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Sommario del 08/09/2014

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Il Papa: come Maria, lasciamo che Dio cammini con noi

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Guardando la storia di Maria, domandiamoci se lasciamo che Dio cammini con noi. E’ quanto affermato da Papa Francesco nella Messa mattutina a Casa Santa Marta, nella Festa della Natività della Madonna. Il Pontefice ha sottolineato che Dio sta “nelle cose grandi”, ma anche nelle piccole ed ha la “pazienza” di camminare con noi, anche se siamo peccatori. Il servizio di Alessandro Gisotti: 

Nel giorno in cui si festeggia la Natività di Maria, Papa Francesco ha offerto la sua meditazione sulla Creazione e il cammino che Dio fa con noi nella storia. Quando leggiamo il libro della Genesi, ha osservato, “c’è il pericolo di pensare che Dio sia stato un mago” che faceva le cose “con la bacchetta magica”. Ma, ha avvertito, “non è stato così’, perché “Dio ha fatto le cose” e “le ha lasciate andare con le leggi interne, interiori che Lui ha dato ad ognuna, perché si sviluppassero, perché arrivassero alla pienezza”. Il Signore, ha soggiunto, “alle cose dell’universo ha dato autonomia, ma non indipendenza”:

“Perché Dio non è mago, è creatore! Ma quando al sesto giorno, di quel racconto, arriva la creazione dell’uomo dà un’altra autonomia, un po’ diversa, ma non indipendente: un’autonomia che è la libertà. E dice all’uomo di andare avanti nella storia, lo fa il responsabile della creazione, anche perché dominasse il creato, perché lo portasse avanti e così arrivasse alla pienezza dei tempi. E quale era la pienezza dei tempi? Quello che Lui aveva nel cuore: l’arrivo di suo Figlio. Perché Dio – abbiamo sentito Paolo – ci ha predestinati, tutti, ad essere conformi all’immagine del Figlio”.

E questo, ha affermato, “è il cammino dell’umanità, è il cammino dell’uomo. Dio voleva che noi fossimo come suo Figlio e che suo Figlio fosse come noi”. Il Papa ha così rivolto il pensiero al passo del Vangelo odierno che narra la genealogia di Gesù. In “questo elenco – ha annotato – ci sono dei santi e anche dei peccatori, ma la storia va avanti perché Dio ha voluto che gli uomini fossero liberi”. E se è vero che quando l’uomo “ha usato male la sua libertà, Dio lo ha cacciato via dal Paradiso” gli “ha fatto una promessa e l’uomo è uscito dal Paradiso con speranza. Peccatore, ma con speranza!”. Il “loro cammino – ha ribadito – non lo fanno da soli: Dio cammina con loro. Perché Dio ha fatto una opzione: ha fatto l’opzione per il tempo, non per il momento. E’ il Dio del tempo, è il Dio della storia, è il Dio che cammina con i suoi figli”. E questo fino alla “pienezza dei tempi” quando suo Figlio si fa uomo. Dio, ha affermato ancora, “cammina con giusti e peccatori”. Cammina “con tutti, per arrivare all’incontro, all’incontro definitivo dell’uomo con Lui”.

Il Vangelo, ha detto ancora, finisce questa storia di secoli “in una cosa piccolina, in un piccolo paese” con Giuseppe e Maria. “Il Dio della grande storia - ha rilevato - è anche nella piccola storia, lì, perché vuole camminare con ognuno”. Francesco ha citato San Tommaso, laddove afferma: “Non spaventarsi delle cose grandi, ma anche avere conto delle piccole, questo è divino”. “E così è Dio – ha ripreso il Papa – sta nelle cose grandi”, ma anche nelle piccole:

“E il Signore che cammina con noi è anche il Signore della pazienza. La pazienza di Dio. La pazienza che ha avuto con tutte queste generazioni. Con tutte queste persone che hanno vissuto la loro storia di grazia e peccato, Dio è paziente. Dio cammina con noi, perché Lui vuole che tutti noi arriviamo ad essere conformi all’immagine di Suo Figlio. E da quel momento che ci ha dato la libertà nella creazione - non l’indipendenza - fino ad oggi continua a camminare”.

E così, dunque, “arriviamo a Maria”. Oggi, ha detto il Papa, “siamo nell’anticamera di questa storia: la nascita della Madonna”. E “chiediamo nella preghiera che ci dia il Signore unità per camminare insieme e pace nel cuore. E’ la grazia di oggi”:

“Oggi possiamo guardare la Madonna, piccolina, santa, senza peccato, pura, prescelta per diventare la Madre di Dio e anche guardare questa storia che è dietro, tanto lunga, di secoli e domandarci: ‘Come cammino io nella mia storia? Lascio che Dio cammini con me? Lascio che Lui cammini con me o voglio camminare da solo? Lascio che Lui mi carezzi, mi aiuti, mi perdoni, mi porti avanti per arrivare all’incontro con Gesù Cristo?’ Questo sarà il fine del nostro cammino: incontrarci col Signore. Questa domanda ci farà bene oggi. ‘Lascio che Dio abbia pazienza con me?’. E così, guardando questa storia grande e anche questo piccolo paese, possiamo lodare il Signore e chiedere umilmente che ci doni la pace, quella pace del cuore che soltanto Lui ci può dare, che soltanto ci dà quando noi lasciamo Lui camminare con noi”.

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Il Papa a Sant'Egidio: i leader religiosi collaborino per la pace

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"Il rispetto reciproco, il dialogo e la cooperazione aiuteranno a bandire il sinistro fantasma del conflitto armato". Sono le forti parole del messaggio inviato da Papa Francesco all’incontro dei leader religiosi mondiali, annuale appuntamento organizzato dalla Comunità di Sant’Egidio, quest'anno dal titolo “La pace è il futuro”. Il testo del Papa è stato letto ieri pomeriggio durante la cerimonia inaugurale dell’incontro che si svolge ad Anversa, in Belgio, fino a martedì. La nostra inviata Francesca Sabatinelli: 

Rispetto, dialogo e cooperazione, sono le armi con le quali sconfiggere le guerre. La parola di Papa Francesco arriva forte ai leader religiosi, ma anche ai politici e agli intellettuali, riuniti qui ad Anversa per l’incontro di Sant’Egidio. Il Papa fa riferimento ai conflitti che insanguinano i nostri giorni, partendo dalle lezione impartita cento anni fa dallo scoppio della Prima guerra mondiale: “Questo anniversario – dice Francesco – ci insegna che la guerra non è mai un mezzo soddisfacente a riparare le ingiustizie e a raggiungere soluzioni bilanciate alle discordie politiche e sociali”. Ogni guerra, aggiunge Francesco citando Benedetto XV nel 1917: “è una inutile strage”. “La guerra trascina i popoli in una spirale di violenza che poi si dimostra difficile da controllare, demolisce ciò che generazioni hanno lavorato per costruire e prepara la strada a ingiustizie e conflitti ancora peggiori”.

Il Papa non cita direttamente alcun luogo di conflitto, ma parla delle ‘guerre’ che oggi affliggono gli uomini, rovinano la vita a giovani e anziani, avvelenano la convivenza tra gruppi etnici e religiosi diversi, costringendo intere comunità all’esilio, non si può rimanere passivi di fronte a tanta sofferenza e a tanti “inutili stragi”. Ecco quindi che le varie tradizioni religiose, unite dallo Spirito di Assisi, possono dare un contributo alla pace, con la forza della preghiera e del dialogo. “La guerra - aggiunge il Papa - non è mai necessaria, né inevitabile”. Si può trovare sempre un’alternativa: è la via del dialogo dell’incontro e della sincera ricerca della verità.

Francesco invita quindi i leader religiosi riuniti in Belgio affinché “cooperino con efficacia all’opera di guarire le ferite, di risolvere i conflitti” e li richiama “ad essere uomini e donne di pace”. Le nostre comunità, conclude il messaggio, siano “scuole di rispetto e di dialogo con quelle di altri gruppi etnici o religiosi, luoghi in cui si impara a superare le tensioni, a promuovere rapporti equi e pacifici tra i popoli e i gruppi sociali e a costruire un futuro migliore per le generazioni a venire”. 

Sulla reale possibilità che le religioni hanno di sconfiggere con il dialogo la violenza e la guerra, Francesca Sabatinelli ha intervistato il vescovo di Anversa, mons. Johan Bonny

R. – Ovunque adesso ci sia la guerra, le vittime sono - prima di tutto - i civili e non più i militari. Se ricordo bene, otto vittime sono civili su uno che è militare: questo vuol dire che la guerra ormai non è soltanto una questione di eserciti uno contro l’altro o di gruppi armati; sono conflitti che fanno vittime fra i civili: siano esse cristiane, musulmane, ebree… è sempre la gente semplice, onesta, che paga il conto dei conflitti. Dunque se tra le regioni cerchiamo un riavvicinamento, questo è importante averlo tra chi è al centro, chi è moderato, chi è minacciato nelle sua esistenza: quello che unisce le vittime tra di loro, lì c’è un punto di riavvicinamento tra le religioni, perché le vittime adesso le abbiamo da tutte le parti.

D. – Nei giorni scorsi si è parlato di una “Onu delle religioni”, lo ha fatto Shimon Peres, incontrando il Papa… Lei crede che sia una possibile strada anche diplomatica da percorrere?

R. – E’ una bella espressione l’“Onu delle religioni”, non è una struttura che abbiamo, perché siamo già diverse confessioni all’interno della famiglia cristiana: non è facile elaborare delle strutture in comune, come il Consiglio mondiale delle Chiese di Ginevra o il Pontificio Consiglio per l’unità dei cristiani, che lavorano in questa direzione. E’ molto importante avere degli incontri come questo qui, dove si è fuori del proprio Paese, fuori dei propri conflitti e dove quindi può parlare liberamente con un altro senza essere sotto la pressione dell’ultimo evento o dell’opinione pubblica, incontrandosi nella fraternità. Anche se tutto quello rimane limitato, ma un posto dove si possa liberamente parlare l’uno con l’altro e cercare quello che ci unisce piuttosto che quello che ci divide. Tutto comincia con i rapporti umani, con l’amicizia: perché non utilizzare questa parola? L’amicizia si può avere anche con qualcuno che ha altre idee, che appartiene ad un’altra religione.

D. – Papa Francesco, nel suo messaggio, ha comunque ribadito che le religioni insieme possano riuscire con preghiera e dialogo a sconfiggere violenza e guerra?

R. – In ogni caso è un compito delle religioni creare questa piattaforma morale, etica o spirituale sulla quale costruire la pace. Le Chiese non sono lì per organizzare il mondo, ma certamente per contribuire alla creazione di questa piattaforma etica, morale e spirituale sulla quale costruire un riavvicinamento dei popoli. Dunque il nostro compito come Chiese si trova lì. Siamo noi co-responsabili, gli uni con gli altri, per questa piattaforma, per questo fondamento morale e etico. Lì dobbiamo lavorare ancora di più insieme: non tanto discutendo sulle nostre differenze in campo dogmatico, ma lavorare insieme per rinforzare questa piattaforma, questo fondamento dei principi etici e spirituali sui quali costruire la pace. Lì il Papa ha ragione. E poi lui segue molto da vicino tutti gli ultimi sviluppi nell’Europa dell’Est e nel Medio Oriente, dove i cristiani vogliono collaborare ad un futuro di pace. Ogni religione – cristiana, ebraica o musulmana - deve sempre rileggere i propri testi, perché nei nostri testi sacri c’è sempre un meccanismo di autocorrezione: i nostri profeti Isaia e Geremia – per esempio – sono molto critici riguardo ad ogni forma di ingiustizia, di oppressione dei poveri e delle guerre. Dobbiamo quindi ri-assumere queste pagine nelle quali siamo invitati da Dio a correggere tutto quanto sia oppressione, ingiustizia, violenza.

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Cordoglio del Papa per le suore italiane uccise in Burundi

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Cordoglio di Papa Francesco per la morte di tre suore missionarie saveriane italiane uccise nel loro convento in Burundi nella missione di Kamenge, zona Nord della capitale Bujumbura. Si tratta di suor Olga Raschietti, suor Lucia Pulici, e suor Bernardetta Boggian. In due telegrammi, uno al nunzio a Bujumbura – mons. Evariste Ngoyagoye – e l’altro alla Superiora generale delle Missionarie Saveriane - suor Ines Frizza -, il Papa si dice “colpito dalla tragica morte” delle religiose e “auspica che il sangue versato diventi seme di speranza per costruire l’autentica fraternità tra i popoli”. Francesco assicura dunque le sue preghiere per queste “generose testimoni del Vangelo” ed esprime la sua vicinanza e partecipazione alla Congregazione delle tre suore e a tutta la comunità di fedeli del Burundi. Al microfono di Marina Tomarro ascoltiamo padre Mario Pulcini superiore dei missionari Saveriani in Burundi, che operava insieme alle religiose da molti anni: 

R. - Ieri pomeriggio, verso le 13:30, quando le  saveriane sono andate all’aeroporto per accogliere alcune consorelle che tornavano dall’ Italia, due sorelle, suor Lucia e suor Olga, in quel momento di assenza delle altre sorelle, è avvenuta la tragedia. Verso le 16:30 ero nel mio ufficio e le sorelle di ritorno dall’aeroporto sono venute e mi hanno detto: “Padre Mario, la casa è chiusa, le sorelle non rispondono, siamo preoccupate. Abbiamo chiamato, abbiamo gridato e non c’è stata nessuna risposta... Le tende sono tirate, chiuse”. Poi hanno fatto un giro nel quartiere per cercare e hanno chiesto… Sono tornate dicendo che nel quartiere non c’erano. Allora abbiamo cominciato a preoccuparci. Mi sono messo davanti alla porta e ed ero quasi pronto a sfondarla.  A un certo punto una delle sorelle, che ha fatto il giro della casa, ha trovato una porticina aperta. Siamo entrati e abbiamo trovato le sorelle per terra. Stanotte noi avevamo consigliato alle sorelle di non alloggiare lì nella casa ma hanno voluto rimanere. Verso le 2 di notte, una di loro mi ha chiamato al telefono e mi ha detto: “Padre Mario, sentiamo rumori in casa, abbiamo paura…”. Mi sono vestito e sono andato con un altro confratello. Siamo entrati e abbiamo girato e verificato le stanze: abbiamo trovato suor Bernardetta a terra nella sua stanza, nella stessa posizione delle altre due, il giorno prima.

D. - Secondo lei cosa potrebbe essere successo?

R. – Diciamo che qui siamo tutti sotto choc. E’ una cosa troppo grossa, può darsi anche una vendetta, può darsi che ci sia stata qualcosa con qualcuno… Ma, proprio non riusciamo a trovare una giustificazione, una motivazione, per delitti così efferati. Stiamo cercando nei quartieri, chiediamo a destra e sinistra…

D. - Padre Mario, chi erano suor Olga, suor Lucia, suor Bernardetta, come operavano nella vostra missione?

R. – Dunque, le tre consorelle erano qui a Kamenge da circa sette anni. Prima avevano lavorato in Congo, tutte e tre. Poi quando hanno aperto una comunità qui a Kamenge, hanno deciso di venire a condividere il nostro lavoro qui. Suor Lucia Pulici ha lavorato soprattutto a livello di sanità: aveva curato migliaia di malati. Faceva un lavoro straordinario per la parrocchia, per la Chiesa, servizi semplici… Era molto ben voluta dalla gente. Olga aveva lavorato anche lei tanti anni in Congo nella catechesi, nella pastorale dell’ insegnamento… Però aveva una grandissima sensibilità per gli ammalati. Tutti i giorni veniva: “Sono andata da questo, da quest’altro…Sta male, gli ho portato un po’ di latte, un po’ di cose…”. E Bernardetta, che è stata superiora per parecchi anni, anche nella direzione generale, si dedicava soprattutto a scuola di taglio e cucito per ragazze. Veramente è una grandissima perdita per noi, per Kamenge, per la Chiesa nel Burundi e io penso anche per il Congo adesso.

D. – Come hanno reagito gli abitanti del posto, coloro con i quali le tre suore lavoravano quotidianamente?

R. - Si sono affollati qui intorno alla Chiesa, alla parrocchia, erano veramente scioccati anche loro. La loro paura è che andiamo via, che lasciamo il quartiere, la parrocchia. In più si danno da fare per aiutare, cercare per l’inchiesta…  Se c’è qualche dubbio, qualche cosa, vengono subito a dircelo ... Questa è veramente una tragedia che rischia di mettere in crisi la gente e gli operatori, soprattutto i catechisti e altri che aiutano la parrocchia.

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Udienze di Papa Francesco

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Papa Francesco ha ricevuto stamani Annette Schavan, ambasciatrice della Repubblica Federale di Germania in occasione della presentazione delle Lettere Credenziali. Successivamente, ha ricevuto il card. Godfried Danneels, arcivescovo emerito di Mechelen-Brussel (Belgio), il reverendo padre José Ornelas Carvalho, Superiore dei Sacerdoti del Sacro Cuore di Gesù (Dehoniani), il prof. Matteo Truffelli, presidente nazionale dell’Azione Cattolica Italiana e Kenan Gürsoy, ambasciatore di Turchia, in visita di congedo.

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Il Papa nomina mons. Eamon Martin nuovo arcivescovo di Armagh in Irlanda

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In Irlanda, Papa Francesco ha accettato la rinuncia al governo pastorale dell'arcidiocesi di Armagh, presentata dal cardinale Seán Brady, per sopraggiunti limiti d'età. Gli succede mons. Eamon Martin, finora arcivescovo coadiutore della medesima diocesi.

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Da gennaio solo l'Elemosineria concederà le benedizioni

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In una lettera, datata 12 aprile 2014, mons. Konrad Krajewski, Elemosiniere di Sua Santità, ha reso noto la cessazione, il 31 dicembre prossimo, della Convenzione stipulata tra l’Ufficio della Santa Sede, adibito alla concessione delle benedizioni apostoliche su carta pergamena, ed i negozi e le librerie che avevano sottoscritto l’accordo. Il servizio di Benedetta Capelli

Nella lettera, mons. Konrad Krajewski ricorda che “l’Elemosineria apostolica ha il compito di esercitare la carità verso i poveri a nome del Sommo Pontefice” e proprio dalle offerte delle benedizioni arrivano le risorse necessarie per praticarla. Un intento che lo stesso Papa Leone XIII aveva ben espresso quando diede al suo Elemosiniere “la facoltà di concedere la benedizione apostolica a mezzo di diplomi”.

In passato l’Ufficio si era avvalso della collaborazione di negozi, librerie ed istituzioni per dare la possibilità ad un numero crescente di pellegrini di ottenere le benedizioni. Negli ultimi anni però si è molto sviluppato il sito internet www.elemosineria.va e pertanto, grazie al web, è possibile accedere a tutte le informazioni necessarie per ottenere le pergamene anche attraverso la spedizione in ogni parte del mondo.  Inoltre – si legge nella lettera di mons. Krajewski – nel settembre scorso, Papa Francesco ha esteso “la facoltà di concedere la benedizione papale su pergamena ai nunzi apostolici”.

Alla luce di queste informazioni e completando un procedimento iniziato nel gennaio del 2010, è stato deciso di non rinnovare la convenzione in modo che “tale servizio – scrive l’Elemosiniere - possa tornare come in origine esclusivamente di competenza di questo Ufficio e rimanere con la sola ed unica finalità caritativa per cui è nato”.

Mons. Krajewski fa sapere che tale decisione non incide sui posti di lavoro dei calligrafi che hanno il compito di scrivere concretamente le benedizioni. L’Elemosineria, con 12 dipendenti, si avvale della collaborazione esterna di 17 specialisti che ogni giorno si recano nell’Ufficio per ritirare o riconsegnare le benedizioni.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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In un messaggio ai partecipanti a un incontro internazionale organizzato dalla comunità di Sant’Egidio, Papa Francesco esorta i leader religiosi a cooperare per promuovere la cultura dell’incontro e della pace.

Nell'informazione internazionale, in primo piano la crisi in Iraq e in Siria: si estendono i raid aerei, ma Obama ribadisce che non invierà truppe di terra.

Centralità della politica: un articolo di Mario Benotti sulla necessità di superare il predominio della finanza e della tecnocrazia per guardare al bene comune.

Se gli allievi superano il maestro: in cultura, Emilio Ranzato sulla nascita, cinquant'anni fa, dello spaghetti western.

Star seduti uccide: Alessandro Serenelli su un recente articolo del “Time”.

La lezione del vecchio prete: Lucio Bonora su Pio x nelle cronache e nell’immaginario del tempo.

Oggi nasce l’albero dal frutto meraviglioso: nell'informazione religiosa, Manuel Nin sulla celebrazione della Beata Vergine Maria negli inni di Giorgio Warda.

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Oggi in Primo Piano



Obama annuncerà mercoledì nuova offensiva contro l'Is

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In Iraq, si continua a combattere: almeno dieci persone sono state uccise un doppio attentato suicida oggi a Nord di Baghdad, mentre sarebbero 16 i miliziani dell’Is morti in un raid aereo a Nord di Mosul. Intanto si compatta il fronte internazionale contro i miliziani jihadisti dell’autoproclamato califfato islamico e da Ginevra l’Alto commissario Onu per i diritti umani afferma che i miliziani jihadisti stanno trasformando in "un mattatoio" le aree sotto il loro controllo. Il servizio di Elvira Ragosta: 

E’ atteso per mercoledì, vigilia del 13.mo anniversario dell’11 settembre, l’annuncio ufficiale del presidente statunitense Barack Obama per la nuova offensiva aerea contro i miliziani jihaidisti in Iraq e Siria. Oltre alla coalizione internazionale, che al momento conta 10 nazioni, anche la Lega Araba darà sostegno politico e militare contro il terrorismo. Potrebbe questo fronte occidentale, appoggiato anche da Paesi come l’Arabia Saudita e il Qatar, determinare un contingente avvicinamento tra le fila del terrorismo, ovvero tra Is, Al Qaeda e terroristi isolati? Lo abbiamo chiesto a Raffaele Marchetti, docente di relazioni Internazionali all’università Luiss di Roma:

R. – Non possiamo dimenticare che esistono altri settori nel mondo arabo che, in qualche modo, sostengono e fiancheggiano il terrorismo e soprattutto nel campo ampiamente inteso dei sunniti. Questo potrebbe anche, per converso, generare un lento cammino di riavvicinamento tra i vari gruppi: anche se questo è effettivamente difficile da prevedere con certezza. Fino ad oggi l’Is è andato per conto suo, anzi – potremmo dire – che ha guadagnato terreno politico a scapito di altri gruppi terroristici, in primis di Al Qaeda. Però, qualora dovesse subire un attacco molto forte da parte del mondo occidentale e quindi si dovesse trovare in difficoltà, potrebbe pensare di riaprire un tavolo politico, in primis con Al Qaeda.

D – Nelle sue dichiarazioni, il presidente Obama ha sottolineato due punti fondamentali: il fatto che questi raid sull’Iraq saranno assolutamente diversi da quello che è accaduto nell’Iraq nel 2003; e sulla Siria ci sarà, invece, l'appoggio al "Libero esercito siriano" e non al presidente al Assad, che è ritenuto colpevole di aver utilizzato delle armi chimiche…

R. – Obama, per motivi politici ed economici, rifiuta l’opzione di terra: per motivi economici, perché naturalmente è molto più dispendioso, ma anche per motivi politici perché nell’opzione di terra è molto più facile perdere uomini e questo è un costo politico che il presidente Obama non può sostenere in questo momento. D’altro canto sullo scacchiere siriano la situazione è complessa: qualche tempo fa si parlava di un riavvicinamento – per motivi strategici – con il presidente siriano; oggi però, a seguito anche delle critiche che questo ha sollevato, Obama sottolinea invece che l’appoggio sarà esclusivamente all’esercito antigovernativo. E’ ovvio, però, che questo tipo di terrorismo è un nemico sia dell’esercito antigovernativo, sia dell’esercito governativo. Quindi è chiaro che, anche se non in esplicito coordinamento, le azioni punteranno allo stesso obiettivo e, in qualche modo, qualche tipo di sinergia – sebbene inintenzionale o non esplicita – sicuramente avrà luogo.

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Iraq: oggi il voto al governo di unità. Rappresentate le principali etnie

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Mentre nel nord dell’Iraq prosegue l’offensiva contro il sedicente Stato Islamico, a Baghdad stasera il parlamento dovrebbe votare la fiducia al nuovo governo di unità nazionale del neo-premier incaricato al-Abadi. L’esecutivo nasce con l’accordo di tutte le principali componenti etniche del Paese ed è considerato un passo fondamentale per superare l’impasse politica che ha portato all’avanzata delle milizie integraliste. Marco Guerra ne ha parlato con Andrea Plebani docente alla Cattolica di Milano e ricercatore associato dell’Ispi: 

R. - É importante che ottenga la fiducia perché questo rappresenta il primo step per risolvere una crisi che ha ormai dei contorni che sono sempre più inquietanti e che rischia di travolgere quelle che sono le fondamenta stesse del nuovo Iraq sorte sulle ceneri del regime di Saddam Hussein. È fondamentale perché qualora non ci fosse questo voto di fiducia il presidente dell’Iraq Fuad Masum, dovrebbe individuare una nuova figura e chiederle di riavviare le consultazioni per un nuovo governo di unità nazionale; questo implicherebbe uno slittamento della formazione del nuovo governo  con tutti i problemi che questo potrebbe comportare. Quindi non è un caso che l’amministrazione Obama abbia puntato sin dal principio l’indice contro quelli che sono i ritardi, le responsabilità della classe politica irachena e i problemi nati con l’amministrazione precedente di Nouri al-Maliki. Quindi sicuramente è fondamentale questo primo step, ma da solo non è in grado di risolvere i molteplici problemi dell’Iraq.

 D. - Anche gli sciiti, con il loro ruolo predominante, dovranno rivedere la loro strategia dopo dieci anni di catastrofe seguiti alla caduta di Saddam …

 R. - Sì, anche se la sfida non riguarda solo una delle principali comunità irachene, né le minoranze; riguarda l’intera comunità irachena, in particolare i partiti politici che sono espressione del voto che ha avuto luogo nel Paese. La sfida sarà quella di porre le basi per un nuovo progetto iracheno, un progetto che sia condivisibile, che possa essere sostenuto da tutte le anime del sistema Iraq, anche quelle che sono state più marginalizzate in passato - quindi ai tempi di Saddam Hussein, curdi e sciiti in primis - ma anche dopo il 2003, in particolare la comunità arabo-sunnita. Sarà fondamentale delineare i tratti di un nuovo progetto nazionale iracheno che possa essere condiviso ed avere il sostegno di tutte le anime del sistema. Una sfida tutt’altro che semplice, ma che è ancora possibile. Si tratta, con tutta probabilità, dell’ultima chance per lo Stato iracheno moderno.

 D. - Quindi, come abbiamo detto, non è sufficiente la formazione di questo governo per ricomporre un mosaico iracheno che secondo molti ormai è diviso in tre comunità: curda, sunnita e sciita …

 R. - Di fatto, della spartizione dell’Iraq in tre realtà statuali diverse, se ne parla da anni, se non da decenni. In realtà, a mio modo di vedere, si tratta di un approccio assolutamente sbagliato alla questione irachena. I territori iracheni sono da sempre caratterizzati dalla presenza di comunità miste, di città miste, di territori misti; non è possibile - se non destabilizzando ulteriormente l’area e con un tributo di sangue altissimo - separare il Paese in tre enclave omogenee dal punto di vista etnico e confessionale: non esiste un Nord esclusivamente curdo; non esiste un Centro Ovest esclusivamente sunnita; non esiste un Centro Sud esclusivamente sciita. È un errore cercare di dividere il Paese in questo modo: forse, bisognerebbe optare per una forma di federalismo più spinto con una fortissima autonomia a livello locale, ma con uno Stato centrale che detenga il controllo almeno su una strategia nazionale legato allo sfruttamento delle risorse più importanti, delle forze armate e delle relazioni con l’estero. Dividere l’Iraq dal punto di vista formale sarebbe probabilmente un errore che potremmo pagare a carissimo prezzo soprattutto negli anni futuri.

 D. - L’Occidente è di nuovo intervenuto a livello militare per sconfiggere lo Stato islamico. Forse c’è bisogno anche di una forte iniziativa politica su Baghdad?

 R. - C’è bisogno di una forte iniziativa politica ma secondo me non su Baghdad, ma sui principali attori regionali ed extraregionali. Non si può pensare di poter risolvere la crisi irachena senza coinvolgere quelli che sono gli 'stakeholder' più importanti; in particolare faccio riferimento all’Arabia Saudita e al Qatar, ma soprattutto all’Iran, alla stessa Turchia, oltre che ovviamente agli Stati Uniti e a diversi attori occidentali.

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Somalia: nuovo leader al Shabaab. Hrw: abusi da parte dei soldati

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I miliziani islamici di Al Shabaab, che controllano ampie parti della Somalia, hanno scelto Ahmad Umar come loro nuovo leader, dopo la morte di Ahmed Abdi Godane, ucciso la scorsa settimana da un drone statunitense. A rivelarlo un comunicato del gruppo estremista affiliato ad Al Qaida, nel quale i combattenti annunciano pure vendetta per l'uccisione di Godane. Intanto Human Rights Watch ha diffuso il suo ultimo rapporto, in cui si denunciano abusi sessuali su donne e bambine di Mogadiscio da parte dei soldati dell’Amisom. Tra l'altro, oggi un attentato ha colpito un convoglio della stessa missione dell'Unione Africana operativa in Somalia dal 2007, provocando almeno 12 vittime. Ma che momento sta attraversando ora la Somalia? Giada Aquilino lo ha chiesto a Vincenzo Giardina, africanista dell’agenzia missionaria Misna: 

R. – E’ un momento molto difficile, nonostante le speranze suscitate dalla creazione di un governo sostenuto dalle Nazioni Unite. Sabato, il ministro per la Sicurezza nazionale della Somalia, Khalif Ahmed Ereg, ha detto di avere informazioni circa la pianificazione di attentati da parte di al Shabaab contro ospedali, scuole e altri edifici pubblici. Quindi una situazione di tensione che non accenna a diminuire, nonostante i risultati ottenuti negli ultimi mesi, anche su un piano propriamente militare, dal governo somalo, con il sostegno della missione dell’Unione Africana e con il supporto di operazioni con droni, come quella che appunto lunedì scorso ha portato all’uccisione di Abdi Godane, ritenuto dagli Stati Uniti uno dei primi della lista nera del terrorismo internazionale. Godane è il leader, il comandante di al Shabaab, che nel 2009, un anno dopo aver assunto la guida di questa organizzazione di matrice islamica, annunciò una nuova fedeltà di al Shabaab ad al-Qaeda.

D. – Tra l’altro, gli al Shabaab si sono affrettati a rinnovare questa alleanza con al Qaeda. Ma la scelta del nuovo leader in quale quadro si pone per i miliziani islamici? Godane aveva trasformato quella che era una insurrezione locale in un movimento attivo in molti Paesi dell’Africa orientale…

R. – Arriva in un contesto non facile, come testimonia la conquista - mettendoci nella prospettiva delle forze del governo somalo - di Buulo Mareer, che è una loclaità di rilievo della Somalia centro meridionale. Quindi prosegue quella controffensiva da parte delle forze africane che ha permesso – nell’agosto del 2011 – di ristabilire un controllo su Mogadiscio e poi su altri luoghi della Somalia centro meridionale, che è un po’ tradizionalmente la zona dove al Shabaab è stata più forte.

D. – Per l’impostazione, la conquista del territorio e le azioni che gli al Shabaab compiono, è possibile fare un parallelo con il sedicente Stato Islamico in Iraq e in Siria?

R. – In questi giorni sulla stampa africana ci sono molti articoli relativi a possibili alleanze e sinergie tra gruppi che operano in contesti geografici molto differenti, lo Stato Islamico in Siria e in Iraq, al Shabaab in Somalia, Boko Haram in Nigeria. La stampa nigeriana rilanciava, negli ultimi giorni, ipotesi circa alleanze che nel nome di un agognato Califfato mettano insieme esperienze differenti. Allo stesso tempo è anche vero che il messaggio della scorsa settimana di al Zawahiri, ritenuto il comandate in capo di al Qaeda, affermava come obiettivo l’instaurazione del Califfato, però poi non faceva alcuna menzione dello Stato Islamico: ciò è apparso a molti una conferma in realtà di divisioni e alleanze tutt’altro che prevedibili e automatiche tra i diversi gruppi e componenti della galassia jihadista.

D. – In Somalia è operativa una missione dell’Unione Africana, l’Amisom. Ci sono organizzazioni umanitarie, come Human Rights Watch, che denunciano abusi sessuali da parte di quei soldati. Ci sono controlli sul campo o la Somalia è una vera e propria terra di nessuno?

R. – E’ un rapporto di oltre 70 pagine che è fondato su interviste e testimonianze raccolte. Human Rights Watch fonda il suo studio sulle interviste a 21 donne e ragazze che avevano cercato aiuto - anche di carattere umanitario, acqua, cibo… - in due basi Amisom a Mogadiscio. I racconti che sono stati raccolti effettivamente sono raccapriccianti e davvero suggeriscono, se provati, una realtà dove i controlli sono pochi, anche a Mogadiscio, che è comunque il cuore politico delle istituzioni somale sostenute dalle Nazioni Unite.

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Scozia: i sondaggi danno la maggioranza agli indipendentisti

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Per la prima volta in Scozia i sondaggi registrano il sorpasso del fronte indipendentista che si attesta al 51%. Il governo britannico, a 10 giorni dallo storico referendum fissato per il 18 settembre, è pronto ad offrire più autonomia. Circa le ragioni e le possibili ripercussioni politiche ed economiche del referendum, Antonio Elia Migliozzi ha intervistato Francesco Gui docente ordinario di storia presso l’università “La Sapienza” di Roma. 

R. - Bisogna tener conto che più o meno dagli anni ’70 c’è stata una crescita del senso di indipendenza. Pare che in alcuni sondaggi fatti negli anni scorsi fosse emersa anche l’idea che la maggioranza fosse quella composta dagli autonomisti e non viceversa. Quindi quello che possiamo registrare è che dal Dopoguerra, con il passare degli anni, c’è stata una crescita della volontà di essere più autonomi rispetto all’Inghilterra. Non è una sorpresa in assoluto; il fatto che stia crescendo in questi giorni mostra un’impazienza e forse anche una volontà di contrattare con maggiore forza con l’Inghilterra.

D. - Preoccupano le ripercussioni economiche e politiche di un’eventuale vittoria referendaria degli indipendentisti scozzesi?

R. - La Scozia, dal punto di vista demografico, non ha un numero enorme di abitanti se paragonati all’Inghilterra; si tratta di poco più di cinque milioni di abitanti. Quindi è un impatto in cui, secondo me, l’aspetto psicologico e politico direi che è superiore, sia pure chiaramente non trascurabile un eventuale distacco; la questione va inserita in un contesto europeo. Il fatto che si cominci ad immaginare delle secessioni all’interno degli Stati esistenti non riguarda solo l’Inghilterra. L’attuale assetto istituzionale dell’Unione Europea, soprattutto dopo l’ingresso dei Paesi balcanici, incoraggia un po’ troppo queste aspirazioni, perché si viene riconosciuti come Stati nazionali sovrani, dotati di diritto di veto su cose estremamente importanti, quindi con forte potere di ricatto, con presenza in tutti gli organi istituzionali. Quindi la tentazione è forte. È bene sviluppare delle soluzioni istituzionali che riconoscano le autonomie ma senza creare delle frammentazioni tali da mettere in discussione un po’ tutto.

D. - Cosa ha portato a questo referendum dopo 307 anni di legame tra Scozia ed Inghilterra?

R. - Mi è capitato di vedere che Luigi Einaudi, dopo la Prima Guerra Mondiale quando si fece promotore degli Stati Uniti di Europa, in qualche modo additava quell’episodio di unione tra Scozia e Inghilterra come un episodio da imitare. Certo, colpisce un po’ che adesso quello che era un modello diventi invece un episodio di disgregazione. Prima di dare un giudizio definitivo vediamo se si tratta di una trattativa - perché in fondo scozzesi ed inglesi di trattative ne hanno fatte tante per mettersi d’accordo - o sia veramente un atto deliberato di secessione. Questo mi sembra molto complesso anche perché, se la Scozia si rende indipendente poi deve chiedere l’ingresso nell’Unione Europea, ma l’Inghilterra può mettere il veto. A livello di Unione è stato detto: “Guardare che se tenete la Sterlina non va bene, perché allora non avete la sovranità monetaria e quindi non potete decidere della moneta”. Insomma probabilmente si tratta di un ennesimo episodio di contrattazione. 

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Giornata Alfabetizzazione: impegnarsi per educazione e sviluppo sostenibile

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Ricorre oggi la Giornata Mondiale dell’Alfabetizzazione, incentrata quest’anno sul tema “istruzione e sviluppo sostenibile”. La ricorrenza chiude il decennio proclamato dall’Assemblea generale dell’Onu dedicato all’Educazione allo Sviluppo Sostenibile. Particolarmente impegnata su questo fronte è l’Opam, Opera di promozione dell’alfabetizzazione nel mondo, fondata 40 anni fa da mons. Carlo Muratore. Alessandro Gisotti ha chiesto al dott. Fabrizio Consorti, consigliere del direttivo Opam, di soffermarsi sul binomio istruzione-sviluppo sostenibile: 

R. - Per sviluppo sostenibile intendiamo un processo di sfruttamento delle risorse, di direzione degli investimenti, sviluppo tecnologico, cambiamenti istituzionali che siano coerenti non solo con i bisogni attuali ma soprattutto con quelli futuri. Se parliamo di futuro è inevitabile, quindi, considerare che l’educazione, la formazione abbia un ruolo. Ad esempio l’istruzione delle donne: dati scientifici - diffusi dall’Unesco - dimostrano come anche solo un’istruzione al livello di scuola primaria abbatta del 15 per cento la mortalità perinatale dei bambini, a motivo di malattie infettive, gastrointestinali e diarrea. Non solo: la formazione apre la porta a maggiori possibilità di lavoro. E questa è forse la conseguenza più ovvia, lavorare vuol dire garantirsi un futuro.

D. - Papa Francesco, anche ultimamente, dialogando con giovani studenti di tutto il mondo in una videoconferenza, ha sottolineato l’importanza dell’educazione, della crescita…

R. - Molto spesso è tornato nel Papa il tema centrale di una riflessione sul modello di sviluppo. E’ evidente che uno sviluppo rigidamente incentrato sul circolo infinito produzione-consumo-consumo-produzione non è sostenibile. Lei faceva riferimento al recente incontro con la rete di scuole: ecco, prendo proprio qualche parola dall'intervento del Papa. In quella circostanza ha denunciato quello che lui ha chiamato lo "scarto dei giovani": giovani scartati come carte inutili, lasciati senza educazione e senza lavoro. Ha usato una espressione fortissima: è una "eutanasia nascosta" questa. Ha richiesto un habitat realmente umano, che soddisfi le condizioni per uno sviluppo armonico, altrimenti - argomentava il Papa - si aprono le porte della delinquenza e delle dipendenze. L’ultima parola del Papa è stata “incitare i giovani ad avere le ali e le radici”. Io sono rimasto particolarmente toccato da questa apparente antinomia: però veramente la scuola è un posto che ti radica nella tua cultura, ti fa capire chi sei e senza radici non c’è alcun futuro sostenibile!

D. - Cosa fa l’Opam per aiutare l’istruzione e lo sviluppo sostenibile?

R. - Nel 2013 abbiamo sostenuto 49 progetti, di cui ben 7 erano dedicati al coinvolgimento delle donne, alla formazione delle donne. E quando parlo di donne, intendo interi villaggi. Abbiamo avviato al lavoro più di 3.300 adulti, sempre nel 2013, favorendo l’istruzione di oltre 10 mila bambini. Quindi siamo fortemente impegnati in questo settore. Tutti i nostri progetti sono nell’ottica dello sviluppo sostenibile e infatti nascono localmente e soprattutto sono condotti localmente, non mandiamo personale dall’Italia. Quindi il concetto è proprio quello di accompagnare le realtà che assistiamo a muoversi verso l’autonomia: questo è sviluppo sostenibile.

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In un libro la storia di Comandini, internato italiano dopo l'8 settembre 1943

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La vita di Dino Comandini, internato militare italiano deportato nel 1943 in Germania, è cambiata tragicamente dopo gli eventi dell’8 settembre. In quel periodo molti soldati, senza più ordini precisi, vennero deportati nei lager nazisti. Dino Comandini, costretto a combattere la campagna in Grecia, venne poi trasferito nel campo di Friedrichsthal. Ecco la sua testimonianza nel servizio di Elisa Sartarelli

“Io stavo ad Atene, in Grecia; da lì ci portarono in Germania. Le condizioni del viaggio erano pericolose, eravamo senza mangiare…”.

Poi, il campo di smistamento e infine il lager…

“Era pericoloso: c'era poco da mangiare e niente da mangiare, lavoravamo in miniera a 800 metri sottoterra… La prigionia in Germania è stata una maledizione soprattutto dove stavo io in miniera. Poi trovavi anche chi stava con i contadini e stava bene: lavorava, mangiava. Eravamo schiavi dei tedeschi”.

La storia di Dino Comandini è stata raccontata da Angelo Gregori nel libro “A scuola se piove – Memorie dal lager di un internato militare italiano”:

“Il campo di smistamento era la prima tappa del lunghissimo viaggio che lui fece da Atene fino in Germania. Secondo lui, il viaggio durò un paio di settimane su carri bestiame in cui si stava in piedi, in condizioni impossibili… insomma, il tipico viaggio di tutti i deportati, come gli ebrei, del resto. Il vagone – cosa che mi ha impressionato – era piombato, quindi loro avevano viaggiato quasi sempre al buio. Comunque, avevano sentore della luce, vedevano qualcosa ma era tutto chiuso. Il campo di Trier era un campo di smistamento dove lui scendeva e dove si viveva all’aperto: decine di migliaia di prigionieri, quasi tutti italiani, vivevano all’aperto in attesa di essere destinati all’utilizzazione che il Terzo Reich decideva. Ogni tanto – è impressionante questa cosa – nel campo entravano dei soldati e improvvisamente isolavano un certo numero di persone. Così, i detenuti avevano imparato che quando isolavano un piccolo numero di persone era un buon segno: significava che si andava a lavorare in un’impresa agricola, in ferrovia o cose simili, tutto sommato possibili e positive; quando invece isolavano un numero elevato di persone, purtroppo significava quasi sempre la miniera, perché lì avevano bisogno di grandi numeri. L’esperienza di vivere in quel campo era comunque durissima, anche perché le condizioni per la sopravvivenza erano veramente proibitive: non si mangiava e per mangiare bisognava conquistare un pezzo di pane combattendo con i propri commilitoni. I tedeschi distribuivano il cibo con una jeep, lanciando pezzi di pane al volo. Lui imparò a vendere quello che poteva, perché intorno al campo c’erano civili che erano interessati e facevano delle offerte: una rapa, una fetta di pane. Così, loro scambiavano quello di cui potevano disporre, addirittura le mostrine militari. Aveva un pezzo molto importante che erano gli stivali: erano molto ambiti, quegli stivali di cuoio… Il giorno in cui fu isolato insieme a tanti altri soldati, incominciò il viaggio abbastanza breve verso Friedrichsthal, un campo destinato ad ospitare minatori”.

Il titolo “A scuola se piove” rimanda alla condizione di studente di Dino Comandini: sua madre lavorava a giornata nei campi, e lui poteva andare a scuola soltanto in caso di pioggia, quando non doveva occuparsi del fratellino. Oggi, insieme ad Angelo Gregori, organizza incontri nelle scuole:

“Scuole medie, anche scuole superiori e credo che continueremo. Quello degli internati militari italiani è un tema che non è molto conosciuto, la stessa storiografia l’ha scoperto 10-15 anni fa”.

Dino Comandini, che ha ricevuto la medaglia d’onore il 27 gennaio 2010, riesce sempre ad entrare nel cuore degli studenti:

“Ti guardano in faccia e scoppiano a piangere”.

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Nella Chiesa e nel mondo



Medio Oriente: a rischio l'anno scolastico per milioni di studenti

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A Gaza l'apertura delle scuole - che inizialmente era stata fissata per il 24 agosto e coinvolge più di 240mila studenti - è slittata al prossimo 14 settembre. In Iraq più di mezzo milione di iracheni tra quanti sono stati costretti a lasciare le proprie case davanti all'avanzata dei miliziani jihadisti sono in età scolare. Nel solo Kurdistan iracheno circa 190mila bambini non potranno andare a scuola.

Nell’intero Iraq si contano almeno 2.000 scuole che ospitano famiglie di sfollati. Mentre in Siria, dall’inizio del conflitto, almeno 3 milioni di bambini hanno dovuto abbandonare il percorso scolastico. Una scuola su cinque è inutilizzabile, mancano libri, banchi, servizi igienici e, in molte aree del Paese, non ci sono insegnanti disponibili. E questo lo scenario allarmante descritto in un dossier diffuso dalla Croce Rossa Italiana e dalla rete Agire (Agenzia Italiana per la Risposta alle Emergenze) per richiamare l'attenzione sull'emergenza istruzione provocata dalle convulsioni che sconvolgono la regione mediorientale.

In tutto il Medio Oriente - riferisce l'agenzia Fides - i conflitti, le migrazioni forzate, le distruzioni di edifici scolastici e la loro trasformazione in luoghi utilizzati per ospitare i rifugiati, rischia di compromettere il futuro di un’intera generazione di giovani. “Il problema - si legge nel resoconto, pervenuto all'agenzia Fides - non riguarda esclusivamente i minori che in questi Paesi sono sfollati o rifugiati, ma anche i tanti ragazzi residenti nelle zone dove le popolazioni in fuga hanno cercato salvezza.

Gli edifici scolastici, quando non sono stati distrutti o danneggiati o utilizzati come basi dei gruppi armati, vengono spesso occupati dalle comunità di sfollati. Si tratta in molti casi di una scelta obbligata: i campi profughi sono spesso sovraffollati o versano in condizioni precarie, e gli unici rifugi possibili per chi non viene ospitato in abitazioni private restano i parchi, gli edifici abbandonati o le scuole”.

Il dossier riporta la testimonianza del volontario Daniele Grivel, che definisce “esplosiva” la situazione creatasi a Erbil, il capoluogo della Regione autonoma del Kurdistan iracheno. “Se non si troverà rapidamente una soluzione adeguata - riferisce il capo missione dell'organizzazione umanitaria Intersos in Iraq – certamente si acuiranno le tensioni tra le comunità curde locali e gli sfollati provenienti dalle altre province del Paese. Abbiamo avviato un programma di educazione informale nelle tende e istituito dei doppi turni negli edifici scolastici agibili, ma non riusciremo a coprire tutte le esigenze”. (R.P.)

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Filippine: Giornata di preghiera per i "martiri" di Iraq e Siria

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In risposta alle crescenti persecuzioni anti-cristiane in molte parti del mondo, e in particolare in Iraq e in Siria, la Conferenza episcopale filippina (Cbcp) ha indetto per il 14 settembre una Giornata nazionale di preghiera per la pace. L'evento - riferisce l'agenzia AsiaNews - ricorre in concomitanza con la festa della "Esaltazione della Santa Croce"; nel corso della Giornata i responsabili di tutte le chiese sono chiamati a celebrare Messa secondo queste speciali intenzioni. L'obiettivo è quello di inviare un messaggio di sostegno e solidarietà a questi "martiri dell'era moderna" e raccogliere fondi per aiutarli in questo periodo di grave difficoltà.

In una lettera inviata ai vescovi di tutto l'arcipelago mons. Socrates B. Villegas, arcivescovo di Lingayen-Dagupan e presidente Cbcp, chiede di "chiedere a tutti i sacerdoti di celebrare le Messe del giorno a favore dei cristiani perseguitati in Iraq e in Siria".

Al Consiglio permanente dei vescovi, che si è tenuto lo scorso 2 settembre, i vescovi hanno scelto all'unanimità la data del 14 settembre, proprio per la concomitanza con la festa dell'Esaltazione della Santa Croce. Mons. Villegas esorta i fedeli a "unirsi con i nostri fratelli e sorelle che soffrono", raccomandando a Dio "nostra speranza, i loro dolori, le loro vite e i sogni spezzati, il loro lutto e la loro perdita".

Le persone senza difesa e prive di speranza, avverte il prelato, sono "vittime di una brutale imposizione di una rigida e imperdonabile" visione della fede. Egli aggiunge che "la religione stessa è una vittima", sotto i colpi di quanti sgozzano, feriscono, distruggono "in nome di Dio" e mandano al mondo il "terribile messaggio" secondo cui la fede è "fonte di divisione".

Secondo il presidente dei vescovi filippini, il "Vangelo di pace, fratellanza e amore è sotto assedio in molte parti del mondo", in particolare in Iraq e in Siria. Mons. Villegas evidenzia che lo stesso Vangelo di pace e fratellanza chiama i filippini a rispondere in primo luogo mediante "la preghiera accompagnata dalla carità e dalla solidarietà".

Egli lancia infine una raccolta fondi da destinare ai cristiani perseguitati del Medio oriente, sottolineando che "Cristo in Iraq e in Siria" è stato sradicato dalla propria casa e dalla propria terra. Rilanciando l'idea della raccolta fondi, il prelato esorta infine i fedeli a essere generosi e "anche se abbiamo i nostri problemi e necessità qui" nelle Filippine, questo "non ci impedisce" di mostrarci generosi nel nostro dovere di "condividere" le sofferenze dei "fratelli nel bisogno". Il denaro verrà inviato alle comunità bisognose attraverso le nunziature apostoliche di Baghdad e Damasco. (R.P.)

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Chiesa in Nigeria: anche musulmani in fuga da Boko Haram

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“Diverse chiese sono state distrutte e decine di migliaia di persone, in maggioranza cristiani, sono in fuga da Boko Haram” denuncia all’agenzia Fides padre Patrick Tor Alumuku, direttore delle Comunicazioni sociali dell’arcidiocesi di Abuja. “Ho parlato con alcuni sacerdoti di Maiduguri (capitale dello Stato di Borno, nel nord-est della Nigeria dove si concentrano le azioni della setta islamista) che mi hanno riferito cose incredibili” dice il sacerdote. “Boko Haram intende distruggere qualsiasi cosa ricordi la presenza dei cristiani. Quindi molte chiese sono state distrutte o incendiate. La settimana scorsa una parrocchia in un villaggio nell’area di Maiduguri è stata trasformata nella sede locale di Boko Haram”.

Secondo informazioni riferite da mons. Oliver Dashe Doeme, vescovo di Maiduguri, “nelle aree investite da Boko Haram è in atto una fuga in massa dei cristiani”. Il vescovo afferma che sono almeno 90.000 i cattolici sfollati.

“Occorre precisare che tra gli sfollati non ci sono solo cristiani, ma anche diversi musulmani” dice padre Patrick. “Tra questi i capi villaggi e di città, alcuni dei quali sono anche esponenti religiosi musulmani (emiri) che non si riconoscono nelle azioni di Boko Haram”.

“Purtroppo diversi sfollati sono rimasti bloccati nelle zone interessate dai combattimenti ed è molto difficile inviare loro aiuti umanitari. Solo coloro che sono al di fuori di queste aree possono ricevere assistenza” continua il sacerdote. “Se una città di più di un milione di abitanti come Maiduguri dovesse essere investita dall’offensiva di Boko Haram, si creerebbe un disastro umanitario estremamente grave” conclude il direttore delle Comunicazioni sociali dell’arcidiocesi di Abuja. (R.P.)

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Fissata l’udienza nel processo ad Asia Bibi

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Domani, 9 settembre, è la data fissata nuovamente per la prima udienza nel processo di appello ad Asia Bibi, la donna pakistana condannata a morte per blasfemia. Lo apprende l’agenzia Fides da fonti nell’Alta Corte di Lahore. Il Tribunale giudicante, secondo quanto risulta dal calendario reso noto, sarà presieduto dal giudice Anwar Ul Haq. L’udienza è stata fissata dopo che alcuni avvocati, nel giugno scorso, avevano chiesto alla Corte di fissare una nuova udienza, perché la donna possa finalmente avere giustizia.

Asia Bibi è stata condannata a morte nel novembre 2010, ai sensi dell’art 295 C del Codice Penale del Pakistan (parte della cosiddetta “legge sulla blasfemia”) per vilipendio al profeta Maometto. Si trova in prigione dal giugno 2010, attualmente nel carcere femminile di Multan. Il processo di appello è stato rimandato per almeno cinque volte nei mesi scorsi, per i motivi più disparati. Secondo fonti di Fides, molti giudici rifiutano di giudicare il caso per il timore di reazioni dei gruppi estremisti islamici. (R.P.)

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Pakistan: ritirate false accuse di blasfemia per 31 cristiani

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E’ un caso tipico dell’abuso della legge sulla blasfemia, che per ora sembra risolto grazie all’intervento della polizia – come avviene raramente – quello registratosi nel villaggio di Tehsil Summodri, nel distretto di Faisalabad, in Punjab, un insediamento cristiano con circa 200 famiglie residenti. Come appreso dall'agenzia Fides, alcune delle famiglie hanno incontrato nei giorni scorsi un proprietario terriero musulmano, Muhammad Iqbal, chiedendogli un appezzamento maggiore di terra per il cimitero cristiano locale. Iqbal ha acconsentito, concedendo un piccolo appezzamento di terra gratuitamente.

Il 2 settembre i cristiani, alla presenza di Iqbal, hanno arato il terreno. A quel punto un gruppo di musulmani, sopraggiunto, ha affermato che i cristiani avevano dissacrato le tombe dei loro cari musulmani. Il musulmano Ashiq Hussain ha registrato alla stazione di polizia della vicina cittadina di Muridwala una denuncia ufficiale (First Information Report) per blasfemia, secondo l’art 295-C del Codice penale (blasfemia per offesa al Profeta), a carico di 31 cristiani, 3 musulmani e 20 altre persone del villaggio. Secondo la denuncia, totalmente falsa, “i vandali cristiani volevano occupare la terra” e oltre 400 tombe islamiche sarebbero state dissacrate.

La polizia ha appurato che in quel luogo si trovava un antico cimitero islamico e che, molto tempo addietro, tutte le tombe musulmane erano già state trasferite in un altro luogo. La polizia ha inoltre cancellato dalle accuse l’art. 295-C (blasfemia), sostituendolo con l’art. 297 del Codice Penale (violazione di un luogo sacro o di un cimitero). Secondo fonti di Fides, attualmente la situazione del villaggio è tranquilla e i leader locali cristiani e musulmani stanno cercando di sanare il malinteso e mantenere calmi gli animi. (R.P.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVIII no. 251

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.