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Sommario del 05/09/2014

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Il Papa: il Vangelo è novità, non temere i cambiamenti nella Chiesa

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Il Vangelo “è novità”, Gesù ci chiede di “lasciare da parte le strutture caduche”. E’ quanto affermato da Papa Francesco nella Messa mattutina a Casa Santa Marta. Il Pontefice ha sottolineato che il cristiano non deve essere “schiavo di tante piccole leggi”, ma aprire il cuore al comandamento nuovo dell’amore. Il servizio di Alessandro Gisotti: 

Gli scribi vogliono mettere in difficoltà Gesù, gli domandano perché i suoi discepoli non digiunino, ma il Signore non cade nella trappola e risponde parlando di festa e novità. Papa Francesco ha preso spunto dal passo del Vangelo del giorno per soffermarsi proprio sulla novità portata da Gesù, che esorta a mettere il vino nuovo in otri nuovi:

“A vini nuovi, otri nuovi. La novità del Vangelo. Cosa ci porta il Vangelo? Gioia e novità. Questi dottori della legge erano rinchiusi nei loro comandamenti, nelle loro prescrizioni. San Paolo, parlando di loro, ci dice che prima che venisse la fede - cioè Gesù - noi tutti eravamo custoditi come prigionieri sotto la legge. Questa legge di questa gente non era cattiva: custoditi ma prigionieri, in attesa che venisse la fede. Quella fede che sarebbe stata rivelata, in Gesù stesso”.

Il popolo, ha osservato il Papa, “aveva la legge che aveva dato Mosé” e poi tante di queste “consuetudini e piccole leggi” che avevano codificato i dottori. “La legge – ha commentato – li custodiva, ma come prigionieri! E loro erano in attesa della libertà, della definitiva libertà che Dio avrebbe dato al suo popolo col suo Figlio”. La novità del Vangelo, ha dunque sottolineato, “è questa: è per riscattare dalla legge”:

“Qualcuno di voi può dirmi: ‘Ma, Padre, i cristiani non hanno legge?’; Sì! Gesù ha detto: ‘Io non vengo a chiudere la legge, ma a portarla alla sua pienezza’. E la pienezza della legge, per esempio, sono le Beatitudini, la legge dell’amore, l’amore totale, come Lui - Gesù - ci ha amato. E quando Gesù rimprovera questa gente, questi dottori della legge, li rimprovera di non aver custodito il popolo con la legge, ma fatto schiavo di tante piccole leggi, di tante piccole cose che si dovevano fare”.

Cose da fare, ha soggiunto, “senza la libertà che Lui ci porta con la nuova legge, la legge che Lui ha sancito col suo sangue”. Questa, ha ribadito il Papa, “è la novità del Vangelo, che è festa, è gioia è libertà”. E’ “proprio il riscatto che tutto il popolo attendeva” quando era “custodito dalla legge, ma come prigioniero”. Questo, ha sottolineato, è quello che Gesù vuol dirci: “Alla novità, novità; a vini nuovi, otri nuovi. E non avere paura di cambiare le cose secondo la legge del Vangelo”:

“Paolo distingue bene: figli della legge e figli della fede. A vini nuovi, otri nuovi. E per questo la Chiesa ci chiede, a tutti noi, alcuni cambiamenti. Ci chiede di lasciare da parte le strutture caduche: non servono! E prendere otri nuovi, quelli del Vangelo. Non si può capire la mentalità - per esempio - di questi dottori della legge, di questi teologi farisei: non si può capire la mentalità loro con lo spirito del Vangelo. Sono cose diverse. Lo stile del Vangelo è uno stile diverso, che porta alla pienezza la legge. Sì! Ma in un modo nuovo: è il vino nuovo, in otri nuovi”.

“Il Vangelo – ha detto ancora Francesco – è novità! Il Vangelo è festa! E soltanto si può vivere pienamente il Vangelo in un cuore gioioso e in un cuore rinnovato”. Che il Signore, è stata la sua invocazione, “ci dia la grazia di questa osservanza alla legge. Osservare la legge - la legge che Gesù ha portato alla sua pienezza - nel comandamento dell’amore, nei comandamenti che vengono dalle Beatitudini”. Il Signore, ha concluso, ci dia la grazia di “non rimanere prigionieri”, ma “ci dia la grazia della gioia e della libertà che ci porta la novità del Vangelo”.

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Il Papa: "Prego ogni giorno per quanti soffrono in Iraq. Pregate con me"

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Il Papa ha lanciato un nuovo tweet, accompagnato da una foto della Caritas statunitense (Catholic Relief Service) in cui si vedono due bambini iracheni in un campo di fortuna situato sotto un ponte. “Prego ogni giorno per quanti soffrono in Iraq – scrive il Papa - Pregate con me”.

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Lotta alla povertà al centro dell'incontro del Papa con il presidente di Panama

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Papa Francesco ha incontrato il presidente della Repubblica di Panama, Juan Carlos Varela Rodríguez, che poi ha incontrato il cardinale segretario di Stato Pietro Parolin e mons. Dominique Mamberti, segretario per i Rapporti con gli Stati.

“Durante i colloqui, che si sono svolti in un clima di cordialità – riferisce la Sala Stampa vaticana -ci si è soffermati sulla collaborazione tra la Chiesa e lo Stato nell’affrontare alcune problematiche sociali, specie quelli attinenti alla gioventù, ai poveri e ai più vulnerabili. Infine, si è fatto cenno a diverse questioni regionali nella prospettiva della prossima celebrazione del VII Vertice delle Americhe, cosi come ad alcune problematiche internazionali, rilevando l’impegno del Paese per la costruzione della pace”.

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Colloquio del Papa con il capo del Governo di Andorra

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Il Papa ha ricevuto, nel Palazzo Apostolico Vaticano, il capo del Governo del Principato di Andorra, Antoni Martí i Petit, che poi ha incontrato il cardinale segretario di Stato Pietro Parolin e mons. Dominique Mamberti, segretario per i Rapporti con gli Stati.

“Nel corso dei cordiali colloqui – riferisce la Sala Stampa vaticana - sono state rilevate le tradizionali buone relazioni fra la Santa Sede e il Principato di Andorra, consolidatesi con l’Accordo ratificato il 12 dicembre 2008, che ha inteso sviluppare la reciproca collaborazione fra la Chiesa cattolica e lo Stato. Ci si è poi soffermati su alcune tematiche di comune interesse in ambito sociale”.

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Il Papa ai giovani dei 5 continenti: abbiate ali e radici

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Il valore della comunicazione che costruisce ponti e sa ascoltare in un mondo ormai in guerra: così il Papa nell’udienza ai partecipanti al terzo Incontro mondiale dei direttori di Scholas occurrentes. Con l’invito a non lasciare soli i bambini. Scholas occurrentes è una «Rete mondiale delle scuole per l’incontro»  - nata su impulso di Papa Francesco - che riunisce realtà educative di culture e religioni diverse. Il Pontefice ha dialogato in videoconferenza via internet con studenti di Paesi nei 5 continenti: Salvador, Sudafrica, Turchia europea (Istanbul), Israele, Australia, Camerun. Intense le risposte del Papa in un clima gioioso e familiare. Il servizio di Fausta Speranza: 

Francesco saluta i giovani con questo mandato: “Sognate il futuro volando, ma non dimenticate l’eredità culturale, sapienziale e religiosa che vi hanno lasciato gli anziani”. “Non ci sono dubbi – dice il Papa - che il mondo sia in guerra! Bisogna educare i più piccoli alla cultura dell’incontro, dell’integrazione, dei ponti".  E qui lancia un accorato appello: “Non possiamo lasciare soli i bambini”. Si parla di bambini di strada – dice - come se un bambino potesse stare solo!”. E poi, quando il bambino non è solo, corre il rischio di esserlo perché è rotto il patto educativo: e fa l’esempio di quei genitori che invece di appoggiare la maestra, per un giusto rimprovero, vanno a denunciarla. Il Papa ricorda il culto del denaro, della violenza e dello scarto e parla di “eutanasia nascosta”: di “scarto” di giovani che non si educano e di anziani emarginati; di giovani lasciati senza lavoro. “Nei Paesi sviluppati – ricorda - sono 75 milioni”.  

Il Papa sottolinea l’importanza di “rafforzare i legami: i legami sociali, familiari e personali”. E chiede “un habitat che sia realmente umano, in cui siano soddisfatte le condizioni per uno sviluppo personale armonico e per la loro integrazione nel più grande habitat che è la società”. “Un autentico luogo di incontro, nel quale il vero, il buono e il bello abbiano la loro giusta armonia”. “Se i ragazzi non hanno questo - afferma Francesco - solamente gli rimane il cammino della delinquenza e delle dipendenze”.  

Nelle risposte ai ragazzi, Francesco incoraggia a “comunicare le esperienze, perché altri si ispirino, e ad ascoltare dagli altri quello che dicono”. “Con questa comunicazione – sottolinea - nessuno comanda, ma tutto funziona!”. Invoca “la spontaneità della vita e ricorda che “comunicare è dare; comunicare è generosità; comunicare è rispetto; comunicare è evitare tutti i tipi di discriminazione”. “Nella vita – dice - voi potete costruire ponti o alzare muri. I muri separano, dividono; i ponti avvicinano”. Dai ragazzi, saluti affettuosi, l’invito dalla Terra Santa a tornare, il saluto spontaneo dalla Turchia: “Hi Pope, I’m joining from Istanbul”. E il ragazzo, che viene dalla città turca che rientra nei confini genografici del continente europeo, dice al Papa: “Noi studenti non vogliamo un mondo pieno di crimini e di povertà, vogliamo dimenticare razzismo e discriminazione”. Francesco risponde felice di sentire il rifiuto della guerra: “Questo dovete gridarlo dal cuore, da dentro: “Vogliamo la pace!”. Da dentro…”.

Poi la simpatica risposta alla domanda su come sarà il mondo domani: Papa Francesco dice spontaneamente: “Io non ho la palla di vetro che hanno le streghe per vedere il futuro”. Ma poi aggiunge una riflessione profonda e un impegnativo incoraggiamento: “Il futuro sta nel tuo cuore, sta nella tua mente e sta nelle tue mani!”…. Afferma: il futuro migliore lo fanno i giovani con due qualità: “giovani con le ali e giovani con radici”. E spiega: “Giovani che abbiano ali per volare, per sognare, per creare; e che abbiano radici per ricevere dagli anziani la conoscenza che ci possono dare solo i più grandi. E ribadisce: “Avere ali per sognare cose buone, per sognare un mondo migliore, per protestare contro le guerre. Dall’altra parte, rispettare la conoscenza ricevuta dagli anziani, dai genitori, dai nonni; dagli anziani del popolo”. E dunque il mandato di Papa Francesco: “Il futuro è nelle vostre mani. Afferratelo affinché sia migliore”.

Alla domanda su come sia nata la rete Scholas occurrente, il Papa che l’ha ispirata dà tutto il merito a due dei professori presenti, José Maria del Corra ed Henrique Palmero, spiegando che era una piccola rete su Buenos Aires e poi si è allargata ai 5 continenti. La convinzione alla base è che “la gioventù ha bisogno di comunicare, ha bisogno di mostrare i suoi valori e condividere i suoi valori”. E afferma: “La gioventù oggi ha bisogno di tre pilastri chiave: educazione, sport e cultura”. “Lo sport è importante – spiega - perché insegna a giocare in squadra: lo sport salva dall’egoismo, aiuta a non essere egoisti! Per questo è importante lavorare in squadra”.  

E poi una raccomandazione particolare nella risposta al giovane del Salvador: “State ben attenti!... Difendetevi da coloro che vogliono ‘atomizzarvi’ e togliervi la forza del gruppo” . “Quando ci sono gruppi che cercano la distruzione, che cercano la guerra e che non sanno fare un lavoro di squadra - precisa - difendetevi fra di voi come squadra, come gruppo”.

Resta da dire che per l’occasione, è stata utilizzata l'Aula del Sinodo attrezzata dell’opportuna tecnologia. Diversi i momenti di attesa all’inizio per i collegamenti. Il Papa ha accompagnato con un sorriso ogni richiesta di un minuto di pazienza perché la piattaforma digitale potesse funzionare e ha ringraziato sottolineando anche la “creatività del protocollo”.

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Gruppo di lavoro congiunto Santa Sede-Vietnam ad Hanoi

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Il direttore della Sala Stampa vaticana, padre Federico Lombardi, ha annunciato che “con riferimento alla decisione adottata nel corso del quarto incontro del Gruppo di Lavoro congiunto Viêt Nam–Santa Sede, svoltosi nella Città del Vaticano nel giugno 2013, si terrà ad Hà Nôi, nei giorni 10-11 settembre prossimi, il quinto incontro del medesimo Gruppo di lavoro. La riunione servirà ad approfondire e sviluppare le relazione bilaterali tra il Viêt Nam e la Santa Sede”.

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Riunione in Vaticano del Consiglio per l’Economia

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Si è riunito oggi in Vaticano il Consiglio per l’Economia, tenendo i suoi lavori nella Sala Bologna del Palazzo Apostolico, sia al mattino sia al pomeriggio, sotto la presidenza del card. Marx, e con la partecipazione dei cardinali Parolin, segretario di Stato, e Pell, prefetto della Segreteria per l’Economia. All’ordine del giorno della riunione, informa la Sala Stampa vaticana, vi erano principalmente l’esame degli Statuti della Segreteria per l’Economia e dell’Auditor General, come pure una relazione sul trasferimento della Sezione Ordinaria dell’APSA alla Segreteria per l’Economia (cfr Motu Proprio, 8.7.2014), e sulle indicazioni agli organismi vaticani in materia di preparazione dei budget e rendicontazione.

Le prossime riunioni del Consiglio per l’Economia, conclude la nota, sono state messe in calendario per il 2 dicembre 2014 e il 6 febbraio 2015. Si prevede che con tali riunioni l’opera di definizione degli Statuti dei principali organismi economico-amministrativi (Consiglio, Segreteria, Auditor General) potrà essere compiuta.

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Festa di Madre Teresa. P. Vazhakala: la sua forza nella preghiera

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La Chiesa celebra il 5 settembre la memoria della Beata Madre Teresa di Calcutta, una delle figure più amate a livello mondiale per il suo impegno instancabile a favore dei bisognosi e premio Nobel per la pace. Proprio il 5 settembre di 17 anni fa, Madre Teresa si spegneva tra i suoi poveri di Calcutta. Nel 2003, San Giovanni Paolo II – a cui era legatissima – l’ha proclamata Beata in Piazza San Pietro. Per una testimonianza su questo eccezionale modello di santità, Alessandro Gisotti ha intervistato padre Sebastian Vazhakala, superiore generale dei Missionari contemplativi della Carità, congregazione fondata nel 1979 assieme a Madre Teresa: 

R. - Lei desiderava con tutto il cuore amare il prossimo, amare Dio e amare Dio nel prossimo. Lei sentiva tutto questo con tutto il cuore, a tal punto che noi sempre, ogni volta che celebriamo una festa di questo genere, facciamo una sorta di esame di coscienza importante. In questo modo, coinvolge quasi tutti, perché lei ha coinvolto tutto il mondo con l’opera di carità, della missione, della compassione. Anche Papa Francesco adesso sta parlando di misericordia, di compassione non solo con le parole, ma con le azioni. Allora ad ogni festa di Madre Teresa di Calcutta per noi si rinnova il suo spirito.

D. - Lei ovviamente ha tantissimi ricordi. Quale in particolare vuole condividere con chi l’ascolta oggi?

R. - I ricordi sono tanti. Quando mi trovavo nella “Casa dei Moribondi” a Calcutta, una volta ho visto arrivare un’ambulanza del comune con una persona che proveniva dalla strada. Guardandolo, mi sono accorto che era già stato da noi più di dieci volte. Allora ho detto a Madre Teresa: “Madre, è inutile prendere quest’uomo, perché quando si sentirà un po’ meglio, andrà via”. E lei mi ha detto: “Senti padre Sebastiano, non è questione di chi questo uomo è stato ieri, o se andrà via domani: la questione è che questo uomo davanti a te sia che abbia bisogno del tuo aiuto o meno. Allora ho capito che bisogna sempre vivere il presente, perché molte volte perdiamo molto tempo a pensare a ieri, oppure ad un domani che ancora non abbiamo. Anche oggi, quando viene una persona al nostro cancello, anche a Roma qui a Largo Preneste a Casa Serena, il mio pensiero è sempre questo.

D. - Una volta chiesero a Madre Teresa quale fosse il suo segreto e lei rispose semplicemente: “Prego”.

R. – Mille volte ho sentito le persone farle questa domanda: “ Da dove viene questa forza a Madre Teresa?”. E lei indicava sempre il Tabernacolo: “Da lì, da Gesù nel Santissimo Sacramento”. Lei sentiva questo perché senza la Messa quotidiana, senza la Comunione - diceva sempre – non si può stare. Anche per noi è lo stesso. Dunque, l’Adorazione eucaristica, la Messa, la Comunione, la preghiera quotidiana che recitava per diverse ore ogni giorno ... questa era la sua forza.

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Il Papa riceve il card. Müller e mons. Auza, osservatore vaticano all’Onu

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Papa Francesco ha ricevuto stamani l’arcivescovo Bernardito C. Auza, Osservatore Permanente presso l'Organizzazione delle Nazioni Unite, e presso l'Organizzazione degli Stati Americani. Successivamente, il Papa ha incontrato il card. Gerhard Ludwig Müller, Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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La videoconferenza di Papa Francesco con i giovani della rete educativa Scholas occurrentes.

Rapporto Unicef sugli abusi: circa 120 milioni di ragazze vittime di stupro nel mondo.

Intervento della Santa Sede a Ginevra: misure concrete per fermare l’aggressione ai cristiani iracheni.

I bambini non sono piccoli adulti: in cultura, Carlo Petrini sulla sperimentazione pediatrica.

Segni della memoria: Laura De Vecchi sulla mostra di Claudio Parmiggiani all’ex oratorio di San Lupo a Bergamo.

Il pesce dei viventi: Carlo Carletti sulla preistoria dell'epigrafia e la storia della Chiesa.

Profondità della tenerezza: Elisabetta Galeffi sulla storia biblica di un sentimento frainteso.

La nuova primavera degli oratori in Italia: nel servizio religioso, l'incontro ad Assisi tra i giovani provenienti da sessantacinque diocesi.

Stato e Chiesa: stralci della relazione pronunciata dall’archimandrita Cyril Hovorun, studioso di teologia patristica e politica alla Yale Divinity School, al Convegno ecumenico internazionale di spiritualità ortodossa in corso al monastero di Bose.

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Oggi in Primo Piano



Nigeria: Boko Haram avanza verso Maiduguri, civili in fuga

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Centinaia di persone stanno lasciando Maiduguri, capitale dello Stato di Borno, nel nord est della Nigeria, per sfuggire all'invasione delle milizie fondamentaliste islamiche di Boko Haram, che nei giorni scorsi hanno già conquistato la città di Bama, a una settantina di km. Ad agosto il leader di Boko Haram, Abubakar Shekau, aveva dichiarato la parte nord orientale del Paese "territorio musulmano" e aveva preso il controllo della città di Gwoza, al confine con il Camerun. Secondo l’Onu, sono 645 mila gli sfollati interni a causa delle violenze, mentre decine di migliaia di nigeriani sono scappati proprio in Camerun e anche in Niger. Per gli attacchi dei miliziani islamici, che detengono pure oltre 200 ragazze catturate in aprile, preoccupazione è stata espressa dagli Stati Uniti: il sottosegretario di Stato incaricato dell'Africa, Linda Thomas-Greenfield, ha lanciato un appello alle autorità di Abuja sollecitando nuovi sforzi per far fronte all’avanzata di Boko Haram. Enrico Casale, africanista di Popoli, il mensile internazionale dei Gesuiti italiani, intervistato da Giada Aquilino

R. – Boko Haram probabilmente sta puntando a emulare i miliziani dello Stato islamico (Is) in Iraq e in Siria, cioè alla creazione di un’area totalmente sotto il proprio controllo. Questo gruppo è nato nel 2002 e si oppone a qualsiasi influenza nella società nigeriana da parte della cultura occidentale, in nome di un Islam delle radici e di una lettura radicale della Sharia. Boko Haram ha stretti collegamenti con altri gruppi del fondamentalismo islamico: penso agli al Shabaab somali ma anche ad Aqmi, cioè al Qaeda nel Maghreb islamico.

D. – Si può dunque fare un parallelo proprio con la Somalia?

R. – Sì, con gli al Shabaab: l’impostazione è la medesima, cioè sempre questa lettura radicale della religione islamica. In Somalia, gli al Shabaab hanno conquistato ampie porzioni del territorio. Direi che attualmente ancora controlla gran parte della vecchia Somalia italiana, fatta eccezione per il Somaliland e il Puntland, che sono regioni autonome. Gli Shabaab potrebbero subire un arretramento nella loro avanzata a seguito dell’attentato compiuto da parte dei droni americani al loro leader, Godane, che in questi giorni è dato per morto. Non avendo nominato ‘eredi’, è possibile che il movimento entri in una spirale di conflitto interno e quindi si possano creare situazioni ancora più complesse di quelle attuali.

D. – In Nigeria, gli equilibri si stanno modificando: i Boko Haram si dirigono verso Maiduguri, che è la capitale dello Stato di Borno, e si segnalano centinaia di persone in fuga. Un attacco su Maiduguri che cosa significherebbe?

R. – Potrebbe significare il crollo dello Stato di Borno e quindi il suo controllo da parte di Boko Haram; Borno potrebbe diventare una regione autonoma, simile appunto a quella che ha creato l’Is in Iraq. Teniamo presente che Boko Haram ha minacciato anche il Nord del Camerun: quindi non si tratta di una minaccia solo per lo Stato nigeriano, ma anche per l’intera regione, della quale fa parte il Camerun, ma penso anche al Ciad e ai Paesi confinanti. Il timore è proprio quello di un allargamento e addirittura, nello scenario più negativo, un saldarsi con quelle milizie che operano nel Sahel. Ma tutto ciò per il momento non è ancora vicino.

D. – Gradualmente, in questi mesi, i Boko Haram sono passati dagli attacchi alle scuole ai rapimenti e alla conquista di caserme e palazzi del potere, alle bombe nei luoghi affollati, come le chiese e i mercati. Questa strategia a cosa punta?

R. – E’ proprio un cambio di strategia del fondamentalismo islamico. Mentre al Qaeda puntava non tanto al controllo di territori ma all’azione del terrore – pensiamo all’11 settembre ma anche ad altri attentati: a Londra, a Madrid e così via - questi movimenti, invece, stanno cambiando strategia: puntano al controllo diretto di territori sui quali poi applicare la loro lettura integralista dell’Islam, che vede le donne escluse dal potere o addirittura dall’educazione, le pene corporali per chi trasgredisce la legge islamica e così via.

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Siria, timori per le armi chimiche: potrebbero passare all'Is

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Intensi combattimenti si sono registrati oggi in Siria. Un quartiere di Damasco è stato oggetto di 15 raid aerei da parte delle forze governative che hanno anche ucciso 18 miliziani in un’operazione a Garba: tra le vittime, un cittadino statunitense. Il Pentagono ha denunciato la presenza di oltre 100 americani al fianco dei combattenti jihadisti. Intanto gli Usa hanno espresso preoccupazione per la possibilità che le armi chimiche, ancora presenti in Siria, finiscano nelle mani del sedicente Stato islamico (Is). E’ un timore fondato? Benedetta Capelli lo ha chiesto a Pietro Batacchi, direttore di Rivista Italiana Difesa: 

R. – Più che di timore fondato, parlerei di una realtà. Finora è stato dimostrato anche dalla stessa Onu che le armi chimiche in Siria sono state impiegate pure dai ribelli; probabilmente non da Is, quanto piuttosto da Al Nusra e dal Fronte islamico, però è una realtà che c’è. Per cui il timore che tali armi, che comunque dovrebbero ancora esserci in Siria in qualche misura e in qualche modo difficile da valutare e accertare, è che possano finire nelle mani di Is, posto che Is non le abbia già …

D. – C’è, dunque, questo rischio?

R. – Is è una realtà che è molto, molto bene organizzata, è una realtà finanziariamente forte, militarmente ben organizzata e compatta. Non mi stupirei che comunque il gruppo abbia già la disponibilità di una qualche forma di arma chimica. Chiaramente, quando si parla di arma chimica si intende precursori chimici, scarti o scorie di armi chimiche dismesse e così via. Non si parla di sistemi d’arma in quanto tale, ovviamente. Ripeto: stiamo parlando di un’organizzazione terroristica molto organizzata, strutturata che ha nei suoi ranghi anche personale militare professionale, peraltro preso a contratto. Questa la dice lunga anche sulle capacità finanziarie del gruppo: considerando che si è ormai gettato nel business del contrabbando di petrolio, nel business dei sequestri, controllando così un’ampia porzione del territorio in Siria e in Iraq, in grado di imporre tasse e riscuotere gabelle.

D. – Quali sono i Paesi in grado di vendere ai miliziani jihadisti queste armi?

R. – Più che di Paesi, parlerei di segmenti di alcuni Stati o di acquisti che l’Is può fare direttamente al mercato nero. Del resto, gli aggressivi chimici, i precursori chimici sarebbero anche disponibili sullo stesso mercato nero. Chiaramente poi, l’impiego militare è un’altra cosa.

D. – L’arsenale siriano non era in fase di smantellamento?

R. – L’arsenale siriano, quantomeno quello ufficiale, è stato smantellato con gli accordi che erano stati presi lo scorso anno tra la comunità internazionale, l’Onu, la Siria, gli Stati Uniti e la Russia. Probabilmente, c’è ancora qualcosa di ufficioso, di non dichiarato e c’è qualcosa che negli scorsi mesi, negli scorsi anni dall’arsenale stesso è fuoriuscito a causa della guerra civile, degli scontri, delle battaglie in atto su tutto il territorio siriano. Per cui, è difficile stabilire che cosa vi possa essere ancora in Siria in forme ufficiali, ufficiose ed è comunque una minaccia concreta, un rischio che la comunità internazionale e la regione possono correre.

D. – Quanto costa smantellare un arsenale chimico, nel caso siriano, appunto?

R. – Ha un costo significativo, perché si sono dovuti monitorare i siti, fare la geografia di ciò che era disponibile, poi da lì si è dovuto stoccare tutto portandolo in aree di sicurezza; a quel punto è stato necessario il trasporto nelle zone portuali siriane e poi da lì l’imbarco sulle navi e il successivo smantellamento e la neutralizzazione delle sostanze. Per cui, comunque si tratta di operazioni molto costose che coinvolgono un gran numero di personale, di mezzi e di navi.

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Vertice Nato: sì alla presenza continua nell'Est Europa

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Giornata cruciale quella odierna per la crisi in Ucraina: l’incontro in corso a Minsk, in Bielorussia, del gruppo di contatto potrebbe portare alla firma del cessate il fuoco delineato ieri dal presidente russo Putin in accordo con quello ucraino Poroshenko. L’esito influenzerà le conclusioni del vertice Nato in corso a Newport in Galles dove i Paesi membri stanno discutendo anche di come rafforzare l’azione comune contro l’avanza dei jihadisti del cosiddetto Stato Islamico. Assicurata la presenza in Iraq se richiesta esplicitamente da Baghdad. Il servizio di Gabriella Ceraso: 

Si combatte nell'Est del'Ucraina intorno al porto di Marioupol come nella notte si è fatto a  Donetsk, proprio nelle ore in cui, a livello diplomatico per l’Est del Paese si dovrebbe formalizzare una "road map" verso la pace definitiva. Questo l’obiettivo del colloquio del gruppo di contatto - ovvero le delegazioni di Kiev e di Mosca sotto egida Osce insieme a rappresentanti dei ribelli filorussi - in corso a Minsk. L’attesa è forte perché in mancanza di un accordo, Stati Uniti e Nato, più cautamente l’Unione Europea, sono pronti ad inasprire subito le sanzioni economiche nei confronti della Russia accusata di fomentare la crisi che nell’Est da aprile ha provocato circa 2600 vittime. Al vertice Nato che si chiuderà questo pomeriggio in Galles, già annunciato il rafforzamento della presenza nell’Est dell’Europa nell’ottica di un più incisivo piano di difesa collettivo e reattivo in tempi rapidi nel caso di minacce esterne. E tra le minacce c’è sicuramente lo Stato Islamico in Iraq e Siria e i suoi “atti barbari e ignobili”, come li hanno definiti i Paesi membri. Gli Stati Uniti sollecita un’ampia coalizione che blocchi l’avanzata dei jihadisti, rafforzi la sicurezza irachena e curda, ma senza l’impiego di forze di terra. Al vaglio del vertice anche la situazione in Aghanistan, dove l'Alleanza prevede di cessare le operazioni di combattimento entro la fine dell'anno.

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Unicef: 120 milioni di giovani hanno subito violenze sessuali

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Il rapporto Unicef “Hidden in Plain Sight” traccia il quadro della violenza ai danni di bambini e ragazze. Si tratta della più ampia raccolta dati mai realizzata sulla violenza: 190 i Paesi coinvolti nella ricerca. Sono ben 120 milioni le giovani al di sotto dei 20 anni ad aver subito violenza sessuale. Circa i dati del documento e le strategie di contrasto alla violenza minorile e familiare, Antonio Elia Migliozzi ha intervistato Giacomo Guerrera, presidente di Unicef Italia: 

R. - Un dato sconcertante. Ma quello che è ancora più sconcertante è il fatto che queste violenze si verifichino nei luoghi che dovrebbero essere al sicuro per quanto riguarda i bambini: all’interno delle comunità, nella scuola e in casa. Sono 120 milioni i bambini che subiscono violenza sessuale ed è un dato che - purtroppo - non si modifica di anno in anno, anche se sono tanti gli interventi. Ci sono delle difficoltà oggettive perché possa migliorare questa situazione e le difficoltà non sono legate a qualcosa di particolare, sono legate ad un atteggiamento culturale che c’è all’interno di questi Paesi.

D. - La metà degli adolescenti legittima la violenza verso le mogli. Come interpretare questo dato?

R. - Quando io mi riferisco all’atteggiamento culturale, mi riferisco proprio al fatto che l’atteggiamento nei riguardi della violenza è un atteggiamento che noi potremmo giudicare strano, perché nei nostri Paesi non esiste; però in questi Paesi, alla base di tale violenza, c’è una posizione culturale che fa sì che le donne giustifichino non tutte le forme di violenza, ma buona parte di quelle che si verificano all’interno dei matrimoni: le giustificano e le ritengono legittime. Questo è un dato che varia da Paese a Paese: ci sono dei posti dove la percentuale di coloro che giustificano questo tipo di violenza cresce. Sono 126 milioni! E’ un dato allarmante; è un dato che dimostra che bisogna lavorare tanto se si vuole realmente cambiare questa situazione. Bisogna quindi agire essenzialmente coinvolgendo le famiglie e i giovani. Le strategie comprendono sostegno ai genitori e cercano di dare ai bambini le competenze comportamentali per comprendere cos’è la violenza e come viene praticata, ma soprattutto mancano degli interlocutori affidabili, ai quali è possibile denunciare queste situazioni di violenza per avere poi un aiuto. Per cambiare atteggiamento bisogna rafforzare i sistemi giudiziari e penali di questi Paesi, all’interno dei quali noi operiamo in accordo con i governi proprio in tale direzione, perché questo riteniamo sia l’unico modo possibile per modificare la violenza.

D. - Il rapporto traccia anche gli effetti che le violenze producono sulle vittime: quali le strategie per prevenire e ridurre le violenze sui minori?

R. - Gli effetti sono drammatici, perché molto spesso le violenze che subiscono questi bambini non hanno la possibilità di un recupero concreto. E’ molto difficile recuperare; è molto difficile lavorare su questi giovani, su questi adolescenti che hanno subito violenze, molto spesso gravissime… Noi creiamo delle comunità a misura di bambino; creiamo dei centri, ai quali i bambini e le famiglie possono rivolgersi; cerchiamo di assisterli nel lungo periodo, tentando di modificare soprattutto l’aspetto psicologico di questi giovani che subiscono violenza. Lo facciamo anche da parte governi locali, i quali hanno compreso l’importanza di questa nostra azione e ci aiutano concretamente. Non è ovunque sempre così la disponibilità, però questa è la direzione giusta. Noi riteniamo che in questa direzione sia possibile operare.

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Il vescovo di Terni: ThyssenKrupp, senza intesa famiglie disperate

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L’azienda tedesca ThyssenKrupp ha ritirato la  procedure di mobilità per circa 550 lavoratori dello stabilimento siderurgico di Terni. L'accordo è stato firmato a Roma dopo una notte di trattative al Ministero dello Sviluppo economico. Le parti avvieranno ora un confronto sul futuro dell'azienda. L'intesa è contenuta in un verbale di due pagine e mezzo firmato dopo oltre 14 ore di trattative. La chiusura del confronto è stata programmata per il 4 ottobre. Azienda e sindacati si sono impegnati in questa fase a non assumere atti unilaterali. Mercoledì scorso, durante l’udienza generale, Papa Francesco aveva espresso la sua “profonda preoccupazione per la grave situazione che stanno vivendo tante famiglie di Terni a motivo dei progetti della ditta ThyssenKrupp. Ancora una volta – aveva detto - rivolgo un accorato appello, affinché non prevalga la logica del profitto, ma quella della solidarietà e della giustizia. Al centro di ogni questione, anche di quella lavorativa, va sempre posta la persona e la sua dignità! Col lavoro non si gioca! E chi, per motivi di denaro, di affari, di guadagnare di più, toglie il lavoro – aveva concluso - sappia che toglie la dignità alle persone”. Per un commento sull’intesa, Sergio Centofanti ha intervistato il vescovo di Terni, mons. Giuseppe Piemontese: 

R. – E’ una notizia molto bella, perché lascia la porta aperta ad ulteriori approfondimenti, a ulteriori speranze. Mi dicono che la scadenza del confronto è stata fissata per il 4 ottobre, giorno della festa di San Francesco: speriamo che il Patrono d’Italia, che è stato anche qui a Terni, possa ulteriormente fare la sua parte per addolcire le menti ed i cuori degli interlocutori per arrivare ad una soluzione positiva, soprattutto per i lavoratori, per le loro famiglie e per tutta la città di Terni.

D. – Il Papa, all’udienza generale  di mercoledì scorso ha lanciato un appello molto forte. Ha detto: “Con il lavoro non si gioca. Chi per motivi di denaro, di affari, toglie il lavoro, sappia che toglie la dignità alle persone”…

R. – Le parole del Papa sono state molto forti. Noi avevamo segnalato al Santo Padre la situazione di Terni attraverso uno scritto, chiedendogli anche di starci vicino e di pregare per noi. Il Santo Padre ha fatto molto di più: è voluto intervenire con parole molto chiare che richiamano tutti alla responsabilità, non soltanto i proprietari, ma tutti. Ognuno deve fare la sua parte, perché il mondo del lavoro sia tutelato e perché chi lavora lo faccia con responsabilità. Le parole del Papa, al quale noi abbiamo espresso gratitudine, ci hanno incoraggiato a continuare a pregare, innanzitutto, e a stare vicino agli operai e alle loro famiglie e ad adoperarci per quello che è nelle nostre possibilità, perché la vicenda arrivi ad una soluzione giusta, onesta per tutti coloro che sono coinvolti.

D. – Lei conosce queste famiglie: quali sono i loro sentimenti, la loro situazione?

R. – Sono quasi disperati. Se non si dovesse risolvere la situazione, resterebbero veramente sul lastrico con progetti che vengono infranti … non so, in questo momento penso al mutuo per le case, ai progetti per i figli … quindi sarebbe una situazione drammatica, perché non avrebbe altri sbocchi. E poi, nella celebrazione che abbiamo avuto il 2 settembre, nella chiesa di Sant’Antonio, ho visto veramente molte persone, i volti attenti, carichi di speranza e preoccupati: preoccupati per questa situazione. Alcuni me l’hanno espressa anche verbalmente. Hanno ringraziato la Chiesa perché si è fatta promotrice di questa iniziativa e hanno detto che continueranno a sperare nell’aiuto del Signore e nella buona volontà degli uomini.

D. – Qual è il suo appello alla ThyssenKrupp e alle parti che stanno continuando le trattative?

R. – Il mio appello è che ai problemi che ci sono qui a Terni, come ai problemi in generale, non c’è una sola soluzione, quella di ridurre; ma ci sono soluzioni più impegnative che possono portare a mantenere il valore dell’impresa che si porta avanti qui a Terni, anche perché è riconosciuta a livello mondiale per la sua validità, per la sua preziosità, per trovare una soluzione che tenga al primo posto l’occupazione dei lavoratori, senza andare alla ricerca di chissà quali grandi successi in termini di denaro o in termini di immagine. E poi, l’altro aspetto, è che in questa vicenda, nel dialogo si tenga presente l’impegno a vivere in pace, a stare tranquilli, a non lasciarsi prendere dai nervosismi, da parole o da azioni irrispettose o – peggio ancora – violente. Questo è anche un appello a tutte le persone, a tutti quelli che sono coinvolti in questa vicenda: vivere, affrontare, discutere dei problemi lasciandosi guidare dai principi della solidarietà, della giustizia e dell’equità.

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Rottura del "patto educativo”: commento alle parole del Papa

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Il valore dell’educazione in un mondo in guerra: ne ha parlato il Papa nell’incontro con esponenti della rete educativa mondiale Scholas occurrentes. Francesco ai giovani ha chiesto di volare nel futuro senza dimenticare le radici di saggezza degli anziani. Alla società ha lanciato il forte appello a non lasciare soli i bambini e a rafforzare i legami sociali, familiari e personali. Citando il caso di genitori che, invece di collaborare con gli insegnanti, di fronte a un giusto rimprovero ai loro figli, si affrettano a denunciare i docenti, Papa Francesco ha affermato che “si è rotto il patto educativo”. Su questa espressione e sui rischi messi in luce dal Papa, riflette, nell’intervista di Fausta Speranza il pedagogista Italo Bassotto: 

R. – Si è rotto quel rapporto di qualità educativa, di desiderio di educare, di crescere le giovani generazioni, che era tipico della generazione precedente. La realtà del mondo preindustriale era una realtà nella quale la responsabilità educativa era facilmente diffusa e diffondibile e il controllo sociale non lo facevano solo i genitori e le forze dell’ordine ma lo facevano tutti. Cioè, un bambino, un ragazzino, se si comportava male in paese, lo sapevano tutti dopo mezz’ora e i genitori erano i primi a convenire che questo era opportuno. Oggi, invece no. Oggi si è rafforzato il sistema delle barriere reciproche. C’è stato un sociologo cattolico, De Rita, che ha parlato di “società coriandolo”: una società nella quale ognuno, così, goffamente, vuole il suo piccolo ruolo e status però non cerca mai il contatto con gli altri, non fa mai gruppo. Figuriamoci quando si tratta di far gruppo intorno a un tema come quello dell’educazione delle giovani generazioni!

D. – La difficoltà è a collaborare tra diversi ruoli ma la difficoltà è anche a definire il passo precedente, i singoli ruoli, quindi i genitori, scuola o altre agenzie educative…

R. – Certo, sì. La complessità delle relazioni tra adulti e tra adulti e minori, così come sono venute ricostruendosi non ha ancora generato un equilibrio, non siamo ancora in grado di capire come integrarci fra di noi e condividere insieme un traguardo, che è quello di far crescere i giovani secondo rettitudine e saggezza. L’adulto, in questo momento, è quanto di più incerto e malfermo si possa immaginare, anche se è in salute mentale oltre che fisica.

D. - Viene in mente che oltre a questa ansia di difendere il figlio rimproverato senza valutare se il rimprovero è giusto, opportuno, utile… c’è una grande paura, un’inquietudine...

R. – Direi proprio paura. Questo tema del dialogo scuola-famiglia è un tema che viene sollecitato continuamente dagli insegnanti, soprattutto delle scuole superiori, perché è lì il punto più difficile. Lo è anche nella scuola primaria, ma nella scuola secondaria, quindi nell’adolescenza, pre-adolescenza e adolescenza del giovane è ancora più complesso. Devo dire comunque che questa paura ha due poli di manifestazione. Si manifesta nelle famiglie più in difficoltà, più marginali dal punto di vista socio-economico. Ed è sicuramente una manifestazione di paura che si trasforma in ambizione, cioè a dire: se mio figlio me lo trattano adesso così a scuola, chissà cosa succederà poi nella vita, lo metteranno un gradino sotto gli altri che sono più avanti… L’aggressione all’insegnante nasce dalla paura di vedere nel proprio figlio la marginalità che vive la famiglia. Nelle famiglie, invece, di stato sociale, di condizioni sociali elevate, c’è la paura di perdere il proprio privilegio: in mancanza di sistemi di riferimento di valori, c’è semplicemente la paura del futuro. In tutti e due i casi è una paura che guarda indietro, non guarda avanti. Questo è il nostro problema: non abbiamo noi adulti la capacità di far desiderare ai nostri ragazzi di guardare avanti.

D. - Un altro punto è quello dell’individualismo. Viene in mente che è molto bello pensare di educare i propri figli, con responsabilità primaria di genitore, ma con la collaborazione degli insegnanti, anche dei catechisti, anche di insegnanti di attività sportive, che possono essere un veicolo… E’ bella questa collaborazione però, invece, si fugge nell’individualismo: a mio figlio ci penso solo io. E’ così?

R. – Sì, ognuno è una piccola oasi personale dove esaurisce tutto il suo mondo. Se la società recupera la sua sensibilità educativa, che poi si traduce in voglia di insegnare ai ragazzi che c’è un futuro e che è possibile un progetto di futuro, probabilmente usciamo da questo isolamento. Se non facciamo questo, torniamo ad essere ognuno chiuso in se stesso perché temiamo che l’altro ci aggredisca e ci tolga quello spazio che noi pensavamo per i nostri figli. Mentre, invece, se i figli imparano con i loro genitori a stare insieme, lo spazio, anziché ridursi, si allarga, ma bisogna fare esperienza di questo.

D. – Forse è molto più facile, molto più immediato difenderli e basta, piuttosto che spendere tempo per capire le ragioni degli insegnanti, spiegarle ai propri figli…

R. – Sì, ma non credo che sia tanto il tempo in senso fisico, penso che sia il tempo in senso psicologico come disponibilità: il silenzio, l’ascolto, la lentezza, di cui parlava la Levi Montalcini che faceva l’elogio della lentezza in questo senso… Dunque serve una forte intensità di ascolto. Ma se noi non siamo capaci di ascoltare noi stessi, come facciamo ad ascoltare gli altri? E gli adulti sono, oggi, in forte difficoltà, fanno fatica ad avere una vita intima, una vita interiore. Siamo sempre proiettati fuori.

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Cento anni fa moriva Charles Péguy. Intervista con don Massimo Serretti

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Cento anni fa, il 5 settembre 1914, moriva lo scrittore e saggista francese Charles Péguy. Socialista, si convertì a 34 anni al cattolicesimo: animo appassionato e radicale, al centro della sua opera poetica è il Dio fatto carne, che diventa attenzione al dramma degli esclusi. Sulla figura di Péguy, Antonio Elia Migliozzi ha intervistato don Massimo Serretti, docente presso la Pontificia Università Lateranense: 

R. – Questo autore presenta una biografia singolare, nel senso che c’è stato un periodo della sua vita in cui è vissuto nella fede, nell’appartenenza alla Chiesa, poi ha avuto una seconda fase in cui si è allontanato e poi c’è stato un grande ritorno. Questa fase comprende gran parte delle sue opere, la sua bibliografia. In particolare, la grande trilogia, i tre grandi misteri: sulla carità di Giovanna D’Arco, il Portico del Mistero della seconda virtù, quindi sulla speranza, e il Mistero dei Santi Innocenti. E nella Parigi dell’inizio secolo lui é una figura che si staglia un po’ come solitaria, pur avendo grandi amicizie, come ad esempio con Jacques Maritain e con altri personaggi.

D. - Concetto importante in Péguy è lo stupore…

R. – L’animo di Péguy è un animo poetico, anche se la sua opera ha diverse facce, quella più importante è quella costituita da queste tre opere che ho menzionato, che sono opere teatrali che si sviluppano su una linea fondamentalmente poetica. Poi c’è la parte dell’opera, i Cahiers della Quinzaine, questa rivista che lui pubblicava in Rue de la Sorbonne numero 8, dove aveva la sua stanza di lavoro, proprio davanti alla grande istituzione universitaria della Sorbonne. Ecco, in questa opera, la parte principale naturalmente ce l’ha la parte poetica. La poesia nasce sempre dallo stupore: lo stupore è centrale da questo punto di vista in tutta la sua opera. E in particolare c’è una meditazione sullo stupore legata all’inizio, al punto in cui le cose iniziano. Lui afferma che le cose nel loro inizio hanno una loro bellezza, una loro verità, che poi in qualche modo risplende in tutto il seguito ma che in quella forma non si ripresenta più. Questo inizio per lui non è solo l’inizio del germe, della gemma, del verde speranza da cui nasce la vita: questo inizio per lui, fondamentalmente, è il battesimo. Il battesimo è l’inizio che è un inizio posto da Dio, oppure l’inizio ancora prima del battesimo è la creazione, quindi un’azione di Dio che pone un punto di partenza sul quale poi si regge tutto il resto.

D. – Quanto è attuale il suo pensiero nella società del nostro tempo?

R. – Péguy è un autore di calibro universale, la cui attività non verrà mai meno, nel senso che la sua meditazione - che si svolge sempre nell’intreccio tra ordinario, tra il mistero dell’uomo e il mistero di Dio: l’incarnazione, questo è il suo  è il suo punto di forza – questa meditazione sul mistero non verrà mai meno. E’ incredibile come in questo autore, pur essendo un autore “laico”, sono presenti pagine in cui si trovano meditazioni che è difficile riscontrare a livello teologico, su questioni che riguardano il mistero di Dio. Quindi, l’attualità è indiscutibile e indiscussa dei suoi lavori, dei suoi scritti. Prova e testimonianza nel fatto che le sue opere, a cento anni dalla sua morte, sono ancora stampate, stampate e ristampate, editate e rieditate, anche in Italia. Quindi evidentemente questa è un’attestazione chiara ed esplicita della vitalità e anche del carattere sovratemporale di quello che lui ci ha donato, ci ha offerto.

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Nella Chiesa e nel mondo



Libia: caos a Tripoli e Bengasi, migliaia di sfollati

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Gli ultimi quattro mesi di combattimenti tra gruppi rivali sia a Tripoli che a Bengasi hanno costretto alla fuga più di 250.000 persone: il dato è contenuto in un rapporto congiunto stilato dalla Missione Onu in Libia e dalla Commissione Onu per i Diritti umani. Di questi civili, sia popolazione locale che lavoratori stranieri, in 150.000 hanno trovato rifugio all’estero mentre gli altri 100.000 sono sfollati interni, tra cui numerosi membri della comunità Tawergha, già scappati da Misurata nel 2011 poiché accusati di sostenere il colonnello Muammar Gheddafi.

“Il clima diffuso di paura ha portato la gente a non parlare degli abusi commessi dalle varie milizie” ha sottolineato il rapporto che elenca nel dettaglio “tutte le serie violazioni dei diritti umani” di questi mesi e il “mancato rispetto del diritto umanitario internazionale”.

A scontrarsi nella capitale e nel capoluogo orientale - riferisce l'agenzia Misna - sono da una parte le forze del generale dissidente Khalifa Haftar – guida dell’operazione ‘Dignità’ – e gli alleati di Zintan (ovest), dall’altra le milizie di Misurata, confluite nella principale alleanza islamica Fajr Libya (Libya Dawn). In posizione dominante sia a Tripoli che a Bengasi i combattenti islamici, che nella capitale hanno preso il controllo dell’aeroporto e dei ministeri.

Le due parti vengono accusate di aver commesso “attacchi deliberati con ogni tipo di armamento” contro i civili, contro infrastrutture pubbliche e private, in particolare ospedali, ma anche torture, esecuzioni sommarie e rapimenti, “nel più totale disprezzo per la vita umana”. Il rapporto Onu chiede di “destituire dai propri incarichi e processare quanti sospettati di aver commesso crimini di guerra”. Il mese scorso il Consiglio di sicurezza dell’Onu ha varato sanzioni nei confronti di “chiunque rappresenti una minaccia per la stabilità e la democrazia in Libia”, senza però pubblicare la lista delle 250 persone potenzialmente colpite dal provvedimento.

Intanto sul terreno non si fermano le violenze: bombardamenti aerei si sono registrati nel distretto di Buatni, alle porte di Bengasi, e nella zona di Washefana, fuori dalla capitale. Chiuse le strade che da ovest di Tripoli portano al confine con la Tunisia. I raid sono stati attuati dalle forze dell’operazione ‘Dignità’ e dagli alleati di Zintan che stanno preparando una controffensiva su Tripoli. Denunciato a Kufra (sud-est) l’atterraggio di un aereo militare del Sudan con carichi di armi da consegnare a Fajr Libia nella città di Mitiga (dieci km ad est di Tripoli). Una vicenda ancora tutta da chiarire.

Nel fine settimana la crisi libica sarà una delle questioni centrali del 142° vertice dei ministri degli Esteri della Lega Araba convocato al Cairo e al quale parteciperà il capo della diplomazia libica Mohammed Abdulaziz. (R.P.)

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Caritas Libano: in aumento i profughi cristiani iracheni

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Le famiglie cristiane fuggite da Mosul e dai villaggi della Piana di Ninive che hanno trovato ospitalità in territorio libanese sono già quasi 350, “ma il loro numero continua ad aumentare ogni giorno”. Lo riferisce all'agenzia Fides padre Paul Karam, presidente di Caritas Libano.

“La maggior parte di loro - aggiunge il sacerdote maronita - è ospitata presso strutture e case parrocchiali tra Beirut e Harissa. Come Caritas Libano forniamo loro soprattutto assistenza sanitaria e beni alimentari di prima necessità. Ma siamo rattristati dal fatto che quasi tutti dicano di non essere intenzionati a tornare nel proprio Paese: vogliono lasciare il Medio Oriente ed emigrare per sempre. Mi spiace dirlo, ma questa è la realtà. E anche su questo punto, la comunità internazionale è chiamata ad operare scelte sensate, se non vuole avallare con le sue politiche l'estinzione dei cristiani in Iraq”.

L'esodo forzato dei cristiani iracheni da Mosul e dai villaggi della provincia di Ninive, provocato dall'offensiva dei miliziani jihadisti dello Stato Islamico, ha ispirato in Libano una gestione ecumenica dell'emergenza: “Vescovi di diverse Chiese cristiane - racconta a Fides padre Karam - si sono riuniti e hanno deciso di formare una commissione ad hoc, con rappresentanti incaricati di seguire giorno per giorno la situazione e i nuovi arrivi dei profughi cristiani iracheni. La commissione tiene riunioni settimanali, e una volta al mese anche i vescovi partecipano all'incontro”.

Caritas Libano indirizza in Iraq risorse economiche destinate ai rifugiati. In occasione della recente visita compiuta nel Kurdistan iracheno da 5 patriarchi delle Chiese orientali, anche il patriarca maronita Bechara Boutros Rai ha devoluto un'offerta di 500mila dollari alle Chiese irachene e una di 50mila dollari a favore degli yazidi, come segno di solidarietà offerto da tutto il popolo libanese.

“Rimane il fatto - riconosce padre Karam - che la situazione creatasi in Iraq richiede il coinvolgimento della comunità internazionale per giungere ad una soluzione pacifica e politica. A far precipitare tutto hanno contribuito giochi politici locali e globali. E questo non bisogna mai dimenticarlo”. (R.P.)

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Libano: al Sinodo armeno-cattolico il dramma siriano

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E' in corso nella sede patriarcale del convento di Nostra Signora di Bzommar, a pochi chilometri da Beirut, la riunione annuale del Sinodo della Chiesa armeno-cattolica. L'Assemblea sinodale, presieduta dal patriarca Nerses Bedros XIX, vede riuniti 14 vescovi e alcuni amministratori apostolici. All'ordine del giorno dell'assemblea, che si protrarrà fino a giovedì prossimo, ci sono temi di rilievo come il programma di iniziative da tenere nel 2015 in occasione del centenario dell'eccidio armeno e la conclusione della causa di beatificazione dei martiri armeni.

Verranno messe a fuoco - riferisce l'agenzia Fides - anche le iniziative volte a far proclamare Dottore della Chiesa San Gregorio di Narek, il grande santo armeno vissuto alla fine del Primo Millennio, monaco insigne per la dottrina, gli scritti e la scienza mistica. Ma a caratterizzare i lavori sarà soprattutto il confronto e la proposta di iniziative riguardanti la difficile condizione di molte comunità cristiane mediorientali in questa fase storica.

Tra i partecipanti alla riunione del Sinodo c'è anche l'arcivescovo armeno cattolico di Aleppo, Boutros Marayati, che registra i nuovi timori alimentati nella metropoli siriana dalle notizie sulle imprese e sul disegno espansionista parseguiti dai miliziani jihadisti del sedicente Stato Islamico: “Oltre ai soliti problemi quotidiani riguardanti la fornitura di acqua, di elettricità e cibo” riferisce a Fides mons. Marayati, “ad Aleppo cresce soprattutto la paura. Quelli dello Stato Islamico sono soltanto a 40 chilometri dalla città. Non si sa se, o quando, vorranno attaccare. Così. appena può, la gente, tanta gente, continua ad abbandonare Aleppo”. (R.P.)

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Sud Sudan: appello per embargo delle armi e crisi umanitaria

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“Finché verranno importate armi in Sud Sudan, verranno molto probabilmente usate per commettere nuove atrocità” affermano i sottoscrittori di un appello per imporre un embargo sulla vendita di armi al Sud Sudan, dal dicembre 2013 sconvolto dalla guerra civile.

L’appello, presentato da 30 organizzazioni umanitarie locali e internazionali (tra le quali South Sudan Law Society, Human Rights Society, Amnesty International, Global Witness, Human Rights Watch) è rivolto all’Igad (Autorità Intergovernativa di Sviluppo, l’organizzazione dei Paesi dell’Africa orientale che sta mediando nella crisi sud-sudanese) perché presenti al Consiglio di Sicurezza dell’Onu una proposta di risoluzione che imponga l’embargo.

“L’embargo deve durare finché non sono stabiliti procedimenti affidabili che garantiscano che armi, munizioni e altri equipaggiamenti e tecnologie militari inviate in Sud Sudan, non siano usate per commettere gravi violazioni del diritto umanitario internazionale” chiede l’appello.

La guerra civile tra la fazione del Presidente Salva Kiir e quella dell’ex vice Presidente Riek Machar ha creato una gravissima crisi umanitaria. Secondo un articolo firmato dagli esponenti delle agenzie umanitarie di Unione Europea, Onu, Usa e dal Ministro degli Esteri norvegese, pubblicato dal quotidiano cattolico francese “La Croix”, “più della metà della popolazione, ovvero 7,3 milioni di persone, soffre quotidianamente la fame, mentre 50.000 bambini potrebbero morire se entro la fine dell’anno non verrà loro inviato alcun aiuto d’emergenza”.

Un epidemia di colera mette già a rischio la vita di migliaia di persone, mentre un milione e mezzo di abitanti è stato costretto a fuggire dai loro villaggi e città a causa della guerra. (R.P.)

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Perù: nota dei vescovi su corruzione e sfiducia nella politica

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Ventuno milioni di peruviani, tra cui due milioni di giovani che parteciperanno per la prima volta ad una consultazione elettorale, il 5 ottobre saranno chiamati ad eleggere tredicimila rappresentanti che, nei prossimi quattro anni, governeranno distretti, province e regioni. Consapevoli dell’importanza di queste elezioni per il consolidamento del processo democratico, e allo stesso tempo preoccupati per la “sfiducia e l’insoddisfazione nei confronti di alcuni politici e nei riguardi della politica in generale” che avvertono nelle comunità, i vescovi peruviani hanno pubblicato una riflessione pastorale sul processo elettorale.

Nel documento, intitolato “Servitori del bene comune”, pervenuto all’agenzia Fides, i vescovi scrivono: “Ci preoccupa seriamente lo scenario elettorale che si svolge in un contesto sociale con gravi segni di corruzione, espressi dall’alto numero di candidati i cui precedenti morali hanno dato luogo anche a denunce e sentenze penali. Ulteriore preoccupazione genera l’intento di settori legati al narcotraffico, all’attività mineraria illegale, al contrabbando, alla tratta di persone e ad altre attività illegali, di collocare persone molto legate a loro come autorità locali. E’ inaccettabile che si sia arrivati all’estremo dell’eliminazione fisica degli avversari politici.”

I vescovi peruviani, dopo aver ribadito che “solo la politica con senso etico è degna di credito” e che “l’esercizio del potere di governare è dato per la comunità”, propongono cinque criteri da seguire “per un voto cosciente e responsabile”. In primo luogo invitano a non votare quanti hanno deluso le nostre attese “perché non hanno fatto quanto promesso, o perché hanno dimostrato di essere corrotti, o perché si sono preoccupati solo dei propri interessi”. Quindi un criterio importante per il cristiano al momento del voto è quello di non dimenticare i poveri: “la politica deve dare priorità a quanti hanno di meno, perché possano partecipare pienamente del progresso del Paese”.

Un altro elemento importante è conoscere bene chi è il candidato (la sua condotta di vita, i suoi eventuali precedenti penali) ed il suo programma di governo (essendo attenti che promuova la vita piena, la dignità della famiglia, la libertà religiosa, l’istruzione inclusiva).

L’ultimo elemento indicato dai vescovi riguarda la campagna elettorale: “Molti candidati, per essere eletti, offrono l’impossibile e approfittano della buona fede o delle necessità urgenti delle persone, attraverso regali e diversi benefici. La realizzazione della campagna genera quindi sospetti leciti. Una volta eletti, si serviranno del loro incarico per ‘recuperare gli investimenti’ della loro campagna con il denaro dello Stato ?”. Il messaggio della Conferenza episcopale peruviana si conclude ricordando che “la costruzione della giustizia e della pace in Perù è compito di tutti i peruviani, e le elezioni sono occasione per potarla avanti”. (R.P.)

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Pakistan: 40 morti e decine di feriti per i monsoni

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È di oltre 40 morti il bilancio aggiornato delle forti piogge monsoniche che si sono abbattute in questi giorni sul Pakistan; intanto gli esperti meteo lanciano l'allerta per un possibile peggioramento delle precipitazioni atmosferiche unite al pericolo imminente di inondazioni. La maggior parte delle vittime - riferisce l'agenzia AsiaNews - è stata causata dal cedimento del soffitto di alcuni edifici nel Punjab, la provincia più ricca e popolosa del Paese; nel capoluogo, Lahore, i morti finora confermati sono 14.

Il governo, già al centro di pesanti contestazioni in queste settimane da parte di gruppi di opposizione, è stato oggetto di critiche per non aver avviato una efficace campagna di prevenzione. Jam Sajjad, portavoce della Protezione civile, afferma che "almeno 28 persone sono decedute in incidenti vari", provocati dal "cedimenti dei tetti" in diverse case del Punjab "nelle ultime 24 ore".

Fra le vittime vi sono anche donne e bambini; il numero dei feriti è inferiore a 30, ma il bilancio è destinato ad aumentare nelle prossime ore quando sarà completata la mappatura dei danni in tutta la regione. Rizwan Naseer, direttore generale delle operazioni di soccorso in Punjab, riferisce che tutti i feriti sono al momento ricoverati negli ospedali e "stiamo rimuovendo le macerie, alla ricerca di sopravvissuti".

Vittime anche nella regione del Kashmir amministrata dal Pakistan, con 10 morti e almeno quattro feriti; intanto si registrano nuove alluvioni e smottamenti nella regione himalayana, mentre i fiumi Jhelum e Neelum stanno per esondare in diversi punti. Intanto il servizio meteo nazionale ha già diramato l'allerta per nuove, forti piogge e temporali nel Punjab e nel nord del Paese per le prossime 72 ore; massima attenzioni per fiumi e corsi d'acqua in tutto il territorio, per il forte rischio di inondazioni.

Negli ultimi quattro anni il Pakistan è stato vittima di devastanti alluvioni causate dai monsoni, con migliaia di vittime, danni ingenti e feroci critiche anche nei confronti del precedente governo, ritenuto responsabile per la mancata opera di prevenzione e la scarsa assistenza alle vittime. Nel 2010 le peggiori inondazioni della storia hanno ucciso quasi 2mila persone e interessato 21 milioni di cittadini, causando una gravissima crisi umanitaria. Fenomeni che si sono ripetuti un anno più tardi, con centinaia di morti e oltre cinque milioni di sfollati, e nel 2013 con oltre ottanta vittime e centinaia di sfollati. (R.P.)

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Pakistan: due donne cristiane costrette a sposare musulmani

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E’ venuto di recente alla luce il caso di altre due donne cristiane, strappate alle loro famiglie, convertite all’islam e costrette a sposare uomini musulmani: l’agenzia Fides lo apprende dall’avvocato cristiano Sardar Mushtaq Gill, difensore dei diritti umani e responsabile dell’Ong pakistana Lead (Legal Evangelical Association Development). Una delle due donne è istruita, l’altra è analfabeta, di umili condizioni sociali. “Sono casi molto difficili e delicati da trattare” spiega Gill a Fides. “Ho contattato alcuni religiosi musulmani, chiedendo loro un parere sui matrimoni forzati. Hanno risposto che forzare sia la conversione che il matrimonio è un atto illegale e illecito, non solo secondo la legge civile ma anche per la legge islamica”.

Gill racconta a Fides uno dei due casi: una ragazza cristiana di nome Sairish, costretta a sposare un uomo musulmano nel 2009, nel suo cuore non ha abbandonato la fede cristiana e ha continuato a pregare Cristo dopo il matrimonio. Dopo alcuni anni ha avuto il coraggio di ribellarsi e di fuggire e si è rivolta all’avvocato Gill per chiedere assistenza legale e sicurezza. La sua vita è in pericolo perché per i musulmani, se oggi si dichiara cristiana, commette apostasia e dunque va punita con la morte.

Lead sta sensibilizzando l’opinione pubblica su questo tema, per sollevare la questione delle conversioni e dei matrimoni forzati in Pakistan, specie a danno delle donne appartenenti a minoranze cristiane e indù. Secondo dati raccolti dall’agenzia Fides, ogni anno sono circa mille le donne pakistane cristiane e indù convertite forzatamente e costrette a sposare uomini musulmani. Accade poi che, se tali casi arrivano in tribunale, le donne, sotto minaccia e ricatto, dichiarino di essersi convertite e sposate liberamente e il caso viene così chiuso. (R.P.)

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Al Forum degli Oratori il card. Bassetti e il ministro Giannini

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Il Teatro Lyrick pieno di animatori in festa, ieri sera ha accolto il Ministro dell’Istruzione, Stefania Giannini, venuta appositamente ad Assisi per portare un saluto ai partecipanti al 2° Happening nazionale degli Oratori. Il ministro è stato accolto dal card. Gualtiero Bassetti, arcivescovo di Perugia e Città della Pieve, da mons. Domenico Sorrentino, arcivescovo della diocesi di Assisi, Nocera Umbra e Gualdo Tadino, e da don Marco Mori, presidente del Forum degli Oratori Italiani, organizzatore dell’evento che fino a domenica 7 vedrà radunati un migliaio di educatori provenienti da oltre 65 diocesi italiane.

“Mi piace molto parlare di alleanza educativa – ha sottolineato la Giannini nel suo intervento - fra oratori e scuola perché la nostra visione della scuola è che essa sia uno spazio non solo fisico, uno spazio dello spirito. Non è soltanto importante il momento della lezione frontale, ma anche il sistema di relazioni che si costruisce dentro e fuori dalla classe. L’oratorio fa proprio questo”. Il Ministro ha anche ricordato che con il Forum degli Oratori esiste già un accordo che è stato firmato nel 2012 e ha lanciato la sfida di rinnovarlo integrandolo con una serie di nuovi contenuti.

“Voi siete i protagonisti di questo incontro – ha esordito il card. Bassetti nel suo saluto agli animatori - senza la vostra presenza, senza il vostro impegno, senza la vostra autenticità, questa iniziativa perderebbe di significato. Senza il vostro quotidiano incessante appassionante lavoro ed impegno negli oratori, questi resterebbero una bella idea e un progetto sulla carta”. Ringraziando i tanti ragazzi che affollavano il Lyrick, il vice presidente della Cei ha sottolineato come “questa proposta educativa meravigliosa, che sono gli oratori prende vita e forma soprattutto da voi. Io, anche a nome dei vescovi italiani e della nostra Chiesa vi dico grazie perché ci siete e per quello che fate. Ragazzi - ha esortato il porporato - andate avanti e vincete anche voi la scommessa dell’oratorio”.

Oggi la giornata dell’ H2O, che approfondisce il tema “LabOratori di Comunità”, si è aperta con una serie di gemellaggi fra le 7 diocesi umbre e le delegazioni degli oratori italiani in un momento di accoglienza e di confronto sui progetti realizzati dalle varie comunità.Una fiaccolata per le vie di Assisi e la celebrazione eucaristica nella basilica Superiore del Santo presieduta dal card. Bassetti, chiuderà la giornata. (M.C.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVIII no. 248

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.