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Sommario del 04/09/2014

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Pace e dialogo nelle udienze del Papa con Peres e bin Talal

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Il Medio Oriente, la pace e il dialogo interreligioso in primo piano nella giornata di Papa Francesco che, stamani, ha incontrato prima Shimon Peres, ex-presidente dello Stato di Israele, e successivamente il principe El Hassan bin Talal del Regno Hashemita di Giordania. Alessandro Gisotti ha chiesto al direttore della Sala Stampa vaticana, padre Federico Lombardi, di soffermarsi sui dati salienti di queste due udienze: 

R. – Questa mattina, il Santo Padre ha avuto due udienze di carattere privato ma piuttosto significative. La prima è stata quella all’ex presidente di Israele, Shimon Peres. Aveva chiesto un’udienza al Papa per informarlo della sua attività e dei suoi progetti o iniziative per la pace, in questo tempo in cui egli ha lasciato l’attività politica diretta. Si è trattato di un’udienza importante, lunga; il Papa aveva voluto prendere tutto il tempo necessario, data anche la stima grande e l’attenzione che ha per Shimon Peres, da lui definito come “uomo di pace”, “uomo lungimirante e di grandi orizzonti”. Quindi, il Papa ha parlato con Peres, anche se con un interprete, per almeno tre quarti d’ora, e Peres ha potuto presentargli con ampiezza le sue vedute, le sue iniziative per promuovere la pace anche con l’aiuto dei diversi leader religiosi. Il Papa personalmente non ha assunto impegni particolari, personali. Però, naturalmente, ha detto tutta la sua attenzione, il suo rispetto per l’iniziativa dell’ex presidente Peres, ha garantito anche l’attenzione dei dicasteri della Curia Romana che sono particolarmente impegnati in questo campo e sono soprattutto – evidentemente – il Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso e il Pontificio Consiglio per la Giustizia e per la Pace, con i cardinali Tauran e Turkson.

D. – L’iniziativa “L’Onu delle religioni”, come è stata definita sinteticamente dai giornalisti: questa era la proposta di cui parlava Shimon Peres?

R. – Sì: Peres ha parlato al Papa di questa sua proposta, di questa sua prospettiva di impegno. Il Papa ha anche ribadito – questo me lo ha detto al termine dell’udienza, d’accordo con l’ex presidente Peres – che l’iniziativa della preghiera per la pace, che era avvenuta qui in Vaticano con la partecipazione di Peres e di Abu Mazen, non è affatto da considerare come qualcosa che sia fallita, visti gli eventi che poi sono seguiti, ma come l’apertura di una porta che continua a rimanere aperta, attraverso cui iniziative e valori possono essere incoraggiati a svilupparsi e ad andare avanti. Quindi, non affatto un senso di fallimento di un’iniziativa che è stata presa, ma anzi l’apprezzamento del suo valore di inizio di cammini e di processi.

D. – Altrettanto importante è stata l’udienza con il principe hashemita bin Talal…

R. - E' stata un'udienza analoga come tipo di impostazione, perché il principe giordano ha presentato al Papa l’attività della Fondazione, dell’Istituto che egli ha fondato e condotto e che è appunto anch’esso tutto nella direzione del dialogo e dell’impegno interreligioso in favore della pace, nell’attuale contesto della violenza; l’importanza del dialogo fra le religioni per la dignità umana e la pace, l’aiuto ai poveri nel tempo della globalizzazione, l’educazione dei giovani alla fratellanza, l’insistenza sul rispetto della dignità delle persone … E tutto questo, da portare avanti con stretta comunità di intenti da parte delle religioni che riconoscono un loro principio comune nella cosiddetta “regola d’oro”, che noi sappiamo è anche riportata nel Vangelo: “Non fare agli altri ciò che non desideri che sia fatto a te. Fai agli altri ciò che desideri sia fatto a te”. Ecco: questa è una base comune, un denominatore comune su cui anche le grandi religioni si incontrano per promuovere la pace e il bene comune dell’umanità. Anche l’udienza con il principe giordano è stata un’udienza lunga, oltre mezz’ora, che il Papa ha molto apprezzato e a cui dà un notevole significato.

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Il Papa: luogo privilegiato per l'incontro con Gesù sono i nostri peccati

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La forza della vita cristiana è nell’incontro tra i nostri peccati e Cristo che ci salva. Dove non c’è questo incontro, le chiese sono decadenti e i cristiani tiepidi: è quanto ha detto Papa Francesco nella Messa mattutina a Santa Marta. Il servizio di Sergio Centofanti

Pietro e Paolo ci fanno capire che un cristiano si può vantare di due cose: “dei propri peccati e di Cristo crocifisso”. La forza trasformante della Parola di Dio – spiega il Papa – parte da questa consapevolezza. Così Paolo, nella prima Lettera ai Corinzi, invita chi si crede saggio a “farsi stolto per diventare sapiente, perché la sapienza di questo mondo è stoltezza davanti a Dio”:

“Paolo ci dice che la forza della Parola di Dio, quella che cambia il cuore, che cambia il mondo, che ci dà speranza, che ci dà vita, non è nella sapienza umana: non è in un bel parlare e un bel dire le cose con intelligenza umana. No. Quella è stoltezza, dice lui. La forza della Parola di Dio viene da un’altra parte. Anche, la forza della Parola di Dio passa per il cuore del predicatore, e per questo dice a quelli che predicano la Parola di Dio: ‘Fatevi stolti’, cioè non mettete la vostra sicurezza nella vostra sapienza, nella sapienza del mondo”.

L’apostolo Paolo non si vantava dei suoi studi – “aveva studiato con i professori più importanti del tempo” - ma “soltanto di due cose”:

“Lui stesso dice: ‘Io soltanto mi vanto dei miei peccati’. Scandalizza, questo. E poi, in un altro brano, dice: ‘Io soltanto mi vanto in Cristo e questo Crocifisso’. La forza della Parola di Dio è in quell’incontro tra i miei peccati e il sangue di Cristo, che mi salva. E quando non c’è quell’incontro, non c’è forza nel cuore. Quando si dimentica quell’incontro che abbiamo avuto nella vita, diventiamo mondani, vogliamo parlare delle cose di Dio con linguaggio umano, e non serve: non dà vita”.

Anche Pietro – nel Vangelo della pesca miracolosa - fa l’esperienza di incontrare Cristo vedendo il proprio peccato: vede la forza di Gesù e vede se stesso. Si getta ai suoi piedi, dicendo: “Signore, allontanati da me perché sono un peccatore”. In questo incontro tra Cristo e i miei peccati c’è la salvezza:

“Il luogo privilegiato per l’incontro con Gesù Cristo sono i propri peccati. Se un cristiano non è capace di sentirsi proprio peccatore e salvato dal sangue di Cristo, questo Crocifisso, è un cristiano a metà cammino, è un cristiano tiepido. E quando noi troviamo Chiese decadenti, quando noi troviamo parrocchie decadenti, istituzioni decadenti, ma sicuramente i cristiani che sono lì mai hanno incontrato Gesù Cristo o si sono dimenticati di quell’incontro con Gesù Cristo. La forza della vita cristiana e la forza della Parola di Dio è proprio in quel momento dove io, peccatore, incontro Gesù Cristo e quell’incontro rovescia la vita, cambia la vita … E ti dà la forza per annunziare la salvezza agli altri”.

Papa Francesco invita a porsi alcune domande: “Ma, io sono capace di dire al Signore: ‘Sono peccatore’”, non in teoria, ma confessando “il peccato concreto?. E sono capace di credere che proprio Lui, con il Suo Sangue, mi ha salvato dal peccato e mi ha dato una vita nuova? Ho fiducia in Cristo?”. Quindi conclude: “Di quali cose si può vantare un cristiano? Due cose: dei propri peccati e di Cristo crocifisso”.

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Tweet del Papa: “La nostra testimonianza cristiana è autentica se è fedele e senza condizioni”.

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“La nostra testimonianza cristiana è autentica se è fedele e senza condizioni”.  E’ il tweet pubblicato oggi da Papa Francesco sul suo account Twitter @Pontifex, seguito da oltre 15 milioni di follower.

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Francesco in dialogo con scuole di 5 continenti

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Nel pomeriggio, alle 16.30, il Papa riceve nell’Aula del Sinodo, i partecipanti all’incontro mondiale dei direttori di Scholas occurrentes, una organizzazione educativa con sede in Vaticano. Il Pontefice dialogherà in videoconferenza in collegamento con studenti di cinque Paesi diversi per il lancio della piattaforma tecnologica di Scholas. I Paesi sono Salvador, Turchia europea (Istanbul), Israele, Sudafrica e Australia. Il Papa darà il suo incoraggiamento con la sua partecipazione personale a questo primo tentativo di dialogo per favorire gli incontri e gli scambi fra studenti e scuole dei diversi continenti.

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Altre udienze

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Il Santo Padre ha ricevuto questa mattina un altro gruppo di presuli della Conferenza episcopale del Camerun, in Visita "ad Limina Apostolorum".

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In programma incontro tra il card. Müller e mons. Fellay

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Il cardinale Gerhard Ludwig Müller, prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, incontrerà prossimamente mons. Bernard Fellay, superiore della Fraternità Sacerdotale San Pio X. Lo ha confermato il direttore della Sala Stampa, padre Federico Lombardi, precisando che la data dell’incontro è ancora da precisare.

Il porporato tedesco è anche presidente della Pontificia Commissione “Ecclesia Dei” incaricata di facilitare la piena comunione ecclesiale di quanti sono legati alla Fraternità fondata da mons. Lefebvre, che desiderino rimanere uniti al successore di Pietro nella Chiesa cattolica, conservando le loro tradizioni spirituali e liturgiche.

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Riunione in Vaticano del Consiglio per l'Economia

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Riunione oggi in Vaticano del Consiglio per l’Economia. All’ordine del giorno – ha riferito il direttore della Sala Stampa vaticana, padre Federico Lombardi - la discussione degli Statuti della Segreteria per l’Economia e del Revisore generale, una relazione sull’integrazione dei servizi compiuti dall’Apsa nel funzionamento della Segreteria per l’Economia e sulle indicazioni per rendiconti e preparazione di bilanci. Un’attività volta al buon funzionamento, dal punto di vista economico, delle istituzioni della Santa Sede.

Alla riunione non partecipano il cardinale Cipriani, che è uno dei 15 membri di questo Consiglio, a causa di altri impegni, e il dr. Jean-Baptiste de Franssu, che è dimissionario in quanto è stato nominato presidente dello Ior, e quindi non era più compatibile la nuova funzione con quella di membro del Consiglio per l’Economia.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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La Nato pronta a sostenere la sovranità ucraina: in prima pagina, il vertice dei capi di Stato e di Governo dell'Alleanza Atlantica a Newport, in Galles.

Nell'informazione internazionale, un articolo di Mario Benotti sulla sfida della povertà minorile in Europa.

E il futurismo emancipò il rumore: in cultura, Marcello Filotei ricorda la figura di Luigi Russolo, il pittore che rivoluzionò la musica.

Come si spegne un'utopia: Claudio Toscani sul primo romanzo di Eugen Ruge.

Unità di misura: Mauro Papalini racconta come si calcolava il tempo prima dell'Ottocento.

Quando il maestro seguì il giovanotto: Giorgio Alessandrini sulla cappella Brancacci storia dell'arte.

Così è tradito l'islam: nel servizio religioso, Giovanni Zavatta sulle condanne musulmane alle efferatezze dei jihadisti.

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Oggi in Primo Piano



Iraq. Mons. Nona: profughi disperati, primi casi di lebbra tra i cristiani

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La Nato "non ha ricevuto alcuna richiesta di impegno" in Iraq, ma se il governo di Baghdad "presentasse una richiesta di assistenza della Nato, gli alleati la valuterebbero seriamente". Lo ha assicurato il segretario generale dell’Alleanza atlantica, Anders Fogh Rassmussen, partecipando al vertice Nato in corso in Galles. Sul terreno, intanto, si fa sempre più critica la situazione nella zona di Erbil, nel Kurdistan. Lì, con le altre minoranze perseguitate, sono riparati 35 mila cristiani iracheni. Tra loro anche quelli fuggiti da Mossul, caduta nelle mani dei gruppi jihadisti del sedicente Stato islamico a inizio giugno. Per tutti è emergenza casa, sicurezza, salute: già verificati diversi casi di lebbra. Ascoltiamo la testimonianza di mons. Amel Shamon Nona, arcivescovo caldeo di Mossul, raggiunto telefonicamente ad Ankawa di Erbil da Giada Aquilino

R. – Parliamo della situazione umanitaria dei cristiani che sono adesso tutti nella regione del Kurdistan, a Erbil, perché sono fuggiti da Mossul e dalla Piana di Ninive. La prima cosa è l’alloggio, sono le case: noi abbiamo tantissime persone che al momento dormono nel giardini delle chiese, nelle aule, dappertutto. La prima cosa urgente è trovare una casa per loro. Un grosso problema è che tra alcuni giorni riaprirà la scuola e attualmente abbiamo tantissime scuole piene di queste persone. Manca circa una settimana e bisogna trovare un’altra collocazione. Poi, tra alcune settimane ancora arriverà il freddo e questo sarà un altro problema.

D. – A livello di Chiese locali, se ne sta parlando?

R. – Sì, certo. In zona le chiese sono piene di gente, ma si tratta davvero di una grande massa di persone da sistemare.

D. – C’è una collaborazione da parte esterna?

R. – C’è collaborazione, ma il numero delle persone fuggite, di rifugiati è molto alto. Ci sono anche musulmani, yazidi, persone appartenenti ad altre minoranze che anch’esse sono fuggite qua. La soluzione più importante e necessaria è quella di far tornare questa gente alla zona e ai villaggi di origine.

D. – La drammaticità di questa sua testimonianza dice che poi la violenza dei guerriglieri colpisce indistintamente tutte le comunità locali…

R. – Sì: nella zona della Piana di Ninive sono state colpite tutte le comunità. Prima i cristiani, poi gli yazidi, gli shabak, altre minoranze: tutte colpite!

D. – Di fatto, questa violenza dello Stato Islamico a cosa mira? Perché colpire sia i cristiani, sia gli stessi musulmani o una parte di essi?

R. – Perché loro hanno fondato uno Stato islamico: vuol dire che quelli che rimangono nella zona in cui vivono o in cui si trova questo Stato devono essere solo musulmani sunniti e pensare come vogliono loro ed agire come agiscono loro.

D. – Che speranze ci sono tra la gente?

R. – La maggior parte della gente non ha più fiducia nel Paese; non ha più fiducia nemmeno negli altri. Tanti di loro pensano di andare via e quelli che pensano di ritornare lo faranno quando ci saranno sicurezza e garanzie per vivere bene e in pace. Per loro, è una situazione difficile: non solo umanitaria, ma anche a livello psicologico, mentale.

D. – E voi, come pastori della Chiesa, cosa rispondete?

R. – Chiediamo che tutta questa gente possa vivere ad un livello che rispetti la dignità umana. Quindi questa è la nostra risposta: servire queste persone, rimanere con loro e trovare sempre qualcosa con cui possano vivere bene, garantendo un minimo di dignità umana.

D. – Il Papa, anche nelle ultime ore, ha pregato per i cristiani indifesi e perseguitati in Iraq e non solo. Questa sua attenzione viene percepita dai fedeli?

R. – Certo. Il Santo Padre è sempre vicino a noi, vicino ai cristiani; la sua preghiera, le sue parole rappresentano per noi un segno di coraggio che ci dà la forza di vivere la nostra fede, la nostra testimonianza in questa zona dove oggi siamo, in questa crisi che è anche la nostra.

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In Iraq, “Schindler” musulmani in aiuto di cristiani e yazidi

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Nell’Iraq travolto dalla violenza ci sono musulmani che, pur a rischio della vita, aiutano cristiani e yazidi a sfuggire alla ferocia jihadista dello Stato Islamico. Per molti sono noti come gli “Schindler musulmani”, la versione attualizzata dei “giusti tra le nazioni” alle tragedie odierne del Medio Oriente. Fabio Colagrande ha chiesto a Lorenzo Cremonesi, inviato in Iraq del Corriere della Sera, di raccontare la loro storia: 

R. – La cosa che emerge, soprattutto quando parli con i cristiani, è che molti – non dico tutti, ma tanti: ho trovato veramente tante testimonianze molto simili – affermano che in qualche modo sono aiutati da amici, colleghi di lavoro, vecchi compagni di scuola, vicini di casa, musulmani – in generale, sunniti – che risiedono nei villaggi di origine dei cristiani: non dimentichiamo infatti che specialmente qui a Qaraqosh, a Mosul, nella Piana di Ninive, si tratta di "villaggi misti". E qui, in generale, però, le persone che sono rimaste – ci sono sunniti che tendono ad aderire al cosiddetto Stato Islamico, estremisti sunniti – cercano di aiutare: magari fornendo informazioni sulla casa che è rimasta senza controllo nel villaggio abbandonato, addirittura cercando di passare informazioni ai familiari che sono rimasti indietro, alle donne, agli anziani ... Non sono tantissimi; però io posso dire che ho trovato almeno una decina di casi di persone che, davanti a me, qui nei campi, nelle chiese, nelle scuole cristiane dove sono appunto tutti questi profughi, hanno chiamato davanti a me qualcuno nei villaggi adesso controllati dagli estremisti, per chiedere aiuto.

D. – Perché lei ha parlato di “Schindler” musulmani?

R. – Allora: li ho definiti “Schindler” perché è vero che qualcuno lo fa per soldi, qualcuno per interesse personale, qualcuno per vera generosità. Per loro è un rischio: infatti, se c’è una donna, una giovane che i militanti dello Stato Islamico hanno catturato e che intendono convertire per poi darla “in sposa” (e non come sostituta) ai uno dei loro uomini, se c’è qualcuno che mantiene i contatti, chiaramente mette i bastoni tra le ruote, e quindi rischia veramente la vita, lui e i suoi cari. Quindi c’è una certa generosità.

D. – Casi del genere riguardano anche la comunità degli yazidi?

R. – Il caso degli yazidi è un caso davvero drammatico: questi vengono uccisi, le donne vengono tutte metodicamente date in schiave ... In alcuni casi, ho avuto l’impressione che questo sia stato fatto per lucro. Ma anche Schindler, il famoso imprenditore tedesco della “Schindler’s List”, incominciò a dare lavoro agli ebrei, sotto l’occupazione nazista, perché costavano di meno. E poi, da bene nasce bene: si rese conto che in questo modo poteva salvare la loro vita e lui stesso rischiò la vita per metterli in salvo. Si è saputo che un certo numero di ragazze yazide sono state comprate da alcuni musulmani, imprenditori o uomini ricchi, gente che può permetterselo, al cosiddetto “mercato degli schiavi” di Mosul e poi sono state date alle famiglie. L’impressione è che le abbiano date per essere pagati, quindi ci sia stato un guadagno. Ma come dico: tra il bene e il male c’è una vasta area grigia, dove ci sono anche gli "Schindler".

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Allarme terrorismo in India: Al Qaeda pronta a creare un califfato

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Un nuovo allarme terrorismo arriva dal Continente asiatico. Il leader di Al Qaeda al Zawahiri ha annunciato in un video la creazione di un  ramo del movimento estremista in India, Birmania Bangladesh e l’intenzione di dar vita ad un Califfato, come quello dello Stato islamico reclutando combattenti. “Questa entità - dice al Zawahiri -  è il frutto di uno sforzo di oltre due anni per raccogliere i mujaheddin nel subcontinente indiano in un unico soggetto”. A New Delhi riunione di emergenza del Consiglio di sicurezza per cercare di prepararsi a questa ennesima minaccia. Al microfono di Cecilia Seppia, sentiamo Arduino Paniccia docente di Studi Strategici all’Università di Trieste e direttore della Scuola di Competizione Economica Internazionale di Venezia: 

R. - Questa notizia è un forte segnale di allarme. Evidentemente Al Qaeda vuole aprire nuovi fronti e li apre nell’area di maggior sviluppo, oggi, economico e mondiale che è l’Asia. E proprio nell’India: un subcontinente con molti problemi, con una grande serie di sfaccettature tra cui questa fortissima presenza musulmana al proprio interno, parliamo del 15 per cento della popolazione.

D. - Quando abbiamo iniziato a sentire parlare di Stato islamico e abbiamo visto il suo modus operandi, la creazione del Califfato tra Siria e Iraq, pensavamo in realtà che Al Qaeda non ci fosse più, che fosse sparita. Al Qaeda esiste ancora?

R. - Al Qaeda esiste ancora e in Al Qaeda vi è la componente meno militare, se così possiamo dire, e da certi punti di vista meno oltranzista del terrorismo, almeno nell’area mediorientale. Mentre lo Stato islamico sta cercando di portare alle estreme conseguenze tutta la vicenda terroristica dell’ultimo ventennio, Al Qaeda ha una corrente più politica che tenderebbe in qualche modo a ricoprire ruoli perfino di mediazione. Quindi credo che il movimento terroristico si stia spaccando in due componenti: quella assolutamente estremista, fondamentalista, del combattimento fino alla fine, e una componente invece, quella di Al Qaeda, tesa al mantenimento non solo della propria organizzazione ma del territorio.

D. – Quindi il fronte del terrorismo si sta spaccando però sostanzialmente si spacca anche al suo interno, cioè è importante dire che Al Qaeda, come lo Stato islamico, ha al loro interno volti e anime diverse…

R. - Assolutamente. Anche perché hanno finanziatori diversi. Mentre la vicenda del petrolio e dell’energia è il grande collante, in realtà, all’interno, dal punto di vista di tutto quello che è l’oscuro finanziamento, compreso quello delle armi, gli sponsor e le tendenze si stanno spaccando. Alcuni, davanti ai massacri dell’Is e al fatto di elevare il livello di scontro anche sul fronte religioso, in realtà stanno ripensando, e da qui deriva anche la spaccatura.

D. - Una delle dichiarazioni preoccupanti che si sentono in questo video è l’annuncio di voler creare un califfato, anzi far rivivere un califfato musulmano che attraversi la Birmania, il Bangladesh e parti dell’India. Quindi, in questo senso, però, il progetto di Al Qaeda è abbastanza vicino a quello dello Stato islamico?

R. - Certamente vi è un processo anche di imitazione, però non dobbiamo mai dimenticare che il terrorismo non ha una logica razionale e quindi al di là di tutto quello che accade nella Rete dobbiamo capire, invece, che alla sua radice si è spaccato: e questo è il punto sul quale se dobbiamo avere una strategia dobbiamo operare, compresa l’India e la Cina dove la minaccia terroristica è stata spesso sottovalutata.

D. - La comunità internazionale sembra essere concorde sulla volontà di arginare quantomeno l’avanzata dello Stato islamico, quindi rivolgerà questo intento anche verso al Qaeda, adesso?

R. - Sì, certo, perché, alla fine, io credo che strategicamente la cosa che vada evitata sia che queste organizzazioni - che abbiamo già detto si sono spaccate sugli obiettivi sui finanziamenti e sulle finalità - non marcino separate nei vari territori per poi alla fine trovarsi a colpire unite.

D. - Come molti esperti ci hanno detto, tra i combattenti dello Stato islamico ci sono anche europei di seconda, di terza generazione. Invece, chi viene reclutato da Al Qaeda? Possiamo tracciare un profilo del militante-tipo di questa rete terroristica…

R. – Sono personaggi simili a quelli che sono musulmani da sempre in India però hanno studiato nelle università di Deobandi, quindi non proprio nelle scuole madrase dove l’indottrinamento comincia da giovanissimi, tuttavia con una forte tendenza all’analisi della storia dell’islam. Quindi piccola borghesia, anche rappresentanti insospettabili. In questo caso, potrebbero accompagnare i capi terroristi professionali provenienti dalle guerre afghane, pachistane e dalle zone dove si combatte da anni, a Est dell’India, nuovi adepti - e questo è l’aspetto che va assolutamente evitato - insospettabili.

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Ebola, allarme Fao: in forte rialzo i prezzi dei prodotti alimentari

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Oltre 1900 morti su 3500 casi registrati: l’ultimo bilancio dell’Organizzazione mondiale della sanità sull’epidemia di Ebola nei tre Paesi dell’Africa occidentale colpiti dal virus, Guinea, Sierra Leone e Liberia. Cresce dunque l’allarme in tutto il continente. Per questo lunedi prossimo l’Unione Africana terrà un summit di emergenza per definire una strategia comune. Mentre a Ginevra sono riuniti oggi e domani circa 200 esperti convocati dall’Oms per fare il punto della situazione. E, forte preoccupazione sul versante agricolo ed alimentare esprime anche la Fao, come spiega Mario Zappacosta, economista dell’agenzia Onu, al microfono di Roberta Gisotti: 

R. - Il problema alimentare nei tre Paesi è venuto in evidenza immediatamente, appena il virus ha cominciato a manifestarsi nei Paesi: il primo impatto è stato quello sui prezzi. I tre Paesi colpiti hanno immediatamente messo in atto delle misure di quarantena, di restrizione dei movimenti delle persone e quindi, di conseguenza, anche delle merci. Questo ha creato un problema di offerta e di presenza dei prodotti sui principali mercati urbani: i prezzi - si sa - appena c’è scarsità di prodotto, reagiscono e vanno verso l’alto. Questo è ovvio ha un impatto fortissimo sull’accesso agli alimenti delle famiglie, specialmente delle famiglie più povere.

D. - La Fao esprime timori anche per la stagione dei raccolti in corso?

R. - Dobbiamo dire che queste restrizioni nei movimenti e quindi anche nell’offerta di lavoro, che  di solito va dalle aree urbane alle aree rurali o tra varie aree rurali, potrebbe creare una scarsità di manodopera e quindi gran parte o parte del prodotto nei campi potrebbe anche non essere raccolto; ma anche nel caso in cui sarà raccolto, il problema potrebbe essere quello della sua commercializzazione. Le persone hanno notevoli limitazioni nei movimenti e c’è anche paura del contagio e quindi i commercianti di prodotti alimentari non hanno interesse a contattare, a raggiungere le aree rurali, quindi a fare da intermediari tra le zone di produzione e i mercati di consumo. A rendere poi la situazione ancora più difficile - dobbiamo infatti ricordare che i tre Paesi sono principalmente degli importatori di prodotti alimentari, di cereali anzitutto e di riso -  c’è il problema che da tempo stanno attraversando un periodo di deflazione della propria moneta: quando un Paese deve andare sui mercati internazionali per comprare i propri prodotti, ovviamente questo crea un problema aggiuntivo. Quindi la Fao è seriamente preoccupata su cosa succederà nei prossimi mesi nei tre Paesi interessati dal virus Ebola. Oltretutto tutti possono capire quanto sia complicato anche raggiungere le informazioni per capire esattamente cosa succeda: i problemi della quarantena e delle restrizioni nei movimenti valgono per tutti, quindi per i commercianti, per gli agricoltori, per i lavoratori, ma anche per gli analisti e per le agenzie di appoggio e di aiuto alla popolazione locale.

D. - Speriamo che queste valutazioni della Fao siano utilizzate nella riunione che è stata annunciata dall’Unione Africana per lunedì prossimo per definire una strategia comune, perché l’allarme è grande per tutto il continente e anche riguardo alle ripercussioni economiche che più direttamente - come il settore agricolo e alimentare - si riflettono immediatamente sulla sopravvivenza delle popolazioni…

R. - Certamente. Noi lo speriamo e siamo sicuri che il nostro contributo sarà ascoltato a livello di Paesi e a livello internazionale. L’appoggio della Fao sia con il proprio staff a livello di quartier generale in Roma, ma principalmente con i nostri uffici locali e regionali sarà totale.

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Palazzani (Cnb): sull'eterologa troppa fretta, no a selezione genetica

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La Conferenza delle Regioni ha approvato all'unanimita' le linee guida sulla fecondazione eterologa. Il presidente della Conferenza, Sergio Chiamparino, ha incontrato il ministro della Salute, Beatrice Lorenzin, e riferito che “il ministro  ha condiviso le linee guida delle Regioni ed è del tutto d'accordo a inserire la fecondazione eterologa nei Lea (Livelli essenziali di assistenza) e a regolamentarla con un ticket che andrà definito sulla base dei costi. Ma per farlo serve una legge del Parlamento". Alessandro Guarasci ha sentito Laura Palazzani, vicepresidente del Comitato Nazionale di Bioetica e ordinario di Filosofia del diritto alla Lumsa: 

R. - Io sono assolutamente favorevole ad un intervento legislativo. È chiaro che quello che è accaduto fa capire come ci sia veramente una forte pressione, forse anche da parte di centri che effettuano procreazioni assistite, ma certo una forte pressione ad avere fretta nella regolamentazione. Il Parlamento effettivamente sta aspettando; c’è una certa lentezza perché ovviamente ci sono molte questioni da discutere sotto il profilo etico. Questa pressione a mio parere non è giustificabile.

D. - Corriamo il rischio di una selezione genetica?

R. - ... si parla della selezione del colore della pelle, addirittura delle caratteristiche dei capelli del donatore ... Sono questioni che portano veramente ad una forma di eugenetica che non è assolutamente accettabile.

D. - Il fatto che i donatori siano anonimi, secondo lei, quali problemi concreti potrebbe comportare?

R. - Il problema dell’anonimato del donatore è un problema enorme. Tra l’altro queste linee guida non lo affrontano, perché si rendono conto della difficoltà. La legge sarebbe necessaria anche per istituire un registro molto chiaro dei nati e dei donatori, perché a mio parere deve essere riconosciuto il diritto dei nati a conoscere le loro origini genetiche. Il diritto a conoscere le proprie origini è molto importante da un punto di vista medico perché il bambino altrimenti è svantaggiato rispetto a bambini che conoscono i loro genitori genetici, cioè non sa quali sono le patologie o i rischi di contagio di alcune patologie genetiche. Quindi la tracciabilità del donatore è fondamentale proprio a tutela della salute del nato da eterologa, oltre alla questione psicologica. Ormai tantissimi studi psicologici su bambini nati da eterologa hanno dimostrato che le persone divenute adulte, nate da eterologa, hanno il desiderio di risalire alle loro origini e di conoscere chi ha donato loro i gameti.

D. - Le Regioni non avranno fatto questo scatto in avanti perché c’è una sentenza della Corte costituzionale e il Parlamento ha preso tempo?

R. - È molto importante che il Parlamento si esprima. Noi come Comitato nazionale di bioetica abbiamo elaborato un parere di consulenza e anche, forse, di stimolo al legislatore ad intervenire sull’argomento. Credo che il legislatore debba intervenire perché altrimenti rimangono dei vuoti che possono essere magari colmati occasionalmente con atti amministrativi o con l’invadenza della giurisprudenza, che però rischia di compromettere un dibattito culturale serio e democratico nel nostro Paese.

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Assisi, Happening nazionale degli oratori: realtà che rifiorisce

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Dal  4 al 7settembre si svolge ad Assisi l’Happening nazionale degli oratori. Vi partecipano 65 diocesi provenienti da 15 regioni. Una occasione di dialogo e confronto nonché la sede per programmare le iniziative future. Presentando l'evento, il cardinale Gualtiero Bassetti, arcivescovo di Perugia e vice presidente della Cei, ha parlato di una “nuova primavera degli oratori”. Sulla importanza degli oratori nella società del nostro tempo e sull'incontro umbro Antonio Elia Migliozzi ha intervistato don Marco Mori, presidente del Forum degli oratori italiani: 

R. - L’oratorio è sempre un luogo affascinante perché è abitato dai ragazzi e dalla loro comunità di riferimento. Il fatto che in Italia abbiamo settemila oratori sparsi sul territorio nazionale che, come dice il cardinale, stanno rifiorendo con esperienze e proposte, è un segno che la concretezza dell’educare e dello stare con i ragazzi ha tutto il suo fascino, perché unire insieme più esperienze – dalla catechesi, al giocare insieme, allo stare insieme – diventa molto significativo, bello, importante anche per gli stessi ragazzi. I ragazzi vivono in questo momento di comunicazione virtuale; l’oratorio ha un fascino ancora più particolare oggi per i nostri ragazzi. Se questo rifiorisce è perché si gioca bene la sua formula che non è una formula magica, ma una formula molto concreta del voler bene ai ragazzi secondo le loro esigenze.

D. - Il vostro incontro avviene in vista del bicentenario della nascita di Don Bosco. Perché avete scelto Assisi?

R. - C’è stata dimostrata una grande ospitalità da parte della Chiesa umbra in genere che appunto in questi anni ha puntato molto sul far rifiorire gli oratori all’interno della propria diocesi, della propria regione. Poi c'è tutto il fascino di Francesco e di Chiara, di ritornare in qualche modo alle radici, all’essenzialità dell’oratorio. Il tema del nostro incontro è “Laboratori di comunità”: vogliamo vedere come un oratorio nasce da una comunità e costruisce una comunità. San Giovanni Bosco, di cui celebriamo il bicentenario della nascita, ha voluto che costruisse la comunità, non solo ecclesiale, ma anche quella sociale. Tutta l’opera di Don Bosco è incentrata sul tema della scuola, del lavoro, del dare dignità ai ragazzi, per costruire buoni cristiani e onesti cittadini, secondo la sua espressione. Così, il legame tra Francesco, Chiara e San Giovanni Bosco sul tema della comunità diventa anche molto affascinante.

D. - Animatori ed operatori vivranno un importante confronto con le sette diocesi umbre che li ospiteranno all’insegna di una forte dimensione comunitaria. Perché questo evento si chiama "Happening"?

R. - Si chiama Happening perché è un ritrovarsi che è fatto da tanti elementi, un po’ come la vita dell’oratorio. Quindi l’elemento del fare comunità di oratori è importante. Le diocesi che ci ospitano fanno vedere a tutti gli altri ragazzi d’Italia come sono i loro oratori. Questo scambio è interessante; abbiamo visto che in questi anni far incontrare gli oratori tra di loro permette di portare avanti una sorta di gemellaggio, per continuare ad incontrasi, scambiarsi gli animatori ad esempio, ma nello stesso tempo, questo scambio tra oratori è anche l’anima dell’Happening. Quindi io ringrazio di cuore le diocesi umbre che ci ospitano, ma penso che anche per loro sarà un’esperienza, una scoperta molto interessante.

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Giacomo Leopardi protagonista alla Mostra del Cinema di Venezia

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Molti dei film presentati alla Mostra del Cinema di Venezia hanno tratto la loro ispirazione dalla letteratura. I registi, con diversa sensibilità e stile, hanno così rinnovato con coraggio, e dimostrando una forte personalità, il rapporto tra testo scritto e trasposizione in immagine. Affascinando spesso il pubblico in sala. Il servizio di Luca Pellegrini

La letteratura mondiale è stata quest’anno una fonte di idee e progetti singolari per gli autori e i registi presenti alla Mostra del Cinema. Non che sia facile e sicuro attingere da romanzi, racconti e novelle, perché farlo impone qualità di scrittura in sede di sceneggiatura notevolissime, e i rischi sono enormi. Li ha corsi, vincendo, Francesco Munzi che si è rifatto all’omonimo romanzo “Anime nere” di Gioacchino Criaco, del quale è rimasto subito affascinato; Michael Almereyda ha ceduto alla tentazione dell’aggiornamento e attualizzazione, trasportando le vicende dell’opera teatrale di Shakespeare “Cymbeline” - che affronta tematiche senza tempo come l’amore e il tradimento, la vendetta e il perdono, la morte e la rinascita – nell’America dei nostri giorni, contrapponendo la secolare poesia del Bardo con le tensioni e la tecnologia della realtà contemporanea. Pur discutibile, Renato De Maria ha colto spunti di osservazione critica nel romanzo autobiografico di Aldo Nove “La vita oscena”, mentre James Franco si è addirittura immerso nelle pagine di William Faulkner per “L’urlo e il furore”, in cui si tenta la strada di forme alternative di narrazione vista la materia complessa del romanzo americano. E l’israeliano Amos Gitai ha perfettamente ricreato nel suo “Tsili” l’ambientazione - un misto di natura e paura - che si ritrova in “Paesaggio con bambina” di Aharon Appelfeld, vicenda dolorosa di una ragazza sopravvissuta all’Olocausto. Ma il film più applaudito, e sicuramente complesso, sfida rischiosa e delicatissima, è quella portata splendidamente a termine da Mario Martone con il suo "Giovane favoloso”: vita, versi, dolori e amori di Giacomo Leopardi, interpretato da uno strepitoso Elio Germano. Giuliano Montaldo, alla Mostra per guidare la giuria dei ragazzi della sezione Venezia Classici, che profondamente conosce il cinema italiano, a proposito di questo film confessa:

R. – A me, quel famoso poeta – parlo di quel famoso poeta di Recanati – io … io non ero pazzo di lui, perché questa sua angoscia, il pessimismo … poi, non è che mi coinvolgesse più di tanto … Ho sempre immaginato che fosse un grande poeta, ma non era nel mio cuore. Bè, devo dire che vedendo il film ho scoperto dei buchi terrificanti della mia ignoranza e ho scoperto quella che era proprio la sua sofferenza. Questa clausura a cui lo ha obbligato la famiglia, questo rigore del padre, eccessivo, e la voglia di conoscere il mondo, di conoscere le altre persone, gli altri poeti, di girare un po’ l’Italia … Finalmente ho capito chi è Giacomo Leopardi. Ho ringraziato Martone …

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Nella Chiesa e nel mondo



Patriarca Sako: il genocidio dell'Is è una minaccia per tutti

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A un mese dall’esodo di centinaia di migliaia di iracheni - compresi 120mila cristiani - cacciati dai jihadisti del sedicente Stato Islamico, è calato un sipario sulla loro sorte, “come se quanto sta succedendo fosse normale”. E’ la nuova drammatica denuncia lanciata dal patriarca di Babilonia dei caldei Raphael Sako in un messaggio diffuso oggi.

“Tutti dovrebbero sapere” che il “genocidio” in atto contro “questi cristiani pacifici e leali cittadini” è “una minaccia per tutti”, ammonisce il presule che chiama in causa l’incapacità dello Stato iracheno di imporre la legge e l’ordine di fronte alla crescente insicurezza che “fornisce ai gruppi estremisti un terreno favorevole alla loro diffusione”. “Mentre la gente soffre – denuncia nel messaggio il patriarca - i politici lottano tra loro per conquistare posizioni invece di unirsi per individuare le cause dell’estremismo e trovare una soluzione prima che sia troppo tardi!”.

Ma il patriarca Sako si rivolge anche alla comunità cristiana irachena, esortandola a non cercare nell’emigrazione la soluzione, ma ad “affrontare la situazione” per evitare l’estinzione e “continuare ad essere lievito” nella società sconvolta dai conflitti settari.

Suggerisce, ad esempio, di creare una squadra per la gestione della crisi, che raccolga dati accurati sul numero e la dislocazione delle famiglie rifugiate, in modo da richiedere al governo il dovuto risarcimento per i danni subiti e la perdita delle proprietà ad opera dei jihadisti. Viene prospettata anche la creazione di un comitato per l'educazione, che censisca le cifre e lo status accademico degli studenti sfollati, per poi chiedere al governo del Kurdistan di ospitarli nelle scuole e nelle università e impedire così che perdano l'anno scolastico.

Riguardo al futuro delle aree cadute sotto il controllo del sedicente “Califfato”, il patriarca suggerisce di interpellare il Consiglio di Sicurezza dell'Onu perché venga creata una forza di peace-keeping in collaborazione con le forze di sicurezza irachene e i Peshmerga curdi che liberi la Piana di Ninive” e consentire ai profughi di ritornare. Inoltre, secondo il Capo della Chiesa caldea, occorre “stabilire forze di polizia locale che comprendano rappresentanti delle diverse componenti presenti nella Piana di Ninive, per proteggere i villaggi, come previsto dalla nuova legge” presentata dal governo di Baghdad.

Il presule insiste anche sulla necessità di un’azione energica con il mondo musulmano per porre fine ad ogni tentativo di dare una legittimazione religiosa, ai finanziamenti e all'invio di miliziani a sostegno dei jihadisti e così assicurare la piena interazione sociale tra i cristiani e i loro concittadini.

Il Patriarca insiste anche sulla necessità di prendere iniziative energiche con il mondo islamico, che mirino a porre fine ad ogni verniciatura di legittimazione religiosa, ai finanziamenti e all'invio di militanti a favore dei gruppi jihadisti.

Sul lungo periodo, secondo il patriarca Sako, occorrerà mettere mano anche alla revisione dei programmi scolastici e universitari, per favorire la crescita di una cultura aperta alla diversità, al pluralismo e all'uguaglianza tra i cittadini come antidoto a ogni fanatismo di matrice religiosa. (A cura di Lisa Zengarini)

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Nigeria: per la Chiesa quanto avviene nel Nord è simile all'Iraq

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“Quello che sta accadendo nel nord-est della Nigeria è molto simile a quello che è avvenuto di recente nel nord Iraq” dice all’agenzia Fides padre Patrick Tor Alumuku, direttore delle Comunicazioni dell’arcidiocesi di Abuja, commentando le recenti conquiste territoriale della setta islamista Boko Haram nel nord della Nigeria. “Come i guerriglieri dello Stato Islamico in Iraq, Boko Haram ha iniziato da almeno due anni a minare il morale della popolazione e dei militari con una serie di attentati sempre più spettacolari, per poi sferrare l’attacco volto alla conquista territoriale”.

“Hanno iniziato ad attaccare le scuole, con la scusa che non vogliono l’educazione occidentale, poi hanno colpito le stazioni della polizia, in seguito hanno alzato il tiro colpendo le caserme dell’esercito - spiega padre Patrick -. Boko Haram ha quindi preso di mira gli uffici governativi, da un Comune all’altro. Nel frattempo seminava il panico mettendo bombe nei mercati. Niente è stato fatto a caso. Si è trattato di un’attività preparatoria che è durata a lungo, per passare poi alla presa e al controllo del territorio. Mi sembra molto simile a quello che è successo in Iraq” osserva il sacerdote.

“Gli assalti alle chiese e ai cristiani rientravano quindi in questa strategia più ampia volta alla conquista del territorio, ‘liberato’ dalla presenza dei cristiani, proprio come è avvenuto in Iraq” precisa padre Patrick.

Il direttore delle Comunicazioni dell’arcidiocesi di Abuja ricorda che “di recente si è scoperto che finanziamenti per Boko Haram provengono dalla penisola arabica, attraverso Aqmi (Al Qaida nel Maghreb Islamico). A volte i fondi transitavano per alcuni uffici di cambiavalute. Per questo la Banca Centrale nigeriana ha imposto controlli più severi su queste attività”.

Padre Patrick ricorda che “per gruppi come Al Qaida la Nigeria è un obiettivo fondamentale, perché è uno dei Paesi con il più alto numero di musulmani al mondo. Su 170 milioni di abitanti, quasi la metà è musulmana. Gli estremisti sperano di trovare una base forte dalla quale lanciare l’attacco ad altri Paesi africani. Io dico che però non tengono conto della complessità della Nigeria, uno Stato federale formato da 36 Stati”. (R.P.)

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Westminster: veglia per le minoranze perseguitate in Iraq

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All’insegna dell’hashtag “Siamo tutti esseri umani”, i leader delle comunità cristiane, musulmane ed ebraiche del Regno Unito hanno partecipato ieri davanti all’Abbazia di Westminster, a Londra, a una Veglia interreligiosa in segno di solidarietà con le minoranze perseguitate in Iraq. L’iniziativa è stata promossa congiuntamente dal Christian Aid, dall’Islamic Relief a dal World Jewish Relief, in collaborazione con la Chiesa d’Inghilterra, il Consiglio musulmano d’Inghilterra e il Movimento per il Giudaismo Riformato.

Alla manifestazione erano presenti, tra gli altri, il Primate anglicano Justin Welby, che, nella stessa giornata di ieri, ha ricevuto a Lambeth Palace diversi esponenti delle Chiese cristiane mediorientali con i quali ha pregato per le minoranze perseguitate nella regione. Al termine della preghiera, l’arcivescovo di Canterbury ha invocato un’azione immediata perché gli orrori in Iraq e in Siria non rimangano impuniti.

“Assistiamo a un’ideologia religiosa estrema che non conosce limiti nelle persecuzioni contro coloro che hanno culture e religiose diverse”, ha detto. “Chi promuovere questa intolleranza deve essere fermato e i responsabili della violenza devono rispondere dei loro atti”. Il Medio Oriente che è “la culla del cristianesimo”, ha quindi sottolineato il rev. Welby corre oggi il gravissimo “pericolo di perdere una parte insostituibile della sua identità, patrimonio e cultura”.

Intervenendo alla Veglia di preghiera interreligiosa, il Primate anglicano ha anche esortato tutte le comunità religiose britanniche “a reagire” alla nuova escalation di aggressioni contro musulmani ed ebrei registrata in questi ultimi mesi nel Paese. “Queste violenze devono finire perché siamo tutti esseri umani”, ha detto. (L.Z.)

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Svizzera: appello dei vescovi per le minoranze in Iraq e Siria

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“Fornire tutto l’aiuto ed il sostegno possibile” alle minoranze cristiane e a tutte le vittime delle violenze perpetrate dalle milizie dello Stato Islamico in Iraq e Siria: a lanciare l’appello è la Conferenza episcopale svizzera (Ces) che dal 1° al 3 settembre si è riunita a Givisiez per la sua 305.ma Assemblea plenaria. Nel documento finale dei lavori, i presuli elvetici definiscono “tragiche” le notizie che arrivano dal Medio Oriente e chiedono a tutti i fedeli di aiutare le popolazioni minacciate, offrendo ogni tipo di aiuto: una preghiera, una donazione agli organismi caritativi, l’accoglienza di rifugiati, interventi istituzionali concordati con la comunità internazionale.

Domenica prossima, 7 settembre, inoltre, i presuli chiedono intenzioni di preghiera affinché “cessino le espulsioni, le torture e gli omicidi e tutti gli uomini possano vivere in libertà e in sicurezza”; prevista anche una celebrazione ecumenica in segno di solidarietà con “le minoranze minacciate e la popolazione sofferente di Siria ed Iraq”. “I vescovi – si legge ancora nel documento finale della Plenaria – sperano che gli avvenimenti del Medio Oriente non portino tensioni tra cristiani e musulmani in Svizzera” ed auspicano che “le comunità musulmane elvetiche condannino le persecuzioni dei cristiani ed altre minoranze religiose”.

Ma l’ordine del giorno dell’Assemblea ha visto in esame anche altri temi: innanzitutto, il Sinodo straordinario sulla famiglia, in programma in Vaticano dal 5 al 19 ottobre, ed al quale prenderà parte mons. Markus Büchel, presidente della Ces. In particolare, i presuli elvetici hanno riflettuto sull’Instrumentum laboris, il documento di lavoro dell’Assemblea sinodale, che contiene le risposte al questionario sulla famiglia inviato alle Conferenze episcopali di tutto il mondo.

La Ces ha, poi, affrontato la questione dell’iniziativa popolare "Ecopop", ovvero “Ecologia e popolazione”, che verrà sottoposta al voto dei cittadini il prossimo 30 novembre. Con lo slogan “No alla sovrappopolazione, sì alla tutela duratura delle risorse naturali”, tale iniziativa propone di limitare la crescita demografica dovuta all'immigrazione allo 0,2% e chiede che il 10% dell'aiuto svizzero allo sviluppo sia destinato al controllo delle nascite nei Paesi poveri. Ma i vescovi si dicono “convinti che questa iniziativa non permetterà uno sviluppo duraturo che preservi le risorse naturali in maniera adatta all’uomo”. Mirando, infatti, ad una “limitazione rigida dell’immigrazione e ad una pianificazione familiare unilaterale”, spiegano i presuli svizzeri, “l’iniziativa Ecopop prende una cattiva strada”, dando dell’umanità e della società “un’immagine contraria alla visione cristiana dell’uomo ed alla dottrina sociale cattolica”. Perché, sottolinea la Ces, “la base migliore di uno sviluppo degno e duraturo è un ordine sociale rispettoso dei principi di sussidiarietà, solidarietà e partecipazione”.

Altro tema esaminato dalla Plenaria di Givisiez è stato quello riguardante le statistiche sugli abusi sessuali nel contesto ecclesiale: “Il rapporto annuale 2013 – si legge nella nota della Ces – parla di 11 vittime e 14 autori; due delle vittime hanno denunciato abusi commessi nel 2013, mentre tutti gli altri casi riguardano abusi perpetrati tra il 1950 ed il 1980”. Nessuna delle denunce, inoltre, riguarda “stupri o violenze sessuali commesse su persone incapaci di intendere e di volere”, mentre le accuse più frequenti si riferiscono a “proposte equivoche o a sfondo sessuale, atteggiamenti sessisti, approcci indesiderati o molestie sessuali”.

Durante i lavori della Plenaria, inoltre, il patriarca copto ortodosso Teodoro II che si è recato in visita presso l’abbazia di San Maurizio, Santo di origine egiziana e quindi molto venerato tra i copti, in occasione dei 1500 anni di fondazione. Per ricambiare la visita, mons. Büchel e mons. Charles Morerod, vicepresidente della Ces, hanno partecipato, a Ginevra, ad un incontro ecumenico tra diplomatici e leader religiosi. Infine, i presuli elevetici hanno reso noto che l’Anno della vita consacrata, indetto da Papa Francesco per il 2015, in Svizzera sarà inaugurato il 29 novembre prossimo ad Einsiedeln; in quell’occasione, la Ces indirizzerà una Lettera pastorale ai religiosi ed alle religiose. (A cura di Isabella Piro)

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Terra Santa: pellegrinaggio di una delegazione di vescovi Usa

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Una delegazione di 18 vescovi degli Stati Uniti sarà dal 10 al 19 settembre in Terra Santa per un pellegrinaggio di preghiera per la pace nella regione, organizzato dai Catholic Relief Services, l’organizzazione caritativa della Conferenza episcopale statunitense. A guidarla sarà mons. Richard E. Pates, vescovo di Des Moines e presidente della Commissione episcopale per la giustizia e la pace internazionale.

“Il nostro pellegrinaggio non poteva avvenire in un momento più critico - ha dichiarato il presule, citato dalla rivista dei Gesuiti americani “America”– Il conflitto tra Israele e Hamas, l’ultimo di una serie troppo lunga di violenze, ha seriamente compromesso la speranza di pace in Terra Santa e la preghiera per la pace è quindi più che mai necessaria oggi”.

Durante la visita i vescovi americani pregheranno insieme ai leader religiosi cristiani, musulmani ed ebrei seguendo le orme del pellegrinaggio di Papa Francesco in Terra Santa lo scorso mese di maggio. (L.Z.)

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Messico: in aumento arresti bambini migranti al confine Usa

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Sono in totale oltre 66.000 i bambini migranti arrestati per aver attraversato illegalmente la frontiera fra Messico e Stati Uniti negli ultimi 12 mesi, iniziati nell’ottobre scorso, l’88% in più rispetto all’anno precedente.

I numeri forniti dal Dipartimento della sicurezza nazionale nordamericano - riferisce l'agenzia Misna - riguardano minori non accompagnati originari prevalentemente dell’America Centrale: ad agosto quelli catturati dalla Border Patrol, la polizia di frontiera, provenivano da Salvador, Messico, Guatemala e Honduras.

Rispetto ai mesi precedenti, le statistiche mostrano un calo nell’affluenza dall’Honduras, che finora era invece in testa alla lista per numero di bambini migranti. Un’emergenza, concentrata soprattutto nell’area di confine del Rio Grande (o Rio Bravo), che Barack Obama non ha esitato a definire “crisi umanitaria” chiedendo al Congresso di stanziare fondi per 3,7 miliardi di dollari per farle fronte, ma finora senza riuscirci.

I Presidenti dei Paesi dell’America Centrale hanno chiesto alla Casa Bianca un mini-Piano Marshall per consentire alla regione di lottare con più efficacia contro l’insicurezza e il narcotraffico che spingono un crescente numero di adulti, giovani e bambini a migrare verso la frontiera statunitense. (R.P.)

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Pakistan: la Chiesa chiede un compromesso dimostranti-governo

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Nella crisi politica che attraversa il Pakistan “la Chiesa sostiene la democrazia, bene supremo da tutelare nella nazione, invita a ricercare soluzioni con mezzi legali e democratici e chiede di tutelare le vite umane. Si cerchi un compromesso tra i dimostranti e il governo, istituendo una Commissione di inchiesta allargata che indaghi sulle violenze avvenute a giugno scorso a Lahore come sulle presunte irregolarità nelle elezioni. Ma qualsiasi giusta e legittima rivendicazione di giustizia e di trasparenza non può essere ottenuta con manifestazioni di piazza. Né si possono pretendere le dimissioni del governo eletto da milioni di pakistani, senza seguire le vie costituzionali”: è quanto dice all’agenzia Fides Cecil Shane Chaudhry, laico cattolico, direttore esecutivo della Commissione “Giustizia e Pace” dei vescovi del Pakistan.

Dopo tre giorni di violenza, con le forze di sicurezza che, senza riuscirci, hanno tentato di farli sgomberare, a Islamabad si è ancora in uno stallo politico, con migliaia di pacifici manifestanti che dal 14 agosto occupano il cuore della capitale. I dimostranti appartengono a due formazioni politiche di opposizione, guidate dai leader Imran Khan e Tahir ul-Qadri, che chiedono le dimissioni del premier Nawaz Sharif.

Chaudhry spiega a Fides: “Se alcune richiesta sono giuste – lotta alla povertà e alla corruzione, energia elettrica per tutti – la protesta in strada non può essere l’unica via. Esistono altri mezzi democratici. In questo stallo possono verificarsi danni gravi, a lungo termine, per il processo democratico in Pakistan, faticosamente conquistato. La stessa popolazione pakistana giudica questa prova di forza dei manifestanti intollerabile. Il Paese è in un limbo che può avere conseguenze imprevedibili. Bisogna percorre vie legali e costituzionali”.

Detto questo, “la reazione violenta del governo è inaccettabile”, aggiunge Chaudhry. “In strada ci sono persone comuni, appartenenti alla classe media urbana, famiglie, donne, bambini. Sono civili innocenti, non militanti radicali violenti. Anche sulle violenze avvenute a giugno a Lahore (dove l’intervento della polizia ad una manifestazione ha ucciso 14 persone, ndr) occorre indagare e fare giustizia”.

Per Chaudhry occorre “sostenere il dialogo avviato da alcuni leader del potere politico, giudiziario e militare. Il governo deve affrontare le questioni sollevate, non certo la richiesta di dimissioni. Una delle soluzioni è istituire una Commissione di inchiesta che includa i leader della protesta. Se la Commissione proverà malefatte o irregolarità, allora il Paese ha diritto a chiedere le dimissioni del Premier, secondo le vie previste dalla Costituzione”.

La Commissione “Giustizia e Pace” dei vescovi del Pakistan ha aderito alla rete della società civile “Joint Action Commitee for People Rights” con tutte le principali Ong e organizzazioni che difendono i diritti umani. Il network ha condannato sia le violenze di Lahore, sia la lunga protesta, rigettando la “prova di forza” dall’una e dall’altra parte, invitando al rispetto della legalità. (R.P.)

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Vescovi friulani: Papa a Redipuglia "pellegrino di riconciliazione e pace"

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“Grande gioia e profonda gratitudine” per la visita di Papa Francesco al Sacrario militare di Rediuglia e al Cimitero austro-ungarico di Fogliano-Redipuglia, il prossimo 13 settembre”. La esprimono, in un messaggio, i vescovi del Friuli Venezia Giulia: Carlo Roberto Maria Redaelli (Gorizia), Andrea Bruno Mazzocato (Udine), Giampaolo Crepaldi (Trieste) e Giuseppe Pellegrini (Concordia-Pordenone).

I presuli - riferisce l'agenzia Sir - ricordano che il primo conflitto mondiale “ha mostrato in maniera particolarmente evidente la tragica inutilità del ricorso al conflitto armato e alla violenza per la soluzione di problemi sociali, economici e politici fra i popoli e le nazioni. La ricerca della giustizia e la promozione dell’autentico sviluppo sociale sono il frutto invece di cuori aperti al bene di un dialogo sincero e rispettoso volto a discernere il bene di tutti e di ciascuno nelle diverse condizioni storiche dei popoli e delle nazioni”.

Un secolo dopo “Papa Francesco viene, pellegrino di riconciliazione e di pace nelle nostre terre di confine così fortemente segnate dalla violenza delle due guerre mondiali”. “La sua presenza - scrivono i vescovi - c’inviterà a riconoscere che anche l’attuale legittimo desiderio dei popoli di pace, giustizia e sviluppo in ogni parte del mondo è legato all’esperienza della fede nella misericordia di Dio per l’umanità”.

“I fedeli di qualunque religione - e questo vale soprattutto per noi cristiani - non possono che pregare per la pace, invocandola come dono di Dio, ed essere, a loro volta, uomini di pace”. Per questo i presuli invitano “tutti i fedeli delle nostre diocesi e gli uomini e le donne di buona volontà a unirsi alla preghiera di Papa Francesco e ad accogliere il suo magistero di pace. Preghiamo per i tanti conflitti che insanguinano ancora oggi l’umanità e che continuano a lasciare dietro di sé troppe vittime inermi.

Con grande sofferenza e trepidazione, invitiamo a innalzare suppliche in particolare per le sorelle e fratelli cristiani che stanno subendo inique persecuzioni a causa della nostra fede. Il loro ingiusto dolore risvegli le coscienze nostre e di coloro che hanno responsabilità in campo sociale, politico, economico, perché operino per la realizzazione della giustizia, difendendo i più deboli e non cadendo mai nella tentazione della violenza”. (R.P.)

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Kenya. La Chiesa ai politici: pensate a unità e sicurezza

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Unità e sicurezza in Kenya siano garantite da una leadership responsabile: lo scrive la Commissione Giustizia e pace dei vescovi di Nairobi, in una nota a firma del suo presidente, mons. Zacchaeus Okoth. Il documento è stato diffuso in questi giorni, al termine della Plenaria della Commissione, svoltasi a Mombasa. “In quanto membri della Commissione per la giustizia e la pace – si legge – siamo molto preoccupati per il sistematico rifornimento di armi dei diversi gruppi di miliziani e per la radicalizzazione dei conflitti che provoca uccisioni di massa, sfollati e distruzione delle proprietà in molte zone del Paese”.

In particolare, i vescovi fanno riferimento agli scontri etnici avvenuti recentemente nella contea di Mandera, nel nord del Paese. “Questa continua insicurezza e questi atti odiosi sono totalmente inaccettabili – sottolinea la Commissione – Quante altre vite devono andare perdute prima che il Kenya dica basta? Ogni vita è preziosa e per questo chiediamo a tutte le parti in causa di porre fine a questa cultura di morte, perché la violenza può portare solo violenza”.

Quindi, i presuli di Nairobi guardano alle tensioni politiche in atto a causa della proposta di un referendum avanzata dalla Cord, la Coalizione per la riforma e della democrazia. Da diverso tempo, infatti, questo schieramento chiede l’indizione di una consultazione popolare ad ampio spettro che delinei quelle che sono le sfide principali e più urgenti del Paese. L’iniziativa, tuttavia, non ha ricevuto un consenso unanime, finendo per accrescere le divisioni tra i partiti. Per questo, i vescovi chiedono alle istituzioni di lavorare per “l’interesse della nazione e non solo dei singoli gruppi politici”, mirando al “bene comune della popolazione”.

E ancora, insistendo sul tema della sicurezza, la Commissione episcopale Giustizia e pace evidenzia che “storicamente, il settore della sicurezza nazionale ha sempre ricevuto la maggior parte delle risorse pubbliche” e che, quindi, spetta al governo “garantire che tali risorse siano effettivamente usate per mantenere i kenioti lontani dall’insicurezza che minaccia il Paese”. “Basta con la retorica! – chiedono quindi i presuli al governo – Piuttosto, bisogna agire rapidamente e con decisione per mantenere la nazione al sicuro”.

Ulteriori appelli vengono rivolti alla cittadinanza, perché “la sicurezza è responsabilità del singolo”; ai leader di partito, affinché “servano il Kenya secondo il ruolo loro assegnato costituzionalmente e desistano dalle lotte per il potere politico”; ai giovani, la cui disoccupazione “continua ad essere una minaccia” per la stabilità nazionale. Sottolineando, infine, la necessità di una maggiore partecipazione della cittadinanza allo sviluppo della nazione, i vescovi concludono il loro messaggio ricordando che “il Kenya è di tutti, così come le sue risorse. Impariamo a condividerle ed a proteggerle”. (I.P.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVIII no. 247

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.