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Sommario del 29/10/2014

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Francesco: mondo unito contro Ebola, eroi i soccorritori

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“Di fronte all’aggravarsi dell’epidemia di ebola”, il Papa chiede alla Comunità internazionale di mettere in “atto ogni sforzo per debellare il virus”. Nell’appello levato al termine dell’udienza generale, in Piazza San Pietro, Francesco si è detto vicino con “l’affetto e la preghiera” alle persone colpite dalla pandemia e a quanti operano per sconfiggerla e aiutano i contagiati. Ascoltiamo la voce del Papa nel servizio di Massimiliano Menichetti

"Di fronte all’aggravarsi dell’epidemia di ebola, desidero esprimere la mia viva preoccupazione per questa implacabile malattia che si sta diffondendo specialmente nel Continente africano, soprattutto tra le popolazioni più disagiate". 

Così il Papa in Piazza San Pietro parlando del virus che spaventa il mondo e che in Africa Occidentale ha già ucciso oltre 5 mila persone e ne ha contagiate 10 mila. Poi la preghiera e gratitudine per quelli che definisce eroi, ovvero chi si occupa delle vittime:

"Sono vicino con l’affetto e la preghiera alle persone colpite, come pure ai medici, agli infermieri, ai volontari, agli istituti religiosi e alle associazioni, che si prodigano eroicamente per soccorrere questi nostri fratelli e sorelle ammalati".

"Vibrante l’appello ad uno sforzo congiunto per fermare questa terribile piaga":

"Rinnovo il mio appello, affinché la Comunità Internazionale metta in atto ogni necessario sforzo per debellare questo virus, alleviando concretamente i disagi e le sofferenze di quanti sono così duramente provati. Vi invito a pregare per loro e per quanti hanno perso la vita".

L’appello del Papa giunge mentre l’Unione Europea pensa alla mobilitazione di 40 mila esperti per fronteggiare l’emergenza in Guinea, Liberia e Sierra Leone. Intanto mentre si aspettano i vaccini sperimentali, arriva la notizia che gli scienziati, in Nuova Zelanda, hanno messo a punto un test portatile del Dna che potrà consentire una diagnosi tempestiva del virus così da contenere la sua diffusione. Ai nostri microfoni l'epidemiologo di Medici Senza Frontiere, Saverio Bellizzi, in prima linea nella lotta contro ebola:

R. – Siamo presenti in Guinea, in Liberia e in Sierra Leone. La situazione è tuttora fuori controllo, estremamente grave soprattutto in Liberia e in Sierra Leone, leggermente meglio in Guinea, ma nulla di più.

D.- Ma un’epidemia di questo tipo come si argina?

R. – Il problema è che è un’epidemia che non ha precedenti nella storia. Le epidemie dal ’76 in poi, sono state circoscritte attraverso metodi standard: isolare immediatamente i possibili contagiati da ebola, seguiti per 21 giorni, e isolarli ancora nel momento in cui si attestavano. Questo è quello che è stato fatto per esempio in Senegal e in Nigeria che una settimana fa sono stati dichiarati “ebola free”. Però in Liberia e in Sierra Leone, non è possibile fare questo tipo di strategia perché ci sono troppi casi ed è impossibile seguirli tutti. Una delle priorità, per esempio, adesso è recuperare tutti i corpi dei morti distribuiti in città, a Monrovia, che sono la principale causa di contaminazione. Bisogna trovare strategie per rallentare l’epidemia e nel momento in cui si ha una situazione leggermente più calma, cercare di fermarla.

D.  – Allo stato attuale dunque non esistono linee codificate per contenere l’epidemia?

R. – Ci sono linee codificate, ma in questo tipo di epidemia in particolare, le linee guida devono essere accompagnate da nuove strategie.

D. – Oggi il Papa in piazza San Pietro ha definito “eroi” tutti coloro che stanno operando per cercare di fronteggiare questa epidemia. Lei è rientrato dalla Liberia, ripartirà tra pochi giorni per la Guinea. Che cosa significa lavorare in un centro che combatte l’ebola?

R. – E’  una situazione da inferno dantesco. E’ difficile da raccontare perché quando si è a Monrovia ci si rende conto che ogni persona nella città è un possibile caso di ebola. Ci sono ancora persone che muoiono in casa, persone che muoiono nelle strade: è una situazione emotivamente e psicologicamente estremamente stressante e frustrante perché nonostante abbiamo il centro più grande mai creato - il Centro ebola con 250 letti - ci si rende conto che è ancora insufficiente per far fronte alla situazione. Quindi è difficile.

D. – Il Papa ha anche chiesto coesione alla Comunità internazionale per lottare contro ebola…

R.  – Il messaggio che ha lanciato il Papa è lo stesso messaggio che abbiamo lanciato mesi fa e che l’Oms ha ripreso un mese e mezzo fa. Alcuni Stati hanno fatto promesse, altri stanno iniziando a intervenire, ma la risposta è ancora troppo lenta. Siamo estremamente in ritardo e ci vuole molto di più.

D.  – Perché secondo lei c’è questa lentezza?

R. – Una risposta certa non so darla. Vero è che le promesse di aiuto sono iniziate nel momento in cui ci si è resi conto che l’epidemia poteva varcare i confini africani. Da quel momento c’è stato un richiamo mediatico più grande, una sorta di preoccupazione più grande da parte di molti Stati. Poi presumo che ci sia anche una sorta di paura a intervenire perché è una malattia che fa molta paura.

D.  – Siccome il problema riguarda l’Africa, si interviene fino a un certo punto; quando si affaccia in Occidente allora si cerca di intervenire. C’è un po’ questo secondo lei?

R. - Questo è innegabile e lo dimostrano anche esperienze precedenti. Nel momento in cui sarebbe stata, ed è stato così nel passato, un’epidemia confinata a qualche Stato africano, non si è intervenuti in modo drastico. E ciò è testimoniato anche dalla ricerca fatta sui vaccini e sulle terapie per l’ebola: fino ad ora, non si è mai investito tanto.

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Il Papa: amore visibile dei cristiani mostra amore invisibile di Dio

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È la concretezza dell’amore verso gli altri a far comprendere l’aspetto “divino” della Chiesa come corpo di Cristo. Per questo i cristiani non devono mai “essere motivo di scandalo”. Lo ha ribadito Papa Francesco all’udienza generale in Piazza San Pietro, dedicata al rapporto tra realtà “visibile” e realtà “spirituale” che convivono nella natura della Chiesa. Il Papa ha poi pregato per gli studenti rapiti a fine settembre nello Stato Messicano di Guerrero. Il servizio di Alessandro De Carolis

“Ciò che non si vede è più importante di ciò che si vede”. Nella Chiesa è così: la sua invisibile natura divina – l’essere corpo di Cristo – è più importante della sua natura tangibile, le parrocchie, le comunità, clero, laici, religiosi. I quali hanno tutti la responsabilità di mostrare pubblicamente quel bene che la fede ha generato nel nascondimento del loro cuore. Agli oltre 30 mila che lo ascoltano in Piazza San Pietro, Papa Francesco spiega quella che sembrerebbe un’ovvietà per un cristiano – il sapersi parte di un corpo divino – eppure troppe volte smentita da comportamenti che di cristiano hanno nulla. C’è un chiaro metro, dice il Papa, per capire in che modo natura spirituale e natura visibile si leghino ed è Gesù, nella cui Persona entrambe le nature si uniscono “in modo mirabile e indissolubile”:

“Come in Cristo la natura umana asseconda pienamente quella divina e si pone al suo servizio, in funzione del compimento della salvezza, così avviene, nella Chiesa, per la sua realtà visibile, nei confronti di quella spirituale. Anche la Chiesa, quindi, è un mistero, nel quale ciò che non si vede è più importante di ciò che si vede, e può essere riconosciuto solo con gli occhi della fede”.

Con gli occhi del corpo si possono sempre riconoscere le “meraviglie” che, afferma Papa Francesco, tramite i cristiani “Cristo riesce ad operare nel cuore e nella vita di ogni persona”. Ma anche qui, nota, bisogna fare i conti con una dimensione che sfugge al “controllo”, impossibile da quantificare:

“Anche la realtà visibile della Chiesa non è misurabile, non è conoscibile in tutta la sua pienezza: come si fa a conoscere tutto il bene che viene fatto? Tante opere di amore, tante fedeltà nelle famiglie, tanto lavoro per educare i figli, per trasmettere la fede, tanta sofferenza nei malati che offrono le loro sofferenze al Signore… Ma questo non si può misurare ed è tanto grande!”.

Il bene che la Chiesa compie attraverso i suoi membri – ovvero, ribadisce Papa Francesco, “tutti i battezzati” – deve essere dunque immagine visibile dell’amore invisibile di Dio per l’umanità, in modo analogo a “come Cristo – sottolinea il Papa – si è servito della sua umanità, perché era uomo”, per “annunciare e realizzare il disegno divino di redenzione e di salvezza, perché era Dio”:

“Attraverso la sua realtà visibile, di tutto quello che si vede, i sacramenti e la testimonianza di tutti noi cristiani, la Chiesa è chiamata ogni giorno a farsi vicina ad ogni uomo, a cominciare da chi è povero, da chi soffre e da chi è emarginato, in modo da continuare a far sentire su tutti lo sguardo compassionevole e misericordioso di Gesù”.

Certo, conclude Papa Francesco, dall’essere testimoni della luce a diventare motivo di scandalo talvolta è questione di poco. Gente di Chiesa che ama sparlare degli altri è un tipico esempio negativo che può indurre qualcuno a dire “mi faccio ateo”, osserva il Papa con un punta di ironia dolente:

“Chiediamo il dono della fede, perché possiamo comprendere come, nonostante la nostra pochezza e la nostra povertà, il Signore ci ha reso davvero strumento di grazia e segno visibile del suo amore per tutta l’umanità. Possiamo diventare motivo di scandalo, sì. Ma possiamo anche diventare motivo di testimonianza, dicendo con la nostra vita quello che Gesù vuole da noi”.

Commosso il momento dedicato da Papa Francesco al ricordo dei 43 studenti dello Stato di Guerrero in Messico, rapiti un mese fa e per i quali si teme fortemente per la loro sorte, vittime di una brutta storia di violenza e complicità tra autorità locali e bande di narcotrafficanti:

Quisiera hoy elevar una oración y traer…
Vorrei oggi elevare una preghiera e avvicinare al nostro cuore il popolo messicano, che soffre per la scomparsa dei suoi studenti e per tanti problemi simili. Che il nostro cuore di fratelli stia loro vicino, pregando in questo momento”.

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Mons. Sorondo: i poveri al centro dell'attenzione della Chiesa

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Ampia risonanza in tutto il mondo ha avuto l’incontro del Papa, ieri in Vaticano, con i Movimenti popolari, in rappresentanza di lavoratori precari e dell’economia informale, migranti, indigeni, contadini senza terra e abitanti di zone periferiche. Monica Zorita ha chiesto un commento a mons. Marcelo Sánchez Sorondo, cancelliere della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali:

R. - Questi Movimenti popolari sono veramente un segno di quello che sta accadendo nel mondo, ci stimolano e ci fanno capire la realtà di oggi. Rappresentano le conseguenze di quello che succede in una società come la nostra, laddove ci si preoccupa unicamente del profitto e si lascia da parte la persona. Quindi, sono veramente il segno di ciò che il Papa chiama “globalizzazione dell’indifferenza”.

D. - Il Papa guarda ai poveri e agli esclusi con un’attenzione speciale …

R. – Sì, come ha detto, occorre rimettere al centro il Discorso della Montagna, le Beatitudini dei poveri, di quelli che soffrono per la giustizia, di quelli che piangono, di coloro che hanno il cuore puro. Dove c’è la povertà si trova spesso una morale più genuina che non dove c’è una grande ricchezza che produce schiavitù di ogni tipo. C’è bisogno di recuperare questa istanza radicale del Vangelo di mettere al centro la persona, soprattutto la persona sofferente, gli emarginati, gli esclusi, coloro che soffrono, i poveri. Mi sembra sia magnifico che il Papa lo faccia.

D. – Ma viene anche accusato da alcuni …

R. – Sì, lui dice che lo accusano di essere comunista, ma ha anche detto che in realtà sono i comunisti che hanno seguito il Vangelo … naturalmente non per quello che riguarda la lotta di classe. Quindi è interessante che questi Movimenti popolari cerchino di seguire la Dottrina sociale della Chiesa senza nessun atteggiamento di rivoluzione inteso come violenza.

D. - Un evento importante, dunque …

R. – Certo. Mi sembra che sia la prima volta che a Roma, il centro della Chiesa, siano ricevuti questi Movimenti popolari. E questo è un grande bene perché se non si aprono le porte agli esclusi, se non li si ascolta, c’è il rischio di generare violenza. Quindi mi sembra molto importante questo.

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Nomina episcopale in Brasile

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In Brasile, Papa Francesco ha nominato coadiutore della diocesi di Santo Amar mons. Giuseppe Negri, del Pontificio Istituto Missioni Estere, finora vescovo di Blumenau. Il presule è nato il 19 settembre 1959 a Milano (Italia). Ha emesso la professione religiosa nel Pontificio Istituto Missioni Estere il 7 dicembre 1985. Ha ricevuto l’ordinazione sacerdotale il 7 giugno 1986. Ha studiato Filosofia (1980-1982) e Teologia (1983-1986) nel Seminario del Pime. a Monza; ha conseguito la Licenza e il Dottorato in Psicologia presso la Pontificia Università Gregoriana a Roma (1995-1999). Nel corso del ministero sacerdotale ha ricoperto i seguenti incarichi: Vicario parrocchiale a Frutal, nell’arcidiocesi di Uberaba (1987); Direttore Spirituale del Seminario Minore del P.I.M.E. a Palhoça (1987-1988); Parroco della Parrocchia “São Judas Tadeu e São João Batista” nell’arcidiocesi di Florianópolis (1987-1990); Rettore e poi Direttore Spirituale del Seminario di Filosofia Pime (1990-1995 e 2002-2005); Consigliere Regionale del P.I.M.E. nella Regione “Brasil Sul” (1992-1995); Direttore Spirituale del Seminario di Teologia P.I.M.E. a Monza in Italia (1999-2002); Consigliere Regionale P.I.M.E. nella Regione Nord’Italia (2000-2002); Professore a São Paulo presso il Corso Superiore di “Aconselhamento Formativo” (2003-2005); Vice Provinciale del P.I.M.E. della Regione “Brasil Sul” (2004-2005); Amministratore parrocchiale e poi Parroco della Parrocchia “São Judas Tadeu” a Brusque nella diocesi di Blumenau (2005). Il 14 dicembre 2005 è stato nominato Vescovo Titolare di Puppi ed Ausiliare di Florianópolis ed ha ricevuto l’ordinazione episcopale il 5 marzo 2006. Il 18 febbraio 2009 è stato trasferito alla diocesi di Blumenau.

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Benedetto XVI scrive all’Ordinariato di Walsingham

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A pochi giorni dal quinto anniversario dell’Anglicanorum Coetibus, che ha istituito l’Ordinariato per gli anglicani che entrano nella piena comunione con la Chiesa cattolica, Benedetto XVI ha inviato un messaggio all’Ordinariato personale di Nostra Signora di Walsingham, che ha stabilito la sua chiesa nella storica cappella bavarese di Londra. Il Papa emerito, originario della Baviera, si dice “felice” per questa scelta. Benedetto XVI, che ha visitato il Regno Unito nel settembre 2010, ringrazia dunque quanti sono impegnati nell’Ordinariato personale di Londra che, scrive, svolge “un ruolo così importante per la Chiesa”.

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Convegno su S. Benedetto: Croce, libro, aratro per unire l'Europa

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San Benedetto da Norcia, le origini dell’Europa e il Pontificato di Paolo VI. Sono i temi al centro di due Giornate internazionali di studi organizzate, ieri e domani, dall’Università Europea di Roma, con il patrocinio del Pontifico Consiglio della Cultura. Roberta Gisotti ha intervistato padre Luca Maria Gallizia, rettore dell’Ateneo promotore, che ha inaugurato i lavori: 

Cinquant'anni fa Paolo VI – siamo nell’ottobre 1964, all’inizio del suo Pontificato – proclamava, con la Lettera apostolica "Pacis nuntius", San Benedetto patrono d’Europa, in una fase cruciale nel processo d’integrazione del Vecchio Continente uscito dal secondo conflitto mondiale. L’occasione fu la consacrazione della nuova Basilica di Montecassino, distrutta dal bombardamento del febbraio 1944. 1500 anni lontano nel tempo, San Benedetto, fondatore nel VI secolo del monachesimo occidentale, riproposto oggi in una società pressata da istanze assolutamente materiali. Padre Gallizia:

“San Benedetto è una figura sì del passato, ma anche di grande attualità. Si ricollega alle radici cristiane dell’Europa, tema che in particolare quest’anno con il semestre italiano dell’Europa, è tornato in auge e continua ad essere una sfida importante”.

La vita di San Benedetto – ha ricordato p. Gallizia inaugurando i lavori delle due Giornate di studio – è scorsa in tempi segnati “da devastazioni e violenza, dal disfacimento delle istituzioni di derivazione imperiale, da grandi migrazioni, carestie, precarietà e insicurezza”. E, “la sua scelta di rifiutare i comportamenti e le logiche dell’aristocrazia a cui apparteneva, che non era in grado di incidere sulla società, ha aperto la strada ad una faticosa innovazione, basata sulla creazione di comunità che realizzavano il Vangelo nel quotidiano, anche nei luoghi più impervi e isolati”. Una rete dei monasteri sparsa via via in tutta l’Europa, che costituì “motivo di unità identitaria profonda, di diffusione del cristianesimo e di rivitalizzazione della cultura classica. San Benedetto – ancora oggi poco conosciuto – forte dei suoi strumenti validi ancora nella società europea contemporanea. Padre Gallizia:

“San Benedetto attraverso la Croce, il libro e l’aratro ha costituto nell’anima dell’Europa una spinta importante di integrazione anche di componenti etniche e culturali diverse. Quindi, ha messo in evidenza la forza, pure rinnovatrice, del cristianesimo anche per oggi”.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Ogni sforzo per debellare l'ebola: appello del Papa alla comunità internazionale di fronte all'aggravarsi dell'epidemia.

Soluzioni negoziali per la pace in Medio Oriente: intervento della Santa Sede all'Onu.

Che il prodigio sia di breve durata: Oddone Camerana sul labile discrimine tra gemelli e somiglianze.

Un cimitero in nome dell'uguaglianza: Anna Foa sulle stragi nella Cambogia di Pol Pot nel libro di Rithy Panh e Christophe Bataille.

Meglio un fallito che un vincitore: Marco Vannini recensisce il libro di Ferruccio Parazzoli "Né potere né gloria".

Tra dinamismo e prudenza: Massimo Nardello racconta i protagonisti del Concilio Vaticano II.

Chiese come palinsesti: Gabriele Nicolò sulle arti tra storia, culto e committenza nell'antica diocesi di Catanzaro-Squillace.

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Oggi in Primo Piano



Insediamenti ebraici a Gerusalemme. Padre Cipollone: serve pace

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Riunione d’urgenza oggi al Consiglio di Sicurezza dell’Onu sull’espansione coloniale israeliana. E’ stata decisa dopo l’annuncio di altre mille case per coloni che saranno costruite in due insediamenti di Gerusalemme, Har Homa e Ramat Shlomo. Di fronte all’incessante espansione coloniale, Bruxelles ha già più volte avvertito Tel Aviv del pericolo che tali azioni unilaterali rappresentino per i rapporti con l’Europa, e Washington ha più volte parlato di atti “incompatibili con il processo di pace”. Fausta Speranza ha intervistato padre Giulio Cipollone, docente di Storia medievale all’Università Gregoriana, che riflette sullo spessore storico e spirituale della città di Gerusalemme: 

R. – Credo che Gerusalemme si inquadri correttamente proprio nel suo fatto di valore etimologico della parola. Da un lato, “che io possa vedere”, e dall’altro, “la pace”. E cioè: possiamo vedere la pace. Ecco, Gerusalemme è il luogo dell’attesa, dello sforzo comune per raggiungere la pace. Evidentemente, a livello di storia, questa città è diventata santa per i tre monoteismi, per gli ebrei, per i cristiani e per i musulmani. Io direi di incominciare a considerare Gerusalemme non “tre volte santa” ma “una volta santa”. “Una volta santa” per ognuno che cerca la pace, che vuole vedere la pace. E in questo contesto, Gerusalemme rimane da un lato utopia, da un lato certezza. E’ un punto dove guardare. Ancora nella tradizione occidentale diciamo: “Dall’Oriente venne la luce”. Si può configurare Gerusalemme come luogo da dove viene la luce.

D. – Quindi, quando poi si fa un discorso politico intorno a Gerusalemme, che cosa si dovrebbe considerare?

R. – Io credo che la storia di Gerusalemme, se la consideriamo soltanto da 2000 anni, da Cristo in poi, o da prima, o dal momento dell’arrivo dell’islam, con i vari passaggi di potere, rischia di essere smembrata nella sua unità di città del mondo intero, di ogni credente, di ognuno che fa l’esperienza della shekhinah, cioè della presenza di Dio. Io penso che dovremmo uscire dal mondo delle religioni ed entrare nel mondo della fede. Le religioni sono un fatto culturale, la fede cambia il cuore. Ora, in nome dello stesso Dio, mi chiedo: come possiamo oggi legittimare ancora ulteriori ricorsi alla forza, visto che in Dio non c’è intolleranza? L’intolleranza è un fatto umano. Si può citare Isaia, possiamo citare Amos: quanti sogni che già vediamo nella Bibbia, ma quasi da raggiungere con le mani, un mondo dove l’egiziano, l’assiro, l’Oriente e l’Occidente si incontrano in un solo abbraccio, perché tutti figli dello stesso Dio... E in questo contesto, la grande esperienza di Abramo, che fonda la grandezza assoluta di Gerusalemme, dovrebbe scagionare da ogni ricorso alla forza, perché - ho avuto modo di descriverlo e di pubblicarlo da qualche parte - ognuno che uccide è un omicida: la differenza non la dà il colore dell’arma, ma la mano di chi impugna l’arma. Allora, se noi facciamo l’esperienza della "shekhinah" di Dio, diventiamo assolutamente incapaci di violenza perché in Dio non c’è intolleranza, sia Egli chiamato con il nome di El Shaddai Elohim, con il nome di Cristo, o con il nome di Allah. L’intolleranza è un fatto semplicemente umano, per le religioni: va sconfessato dalla fede.

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Burkina Faso: opposizione in piazza contro ricandidatura Compaoré

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Situazione tranquilla oggi a Ouagadougou, capitale del Burkina Faso, dove ieri centinaia di migliaia di persone - un milione secondo gli organizzatori - sono scese in piazza rispondendo all'appello dell'opposizione contro la modifica costituzionale che, se approvata, consentirebbe al presidente Blaise Compaoré, al potere dal 1987, di ricandidarsi alle elezioni presidenziali del prossimo anno. Il progetto di legge per cambiare l’articolo 37 della Costituzione sarà in discussione domani all’Assemblea nazionale: punta a portare da due a tre il numero massimo dei mandati presidenziali quinquennali. Dopo aver preso il potere con un colpo di Stato, durante il quale fu assassinato l’ex presidente Thomas Sankara, Compaoré ha già compiuto due mandati di sette anni (1992-2005) ed è stato riconfermato per altri due di cinque (2005-2015). Della modifica costituzionale parla Enrico Casale, africanista di "Popoli", il mensile internazionale dei Gesuiti italiani, intervistato da Giada Aquilino

R. – Va letta nella chiave di una cattiva abitudine di molti presidenti africani di perpetuare il loro potere all’infinito. Gli esempi sono tantissimi. Pensiamo a Paul Biya, il presidente del Camerun, che da decenni è al potere o ad altri presidenti che hanno addirittura trasformato in dinastie il loro potere. Facciamo alcuni esempi: il presidente Gnassingbé Eyadéma, che aveva preparato il terreno per la presa del potere del figlio Faure; oppure, il presidente del Gabon, Omar Bongo, al quale è succeduto il figlio Ali Bongo; o ancora il presidente congolese Jean Laurent Kabila, al quale è subentrato il figlio Joseph. C’è questa tendenza sia per un amore nei confronti del potere, sia perché spesso in Africa chi è al potere garantisce non solo la ricchezza e la gestione delle risorse a se stesso e alla propria famiglia ristretta, ma a un intero clan o addirittura, in molti casi, a un’intera etnia.

R. – L’opposizione, che ha portato in piazza un milione di persone su quasi 17 milioni di abitanti, parla di un colpo di Stato costituzionale...

R. – Sempre più spesso si tenta di aggirare le regole costituzionali. Così per esempio è avvenuto in Togo, dove alla morte di Gnassingbé Eyadéma, il figlio Faure per imporsi ha addirittura chiamato dei costituzionalisti dalla Francia, affinché introducessero delle modifiche nella Carta fondamentale che gli permettessero di prendere il potere.

D. – Negli anni, l’articolo della Costituzione riguardante i mandati presidenziali era già stato modificato varie volte. Chi è, di fatto, il presidente Compaoré?

R. – Nasce come ufficiale dell’esercito, compagno di Thomas Sankara, il presidente che trasformò l’Alto Volta in Burkina Faso. Poi lo tradì. Diciamo che, in quasi 30 anni, Compaoré ha garantito nel Paese una pace e una tranquillità sociale sotto il suo rigido controllo.

D. – Che ruolo ha avuto, negli anni di presidenza Compaoré, il Burkina Faso, soprattutto in Africa, nelle crisi regionali?

R. – Ultimamente, ha avuto un discreto ruolo. Penso soprattutto alla crisi del Mali, ma anche ad una stabilizzazione dell’area durante la crisi, durata parecchi anni, della Costa d’Avorio. Quindi, ha avuto un ruolo importante, sempre in parte legato al "dominus" dell’area che è la Francia.

D. – A livello interno, la popolazione come vive?

R. – Il Burkina Faso è certamente uno dei Paesi più poveri al mondo: è poverissimo di risorse idriche e di risorse naturali. Ha un terreno difficilmente coltivabile. E’ un Paese che vive sempre sull’orlo della miseria, ma con una grandissima voglia di riscatto, un grandissimo dinamismo dei burkinabé.

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Zambia: morto a Londra il presidente Sata

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È morto a Londra il presidente dello Zambia, Michael Sata. Eletto a fine 2011 dopo essersi candidato quattro volte, Sata era malato da tempo, ma il governo non aveva mai rivelato dettagli sulla sua malattia. Per lo Zambia, ora, resta aperto il nodo della successione e delle prossime elezioni. Dal Sud Africa, il servizio di Davide Maggiore

Sata è morto nella serata di ieri a Londra, nell’ospedale Edoardo VII, dove si trovava, ufficialmente, per una serie di esami medici, ma la notizia è stata diffusa solo questa mattina. Da mesi nel Paese si discuteva con preoccupazione della cattiva salute del Presidente, che secondo la stampa era stato ricoverato all’estero una prima volta a giugno.

Da allora erano state rarissime le sue apparizioni pubbliche. A settembre aveva pronunciato un breve discorso all’apertura del Parlamento, ma alla fine dello stesso mese non era stato in grado di parlare durante l’Assemblea generale delle Nazioni Unite a New York. Il ministro della Difesa, Edgar Lungu, aveva dovuto sostituirlo anche durante i festeggiamenti del cinquantenario dell’indipendenza dello Zambia, venerdì scorso.

Proprio Lungu è uno dei due principali candidati a subentrare temporaneamente nella carica, in attesa che si tengano nuove elezioni entro tre mesi. Secondo la costituzione, la Presidenza dovrebbe essere assunta ad interim dal vice-Presidente Guy Scott, bianco, che però potrebbe incontrare difficoltà legali per la sua origine straniera.

La morte di Sata lascia molte questioni aperte, sia con l’opposizione - che critica il governo sulla riforma costituzionale  di cui è stata appena presentata una bozza - sia con le compagnie minerarie, soprattutto nel settore del rame, di cui lo Zambia è grande produttore. Queste reclamano rimborsi delle tasse per circa 600 milioni di dollari, che il governo si rifiuta di concedere accusandole di evasione fiscale. Una delle multinazionali, la Glencore, ha già cominciato a chiudere alcune delle sue attività nel Paese, in attesa di ricevere dal governo 200 milioni.

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Dossier Idos: 5 milioni di stranieri in Italia. Pittau: sono risorsa

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L’8,1% della popolazione italiana è rappresentato da stranieri residenti. E' il primo dato emerso dal “Dossier statistico sull’immigrazione”, realizzato dal Centro Studi Idos e presentato oggi a Roma e, in contemporanea, in altre 21 città italiane. Il rapporto offre un'analisi statistica sui flussi migratorie e sulla presenza in Italia di migranti e rifugiati. Elvira Ragosta: 

Sono oltre 4 milioni e 900 mila gli stranieri residenti in Italia alla fine del 2013. Le donne rappresentano più della metà: un milione invece i minori. Nonostante il policentrismo delle provenienze, metà della popolazione straniera proviene da 5 Paese: Romania, Albania, Marocco, Cina e Ucraina. Il rapporto, stilato dall’Idos raccoglie e incrocia dati relativi alle Province in con maggiore concentrazione di residenti immigrati e quelli sull’apporto dei lavoratori stranieri all’economia italiana. Franco Pittau, coordinatore del centro studi Idos :

“Le imprese gestite da italiani diminuiscono e invece le imprese gestite da stranieri, nonostante tutto, aumentano al ritmo di circa 20 mila, o poco più di 20 mila, ogni anno. Molti sarebbero portati a dire: 'Siamo in periodo di crisi, invitiamo con gentilezza o non con gentilezza gli altri ad andare via e vivremo meglio'. Questo è un ragionamento sbagliato, innanzitutto perché a livello lavorativo sono una forza importante e poi perché in prospettiva queste presenze, che vengono da tanti altri Paesi, sono una risorsa per l’Italia del futuro, che per vivere bene dovrà essere più globalizzata. La strada per i diritti si basa su questa equazione: l’altro è uno come me, ha la stessa dignità. Questa non solo è la tradizione cristiana, ma è la civiltà occidentale, e se noi rinnegassimo tutto questo, sarebbe finita”. 

"Dalle discriminazioni ai diritti" è il sottotitolo del Dossier, dove vengono affrontati i dati sugli sbarchi dei migranti sulle coste siciliane e quelli relativi ai Centri di identificazione e di espulsione, sia in Italia che in Europa. Domenico Manzione, sottosegretario al Ministero dell’interno:

“Direi che sia un apporto importante, perché sottolinea, in termini di obiettività, tutta una serie di dati che, secondo me, dovrebbero fare riflettere molto sul tipo di comunicazione politica e mediatica che passa in materia di immigrazione. Ci dice che le presenze irregolari sono in forte diminuzione, ci dice che stiamo facendo dei passi in avanti in materia di integrazione, quindi che l’immigrazione produce ricchezza non solo culturale, ma anche materiale. Ci sono ancora tantissime cose da fare, ma purtroppo la situazione economica in questo momento non aiuta. Il rapporto ci aiuta però, se non altro, sotto un profilo culturale, nel senso che evita facili strumentalizzazioni che molto spesso accentuano la paura del diverso, la paura dell’immigrato, sulla base di preconcetti inesistenti, sulla base dei dati che vengono divulgati oggi”.

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Mezzogiorno e povertà. Mons Nunnari: Calabria è il sud del Sud

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L’immagine che emerge dal Rapporto Svimez sull’economia del Mezzogiorno, presentato ieri a Roma, è quella di un Sud a rischio di desertificazione umana e industriale, dove si continua a emigrare e a non fare figli. Nel 2013, il numero dei morti continua a superare quello dei nati. La regione più povera è la Calabria. Questo territorio è “il Sud del Sud”, sottolinea al microfono di Amedeo Lomonaco l’arcivescovo di Cosenza-Bisignano, mons. Salvatore Nunnari: 

R. - Non c’è lavoro, pochi soldi in famiglia. non si pensa ai figli, perché come si mantengono? Questo è preoccupante perché la Calabria, come lei sa, è stata sempre una terra creativa. Dal punto di vista industriale, qui si è sbagliato tutto. La Calabria è terra di turismo, di agricoltura. Si è pensato a portare le industrie. Un fallimento. Ci sono solo solamente cattedrali nel deserto, ma cattedrali ormai solo di ruggine. Siamo già in tempo di crisi. Abbiamo registrato una ripresa nel Dopoguerra, con la Cassa del Mezzogiorno. Purtroppo, siamo abituati all’assistenzialismo, al clientelismo. Da aggiungere anche il male estremo, terribile della mafia, presenza non solo disonorante ma anche destabilizzante: le industrie del Nord, che si erano installate nel nostro territorio, si sono appena affacciate e poi sono scappate. Adesso, bisogna passare alla concretezza dei fatti, non più promesse: la Calabria rischia di restare la terra dei vecchi, degli anziani. Come vescovi, sentiamo pesantemente questa realtà che ci fa ritrovare come la regione più povera: la Calabria è il sud del Sud!

D. - Poi, bisogna anche ricordare che senza una ripresa del Sud a non poter ripartire è l’Italia intera…

R. - Se il Sud fallisce, se non riparte, non credo che riparta anche il resto della nazione: 40 famiglie su 100 si sono impoverite nel 2013. La Caritas è molto impegnata a dare qualche risposta. Ma il problema serio è la povertà estrema.

D. - La Calabria è il sud del Sud, la regione più povera d’Italia. Ma la difficile situazione economica in Calabria è il risultato di tante povertà, dovute anche alla presenza opprimente della ‘ndrangheta. Ma in Calabria ci sono anche delle ricchezze…

R. - Ricchezze di intelligenza e di cuore. Una volta mandavamo braccia per lavorare, dal Sud, dalla Calabria al Nord e in America. Adesso, stiamo mandando le nostre intelligenze più belle: i giovani emigrano con una laurea, magari un computer e se ne vanno…

D. - Magari, questi ambasciatori della Calabria un giorno torneranno e miglioreranno la Calabria…

R. - Questo sarebbe l’augurio. Ma quando si parte dalla Calabria, si resta sempre calabresi nell’animo. Ma non c’è più il pensiero di ritornare. Le nostre grandi intelligenze presenti un po’ in tutta Italia e anche all’estero sono ormai al servizio di un’Italia lontana da noi. Il grande Beato Paolo VI diceva: la Calabria e il Sud devono ancora dare tanto all’Italia. C’è un’Italia che soffre, salviamo il Sud per salvare l’Italia.

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Nella Chiesa e nel mondo



Ebola: missione dei Camilliani in Sierra Leone e Liberia

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L’emergenza Ebola in Africa, che sta colpendo in modo particolare Sierra Leone, Guinea Conakry e Liberia, vede coinvolti in prima linea anche i religiosi Camilliani. Qualche giorno fa - riferisce l'agenzia Fides - sono partiti padre John Toai per un sopralluogo in Liberia, e il consultore generale, padre Aris Miranda, per la diocesi di Makeni in Sierra Leone. Dalla diagnosi e dal confronto dei dati oggettivi raccolti in loco e dalle loro testimonianze è emerso un quadro drammatico.

Secondo i religiosi, Ebola è solo una terribile aggravante di una situazione più complessa fatta di lunghe guerre civili, di corruzione, di sfilacciature nella leadership civile, religiosa e politica. In tre mesi in Sierra Leone si sono alternati tre ministri della salute. Tutto questo ha comportato il collasso di un sistema sanitario già molto fragile ed impreparato, mancante anche della strumentazione basilare per il primo screening diagnostico di contagio. La situazione è aggravata dal fatto che il virus sta colpendo duramente non le tradizionali zone rurali, ma i grandi centri urbani più densamente abitati.

In questo contesto, raccontano i Camilliani, si muore di ebola, ma contestualmente per l’ignoranza, per la malaria e di parto anche perché, per paura di ulteriori contagi e non avendo mezzi per una veloce diagnosi del contagio, i pochi ospedali presenti sono stati chiusi e i morti per malattie tropicali endemiche sono aumentati in modo esponenziale. L’accesso alle basilari terapie e vaccini, al costo di pochi dollari, rimane un miraggio per la maggior parte della popolazione. La gente muore di fame a causa della riduzione al minimo degli spostamenti per le possibilità del contagio. Gli scambi di merci sono rallentati e l’inflazione sta facendo lievitare vorticosamente i prezzi.

L’impegno dei Camilliani previsto nell’Ospedale di Makeni prevede il supporto per la valutazione delle condizioni per la riapertura dell’ospedale diocesano Holy Spirit oltre al sostegno all’azione ecclesiale, offrendo un supporto di natura pastorale e di counseling per una popolazione spaventata, per la quale la paura genera non solo angoscia ma anche atteggiamenti imprudenti che rischiano di esporla a rischi ulteriori. Inoltre i Camilliani sono impegnati in azioni concrete di sostegno alla comunità locale per accogliere un numero sempre crescente di bambini orfani e per una maggiore sicurezza alimentare. (R.P.)

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Niger: in aumento casi di colera

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Più di 1.300 casi registrati dall’inizio dell’anno e 51 morti, di cui 38 vittime nel solo mese di settembre: l’ultimo bilancio dell’epidemia di colera è stato diffuso dall’Ufficio Onu per il coordinamento degli Affari umanitari (Ocha), con sede a Niamey. L’organismo delle Nazioni Unite collega l’impennata del numero dei decessi del mese scorso alla stagione delle piogge e alle alluvioni che hanno colpito il povero Paese del Sahel.

In prima linea nella lotta alla patologia ricorrente in modo ciclico in Africa, l’Ocha sta attuando provvedimenti per “contenere la malattia” ed “impedire la sua diffusione in nuove zone”. Finora sono colpite quattro delle otto regioni in cui il territorio nazionale è suddiviso.

A destare maggiore preoccupazione è la regione sud-orientale di Diffa, in particolare le isole del Lago Ciad, dove dal 2013 hanno trovato rifugio circa 105.000 persone scappate dagli attacchi di Boko Haram e dall’operazione militare delle forze armate della vicina Nigeria.

“In quelle isole l’accesso all’acqua potabile è molto limitato e le condizioni igienico sanitarie sono davvero molto precarie” si legge nel comunicato diffuso dall’Ocha.

Il colera si trasmette ingerendo acqua o cibo contaminato da un batterio noto con il nome di “vibrio colera”. Si manifesta con diarrea, disidratazione e può portare alla morte in assenza di cure. Colpisce le aree più povere del pianeta, dove generalmente è più difficile avere accesso ad acqua pulita e sistemi sanitari adeguati. Oltre al Niger, epidemie di colera si registrano ciclicamente in Mali, Guinea e Sierra Leone.

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Filippine: da Chiesa oltre 1600 case per vittime di Haiyan

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A meno di due settimane dal primo anniversario del passaggio di Haiyan, la Caritas filippina (il National Secretariat for social Action - Justice and Peace, Nassa) ha già ricostruito circa 1.600 delle oltre 3mila nuove case da destinare agli sfollati. I complessi abitativi - riferisce l'agenzia AsiaNews - sono sparsi fra le 9 province ecclesiastiche colpite dal tifone, che si è abbattuto l'8 novembre scorso nel centro dell'arcipelago seminando morte e devastazione. Il Paese si appresta a celebrare la tragedia e le vittime, mentre continua l'opera di ricostruzione nelle aree affette dal disastro.

"Il nostro obiettivo è superare i 3mila nuovi alloggi per quest'anno" sottolinea padre Edu Gariguez, segretario esecutivo Nassa, e "finora ne abbiamo realizzate più della metà. All'inizio è stato difficile, ma una volta elaborato il sistema, il compito è diventato di gran lunga più semplice". Molte famiglie, aggiunge il sacerdote, hanno già preso possesso dei nuovi nuclei abitatitivi, altre unità sono già in fase di costruzione.

Padre Guariguez conferma che l'obiettivo è costruire le rimanenti 1.400 case circa entro la fine dell'anno, a riprova che la Chiesa risponde in maniera concreta ai bisogni della popolazione, anche e soprattutto in occasione di calamità naturali. "Si tratta di alloggi permanenti - aggiunge - non case provvisorie che sono ben più facili da costruire", mentre molti sfollati sono ancora in attesa di ricevere i compensi promessi - e mai arrivati - dal governo.

All'esecutivo il sacerdote chiede anche di fare chiarezza sul numero di alloggi che sarà in grado di costruire per gli sfollati e il numero di persone che - a dispetto degli annunci - ha sinora aiutato in concreto.

Abbattutosi sulle isole Visayas l'8 novembre 2013, Haiyan/Yolanda ha colpito a vario titolo almeno 11 milioni di persone, sparsi in 574 fra municipalità e città diverse; per un ritorno alla normalità saranno necessari otto miliardi di dollari. Ancora oggi risultano oltre 1.700 dispersi; il numero delle vittime sarebbe superiore a 5mila, anche se il presidente Aquino ha voluto ridimensionare le cifre, sottolineando che le prime stime [superiori a 10mila] erano frutto della reazione emotiva alla tragedia e il numero dei morti non supera i 2.500. (R.P.)

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Iraq: tra i rifugiati a Baghdad, più di 700 famiglie cristiane

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Sono già almeno 700 le famiglie cristiane provenienti da Mosul e dalla Piana di Ninive che vivono come rifugiati in alloggi e sistemazioni di fortuna a Baghdad, dopo essere stati costretti a lasciare le proprie case davanti all'offensiva dei jihadisti del sedicente Stato Islamico (Is). Lo ha confermato in alcune dichiarazioni pervenute all'agenzia Fides, Raad Jalil Kajaji, responsabile dell'Ufficio finanziamenti per cristiani, yazidi, sabei e mandei, aggiungendo che il numero di rifugiati cristiani pervenuti nella capitale continua ad aumentare di giorno in giorno, e esortando organizzazioni di soccorso internazionale a sostenere con più decisione le autorità locali nell'affrontare tale emergenza umanitaria.

Jalil, che il 27 ottobre ha avuto un lungo colloquio con il patriarca di Babilonia dei Caldei Louis Raphael I presso la sede del patriarcato, ha riferito che gli scarsi fondi governativi a disposizione dell'Ufficio sono in via di esaurimento, e le condizioni di sopravvivenza dei profughi – alloggiati anche presso scuole, chiese e sedi di associazioni cristiane – sono destinate a peggiorare con l'arrivo dell'inverno.

Secondo fonti del Ministero delle migrazioni e dei rifugiati, le famiglie di profughi del nord iracheno che hanno trovato riparo a Baghdad sono complessivamente più di 19mila. (R.P.)

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Giordania: chiesa armena consacrata sulle rive del Giordano

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Alla fine del mese di ottobre la nuova chiesa armena di San Garabed sarà consacrata in Giordania, sulla riva del fiume Giordano. Lo rende noto all'agenzia Fides il patriarcato armeno apostolico di Gerusalemme.

Il terreno su cui sorge la chiesa, non lontano dal luogo tradizionalmente indicato come il sito del Battesimo di Gesù – riferisce il comunicato patriarcale – è stato donato dal Re Abdallah II di Giordania, come era già accaduto per altre chiese costruite sulla riva del Giordano.

Giovedì 30 ottobre saranno benedette le opere pittoriche della chiesa – costruita seguendo i tipici canoni architettonici dei luoghi di culto armeni - e sarà consacrato il fonte battesimale. Il giorno dopo, il Patriarca armeno di Gerusalemme, Nourhan Manougian, presiederà la celebrazione liturgica di consacrazione, a cui sono stati invitati Re Abdallah e altri membri della famiglia reale. (R.P.)

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Senegal: inaugurata prima Radio cattolica del Paese

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La Chiesa senegalese ha la sua prima emittente cattolica. Si tratta di “Radio Espérance Sénégal“ (Res) dell’arcidiocesi Dakar ed è stata inaugurata con una cerimonia di benedizione dal card. Théodore Adrien Sarr. La nuova radio, che ha già iniziato le sue trasmissioni nel maggio 2013 sul territorio della capitale, è co-finanziata dall’arcidiocesi e dall’Associazione degli imprenditori e dirigenti di impresa cattolici del Senegal.

Si tratta di una radio commerciale e di prossimità che ha come scopo di informare i fedeli perché possano partecipare alla vita della Chiesa e della loro città. In particolare - spiegano fonti della Chiesa locale citati dall’agenzia Apic - essa darà spazio al mondo dell’associazionismo cattolico, facendo conoscere i suoi progetti e sarà una radio di servizio capace di offrire ai cittadini informazioni utili alla loro vita quotidiana.

Alla cerimonia inaugurale il card. Sarr ha esortato i responsabili dell’emittente a promuovere un’informazione onesta, credibile e capace di avere un impatto positivo sui cuori degli ascoltatori “Se c’è una cosa di cui hanno grande bisogno i giovani di questo Paese - ha detto – è di essere educati alla verità, alla generosità e alla bellezza”. Secondo l’arcivescovo di Dakar, la realizzazione di questa radio commerciale cristiana dimostra che i dirigenti cattolici senegalesi hanno capito come ogni comunità umana e religiosa ha un ruolo da svolgere nella costruzione del Paese. (A cura di Lisa Zengarini)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVIII no. 302

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.