzati da gente che era loro amica, da pazzi, che poi quando era il momento di riuscire a scoprire il mandante nessuno mai l’ha scoperto. Perché ci sono dei mandanti, perché durante la guerra qui si tace del divertimento di partire dal centro città, di andare nei quartieri a pagare una persona o l’altra per far fuori una persona o l’altra. E’ così.

D. – E’ già solo la presenza, già solo la testimonianza che fa scandalo e dà fastidio a molti?

R. – Esattamente. Perché testimoniare la pace, vivere la fraternità dà fastidio. In un Paese dove oggi, per esempio, chi è al governo non vuole parlare con l’opposizione, l’opposizione non vuole parlare con il governo e tutti quanti ne soffrono e le prigioni sono piene, la gente scappa all’estero, in un Paese così, ci sono persone che perdono la loro vita, che danno la loro vita, che sono là, presenti, per parlare di pace. “Rompono le scatole”, chiaramente. Noi qui nei quartieri nord siamo veramente visés (puntati), nel senso che siamo lì, siamo 10, 12 bianchi in mezzo a quartieri talmente poveri, talmente umili e talmente disagiati, che qualcuno, se potesse prenderci e tirarci col kalashnikov, lo farebbe volentieri.

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La tragica lista degli operatori pastorali uccisi nel mondo

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La tragica vicenda delle tre religiose uccise in Burundi richiama il sacrificio di decine di operatori pastorali nella Chiesa cattolica, che ogni anno perdono la vita nel mondo a motivo della loro fede e del loro generoso impegno per gli altri. Il servizio di Roberta Gisotti: 

Sono già 18 in questo anno 2014 i sacerdoti, religiosi e religiose, laici e laiche uccisi nel mondo. La triste lista è documentata da Fides, l'agenzia delle Pontificie opere missionarie. Sette sono morti in Africa, nella Repubblica Centrafricana, Sudafrica, Tanzania, e le ultime tre vittime in Burundi; sei hanno perso la vita in America, negli Usa, in Canada, Venezuela e Nicaragua; uno in Europa, in Italia; due in Asia, in Siria e Malaysia; due in Oceania, in Papua Nuova Guinea. Nello scorso anno 2013 erano stati in tutto 22 gli operatori pastorali assassinati, un numero doppio rispetto al 2012. Dati in allarmante crescita. Se guardiamo al solo Burundi troviamo fra le vittime: il cooperante italiano Francesco Bazzani ucciso durante una rapina insieme alla suora croata Lukrecija Mamic, nel 2011; la giovane coppia burundese Jerome - collaboratore di padre Claudio Marano - e la moglie Joelle, all’ultimo mese di gravidanza, uccisi nel 2007; e poi il nunzio apostolico, mons. Michael Courtney, irlandese, morto in seguito ad un agguato mortale nel 2003, e nello stesso anno, fratel Antonio Bariggia, ammazzato per un paio di sandali; e ancora i padri saveriani Aldo Marchiol e Ottorino Maule ammazzati insieme alla volontaria trentina Catina Gubert nel 1995. Massima parte delle vittime perde la vita in contesti di povertà, miseria umana e degrado sociale e gli assassini sovente rimangono impuniti.

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Il Patriarca Sako: intervento internazionale, da soli non ce la facciamo

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Il patriarca di Babilonia dei Caldei Louis Raphaël I Sako è intervenuto all’incontro promosso dalla Comunità di Sant’Egidio ad Anversa, in Belgio. Ha parlato della fede forte dei cristiani iracheni, che resiste nonostante le persecuzioni. Francesca Sabatinelli lo ha intervistato: 

R. - Siamo forti, perché per noi la fede, il credere non è una ideologia, non è una speculazione. Credere è amare! E questo è diverso. Qui, purtroppo, la gente pensa che la religione sia fuori tempo. Questo vuoto qui è molto pericoloso per noi. La gente ci dice che il cristianesimo in Occidente è finito: ma non è vero! Sono scandalizzati. Dicono: “Allora il cristianesimo non è una vera religione … E’ l’Islam. Bisogna islamizzare il mondo”. Penso che anche questi giovani fondamentalisti jihadisti che arrivano dall’Occidente per entrare nell’Is e in altri gruppi siano più pericolosi degli arabi, perché loro cercano un ideale, formare uno Stato islamico con una morale e un ideale.

D. - Come si risponde a questo? Con l’invito al dialogo e alla pace, così come si sta indicando qui ad Anversa…

R. - Ci sono due livelli. Quando parliamo della pace capiamo che cosa è la pace e il dialogo. Ma l’altro deve sapere, deve essere cosciente che cosa vuole dire dialogo e pace; deve impegnarsi non solo con le parole, ma nel concreto. Purtroppo, talvolta, alcuni usano un doppio linguaggio: “la nostra religione (musulmana, ndr) – dicono - è la religione della pace e della tolleranza…”. Ma bisogna leggere in maniera simbolica e mettere le cose nel contesto storico: oggi non si possono prendere le cose e attuarle alla lettera, perché il contesto è cambiato. Come noi facciamo con la Bibbia. C’è una interpretazione, un’esegesi, e loro devono fare questo per la formazione nelle scuole e per la formazione di una nuova generazione, altrimenti l’Islam non ha futuro: devono capire dove stanno andando. Dappertutto ci sono problemi, violenza … e i cristiani vanno via. E dopo questi jihadisti andranno ad uccidere i loro fratelli. Già lo fanno. Penso che il mondo musulmano sta vivendo una crisi.

D. - Il mondo musulmano che è qui, però, all’incontro di Sant’Egidio parla con altre parole: chiede l’incontro, ripudia la violenza…

R. - Non sono realisti! Devono avere il coraggio di dire le cose come sono e cercare soluzioni. Loro devono imparare dalla nostra esperienza: se l’Islam vuole essere accettato e avere un avvenire, deve essere aggiornato. Oggi, con questa mentalità, con questa ideologia che combatte la vita e la cultura, il realismo dov’è?

D. - Però oggi l’Islam dell’Is come lo si ferma?

R. - E’ appoggiato da tanti: dunque hanno soldi, tanti soldi; hanno armi sofisticate; hanno molti militari. Da dove vengono? Perché? Cosa vogliono? Cosa hanno fatto i cristiani? I cristiani del Medio Oriente hanno contribuito molto, molto, alla cultura araba e musulmana. Bisognerebbe rieducare la gente a vivere insieme, in convivenza, con responsabilità, con rispetto. La cittadinanza? Non c’è! Quello che adesso gioca di più è la religione! La prima religione, la seconda o la terza religione… E questo non è giusto!

D. - La Stato iracheno come si comporta nel proteggere i suoi cittadini cristiani? Ritiene davvero che ci sia bisogno di una protezione internazionale?

R. - Ci vuole un intervento militare internazionale, prima di tutto. Il governo centrale è incapace, perché adesso non controlla che la metà del Paese: controlla Baghdad e il sud; ma Mosul, Ramadi, il Kurdistan? C’è un esercito di professionisti, ci sono tante milizie… Tutto è settario. L’Is è uno Stato molto forte, ben preparato e hanno le armi… Non possiamo riuscire da soli!

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Andrea Riccardi: no alle guerre di religione, attenti ai "semplificatori"

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Ad Anversa si sono levate le voci di dolore dei cristiani, degli yazidi, dei caldei, dei siriaci: di fronte al dramma delle guerre resta ferma la centralità delle religioni che devono stare insieme. E’ l’appello del fondatore della Comunità di Sant’Egidio, Andrea Riccardi, al termine del 28.mo Incontro per la pace tra le religioni mondiali, in corso in Belgio. Stasera, la cerimonia di chiusura con la lettura dell’appello di pace firmato da tutti i leader religiosi. La nostra inviata, Francesca Sabatinelli

Il mondo globale non è adatto ai terribili semplificatori; ciò che accade non è jihad contro crociate. Ciò che accade – i conflitti, la violenza – è complesso e articolato e richiede uno sforzo di comprensione e adattamento. Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant’Egidio, fa il bilancio dell’appuntamento tra le religioni ad Anversa ribadendo come proprio le guerre in atto, citando Medio Oriente e Nigeria, ci debbano portare ad avere un atteggiamento più intelligente:

“I terribili semplificatori sono quelli che lavorano poi sulla paura, sono i fondamentalisti, sono i terroristi ma sono anche quelli che non vogliono faticare a capire, faticare a incontrare. Stiamo attenti ai terribili semplificatori, perché seminano nella loro irresponsabilità. E qui c’è una grande responsabilità della cultura, dei media, della politica di spiegare che il mondo è complesso, che non si può essere ignoranti in un mondo come questo. Il messaggio che è uscito da queste tavole rotonde è: la pace dev’essere molto concreta, si deve fondare sulla realtà: quindi, basta alle semplificazioni. E poi, noi non rinunciamo alla speranza di pace perché siamo credenti: credenti di tutte le religioni. Ma non ci rinunciamo perché conosciamo la storia, e perché la storia degli ultimi decenni mostra che ogni volta che si è fatta la guerra, la situazione è sempre stata peggiore”.

Il fondatore di Sant’Egidio va con il pensiero agli “amici” rapiti in Siria: ricorda i due vescovi ortodossi, il padre gesuita Dall’Oglio, le due cooperanti italiane. “Siamo sensibili al loro dramma”, dice, però poi sottolinea come siano soprattutto i musulmani a essere uccisi dai musulmani. L’alleanza tra ignoranza e miseria provoca il fanatismo, prosegue; basta, quindi, parlare di guerre di religioni: sono guerre confessionali, nazionaliste, infra-religiose. Fa il riferimento alla violenza tra due “popoli fratelli”, ucraini e russi, una guerra non tra cattolici e ortodossi ma di chiaro stampo nazionalista, e poi precisa: “Dobbiamo scoprire e mettere in luce le ragioni politiche, concrete, e poi l’utilizzazione della religione come l’ultima ideologia vivente”.

Riccardi poi ritorna alla proposta di una Onu delle religioni, così come formulata dall’ex presidente israeliano Shimon Peres al Papa. Significa creare una nuova istituzione che segni la centralità delle religioni e il contatto permanente a livello globale e locale tra le fedi. “Mai soli!”, è l’appello di Riccardi all’Europa, alla quale si chiede un ruolo attivo e soprattutto di riavviare il dialogo con le istituzioni religiose. In questo scenario è dunque attuale lo spirito di Assisi? “Sì”, dice Riccardi, ripensando però il rapporto tra le religioni in una situazione di grande conflitto.

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Rinviato processo Asia Bibi. P. Bhatti: giudici trovino coraggio, serve giustizia

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E' stato rinviata al 16 ottobre l'udienza nel processo a carico di Asia Bibi, la donna pachistana che da 5 anni è in carcere perché accusata di blasfemia, e purtroppo non è l’unica in una situazione di questo tipo. Dati recenti parlano di circa 400 casi, di questi il 20-25% coinvolge cristiani: si tratta di una percentuale molto alta in un Paese a maggioranza musulmana. I legali di Asia Bibi sono comunque ottimisti perché, nonostante l’assenza degli avvocati dell’accusa, ora si procederà con le argomentazioni finali in forma scritta. Al microfono di Benedetta Capelli, l’ex ministro cristiano pachistano Paul Bhatti, fratello di Shahbaz ucciso dagli integralisti islamici: 

R. – Chiaramente ogni volta che c’è una sentenza, c’è anche la speranza che magari venga fatta giustizia. Allora anche in questo caso si sospettava che venisse rinviata ma speriamo intanto che succeda qualcosa di positivo nelle prossime udienze. Nel Paese anche la giustizia è sotto pressione ma questo non giustifica il fatto che persone, come Asia Bibi, non debbano avere giustizia. Finché non ci sarà giustizia e uguaglianza anche per le minoranze, finché non ci sarà libertà religiosa in Pakistan, il Paese non potrà mai avere serenità e armonia. Sono molto dispiaciuto che non si riesca ad uscire da questa condizione nella quale le autorità politiche e gli estremisti fanno sentire la loro pressione sulla giustizia. Questo è triste, molto triste.

D. – C’è comunque un aspetto positivo in questo rinvio, perché una possibilità affinché questo processo giunga al termine c’è …

R. – Sì, penso di sì. Si sta discutendo: penso che ci siano abbastanza pressioni sullo Stato, sulla giustizia, adesso che la forza degli estremisti sta diminuendo un po’. E’ stata fatta un’operazione nel Nord del Pakistan, nel corso della quale sono state distrutte tantissime fabbriche di estremisti che producevano armi, di terroristi che le usavano in nome della religione... La loro forza in Pakistan è comunque diminuita drasticamente nelle ultime due, tre settimane; perciò, può pure darsi che questa situazione possa portare giustizia e anche più coraggio nei giudici in Pakistan, specialmente per coloro che seguono casi come quello di Asia Bibi.

D. – Un caso, non dobbiamo dimenticare, dietro al quale c’è il dolore di una donna, il dolore di una famiglia, c’è il dolore di una madre...

R. – Sono quasi cinque anni che ormai sta andando avanti il processo. I sacrifici sono stati tantissimi: quello di mio fratello, quello del governatore del Punjab … Inoltre, ci sono stati interventi della comunità internazionale, non solo per Asia Bibi come persona, ma come simbolo. E’ un donna che ha subito violenza, una persona povera; questo va contro ogni diritto fondamentale dell’essere umano e non può succedere. Anche supponendo che questa possa essere la verità, c’è anche il perdono nell’islam, l’islam è comunque una religione di riconciliazione.

D. – Ci sono voci di sostegno da parte dei leader islamici per quanto riguarda la vicenda di Asia Bibi ma anche per quanto riguarda la vicenda di tante altre persone che sono accusate ingiustamente di blasfemia?

R. – Sì, ci sono ma per qualche motivo non parlano. Nel 1992 la Corte della Sharia aveva deciso che la legge sulla blasfemia era anti islamica. Successivamente, tantissimi musulmani che ho incontrato quando ero al governo sostenevano queste politiche, sostenevano che questa legge sbagliata.

D. – Oggi, il Pakistan sta vivendo un momento di particolare tensione politica. Questo è un pericolo per le minoranze religiose? Oggi come vivono queste minoranze nel Paese?

R. – Come moltissime persone che sperano in un miglioramento, in un cambiamento in Pakistan. Ci sono gruppi che protestano davanti al Parlamento chiedendo le dimissioni dell’attuale primo ministro e un nuovo cambiamento … Del resto, se il Paese soffre, chiaramente, i cristiani, i poveri e gli emarginati soffrono molto di più. Non so se quello che stiamo vedendo sia del tutto negativo, o se possa invece essere un cambiamento per portare in Pakistan la pace ed i diritti uguali per tutti.

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La tragedia aerea in Ucraina non è stata per errore umano

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Il volo Mh17 della MA precipitato in Ucraina il 17 luglio fu colpito da "numerosi oggetti" che hanno "perforato l'aereo ad alta velocità". E' quanto afferma il rapporto  preliminare sull'incidente, diffuso dal Board olandese per la Sicurezza. A quanto si legge "non vi sono prove di errore tecnico o  umano". La notizia arriva mentre regge sostanzialmente il cessate il fuoco entrato in vigore, venerdì scorso, tra Kiev ed i separatisti filo-russi pur con alcune gravi violazioni. Quattro soldati ucraini sono stati uccisi nell'Est del Paese e i militari di Kiev denunciano colpi di mortaio e razzi da parte di filorussi sull'aeroporto di Donetsk. In ogni caso, i presidenti di Kiev e Mosca, Petro Poroshenko e Vladimir Putin, fanno sapere che continuano a "discutere dei prossimi passi per facilitare una soluzione pacifica della crisi nel Sud-Est dell’Ucraina". Da parte sua, l’Ue ha varato nuove sanzioni contro la Russia ma le ha congelate in attesa di sviluppi sulla tregua. Una nuova riunione degli ambasciatori dei 28 governi della Ue è stata convocata domani. Per una valutazione di questo momento nella crisi ucraina, Fausta Speranza ha intervistato Aldo Ferrari, docente di storia della Russia e dell'Europa orientale all'Università Ca' Foscari di Venezia: 

R. – Sicuramente in questo momento ci si studia. Si è arrivati ad una situazione di compromesso: la controffensiva dei separatisti, appoggiati da Mosca, ha restituito una sorta di equilibrio e adesso si può trattare; mentre, circa un mese fa, sembrava che la Russia stesse perdendo completamente la faccia in Ucraina. Adesso la situazione è più equilibrata e si può trattare. Speriamo che questa tregua vada in porto; non è la prima volta che si spera che la situazione possa migliorare, ma c’è poca buona volontà da tutte le parti, non solo da parte della Russia e dell’Ucraina. È comunque una situazione migliore di quella che si registrava un mese fa.

D. – E’ possibile ragionare sui concreti passi che si possono fare per costruire una pace e una situazione di svolta?

R. – Bisognerebbe che tutte le parti si sedessero seriamente a un tavolo, non come è già stato fatto - in maniera formale - ma in maniera sostanziale, per stabilire quello che va fatto di questo Paese - l’Ucraina - a prescindere dalla retorica internazionale, basandosi molto sulla realtà della situazione, sulla realtà del campo, sulla situazione effettiva delle forze contrapposte. Se ci fossero equilibrio e buona volontà e soprattutto la consapevolezza che ognuna delle parti - sia quelle direttamente coinvolte, che agenti esterni - deve sacrificare qualcosa, perché non si può pretendere di avere tutto, allora questa sarebbe una svolta, sarebbe l’inizio di una effettiva soluzione della situazione.

D. – Ci sono però dei rischi a protrarre troppo a lungo questa situazione sospesa?

R. – I rischi ci sono ma d’altra parte la situazione è già molto tesa, è rischiosa: il rischio che i rapporti tra la Russia e l’Occidente continuino a deteriorarsi è reale, il rischio di una ripresa del conflitto militare è reale; e - ancora più in là - il rischio che questo conflitto con l’Occidente spinga la Russia verso la Cina è reale, con un danno sia per la Russia che per l’Occidente. Siamo in una situazione davvero molto delicata: gli equilibri che avevano retto negli ultimi decenni stanno saltando e ci troviamo di fronte ad un momento di grande importanza storica. La situazione è complicata, ancora non si vede una via d’uscita ma credo che questa situazione di stallo possa, almeno potenzialmente, preludere ad un miglioramento della situazione.

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Sagra musicale umbra. Intervento di Galli della Loggia sulla libertà

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Dalle mutevoli e violente aggregazioni armate, che hanno reso il Medio Oriente una delle zone più instabili e insanguinate del pianeta, alla forza più sfumata ma non meno pericolosa di chi impone come inoppugnabile la “verità” della scienza e della tecnica. Hanno molte facce, oggi, i nemici della libertà. Un concetto di valore assoluto e variamente inteso sia in campo religioso che sociale e politico. Sul tema, lo storico Ernesto Galli della Loggia, tiene oggi una conferenza a Perugia, nell’ambito della 69.ma Sagra Musicale Umbra, dedicata proprio al tema della “libertà”. Alessandro De Carolis lo ha intervistato: 

R. – Sono tante le persone, le forze, le ideologie contro la libertà. Da un punto di vista storico, si possono vedere – e naturalmente c’è da fare una carrellata – tutti coloro che, alla fine degli ultimi tre secoli in vari modi si sono opposti allo stabilimento di regimi costituzionali e liberaldemocratici, che oggi noi reputiamo essere quelli che hanno garantito storicamente la maggiore espansione della libertà in tutti i sensi. Oggi, i nemici della libertà sono sostanzialmente gli stessi: hanno nomi diversi e soprattutto collocazioni geografiche diverse. Possiamo dire che oggi i nemici della libertà sono soprattutto fuori dal contesto dell’emisfero Nord del pianeta, quindi soprattutto nel Sud del mondo e, a me sembra, che siano soprattutto – che non vuol dire esclusivamente – fuori dai confini euroatlantici, intesi in senso molto ampio. Perché si è contro la libertà? Si è contro la libertà per tantissimi motivi diversi e forse quello che più li riassume è il fatto di essere a favore di un’idea totalizzante che non lascia spazio in nessun modo alle dimensioni dell’individuo, delle scelte dell’individuo. Per fare un esempio: chi è dell’idea che se si nasce in una religione si deve restare per forza, tutta la vita, di quella religione – altrimenti si è colpevoli di apostasia e quindi si può essere puniti con la morte – questo è un nemico della libertà.

D. – Nel mondo di oggi, sempre più interconnesso, quali cambiamenti più evidenti al concetto di libertà lei ha riscontrato rispetto all’epoca, per così dire, “pre-globalizzata”?

R. – Oggi, ci sono vari nemici della libertà, sorti negli ultimi 20-30 anni, che prima non esistevano, o esistevano in maniera molto più attenuata. Il radicalismo religioso, che spesso ricorre al terrorismo e alla guerra, è senz’altro un nemico della libertà e questo sicuramente 30 anni fa esisteva in misura molto limitata. Ci sono però altri nemici più interni alle nostre società. Io, per esempio, penso che un nemico della libertà sia la “dittatura degli esperti”, coloro cioè che ci vogliono far credere che non c’è posto per la discussione su alcune cose perché la tecnica, la scienza hanno già deciso quale sia la verità. Da questo punto di vista l’accoppiata scienza-tecnologia – quella che si chiama anche “tecno-scienza” – oggi può essere considerata nelle nostre società uno dei pericoli significativi della libertà. Anche perché spesso si accompagna a quello che viene definito il “politicamente corretto”, cioè: è politicamente corretto – quindi accettato, convalidato dal consenso sociale – pensare come dicono gli esperti e questo pone un fortissimo vincolo di tipo socioculturale all’esercizio della libertà di pensiero.

D. – Torniamo a quelle forze totalizzanti che negano la libertà dell’individuo. Il confronto aspro con questo radicalismo di tipo integralista, religioso, armato, sta in qualche modo ripercuotendosi sul pensiero occidentale? Cioè, sta in qualche modo condizionandole in quelle che erano le sue convinzioni precedenti?

R. – Io direi che, forse proprio il confronto così aspro e cruento con queste forze di estremismo religioso radicale, sta portando a riconsiderare i fondamenti cristiani della libertà che si praticano nei Paesi dell’Occidente, di cui però le nostre società si erano alquanto dimenticate.

D. – I media hanno celebrato Papa Francesco come una voce di pace, forse l’unica vera, autorevole voce di pace: la pace che difende Papa Francesco può in qualche modo influire anche su quella che è la difesa del concetto, del pensiero di libertà?

R. – Penso che nelle intenzioni del Papa sicuramente sì. Il Papa quando parla di pace pensa a una pace con giustizia secondo il pensiero cristiano. Però, spesso poi la pace si stabilisce senza giustizia e questo naturalmente è il problema di chi cerca la pace.

D. – E quindi, ricercare la pace non significa necessariamente difendere la libertà...

R. – Lo può significare ma può anche non significarlo, dipende appunto dai contesti e dipende dalla capacità di portare avanti queste due cose che è difficilissimo, perché la libertà è qualcosa in fondo di più complesso della pace, un valore molto più complesso. Se in una guerra uno dei due contendenti vince, si ha una situazione di pace, la guerra cessa e quindi tecnicamente c’è la pace. Ma il vincitore può essere anche un nemico della libertà, allora si ha la pace ma non si ha la libertà.

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Nella Chiesa e nel mondo



Onu: 700 minori massacrati dagli islamisti dell'Is

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Dall'inizio dell'anno le milizie del sedicente Stato Islamico (Is) hanno massacrato o mutilato almeno 700 bambini in Iraq, uccidendoli nel corso di esecuzioni sommarie o sfruttandoli come kamikaze per operazioni di attacco. Lo ha denunciato Leila Zerrougui, rappresentante speciale delle Nazioni Unite per i bambini e i conflitti armati, durante un'audizione al Consiglio di sicurezza Onu. Minori fino a 13 anni sono sfruttati dai miliziani per trasportare armi, presidiare depositi, munizioni e postazioni strategiche, arrestare civili; altri ancora "sono usati in attacchi suicida".

L'alto funzionario - riferisce l'agenzia AsiaNews - aggiunge che altri 30 milioni di minori non hanno beneficiato del diritto allo studio a causa della guerra o delle epidemie scoppiate nel corso del conflitto. Tuttavia, le violenze contro i bambini non sono esclusiva dei miliziani perché, chiarisce il rappresentante speciale, bambini-soldato sono presenti fra le "milizie alleate al governo irakeno" in lotta contro l'Is.

I governi mondiali e le Nazioni Unite hanno a più riprese accusato i miliziani dello Stato Islamico di atrocità e crimini, dalla presa di Mosul e di gran parte del nord dell'Iraq nel giugno scorso. In precedenza, il nuovo Alto commissario Onu per i diritti umani Zeid Ra'ad Al Hussein aveva dichiarato che gli islamisti stanno creando una vera e propria "casa del sangue" nelle aree sotto il loro controllo.

Il mese scorso il Consiglio di sicurezza Onu ha adottato una risoluzione che mira a tagliare i fondi in denaro e i rifornimenti in armi e milizie allo Stato islamico; le atrocità commesse dai guerriglieri fondamentalisti potrebbero inoltre costituire un crimine contro l'umanità. La riunione dell'Onu era dedicata al tema dei bambini soldato, con una particolare attenzione a Paesi quali la Libia, l'Afghanistan, la Repubblica Centrafricana, il Mali e il Sudan del Sud. Nella sola Repubblica Centrafricana oltre 8mila bambini sono stati costretti a combattere dai vari gruppi armati in lotta fra loro.

Stime delle Nazioni Unite riferiscono che il mese scorso, in piena offensiva dell'Esercito Islamico, sono state uccise 1.420 persone; 1.370 sono i feriti. In un anno, almeno 1,6 milioni di irakeni sono sfollati a cause delle violenze; 850mila nel solo mese di agosto. Fra questi vi sono centinaia di migliaia di cristiani, migliaia di yazidi e di turcomanni cacciati dalle loro abitazioni sotto la minaccia di morte se non si convertivano all'islam radicale. (R.P.)

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Afghanistan: il gesuita indiano rapito "è vivo e al sicuro"

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Padre Alexis Prem Kumar, gesuita indiano rapito lo scorso giugno in Afghanistan, "è vivo e al sicuro. Siamo al lavoro per il suo rilascio". Lo ha dichiarato Sushma Swaraj, ministro indiano degli Affari esteri, rompendo così il silenzio sulle sorti del sacerdote.

Originario del Tamil Nadu, padre Prem Kumar è a capo della sezione afghana del Jesuit Refugee Service (Jrs). È stato sequestrato - riporta l'agenzia AsiaNews - il 2 giugno scorso nella provincia di Herat, in Afghanistan, da uomini armati non identificati.

In una lettera inviata nel giugno scorso al chief minister Jayalalithaa, il premier indiano Narendra Modi ha affermato che in questa fase la preoccupazione principale è assicurare l'integrità degli sforzi in corso per la liberazione di padre Kumar e "per essere certi che egli non sia ferito".

"Posso garantirle che il governo non risparmierà alcuno sforzo - aveva scritto Modi - affinché il rilascio di padre Kumar avvenga in fretta e in sicurezza. Continuerò a controllare la situazione da vicino". (R.P.)

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Sierra Leone: la voce della Chiesa per prevenire il contagio di Ebola

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“Ebola è un virus talmente virulento che non può essere trattato facilmente; solo gli esperti possono eseguire il test per identificare il virus e determinare lo stadio dell'infezione. Per questo la Chiesa cattolica, attraverso l’ufficio nazionale e quelli diocesani della Caritas, ha intrapreso un’opera di sensibilizzazione della comunità, dentro e fuori dalla Chiesa. Ciò include la sensibilizzazione della popolazione su Ebola, i suoi sintomi più evidenti, come si tramette da persona a persona e come può essere prevenuta. Anche noi vescovi siamo coinvolti. Ad esempio, ad ogni Messa io ho parlato dell'epidemia di Ebola, di come il virus si contrae e si trasmette, e sui metodi per mantenere al sicuro se stessi e gli altri”. E’ la testimonianza resa all’agenzia Fides da mons. Edward Tamba Charles, arcivescovo di Freetown, capitale della Sierra Leone, uno degli Stati africani più colpiti dal virus.

Secondo una delle ultime disposizioni, la popolazione dovrà rimanere in casa per quattro giorni, dal 18 al 21 settembre, per impedire l’ulteriore diffondersi dei contagi e monitorare la situazione.

Il comunicato del Ministero della Sanità locale, al 6 settembre riportava 260 casi di pazienti sopravvissuti e dimessi, 23 nuovi casi confermati, 414 morti, 1.234 casi confermati. Il Ministero informa inoltre che 16 delle 20 autoambulanze ordinate dal governo per fronteggiare le esigenze dell’emergenza sanitaria sono giunte nel Paese africano.

Operatori del Ministero della Salute e Igiene e dell'Unicef hanno illustrato ai leader religiosi le tecniche di base per evitare il contagio, questi a loro volta le hanno trasmesse ai membri delle rispettive comunità. Tra le precauzioni sono inclusi l’evitare i contatti fisici e il regolare lavaggio delle mani con acqua clorata o sapone e l'uso di disinfettanti. “A questo proposito – prosegue mons. Tamba Charles -, abbiamo abolito la stretta di mano per scambiarci il segno della pace durante la Messa e distribuiamo la Comunione in mano. Abbiamo messo anche acqua clorata o acqua trattata con disinfettante alle porte delle chiese per i fedeli, per lavarsi le mani prima di entrare per la Messa. Anche i musulmani stanno facendo lo stesso nelle moschee”.

L’arcivescovo sottolinea che la risposta della Chiesa cattolica all’emergenza è duplice: sensibilizzazione e distribuzione di materiali sanitari. “L'epidemia di Ebola è ancora tra noi – conclude l’arcivescovo di Freetown -. Pertanto continueremo l’opera di sensibilizzazione. Continueremo anche la nostra collaborazione con gli altri altri leader religiosi, cristiani e musulmani, perché i capi religiosi sono ancora tenuti in grande considerazione nel Paese e le nostre comunità religiose superano tutti i confini di razza, tribù, regione”. (R.P.)

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Botswana: i vescovi chiedono il rispetto dei diritti umani

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“È responsabilità dei cittadini esercitare il diritto di scegliere leader e governi che rispettino la dignità umana e creino condizioni di vita migliori per tutti”: lo scrive mons. Valentine Tsamma Seane, vescovo di Gaborone, in Botswana, in una lettera pastorale. La missiva è stata pubblicata in questi giorni, dopo che le autorità locali hanno indetto, per il prossimo 24 ottobre, le elezioni generali. Invitando gli elettori ad esercitare il diritto di voto, il presule sottolinea che le elezioni sono “una grande opportunità per valutare e compiere le proprie scelte”.

Rivolgendosi, poi, ai futuri leader, mons. Seane ricorda che il loro compito primario è quello di “dare modo, alla popolazione, di contribuire a far sì che qualcosa di straordinario possa accadere”. “Il mondo cristiano – continua il presule – vede la leadership come una condivisione delle risorse della Divina Provvidenza”; per questo, “i cristiani usano il loro diritto al voto per scegliere un governo che faciliti la venuta del Regno di Dio sulla terra, un Regno che provvederà al nostro pane quotidiano, alla pace, alla prosperità ed al rispetto della dignità umana, dando risalto al bene comune ed alla condivisione”. “Votiamo con consapevolezza”, esorta ancora mons. Seane, invitando i cittadini ad informarsi sui programmi dei partiti politici in lizza.

Quindi, la sottolineatura del presule va al compito della Chiesa: con il suo “ruolo spirituale, essa collega presente e futuro del Paese, motivando l’impegno efficace di coloro che credono in un’economia attiva, nella promozione del bene comune e dei valori cristiani e nella diffusione di informazioni corrette affinché si possa votare nel modo giusto, creando una nazione virtuosa”. “La Chiesa cattolica – ricorda poi il vescovo di Gaborone – non si identifica con alcun partito o ideologia, ma incoraggia i fedeli a scegliere quello schieramento che mette in pratica la Dottrina sociale della Chiesa attraverso una buona governance”.

Sette, dunque, i punti essenziali ricordati dal presule ai futuri rappresentanti istituzionali: rispetto della dignità umana; buona gestione; diritti e doveri sia per i singoli che per le comunità; sussidiarietà; bene comune; rispetto della proprietà privata e opzione preferenziale per i poveri. “Possa la voce degli elettori – conclude il presule – essere ascoltata e tenuta in conto per il bene del Paese”. (I.P.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVIII no. 252

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.