Logo 50 Radiogiornale Radio Vaticana
Redazione +390669883674 | +390669883998 | e-mail: sicsegre@vatiradio.va

Sommario del 03/09/2014

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Il Papa ai cristiani perseguitati: Chiesa fiera di avere figli come voi

◊  

La Chiesa è madre ed è “fiera di avere figli come voi”. Lo ha affermato Papa Francesco all’udienza generale di stamattina in Piazza San Pietro, rivolgendosi ai cristiani perseguitati, specie in Iraq. E a tutti ha ricordato che la maternità della Chiesa riflette quella di Maria, che accoglie, ama e difende i propri figli dal male. Il servizio di Alessandro De Carolis

L’orgoglio di avere nella comunità credenti di questa fibra, la tempra di chi non nasconde la propria fede in Cristo davanti a chi bussa col mitra alla porta di casa, o continua ad andare a Messa sapendo che all’uscita potrebbe scoppiare una bomba. Papa Francesco affronta il tema della “Chiesa madre” e la sua voce si scalda quando i figli a cui pensa sono quelli che, specie in Iraq ma non solo, sono “indifesi e perseguitati”:

“Vorrei assicurare, specialmente a questi ultimi, cioè gli indifesi e perseguitati, la vicinanza: siete nel cuore della Chiesa; la Chiesa soffre con voi ed è fiera di voi, fiera di avere figli come voi; siete la sua forza e la testimonianza concreta e autentica del suo messaggio di salvezza, di perdono e di amore. Vi abbraccio tutti, tutti! Il Signore vi benedica e vi protegga sempre!”.

L’abbraccio di Papa Francesco è paterno e insieme materno perché è questo il sapore della catechesi che ha appena articolato. Un concetto più volte espresso col suo linguaggio incisivo e cioè che cristiani non si diventa “con le proprie forze” né “in laboratorio”, ma all’interno di un corpo che genera alla fede, la Chiesa. E la maternità della Chiesa, afferma, altro non è che “il prolungamento nella storia” della maternità della Mamma di Gesù:

“Guardando a Maria, scopriamo il volto più bello e più tenero della Chiesa; e guardando alla Chiesa, riconosciamo i lineamenti sublimi di Maria. Noi cristiani, non siamo orfani, abbiamo una mamma, abbiamo una madre, e questo è grande! Non siamo orfani! La Chiesa è madre, Maria è madre”.

Il parallelo Chiesa-Maria, prosegue il Papa, interessa un altro aspetto. Quando una madre genera un figlio sua prima preoccupazione è di nutrirlo. La Chiesa nutre i suoi figli con la Parola di Dio, l’unica – ripete Papa Francesco – che ha il “potere” di “cambiarci dal di dentro”:

“La madre Chiesa. Lei ci allatta da bambini con questa parola, ci alleva durante tutta la vita con questa Parola, e questo è grande! È  proprio la madre Chiesa che con la Parola di Dio ci cambia da dentro. La Parola di Dio che ci dà la madre Chiesa ci trasforma, rende , di trasformarci, di rendere la nostra umanità non palpitante secondo la mondanità della carne, ma secondo lo Spirito”.

Secondo, una madre che stringe un figlio fra le braccia lo difenderà da qualsiasi tipo di male. E per la Chiesa – dice Papa Francesco – dare protezione ai propri figli è salvarli “dai pericoli che derivano dalla presenza di satana nel mondo”:

“Una madre sempre difende i figli. Questa difesa consiste anche nell’esortare alla vigilanza: vigilare contro l’inganno e la seduzione del maligno (...) Satana viene ‘come leone ruggente’, dice l’apostolo Pietro, e sta a noi non essere ingenui, ma vigilare e resistere saldi nella fede. Resistere con i consigli della madre Chiesa, resistere con l’aiuto della madre Chiesa, che come una buona mamma sempre accompagna i suoi figli nei momenti difficili”.

Un cristiano, ribadisce il Papa, è chiamato a testimoniare questo tipo di “coraggio materno”, mettendo al bando ogni vigliaccheria. Perché, conclude, “questa è la Chiesa che tutti amiamo”…

“…questa è la Chiesa che amo io: una madre che ha a cuore il bene dei propri figli e che è capace di dare la vita per loro. Non dobbiamo dimenticarci però che la Chiesa non sono solo i preti, o noi vescovi, no, siamo tutti! La Chiesa siamo tutti! D’accordo? E anche noi siamo figli, ma anche madri di altri cristiani”.

inizio pagina

Thyssenkrupp. Appello del Papa: no a logica profitto, col lavoro non si gioca

◊  

Al termine dell’udienza generale, salutando i fedeli italiani, il Papa è tornato a parlare della difficile situazione degli operai della Thyssenkrupp, l’acciaieria tedesca che sta portando avanti un drastico piano di tagli al personale. Il Pontefice, unendosi ai recenti interventi del vescovo di Terni, mons. Giuseppe Piemontese, ha espresso la sua “profonda preoccupazione per la grave situazione che stanno vivendo tante famiglie”. Famiglie che aveva già incontrato in Vaticano nel marzo scorso. Ascoltiamo le sue parole: 

“Ancora una volta rivolgo un accorato appello, affinché non prevalga la logica del profitto, ma quella della solidarietà e della giustizia. Al centro di ogni questione, anche di quella lavorativa, va sempre posta la persona e la sua dignità! Col lavoro non si gioca! E chi per motivi di denaro, di affari, di guadagnare di più, toglie il lavoro, sappia che toglie la dignità alle persone".

inizio pagina

Convegno Bose. il Papa: la pace di Cristo spegne le contese

◊  

In occasione del Convegno Ecumenico Internazionale di spiritualità ortodossa, al via oggi a Bose, in Piemonte, sul tema “Beati i pacifici”, il Papa ha inviato un telegramma - a firma del cardinale segretario di Stato Pietro Parolin – in cui auspica che “le giornate di studio e di confronto possano favorire la consapevolezza che è possibile vivere e testimoniare la pace annunciata da Cristo, mediante atteggiamenti di sincera fraternità che spengono le contese, superano le diffidenze e generano speranza”. L’evento, organizzato dalla Comunità ecumenica di Bose in collaborazione con le Chiese Ortodosse, desidera porsi in ascolto del vangelo della pace, che chiede ai cristiani di essere un fermento di riconciliazione tra le donne e gli uomini contemporanei. Fabio Colagrande ne ha parlato con Enzo Bianchi, Priore della Comunità ecumenica: 

R. - In questo particolare momento noi abbiamo, come dice Papa Francesco, una terza Guerra Mondiale in atto, anche se non la chiamiamo tale. E’ come un focolaio terribile, soprattutto in Medio Oriente, dove proprio le confessioni cristiane sono le une accanto alle altre, soprattutto Chiese ortodosse orientali e cattoliche. Allora, il convegno ha voluto, proprio per questo, parlare della pace, dei pacificatori, sia guardando l’Oriente sia guardando anche la situazione europea in Ucraina. Quindi, è diventato un tema di estrema attualità, che è decisivo per il futuro del cristianesimo in quelle terre.

D. - Cosa significa che la pace ha anche una dimensione teologica e rivelativa?

R. - Per noi cristiani Gesù Cristo è la pace, non dimentichiamolo. Ed è lui che è venuto ad abbattere ogni muro, ogni separazione, ed è soltanto nel suo nome che si può davvero fare la pace, che è una pace – attenzione – come frutto non religioso: è la pace tra gli uomini, ma la sorgente, la fonte è Gesù Cristo stesso.

D. – I Padri della tradizione sia occidentale che orientale privilegiano l’aspetto spirituale rispetto a quello politico e sociale. E’ difficile passare dall’uno all’altro?

R. - Senza la pace interiore, la pace dello spirito, senza che noi arriviamo ad avere un uomo disarmato, ci saranno sempre conflitti e di conseguenza le guerre. Non si può pensare a una pace sociale, a una pace universale con degli uomini che sono personalmente armati, che non hanno negato la violenza che li abita e che non hanno preso nel cuore la mitezza. Quindi, le due cose sono strettamente legate.

D. – Dunque, qual è la via spirituale per divenire, come dice Papa Francesco, artigiani di pace?

R. – Si tratta di avere un atteggiamento di mitezza, di concordia, a partire dal nostro quotidiano: nella famiglia, nei nostri ambienti, nella società, e via, via, dargli anche una dimensione politica più grande. Ma non può darsi una pace politica se non c’è una pace che tocchi le persone nel loro quotidiano e che le renda artigiane della pace. Molto semplicemente.

D. – A Bose, per questo 22.mo Convegno ecumenico, ci saranno, tra le altre, delegazioni del Patriarcato di Mosca e della Chiesa ortodossa ucraina: cosa significa in questo momento di conflitto?

R. – Significa che anche là ci sarà un dialogo, anche là si cercherà di capire cosa i cristiani possono fare per la pace.

D. - E’ possibile, secondo lei, che le religioni aiutino a trovare la pace in un momento in cui sembrano a volte essere anche alla base dei conflitti?

R. – E’ necessario. Soprattutto il cristianesimo che ha come cuore della fede Gesù Cristo, principe della pace, o è cristianesimo fedele al Signore o non è cristianesimo ed è in concorrenza, allora, con le altre religioni: religione tra le religioni.

inizio pagina

Gli impegni del Papa per il mese di settembre

◊  

Due visite – una all’estero, l’altra in Italia – e due celebrazioni. Sono gli appuntamenti più importanti di Papa Francesco per il mese di settembre, resi noti dal maestro delle Celebrazioni Liturgiche Pontificie, mons. Guido Marini. Sabato 13, la visita pastorale in Italia porterà il Papa al Sacrario militare di Redipuglia, in Friuli, per la preghiera in memoria dei caduti della Prima Guerra mondiale. Il giorno successivo, alle 9 nella Basilica Vaticana, Papa Francesco presiederà la Messa nel giorno della Festa della Esaltazione della Santa Croce, durante la quale unirà in matrimonio 20 coppie.

Il 21 settembre, il Papa volerà in Albania per il suo quarto viaggio apostolico internazionale, mentre domenica 28 sarà in Piazza San Pietro dove, alle 10.30, celebrerà la Messa con gli anziani.

inizio pagina

"Scholas Occurrentes" lancia piattaforma digitale per rete mondiale

◊  

Presentata oggi in Vaticano una piattaforma digitale per collegare le scuole di tutto il mondo. A mettere in campo l’iniziativa, “Scholas Occurrentes”, l’ente educativo fortemente voluto da Papa Francesco, che ha anche organizzato la Partita Interreligiosa per la Pace di lunedì scorso. Si tratta di creare una piattaforma online per connettere istituzioni educative e promuovere l’incontro e la pace. Presenti alla conferenza stampa i due direttori mondiali di Scholas, José Maria del Corra e Enrique Palmeyro. Per maggiori particolari, Debora Donnini ha sentito il responsabile del programma spagnolo della nostra emittente, padre Guillermo Ortiz

R. – Questo è molto interessante, perché viene da un’iniziativa di Bergoglio - come arcivescovo di Buenos Aires - che stava già facendo un tentativo di creare una rete di scuole che basate sulla tecnologia, lo sport e l’arte. Adesso, questo è molto importante, perché già da l’anno scorso, come Papa, Francesco ha chiesto alla gente di Buenos Aires di sviluppare questo progetto a livello mondiale. Il 19 marzo scorso, c’è già stato un raduno con il Papa qui in Vaticano e dopo la partita interreligiosa per la pace – organizzata per Scholas e per la Fondazione argentina P.U.P.I. Onlus – ce ne sarà un altro nell’Aula del Sinodo. Domani, inoltre, ci sarà l’udienza con Papa Francesco che dall’Aula del Sinodo parlerà in videoconferenza con cinque Scuole del mondo: un modo per iniziare questa piattaforma che tenta di unire gli sforzi di diverse scuole e – tramite lo sport, l’arte e la tecnologia nelle scuole – formare ai valori umani.

D. – Due sono le parole chiave dell’iniziativa: incontro e pace. Perché?

R. – Certamente, così come ha spiegato il Papa nel videomessaggio in occasione della partita: lo sport, l’arte e specialmente la tecnologia devono aiutare la cultura dell’incontro e in queste occasioni anziché farsi la guerra devono crescere come fratelli, senza perdere le proprie identità. Certamente, c’è molta violenza non solo in America Latina, o a Buenos Aires. Ci sono guerre terribili che distruggono l’umanità: questo allora vuole essere un tentativo per radunare le scuole in questo sforzo e generare la cultura dell’incontro per ottenere la pace.

D. – Si tratta di scuole, di Paesi ricchi e poveri, quindi di una piattaforma che spazia davvero a tutte le latitudini…

R. – E’ un’iniziativa in cui si offre la possibilità di condividere e collegarsi con tutti: non bisogna essere cattolici o di una particolare religione, popolo, o nazione. Questa piattaforma viene offerta a tutti: dipende anche da coloro intendono integrarsi in essa.

inizio pagina

Mons. Sánchez de Toca: calciatori non siano ridotti a merce

◊  

Per il Papa, “lo sport non è solo una forma d’intrattenimento, ma anche uno strumento per comunicare valori che promuovono il bene della persona umana e contribuiscono alla costruzione di una società più pacifica e fraterna”. All’indomani della partita interreligiosa per la Pace allo stadio Olimpico di Roma, il Pontificio Consiglio della Cultura, in collaborazione con l’Ufficio nazionale della Pastorale del Tempo libero, turismo e sport della Cei e la Fondazione Giovanni Paolo II per lo sport, hanno incontrato i responsabili dell’associazionismo sportivo cattolico per una riflessione sul tema: “Lo sport è per l’uomo. Dalla cultura del risultato alla cultura dell’incontro”. Nel corso del Seminario internazionale è emerso come il sistema sportivo sia spesso autoreferenziale e fondato sulla pubblicità con il fine della vittoria, del successo e del profitto ad ogni costo. Lo sport non riesce più ad assolvere il suo ruolo di “scuola di vita” per le giovani generazioni. Ma potrà mai, lo sport, superare la cultura dello scarto dell’uomo per promuovere la cultura dell’incontro e della fraternità? Luca Collodi lo ha chiesto a mons. Melchor Sánchez de Toca, sottosegretario del Pontificio Consiglio della Cultura: 

R. - Siamo partiti da due chiavi di interpretazione di Papa Francesco nell’Evangelii Gaudium, partire dalla mentalità dello scarto per arrivare alla cultura dell’incontro. La mentalità dello scarto è presente nel mondo dello sport professionale ma, ahimè, ha delle ripercussioni non indifferenti anche nei livelli più bassi dello sport come ad esempio lo sport giovanile. La cultura dello scarto significa che l’atleta è ridotto ad un prodotto, è quotato, e in alcuni casi addirittura si parla di acquisto di giocatori come se fossero una merce. Acquistare persone pensavamo fosse qualcosa legato alle forme di schiavitù; invece ancora oggi si parla di “acquistare” i giocatori. Dunque l’atleta è ridotto a merce, ad oggetto, a prodotto. Se vogliamo risanare il mondo dello sport bisogna rimettere l’uomo al centro dello sport. Tommasi, il presidente dell’Associazione italiana calciatori, su questo è stato molto chiaro, visto che conosce molto bene questo mondo: l’atleta non è un prodotto; la medaglia o il risultato non è monetizzabile. Dunque è necessario dimenticare questa cultura dei risultati, delle medaglie, della monetizzazione e della mercificazione del giocatore.

D. - Guardando alla crisi russo-ucraina, circola in Europa l’idea di boicottare i Campionati del mondo del 2018 in Russia. È lecito un uso politico dello sport?

R. - Purtroppo questo è già successo altre volte. Tutti ricordiamo il boicottaggio americano alle Olimpiadi di Mosca del 1980 ed altre volte. Questa mattina il Papa, parlando di un altro aspetto fondamentale che è il lavoro, ricordava che la dignità dell’uomo deve essere al centro, aggiungendo che il lavoro non si tocca. Io credo che potremmo dire - poiché nello sport è fondamentale la dignità dell’uomo al centro dello sport - che con lo sport non si gioca: lo sport è un gioco! È gioco! Ma non si può giocare con lo sport, è una strumentalizzazione politica dello sport attenta alla natura stessa dello sport. Ricordiamo che lo sport olimpico è da sempre legato alle festività religiose dell’Antica Grecia, come un momento di tregua, di sospensione della guerra. Oggi è il contrario: ciò che potrebbe aiutare ad unire i popoli, è sospeso a causa di conflitti politici.

D. - Quanto è importante oggi educare allo sport, non soltanto gli atleti e i dirigenti ma anche i tifosi, gli sportivi?

R. - Un tema che è emerso con molta forza durante gli interventi dei partecipanti è stata la dimensione educativa dello sport. Lo sport è un bene culturale, educativo e spirituale, ma soprattutto direi che è emersa la dimensione educativa. Naturalmente lo sport è uno strumento che aiuta a crescere, a sviluppare la persona nella sua integralità, ma in particolare si attirava l’attenzione sull’importanza della formazione degli allenatori, di coloro che sono a contatto con i ragazzi in un’età cruciale della loro esistenza del loro sviluppo come persone e anche dei genitori, perché i genitori sono prigionieri anche di questa logica di mercato; vogliono che il loro figlio sia un campione non perché il figlio dia il massimo di sé, ma perché il figlio diventi famoso, ricco e guadagni tanti soldi.

inizio pagina

Oggi su "L'Osservatore Romano"

◊  

All’udienza generale dedicata alla maternità di Maria, Papa Francesco esprime la vicinanza della Chiesa ai cristiani che soffrono.

Putin e Poroshenko per una tregua: nell’informazione internazionale, in primo piano la crisi ucraina.

Quelle nove candele accese sulla scala: in cultura, Silvia Guidi sulla storia di padre Carlos Olivero e degli altri curas villeros di Buenos Aires.

Ciò che abbiamo di fronte: Isabella Farinelli sulle opere di Andy Warhol, anche quelle meno note, in mostra a Roma.

Il liberale ebreo vicino ai cattolici: Eugenio Capozzi sulla figura di Luigi Luzzatti, alla guida del Governo italiano dal marzo 1910 al marzo 1911.

Si può vivere e testimoniare la pace: nell’informazione religiosa, il convegno ecumenico di spiritualità ortodossa a Bose.

inizio pagina

Oggi in Primo Piano



Decapitazioni Is. Introvigne: vuole scatenare attacco occidentale

◊  

E’ autentico il video della decapitazione del secondo ostaggio americano ucciso nell’arco di due settimane dai jihadisti del sedicente Stato Islamico (Is): il 31enne freelance Steven Sotloff. A stabilirlo sono stati esperti della Casa Bianca dopo un attento esame delle immagini. “Non ci faremo intimidire” è stato il commento del presidente Usa Barack Obama, che ha aggiunto “faremo giustizia”. Non cederemo mai al terrorismo, è stato invece il commento del premier inglese David Cameron. Sul Regno Unito pesa ora la sorte di un altro ostaggio mostrato nel video dell’Is e di nazionalità britannica. Unanime è stata la condanna internazionale per un video drammatico e orribile e che, a giudizio dello studioso Massimo Introvigne, non vuole far altro che provocare la reazione occidentale. Ascoltiamolo al microfono di Francesca Sabatinelli: 

R. – Se leggiamo le pubblicazioni dello Stato Islamico e del califfo Ibrahim, come ora si fa chiamare il suo leader al Baghdadi, comprendiamo la logica terribile di quello che sta succedendo, perché per l’Is è molto importante la propaganda ed è molto importante differenziarsi da altri gruppi della galassia dell’Islam politico radicale.

D. – Lei ha sottolineato che, a dispetto di ciò che si dice nei video, e cioè che questi omicidi, questi brutali assassinii vengano condotti perché Obama continua nella sua politica di raid, in realtà ciò che l’Is vuole è che ci sia un attacco occidentale …

R. – Assolutamente sì! Questi video vogliono precisamente indurre gli occidentali a condurre degli attacchi contro l’Is. Uno potrebbe dire: ma l’Is è dissennato! Nessuno vuole essere attaccato dagli Stati Uniti o dall’Europa! Ma l’Is ha una sua narrativa. Il califfo Ibrahim si presenta come il primo califfo legittimo dell’islam sunnita dopo l’abolizione del califfato nel 1924; anche il titolo della sua rivista – “Dabiq” – fa riferimento a un detto del Profeta, secondo cui a Dabiq, che è una piccola città della Siria, ci sarà uno scontro finale, apocalittico tra i musulmani e i cristiani, gli occidentali. Tutta la retorica apocalittica del califfo suona più o meno così: “Musulmani, dovete essere uniti” – sunniti, intende sempre, lui – “intorno a me che sono il califfo, perché io vi guiderò nello scontro finale previsto dalla nostra religione” –  che ha previsto anche la vittoria – “contro gli occidentali crociati, i cristiani”.

D. – Ma a questo punto, quindi, se si dovessero coinvolgere i Paesi dell’area, quindi altri Paesi musulmani, in un possibile attacco, cambierebbe qualcosa?

R. – Io penso che cambierebbe tutto e che in questo senso siano molto sagge le parole del Santo Padre e della Segreteria di Stato, a proposito del carattere necessariamente multilaterale di un’iniziativa contro l’Is. Io leggo multilaterale nel senso che siano coinvolte le istituzioni internazionali e soprattutto che se saranno inviate truppe sotto l’egida dell’Onu o di una qualche coalizione di volenterosi, queste truppe non siano composte esclusivamente da Paesi di tradizione e di maggioranza cristiana, ma ci siano anche dei non cristiani, degli asiatici; ma l’ideale sarebbe che ci fossero anche dei musulmani. Perché se l’attacco militare è condotto all’insegna di una multilateralità che vede impegnate contro il califfato anche truppe di Paesi di tradizione non cristiana e preferibilmente di Paesi musulmani, ecco che si toglie un’arma forse decisiva, certamente molto importante, alla retorica e alla propaganda del califfato. E per il califfato, la retorica e la propaganda sono la ragion d’essere: infatti, quali sono le truppe del califfato? In massima parte sono musulmani raccolti un po’ in tutto il mondo, Occidente compreso, tramite la propaganda.

inizio pagina

Mons. Shomali: Medio Oriente, pochi cristiani in mezzo a eruzione vulcanica

◊  

A Gaza, nonostante la tregua in corso tra Israele e Hamas, il clima è quello della devastazione e del caos di ogni dopo-guerra. Il vicario patriarcale di Gerusalemme dei Latini, mons. William Shomali, ha fatto visita alle comunità cristiane di Gaza. Giancarlo La Vella gli ha chiesto come la gente stia vivendo questa drammatica situazione: 

R. – E’ come qualcuno che ha subito un intervento chirurgico: rimane in sofferenza, perché non sono tornati alle attività normali; le scuole sono chiuse, molta dell’industria leggera è stata distrutta; i senza casa sono oltre 300 mila, molti dormono all’aperto, perché di notte non fa freddo … e aspettano una soluzione politica al loro dramma. Se comincia la ricostruzione di Gaza, molti troveranno lavoro: operai, professionisti … Ma per il momento, tutti sono in attesa di qualche cosa …

D. – C’è la speranza che il cessate-il-fuoco, se prolungato, possa consentire una qualche ripresa, una normalizzazione?

R. – La cosa più importante è il dialogo politico tra Hamas, palestinesi e israeliani. Infatti, Hamas ha fatto la guerra per ottenere qualcosa: se non ottiene niente, vuol dire che la guerra è stata assurda. Hamas ha combattuto sette settimane e ha ottenuto solo quello che è stato offerto dopo la prima settimana: dunque Hamas, politicamente – fino ad oggi – ha perso. Noi aspettiamo, preghiamo e speriamo. Solo questo possiamo dire. Ma non sappiamo il futuro cosa sarà …

D. – Qual è il ruolo della Chiesa?

R. – Noi come Chiesa abbiamo fatto tanto a livello umanitario: lo riconoscono gli ortodossi, gli anglicani, i musulmani a Gaza; me l’hanno detto più persone, che il coraggio della Caritas e delle altre agenzie cattoliche durante la guerra è stato molto apprezzato. Portavamo un pasto caldo, anche, a tutti quelli che facevano il digiuno del Ramadan. Non eravamo soli; c’erano anche altre agenzie internazionali, certo, perché gli affamati erano migliaia e migliaia. Comunque, la Chiesa ha dato un contributo immenso, in particolare considerando che le persone aiutate erano in maggioranza musulmane.

D. – Secondo lei, c’è un segno di speranza su cui lavorare? Qual è ora la situazione?

R. – E’ come un’eruzione vulcanica: c’è la fase che la precede, poi c’è l’eruzione e c’è il “dopo”. Adesso siamo nella seconda fase: c’è un’eruzione vulcanica in tutto il Medio Oriente, dall’Iraq allo Yemen, alla Siria, alla Libia, il Libano, Gaza … Il vulcano durerà … Non sappiamo quanto …

D. – E non c’è posto, per i cristiani?

R. – Siamo pochi. Se vogliamo essere sale della terra, dobbiamo essere diffusi ovunque. Questo è il Vangelo.

inizio pagina

Putin e Poroshenko annunciano cessate-il-fuoco

◊  

Possibile svolta nella crisi ucraina. Il presidente ucraino, Poroshenko, e il leader del Cremlino, Putin, si sono accordati per un cessate-il-fuoco nell’est del Paese. E’ quanto si legge nel sito della presidenza ucraina, che riferisce di una conversazione telefonica. Da parte sua, il presidente statunitense, Barack Obama, che si trova in Estonia, parla di "un'opportunita'" per risolvere la crisi in una situazione che - dice - si presentava "molto pericolosa". Il servizio di Fausta Speranza

"Accordo sul cessate-il-fuoco permanente nel Donbass", la regione industrial-mineraria dell'est ucraino, in preda da mesi al conflitto tra Kiev e i ribelli filorussi. Nella telefonata - si spiega nella nota - Putin e Poroshenko "si sono accordati in gran parte sui passi che favorirebbero al più presto il cessate-il-fuoco tra i reparti militari ucraini e i miliziani a sud-est del Paese". Arriva subito la reazione della leadership ell'autoproclamata Repubblica di Donetsk: si dice pronta a risolvere il conflitto con Kiev con mezzi politici se i militari ucraini poseranno le armi. E la notizia del cessate-il-fuoco arriva proprio quando gli analisti cominciavano a parlare di imminente guerra estesa. Dopo mesi di crisi e di sconfinamenti di forze russe a sostegno dei ribelli filorussi, si parlava ormai non più di sconfinamenti ma di azioni belliche vere e proprie. E si cominciava a ventilare lo schieramento di truppe della Nato. Ora la parola torna, speriamo in modo decisivo, alla diplomazia. 

Fausta Speranza ha parlato con Daniele De Luca, docente di Storia delle relazioni internazionali all’Università del Salento:  

R. - Penso che fosse l’unica soluzione plausibile: mi riferisco al fatto che i due presidenti si sentissero e si mettessero d’accordo su una questione del genere. Questo gesto è estremamente importante perché è il primo passo per raggiungere un cessate-il-fuoco e quindi un possibile accordo. Però, è anche un gesto che in questo momento sancisce definitivamente la difficoltà di avere una politica unitaria tra Europa e Stati Uniti, soprattutto perché, da parte degli Stati Uniti, negli ultimi tempi c’è stata una forte stretta a incrementare la pressione sulla Russia, rendendo Putin - ahimè - ancora più nervoso sul campo.

D. - E’ una delle tante fasi, o siamo davvero arrivati al punto in cui ci si è resi conto che oltre non ci si può spingere?

R. - Questo è difficile da dire. Ultimamente, si è usato il termine di “guerra fredda”, ma io non credo che esprima bene la situazione. Voglio dire che non credo che in epoca di Guerra fredda ci sarebbero stati questi scontri militari in Europa. Quindi, la situazione sotto alcuni punti di vista è ancora più pericolosa dell’epoca della Guerra fredda. Quello che può succedere domani, o quello che succederà dopodomani, non lo so. Certamente, bisogna anche vedere cosa si muoverà e come si muoveranno i comandi militari delle forze filorusse che si trovano in Ucraina.

D. - Da una parte le sanzioni, poi lo spettro del possibile posizionamento Nato da decidere in questa settimana. Dall’altra parte, gli sconfinamenti russi che non erano più sconfinamenti ma quasi azioni belliche vere e proprie. Che cosa ha fatto maturare il cessate-il-fuoco?

R. - Io non credo molto nella forza delle sanzioni, anche perché gli Stati Uniti si possono permettere di applicare sanzioni contro la Russia e noi europei no. Le nostre economie già risentono delle piccole sanzioni che abbiamo imposto alla Russia ma, probabilmente, risentono molto di più delle sanzioni che la Russia ha imposto sulle nostre esportazioni: basti vedere come alcuni dei nostri settori - per esempio, quelli alimentari - abbiano risentito in maniera molto forte delle sanzioni russe e ancora non siamo in inverno, quando avremo bisogno della Russia per altre cose. Gli Stati Uniti se lo possono permettere, possono fare le pressioni che vogliono. Certo, la pressione militare della Nato è un segno inequivocabile che la tensione stava salendo molto, ma è salita anche perché naturalmente la Russia non è più quella del dopo-caduta del muro, del dopo-implosione dell’Unione Sovietica. Questa non è la Russia di Eltsin, la debole Russia del debole Eltsin. Questa è una Russia diversa e quindi se la Nato alza il tiro, anche la Russia alza il proprio tiro e crea forze di immediato intervento sul campo e sul terreno. 

inizio pagina

Pakistan: ancora manifestazioni contro il premier Sharif

◊  

Il primo ministro pakistano, Nawaz Sharif, ha annullato la sua partecipazione al vertice Nato che si apre domani in Galles vista la crisi politica che ha travolto Islamabad. Nella capitale da giorni si susseguono manifestazioni  guidate dal Pti, il partito di opposizione dell'ex campione di cricket, Imran Khan, che chiede le dimissioni di Sharif. Anche ieri si sono verificati scontri con diversi feriti e dopo l’assalto al parlamento il governo ha parlato di “invasione e ammutinamento”. Il Pti già da qualche giorno ha anche il sostegno dell’esercito, impegnato tra l'altro nel Waziristan in una maxi-offensiva contro i talebani che ha portato, dal 15 giugno, all’uccisione di 910 ribelli.  Ma c’è il rischio di colpo di Stato? Cecilia Seppia lo ha chiesto a Marzia Casolari docente di Storia dell’Asia all’Università di Torino: 

R. – Questo non è mai da escludere in un Paese come il Pakistan. Sappiamo infatti che i colpi di Stato si sono succeduti con una certa regolarità. Diciamo che, da un lato, è in corso questo processo che possiamo vedere come un processo di tormentata e complessa normalizzazione di un Paese che non è mai stato normale. Dall’altro, però, c'è il persistere di entità molto potenti, molto forti come l’esercito. L’esercito, secondo me, ha un atteggiamento ambivalente, nel senso che è possibile che parti dell’esercito possano rivolgersi contro l’attuale governo, ma a me pare che una parte anche consistente delle Forze armate, invece, sia dalla parte del governo. Quindi, può succedere che alcune frange delle Forze armate possano effettivamente tentare di prendere il potere con la forza.

D. – I dimostranti continuano a chiedere le dimissioni di Sharif, accusato – lo ricordiamo – di brogli nelle elezioni del 2013, ma anche di essere coinvolto nell’uccisione di 14 manifestanti in giugno quando, sostanzialmente la protesta è esplosa a Islamabad. E’ di oggi anche la notizia che Sharif ha ritirato la sua partecipazione al vertice Nato che si apre domani nel Galles. Secondo lei, come si comporterà Sharif?

R. – Sharif è sempre stato un uomo abbastanza mite. Il fatto che Sharif non si presenti al vertice Nato è significativo perché è in ballo, rispetto al Pakistan, la questione dell’aspetto post-Nato dell’Afghanistan, che è forse la questione più cogente, in questo momento, nei rapporti tra il Pakistan e la Nato, ed è anche probabilmente il principale oggetto di discordia tra Imran Khan, che è il capo di questo movimento – il "Movimento per la giustizia" – che in questo momento si trova nelle piazze della capitale e delle principali città pakistane a protestare. La questione è proprio questa: il fatto che Sharif abbia deciso di non partecipare a quel vertice è un segnale, perché ciò che caratterizza il Movimento per la giustizia di Imran Khan è proprio il forte anti-americanismo.

D. – Parliamo di questi partiti all’opposizione che guidano la protesta. Uno, è il Pti ("Pakistan Tehreek-e-Insaf"), il cui leader è l’ex campione di cricket, Imran Khan. Perché sta raccogliendo così tanti consensi?

R. – Io credo che nei prossimi anni dovremo abituarci a vedere, a comprendere i processi politici in quei fenomeni politici in corso in molti Paesi, che sono poi fenomeni simili a quelli che accadono in Italia. Cioè, non esistono più leader politici, movimenti politici né partiti politici che facciano riferimento ad un background di tipo ideologico. Fanno però riferimento delle parole d’ordine e queste parole d’ordine sono “cambiamento”, “rinnovamento”, “giustizia”, “giustizia sociale”, “occupazione”, “sviluppo”… E’ un movimento molto forte nella zona del Nordovest del Paese, quindi nelle zone pashtun sostanzialmente, e raccoglie – questo movimento – le istanze più radicali del nazionalismo pashtun.

D. – Ovviamente, per il Pakistan è una novità, ma si può trovare un’analogia con altri gruppi, altri partiti politici simili a quello di Imran Khan in altri Paesi?

R. – Possiamo, per certi aspetti, paragonarlo ad analoghi movimenti che sono in corso  che sono avvenuti, per esempio, nel Paesi arabi. Penso al movimento di Piazza Tahrir o alle "primavere arabe"… Sono movimenti trasversali che raccolgono soggetti politici che magari fino a pochi anni prima non si sarebbero neppure sognati di mettersi insieme.

inizio pagina

Driss Ayachou, leader musulmano: si condanni l'estremismo

◊  

La responsabilità delle religioni a costruire la pace condannando i crimini: è quanto sottolinea Driss Ayachourvicepresidente del Consiglio regionale della Fede musulmana dell'Alsazia, a conclusione dell’incontro promosso dal Consiglio d’Europa l’1 e il 2 settembre scorsi a Baku, in Azerbaijan, sul tema “Il dialogo interculturale: interazione tra cultura e religione”. Fausta Speranza lo ha intervistato: 

R. – La rencontre a été utile. Une rencontre très, très importante…
L’incontro è stato molto utile, molto importante perché ha operato nel dialogo, nell’ambito del quale gli esponenti religiosi hanno confermato come sia loro dovere intervenire in questa crisi, in quello che sta succedendo nel mondo, davanti ai cambiamenti in atto nel mondo. Tutto questo obbliga le religioni ad assumersi la responsabilità del loro ruolo per costruire l’amore, la pace e il rispetto del prossimo.

D. – Al momento, nel mondo, ci sono molti conflitti, situazioni molto gravi… Cosa possono fare le religioni contro gli estremisti?

R. – La première des choses, c'est de condamner les actes…
La prima cosa da fare è condannare le azioni criminali, i crimini. E, seconda cosa, riflettere insieme sul significato della parola “religione”: nell’etimologia greca, il termine lega gli uomini nella fraternità. E su questo bisogna lavorare. Al tempo stesso, è necessario anche riflettere insieme per mettere in campo delle azioni concrete sul terreno, che siano vicine ai fedeli, ai cittadini, che permettano di evitare di partecipare a conflitti sul terreno. Non c’è nessuna religione che sia contro la pace! Tutte le religioni e tutte le confessioni operano per la pace. E’ solo l’ignoranza che spinge l’uomo all’estremo. Dunque, bisogna combattere l’ignoranza, lavorando di più a progetti mirati all’educazione e preparare i giovani a vivere nel mondo di domani.

inizio pagina

Scuola. Maestri cattolici: bene investimento, incognite coperture

◊  

“Un anno di tempo per rivoluzionare” la scuola in Italia: quasi 150 mila docenti da assumere a settembre 2015, concorsi per il passaggio di ruolo, stop alle supplenze, scatti in base al merito e non semplicemente all’anzianità. Sono alcuni punti del “patto educativo” per “la buona scuola” proposto dal governo italiano del premier, Matteo Renzi, sul sito "passodopopasso.italia.it". On line anche un video con cui Renzi presenta le “idee del governo”, annunciando che dal 15 settembre al 15 novembre si raccoglieranno pareri “scuola per scuola”, da gennaio si lavorerà alle norme vere e proprie. Un piano da tre miliardi di euro. Per il ministro dell'Istruzione, Stefania Giannini, si tratta di un “percorso di rinnovamento” che permette di “tirare una linea col passato”. Com’è stato accolto dai docenti? Risponde Giuseppe Desideri, presidente dell’Associazione italiana maestri cattolici (Aimc), che riunisce insegnanti dalla scuola dell’infanzia all’università. L’intervista è di Giada Aquilino

R. - Diciamo le prime impressioni, perché logicamente la valutazione va fatta dopo un’attenta analisi di tutti gli aspetti. Come prima impressione, è sicuramente positivo il fatto che il governo rimetta la scuola al centro dell’interesse del Paese, soprattutto attraverso un investimento. La cosa che ci piace molto è che il governo assume il principio - da noi rivendicato da sempre - che i soldi destinati alla scuola non sono un costo ma un investimento per il futuro del Paese. Ci sono anche impegni notevoli da parte del governo, perché affermare di portare a termine oltre 150 mila assunzioni nell’arco di un paio di anni è un investimento non da poco; stiamo parlando - almeno dai dati che fornisce lo stesso documento dell’esecutivo - di quasi tre miliardi di euro e in un momento come questo, in cui diventa difficile la copertura anche di provvedimenti più piccoli, ci si chiede: come farà il premier a trovare la copertura? Questo è un problema tecnico, però molte volte i problemi tecnici, ragionieristici sono stati quelli che hanno bloccato l’innovazione nel nostro Paese.

D. - Dei circa 150 mila docenti, 80 mila sono maestri per le scuole dell'infanzia e della primaria: alcuni andranno a coprire le cattedre scoperte e più o meno 60 mila invece saranno usati come organico funzionale, sostituendo i colleghi assenti. Di fatto, le supplenze scompariranno, come poi è stato detto? Ci sarà un team stabile di docenti…

R. - Le supplenze non potranno scomparire perché sono legate al normale modus vivendi della scuola: quando un insegnante si assenta è inevitabile che venga sostituito. Il discorso importante è che le figure di riferimento - secondo il progetto del governo - sono già esistenti all’interno della scuola: quindi un pool di docenti che si assume il compito di sostituire i colleghi nell’eventualità di una loro assenza.

D. - In questi anni il precariato è stato, e lo è ancora, una grande realtà della scuola italiana. Cosa si prospetta?

R. - Dalle linee guida si prospetta una stabilizzazione, che è un elemento fondamentale e importantissimo. Eliminare il discorso del precariato significa dare sicurezza lavorativa ai professionisti della scuola e significa, soprattutto, dare sicurezza e continuità agli studenti. Le preoccupazioni sono se effettivamente ci si riuscirà.

D. - Parliamo di un punto su cui già sono arrivate critiche da parte di alcuni sindacati: gli scatti saranno in base al merito e non semplicemente all’anzianità. Come va letto tutto ciò?

R. - Ci vuole un giusto mix. La preoccupazione è che in questo mix l’elemento cruciale sia il risparmio, piuttosto che la valorizzazione della professionalità.

D. - C’è un rafforzamento del piano formativo per le lingue straniere: è stata annunciata più connessione digitale, saranno on line i dati e i profili di ogni scuola. Dal punto di vista dei programmi scolastici, ma anche dell’edilizia scolastica, ci sono novità?

R. - La novità è l’attenzione che il governo sta ponendo alla scuola, a partire dall’edilizia scolastica, e questo è molto importante. Per quanto riguarda gli altri elementi, bisogna uscire dalla velleità di voler fare tutto e subito. Di più inglese, di più informatica, di più tecnologia nella scuola si parla da decenni però, alla fine, i risultati non sono proporzionali alle promesse fatte da chi si è alternato al governo in tutto questo periodo. Il problema è, appunto, il grandissimo importo di investimento che va predisposto e in questo momento di crisi ritorniamo al problema delle coperture. Allora, ben venga la promessa della banda larga a tutte le scuole, ma deve anche essere mantenuta, soprattutto senza fare l’errore di considerare che abbiano bisogno di Wi-Fi e di tecnologia solamente le scuole secondarie di secondo grado. Non ci dimentichiamo che i nostri bambini - quelli che oggi frequentano la scuola dell’infanzia e la scuola primaria - sono più nativi digitali dei loro colleghi della scuola secondaria di secondo grado. 

inizio pagina

In un libro le storie dei preti di periferia di Buenos Aires

◊  

Testimoniano il Vangelo nelle baraccopoli di Buenos Aires, tra gente senza casa e spesso senza diritti: sono i "cura villeros", sacerdoti di periferia ordinati da Papa Francesco quando era arcivescovo in Argentina. La giornalista Silvina Premat ha raccolto le loro storie nel libro “Preti dalla fine del mondo”, presentato ieri presso la nostra emittente. Il servizio di Elvira Ragosta

Le parrocchie sono aperte 24 ore su 24 nelle "villas miseria" e i "cura villeros" si spostano in bicicletta all’interno delle baraccopoli. Sono sacerdoti che hanno scelto di stare accanto ai poveri di Buenos Aires e aiutare i giovani che hanno perso nella droga la speranza di un futuro migliore. Sono preti che operano dagli anni Settanta in una periferia che la crisi economica ha reso sempre più grande, emarginata e fragile. Ed è stato proprio l’allora arcivescovo Bergoglio a ordinare gli attuali "cura villeros". Lavorano in equipe e stanno accanto alla gente. Tra le testimonianze raccolte nel libro, c’è quella di padre Charly Olivero:

R. – No se trata solamente de una question terapeutica...
Il mio non è soltanto un lavoro a livello terapeutico, è anche un lavoro per creare una comunità che sia una famiglia per questi ragazzi, una famiglia che li possa accogliere e rispondere alle loro necessità, soprattutto nelle villas dove lo Stato è assente. È quindi un lavoro che serve ad aiutare e a dare supporto a questi ragazzi in modo evangelico. Lavorare in équipe per noi è un vantaggio: in questo modo, noi ci confrontiamo tra di noi, preghiamo, discutiamo, ci aiutiamo l’uno con l’altro nei momenti di difficoltà e sconforto e riusciamo a dare delle risposte a questi problemi così complessi che ci troviamo davanti.

“Preti dalla fine del mondo” è un libro a metà tra la storia e la cronaca. L’autrice, Silvina Premat, giornalista de La Nacion, ce ne parla in relazione al supporto di Papa Francesco ai "cura villeros":

R. – Questo libro è stato scritto prima dell’elezione di Papa Bergoglio. Vedendolo oggi, possiamo vedere che lo stile di vita cristiana che lui propone a tutti adesso è quello che questi preti vivono, è molto simile. Loro portano il Vangelo, l’allegria, la gioia dell’essere cristiani come chiede il Papa.

E sull’insegnamento che l’opera di questi sacerdoti trasmette alla Chiesa e ai fedeli abbiamo ascoltato il commento di mons. Nunzio Galantino, segretario generale della Cei:

R. – Ci insegnano a guardare al Vangelo con un po’ più di realismo e soprattutto a capire che il Vangelo non è teoria, è pratica; il Vangelo è vita. Ma è vita, resta vita e diventa vita soprattutto quando trova dei mediatori credibili.

inizio pagina

Nella Chiesa e nel mondo



Nigeria. Migliaia di cristiani in fuga dalle violenze di Boko Haram

◊  

Oltre 30.000 persone si trovano in grave emergenza umanitaria alla frontiera tra Nigeria e Camerun. Si tratta in gran parte di nigeriani che sono fuggiti di fronte all’avanzata di Boko Haram, la setta islamista che ha affermato di voler costituire un Califfato nel Nord della Nigeria. Le testimonianze degli abitanti fuggiti in massa dalla città di Kerawa, nello Stato nigeriano di Borno – riferisce l’Agenzia Fides - sono agghiaccianti: gli uomini di Boko Haram hanno sgozzato almeno 60 persone, in maggior parte cristiani e militari. Sull’altro lato della frontiera l’omonima città camerunese di Kerawa (Kerawa Camerun) è stata a sua volta attaccata e i suoi abitanti si sono dati alla fuga, riparandosi nella città di Kolofata.

In questa città si sono concentrati i cristiani in fuga dalle località vicine della Nigeria seguiti dai musulmani in fuga dal dipartimento di Gwoza, sempre nel Borno. Da quest’ultimo Stato giungono notizie contrastanti sull’occupazione da parte di Boko Haram della città di Bama, considerata strategica perché aprirebbe la strada per la conquista di Maiduguri, la capitale locale.

inizio pagina

Sud Sudan: appello di pace dei leader cristiani ai capi tradizionali

◊  

“I capi tradizionali sono ispirati da Dio per lavorare per la pace nelle nostre comunità. Risolvono le dispute sorte tra gli individui e tra i gruppi” ha affermato il vescovo pentecostale Michael Taban, presidente del Consiglio delle Chiese del Sud Sudan (organismo composto da 6 confessioni cristiane presenti in Sud Sudan: la Chiesa cattolica, l’Episcopal Church of the Sudan, la Presbyterian Church of Sudan, l’African Inland Church, la Sudan Pentecostal Church, la Sudan Interior Church), nel rivolgere un appello ai capi tradizionali e agli anziani perché contribuiscano a riportare la pace nel Sud Sudan. Il giovane Stato (indipendente dal luglio 2011), dallo scorso dicembre è in preda alla guerra civile, tra la fazione del Presidente Salva Kiir e quella dell’ex vice Presidente Riek Machar.

Il Consiglio delle Chiese del Sud Sudan, intende impegnarsi a fondo per pacificare il Paese, visto che gli accordi di pace siglati lo scorso giugno non sono stati ancora applicati dalle parti. In particolare tarda la costituzione del governo di unità nazionale.

Il presidente del South Sudan Council of Churches ha detto che i leader religiosi e i capi tradizionali condividono la missione di lavorare per la riconciliazione, per la costruzione della pace, poiché i capi locali hanno un ruolo particolarmente importante da svolgere a livello di base, tanto più che il conflitto ha preso una dimensione etnica, con lo scontro tra i Dinka (l’etnia del Presidente) e i Nuer (l’etnia di Machar). (R.P.)

inizio pagina

Sierra Leone: l’impegno della Chiesa per combattere Ebola

◊  

“Abbiamo usato i nostri pulpiti per spiegare alla gente come evitare di essere infettata dalla malattia. E’ stata costituita una task force, guidata dalla Caritas diocesana, per coordinare la risposta alla crisi. Testi e materiale divulgativo sono stati distribuiti alle parrocchie per i catechisti e per gli operatori pastorali per contribuire al programma di sensibilizzazione su Ebola.

In accordo con il Consiglio interreligioso dei Pastori e degli Iman in Sierra Leone sono stati inviati una serie di messaggi, lettere e comunicati alla popolazione riconoscendo che Ebola è una realtà e che dobbiamo ascoltare le direttive delle autorità sanitarie competenti”. Con queste parole padre Joe Turay, Vice rettore dell’Università cattolica di Makeni, descrive all’agenzia Fides l’impegno della Chiesa cattolica di fronte al diffondersi del virus Ebola in Sierra Leone.

“Anche l’Università cattolica fa parte della task force diocesana – prosegue padre Turay -, ed è coinvolta nel sostegno e nel monitoraggio delle case dove vivono le persone in quarantena, oltre che nell’inviduare quale strada seguire per affrontare questa crisi.

I nostri ospedali e cliniche forniscono i servizi necessari, anche se molti pazienti non vi si rivolgono a causa della paura e dello stigma. Non essendo finanziati dal governo, devono comunque ridimensionarsi e trovare finanziamenti alternativi. Il team della task force ha fornito loro cibo, cloro e strumenti di protezione come i guanti”.

Un altro strumento importante di sensibilizzazione è la radio: ai microfoni di “Radio Maria Sierra Leone” si sono alternati medici, esperti, rappresentanti dei comuni, parlamentari che hanno affrontato il problema. “Sono inoltre in fase di progettazione – sottolinea padre Turay - programmi per dare sostegno a chi è in quarantena a casa e per accompagnare queste persone nel difficile momento che stanno vivendo”.

“Le sfide sono molte, e non siamo del tutto preparati ad affrontarle, ma non ci arrendiamo – conclude il sacerdote -. In questi tempi difficili ci troviamo con la gente e preghiamo perchè Dio ci dia la saggezza e il coraggio necessari per affrontare questa crisi”.

Secondo il comunicato del Ministero della Sanità della Sierra Leone, al 31 agosto risultavano 244 casi di pazienti sopravvissuti e dimessi, 44 nuovi casi confermati, 387 morti, 1.077 casi confermati. Il distretto di Kaoinadugu rimane ancora l’unico in cui non siano stati registrati casi confermati di Ebola in Sierra Leone, la cui popolazione è di circa 6 milioni di persone. (R.P.)

inizio pagina

Uzbekistan: continua la persecuzione contro i cristiani

◊  

Ancora violazioni alla libertà religiosa in Uzbekistan, dove le autorità locali continuano a colpire fedeli riuniti in preghiera o per incontri di carattere privato, confiscando libri - fra cui Bibbie e Vangeli - e ponendo restrizioni alla libertà di movimento. I raid avvengono all'interno di abitazioni private, senza mandato, e prendono di mira sia comunità provviste di regolare registrazione presso gli elenchi dello Stato, che singoli fedeli.

È quanto riferisce il sito d'informazione Forum 18 - ripreso dall'agenzia AsiaNews - impegnato a documentare le violazioni alla libertà religiosa in Asia centrale, che riporta gli ultimi casi avvenuti nel mese di agosto e che hanno colpito alcune famiglie cristiane. Obiettivo delle forze di polizia, la raccolta di informazioni di carattere personale, di materiale religioso e altri elementi utili per identificare l'appartenenza religiosa e le attività legate alla pratica del culto.

A metà agosto nella regione centrale di Navoi, una decina di poliziotti e altri ufficiali - privi di mandato - ha fatto irruzione all'interno della casa di un pastore battista, dove era in corso una riunione di preghiera con alcuni familiari. Gli agenti hanno confiscato materiale religioso ed espulso dal Paese due fedeli provenienti dalla Russia, oltre che la madre dell'uomo; la quale, peraltro, abita in Israele e non è membro di alcuna chiesa.

Dietro le operazioni di polizia vi sarebbe la famigerata legge approvata a inizio anno da Tashkent, che ha rafforzato la censura e i controlli sui testi di carattere religioso, ed entrata in vigore proprio il 15 agosto.

Inoltre, ai primi del mese scorso a Chirchik (nella regione di Tashkent), almeno 15 poliziotti hanno fatto irruzione nella casa di un pastore protestante mentre l'uomo, insieme ai figli e ad alcuni amici, stava giocando a pallavolo. Gli agenti hanno sequestrato tutto il materiale religioso e altre proprietà; gli amici della famiglia sono stati prelevati, portati in caserma e interrogati a lungo.

E ancora, nella regione nord-occidentale di Khorezm la polizia ha "montato ad arte" un'accusa contro un cristiano protestante, colpevole di aver "condiviso" la propria fede con un familiare ed un'altra persona. A fine luglio, in due diverse occasioni le autorità hanno preso di mira alcuni testimoni di Geova nella regione orientale di Namangan e un campo estivo di una Chiesa battista di Tashkent.

L'88% delle popolazione uzbeka è di fede musulmana sunnita mentre i cristiani costituiscono l'8%. Nel Paese, la libertà confessionale è soggetta a forte limitazione da parte del governo. La legge uzbeka considera "illegale" la detenzione di letteratura religiosa "solo se questa è collegata all'estremismo e incita l'odio". Ma le autorità giudiziarie spesso dispongono di distruggere il materiale confiscato nelle abitazioni dopo il "parere positivo" di alcuni "esperti del settore", che di regola definiscono "estremisti" tutti i libri che parlano di religione. (R.P.)

inizio pagina

Scozia, referendum indipendenza. Vescovi: votare secondo coscienza

◊  

Conto alla rovescia per la Scozia che il 18 settembre è chiamata alle urne per il referendum sull’indipendenza dal Regno Unito. In vista dell’evento, i vescovi scozzesi hanno diffuso un messaggio in cui, senza dare specifiche indicazioni di voto, esortano i fedeli a partecipare alla consultazione. Nel documento, a firma degli arcivescovi di Glasgow ed Edimburgo, rispettivamente mons. Philip Tartaglia e mons. Leo Cushley, i presuli si dicono “profondamente consapevoli dell’importanza di questo referendum” ed incoraggiano ed esortano gli aventi diritto “a votare secondo completa liberà di scelta ed in accordo con il loro personale giudizio su cosa sia meglio per il futuro, in buona coscienza”.

“I cattolici sono parte del mondo – sottolineano ancora i vescovi scozzesi – Spinti dall’amore di Cristo, sono chiamati ad essere cittadini che contribuiscono positivamente al bene comune”, per promuovere “la pace, lo sviluppo umano integrale e gli autentici diritti umani, curando in modo particolare i più poveri ed i più deboli della società”. Quindi, la Conferenza episcopale scozzese ricorda l’importanza di tutelare “la libertà di coscienza, di credo e di culto di ogni popolo”, poiché si tratta di “libertà importanti, assolutamente essenziali per le società democratiche moderne”.

“Non importa quale sarà l’esito del referendum – conclude il messaggio episcopale – Ciò che auspichiamo è che tutti i cattolici continuino ad impegnarsi positivamente nel contesto pubblico e facciano sì che il messaggio cristiano ed i suoi valori siano espressi e compresi al meglio, a beneficio dell’intera comunità”. In questo modo, scrivono infine i presuli scozzesi, “la nostra terra sarà un luogo più giusto, pacifico e prospero per tutti i cittadini”. (A cura di Isabella Piro) 

inizio pagina

Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVIII no. 246

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.