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Sommario del 25/10/2014

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Papa a movimento Schoenstatt: famiglia mai attaccata come oggi

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Accompagnare la famiglia, difendere il matrimonio, mai attaccati come oggi. Questa la riflessione di Papa Francesco al movimento apostolico Schoenstatt, ricevuto in Aula Paolo VI in occasione del centenario di fondazione, avvenuta in Germania nell’ottobre 1914 per volontà di padre Giuseppe Kentenich. L’incontro, a cui hanno partecipato circa 7.500 persone, è stato animato da un dialogo dei presenti col Pontefice e da testimonianze e video di comunità, sposi, famiglie e giovani provenienti da una cinquantina di Paesi. All’evento hanno preso parte anche i rappresentanti di vari movimenti ecclesiali, tra cui la presidente dei Focolari, Maria Voce. Il servizio di Giada Aquilino

La famiglia e il matrimonio, mai “tanto attaccati” come al giorno d’oggi. Papa Francesco, sollecitato dalle domande di alcuni esponenti del movimento apostolico Schoenstatt, torna sui temi del recente Sinodo dei vescovi e nota come sempre più nella società si proponga un modello di famiglia intesa come forma di “associazione” :

“Che la famiglia sia colpita, che la famiglia venga colpita e che la famiglia venga imbastardita, come - va bene - è un modo di associazione… Si può chiamare famiglia tutto, no? Quante famiglie sono divise, quanti matrimoni rotti, quanto relativismo nella concezione del Sacramento del Matrimonio. In questo momento, da un punto di vista sociologico e dal punto di vista dei valori umani, come appunto del Sacramento cattolico, del Sacramento cristiano, c’è una crisi della famiglia, crisi perché la bastonano da tutte le parti e la lasciano molto ferita!".

Quindi il Pontefice invita a riflettere sulla realtà contemporanea, in cui - sottolinea - viene “svalutato” il Sacramento del matrimonio: si assiste - nota - alla “riduzione del Sacramento ad un rito”, “si fa del Sacramento un fatto sociale”, “il sociale copre la cosa fondamentale, che è l’unione con Dio”:

“Quello che stanno proponendo non è un matrimonio, è una associazione. Ma non è matrimonio! E’ necessario dire cose molto chiare e questo dobbiamo dirlo! La pastorale aiuta, ma solamente in questo è necessario che sia ‘corpo a corpo’. Quindi accompagnare e questo significa anche perdere il tempo. Il grande maestro del perdere il tempo è Gesù! Ha perso il tempo accompagnando, per far maturare la coscienza, per curare le ferite, per insegnare… Accompagnare è fare un cammino insieme”.

In tal senso, il Santo Padre sollecita per i fidanzati una preparazione approfondita al matrimonio, un accompagnamento, per capire quel “per sempre” che oggi viene messo in discussione dalla “cultura del provvisorio”, senza “scandalizzarsi” di ciò che avviene, i “drammi familiari, la distruzione delle famiglie, i bambini” che soffrono per i disaccordi dei genitori, ma anche le nuove convivenze:

“Sono nuove forme, totalmente distruttive e limitative della grandezza dell’amore del matrimonio. Ci sono tante convivenze e separazioni e divorzi: per questo la chiave di come aiutare è ‘corpo a corpo’, accompagnando e non facendo proselitismo, perché questo non porta ad alcuno risultato: accompagnare, con pazienza”.

Di fronte ai simboli della spiritualità di Schoenstatt, la Croce della missione - legata al forte impulso missionario del movimento - e l’immagine della Vergine Pellegrina e dopo la lettura del Vangelo della Visitazione, con l’incontro tra Maria e la cugina Elisabetta, i presenti chiedono al Papa del suo “grande amore per la Vergine” e del suo “modo di vedere il ruolo missionario” della Madonna. Papa Francesco non ha dubbi: Maria è madre, educatrice e “una Chiesa senza Maria - dice - è un orfanotrofio”.

“Maria è madre, e non si può concepire nessun altro titolo di Maria che non sia ‘la madre’. Lei è madre, perché ci porta a Gesù e ci aiuta con la forza dello Spirito Santo perché Gesù nasca e cresca in noi. Lei continuamente ci dà la vita. E' madre della Chiesa. E’ maternità. Non abbiamo il diritto - e se lo facciamo ci sbagliamo - di avere un psicologia da orfani. Il cristiano non ha diritto di essere orfano. Ha una madre! Abbiamo una madre”.

Fondato durante la Prima Guerra Mondiale, il movimento di Schoenstatt nacque per volontà di padre Josef Kentenich, che diede vita all’iniziativa con un gruppo di giovani seminaristi, attraverso un atto chiamato “Alleanza d’Amore con Maria”. Con la Seconda Guerra Mondiale, l’esperienza si rafforzò e, dopo un duro periodo d’internato nel campo di concentramento di Dachau, padre Kentenich “partì verso quelle che erano le periferie del mondo di allora, Argentina, Brasile, Cile, Uruguay e Sudafrica, per servire la Chiesa”, come ha ricordato nei saluti il Superiore dei padri di Schoenstatt, padre Heinrich Walter. Nel tempo il movimento si è esteso in tutto il mondo. A chi, tra i giovani, espone al Santo Padre la difficoltà a portare in certi ambienti l’impulso missionario, Papa Francesco ricorda il Papa emerito Benedetto XVI e risponde:

“Testimonianza. Vivere in modo tale che negli altri vinca la voglia di vivere come noi! Testimonianza, non c’è altro! Vivere in modo che altri si interessino e chiedano: “Perché”? E’ la testimonianza, il cammino della testimonianza non c’è nulla che lo superi… Testimonianza in tutto. Noi non siamo salvatori di nessuno, siamo trasmettitori di Colui che ci salvò tutti e questo possiamo trasmetterlo soltanto se assumiamo nella nostra vita, nella nostra carne e nella nostra storia (....) Gesù”.

Il Pontefice si riferisce a un “testimonianza che abbia anche la capacità di farci muovere, di farci uscire, di andare in missione”, pregando:

“Una Chiesa, un movimento o una comunità chiusa si ammalata: tutte le malattie sono chiusure… Un movimento, una Chiesa, una comunità che esce, si sbaglia… Si sbaglia, ma è tanto bello chiedere perdono quando si sbaglia! Non abbiate paura! Uscire in missione; uscire in cammino. Siamo camminatori”.

Il Papa, coi presenti che lo sollecitano, si definisce “un poco incosciente”, dice, “temerario”, ma sicuramente confessa di abbandonarsi alla preghiera:

“Mi aiuta a non guardare le cose dal centro - c’è un solo centro: Gesù Cristo - piuttosto a guardare le cose dalla periferia, no? Dove si vedono più chiare. Quando uno si chiude in un piccolo mondo - il mondo del movimento, della parrocchia, dell’arcivescovado, o qui, il mondo della Curia - allora non si afferra la verità. Sì, forse la si afferra in teoria, ma non si afferra la realtà della verità in Gesù. La verità si afferra meglio dalla periferia piuttosto che dal centro. Questo mi aiuta”.

Lo sguardo del Papa va anche alla Chiesa:

“In alcune conferenze episcopali, in alcuni episcopati che hanno incaricati per qualsiasi cosa, per tutti, non scappa niente… Tutto ben funzionante, tutto ben organizzato, ma mancano in alcune cose che potrebbero fare con la metà, con meno funzionalismo e più zelo apostolico, più libertà interiore, più preghiera… Questa libertà interiore è coraggio di uscire”.

E l’invito è a rinnovarsi continuamente:

“Rinnovare la Chiesa non è fare un cambiamento qui, un cambiamento lì… Bisogna farlo perché la vita sempre cambia e quindi è necessario adattarsi. Però questo non è il rinnovamento. Anche qui, fra il pubblico, mentre lo dicevo: “Bisogna rinnovare la Curia”; “Si sta rinnovando la Curia; la Banca Vaticana, è necessario rinnovarla”. Tutti questi sono rinnovamenti esterni: questo è quello che dicono quotidianamente… E’ curioso, nessuno parla del rinnovamento del cuore. Non capisce niente di quello che è il rinnovamento del cuore: che è la santità, rinnovando il cuore di ognuno".

E un cuore rinnovato, aggiunge il Papa, è capace di andare oltre i disaccordi, che siano “disaccordi familiari” o “di guerra”, oltre la “cultura del provvisorio, che è una cultura di distruzione di legami”, per andare verso una cultura dell’incontro. Quindi la benedizione delle Croci dei presenti, con l’invito ad essere missionari nei 5 Continenti. Prima di congedarsi, il Papa ricorda che tempo addietro gli fu regalata un’immagine della Madre di Schoenstatt: prega e l’ha sempre con sé.

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Il Papa ai giovani disoccupati: vi sono vicino, non perdete la speranza

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Siate testimoni di speranza anche nella precarietà. E’ l’esortazione che Papa Francesco rivolge a tutti i giovani senza lavoro. L’occasione è il messaggio inviato al Convegno Cei, in corso a Salerno, sul tema “Nella precarietà la speranza”. Il servizio di Alessandro Gisotti: 

Forti del Vangelo, non perdete la speranza anche “in un tempo segnato da incertezze, smarrimento e grandi cambiamenti”. Papa Francesco ha parole di incoraggiamento per i giovani senza lavoro. Nelle visite compiute in Italia, sottolinea nel messaggio al Convegno di Salerno, “ho potuto toccare con mano la situazione di tanti giovani disoccupati, in cassa-integrazione o precari”. E ribadisce che questo “non è solo un problema economico, è un problema di dignità”. Aggiunge così che “dove non c’è lavoro, manca la dignità, l’esperienza della dignità di portare a casa il pane!” E purtroppo, annota, “in Italia sono tantissimi i giovani senza lavoro”. Davvero, prosegue con rammarico il Papa, “si ha la sensazione che il momento che stiamo vivendo rappresenti la passione dei giovani. È forte la cultura dello scarto: tutto ciò che non serve al profitto viene scartato”. E ancora una volta ammonisce che scartando i giovani si scarta “il futuro di un popolo”.

Questa è la “precarietà”, scrive il Pontefice. “Ma poi – aggiunge – c’è l’altra parola: speranza. Nella precarietà, la speranza”. “Come fare a non farsi rubare la speranza nelle sabbie mobili della precarietà?”, si chiede Francesco. “Con la forza del Vangelo - è la sua risposta - Il Vangelo è sorgente di speranza, perché viene da Dio, perché viene da Gesù Cristo che si è fatto solidale con ogni nostra precarietà”. Voi, si legge ancora nel messaggio, “siete giovani che appartenete alla Chiesa, e perciò avete il dono e la responsabilità di mettere la forza del Vangelo in questa situazione sociale e culturale”. Il Vangelo, conclude, “genera attenzione all’altro, cultura dell’incontro, solidarietà. Così con la forza del Vangelo sarete testimoni di speranza nella precarietà”.

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Tweet del Papa: la Croce di Gesù dimostra l’onnipotenza della misericordia di Dio

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“La Croce di Gesù dimostra tutta la forza del male ma anche tutta l’onnipotenza della misericordia di Dio”. E’ il tweet pubblicato oggi da Papa Francesco sul suo account Twitter @Pontifex, seguito da oltre 16 milioni di follower.

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Oggi in Brasile la Beatificazione di suor Assunta Marchetti

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Oggi nella cattedrale di San Paolo, in Brasile, beatificazione di suor Assunta Marchetti, di origini lucchesi e missionaria in Brasile con le Suore di San Carlo Borromeo. È festa grande, nel Paese carioca, che ringrazia il Signore per il dono di questa beatificazione, al cui rito solenne presiede il card. Angelo Amato, prefetto della Congregazione per le Cause dei Santi. Il servizio di Roberta Barbi: 

“Dio si serve degli strumenti più inadatti, più insufficienti, per le sue opere. Tutta la mia fiducia l’ho riposta nel suo dolcissimo Cuore”. Così Madre Assunta Marchetti parlava della sua vocazione missionaria che, giovanissima, l’aveva portata dall’altra parte del mondo a occuparsi dei piccoli orfani che con gratitudine e vero amore l’avevano soprannominata “mammina”, come sottolinea il card. Amato:

“Questa sua dedizione per molti orfani rimase il ricordo più dolce della loro infanzia, perché avevano trovato in Madre Assunta la mamma che avevano perduta. Una testimone racconta che spesso i bambini giungevano all’orfanotrofio in condizioni pietose, ma le cure di Madre Assunta li faceva rifiorire”.

Umile e dolce con tutti quelli che incontrava, affrontava nel quotidiano, pazientemente, ogni difficoltà, tenendo sempre a mente le parole di Gesù, “venite a me voi tutti che siete affaticati e oppressi e io vi ristorerò”, accrescendo sempre di più, in sé, la massima delle virtù, quella che qualifica maggiormente la nuova Beata secondo il card. Amato:

“La carità, immensa, sacrificata, materna. Alla sua morte, suor Clarice Baraldini, la prima bambina accolta nell’orfanotrofio, uscì dalla camera gridando in lacrime: «Oggi in questa casa è morta la carità». Madre Assunta viveva di carità. Fu questo l’orizzonte missionario di Madre Assunta, che in Brasile trovò la sua patria spirituale”.

Come spesso accade sbirciando le biografie dei Santi, la vocazione di Madre Assunta era maturata nell’infanzia all’interno di una famiglia molto devota. Fu proprio suo fratello, don Giuseppe Marchetti – per il quale anche è in corso la causa di beatificazione – che la volle con sé in Brasile, dove vivrà fino alla morte, sopraggiunta nel 1948. Oltre al suo lavoro da missionaria, Madre Assunta fu per un periodo anche Superiora generale dell’Istituto delle Suore missionarie di San Carlo Borromeo, le Scalabriniane, che all’epoca si chiamavano Serve degli orfani e abbandonati. Anche questo suo incarico, la religiosa lo svolse con amore e con carità, che è la principale eredità che lascia oggi a tutti noi:

“La carità della Madre non era ostentazione, ma servizio umile, sacrificato e paziente. È questa l’eredità che la Beata lascia non solo alle sue consorelle, ma a tutti noi. Il suo invito alla carità include l’esortazione all’umiltà, alla povertà, alla gioia”.

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Altre udienze di Papa Francesco

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Papa Francesco ha ricevuto questa mattina in udienza: il card. Marc Ouellet, prefetto della Congregazione per i Vescovi; Carlos Federico de la Riva Guerra, ambasciatore dello Stato Plurinazionale di Bolivia, in visita di congedo; Marón Curi, presidente del “Consejo Nacional Unión Cultural Argentino Libanesa.

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Nomina episcopale di Papa Francesco ad Haiti

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Ad Haiti, il Papa ha nominato vescovo di Fort-Liberté mons. Quesnel Alphonse, finora vescovo ausiliare di Port-au-Prince.

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Erezione canonica di Signis, associazione di comunicatori

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Si è tenuta ieri la cerimonia ufficiale di consegna del decreto con cui il Pontificio Consiglio per i laici ha eretto canonicamente l’Associazione internazionale Signis, approvandone lo Statuto. Signis - che conta 150 associazioni membri effettivi e 76 associazioni membri associati, presenti in 122 Paesi del mondo - è una realtà associativa, nata nel 2001 dalla fusione di due antiche associazioni che avevano già ricevuto riconoscimenti ed incoraggiamenti dalla Santa Sede: l’Organizzazione cattolica internazionale per il cinema e gli audiovisivi e l’Ufficio internazionale per la radio cattolica. Nell’intervista di Stefano Leszczynski, il segretario generale dell’associazione, Alvito De Sousa, spiega scopi e obiettivi di Signis, che raccoglie comunicatori e giornalisti cattolici in tutto il mondo: 

R. – Signis è un’associazione di laici, cioè un’associazione di professionisti cattolici di tutto il mondo, che si occupa di media e comunicazione. Signis è un’associazione di associazioni: non ha singoli membri ma è un insieme di istituzioni e associazioni di comunicatori cattolici da ogni parte del mondo: i membri di Signis. È un posto per cambiare professionalmente, per migliorare il nostro lavoro e la nostra fede, la missione dei comunicatori per la pace e l’evangelizzazione.

D. – Leggendo gli obiettivi di Signis, si vede che sono estremamente ampi: oltre al miglioramento della comunicazione dei criteri etici, nella comunicazione e nell’informazione, c’è proprio l’obiettivo di migliorare la condizione di pace nel mondo. Ora, questo attribuisce una grande responsabilità alla comunicazione…

R. – Oggi, è risaputo che la comunicazione e i media possono essere utilizzati per fare la guerra e per fare del male nel mondo. Ma è risaputo anche il potere della comunicazione; la comunicazione con fede ha una grande possibilità: creare una cultura di pace nel nostro mondo. Il nostro lavoro è difficile: ci sono tantissime persone che vogliono fare la guerra, e per loro è semplice; per coloro, invece, che vogliono “creare” la pace è un lavoro difficile: il lavoro di creare una comunicazione professionale per cambiare la cultura della guerra in una cultura di pace.

D. – Il cambiamento quanto rafforza la vostra missione, se la cambia in qualche modo e se la rende ancora più efficace

R. – Prima di tutto, il grande appoggio della Chiesa: riconoscere il nostro lavoro, i nostri membri in tutte le parti del mondo, nelle piccole isole del Pacifico, nelle piccole radio in Africa, in America Latina. Quindi, prima cosa su tutte è che la nostra Chiesa appoggia ufficialmente il nostro lavoro e i nostri membri. Questa è una grande cosa, perché siamo un’associazione cattolica. Seconda cosa è che, ovviamente, adesso è conosciuta da tutti i comunicatori cattolici, dai giornalisti cattolici: Signis è un posto laico, un’associazione laica di professionisti che accoglie giornalisti e comunicatori cattolici da tutto il mondo. Dunque, questo riconoscimento è una grande cosa per il nostro lavoro, ci aiuta molto.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Corpo a corpo: al movimento di Schönstatt il Papa raccomanda accompagnamento e vicinanza alle famiglie.

Sfida per il futuro del Brasile: Giuseppe Fiorentino sul ballottaggio tra Dilma Rousseff e Aecio Neves.

La lezione di Aristotele agli economisti: il cardinale segretario di Stato, a Notre Dame, su dignità umana e bene comune, e la sintesi dell’omelia tenuta dal porporato, a Montecassino, per il cinquantesimo anniversario della proclamazione di San Benedetto a patrono d’Europa.

Quanta confusione: Ferdinando Cancelli riguardo al dibattito su etica e cure palliative.

Un dialogo indispensabile: il blog sul fine vita della Conferenza episcopale francese.

Un articolo di Gaetano Vallini dal titolo “Gli invisibili”: al Festival del film di Roma due opere raccontano di barboni.

Maurizio Gronchi sulla pazienza dell’ascolto e il coraggio del confronto: nel sinodo lo sguardo di Gesù sulla famiglia.

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Oggi in Primo Piano



Iran: eseguita la condanna a morte di Reyhaneh Jabbari

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Il mondo attonito dopo l’esecuzione in Iran di Reyhaneh Jabbari, la giovane donna condannata a morte per aver ucciso l’uomo che stava tentando di stuprarla. Commenti e reazioni nella comunità internazionale. Il servizio di Giancarlo La Vella

Gli appelli a lasciarla in vita non sono serviti a nulla e Reyhaneh all’alba è stata impiccata in una prigione di Teheran davanti ai parenti della vittima, un'ex dipendente dell'Intelligence iraniana, che si sono rifiutati di perdonarla. I giudici non hanno mai voluto credere alla versione della legittima difesa. Un ultimo tentativo di salvare la donna, 26 anni, è fallito in quanto lei non ha mai voluto smentire la sua versione dei fatti. Sconcerto in tutto il mondo per l’esecuzione. “L'uccisione di Reyhaneh è un dolore profondissimo”, ha  detto da parte sua il ministro degli Esteri, Federica Mogherini. “Abbiamo sperato tutti che la mobilitazione internazionale potesse salvare la vita di una ragazza. Invece i tanti appelli sono rimasti inascoltati". “La difesa dei diritti umani e l'abolizione della pena di morte – ha detto ancora – sono battaglie fondamentali”.

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Attacchi in Sinai: l’Egitto impone lo stato di emergenza

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In Egitto sono almeno 30 i soldati morti in seguito ad una serie di attentati, di matrice jihadista compiuti ieri, contro le forze armate, nella penisola del Sinai. Dopo gli attacchi, il governo egiziano ha imposto lo stato di emergenza e chiuso il valico di Rafah con la Striscia di Gaza. Il servizio di Amedeo Lomonaco: 

Stato di emergenza in Sinai e chiusura del valico di Rafah. Sono le principali misure adottate dall’Egitto dopo gli attentati di ieri contro le forze di sicurezza. Lo stato d’emergenza, che durerà tre mesi, è in vigore a partire da oggi in diverse città del nord del Sinai, dove si concentrano da diversi mesi gli attacchi di gruppi jihadisti contro i militari. Imposto inoltre un coprifuoco notturno di 14 ore. Dopo la nuova ondata di violenze, l’Egitto ha anche deciso la chiusura del valico di Rafah con la Striscia di Gaza. Il Consiglio di Difesa nazionale, ha annunciato una reazione durissima contro gli autori degli attentati. Gli attacchi non sono stati ancora rivendicati, ma i principali sospetti ricadono sull’organizzazione terroristica ‘Ansar Beit al-Maqdis’, considerata vicina ai miliziani del cosiddetto Stato islamico. Nella zona teatro delle azioni terroristiche di ieri, l’esercito egiziano conduce da almeno due anni una massiccia campagna contro gruppi jihadisti.

Questa nuova ondata di attentati è un’ulteriore conferma della criticità della situazione nella penisola del Sinai e nella regione mediorientale. E’ quanto sottolinea, al microfono di Amedeo Lomonaco, il giornalista della redazione della rivista Mondo e Missione del Pime, Giorgio Bernardelli, esperto di Medio Oriente: 

R. – E’ una situazione molto tesa quella del Sinai, di cui l’episodio di ieri è quello più grave, ma il Sinai è praticamente dalla crisi che ha portato alla deposizione di Morsi all’ascesa al potere di al-Sisi l’anello debole del Paese dove si annidano queste formazioni jihadiste.

D. – Gli attentati non sono stati ancora rivendicati ma i responsabili sono ritenuti miliziani di un gruppo considerato vicino al sedicente Stato Islamico. Sono questi attacchi un’ulteriore prova di forza, proprio dello Stato Islamico, oltre i confini di Siria e Iraq?

R. – Questo sicuramente sì, però non è direttamente lo Stato Islamico di al Baghdadi che è arrivato anche lì; sono i gruppi che da ormai due anni - ma forse anche di più -  spadroneggiano in questa regione desertica del Sinai - regione di traffici di armi e di persone - che hanno costituito un’alleanza con questo nuovo soggetto della regione. Da questo punto di vista, è un’alleanza davvero molto pericolosa perché si innesta in una situazione come quella dell’Egitto, che è assolutamente complessa, con un Paese spaccato a metà; ma soprattutto sono un soggetto nuovo. Qui la cosa interessante da osservare è che questa alleanza non nasce oggi: è dall’inizio dell’estate che questo gruppo professa la sua fedeltà allo Stato Islamico, eppure in maniera molto significativa mentre questa estate era in corso la guerra a Gaza, è rimasto fermo. Non c’è stata alcuna azione dal Sinai, un’apertura di un fronte rispetto a Israele, mentre Israele bombardava Gaza; non sono partiti praticamente mai né attacchi né razzi contro Israele dal Sinai. Questo dice anche come il gioco politico, in realtà, sia molto complesso; queste forze non sono Hamas, non sono la jihad islamica alleata con l’Iran; sono forze diverse e anche all’interno degli equilibri del mondo jihadista - legato alla galassia araba e palestinese - ci sono rapporti di forza e regolamenti di conti in corso. È una situazione davvero molto complicata, i cui scenari sono molto inquietanti.

D. – Quale significato ha la chiusura del valico di Rafah poco prima della ripresa, al Cairo, dei negoziati israelo-palestinesi?

R. – Questa chiusura, certamente, complica questi negoziati. La questione del blocco di Gaza non è stata affatto risolta dall’esito del conflitto di questa estate; si parlava di grandi cambiamenti, addirittura si rispolveravano le idee di un aeroporto e di un porto a Gaza. Tutte questioni non realistiche, che Israele non accetterà mai. E questo negoziato che riprenderà domani al Cairo, è sostanzialmente un’azione politica, un tentativo di far vedere che comunque c’è qualcosa in corso; questo per non certificare la realtà sotto gli occhi di tutti, cioè che questa guerra si è fermata per inerzia, perché ovviamente nessuna delle due parti avrebbe potuto raggiungere per via militare obiettivi che sono irraggiungibili.

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28.mo Incontro Assisi. Sorrentino: Francesco in continuità con Papa Wojtyla

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Ventotto anni fa, il 27 ottobre 1986, il primo incontro di preghiera voluto ad Assisi da San Giovanni Paolo II con la presenza dei leader di tutte le religioni, un evento storico che segnò una tappa fondamentale nel percorso di dialogo interreligioso e nel comune impegno per la pace nel mondo. Nell’anniversario di quell’evento, Assisi vivrà, da oggi a domenica, tre giornate di rilancio del cosiddetto “Spirito di Assisi” con testimonianze, momenti di preghiera e un Convegno. Con ancora vive le immagini di un altro momento indimenticabile: la visita nella città umbra di Papa Francesco il 4 ottobre dell'anno scorso. Ma che ricordo ha della giornata dell’86 il vescovo di Assisi, mons. Domenico Sorrentino? Ascoltiamolo al microfono di Adriana Masotti

R. – Io lo ricordo da lontano: allora non ero ad Assisi. Ricordo l’impatto che ebbe su noi tutti. Era una maniera di vivere lo spirito del Concilio e, insieme, l’impegno della Chiesa per la pace, vissuto in grande coordinamento con tutte le realtà religiose del mondo. E questo fu sicuramente un passo avanti, simbolicamente grandioso: quell’immagine del Papa con tutte le maggiori personalità della religiosità mondiale, ci resta nel cuore.

D. – Quell’incontro tra le religioni ha suscitato, e suscita ancora, in alcuni, qualche perplessità. Qualcuno parla di pericolo di relativismo religioso …

R. – Noi organizziamo le cose, anche in questa circostanza, in modo tale che le varie partecipazioni siano ben distinte. Abbiamo la certezza di avere un solo Padre, l’unico Dio: ognuno lo guarda da un punto di vista che è proprio della sua tradizione religiosa, e noi credenti in Gesù siamo davvero felici di avere questa grazia grande che ci ha rivelato il volto pieno di Dio. Però, siamo anche convinti, come il Concilio ci insegna, che attraverso tante strade è lo stesso Gesù che semina quello che i Padri chiamavano “i semi del Verbo”: in tutte le culture, in tutta la Storia, in tutte le esperienze religiose. Dunque, si tratta di vivere il nostro comune cammino verso Dio e la nostra comune supplica a Dio in modo che non ci sia confusione, in modo che ci sia rispetto per tutti e in modo che la nostra fede sia ben testimoniata. Ed è quanto San Giovanni Paolo II ci ha insegnato e altrettanto i Papi che sono venuti dopo di lui …

D. – Allora, veniamo a questi giorni: da oggi a lunedì, Assisi ricorda l’evento di 28 anni fa, ma anche la recente visita di Papa Francesco il 4 ottobre scorso. Vivrà dunque momenti molto intensi. Che cosa vogliono essere, queste tre giornate, nelle sue intenzioni?

R. – Vogliamo innanzitutto dare forza, eco e sostegno all’iniziativa di Papa Francesco per la pace in Terra Santa. Francesco di Assisi ebbe con la Terra Santa un particolare rapporto, un amore particolare. Noi vogliamo metterci in preghiera perché la terra di Gesù, che è anche la terra dei nostri padri nella fede, trovi finalmente la pace nel rispetto delle culture e dei popoli che la abitano. 

D. – Cristianesimo, islam, ebraismo: questa volta, Assisi si concentra sulle tre religioni monoteiste …

R. – E’ proprio il motivo di concentrarsi sull’iniziativa di Papa Francesco: ci metteremo anche noi in preghiera con quella distinzione che dicevo prima. E poi vogliamo riflettere insieme perché, lo diciamo noi cristiani: parliamo di Abramo nostro padre nella fede; la via che porta a Gesù viene da lì, le radici sono quelle e dunque è bello poter condividere anche con i fratelli di queste altre religioni – ebraismo e islam – ciò che abbiamo in comune. E la pace non si costruisce se non mettendo in evidenza e valorizzando quello che ci unisce.

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Giovani e missione protagonisti a Convegno della Caritas Triveneto

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Si svolgerà in questi giorni presso il Cum, Centro Unitario Missionario di Verona, il secondo meeting giovani Caritas Triveneto. Il convegno intitolato “Contaminiamoci” è rivolto a tutti i giovani volontari che hanno partecipato al progetto "cantieri della solidarietà", promosso dalla Caritas ambrosiana, al fine di riportare esperienze di condivisione di questi giovani volontari attivisti in Grecia, Agrigento, Georgia, Bosnia, Palestina.  Sull’iniziativa, Martina Boccalini ha intervistato la responsabile delle emergenze delle aree internazionali della Caritas veronese, Stefania Croce: 

R. – Il progetto “Cantieri di solidarietà” è un’esperienza effettivamente mutuata da Caritas Ambrosiana che lo svolge ormai da 15 anni, ed è un’esperienza di servizio e condivisione per i giovani dei nostri territori, che desiderano mettersi alla prova, in contatto con altri contesti. Però, in questo meeting verranno coinvolti non solo questi ragazzi, ma anche i giovani che nelle nostre Caritas svolgono i più svariati servizi.

D. – Perché è stato utilizzato il termine “contaminiamoci” come tema del convegno?

R. – Proprio per questo motivo. “Contaminiamoci” perché i giovani che si incontreranno in questo contesto provengono da esperienze di servizio diverse: alcuni di loro sono stati all’estero quest’estate; altri invece operano all’interno di servizi direttamente legati alle Caritas diocesane, quindi sul territorio delle nostre regioni; alcuni di loro - ancora più interessante - lavorano proprio all’interno di realtà caritative parrocchiali. Ci saranno una varietà di esperienze dove l’idea del contaminarsi sarà proprio quella di raccontarsi e, in questo modo, percorrere anche l’identità di una esperienza all’interno della cornice Caritas. Tutte quante hanno in comune il fatto di rivolgersi e coinvolgere attivamente anche i giovani dei Paesi che hanno ospitato; ad esempio, in Grecia l’obiettivo era sì fare servizio ma insieme a giovani locali. Per le altre destinazioni dei cantieri - sempre a livello di delegazione - c’è stata l’opportunità di fare servizio ad Agrigento presso la Caritas, con un occhio attento verso quello che stava accadendo riguardo, appunto, agli sbarchi.

D. – Quali sono le esperienze di condivisione che sono state riportate dalle testimonianze di questi giovani volontari?

R. – Sicuramente, un ritorno molto positivo in termini di quello che queste esperienze hanno mosso in loro. Quindi - per quanto siano state segnalate le criticità legate più allo shock culturale, di trovarsi in un contesto diverso - la difficoltà maggiore è stata quella di incontrare l’altro e provare a lavorare insieme. Per questo desideriamo proprio che ci sia un coinvolgimento diretto dei giovani locali, o delle realtà, dei partner locali che su quel territorio operano. Non si tratta di andare a realizzare un campo estivo o un’esperienza che decidiamo noi e che gestiamo noi, da qui, quando partiamo; ma è proprio l’idea di andare e dare una mano lì dove si sta già facendo qualcosa e dove i protagonisti sono coloro che abitano quei Paesi.

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Nuovo programma pastorale Caritas romana: dare speranza nel futuro

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Presentato a Roma il nuovo programma pastorale della Caritas diocesana: tante le sfide che aspetta l’organismo di fronte alle crescenti povertà della capitale. Davide Dionisi ne ha parlato col direttore, mons. Enrico Feroci

R. – Abbiamo sottolineato questo aspetto: “programma pastorale”, perché non vogliamo che si intenda la Caritas sempre come quella realtà che rende dei servizi; la Caritas, attraverso dei segni, delle opere, dev’essere pedagogica, deve far comprendere e capire che dietro a quella mano che dà o rende un servizio o dà qualcosa, dà da mangiare a qualcuno, c’è la carezza di Dio, c’è l’amore di Dio. E a tutti quanti vorremmo di nuovo sottolineare l’importanza della testimonianza e del servizio all’altro, agli uomini, perché solamente facendo così noi siamo veramente credibili.

D. – Roma ha registrato delle nuove criticità che voi avete colmato per primi …

R. – Qualche giorno fa, il 10 ottobre, noi abbiamo ricordato 35 anni dall’istituzione, dall’inizio della Caritas di Roma: nel 1971, Paolo VI l’ha voluta perché probabilmente avevamo dimenticato i poveri: era più una sottolineatura di un’assistenza piuttosto che un mettere al centro i poveri e la povertà. E’ ovvio che 35 anni fa, la povertà era molto diversa, ma non perché i poveri di allora fossero diversi dai poveri di oggi, ma perché oggi emerge, viene a galla una povertà che non è solamente quella di tipo materiale, “ho bisogno di mangiare, ho bisogno di dormire” … c’è anche questo e il numero di persone che si avvicinano alle nostre mense e anche la richiesta di un alloggio diventa molto grande, soprattutto perché noi oggi abbiamo una domanda che ci viene dalle famiglie. Ma oggi la domanda molto più sentita è la carenza di lavoro e vicino a questa c’è una carenza di fiducia, di speranza, di futuro … A me sembra che il dolore sia la povertà di oggi, un dolore molto più intimo, molto più nascosto, molto più acuto che sta dentro il cuore delle persone, e si vede con la realtà dei nostri giovani: con i programmi televisivi che tutti noi vediamo, quello che leggiamo sui mezzi di comunicazione … troviamo questa grande difficoltà da parte dei giovani di guardare al domani. Oggi i giovani, purtroppo, non hanno gli adulti che sappiano dire parole importanti, significative e vere per il loro domani, per il loro futuro. Questa mi sembra essere oggi la grande carenza, la grande povertà, che diventa una carenza educativa. Per questo stiamo mettendo in piedi anche dei servizi per essere vicini a queste nuove povertà.

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Giovanni Paolo II e il “Sinodo itinerante”: libro sui discorsi di Wojtyla ai vescovi

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Raccontare in presa diretta San Giovanni Paolo II attraverso i suoi discorsi a braccio nei pranzi con i vescovi del mondo. E’ l’idea originale che ha ispirato la giornalista Angela Ambrogetti nella realizzazione del libro “Il mistero dei 12”, edito dalla Tau Editrice. Un’opera, come sottolinea l’autrice, che non sarebbe stata possibile senza il prezioso e ineguagliabile archivio sonoro della Radio Vaticana che custodisce brani di discorsi improvvisati di Karol Wojtyla in ogni parte del mondo. Alessandro Gisotti ha chiesto ad Angela Ambrogetti di evidenziare cosa emerge da questi interventi inediti: 

R. - Erano, più che altro, momenti in cui condivideva le sue riflessioni: non sono discorsi di Magistero o di cattedra, ma sono la condivisione di un vescovo con altri vescovi. L’idea di Pietro, che è il capo del collegio apostolico e quindi deve confermare nella fede, ma anche essere confermato nella fede, faceva sì che Giovanni Paolo II, nei suoi viaggi, riflettesse. In un discorso in particolare, nelle Filippine, lo dice proprio: “Sono stato tutta la notte a pensare perché le Filippine sono tanto gioiose”. Sembra una battuta, invece no: è veramente una riflessione sulla realtà di quella specifica Chiesa. Quindi è una specie di Sinodo itinerante.

D. - Nelle prime pagine del libro, riporti un giudizio poco favorevole, nei confronti di Karol Wojtyła, di chi lo accusava - critica che a volte ritorna - di essere un po’ un "autocrate" che non era poi così collegiale. Leggendo questo libro si vede tutt’alto…

R. - Wojtyła era un vescovo, e un vescovo è un maestro di dottrina, di fede. È un maestro e ha dei doni, dei doveri, degli obblighi e questo Wojtyła l’ha sempre vissuto. Ma, chi è fuori dalla Chiesa, probabilmente, non riesce a comprendere il rapporto tra comunione e munus.

D. - “Perché il Papa viaggia tanto?”, ad un certo punto, dice in un discorso rivolgendo questo interrogativo a se stesso; e Karol Wojtyła si risponde: “E’ colpa del Concilio Vaticano II”…

R. - Sì, i viaggi nascono dal Concilio, cioè dall’idea che il Papa non deve stare fermo in Vaticano ma deve essere, appunto, un vescovo che va a confermare gli altri confratelli, come una visita pastorale, come un vescovo che visita le parrocchie. Lo spirito è un po’ lo stesso. All’inizio non si capiva perché lui facesse questi viaggi o almeno certa stampa non lo capiva, perché pensava solo ai costi e ad altre cose, ma le Chiese locali hanno bisogno moltissimo della presenza di Pietro.

D. - A un certo punto, infatti, Wojtyła dice che tra i viaggi più belli c’erano quelli in Scandinavia e in Inghilterra, dove di gente ad accoglierlo ce n’era ben poca, però aveva un significato grandissimo…

R. - Lui lo diceva anche ai giornalisti: “Lei va a visitare dei Paesi” - “No, vado a visitare delle Chiese” - questa era tutta la chiave. Quindi, è chiaro che andare a visitare le Chiese più piccole, più deboli, più bisognose, che hanno più bisogno anche di avere sostegno, era proprio questo lo scopo.

D. - La collegialità che si tramuta e si approfondisce in comunione, ricercata da Wojtyła, la vediamo anche nell’organizzazione e nell’approfondimento delle visite ad Limina

R. - Questa era una cosa nata con Paolo VI. Papa Montini le aveva “inventate”, ma ne aveva fatto solo un primo “abbozzo”. Giovanni Paolo II le fa diventare una verità importante, una realtà fondamentale su cui basare e organizzare poi anche le visite nei Paesi. Non per niente, un viaggio del Papa era organizzato con uno, anche due anni di anticipo; proprio per permettere una conoscenza maggiore della Chiesa, questa osmosi con la Chiesa, il rapporto con i vescovi e la conoscenza reale della situazione.

D. - Hai potuto ascoltare, poi ovviamente trascrivere, rileggere tanti discorsi a braccio di Giovanni Paolo II. Quale - se possibile - ti ha colpito maggiormente?

R. - Diciamo che il tema, molto semplice, però anche molto bello, è quello dell’idea di parlare a tavola; l’idea dell’agape fraterna, che Giovanni Paolo II riprende e ricollega agli inizi del cristianesimo. D’altra parte, noi siamo cristiani e il cristianesimo si basa su una cena, su uno stare insieme, uno stare insieme in amore e comunione. Questo è un concetto esclusivamente e squisitamente cattolico, che forse dovremmo reimparare e rileggere.

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Il commento di don Ezechiele Pasotti al Vangelo della Domenica

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Nella 30.ma Domenica del Tempo ordinario, la liturgia ci presenta il passo del Vangelo in cui un dottore della legge, per mettere alla prova Gesù, gli chiede quale sia il grande comandamento. Gesù risponde:

“Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. Questo è il grande e primo comandamento. Il secondo poi è simile a quello: amerai il tuo prossimo come te stesso”.

Su questo brano evangelico, ascoltiamo il commento di don Ezechiele Pasotti: 

È importante mettere il Vangelo di oggi nel suo retto contesto, per non cadere nel moralismo di mettere al centro il dovere. Nell’Antico Testamento il precetto di amare Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima e le forze viene posto non come punto di partenza, ma di arrivo: Dio ha mostrato tutto il suo amore per il popolo di Israele, lo è andato a prendere in Egitto, nella casa di schiavitù, lo ha liberato con braccio potente…, ora gli indica la via da percorrere per vivere felici (cf Dt 5,32-33. 6,4ss). Il precetto dell’amore è risposta all’azione di Dio, all’opera di salvezza messa in atto a favore del suo popolo. Il Dio che si è rivelato a Israele, e che si rivela in Cristo Gesù, non è un Dio che chiede, un Dio di comandamenti…, ma un Dio che dona, un Dio che si dona, che sposa il suo popolo. L’amore è il segreto della vita, è la via per avere la vita: “In questo sta l’amore – ci dice San Giovanni –: Non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati” (1Gv 4,10). E’ proprio per questa iniziativa divina che l’amore di Dio e l’amore del prossimo camminano necessariamente insieme: amiamo proprio perché siamo stati amati per primi: “Tutta la legge trova la sua pienezza in un solo precetto: amerai il prossimo tuo come te stesso…” (Gal 5,14). Ci si illude di amare Dio se non si ama il prossimo, ma ci si illude pure di amare il prossimo se non si ama Dio, perché alla fine non è amore divino, gratuito, ma solo ricerca di sé.

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Nella Chiesa e nel mondo



Egitto: Chiesa cattolica condanna attentati in Sinai

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La Chiesa cattolica in Egitto condanna con forza gli attentati terroristici che ieri hanno provocato la morte di almeno 30 soldati presso un check-point nella penisola del Sinai, a pochi chilometri dal confine con la Striscia di Gaza.

“Nelle circostanze che attraversa la nostra amata Patria” si legge in un comunicato tempestivamente diffuso dal patriarca copto cattolico Ibrahim Isaac Sidrak a nome dell'Assemblea dei patriarchi e dei vescovi delle Chiese cattoliche presenti in Egitto, “mentre poniamo le fondamenta di una nuova tappa piena di speranza e di luce per tutti gli egiziani che aspirano a un futuro migliore, cosa che richiede l'unità tra tutti noi, presentiamo le nostre sentite condoglianze al Presidente della Repubblica Abdel Fattah al-Sisi e a tutte le valorose Forze Armate egiziane”.

Le condoglianze vengono anche presentate alle famiglie dei soldati uccisi, definiti “martiri”, nella certezza che “il sangue dei martiri è seme di progresso e non viene versato invano”. Il comunicato, ripreso dall'agenzia Fides indica la via della concordia e dell'unità nazionale come unico antidoto davanti alle aggressioni terroristiche: “Noi egiziani” si legge nel documento “siamo un solo popolo, uniti con il Presidente e l'esercito egiziano, e tutti siamo disposti a offrirci in pegno per l'Egitto e per ogni granello di sabbia del Sinai”.

L'attentato, realizzato con l'esplosione coordinata di almeno due auto-bomba, rappresenta l'evento più sanguinoso avvenuto nel Sinai da quando è stato deposto il precedente Presidente Mohammed Morsi, esponente dei Fratelli Musulmani. (R.P.)

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Chiesa irachena: fondi per rifugiati sottratti da funzionari corrotti

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Un'inchiesta parlamentare è in corso per verificare e punire fenomeni di corruzione riguardanti i fondi destinati alle famiglie di rifugiati costretti a abbandonare le proprie case davanti all'offensiva dei jihadisti dello Stato islamico. Lo rivelano fonti locali consultate dall'Agenzia Fides. La distrazione di fondi sarebbe opera soprattutto di alcuni funzionari e impiegati del Ministero per l'emigrazione. Alcuni di loro avrebbero applicato tangenti al trasferimento di fondi destinati ai profughi.

Problemi nella gestione dei fondi sono stati ammessi anche dal vice-ministro Salam al-Khafaji, secondo il quale molti membri del personale ministeriale si sarebbero procurati falsi documenti per poter fruire degli aiuti destinati ai rifugiati. In alcuni casi le stesse famiglie destinatarie degli aiuti governativi si sarebbero viste rivolgere richieste di tangenti da parte di funzionari corrotti.

Secondo i dati forniti dal Ministero, a ogni famiglia di sfollati dovrebbe essere corrisposta la cifra di un milione di dinari iracheni (corrispondenti a circa 850 dollari) per poter acquistare beni di prima necessità nella condizione emergenziale in cui si trovano.

"Purtroppo la corruzione in Iraq non è un'eccezione ma la regola, a tutti i livelli” spiega all'agenzia Fides mons. Amel Shamon Nona, l'arcivescovo caldeo di Mosul costretto a trovare rifugio insieme ai suoi fedeli a Ankawa, distretto a maggioranza cristiana di Erbil. “Ma nella situazione in cui ci troviamo" aggiunge l'arcivescovo "il furto grida al cielo, perché si tratta di risorse destinate a povera gente che ha perso già tutto. E spiega perchè qui da noi, nonostante gli annunci, non abbiamo visto ancora arrivare nessun tipo di aiuto concreto da parte del governo centrale”. (R.P.)

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Chiese orientali: vescovi di 20 Paesi a Leopoli

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È stato sua beatitudine Sviatoslav Shevchuk, arcivescovo maggiore di Kyiv-Halyè, ad aprire, ieri, l’annuale incontro dei gerarchi cattolici orientali d’Europa, organizzato a Leopoli dalla Chiesa greco-cattolica Ucraina con il patrocinio del Consiglio delle Conferenze episcopali d’Europa (Ccee). 45 i vescovi presenti, provenienti da 20 Paesi del continente europeo. Il meeting proseguirà fino a domani sul tema “Il ruolo e la missione delle Chiese orientali oggi in Europa”.

Shevchuk - riferisce l'agenzia Sir - ha ricordato la “felice ricorrenza dell’incontro” che si svolge in Ucraina in occasione del 25mo anniversario della legalizzazione della Chiesa greco-cattolica del Paese. Successivamente ha preso la parola, mons. Thomas Edward Gullickson, nunzio apostolico in Ucraina, il quale - riferisce una nota Ccee - ha voluto sottolineare come “il Papa e io, il suo rappresentante, siamo convinti che soprattutto il ruolo dei vescovi orientali nell’universo cattolico va riconosciuto e confermato”.

Riguardo al tema dell’ecumenismo - il tema del contributo delle Chiese orientali cattoliche al cammino ecumenico sarà affrontata nel corso dell’incontro - l’arcivescovo americano ha affermato: “Il Concilio Vaticano II segnalava un punto di arrivo in un processo secolare, un cammino molto sofferto per le Chiese orientali. Allo stesso tempo si trattava di un punto di partenza che solo ora, dopo cinquant’anni, si rivela sempre più importante per ricomporre l’unità della sua Chiesa come voluta da Cristo-Dio”.

In apertura dei lavori è intervenuto anche mons. Mieczyslaw Mokrzycki, arcivescovo latino di Leopoli, che ha portato il “saluto fraterno” della Chiesa di rito latino particolarmente presente in questa parte del territorio ucraino.

Nel suo intervento mons. Dimitrios Salachas, esarca apostolico per i cattolici di rito bizantino in Grecia, ripercorrendo il ruolo e la missione di tali comunità nel movimento ecumenico prima e dopo il Concilio Vaticano II, ha mostrato come quest’ultime hanno contribuito a “l’approfondimento e alla rielaborazione dell’ecclesiologia cattolica nei riguardi delle altre Chiese e comunità ecclesiali, particolarmente facendo conoscere prima del Vaticano II nel cattolicesimo occidentale i tesori delle Chiese ortodosse e il loro patrimonio”. L’esarca ha quindi esortato i confratelli “malgrado le difficoltà, le ostilità e polemiche che subiscono e affrontano in vari Paesi nei rapporti con le Chiese ortodosse” a un forte impegno ecumenico.

Dal canto suo il vescovo rumeno di Oradea-Mare, mons. Virgil Bercea ha affermato che “il cristianesimo non deve ritirarsi nell’ambito privato della religiosità individuale, ma deve essere attivo nel difendere i valori morali, la sacralità della vita, essendo chiamato a lottare contro le deviazioni del mondo contemporaneo che colpiscono la dignità umana e vanno contro il piano di Dio”. (R.P.)

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Bolivia: vescovi con card. Terrazas dopo insulti presidente della Camera

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“E' noto a tutti il percorso del card. Julio Terrazas a favore dei gruppi più poveri del Paese e la sua difesa incondizionata della verità e della giustizia sociale. Come Chiesa, sosteniamo con forza la sua testimonianza di vita e la sua parola profetica e siamo profondamente dispiaciuti per gli insulti e attacchi ingiusti, pervenuti da quanti ignorano il suo impegno”: è quanto si legge in un comunicato della Conferenza episcopale boliviana (Ceb), inviato all'agenzia Fides, in cui si esprime pieno sostegno al card. Julio Terrazas. Il testo, inoltre afferma di “mantenere viva la speranza di una futura visita di Papa Francesco in Bolivia”.

Il testo dei vescovi è stato letto dal segretario della Ceb, mons. Eugenio Scarpellini, che ha respinto al mittente le dichiarazioni di un'alta autorità politica contro la persona del card. Terrazas. Secondo quanto raccolto dai media locali, il presidente della Camera di deputati, Marcelo Elío, dando la notizia di un possibile incontro del Presidente Morales con Papa Francesco nei prossimi giorni, si è rivolto al card. Terrazas, come “persona di destra, un imperialista, che difende un'oligarchia ed è lontano dalla Bibbia”.

“Per quanto riguarda la possibilità che Papa Francesco visiti la Bolivia, abbiamo comunicato precedentemente che la Ceb ha esteso l'invito ufficiale nel maggio 2013 e attualmente si mantiene un dialogo aperto al riguardo”, conclude il comunicato. (R.P.)

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Messico: appello e preghiere per gli studenti rapiti

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Si è conclusa con un appello alla riconciliazione da parte del vescovo di Chilpancingo-Chilapa (Guerrero), mons. Alejo Zavala Castro, e con la sua richiesta ai rapitori dei 43 studenti di “farli tornare vivi”, la marcia-pellegrinaggio svoltasi mercoledì scorso.

La marcia ha avuto inizio dalla "Normal rurale Ayotzinapa", la scuola frequentata dai ragazzi rapiti, e vi hanno preso parte genitori, insegnanti, studenti, membri di congregazioni religiose e abitanti della zona. Dopo quattro ore di cammino, si è conclusa con la celebrazione eucaristica presieduta da mons. Zavala Castro.

Secondo la nota inviata all’agenzia Fides da fonti locali, il vescovo ha così espresso i sentimenti di tutti i partecipanti: "proviamo un dolore profondo per questa scomparsa, e questa Messa è celebrata per chiedere al Creatore che siano in vita, per invitare a vivere nell’armonia e per il rispetto della vita". La Messa è iniziata alle 17 e, per coincidenza, si è conclusa alle 17,56, nello stesso momento in cui, secondo la stampa locale, si diffondeva la notizia che il governatore di Guerrero, Angel Aguirre Rivero, si era dimesso dal suo incarico.

I 43 studenti sono stati rapiti da uomini armati mentre tenevano una conferenza stampa in cui raccontavano l’aggressione subita il 26 settembre. In seguito diversi membri della polizia municipale locale sono stati arrestati perché riconosciuti autori della prima aggressione armata che ha provocato 6 morti e una ventina di feriti. Pochi giorni dopo sono state trovate delle fosse comuni con i corpi di persone assassinate anche dalla polizia municipale.

Padre Alejandro Solalinde, che aveva denunciato “ i ragazzi furono messi su una pila di legna e bruciati vivi" ha aggiunto ierii un nuovo particolare “ fu usato il diesel per dar fuoco alla legna”.

Il sacerdote - riferisce l'agenzia Misna - si è incontrato ieri con il procuratore generale della Repubblica Jesus Murillo Karam che conduce le indagini per consegnare un documento dove quattro testimoni confermano che i ragazzi sono stati bruciati vivi e sepolti in una fossa comune. Non solo ma i testimoni hanno anche tracciato una mappa del luogo dove è possibile ritrovare i corpi bruciati dei ragazzi.

Al termine dell’incontro, il padre Solalinde ha dichiarato che “ coincidiamo all’80% sulle informazione che il giudice già possiede”. (R.P.)

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Domani termina l’ora legale e si torna all’ora solare

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Nella notte tra oggi e domani, esattamente alle 3.00 di domenica mattina, si torna all’ora solare dopo sette mesi di ora legale, ossia dal 30 marzo. Le lancette degli orologi dovranno essere spostate indietro di 60 minuti.

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVIII no. 298

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.