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Sommario del 07/09/2014

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Il Papa all'Angelus: pace per Ucraina e Lesotho, aiutare iracheni perseguitati

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“Davanti a Dio siamo tutti peccatori e bisognosi di perdono”. E’ quanto affermato da Papa Francesco all’Angelus, in Piazza San Pietro, incentrato sulla “correzione fraterna” nella comunità cristiana. Il Pontefice ha inoltre levato un forte appello per la pace in Ucraina e nel Lesotho, dove nei giorni scorsi vi è stato un colpo di Stato. Quindi, ha rivolto il pensiero ai cristiani perseguitati in Iraq e a quanti sono impegnati a sostenerli. Il servizio di Alessandro Gisotti: 

Ucraina e Lesotho, due Paesi molto lontani tra loro e tuttavia, purtroppo, accomunati in questo momento dalla violenza. Ai loro popoli che soffrono è andato il pensiero e la vicinanza di Papa Francesco all’Angelus. Il Pontefice ha osservato che, negli ultimi giorni, “sono stati compiuti passi significativi nella ricerca di una tregua nelle regioni interessate dal conflitto in Ucraina orientale, pur avendo sentito oggi delle notizie poco confortanti”:

“Auspico che essi possano recare sollievo alla popolazione e contribuire agli sforzi per una pace duratura. Preghiamo affinché, nella logica dell’incontro, il dialogo iniziato possa proseguire e portare il frutto sperato. Maria, Regina della Pace, prega per noi. Unisco inoltre la mia voce a quella dei Vescovi del Lesotho, che hanno rivolto un appello per la pace in quel Paese. Condanno ogni atto di violenza e prego il Signore perché nel Regno del Lesotho si ristabilisca la pace nella giustizia e nella fraternità”.

Francesco ha quindi rivolto il pensiero ad un convoglio di volontari della Croce Rossa italiana partito per l’Iraq e che si recherà ad Erbil “dove si sono concentrate decine di migliaia di sfollati iracheni”:

“Esprimendo un sentito apprezzamento per questa opera generosa e concreta, imparto la benedizione a tutti loro e a tutte le persone che cercano concretamente di aiutare i nostri fratelli perseguitati ed oppressi. Il Signore vi benedica”.

Prima degli appelli di pace, Francesco si era soffermato sul tema della “correzione fraterna” presentato dal Vangelo domenicale. Gesù, ha detto, “suggerisce un progressivo intervento” quando devo correggere un fratello cristiano che “fa una cosa non buona”. Le “tappe di questo itinerario – ha osservato – indicano lo sforzo che il Signore chiede alla sua comunità per accompagnare chi sbaglia, affinché non si perda”:

“Occorre anzitutto evitare il clamore della cronaca e il pettegolezzo della comunità – questa è la prima cosa, evitare questo -.  «Va’ e ammoniscilo fra te e lui solo» (v. 15). L’atteggiamento è di delicatezza, prudenza, umiltà, attenzione nei confronti di chi ha commesso una colpa, evitando che le parole possano ferire e uccidere il fratello. Perché, voi sapete, anche le parole uccidono! Quando io sparlo, quando io faccio una critica ingiusta, quando io ‘spello’ un fratello con la mia lingua, questo è uccidere la fama dell’altro! Anche le parole uccidono”.

Nello stesso tempo, ha soggiunto, questa “discrezione di parlargli da solo ha lo scopo di non mortificare inutilmente il peccatore”. Scopo della correzione fraterna, ha ribadito, “è quello di aiutare la persona a rendersi conto di ciò che ha fatto, e che con la sua colpa ha offeso non solo uno, ma tutti”:

“Ma anche di aiutare noi a liberarci dall’ira o dal risentimento, che fanno solo male: quell’amarezza del cuore che porta l’ira e il risentimento e che ci portano ad insultare e ad aggredire. E’ molto brutto vedere uscire dalla bocca di un cristiano un insulto o una aggressione. E’ brutto. Capito? Niente insulto! Insultare non è cristiano. Capito? Insultare non è cristiano”.

In realtà, ha detto, “davanti a Dio siamo tutti peccatori e bisognosi di perdono. Tutti! Gesù infatti ci ha detto di non giudicare”. La correzione fraterna è, allora, “un aspetto dell’amore e della comunione che devono regnare nella comunità cristiana, è un servizio reciproco che possiamo e dobbiamo renderci gli uni gli altri”. Ma, ha ammonito, “correggere il fratello è un servizio ed è possibile ed efficace solo se ciascuno si riconosce peccatore e bisognoso del perdono del Signore”. Francesco ha evidenziato che “la stessa coscienza che mi fa riconoscere lo sbaglio dell’altro, prima ancora mi ricorda che io stesso ho sbagliato e sbaglio tante volte”. Per questo, all’inizio della Messa, “ogni volta siamo invitati a riconoscere davanti al Signore di essere peccatori”:

“Tra le condizioni che accomunano i partecipanti alla celebrazione eucaristica, due sono fondamentali, due condizioni per andare bene a Messa: tutti siamo peccatori e a tutti Dio dona la sua misericordia. Sono due condizioni che spalancano la porta per entrare a Messa bene. Dobbiamo sempre ricordare questo prima di andare dal fratello per la correzione fraterna”.

Al momento dei saluti ai pellegrini, il Papa ha ricordato che domani celebreremo “la ricorrenza liturgica della Natività della Madonna”. Questo, ha affermato, è “il suo compleanno”:

“E cosa si fa quando la mamma fa la festa di compleanno? La si saluta, si fanno gli auguri… Domani ricordatevi, dal mattino presto, dal vostro cuore e dalle vostre labbra, di salutare la Madonna e dirle: “Tanti auguri!”. E dirle un’Ave Maria che venga dal cuore di figlio e di figlia. Ricordatevi bene!”.

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Messaggio Papa a parrocchia romana: rinsaldare famiglia e valori della fede

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Papa Francesco ha inviato un messaggio ai partecipanti all’iniziativa “Famiglia 2014, accendi la speranza”, in corso presso la parrocchia di Santa Maria di Loreto a Castelverde, nella periferia Est di Roma, giunta alla quinta edizione. Nel telegramma - a firma del cardinale Pietro Parolin - Francesco benedice i partecipanti, “incoraggiando a rinsaldare la fedeltà ai valori della fede cristiana e dell’istituto familiare”.

La Messa in parrocchia di stamani, durante la quale è stato letto il messaggio del Papa, è stata presieduta da mons. Marco Sozzi, inviato dall’arcivescovo Rino Fisichella, presidente del Pontificio Consiglio per la promozione della Nuova Evangelizzazione. In serata, un gruppo di giovani darà vita al Musical sui Dieci Comandamenti realizzato in occasione dei 20 anni del percorso sui Dieci Comandamenti, iniziato nel 1993 da don Fabio Rosini, e scritto dai ragazzi del gruppo teatrale “Luci nella notte”. (A.G.)

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Ad Anversa, i leader delle religioni. Impagliazzo: la pace é il futuro

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A cento anni dalla Prima Guerra Mondiale, e in un momento in cui il mondo è insanguinato da nuovi disumani conflitti, le religioni si incontrano come ogni anno nel nome dello Spirito di Assisi per dialogare e per essere veicolo di pace. Da oggi a martedi, ad Anversa, in Belgio, si tiene l’annuale incontro internazionale delle religioni organizzato dalla Comunità di Sant’Egidio, quest’anno dal titolo “La pace è il futuro”. Trecento leader delle grandi religioni mondiali si confronteranno sulle piu’ grandi sfide mondiali, e con loro intellettuali e rappresentanti politici. Ad aprire l’appuntamento, che entrerà nel vivo oggi pomeriggio, è stata questa mattina una liturgia ecumenica nell’antica cattedrale della città. “Il nostro desiderio è di dialogare gli uni con gli altri in un’atmosfera di fratellanza e riconciliazione”, ha detto nella sua omelia mons. Johan Bonny, vescovo di Anversa, “come religiosi abbiamo bisogno urgentemente di un mondo più pacifico e siamo pronti a lavorare per questo". A dare voce ai drammi iracheno e siriano è stato Aphrem II Patriarca di Antiochia e di tutto l’Oriente, capo supremo della Chiesa siro ortodossa universale. “Dio – sono state le sue parole -  è presente in mezzo noi quando vediamo la speranza negli occhi di un bambino costretto a lasciare la sua casa e la sua città di Mosul in Iraq per un destino sconosciuto. Dio è presente in mezzo a noi, quando vediamo un padre che ha perso tutta la sua famiglia a causa di barbarici atti omicidi avvenuti a Sadad, in Siria – ed è ancora in grado di sorridere serenamente e di sottomettersi felicemente alla volontà di Dio che egli sa essere vicino a sé nella sua angoscia”. La nostra inviata ad Anversa, Francesca Sabatinelli ha intervistato il presidente della Comunità di Sant’Egidio, Marco Impagliazzo: 

R. – E’ un clima di guerra, dal Medio Oriente al conflitto tra Russia e Ucraina, a tanti conflitti ancora aperti in Africa,  penso particolarmente al Centrafrica. E dunque, ci si chiede che cosa significhi parlare di pace in un momento in cui la guerra sembra prevalere, perché ancora molti pensano – purtroppo – che l’unico modo per sconfiggere la guerra sia con altra guerra. Invece, qui ad Anversa, con tanti leader religiosi da ogni parte del mondo, seguendo lo Spirito di Assisi, noi siamo convinti esattamente del contrario: che l’unico modo per superare la guerra sia vincerla con la pace.

D. – L’Africa è sempre stata nel cuore di Sant’Egidio e di questi incontri, e anche quest’anno, tra i tanti panel, ve ne sono dedicati a questo continente. Ce ne sarà uno, in particolare, sulla Nigeria, Paese che sta vivendo un momento di forte violenza a causa dell’avanzata di "Boko Haram"…

R. – E’ molto interessante il fatto che in tante crisi africane, come in Nigeria o in Centrafrica, ci sia un nuovo ruolo delle religioni per la pace. Questo conferma come l’intuizione di Giovanni Paolo II, nel 1986 ad Assisi, sia stata profetica. Cioè, ridare alle religioni il ruolo di pacificatori nel mondo. Per quanto riguarda in particolare il conflitto nigeriano, si tratta ora di chiamare i cristiani, sia cattolici che protestanti, e i musulmani che seguono la via giusta dell’islam, a individuare come sia possibile isolare il discorso di "Boko Haram" dalla religione. Noi vogliamo, cioè, evitare qualsiasi ambiguità tra religione e violenza, eliminare tutte quelle ambiguità che ancora esistono in certi personaggi che si appropriano della religione per portare avanti un discorso violento di guerra. Questo è lo scopo, anche, del panel particolare sulla Nigeria: separare, cioè, la religione dalla violenza.

D. – Quindi, si ribadisce il ruolo delle religioni per favorire la pace, in conflitti che però non sono generati dalle religioni, a dispetto di quanto ancora oggi affermano taluni, seppur in pochi…

R. – Sì, assolutamente sì. In parte, perché c’è la responsabilità di alcuni che si appropriano del nome religioso per fare la guerra. Noi sappiamo però anche che spesso sono conflitti etnici o per motivi di ricchezza o per motivi di proprietà. Certamente adesso c’è il fenomeno, che si verifica in particolare nell’islam, di gruppi fondamentalisti e direi anche terroristi, penso ai due nuovi califfati, in Nigeria e in Iraq, e già l’idea che ci siano due califfati al mondo risulta un po’ strana, che approfittano di questo tema. Per questo, le religioni devono essere ancora più ferme nell’affermare che non c’è alcun tipo di solidarietà, e non può esserci solidarietà, tra violenza e religione.

D. – Ovviamente, non si potrà non andare con il pensiero alle persecuzioni che vivono i cristiani e gli yazidi, che nel Nord dell’Iraq stanno cercando riparo e salvezza dall’aggressione dei miliziani dello Stato islamico …

R. – Sì, questo certamente sarà al cuore del nostro convegno. Siamo molto felici che potranno partecipare tutte le rappresentanze religiose ed etniche del popolo iracheno, dai sunniti agli sciiti, dagli yazidi ai cristiani e insieme ci interrogheremo per chiederci qual è il futuro dell’Iraq al di là del buio di questo momento. Perché il problema è anche preparare il “dopo”, costruire un futuro di pace.

D. – In tanti anni di incontri sullo Spirito di Assisi, si è visto come le tavole rotonde abbiano attraversato tutte le tematiche: dagli anziani all’ambiente, alle periferie urbane. Purtroppo, però, non si può non notare come negli ultimi tempi, e quest’anno soprattutto, si parli molto di terrorismo e fondamentalismo. E’ difficile in questo modo riuscire a mantenere viva la speranza…

R. – Io penso che noi dobbiamo pensare che il mondo ha bisogno di un futuro, che tutti abbiamo bisogno di un domani, e soprattutto dobbiamo mantenere viva la speranza a partire dal grido, dalla sofferenza delle donne, dei bambini iracheni, degli anziani, di tutte le vittime della guerra. Questo grido è per noi un impegno e una chiamata nuova di responsabilità. Io devo dire che le religioni, qui ad Anversa, sono chiamate anche a fare una certa autocritica: quanto siamo stati capaci di costruire un mondo di pace? Troppo poco. Ebbene, il grido di chi soffre è un nuovo appello a una solidarietà e a un impegno più forte, per la pace nel mondo. E’ da qui che nasce la speranza: la speranza nasce quando si tocca la sofferenza.

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Oggi in Primo Piano



Ucraina: violato cessate il fuoco, nuovi scontri nell'Est del Paese

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È durato poche ore il cessate il fuoco siglato due giorni fa tra le truppe di Kiev e i separatisti filorussi: questa notte violenze si sono registrate a Mariupol e Donetsk, nel martoriato Est dell’Ucraina. I disordini mettono a rischio la tregua, mentre domani l’Ue si pronuncerà sulle nuove sanzioni contro Mosca. Il servizio di Roberta Barbi: 

Almeno una donna è morta e tre persone sono rimaste ferite: questo il bilancio che il sindaco di Mariupol, città portuale dell’Ucraina sudorientale dalla posizione strategica sul Mare di Azov, traccia degli scontri che si sono verificati nella notte, in piena violazione del cessate il fuoco firmato due giorni fa. Secondo il primo cittadino, i ribelli filorussi avrebbero sparato contro un posto di blocco in mano ai governativi nella periferia Est della città e distrutto un distributore di benzina. Un prolungato bombardamento è stato segnalato anche a Nord di Donetsk, sempre nell’Ucraina orientale, precisamente nella zona dell’aeroporto, controllata dalle forze di governo, mentre la città sarebbe in mano ai filorussi: qui i disordini si sarebbero concentrati nei pressi di un’installazione militare. E c’è attesa, domani, per la formalizzazione delle nuove sanzioni dell’Unione Europea ai danni della Russia: Mosca, ha fatto sapere il ministero degli Esteri, se queste entreranno in vigore, non resterà a guardare.

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Sos Villaggi Bambini: in Siria, rubata l’infanzia a una generazione

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In Italia, come in molti Paesi europei, in questi giorni i bambini tornano a frequentare le scuole. Un diritto negato a un’intera generazione di bambini siriani, travolti da una guerra che dura ormai da tre anni e mezzo. Per una testimonianza sulla drammatica condizione dell’infanzia in Siria, Alessandro Gisotti  ha intervistato Elena Cranchi, portavoce in Italia dell’Ong “Sos Villaggi dei Bambini”: 

R. - Abbiamo un milione di bambini e ragazzi che vivono come rifugiati e tre milioni di bambini che non stanno andando a scuola. Numeri che sono indice di una guerra che sta sterminando, di fatto, l’infanzia. Noi siamo in Siria da molti anni - da più di 30 anni - e abbiamo sempre supportato le famiglie vulnerabili e i bambini in difficoltà. Abbiamo dovuto sostenere le famiglie dando kit scolastici ai bambini. Inoltre, abbiamo fornito pacchi alimentari a più di 60 mila persone. Quindi, in tutto questo tempo, abbiamo aiutato 100 mila persone. Tra l’altro, colgo l’occasione per dire che "Agire" ha lanciato, insieme alla Croce Rossa, un appello - noi siamo una delle organizzazioni internazionali che facciamo parte del network - proprio per raccogliere fondi e dare sostegno alle popolazioni del Medio Oriente.

D. - In questo periodo in Italia e in Europa riaprono le scuole. Qui c’è un altro dramma nel dramma, di una generazione intera di piccoli siriani che non possono studiare e non possono crescere come gli altri bambini…

R. - Quello che cerchiamo di dare da sempre ai bambini è una vita normale fatta di gesti normali: di gioco per le strade - che per i bambini in Siria è divenuto qualcosa di vietato, perché metterebbe a rischio la loro vita - poi, andare a scuola… Tra l’altro, sono circolate meravigliose immagini di queste bambine che andavano a recuperare i libri scolastici, o bambini che sulle case diventate ormai carcasse si siedono e aprono testi ormai quasi al macero.

D. - C’è una storia che può sintetizzare come stanno vivendo, anzi sopravvivendo i bambini siriani?

R. - Noi abbiamo ricevuto da poco la storia di una bambina che è stata ritrovata a Damasco tra le macerie ed è stata accolta in un Villaggio Sos di Kodsaia. Questa bambina aveva perso i genitori durante il conflitto, quindi è giunta nel Villaggio Sos in preda a crisi di pianto, davvero sotto shock. Grazie alle cure, all’amore dei nostri educatori e della "mamma Sos" - che racconta di aver dormito con lei tutte le notti in cui lei, invece di respirare, piangeva - questa bambina ora sta bene e sorride. Ci hanno appena mandato le immagini di lei che corre nelle stanze insieme ad altri bambini!

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In Mozambico, sempre viva la testimonianza dei catechisti martiri

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Formare catechisti laici locali che affianchino i missionari nell’opera di evangelizzazione delle famiglie. E’ questo l’obiettivo del Centro catechistico a Guiúa a Nord del Mozambico, fondato nel 1972 dai Padri Missionari della Consolata. E da questo luogo, proprio a causa della fede, il 22 marzo del 1992, durante la guerra civile che imperversava nel Paese, furono catturati e uccisi da alcuni guerriglieri 23 catechisti. Tra loro anche donne e bambini. Oggi queste vittime sono ricordate come “i martiri di Guiúa” e, sul loro esempio, dal centro continuano a nascere nuove famiglie di catechisti. Marina Tomarro ha raccolto la testimonianza di padre Diamantino Guapo Antunes, direttore del Centro catechistico locale: 

R. - Questo Centro catechistico di Guiúa è stato fondato nel 1972 in risposta al bisogno di formazione di catechisti laici che potessero portare avanti il lavoro di evangelizzazione insieme ai missionari, qualificandoli e rendendo il Vangelo più incarnato nella realtà culturale e nelle famiglie. E’ stato importante perché ha formato generazioni di famiglie cristiane, che sono poi diventate evangelizzatrici e sono state un grande sostegno dopo l’indipendenza, quando molti missionari hanno dovuto lasciare il Paese: potendo loro andare dappertutto sono stati i pilastri nelle comunità, riuscendo a mantenere tutte quelle comunità che erano in difficoltà per mancanza di assistenza religiosa e facendo in modo che questa Chiesa assumesse una dimensione missionaria. Le comunità cristiane si sono moltiplicate - anche in luoghi dove prima non erano presenti - grazie proprio al lavoro di questi catechisti formati, che - a loro volta - hanno formato altri catechisti.

D. - Guiúa è purtroppo ricordata anche per la strage che si è compiuta il 22 marzo del 1992, nella quale persero la vita 23 catechisti. Che cosa è successo quella notte?

R. - Quella notte il centro è stato attaccato da un gruppo di guerriglieri che hanno rapito le persone presenti. Un gruppo è riuscito a scappare… Avevano appena iniziato il corso di formazione quando c’è stato l’attacco. I catechisti sono stati presi e sono stati poi ammazzati: hanno versato il loro sangue in nome della fede che li aveva portati in questo centro. In questo senso loro sono martiri della fede!

D. - Qual è il messaggio che ci rimane oggi di questi martiri della fede?

R. - E’ un messaggio vivo, perché la loro testimonianza e il loro ricordo è vivo nelle comunità di origine e per tutta la Chiesa in Mozambico. Rappresentano anche tanti altri martiri che sono morti durante la rivoluzione a causa proprio della loro fede. Questo gruppo di martiri di Guiúa sono diventati il simbolo di una Chiesa che ha veramente sofferto, di una Chiesa che nonostante tutte le prove e tutte le difficoltà ha dato un segno di maturità e che oggi, in un contesto differente di libertà religiosa, ci sfida a essere coerenti con la nostra fede e capaci di testimoniarla.

D. - Oggi tanti sono purtroppo i nuovi martiri della fede. Pensiamo alla Siria, all’Iraq… Cosa si potrebbe fare per loro?

R. - Soprattutto non dimenticarli e fare tutto il possibile per far conoscere la loro situazione. Penso che la testimonianza che ci viene dal Medio Oriente sia una grande sfida alla nostra fede e come noi la viviamo: sono cristiani che stanno pagando un prezzo molto alto per la loro fedeltà a Cristo. Ci fanno anche riflettere sul nostro modo di vivere la fede: manifestiamo quello in cui crediamo senza avere paura di essere criticati e di essere derisi. Penso che dobbiamo valorizzare questa grande testimonianza, farla conoscere e soprattutto fare pressioni presso i governi affinché non dimentichino queste popolazioni. 

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Myanmar: celebrazioni per i 500 anni dall'arrivo dei primi missionari

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Quest’anno la Chiesa del Myanmar celebra i 500 anni dall’arrivo dei primi cattolici nel Paese. Tante le iniziative dei vescovi, che hanno puntato anche sull’aspetto artistico, coinvolgendo numerosi musicisti cattolici che hanno realizzato l’album “Revelation” e anche un musical sulla figura di Gesù, rappresentato allo stadio nazionale. La cerimonia di chiusura dell’anno giubilare è prevista fra il 21 e il 23 novembre prossimi. Il direttore di AsiaNews, padre Bernardo Cervellera, che nei mesi scorsi si è recato in Myanmar, ha raccontato a Roberta Barbi come sta vivendo l’anniversario la comunità locale: 

R. – I festeggiamenti prevedono anzitutto una serie di celebrazioni e di catechesi per riscoprire la storia del loro Paese. In ogni diocesi stanno riscoprendo la storia dei missionari che hanno portato lì la fede, i valori che hanno portato e anche la valorizzazione archeologica o architettonica di tutto quello che i missionari e i grandi testimoni della fede hanno portato. Poi, l’altra cosa che stanno facendo, è la valorizzazione dei loro martiri. Quest’anno, la diocesi di Loikaw ha avuto due Beati: uno è un missionario del Pime, Mario Vergara, e l’altro è Isidoro Ngei Ko Lat, un catechista locale. La riscoperta della storia, la riscoperta di queste grandi figure dà un senso di forte appartenenza e anche un’energia nell’affrontare la situazione.

D. – In realtà, i primi cattolici arrivarono nell’attuale Myanmar nel 1510, cioè 504 anni fa, ma il Giubileo si festeggia quest’anno perché finalmente le religioni stanno ottenendo dal governo spazi di libertà in questa delicata fase di transizione democratica …

R. – Sì, infatti alcuni anni fa c’erano ancora molte, moltissime tensioni tra i gruppi Kachin, Chin, Shan, Karen e il governo centrale. In più, anche il governo centrale era in una situazione delicata di trasformazione da una dittatura militare a un abbastanza apparente governo laico. Questa transizione ha creato anche diversi sconvolgimenti nei rapporti con queste tribù e con questi Stati che da decenni cercano l’indipendenza o l’autonomia. E devo dire che i vescovi si sono anche impegnati moltissimo per la dignità di questi Stati tribali, e anche per cercare di costruire la pace.

D. – Oggi i cattolici nel Paese costituiscono l’1 per cento della popolazione. Come vive la comunità locale in un contesto in cui gli scontri tra la maggioranza buddista e la minoranza islamica sono all’ordine del giorno?

R. – Questo è un problema molto, molto grave. Credo che comunque la Chiesa cattolica stia dimostrando proprio l’attenzione a ogni persona, a ogni individuo e questo per la mentalità buddista è una correzione molto forte, perché il buddismo supera l’individuo per cercare una pace, una tranquillità e un distacco a volte fuori dal mondo. Nello stesso tempo, la Chiesa cerca a tutti i costi di far sì che lo Stato sia rispettoso di ogni comunità.

D. – In quali ambiti è più impegnata la Chiesa cattolica del Myanmar e quali sono le sfide che dovrà affrontare in futuro?

R. – La prima sfida è quella dell’educazione, soprattutto nel mondo della povertà e nel mondo dei gruppi tribali. Il problema è che questi gruppi tribali vivono ai margini di tutto lo sviluppo e di tutta la ricchezza che c’è in Myanmar, che è un Paese ricchissimo: però di tutta questa ricchezza i tribali non fanno assolutamente parte, anzi, le loro terre vengono depredate proprio per sfruttare il sottosuolo. Allora, l’educazione, i diritti umani e – terza cosa – il lavoro: creare occasioni e scuole per insegnare a tutte queste persone un lavoro perché entrino nella società con il loro contributo.

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"La santità è possibile", un libro del card. Saraiva Martins

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"Tanto più la crisi economica e, ancor prima, quella antropologica preoccupano ciascuno di noi, tanto più si ha il bisogno di ritrovare il balsamo della speranza e della fiducia". Questo lo scopo del volume del cardinale Saraiva Martins “La santità è possibile – Nascono per non morire” edito dalla Libreria Editrice Vaticana: oltre 130 tra omelie e relazioni, articolate nelle quattro macro sezioni “Santi”, “Beati”, “Venerabili e Servi di Dio” e “Sante Spigolature”. Per comprendere gli scopi del libro, con prefazione del cardinale Angelo Sodano, Paolo Giacosa ha intervistato l’autore, il cardinale José Saraiva Martins, prefetto emerito – dopo una guida decennale – della Congregazione delle Cause dei Santi: 

R. - Lo scopo del libro è soprattutto ricordare che la Chiesa è chiamata alla santità. Questo è il primo concetto che ho cercato di approfondire. Quando diciamo che la Chiesa deve essere santa, dobbiamo tenere presente che la Chiesa non è una realtà astratta ma concreta: la Chiesa siamo tutti noi. Sono concetti che, durante i miei anni di prefettura, ho cercato di approfondire sotto vari aspetti in occasione delle varie Beatificazioni e Canonizzazioni.

D. - Come si può riuscire a coinvolgere il singolo sul messaggio della chiamata universale alla santità delineato dalla Lumen Gentium?

R. – Molte volte si parla di santità e di umanità come se fossero due realtà contrapposte e sovrapposte: è uno sbaglio. La santità e l’umanità in realtà sono unite in modo inscindibile: inseparabili! La santità, ho detto molte volte, è la pienezza dell’umanità. I santi sono coloro che vivono in pienezza la loro umanità. Essere santo vuol dire essere battezzato. La vocazione battesimale è essenzialmente vocazione alla santità, tanto che Giovanni Paolo II diceva: “Domandare ad un catecumeno: tu vuoi essere battezzato? equivale a domandargli: tu vuoi essere santo? Tutti i battezzati sono chiamati alla santità”.

D. - La prefazione del libro, firmata dal cardinale Sodano, sottolinea il valore apologetico della santità nella Chiesa, che non potrebbe esistere senza il continuo intervento di Dio ...

R. – Certamente la Chiesa non può agire senza il continuo intervento di Dio. La Chiesa non potrebbe esistere senza essere santa: perché? La ragione è molto semplice: se la Chiesa è il Corpo mistico di Cristo, se la Chiesa è Cristo, allora è chiaro che sul volto della Chiesa si dovrebbe specchiare la santità di Cristo.

D. - Qual è il santo che l’ha maggiormente colpita? Quello che porta nel cuore ...

R. - Mi hanno colpito tanti santi, portati agli altari durante la mia prefettura, perché la santità è unica, ma il modo di vivere questa santità è diverso in ognuno di noi. Quindi, ogni santo ha un aspetto peculiare, particolare, personale della santità. Un santo che certamente mi ha affascinato è Madre Teresa di Calcutta, che è stata beatificata durante la mia prefettura. E lei è un modello si santità! Lei ha detto molte volte che la santità non è niente di speciale: “Chi ama diventa santo”. L’amore è identificato con la santità: è un’affermazione teologica molto profonda. Poi tutti i martiri sono ammirevoli. Dare la vita per Cristo, il tesoro più grande che abbiamo, che Dio ci ha dato, è straordinario! È commovente.

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Bambin Gesù: tv e videogiochi creano disturbi del sonno nei bambini

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Un bambino su quattro fino ai tre anni di età, nei Paesi occidentali, ha difficoltà nel sonno. La percentuale sarebbe in aumento a causa di televisione e videogiochi. Se ne è parlato, recentemente, durante la Giornata Mondiale del Sonno, evento annuale organizzato dall’Associazione Mondiale di Medicina del Sonno. Al microfono di Elisa Sartarelli, la dott.ssa Cristiana De Ranieri, psicologa clinica dell’Ospedale Bambino Gesù di Roma: 

R. – Nel primo anno di vita, hanno un forte peso anche cause di tipo fisico, problemi come le coliche o un’alimentazione non corretta. Mano mano che il bambino diventa grande, possono subentrare anche problematiche relative alle condizioni dovute all’ambiente esterno, al clima che c’è in famiglia, alle esperienze che il bambino fa durante il giorno, che possono influire sul riposo notturno. Un disturbo passeggero del sonno può essere dovuto anche ad un normale passaggio evolutivo, come può essere l’inserimento a scuola, un cambiamento nella vita familiare, un trasloco … non necessariamente c’è un collegamento con qualcosa di problematico. A volte i bambini dormono male perché fanno dei loro passaggi evolutivi interni, come per esempio rendersi conto del distacco dai genitori che da una parte è una cosa piacevole, perché il bambino scopre il mondo, scopre altre persone, ma dall’altra c’è il timore di perdere magari quel rapporto stretto e rassicurante che hanno con i genitori.

D. – I videogiochi agiscono sul sonno?

R. – Normalmente, è una passione che i bambini hanno quando sono un pochino più grandi. Sì, sono stati fatti molti studi su questo. Intanto, proprio il fatto di mantenere questi ritmi di attenzione così elevati e così rapidi, richiesti dai videogiochi, possono mantenere il bambino in uno stato di tensione per cui poi a volte fa fatica a perderlo, fa fatica a rilassarsi, specialmente se questi giochi avvengono nelle ore serali. Per aiutare, accompagnare il bambino nel sonno serale, c’è bisogno di creare intorno a lui un clima tranquillo, rilassato e piacevole; in realtà, il videogioco è come se facesse un lavoro opposto: favorisce una scarica di adrenalina, è eccitante … Così come a volte lo sono le stanze dei bambini: ci sono bambini che hanno la televisione in camera, con i videogiochi, piene di giocattoli … Invece di invitarli a rilassarsi, li si invita a essere sempre più eccitati …

D. – Ci sono bambini che si addormentano solo dopo un giro in auto, o solo se dormono con mamma e papà. Sono soluzioni o cattive abitudini?

R. – Dobbiamo sempre pensare che abbiamo di fronte persone sicuramente stanche, a volte anche scoraggiate, un po’ sfiduciate perché hanno provato tante cose … Magari hanno provato male, però si sentono di essere incapaci. Quindi, comunque essere troppo rigidi e dire: “Mai fare questo”, “mai mettere il bambino nel lettone”, li si fa sentire ancora più impotenti. Allora, pensare che ci possano essere delle soluzioni, a volte per interrompere un circolo vizioso: se un bambino non dorme mai per giorni e giorni, uno prova a fare una cosa. L’importante è essere consapevoli che è un escamotage temporaneo e che non è la soluzione del problema. Il "discorso del lettone" è un discorso diverso rispetto al giro in macchina: c’è anche una grossa valenza affettiva, relazionale. Se il bambino cerca il "lettone" perché ha avuto paura, perché sta affrontando un passaggio importante, da che stava sempre con i genitori o con una figura familiare si ritrova a stare a scuola in mezzo a tanti bambini: allora possiamo anche accoglierlo per un po’, no? Sempre pensando che è un momento …

D. – Come possono i genitori aiutare i figli a trovare una regolarità nel dormire?

R. – Intanto, cercare di crearla. A volte si sentono persone che hanno pretese forse esagerate: i bambini che devono dormire in qualsiasi condizione, che li portano in pizzeria e nel chiasso e dovrebbero addormentarsi, o che devono dormire con la televisione accesa … In realtà, perché noi adulti questo non lo facciamo e pretendiamo che lo facciano i bambini? Dobbiamo accompagnarli piano piano, in una maniera che sia rituale, perché la ritualità significa prevedibilità: quindi, sapere che ci mettiamo il pigiamino, poi verrà mamma o papà e leggeremo il libro insieme; poi il bambino a volte chiama e richiama, perché vuole l’acqua, perché vuole il bacino, perché vuole rassicurazione fino a che poi si sentirà sufficientemente tranquillo per addormentarsi.

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Festival del Cinema di Venezia: vincono film dal forte spessore umano

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Consegnati, ieri sera, durante la cerimonia di chiusura in Sala Grande i Leoni della 71.ma Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, che hanno confermato le qualità artistiche e narrative di film dal forte spessore umano, scelte confermate da un Festival che ha ritrovato la sua identità. Il servizio di Luca Pellegrini

L’affermazione importante, in sede di premiazione, di film che sono unanimemente riconosciuti come validissime riflessioni sull’uomo, la storia, la vita, il dolore, hanno convalidato la linea artistica che Alberto Barbera ha impresso alla Mostra in questi suoi anni di dolce e ferrea direzione: è l’arte cinematografica che deve approdare al Lido, il mercato è legato a vecchie logiche trionfalistiche, i film belli ci sono, bisogna cercarli. E possono essere di richiamo anche quelli che non sono illuminati da nomi roboanti ed etichette pubblicitarie. Per questo si esce compiaciuti e soddisfatti dal verdetto della Giuria presieduta dal compositore francese Alexandre Desplat: Leone d’Oro al filosofico, ironico e visionario “Un piccione seduto su un ramo riflette sull’esistenza” dello svedese Roy Andersson; Leone d’Argento al film di Andrej Konchalovskij “Le notti bianche del postino”, contemplazioni lacustri e naturali di un uomo solo nella Russia geograficamente e umanamente sperduta e sconosciuta; Gran Premio della Giuria al più applaudito di tutti, “The Look of Silence” di Joshua Oppenheimer, documentario che non rimuove l’orrendo, spietato massacro avvenuto in Indonesia negli anni ’60, descritto attraverso pure confessioni verbali in cui latita il pentimento.

Le parole del grande regista ieri sera da Chicago: “Ora anche l’Occidente dovrebbe trovare il coraggio di riconoscere il ruolo che ha svolto in quel genocidio”. Speriamo di vederli presto in sala, questi film. Mentre arriverà nel 2015 “Hungry Hearts” di Saverio Costanzo, la cui protagonista Alba Rohrwacher, nei panni di una madre nevrotica e fragile che mette a repentaglio la vita del suo bambino, vince la Coppa Volpi per la migliore interpretazione femminile, e il suo collega Adam Driver quella maschile. La sola scelta, quest’ultima, a creare dissenso e imbarazzo, poiché la Giuria si è dimenticata dell’immensa interpretazione di "Leopardi" che ne ha fatto Elio Germano, e in fondo anche del grande film di Mario Martone dedicato al poeta di Recanati. 

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Nella Chiesa e nel mondo



Iraq: raid Usa sulla diga di Haditha, vittime tra i jihadisti

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Decine di militanti dello Stato islamico (Is) sono rimasti uccisi oggi in un raid americano nella zona della diga di Haditha, sul fiume Eufrate, nella provincia irachena di al-Anbar. L’impianto si trova sotto il controllo delle forze governative ed è il secondo più importante generatore di produzione idroelettrica del Paese, che fornisce acqua a milioni di persone.

Haditha si trova in territorio sunnita a nordovest della capitale Baghdad e qui si è aperto il nuovo fronte di lotta degli Stati Uniti ai jihadisti dell’Is: l’operazione, infatti, sarebbe sostenuta dalle tribù locali che hanno assicurato il proprio appoggio alle forze di sicurezza irachene nella lotta al terrorismo chiedendo anche l’intervento americano, a patto, però, che non ci siano interferenze esterne nell’amministrazione della provincia.

Intanto il capo della Lega Araba, Nabil al-Arabi, nel corso di una riunione con alcuni ministri degli Esteri arabi e all’indomani dell’incontro con il segretario di Stato americano, Kerry, ha dichiarato che “è urgente affrontare la questione dello Stato islamico in maniera globale, sia da un punto di vista politico che militare”. (R.B.)

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I vescovi del Lesotho auspicano il ripristino della pace

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“Chiediamo alle parti in causa di rispettare il proprio ruolo e di lavorare insieme al ripristino della sicurezza e della stabilità politica”. Scrivono così, in un accorato appello per la pace, i vescovi del Lesotho, piccolo Paese dell’Africa meridionale in cui nei giorni scorsi si è verificato un colpo di Stato. Il 30 agosto, infatti, l’esercito ha occupato il quartier generale della polizia e alcuni palazzi del governo, costringendo alla fuga nel vicino Sudafrica il primo ministro, Thomas Thabane, e nella capitale Maseru sarebbero anche stati avvertiti colpi d’arma da fuoco. “Siamo a conoscenza degli ultimi sviluppi della situazione e dell’impasse politica in cui versa il Paese”, scrivono ancora i vescovi che denunciano la brutale uccisione di un poliziotto durante i disordini e il ferimento di molte persone.

Eletto nel maggio 2012 e da allora alla guida di un governo di coalizione, il primo ministro Thabane nel giugno scorso aveva sospeso il parlamento e cacciato il comandante dell’esercito, rimasto fedele al vicepremier Mothetjoa Metsing, che i militari vorrebbero a capo di un nuovo governo di coalizione. Le forze di polizia, invece, sarebbero fedeli all’attuale premier, che pare - secondo fonti di agenzia - sia tornato nel Paese già da 4 giorni. Il Lesotho è una monarchia costituzionale retta da re Letsie III che non si è pronunciato su quanto accaduto; i Paesi della regione, invece, hanno dichiarato l’intenzione di monitorare la situazione e di auspicare quanto prima il ripristino della legalità. (a cura di Roberta Barbi)

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Quasi 300 morti per le piogge monsoniche tra India e Pakistan

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Oltre 160 persone in Pakistan e 108 in India sono rimaste uccise a causa delle piogge monsoniche che da cinque giorni insistono sull’area: questo il drammatico bilancio che però potrebbe ancora aumentare.

I danni maggiori si segnalano nel Nordest del Pakistan, dove si registrano almeno 235 feriti, e soprattutto nel Kashmir, dove sono crollate alcune case e si teme l’esondazione dei fiumi Neelum e Jhelum. Drammatica la situazione anche nel Punjab, la più popolosa delle province pakistane, dove molte città, rimaste senza energia elettrica, sono state evacuate. Anche Lahore, la seconda città del Paese per importanza, è stata molto colpita dalle alluvioni e ha pagato un prezzo altissimo: 36 le vittime accertate a causa degli allagamenti.

Le autorità locali si sono mobilitate e hanno assicurato alla popolazione che sarà fatto tutto il possibile, soprattutto per l’assistenza ai senzatetto. Non è la prima volta che il Pakistan viene colpito da calamità naturali di questo tipo: solo l’anno scorso 178 persone sono morte a causa di alluvioni e oltre un milione e mezzo hanno subito danni. (R.B.)

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Sierra Leone: 4 giorni di quarantena per limitare i casi di ebola

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Scatterà tra il 18 e il 21 settembre prossimi in Sierra Leone la quarantena di quattro giorni voluta dal governo del Paese africano – tra i più colpiti dal virus ebola – per ridurre il contagio e individuare i nuovi casi. La notizia ha suscitato qualche perplessità relativa alla questione dei diritti umani, ma la Sierra leone non è nuova a decisioni del genere: già a fine luglio era stato adottato un provvedimento simile della durata di una giornata.

Questo nuovo confinamento a casa della popolazione, nel cui controllo saranno impegnate 21mila persone, è stato deciso al termine della riunione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità in cui 200 esperti hanno dato il via libera a curare i malati con trasfusioni di sangue proveniente da soggetti guariti, cioè sangue contenente gli anticorpi, in attesa del vaccino che dovrebbe arrivare per novembre, al termine della fase di sperimentazione che si sta svolgendo in Mali.  

Intanto gli ultimi bilanci ufficiali parlano di 3944 nuovi casi e 2097 vittime certe, ma entro fine mese nell’area i nuovi casi potrebbero essere addirittura diecimila. (R.B.)

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Plenaria dei vescovi canadesi su evangelizzazione e dialogo

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Sarà il cardinale Jaime Lucas Ortega y Alamino, arcivescovo di L’Avana, a presiedere come inviato del Papa la Messa di apertura dell’assemblea plenaria dei vescovi canadesi il 15 settembre alle 14 nella cattedrale di Nostra Signora di Québec. I presuli proseguiranno i lavori fino al 19 settembre a Beaupré, allo Château Mont-Sainte-Anne, nell’arcidiocesi di Québec. La liturgia del 15 settembre, specifica il portale della conferenza episcopale canadese www.cccb.ca, celebrerà anche i 350 anni della cattedrale, prima parrocchia cattolica eretta canonicamente nell’America del Nord, fuori dai territori spagnoli.

Il porporato sarà anche uno dei conferenzieri della plenaria e parlerà delle sfide sociali ed ecclesiali di fronte all’evangelizzazione alla luce del documento finale della V Conferenza Generale dell’Episcopato Latinoamericano e del Caribe svoltasi ad Aparecida nel maggio del 2007 e dell’esortazione apostolica "Evangelii Gaudium" di Papa Francesco. All’ordine del giorno dei vescovi canadesi anche le iniziative pastorali e i rapporti annuali dei comitati permanenti e delle commissioni, e ci sarà spazio poi per condividere le preoccupazioni di alcuni presuli provenienti da Paesi del Sud del Mondo in lotta contro la fame e la penuria alimentare, che saranno in visita in Canada per la campagna di educazione e d’azione d’autunno dell’Organizzazione cattolica canadese per lo sviluppo e la pace.

All’assemblea plenaria prenderà parte per la prima volta mons. Luigi Bonazzi, nunzio apostolico in Canada, nominato da Papa Francesco il 18 dicembre dello scorso anno. Tra i temi che i vescovi affronteranno anche il dialogo interreligioso e il dialogo ecumenico e la corresponsabilità pastorale con il laicato. Sarà poi analizzato il documento preparatorio della terza Assemblea generale straordinaria del Sinodo dei Vescovi che si svolgerà ad ottobre a Roma su “le sfide pastorali della famiglia nel contesto dell’evangelizzazione”. (T.C.)

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Vescovi congolesi: necessaria collaborazione tra famiglia e scuola

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“Occorre collaborazione tra la famiglia e la scuola per risvegliare l’intelligenza e la personalità dei ragazzi”: è questo il messaggio lanciato da mons. Félicien Mwanama Galumbulula, vescovo di Luiza, nella Repubblica Democratica del Congo, per l’avvio del nuovo anno scolastico degli istituti di formazione cattolici. In questi giorni, infatti, il Comitato di coordinamento delle scuole cattoliche di Luiza si è riunito per stilare un bilancio consuntivo dell’anno scolastico 2013-2014 e preparare l’offerta formativa per il 2014-2015.

Sottolineando l’importanza di “inserire in una visione comune tutti gli sforzi delle persone coinvolte nell’educazione dei ragazzi”, mons. Mwanama ha quindi richiamato l’attenzione sulla famiglia, anche in vista dei due Sinodi ad essa dedicati: quello straordinario, in programma dal 5 al 19 ottobre prossimi, e quello ordinario che si terrà nel 2015. “Il tema della famiglia – ha spiegato il presule – dovrà essere tenuto in considerazione da genitori, alunni, insegnanti e tutti coloro che operano in un settore così vitale come quello dell’educazione dei giovani”.

In quest’ottica, quindi, il vescovo di Luiza ha esortato la scuola e la famiglia a lavorare in sinergia per risvegliare l’intelligenza e la personalità di ciascun ragazzo. “Per un alunno – ha spiegato il presule – l’intelligenza implica la sua capacità di comprendere, interpretare e operare delle scelte, nella vita, secondo una scala di valori interiorizzati. Non si tratta, dunque, di una mera intelligenza ‘libresca’ che si accontenta di sapere leggere e scrivere”.

Scuola e famiglia - è stato l’ulteriore richiamo di mons. Mwanama – devono essere “al servizio del bene integrale dei giovani”, “ciascuna secondo le proprie competenze” e in un’ottica di “sana collaborazione e del rispetto dei ruoli”. Tale collaborazione, definita “urgente” dal presule, dovrà “mettere innanzitutto ed effettivamente al centro i giovani, al fine di assicurare loro un’educazione integrale, attraverso un dialogo sincero, costruttivo ed esigente”. Ed il confronto, ha concluso il vescovo congolese, dovrà “affrontare con onestà le questioni inerenti la personalità dei ragazzi nel contesto socio-economico particolarmente difficile che attraversa oggi il Paese”. Questa, dunque, “la grande sfida” che attende tutti gli operatori educativi. (I.P. – Francese Africa).

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In Algeria, quarta edizione della “Scuola della differenza”

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La diversità culturale come esperienza di arricchimento: questo vuole offrire la Scuola della differenza che da quattro anni propone in Algeria, a giovani dai 20 ai 30 anni di diverse culture, nazionalità e religioni, di trascorrere 8 giorni insieme. Dal 21 al 28 settembre, a Tlemcen, atelier, giochi, danze, escursioni e momenti di riflessione faranno confrontare i partecipanti su diversi temi.

Gli incontri si svolgeranno in lingua araba e francese su: musica e danze del mondo, l’arte del riciclare, diritti umani, storia, religioni. L’iniziativa è del padre bianco José Cantal che nel 2001 ha organizzato la prima Scuola della differenza insieme alla confraternita sufi Tarîqa Alawiya. Da allora la scuola è stata riproposta ogni anno con un’ora di silenzio al giorno per le riflessioni personali e con uno spazio di tempo riservato liberamente alle pratiche religiose di ciascuno, per chi le avesse e vi hanno preso parte per lo più cristiani e musulmani. (T.C.)

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Rapporto Msf sulle crisi umanitarie dimenticate dai media

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“Inaccettabile” la situazione che fotografa il X rapporto di Medici senza Frontiere “Le crisi umanitarie dimenticate dai media” presentato ieri dall’associazione nel corso del Festival della Letteratura a Mantova: dal 2004 al primo semestre 2014 lo spazio dedicato dai principali telegiornali italiani ai contesti di crisi è crollato dal 16.5% al 2.7. L’indagine è stata portata avanti sui tg delle televisioni generaliste, le tre pubbliche e quattro private, e rileva che nella maggior parte dei casi le crisi che arrivano sul piccolo schermo riguardano conflitti o atti terroristici (il 65.5% del totale) e coinvolgono occidentali: ne è un esempio lampante l’esplosione della news sull’epidemia di ebola quest’estate.

Negli altri casi, terminata l’emergenza, queste notizie scompaiono nel dimenticatoio (vedi il caso del Sud Sudan) o non vengono proprio date: appena l’1.5% dello spazio, ad esempio, è stato dedicato a problematiche come la malnutrizione nel mondo; l’1% alle emergenze sanitarie in generale. Un’altra pericolosa tendenza, registrata dal rapporto, è la presenza sempre più ingombrante di notizie di infotainment, cioè che contengono elementi di intrattenimento. Questo nei telegiornali italiani, anche se – sempre secondo i dati forniti – il 63% dei nostri connazionali desidererebbe un’informazione più esauriente sull’argomento; un po’ meglio, ma non molto, nel resto d’Europa: Francia, Germania, Gran Bretagna e Spagna. (R.B.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVIII no. 250

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.