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Sommario del 27/03/2014

Il Papa e la Santa Sede

  • Papa Francesco incontra Obama: colloquio su pace, difesa vita, migrazione e obiezione di coscienza
  • Messa del Papa con i parlamentari italiani: no ai "dottori del dovere", apriamo il cuore a Dio
  • La presidente Boldrini: Papa severo con i politici, li ha invitati ad ascoltare i bisogni di chi non ce la fa più
  • Vescovi Madagascar dal Papa. Intervista col segretario generale della Conferenza episcopale
  • Pubblicato programma del Papa in Terra Santa. Il Patriarca latino di Gerusalemme: sua voce profetica
  • P. Lombardi: preparazione del viaggio in Terra Santa continua come previsto, nonostante tensioni sindacali
  • Il Papa riceve mons. Galantino, segretario generale Cei
  • Tweet del Papa: la Quaresima è un tempo di grazia per convertirsi e vivere in coerenza col Battesimo
  • La Legio Mariae riconosciuta dalla Santa Sede come associazione internazionale di fedeli
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Ucraina, la Timoshenko si candida alla presidenza. Fmi stanzia piano di aiuti per Kiev
  • Egitto: al Sisi scioglie la riserva e si candida alle presidenziali
  • Filippine. Governo e Fronte islamico Moro siglano storico accordo di pace a Mindanao
  • Amnesty: un pugno di Paesi responsabile dell'aumento delle esecuzioni nel mondo
  • "Gender" e scuola. Toccafondi: quei libretti "bypassavano" i genitori
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Filippine: i vescovi elogiano lo "storico accordo di pace" fra governo e ribelli musulmani
  • Siria: il nunzio in Bielorussia esprime solidarietà e vicinanza agli armeni di Kessab
  • Lega Araba: concluso il vertice tra divisioni ed ostilità
  • Filippine: progetti del Pontificio Consiglio dei migranti per i marittimi colpiti dal tifone Haiyan
  • Sud Sudan. Il nunzio: costruire la pace con il dialogo e la democrazia
  • Nigeria: nel Nord-Est è emergenza umanitaria a causa di Boko Haram
  • Kenya: i leader religiosi cristiani e musulmani condannano l’attentato contro la chiesa evangelica
  • Missione Onu in Iraq: senza rispetto delle minoranze non c'è democrazia
  • Sciopero generale in Paraguay: la Chiesa sostiene chi chiede giustizia e solidarietà sociale
  • Cina: la comunità cattolica piange mons. Giuseppe Fan Zhongliang, vescovo di Shanghai
  • Vescovi scandinavi: "Rispettare la sovranità dell'Ucraina. No all'uso delle armi"
  • Slovacchia: i vescovi lodano la proposta di definire costituzionalmente il matrimonio
  • Il Papa e la Santa Sede



    Papa Francesco incontra Obama: colloquio su pace, difesa vita, migrazione e obiezione di coscienza

    ◊   Papa Francesco ha ricevuto stamani in Vaticano il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama. Si tratta del primo incontra tra i due. Obama era stato ricevuto da Benedetto XVI in Vaticano nel luglio 2009. Tanti i temi affrontati nel colloquio durato circa 50 minuti, dalla promozione della pace alla difesa della vita, dai diritti dei migranti all'obiezione di coscienza. Il servizio di Alessandro Gisotti:

    “Welcome”, “Benvenuto”. Papa Francesco ha accolto con la semplicità che lo contraddistingue Barack Obama che, dal canto suo, ha risposto: “Grazie. E’ meraviglioso incontrarla” ed ha aggiunto: “Sono un suo grande ammiratore”. Poi il momento del colloquio privato tra i due, presenti solo gli interpreti. Nella conversazione, durata circa 50 minuti, informa una nota della Sala Stampa Vaticana, c'è stato "uno scambio di vedute su alcuni temi attinenti all'attualità internazionale, auspicando per le aree di conflitto il rispetto del diritto umanitario e del diritto internazionale e una soluzione negoziale tra le parti coinvolte". Nel contesto delle relazioni bilaterali e della "collaborazione tra la Chiesa e lo Stato - prosegue il comunicato - ci si è soffermati su questioni di speciale rilevanza per la Chiesa nel Paese, come l'esercizio dei diritti alla libertà religiosa, alla vita e all'obiezione di coscienza nonché il tema della riforma migratoria". Infine, conclude la nota, "è stato espresso il comune impegno nello sradicamento della tratta degli esseri umani nel mondo".

    Dopo l’incontro privato, Obama ha presentato al Papa i membri della sua delegazione. Quindi, la tradizionale cerimonia dello scambio dei doni: il presidente Usa ha donato una scatola contenente dei semi di frutta e verdura provenienti dall'orto della Casa Bianca per i Giardini Vaticani. Questo dono – si legge in una nota della Casa Bianca – “onora l’impegno” di Papa Francesco “nel seminare i semi della pace globale per le prossime generazioni”. Dal canto suo, Francesco ha donato ad Obama una copia della Evangelii Gaudium e una medaglia - opera dell’artista Guido Veroi - raffigurante l’Angelo della Pace. Obama ha confidato che leggerà l’Esortazione apostolica per avere forza nei momenti di sconforto e, congedandosi, ha chiesto di pregare per lui e la sua famiglia.

    Il presidente degli Stati Uniti era giunto in Vaticano intorno alle 10.15, accompagnato da un lungo corteo di autovetture che ha calamitato l’attenzione dei turisti. Ad accogliere il capo della Casa Bianca - al Cortile di San Damaso, dove sventolava una bandiera a stelle e strisce - è stato mons. Georg Gaenswein, prefetto della Casa pontificia. Nel seguito di Obama anche il capo della diplomazia Usa, John Kerry, che nel gennaio scorso aveva incontrato il cardinale Pietro Parolin. Proprio con il segretario di Stato vaticano, Obama ha avuto un colloquio prima di lasciare il Palazzo Apostolico alla volta del Quirinale.

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    Messa del Papa con i parlamentari italiani: no ai "dottori del dovere", apriamo il cuore a Dio

    ◊   Al tempo di Gesù c’era una classe dirigente che si era allontanata dal popolo, lo aveva “abbandonato”, incapace di altro se non di seguire la propria ideologia e di scivolare verso la corruzione. Lo ha affermato Papa Francesco all’omelia della Messa celebrata questa mattina presso l'Altare della Cattedra in San Pietro, alla presenza di 493 parlamentari italiani. Il servizio di Alessandro De Carolis:

    Interessi di partito, lotte interne. Le energie di chi comandava ai tempi di Gesù erano per queste cose al punto che quando il Messia si palesa ai loro occhi non lo riconoscono, anzi lo accusano di essere un guaritore della schiera di Satana. Ad ascoltare di primo mattino le parole di Papa Francesco nella Basilica Vaticana c’è gran parte del parlamento italiano, compresi nove ministri e i presidenti di Senato e Camera, Pietro Grasso e Laura Boldrini. La prima lettura, tratta dal Libro di Geremia, mostra il profeta dare voce al “lamento di Dio” verso una generazione che, osserva il Papa, non ha accolto i suoi messaggeri e che invece si giustifica per i suoi peccati. “Mi hanno voltato le spalle”, cita Papa Francesco, che commenta: “Questo è il dolore del Signore, il dolore di Dio”. E questa realtà, prosegue, è presente anche nel Vangelo del giorno, quella di una cecità nei riguardi di Dio soprattutto da parte dei leader del popolo:

    “Il cuore di questa gente, di questo gruppetto con il tempo si era indurito tanto, tanto che era impossibile ascoltare la voce del Signore. E da peccatori, sono scivolati, sono diventati corrotti. E’ tanto difficile che un corrotto riesca a tornare indietro. Il peccatore sì, perché il Signore è misericordioso e ci aspetta tutti. Ma il corrotto è fissato nelle sue cose, e questi erano corrotti. E per questo si giustificano, perché Gesù, con la sua semplicità, ma con la sua forza di Dio, dava loro fastidio”.

    Persone, prosegue Papa Francesco, che “hanno sbagliato strada. Hanno fatto resistenza alla salvezza di amore del Signore e così sono scivolati dalla fede, da una teologia di fede a una teologia del dovere”:

    “Hanno rifiutato l’amore del Signore e questo rifiuto ha fatto sì che loro fossero su una strada che non era quella della dialettica della libertà che offriva il Signore, ma quella della logica della necessità, dove non c’è posto per il Signore. Nella dialettica della libertà c’è il Signore buono, che ci ama, ci ama tanto! Invece, nella logica della necessità non c’è posto per Dio: si deve fare, si deve fare, si deve… Sono diventati comportamentali. Uomini di buone maniere, ma di cattive abitudini. Gesù li chiama, loro, ‘sepolcri imbiancati’”.

    La Quaresima, conclude Papa Francesco, ricorda che “Dio ci ama tutti” e che dobbiamo “fare lo sforzo di aprirci” a Lui:

    “In questa strada della Quaresima ci farà bene, a tutti noi, pensare a questo invito del Signore all’amore, a questa dialettica della libertà dove c’è l’amore, e domandarci, tutti: Ma io sono su questa strada? O ho il pericolo di giustificarmi e andare per un’altra strada?, una strada congiunturale, perché non porta a nessuna promessa. E preghiamo il Signore che ci dia la grazia di andare sempre per la strada della salvezza, di aprirci alla salvezza che viene soltanto da Dio, dalla fede, non da quello che proponevano questi ‘dottori del dovere’, che avevano perso la fede a reggevano il popolo con questa teologia pastorale del dovere”.

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    La presidente Boldrini: Papa severo con i politici, li ha invitati ad ascoltare i bisogni di chi non ce la fa più

    ◊   Centinaia i parlamentari presenti questa mattina a San Pietro. Quelle del Papa sono state percepite da loro come un invito ad ascoltare di più le esigenze dei cittadini. Il servizio di Alessandro Guarasci:

    Alla fine in tanti sono rimasti in piedi nello spazio vicino all'Altare della Cattedra. D'altronde non poteva esser diversamente visto che questa mattina in Vaticano è arrivato in pratica mezzo Parlamento e una parte consistente del governo. Tra i ministri anche Marianna Madia che tra qualche giorno partorirà. Le parole del Pontefice hanno sollecitato i politici. La presidente della Camera Laura Boldrini:

    “Un messaggio importante: di non essere impermeabili ai bisogni delle persone, di chi sta male. Oggi il Papa è stato molto efficace. Ha lanciato un monito. Ha detto, appunto, alla classe dirigente di essere capace di interpretare il malessere, il bisogno di chi non ce la fa più. Quindi è un messaggio – secondo me – di straordinaria potenza nella sua semplicità. E’ stato anche un po’ severo, ma penso che ci stava … Non è attraverso il benessere che emerge la qualità della persona: la persona non si valorizza in base alla dichiarazione dei redditi, ma rispetto a quello che è, ai valori che possiede. Quindi, il Papa rimette i valori essenziali della Chiesa al centro, e i fedeli con questo si devono relazionare. Quindi, mi sembra un messaggio straordinario”.

    Per il ministro dell’Interno Angelino Alfano le parole del Papa devono essere tradotte in realtà dalla politica:

    R. - Parole sante che richiamano i comandamenti fondamentali, il dovere dell’ascolto e il dovere di un’apertura di cuore che è la premessa di ogni altra cosa.

    D. - Un’apertura anche verso una politica migliore? Che guardi un po’ più all’interesse comune?

    R. - La politica è buona quando mette al centro non il bisogno individuale di chi la fa ma il bisogno collettivo di chi soffre, del popolo, e quindi la rotta del bene comune.

    D. - Da questo parlamento sta arrivando un segnale in questo senso?

    R. - Io mi auguro proprio di si.

    Sulla stessa linea anche il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Graziano Delrio:

    “Per quanto riguarda me, credo che quello che il Santo Padre ha detto oggi in relazione al fatto di non allontanarsi dal popolo ma di rimanere vicino al popolo e di non chiudersi è un’esortazione molto forte che sentiamo molto. Credo sia una cosa su cui riflettere molto”.

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    Vescovi Madagascar dal Papa. Intervista col segretario generale della Conferenza episcopale

    ◊   Il Papa ha ricevuto stamani i presuli della Conferenza episcopale del Madagascar, in visita “ad Limina”. Il Paese, uno Stato insulare situato nell'Oceano Indiano al largo della costa orientale dell'Africa, conta circa 20 milioni di abitanti, per metà cristiani e metà appartenenti a religioni tradizionali. Dopo anni di instabilità e violenze politiche, dallo scorso dicembre c'è un nuovo presidente. Ma come ha partecipato la Chiesa locale al processo di riconciliazione e come vedono i vescovi il futuro del Paese? Lisa Zengarini ha rivolto queste domande a padre Robert Ndriana, segretario generale della Conferenza episcopale malgascia:

    R. - In Madagascar c’era questa instabilità, ma adesso tutti cercano una soluzione perché ci sia pace e riconciliazione. Ad ogni assemblea plenaria la Conferenza episcopale pubblica una lettera alla Nazione, per trasmettere lo spirito cristiano, educare e sensibilizzare la gente. Inoltre, di recente i vescovi hanno tradotto un volume sulla Dottrina sociale della Chiesa in malgascio perché tutti leggano e riflettano su questi insegnamenti. Come vedono i vescovi il futuro? C’è sempre speranza, perché è vero che c’è molto egoismo, ma ci sono anche tanti cristiani che cercano di aiutare gli altri a superare questo problema.

    D. - Il futuro del Madagascar dipende dai giovani: qual è l’impegno della Chiesa malgascia per educare le nuove generazioni ai valori del Vangelo e quindi della pace?

    R. - Molte congregazioni religiose gestiscono scuole e si adoperano per trasmettere un’educazione cristiana. La scuola è la base dell’educazione dei giovani e dei bambini. Per quanto riguarda i giovani, c’è la Giornata mondiale della gioventù, ma anche la Giornata della gioventù nazionale. Due o tre anni fa si è tenuta una nella diocesi di Diogo e la prossima è prevista nel 2015 nella diocesi di Fianarantsoa. Questa Gmg dà un contributo importante all’educazione dei giovani alla quale la Chiesa tiene molto.

    D. - La Chiesa in Madagascar è anche molto presente nei media. Cosa ci può dire a questo proposito?

    R. - In Madagascar attualmente c’è Radio Don Bosco, ma non solo: quasi ogni diocesi ha aperto una propria emittente e c’è una collaborazione tra tutte le radio cattoliche coordinate da Radio Don Bosco che è importante, perché molte famiglie la ascoltano e dà molto spazio all’educazione dei giovani, ai quali è dedicato, tra l’altro, un programma intitolato “Educazione alla vita e all’amore”.

    D - Il prossimo Sinodo dei vescovi sarà dedicato alla famiglia e all’evangelizzazione. Qual è la situazione della famiglia in Madagascar? Ci sono problemi particolari?

    R. - Sì, i problemi riguardano soprattutto i bambini. Ci sono quasi un milione di bambini che lavorano e sono sottopagati. Il lavoro minorile è di per sé un problema, perché i bambini dovrebbero andare a scuola e giocare, ma in Madagascar lavorano e c’è uno sfruttamento e un maltrattamento incredibile. C’è poi il problema della prostituzione infantile.

    D. - Quali sono i rapporti con le altre Chiese?

    R. - C’è un rapporto molto serio tra le Chiese cristiane: ad esempio c’è la Ffkm (Consiglio delle cristiane Chiese del Madagascar) che riunisce (oltre alla Chiesa cattolica), quella Riformata, gli Anglicani, i Luterani. Le Chiese cercano di fare proposte al Governo e alla gente e di proporre valori condivisi a tutti i malgasci.

    D. - In Madagascar c’è un problema delle sette, come in altri Paesi?

    R. – Sì, le sette sono un problema serio. Se la Chiesa non fa qualcosa per attirare i giovani, per promuovere la catechesi, la liturgia, perché la gente si senta veramente in comunione con Dio, credo che in futuro il problema delle sette diventerà veramente serio. Perché le sette danno soldi, quindi la gente che è molto povera si rivolge ad esse.

    D. - Come è stata accolta dai fedeli l’elezione di Papa Francesco?

    R. - All’inizio i malgasci non conoscevano Papa Francesco, era una persona nuova. Ma adesso che lo conoscono sono molto contenti, perché per loro è aperto, vicino alle gente e, soprattutto i cattolici, seguono sempre l’Angelus per ascoltare le parole del Papa e la sua spiritualità.

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    Pubblicato programma del Papa in Terra Santa. Il Patriarca latino di Gerusalemme: sua voce profetica

    ◊   La Sala Stampa vaticana ha pubblicato oggi il programma ufficiale del viaggio apostolico di Papa Francesco in Terra Santa, dal 24 al 26 maggio prossimi. Il servizio di Giada Aquilino:

    L’occasione è il 50° anniversario dell’incontro a Gerusalemme tra Papa Paolo VI e il Patriarca di Costantinopoli, Atenagora. Era il 5 gennaio 1964. Ora Papa Francesco compie il pellegrinaggio in Terra Santa per commemorare quello storico abbraccio. Amman, Betlemme e Gerusalemme, le tappe del viaggio. Sabato 24 maggio l’arrivo in Giordania, con la cerimonia di benvenuto nel Palazzo Reale Al-Husseini di Amman e la visita di cortesia ai reali di Giordania. Poi l’incontro con le autorità locali, quindi la Santa Messa all’International Stadium della città. Il Papa visiterà anche il Sito del Battesimo di Gesù a Betania oltre il Giordano e, nella chiesa latina, incontrerà i rifugiati siriani e giovani disabili.

    Domenica 25 maggio, dopo il congedo dalla Giordania, l’arrivo a Betlemme, nei Territori palestinesi. A seguire la cerimonia di benvenuto nel Palazzo presidenziale e la visita di cortesia al presidente dello Stato di Palestina, Mahmoud Abbas. Quindi l’incontro con le autorità locali. Il Pontefice celebrerà poi la Santa Messa e la preghiera del Regina Coeli nella Piazza della Mangiatoia. Pranzerà con un gruppo di famiglie palestinesi al Convento francescano di Casa Nova. Subito dopo, è prevista la visita privata alla Grotta della Natività. A seguire, nel Phoenix Center del campo profughi di Dheisheh, il saluto ai bambini lì ospitati, a quelli di Aida e di Beit Jibrin. Termina così la tappa a Betlemme, col trasferimento a Tel Aviv, in Israele. Da qui a Gerusalemme. Quindi, nella sede della Delegazione Apostolica, l’incontro in forma privata col Patriarca Ecumenico di Costantinopoli, Bartolomeo I, e la firma di una dichiarazione congiunta. Poi, nella Basilica del Santo Sepolcro, l’atteso incontro ecumenico in occasione del 50° anniversario dell’abbraccio tra Papa Paolo VI e il Patriarca Atenagora. A seguire la cena coi Patriarchi, con i vescovi e con il seguito papale al Patriarcato latino.

    Lunedì 26 maggio, dopo la visita al Gran Muftì di Gerusalemme nell’edificio del Gran Consiglio sulla Spianata delle Moschee e quella al Muro occidentale, il Papa deporrà dei fiori al Monte Herzl e visiterà il Memoriale dello Yad Vashem. Al Centro Heichal Shlomo, nei pressi della Jerusalem Great Synagogue, il Santo Padre sarà in visita di cortesia ai due Gran Rabbini di Israele. Quindi si recherà nel Palazzo presidenziale per quella al presidente israeliano Shimon Peres. Nel Notre Dame Jerusalem Center, si terrà l’udienza privata al primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu. Dopo il pranzo col seguito, Papa Francesco si trasferirà nell’edificio antistante la chiesa ortodossa di Viri Galileai sul Monte degli Ulivi, per una visita privata al Patriarca Bartolomeo I. Seguirà nella chiesa del Getsemani, accanto all’Orto degli Ulivi, l’incontro con i sacerdoti, i religiosi, le religiose e i seminaristi. Poi, nella sala del Cenacolo, la Santa Messa con gli ordinari di Terra Santa e il seguito, ultimo atto di questo primo pellegrinaggio di Papa Francesco nella terra di Gesù. Infine, il trasferimento da Gerusalemme all’aeroporto internazionale Ben Gurion di Tel Aviv e il congedo dallo Stato di Israele. Il rientro a Roma Ciampino nella tarda serata di lunedì.


    Oggi, a Gerusalemme, il Patriarca latino Fouad Twal ha presentato ai giornalisti il pellegrinaggio del Santo Padre in Terra Santa, che prevede, dunque, anche una tappa in Giordania. Giada Aquilino lo ha intervistato:

    R. – E’ il primo viaggio in Giordania e siamo felici, benché la visita sia breve. Abbiamo un solo atto pubblico in Giordania: una Santa Messa nello stadio di Amman. Verranno tutti i nostri cristiani, con i bambini, e saremo tra i 30 e i 50 mila a festeggiare l’arrivo del Santo Padre. Poi ci sarà, come lui desidera, un incontro con i piccoli rifugiati siriani, simbolo di questa umanità ferita: sarà un incontro con più di 500 bambini. Il giorno dopo, domenica, prenderemo gli elicotteri dalla Giordania fino a Betlemme, dove ci sarà la visita al presidente palestinese e poi la Messa. Questo per noi e per i fedeli sarà un momento molto significativo. Per il Santo Padre, un momento importante sarà quello dell’incontro con il Patriarca ortodosso, nel Santo Sepolcro, e con gli altri Patriarchi – quello armeno, quelli orientali cattolici – che verranno ad assistere e a partecipare. Sarà una bella festa. Tanti amerebbero vedere il Santo Padre anche in Galilea, ma pare che lui questa volta non andrà. Preghiamo e speriamo che ci possa essere un’altra occasione in cui il Santo Padre venga a trovarci.

    D. – Con il viaggio si commemora lo storico abbraccio tra Paolo VI e il Patriarca Atenagora, avvenuto 50 anni fa. Come anticipato, presso la Basilica del Santo Sepolcro si celebrerà l’incontro ecumenico con tutti i rappresentanti delle Chiese cristiane di Gerusalemme, insieme al Patriarca Bartolomeo I di Costantinopoli. Nel cammino ecumenico, che cosa rappresenterà il nuovo incontro?

    R. – Un nuovo slancio, un nuovo appello, un invito a questa comunione, a questa unità dei cristiani. Ricordo che nel ’64 ci fu grande entusiasmo fra tutti i cristiani per questo movimento ecumenico. Abbiamo fatto progressi, ma siamo rimasti separati. C’è una comunione, c’è una collaborazione a livello istituzionale, in Terra Santa, in Giordania e Gerusalemme, con le nostre scuole, gli ospedali, la Caritas. La comunione, però, l’unità completa, secondo il desiderio del Signore Gesù, non è ancora stata realizzata. Però vivremo lo stesso entusiasmo, gioia, incoraggiamento, speranza. Continuiamo a pregare, continuiamo a lavorare, continuiamo a vivere questa unità nelle nostre istituzioni cattoliche latine, del Patriarcato Latino, in tante scuole, in tanti ospedali ed in tante opere buone di carità, per tutti, senza distinzioni. In un certo senso, io dico che tutti i cristiani sono miei: che siano ortodossi o armeni non cambia niente di fronte a Dio e alla storia.

    D. – I cristiani di Terra Santa soffrono le condizioni di vita particolarmente difficili, che spesso li inducono ad emigrare. Cosa si attendono questi fedeli dalla visita del Papa?

    R. – Oggi come oggi tutto il Medio Oriente soffre. Speriamo, siamo certi, che il Santo Padre ci darà una parola d’incoraggiamento, per confermarci in questa fede. Quanto costa la fede qui? Per avere fede qui, bisogna pagarne il prezzo, costa. Non dimentichiamo che prima di noi, anche il Signore ha pianto! Continuiamo a pregare, a piangere, ad accogliere i pellegrini: che siano tutti benvenuti, che si sentano a casa. Però la situazione è quella che è. Ma non perdiamo mai la speranza: il Signore ci ama e ci incoraggia.

    D. – E le attese nelle altre comunità? Quella ebraica, quella musulmana…

    R. – Per fortuna tutti pensano che il Santo Padre sia loro amico. E va da sé che qualsiasi discorso, qualsiasi parola per una maggiore giustizia, per una maggiore dignità, per una maggiore collaborazione avrà indirettamente una dimensione politica.

    D – Quale impulso potrà dare il viaggio di Papa Francesco ai negoziati di pace tra israeliani e palestinesi?

    R. – Dobbiamo aspettare un poco per vedere le reazioni sui giornali, le voci. Non dobbiamo anticipare e bruciare le tappe.

    D. – In Siria si sono ormai superati tre anni di guerra. Il Papa più volte ha levato la sua voce, la sua preghiera per la pace, per le popolazioni colpite dal conflitto. Il Patriarcato di Gerusalemme è impegnato nell’accoglienza e nella solidarietà per i profughi siriani. Lei ha ricordato che ci sarà una tappa in Giordania. Come il Papa incontrerà questi profughi?

    R. – Incontrerà questi profughi in Giordania, ma non tutti, solo i bambini. Abbiamo, infatti, un milione di profughi. I bambini rappresenteranno tanti campi, perché ormai non c’è più un solo campo in Giordania. I siriani sono su tutto il territorio giordano, fino al Sud, per cercare lavoro, vita, dignità. Preghiamo anche per questa pace. Ricordiamo la volta in cui il Santo Padre ha chiamato tutto il suo “esercito” di fedeli per pregare per la pace e ha fermato una guerra, un attacco militare, che era certo, sicuro. E con la preghiera di tanti fedeli, grazie a Dio, non ha avuto luogo.

    D. – In queste settimane, la Santa Sede ha confermato il viaggio del Papa, dopo che i media internazionali avevano parlato di difficoltà, addirittura di cancellazione, per gli scioperi in Israele del servizio diplomatico e dei dipendenti del ministero degli Esteri...

    R. – Quel viaggio non è mai stato cancellato. Si trattava di ipotesi di alcuni giornalisti. Questo sciopero - che continua, per la verità, non è finito - certamente influirà un po’ sulla preparazione, ma il viaggio si farà. Speriamo che questo sciopero abbia fine e che anche Israele e gli israeliani abbiano la gioia di accogliere il Santo Padre. Speriamo bene.

    D. – E allora dopo le visite di Paolo VI, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, Papa Francesco come potrà confermare i fratelli di Terra Santa nella fede?

    R. – Tocca a noi saper approfittare al massimo di questa bella voce profetica. E’ un padre che viene a pregare per noi, con noi, un padre che ama la preghiera, che ama la pace, che ama l’unità dei cristiani, che ama il dialogo. Verrà a sottolineare questi valori cristiani.

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    P. Lombardi: preparazione del viaggio in Terra Santa continua come previsto, nonostante tensioni sindacali

    ◊   Il direttore della Sala Stampa vaticana, padre Federico Lombardi, interpellato dai giornalisti, ha detto che, “come appare dalla pubblicazione questa mattina del programma del viaggio del Santo Padre in Terra Santa, la preparazione del viaggio sta continuando come previsto. Si è consapevoli che in Israele – ha affermato - vi è una situazione di tensione sindacale, ma si auspica che si possano riprendere al più presto i contatti formali con le autorità competenti per l’adeguata preparazione della visita del Papa”.

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    Il Papa riceve mons. Galantino, segretario generale Cei

    ◊   Il Papa ha ricevuto in udienza mons. Nunzio Galantino, da lui nominato segretario generale della Cei ad quinquennium.

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    Tweet del Papa: la Quaresima è un tempo di grazia per convertirsi e vivere in coerenza col Battesimo

    ◊   Papa Francesco ha lanciato oggi un tweet dal suo account @Pontifex: “La Quaresima è un tempo di grazia, un tempo per convertirsi e vivere in coerenza col proprio Battesimo”.

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    La Legio Mariae riconosciuta dalla Santa Sede come associazione internazionale di fedeli

    ◊   Oggi, presso la sede del Pontificio Consiglio per i Laici, mons. Josef Clemens, segretario del dicastero, ha consegnato il decreto con cui la Legio Mariae viene riconosciuta quale associazione internazionale di fedeli e attraverso il quale si approvano gli statuti di questa realtà ecclesiale.

    Nata nel 1921 a Dublino, in Irlanda, per iniziativa di un gruppo di poche persone sotto la guida di Frank Duff, funzionario del Ministero delle Finanze e poi segretario privato del ministro della Difesa irlandese, questa storica associazione ha visto, nei suoi 93 anni di storia, una capillare diffusione nel mondo. Attraverso la formazione di migliaia di gruppi in tutti i Continenti si è diffusa l’identità propria della Legio Mariae, fortemente radicata nella spiritualità mariana e nell’affidamento allo Spirito Santo, che propone ai propri membri, quali obbiettivi prioritari, la propria santificazione e la partecipazione alla missione evangelizzatrice della Chiesa attraverso l’impegno in tanti apostolati al servizio dei poveri e dei sofferenti e di coloro che sono lontani dalla fede.

    Nel suo discorso, mons. Clemens ha sottolineato che la Legio Mariae è un segno tangibile di come lo spirito missionario dei laici, “spesso vissuto unitamente agli impegni quotidiani nella famiglia e nell’attività lavorativa, può andare di pari passo con una profonda comprensione della chiamata alla santità ricevuta per mezzo del Battesimo”. “L’intera storia della Legione di Maria – ha detto il presule - è una meravigliosa testimonianza di fede: fede nell’onnipotenza di Dio, fede nella forza della preghiera a Maria”. Mostra come “le preghiere a Maria pronunciate con fede hanno sempre ottenuto risposta”. “Già dai suoi umili inizi la Legione di Maria – ha ricordato mons. Clemens - è stata una viva testimonianza di quanto Dio può operare attraverso cuori umili”. “Nel 1921 Frank Duff – ha proseguito - ebbe l’intuizione di formare una schiera spirituale di servi devoti alla Vergine, portando Maria al mondo e attraverso Lei il mondo a Gesù. E’ stata una vera intuizione profetica”.


    Su questo importante evento sentiamo il commento di Philip Milligan, responsabile dell'Ufficio giuridico del Pontificio Consiglio per i Laici, al microfono di Stefano Leszczynski:

    R. – L’importanza di questo tipo di riconoscimento a livello internazionale sta nel fatto che viene dalla Santa Sede ed è un modo per la Chiesa, a livello internazionale, dunque la Chiesa universale, di dire a tutti i fedeli che l’intuizione della Legione di Maria, il carisma che porta la Legione di Maria, è un bene per tutta la Chiesa.

    D. – Nei documenti, che sono stati preparati, si sottolinea l’importanza del ruolo dell’evangelizzazione di questo tipo di associazioni...

    R. – E’ interessante vedere che la Legione di Maria, nata negli anni ’20, quando si parlava poco del dovere del battezzato laico di evangelizzare attraverso il proprio modo di vivere la vita cristiana, ha capito in anticipo questo ruolo. Per loro, dunque, è un ruolo che serve a trasformare la società, tramite l’evangelizzazione diretta. Non è principalmente, la Legione di Maria, un’opera sociale che aiuta materialmente le persone: aiuta le persone, ma le aiuta attraverso la ricerca del bene dell’anima. E’ sempre stato il loro modo di vivere quotidiano. E l’appartenenza a questa associazione è l’evangelizzazione.

    D. – E’ molto interessante vedere come si sia sviluppato il ruolo dei laici nell’ambito della Chiesa e quanto questa associazione riesca a dimostrare la compatibilità tra la vita del laico, con una famiglia, con impegni lavorativi, e allo stesso tempo il vivere la missione della Chiesa...

    R. – La Legione di Maria è stata abbastanza profetica, si deve dire questo: ha capito che la coerenza della vita cristiana significa annunciare in modo diretto alle persone che ci stanno intorno il Vangelo e avere una vita degna di questo annuncio.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   La strada giusta: la Messa celebrata da Papa Francesco per un gruppo di parlamentari ed esponenti del Governo italiano.

    L'udienza al presidente degli Stati Uniti, Barack Obama.

    In pericolo un milione di sudsudanesi: fame e malattie minacciano sfollati e rifugiati.

    Mano tesa all’Ucraina: il Fondo monetario internazionale annuncia un sostanzioso pacchetto di aiuti.

    Il Colloquio tra Kerry e re Abdullah di Giordania sui negoziati di pace israelo-palestinesi.

    La Lega araba chiede una soluzione politica in Siria.

    Missione dell’Unasur in Venezuela.

    Articolo di Mario Ponzi con un bilancio del viaggio del cardinale Sarah in Guatemala.

    Se aveva mal di denti risolveva problemi: Giovanni Cerro commenta «Vita di Pascal» di Madame Périer.

    E la Bibbia arrivò sulla Luna: Cesare Pasini sull'apertura della mostra «Verbum Domini» al Braccio di Carlo Magno.

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    Oggi in Primo Piano



    Ucraina, la Timoshenko si candida alla presidenza. Fmi stanzia piano di aiuti per Kiev

    ◊   In Ucraina l'ex primo ministro Julia Tymoshenko, uscita di prigione il mese scorso dopo la caduta del presidente Yanukovich, fa sapere che si candiderà alle presidenziali di maggio. Due volte premier, ha già corso nel 2010 ma è stata battuta di poco da Yanukovich. Subito dopo, l'accusa di corruzione in un affare di gas e l'arresto nel 2011. Intanto, il Fondo monetario internazionale (Fmi) promette all'Ucraina, ormai in recessione, un piano di aiuti compreso fra i 14 e i 18 miliardi di dollari. Dell’importanza delle misure e del ruolo anche di Bruxelles nel sostegno a Kiev, Fausta Speranza ha parlato con Carlo Altomonte, docente di politiche economiche all’Università Bocconi:

    R. – Il Paese è di nuovo in recessione e ha sperimentato un deflusso di capitali, ha una crisi di bilancia commerciale e un costo di importazioni maggiore a quello delle esportazioni, la valuta si sta indebolendo: siamo a una classica crisi dell’economia emergente. E, ovviamente, il fatto che sia venuto meno anche il sostegno o l’implicito sussidio al prezzo dell’energia da parte della Russia peggiora le cose.

    D. – Gli aiuti del Fondo monetario internazionale in questa fase: quali obiettivi e quali possibilità, secondo lei?

    R. – Sono sostanzialmente i classici aiuti di stabilizzazione che consentono al Paese stesso di superare la crisi finanziaria, di avere accesso alle risorse che servono per pagare i debitori internazionali e quindi evitare un default e poi rimettere in piedi un programma di consolidamento e di recupero della competitività, sullo stile di quello che abbiamo fatto noi in Grecia o in Portogallo o in Spagna, o che si è fatto in passato per le crisi asiatiche. Quindi, diciamo che da questo punto di vista, tutto come da programma tradizionale del Fondo.

    D. – L’Unione Europea ha firmato l’accordo politico per il processo di adesione. Ma dal punto di vista economico, a questo punto, quali sono i rapporti e quali possono essere gli sviluppi?

    R. – L’accordo di associazione che si sta definendo, e che poi prevederà la clausola di adesione, prevede una clausola di libero scambio: quindi, sostanzialmente andranno abolite tutte le restrizioni commerciali e le tariffe al libero scambio tra l’Unione Europea e l’Ucraina. Questo consente ai beni ucraini di avere liberamente accesso al mercato europeo e, viceversa, ai nostri investitori di andare in Ucraina protetti dalle regole europee. Quindi, come è già capitato per i Paesi dell’Europa dell’Est – Polonia, Romania e Bulgaria eccetera – questo dovrebbe sicuramente favorire nel medio periodo lo sviluppo del Paese. Da un punto di vista politico, evidentemente, noi stiamo ora stringendo accordi molto stretti con un Paese che poi potrebbe diventare Stato membro e quindi stiamo spostando il confine dell’Unione Europea potenzialmente dentro, nel cuore della Russia. E questa, evidentemente, è una questione politica molto, molto delicata.

    D. – Professore, proviamo a vederla dal punto di vista del cittadino ucraino: a questo punto, il primo provvedimento è che gli aumenta il prezzo del metano in casa del 50%. E’ così?

    R. – Sicuramente sì, nel breve periodo, ma questo gli consente anche di avere una prospettiva superiore di sviluppo e di crescita nel medio, perché è evidente che un prezzo della crisi ucraina dipende dallo status abbastanza strano del Paese, compresso tra l’Unione Europea e la Russia, quindi in assenza di un proprio destino, se vogliamo.

    D. – In questa fase, le politiche economiche quanto determinano anche il futuro status geopolitico di quell’area?

    R. – Secondo me, non tanto. Nel senso che in questa fase, quello che occorre è stabilizzare il Paese, garantirgli un minimo di crescita e di prosperità. Però, il Paese resta un Paese molto diviso, tra Est e Ovest: a est dell’Ucraina si parla russo e a ovest dell’Ucraina invece si parla ucraino e si guarda con interesse all’Europa; a est non è così. Quindi, secondo me, l’Unione Europea – nel caso Ucraino – deve stare molto attenta a non accelerare troppo il processo, un po’ come è stato fatto – se vogliamo – nel caso delle ex Repubbliche jugoslave, proprio per impedire che, nonostante il benessere economico e nonostante la crescita economica, questa cosa possa però fare gestire in maniera non adeguata le situazioni politiche interne. Secondo me, la prospettiva di adesione è una prospettiva di medio termine: dobbiamo aspettare che il libero mercato, la crescita e l’economia attenuino le tensioni etniche e nazionali all’interno del Paese.

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    Egitto: al Sisi scioglie la riserva e si candida alle presidenziali

    ◊   “Tendo la mano a tutti gli egiziani, non abbiamo conflitti con nessuno”. Lo ha affermato Abdel Fattah al Sisi in un discorso alla tv, dove ha annunciato la sua candidatura alle presidenziali in Egitto, dimettendosi dalla carica di ministro della Difesa e capo delle Forze armate. Intanto, nel Paese continua il pugno duro contro i Fratelli musulmani. il servizio di Massimiliano Menichetti:

    “Tutti siamo uguali davanti alla legge e alla giustizia che hanno un ruolo fondamentale nell'avvenire del Paese”. Sono le parole del feldmaresciallo, Abdel Fattah Al Sisi, uomo forte dell’Egitto, che ieri si è dimesso dagli incarichi di ministro della Difesa e capo delle forze armate, dando avvio così alla campagna elettorale che lo vede adesso candidato per le prossime presidenziali. Le consultazioni si terranno entro l’estate. Al Sisi ha ribadito la volontà di dialogo tra le parti e di continuare a combattere il terrorismo. La candidatura, salutata con favore dalla maggioranza della popolazione, viene definita da Mohamed el Khatib, esponente dei Fratelli Musulmani, la "conferma che ciò che è avvenuto lo scorso luglio, ovvero un colpo di Stato". E nel Paese intanto è pugno duro con i sostenitori del deposto presidente Morsi, esponente della Fratellanza. Ieri, all’Università del Cairo uno studente è morto, colpito da un proiettile alla gola, mentre contestava insieme ad altri il governo e le 529 condanne a morte inflitte nei giorni scorsi ai Fratelli musulmani da un tribunale dell'Alto Egitto. Una sentenza definita da molti di “massa”, che preoccupa anche gli Stati Uniti. Il segretario di Stato Usa, John Kerry, ha esortato “le appropriate autorità a porre rimedio alla situazione". Intanto, ieri altri 919 sostenitori di Morsi sono stati rinviati a giudizio per gli scontri Al Cairo avvenuti il 14 agosto scorso.

    Per un'analisi della situazione in Egitto, il commento di Massimo Campanini docente di Storia dei paesi islamici all’Università di Trento:

    R. – Credo si tratti della logica conclusione del ritorno dei militari in politica. Anche se al Sisi ha rinunciato alle sue cariche, sia civili che militari, comunque rimane l’uomo di punta dell’esercito e quindi governerà – perché sicuramente verrà eletto – in nome degli interessi dell’esercito. Questo vuol dire che la rivoluzione egiziana non è più rimasta tale. L’involuzione di questo processo ha visto ritornare al potere forze simili a quelle dell’epoca di Mubarak. Tra l’altro, è curioso che parlando di libertà e giustizia, il maresciallo al Sisi abbia sostanzialmente parafrasato il nome del partito dei Fratelli musulmani – Giustizia e Libertà… Quindi, le parole d’ordine sembrano quasi ripetute, in assenza però di una vera libertà e di un confronto democratico, in cui le posizioni della Fratellanza musulmana sono state duramente represse.

    D. – Proprio nei confronti dei Fratelli musulmani si sta usando il pugno duro: oltre mille persone rinviate a giudizio, 529 condanne a morte. Questo non rischia di far esplodere di nuovo in Egitto una situazione di fortissima tensione, oltre quella che già c’è?

    R. – E’ ormai dato scontato che le repressioni alimentino la radicalizzazione. Questo potrebbe evidentemente trascinare il Paese in una situazione di guerra civile potenziale, che potrebbe essere estremamente pericolosa non solo per l’Egitto in quanto tale, ma per tutta la geopolitica del Medio Oriente.

    D. – Ma questa sentenza a morte nei confronti di 529 persone appartenenti ai Fratelli musulmani secondo lei è più un’affermazione di principio o esiste il rischio che venga eseguita?

    R. – Io non credo che la sentenza venga applicata. Sarebbe uno schiaffo dato non solo alla democrazia, ma a tutti gli equilibri internazionali. Però, è chiaro che attraverso queste condanne a morte i militari hanno voluto sottolineare il loro ruolo centrale nell’amministrazione dell’Egitto e hanno voluto definitivamente emarginare quelli che avrebbero potuto essere i loro più pericolosi avversari.

    D. – Secondo lei, la Fratellanza musulmana riuscirà a riorganizzarsi politicamente? In questo momento, lo ricordiamo, è fuorilegge…

    R. – Secondo me, sì, comunque. Perché la Fratellanza musulmana ha una struttura di organizzazione interna molto solida, di tipo piramidale. E poi, non bisogna dimenticare che comunque i legami, le radici popolari che aveva la Fratellanza musulmana non possono essere recisi così, ex abrupto, da una condanna di massa. Quindi, prima di dare per morto il Movimento della Fratellanza musulmana, aspetterei di vedere il futuro. Certamente le difficoltà di riorganizzazione, di partecipazione politica, saranno molto gravi e, come dicevo prima, un rischio di radicalizzazione, di estremizzazione è sempre inerente in una situazione di questo genere.

    D. – Ma secondo lei, la comunità internazionale in questo momento dovrebbe intervenire in qualche modo?

    R. – Come abbiamo escluso la Russia dal G8, bisognerebbe cercare di imporre ai militari al potere in Egitto e ad al Sisi di garantire veramente una transizione democratica, cosa che a breve termine non sembra possibile.

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    Filippine. Governo e Fronte islamico Moro siglano storico accordo di pace a Mindanao

    ◊   Evento storico oggi nelle Filippine: è stato firmato a Manila l’accordo di pace a Mindanao tra il governo filippino e il Fronte di liberazione islamico Moro, opposti da un conflitto quarantennale, per l’indipendenza della regione nel sud del Paese a maggioranza musulmana. L’intesa – che giunge dopo annose trattative – è stata mediata dalla Malysia e da un Gruppo di contatto, formato da quattro organizzazioni internazionali, interpreti degli interessi della società civile. Tra queste, la Comunità di Sant’Egidio. Roberta Gisotti ha raggiunto via telefono a Manila il delegato, Alberto Quattrucci:

    D. – Come si è arrivati a chiudere l’accordo dopo 17 anni di difficili negoziati?

    R. – In realtà, sono 40 anni di conflitti. Questo è il terzo negoziato dopo quello del ’96 e del 2008. Round dopo round, siamo arrivati alla firma finale di questo "Framework Agreement".

    D. – Quali sono i punti principali dell’accordo?

    R. – Molti riguardano il problema della territorialità, delle zone, delle acquea, il problema economico, dello sfruttamento delle risorse naturali. Il problema della definizione di questa realtà autonoma – non indipendente ma autonoma – di Bangsamoro, fino ad arrivare al discorso dell’esercito, della sicurezza e quello della normalizzazione, ovvero di come smantellare i sei campi militari e di come pian piano, attraverso vari comunicati di sicurezza – in un arco di tempo che va da quest’anno fino al 2016 – si possa arrivare alle libere elezioni di un parlamento locale di 50 membri di Bangsamoro. Il territorio di questa realtà autonoma è ancora da delimitare e sarà definito attraverso un plebiscito che verrà fatto nelle varie province probabilmente nel maggio del 2015.

    D. – Quanto ha contato il gruppo di contatto per arrivare alla firma dell’accordo ed in particolare qual è stato l’impegno della Chiesa cattolica?

    R. – Nella mia esperienza ha contato molto. Noi di Sant’Egidio abbiamo alle spalle 18 negoziati fatti negli ultimi 30 anni e che, tutto sommato, rivelano oltre a una preparazione tecnica – sempre importante e fondamentale per capire le diverse situazioni ed il linguaggio che viene usato – conta molto anche il rapporto personale, il clima, il sostegno, il convincimento e la fiducia reciproca, perché “chiacchierare” in un clima di fiducia è molto importante. Dallo scorso anno, ho vari esempi in cui si sono rasentati momenti di crisi tra i due gruppi perché non ci si metteva d’accordo su di una parola o su di un’espressione… In questo senso, il nostro lavoro – soprattutto di qualche realtà del gruppo di contatto – è stato proprio quello di parlare loro, nei momenti di intervallo, e spiegare le varie situazioni. Tante volte ci è stato chiesto di scrivere un testo che potesse rispettare ambo le parti ed essere approvato per sciogliere una situazione di difficoltà. Quindi, devo dire che è stato un lavoro utile ed interessante che, grazie al cielo, alla fine ha portato a un’intesa abbastanza completa per questa parte. Con questo accordo di oggi, si assicura che il governo riconosca l’esistenza di Bangsamoro, questa realtà autonoma senza ancora né confini né una sua Costituzione e che ovviamente non può andare contro la costituzione delle Filippine. Inoltre, c’è tutto il discorso delle elezioni e del consenso. È un lavoro lungo quello da fare, perché questo non è un accordo finale ma un accordo iniziale. D oggi, forse, è possibile davvero cominciare a costruire la pace.

    D. – Un accordo oggi sulla carta che presuppone da domani - in una parola - “cosa” perché possa realizzarsi nei fatti?

    R. – Da domani, innanzitutto, presuppone di seguire le cose scritte e metterle in pratica. Controllare quindi, passo dopo passo, lo sviluppo, l’ampliamento e il consenso intorno a questo accordo di tantissimi altri gruppi minoritari che non entrano nell’accordo. Oggi, il Milf (Moro Islamic Liberation Front) riguarda una media parte di Mindanao ma qui si spara ancora. Non si spara nelle zone di Bangsamoro, ma si spara in altre zone. In queste realtà ho fatto incontri su incontri, riunioni su riunioni con gruppi minoritari di tutti i tipi – dai gruppi religiosi e politici, ma anche gruppi di ribelli – in cui spiegavo che la pace può essere un guadagno per tutti ma a questo discorso bisogna ancora arrivare. Stiamo preparando una conferenza di dialogo interreligioso, includendo la società civile e i gruppi politici, anche quelli di minoranza, il 6 ed il 7 giugno a Cotabato, insieme al cardinale Quevedo, eletto da poco dal Papa. Con lui stiamo lavorando su questo tema del dialogo interreligioso e del dialogo interculturale per provare a creare fiducia e consenso. Il lavoro è ancora molto lungo.

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    Amnesty: un pugno di Paesi responsabile dell'aumento delle esecuzioni nel mondo

    ◊   Sono stati 22 i Paesi che nel 2013 hanno registrato esecuzioni, uno in più rispetto al 2012. Inoltre, Indonesia, Kuwait, Nigeria e Vietnam hanno ripristinato l’uso della pena di morte. Nonostante questo, però, il rapporto di Amnesty International presentato oggi sottolinea come la tendenza mondiale sia diretta verso l’abolizione della pena capitale. Servizio di Francesca Sabatinelli:

    Sono soltanto una manciata di Paesi, ma sono quelli dove oggi si concentra la maggior parte delle esecuzioni: “omicidi di stato” come li definisce Amnesty. Di contro, ci sono intere parti del mondo: Europa, Asia Centrale, Oceania, le Americhe, esclusi gli Stati Uniti, dove non si ricorre alla pena di morte. E’ questo che ci dice il Rapporto sulla pena di morte nel mondo di Amnesty International che nel 2013 ha certificato 778 esecuzioni, un centinaio in più rispetto al 2012. A guidare la lista continua ad essere la Cina, seguita da Iran, Iraq, Arabia Saudita, Usa e Somalia. E a determinare l’aumento delle condanne a morte sono stati proprio Iran e Iraq. Riccardo Noury, portavoce di Amnesty Italia:

    In Iran abbiamo avuto centinaia e centinaia di esecuzioni. Quelle registrate da Amnesty International sono 369, ma secondo fonti attendibili il totale effettivo potrebbe oscillare intorno alle 700 esecuzioni. In Iraq, NeL 2013, c’è stato un aumento dell’uso della pena di morte, con almeno 169 esecuzioni.

    La Cina, si legge nel rapporto, ha continuato a mettere a morte più persone del resto del mondo messo assieme, ma ancora oggi, per via del segreto di Stato, è impossibile ottenere informazioni realistiche:

    Non si conoscono i numeri precisi ed è inutile darli perché sarebbe veramente un ‘dare i numeri’. Noi stimiamo - e con noi altre organizzazioni che sono contro la pena di morte - che ogni anno ci siamo migliaia di esecuzioni in Cina e che quindi la Cina sia il Paese che continua a mettere a morte più persone di tutto il resto del mondo. Quello che sappiamo è che ci sono stati piccoli segnali di progresso: l’introduzione di nuove norme riguardanti i processi per reati punibili con la pena capitale; l’annuncio della Corte suprema con il quale è stata posta fine a quella barbara pratica di espiantare gli organi dei prigionieri al termine dell’esecuzione, ovviamente senza il loro consenso e senza quello dei familiari.

    Negli Stati Uniti le esecuzioni nel 2013 sono state 39 in nove Stati, 4 in meno dell’anno precedente. Oltre a questo calo si registra la scelta del Maryland di diventare il 18mo stato abolizionista, nonché il picco minimo in 40 anni di consenso popolare alla pena capitale:

    Siamo ottimisti perché è vero, il consenso nei confronti della pena di morte sta calando, il numero delle esecuzioni si concentra sempre di più in alcuni Paesi, consideriamo che il 41% delle 39 esecuzioni avvenute negli Stati Uniti nel 2013 ha avuto luogo in Texas, gli Stati della federazione diventati abolizionisti sono 18 e c’è un dibattito profondo negli Stati Uniti che darà luogo forse ad un ripensamento complessivo sull’uso della pena capitale, legato al fatto che con il rifiuto da parte delle aziende farmaceutiche europee di fornire una delle tre sostanze utilizzate nella iniezione di veleno, molte esecuzioni vengono sospese e quelle che hanno luogo avvengono al termine di veri e propri esperimenti su esseri umani. Quindi viene chiamata in causa anche la Corte Suprema che, ci si aspetta e si spera, possa prendere la parola e dire che mescolare farmaci un po’ a casaccio, scegliere nuovi protocolli di esecuzione mai sperimentati, potrebbe costituire una pena inusuale dunque contraria all’ottavo emendamento della Costituzione.

    Nell’Africa subsahariana sono stati cinque i Paesi ad eseguire condanne a morte: Botswana, Sud Sudan, Nigeria, Somalia e Sudan, con il 90% delle esecuzioni registrato in questi ultimi tre Paesi:

    Due fatti negativi dell’Africa del 2013 sono questi: la ripresa delle esecuzioni in Nigeria dopo sette anni e l’aumento profondo delle esecuzioni in Somalia che sono passate da 6 ad almeno 34. Però, non ci sono altri dati negativi. C’è invece il fatto che Benin, Ghana, Sierra Leone hanno fatto registrare passi avanti importanti o attraverso emendamenti al Codice Penale o modifiche costituzionali in vista dell’abolizione della pena di morte.

    Amnesty pur esprimendo forte preoccupazione per la sentenza del Tribunale egiziano di Minya, che il 24 scorso ha condannato a morte 529 sostenitori di Morsi per il loro presunto ruolo nelle violenze seguite alla deposizione dell’ex presidente, e nonostante l’aumento del numero di esecuzioni nel 2013, sottolinea la decisa diminuzione del numero di Paesi che hanno usato la pena di morte, che nel 2004 erano 25 ed oggi, a distanza di dieci anni, sono scesi a 22.

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    "Gender" e scuola. Toccafondi: quei libretti "bypassavano" i genitori

    ◊   Alle elementari “dovremo sperimentare classi di 'solo inglese' e 'solo francese', dove alcune materie saranno insegnate esclusivamente nella lingua straniera”. Lo ha affermato il ministro dell’Istruzione, Stefania Giannini. Intant,o non si placa la polemica sui corsi e gli opuscoli sulla teoria del genere che dovrebbero essere distribuiti nelle scuole. Alessandro Guarasci ha sentito il sottosegretario all’Istruzione, Gabriele Toccafondi:

    R. - Ciò che entra nelle scuole, riguardo l’educazione dei ragazzi, passa e deve passare attraverso la conoscenza responsabile dei genitori. Rispetto a questo punto, che ho ribadito e che ribadisco oggi, sono stato definito omofobo, oscurantista. Mi sembra che qualcuno si sia particolarmente irrigidito rispetto a una questione, secondo me, di pura ragionevolezza.

    D. - Che succederà con questi opuscoli? Saranno rivisti? Saranno introdotti nelle scuole per come li conosciamo su Internet? Insomma, che cosa darà il Ministero dell’istruzione?

    R. - Questo va chiesto anche al ministro. Mi sembra che non possa entrare nelle nostre scuole, nell’educazione dei nostri ragazzi, qualcosa che non sia rivisto dal Ministero e soprattutto qualcosa che non sia a conoscenza dei genitori. I libretti sull’educare alla diversità, secondo me, avevano questo di sbagliato: bypassavano, oltre il Ministero di Viale Trastevere, soprattutto - e sottolineo questo aspetto - i genitori. Questo è quello che secondo me ha fatto anche naufragare lo stesso progetto editoriale, visto che da Internet ne sono state scaricate solo 40 copie.

    D. - A inizio anno scolastico, ha fatto anche un po’ di polemica la dicitura “Genitore 1”, “Genitore 2”, sotto lo scarico di responsabilità che poi viene dato alle famiglie. Insomma, molte scuole sono andate un po’ a caso. Serve, anche su questo, una direttiva del Ministero?

    R. - È dipeso dalla volontà delle singole direzioni, anche delle scuole. Su questo aspetto, però, più che una direttiva, più che una circolare, fa il buonsenso, la ragione. Sembra sia del tutto ragionevole ribadire che ogni figlio ha un padre ed una madre. Se tutti noi partiamo dalla semplicità e dalla realtà, con l’uso della ragione ci potremmo evitare quella che io chiamo “la battaglia ideologica” all’interno delle nostre scuole.

    D. - C’è bisogno di rafforzare la parità scolastica tra scuole statali e non statali?

    R. - Siamo uno degli ultimi Paesi - forse insieme alla Grecia - a non avere una vera parità scolastica. L’istruzione pubblica italiana si regge su due gambe: quella statale con oltre otto milioni di alunni e di ragazzi, e quella non statale con un milione di alunni e di ragazzi. Se crolla una delle due gambe, crolla tutto il sistema scolastico nazionale.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Filippine: i vescovi elogiano lo "storico accordo di pace" fra governo e ribelli musulmani

    ◊   La Conferenza episcopale filippina (Cbcp) plaude alla firma dell'accordo di pace fra governo e Moro Islamic Liberation Front (Milf); la cerimonia è avvenuta oggi a Manila e può mettere la parola fine a una delle più lunghe (e sanguinose) guerre separatiste del continente asiatico. Il presidente Cbcp e arcivescovo di Lingayen-Dagupan mons. Socrates Villegas - riferisce l'agenzia AsiaNews - sottolinea che l'atto compiuto oggi è "una pietra miliare" nel processo di pace e per la fine della lotta indipendentista a Mindanao.

    "Come tutti i filippini che hanno a cuore la pace" ha dichiarato il presidente dei vescovi, "ci uniamo ai nostri concittadini nella celebrazione di un evento che rappresenta una pietra miliare nel processo di pace". Mons. Villegas assicura la preghiera della comunità cristiana, perché "questo primo passo, coraggioso, possa essere seguito da ulteriori passi che conducono nella direzione di una pace vera e duratura a Mindanao". I vescovi lanciano un appello al governo, perché persegua un cammino di pace capace di coinvolgere tutte le anime del Paese; per questo i prelati invocano un "dialogo aperto, onesto e basato sulla fiducia" anche col Moro National Liberation Front (Mnlf), l'altro gruppo secessionista musulmano formato da fuoriusciti del Milf.

    Mons. Villegas auspica "ulteriori consultazioni" e dialoghi che includano "tutte le altre comunità a Mindanao, in particolare quelle che si sentono ignorate e relegate ai margini come il Mnlf. "La forza di un accordo - aggiunge il prelato - consiste nella volontà di raggiungere tutti, compresi quanti vi si oppongono". Infine, per i vescovi è necessario potenziare le attività economiche a Mindanao, perché la pace non potrà mai prosperare se non è accompagnata da "sforzi per il miglioramento dello sviluppo umano" troppo a lungo "rimandato. Ma non si può aspettare oltre - conclude il prelato - per un popolo che ha sofferto per decenni". (R.P.)

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    Siria: il nunzio in Bielorussia esprime solidarietà e vicinanza agli armeni di Kessab

    ◊   Il nunzio apostolico in Bielorussia, mons. Claudio Cugerotti, con una lettera indirizzata a Sua Beatitudine Nerses Bedros XIX, ha espresso la sua “viva preoccupazione” per la drammatica condizione degli armeni di Kessab (città siriana al confine con la Turchia) che una settimana fa, a causa di una attacco di truppe paramilitari turche, hanno dovuto abbandonare immediatamente la loro città e rifugiarsi presso la vicina cittadina di Latakie. Mons. Cugerotti ha espresso inoltre tutta la “sua vicinanza cristiana e umana nonché la sua preghiera a Dio, affinché risparmi agli armeni nuove sofferenze, fermi la mano degli aggressori e ne converta il cuore”.

    Da qualche giorno tutti le istituzioni armene, politiche, religiose e civili, sono mobilitate affinché l’aggressione subita dall’inerme popolazione armena di Kessab non passi sotto silenzio. Il Governo armeno, le istituzioni religiose ed la società civile chiedono a gran forza l’intervento delle istituzioni internazionali per far cessare le violenze, affinché sia permesso alle famiglie armene (1.500 persone circa) dell’ultima città armena della zona, di ritornare nelle loro case. I rifugiati in effetti temono che l’avanzata dei gruppi paramilitari non si fermi a Kessab e possa raggiungere anche Latakie. (A cura di Robert Attarian)

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    Lega Araba: concluso il vertice tra divisioni ed ostilità

    ◊   I ribelli siriani hanno chiesto armi e ricevuto sostegno “politico” e niente di più: si è concluso così ieri in Kuwait un tormentato vertice della Lega Araba in cui, Arabia Saudita a parte, tutti i Paesi rappresentati si sono espressi a favore di una soluzione politica per il conflitto che insanguina la Siria da oltre tre anni.

    Il dossier siriano - riferisce l'agenzia Misna - ha dominato l’agenda dell’incontro fin dal primo giorno di lavori, martedì, quando il presidente della Coalizione nazionale siriana Ahmed Jarba, prendendo la parola, ha implorato ai dirigenti arabi “di fare pressioni sulla comunità internazionale” accusata di indifferenza nei confronti del dramma del popolo siriano, e trovare il modo di consegnare loro “armi sofisticate per combattere l’esercito di Bashar al Assad”.

    Dopo oltre 24 ore di dibattito e accesa polemica, il comunicato finale del vertice – a cui oltre la metà dei Paesi non ha inviato i capi di Stato – ribadisce l’urgenza di una “soluzione politica, sulla base delle conclusioni di Ginevra I”. Leggendo tra le righe, il significato è chiaro e prevede l’instaurazione a Damasco di un governo transitorio e il raggiungimento di un’intesa per la riconciliazione nazionale. Nessun riferimento all’uscita di scena del presidente in carica.

    Il summit è stato il primo incontro regionale dopo la dichiarata frattura all’interno del Consiglio di Cooperazione del Golfo (Ccg) consumatasi nelle settimane scorse, quando Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e Bahrein hanno richiamato i loro ambasciatori da Doha. Una decisione dettata da quelle che un comunicato ha definito “politiche di interferenza” del Qatar negli affari interni dei paesi vicini, in riferimento al sostegno garantito ai Fratelli Musulmani nella regione. (R.P.)

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    Filippine: progetti del Pontificio Consiglio dei migranti per i marittimi colpiti dal tifone Haiyan

    ◊   “Aiutare i marittimi colpiti dal tifone, dialogando con la Chiesa locale, con progetti sostenibili, che tengano conto dell’equilibrio ecologico e della difesa dei diritti dei pescatori, e che siano economicamente trasparenti”. È lo scopo del viaggio che mons. Joseph Kalathiparambil, segretario del Pontificio Consiglio per la pastorale dei migranti e degli itineranti, sta effettuando in questi giorni (dal 15 al 29 marzo) nelle aree delle Filippine colpite lo scorso novembre dal tifone Hayan, accompagnato da padre Bruno Ciceri, incaricato dell’Apostolato del mare in seno allo stesso dicastero.

    Dopo il tifone - riferisce l'agenzia Sir - il Pontificio Consiglio ha istituto un fondo speciale per finanziare progetti a beneficio della gente di mare delle aree interessate che “ha suscitato - rileva il card. Antonio Maria Vegliò, presidente del dicastero vaticano - una commossa reazione di solidarietà da parte dei Centri Stella Maris di tutto il mondo e di numerose persone, e fino a questo momento ci ha permesso di raccogliere una cifra del tutto ragguardevole”.

    “Con i fondi racconti dal Pontificio Consiglio - riferisce una nota del dicastero vaticano - si vogliono avviare progetti che rispettino le usanze locali e siano caratterizzati da una sostenibilità ambientale come, ad esempio, l’utilizzo del legno di cocco e le foglie di palma delle numerose piante distrutte dal tifone per opere di ricostruzione. Su questa linea si è discussa anche la possibilità di avviare progetti di sostegno finanziario per la produzione di alghe marine e di ripopolamento delle mangrovie, che proteggono le coste e creano un buon ambiente per la riproduzione dei pesci”. Nella ricostruzione, però, non mancano i problemi.

    Uno di questi - riferisce la nota - è “il divieto governativo, già in atto da tempo, di disboscamento delle colline e l’utilizzo del legno per la ricostruzione delle barche da pesca”. Padre Ciceri segnala che “è possibile introdurre nuove tecnologie quali barche in vetroresina ma occorre considerare la necessità di fornire il know how pratico per la costruzione, manutenzione e riparazione di questo nuovo tipo di barche”. “Un altro problema - prosegue la nota - è il divieto governativo di costruire case tra i 20 e i 40 metri dal mare. Ciò obbligherà i pescatori a spostarsi a 5 o 6 km all’interno, con enormi ripercussioni sul loro lavoro”. (R.P.)

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    Sud Sudan. Il nunzio: costruire la pace con il dialogo e la democrazia

    ◊   “Cambiamenti fondamentali” sul terreno del buongoverno, della lotta alla corruzione e dell’impegno per la democrazia: solo in questo modo, dice all'agenzia Misna mons. Charles Balvo, nunzio apostolico in Kenya e Sud Sudan, sarà possibile costruire una pace sostenibile.

    Parole pronunciate di ritorno da una visita a Juba, dove monsignor Balvo è stato insieme con il card. Peter Kodwo Appiah Turkson, presidente del Pontificio consiglio della giustizia e della pace. Un’occasione per incontrare il presidente Salva Kiir e il suo governo. Ma anche e soprattutto le comunità locali di laici e religiosi e i tanti profughi che hanno cercato rifugio nei pressi della base dei peacekeeper dell’Onu a Juba. Iniziative, queste, organizzate con l’obiettivo di favorire la fine del conflitto armato cominciato a dicembre.

    Il primo obiettivo da raggiungere, sottolinea mons. Balvo – è la fine delle violazioni della tregua concordata a gennaio tra le forze fedeli a Kiir e i ribelli legati al suo ex vice Riek Machar. “E’ fondamentale – avverte il nunzio apostolico – che ai negoziati di pace e alla ricostruzione del Sud Sudan partecipino anche i gruppi religiosi, della società civile, dei partiti politici e di tutti i settori sociali; servono cambiamenti fondamentali delle strutture della società, che comprendono buongoverno, fine della corruzione e del nepotismo, istituzioni democratiche e riforma delle Forze armate”. La condanna di “ogni atto di violenza” e l’impegno a lavorare “nella ricerca di un clima di dialogo, riconciliazione e pace tra tutti i membri della società” è il cuore di un messaggio di Papa Francesco letto domenica nella cattedrale di Juba dal card. Turkson. Un appello che nasce dalla presa d’atto di “una situazione drammatica” e dalla necessità urgente di prestare assistenza alle oltre 900.000 persone costrette dalle violenze a lasciare le loro case.

    Ieri il quotidiano Sudan Tribune riferiva di scontri tra forze governative e ribelli a nord-est di Bor, il capoluogo della regione orientale di Jonglei. E c’è ancora incertezza sui negoziati previsti ad Addis Abeba. Mediati dall’Autorità intergovernativa per lo sviluppo (Igad), potrebbero riprendere nei prossimi giorni. (R.P.)

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    Nigeria: nel Nord-Est è emergenza umanitaria a causa di Boko Haram

    ◊   Più di mille persone sono state uccise e altre 250.000 sono state costrette a lasciare le proprie case dall’inizio dell’anno a causa del conflitto tra l’esercito e il gruppo armato Boko Haram nel nord-est della Nigeria: la stima è stata diffusa ad Abuja dall’Ente nazionale per le emergenze (Nema), un organismo pubblico.

    In un rapporto - riferisce l'agenzia Misna - si calcola che negli Stati di Borno, Yobe e Adamawa le vittime siano state più di mille e gli sfollati 249.446. “Circa un abitante su cinque ora non vive nella propria casa” sottolineano i responsabili del Nema, aggiungendo che ben 244.000 sfollati hanno chiesto aiuto e ospitalità di amici o parenti e che solo in 5.000 sono accolti in campi organizzati. L’ente nazionale per le emergenze riferisce anche di tre milioni e 200.000 persone “colpite” in vario modo dalla crisi, sottolineando che si tratta spesso di donne, anziani e bambini. Secondo l’organismo, circa un milione e mezzo di nigeriani hanno urgente bisogno di assistenza e per questo bisogna rafforzare l’impegno umanitario, sia sul piano degli aiuti alimentari che dell’acqua e dei servizi sanitari.

    Da maggio a Borno, Yobe e Adamawa è in vigore uno stato di emergenza. L’avvio di un’offensiva militare non ha però consentito di ridurre né il numero né la gravità delle violenze e degli attentati rivendicati dagli islamisti. Boko Haram sostiene di battersi per imporre la legge islamica non solo nel nord a maggioranza musulmana ma anche nel sud per lo più cristiano della Nigeria. Agguati e attentati rivendicati dal gruppo sono divenuti frequenti a partire dal 2009. (R.P.)

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    Kenya: i leader religiosi cristiani e musulmani condannano l’attentato contro la chiesa evangelica

    ◊   I leader religiosi del Kenya hanno severamente condannato l’attentato del 23 marzo scorso contro la chiesa evangelica di Likoni, quartiere di Mombasa nel quale sei persone hanno perso la vita e decine di altre sono rimaste ferite.

    Il card. John Njue, arcivescovo di Nairobi, nel condannare l’attacco ha chiesto al governo di rafforzare le misure di sicurezza in tutto il Kenya con particolare riguardo alla regione costiera. Il cardinale - riferisce l'agenzia Fides - ha inoltre rivolto un appello alla calma ai cristiani ed ha affermato che occorre dare tempo alla polizia di condurre le indagini per assicurare i colpevoli alla giustizia. La polizia ha inviato altri 500 agenti a Mombasa.

    Anche il presidente del Forum nazionale dei leader musulmani, il dr. Abdullahi Abdi, ha invitato i keniani alla calma e ad evitare di cadere nella trappola degli assassini che vogliono dividere il Paese. Nel frattempo non è diminuita la tensione nel Paese per il timore di nuovi attentati condotti con l’impiego di veicoli carichi di esplosivi. All’inizio di marzo, proprio a Mombasa la polizia aveva intercettato un fuoristrada al cui interno erano celati sei ordigni esplosivi.

    Le autorità di Nairobi hanno inoltre imposto ai rifugiati somali presenti nel Paese di rimanere rinchiusi nei campi di Dadaab e Kakuma. Si sospetta infatti che gli Shabaab somali siano gli autori dei recenti attentati che hanno sconvolto il Paese. (R.P.)

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    Missione Onu in Iraq: senza rispetto delle minoranze non c'è democrazia

    ◊   “Tutte le comunità minoritarie soffrono di diverse forme di discriminazione e marginalizzazione che penalizzano la loro piena partecipazione nella vita politica, sociale e economica del Paese. E senza il pieno rispetto dei diritti delle diverse comunità, la democrazia in Iraq non potrà fiorire”. Così si è espresso l'ungherese Yorgy Busztin, vice-rappresentante del Segretario generale Onu per l'Iraq, aprendo la prima Conferenza per la protezione dei diritti delle comunità etniche, linguistiche e religiose organizzata a Baghdad dalla Missione Onu di supporto all'Iraq (Unami, Un Assistance Mission for Iraq).

    La conferenza di tre giorni, iniziata ieri e realizzata in collaborazione con l'Alleanza per le minoranze irachene ( Aim) - riferisce l'agenzia Fides - riunisce 60 rappresentanti delle diverse comunità etniche, religiose e linguistiche presenti in Iraq. Tutti i gruppi minoritari, a prescindere dalla loro consistenza numerica – ha ribadito Busztin - “sono componenti essenziali del popolo iracheno e meritano protezione e rispetto”.

    Fonti locali riferiscono all'Agenzia Fides che le discussioni si focalizzeranno sulle emergenze affrontate dalle diverse comunità e punteranno anche a definire un pacchetto di proposte di riforme che assicurino ai gruppi minoritari la piena partecipazione su base egualitaria alla vita politica, sociale ed economica del Paese. A conclusione dei lavori, la Conferenza elaborerà una Dichiarazione sui diritti e le libertà fondamentali delle comunità minoritarie in Iraq, che servirà da piattaforma per avanzare richieste concrete al futuro governo, quello che uscirà dalle elezioni nazionali in programma alla fine di aprile. (R.P.)

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    Sciopero generale in Paraguay: la Chiesa sostiene chi chiede giustizia e solidarietà sociale

    ◊   Dopo lo sciopero generale di ieri, che nonostante le previsioni di violenza si è svolto in modo pacifico, il Presidente del Paraguay, Horacio Cartes, ha dato disposizione di ascoltare i sindacati. Migliaia di contadini, operai e lavoratori hanno marciato nelle principali città del Paese, protestando per l’aumento dei prezzi dei biglietti del trasporto pubblico, dei prodotti del paniere familiare e di tutti i servizi statali. I sindacati sono riusciti a unificarsi, dopo 20 anni, per chiedere al governo un aumento del 25% del salario minimo per tutti i lavoratori del Paese.

    La Chiesa cattolica del Paraguay ha sempre difeso il diritto dei lavoratori a manifestare pubblicamente le proprie richieste, come spiega il comunicato della Conferenza episcopale giunto all’agenzia Fides: "Dobbiamo riconoscere nelle richieste dei cittadini il desiderio di una vita migliore per ampi settori della nostra società, che vivono una profonda ingiustizia che grida solidarietà e giustizia sociale. Queste esigenze dei cittadini, però, dovrebbero essere fatte nel quadro del dialogo e del consenso, soprattutto prendendo come orizzonte il raggiungimento del bene comune della nazione paraguayana, sotto il disegno d'amore di Dio per i suoi figli".

    "Il diritto allo sciopero è garantito dalla legge" ricordano ancora i vescovi, che poi citano la “Evangelii Gaudium” di Papa Francesco (n.183): “Sebbene il giusto ordine della società e dello Stato sia il compito principale della politica, la Chiesa non può né deve rimanere ai margini della lotta per la giustizia. Tutti i cristiani, anche i Pastori, sono chiamati a preoccuparsi della costruzione di un mondo migliore”.

    Mons. Mario Melanio Medina Salinas, vescovo di San Juan Bautista de las Misiones, in una nota inviata a Fides sostiene che è necessario manifestare, perché il popolo vive nella miseria: "sebbene il Paraguay sia ammirato per la sua macroeconomia, la povertà e la miseria sono in aumento". (R.P.)

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    Cina: la comunità cattolica piange mons. Giuseppe Fan Zhongliang, vescovo di Shanghai

    ◊   Non si ancora spenta nella comunità cattolica cinese l'emozione per la morte il 16 marzo scorso all'età di 96 anni, di mons. Giuseppe Fan Zhongliang, vescovo della diocesi di Shanghai (Cina Continentale). Il presule era nato il 13 gennaio 1918: venne battezzato l’11 maggio 1932 e gli fu imposto il nome Giuseppe. Il 30 agosto 1938 entrò nella Compagnia di Gesù e fu ordinato sacerdote il 31 maggio 1951.

    Quattro anni dopo, l’8 settembre 1955, venne arrestato per crimini controrivoluzionari insieme all’allora vescovo di Shanghai, mons. Ignazio Gong Pinmei, e ad altri sacerdoti. Nel 1958 fu condannato a 20 anni di reclusione, scontati interamente in un campo di lavoro nella remota provincia di Qinghai. Dopo il suo rilascio nel 1978, per alcuni anni fu insegnante in una scuola media, senza avere il permesso di rientrare a Shanghai.

    Il 26 febbraio 1985 venne ordinato in segreto vescovo coadiutore di Shanghai da mons. Mattia Lu Zhensheng, vescovo di Tianshui, nella provincia di Gansu. Nel 2000, con la morte del card. Gong Pinmei, esule negli Stati Uniti d’America, mons. Fan gli successe come Ordinario di Shanghai. Egli non è stato mai riconosciuto dalle Autorità cinesi e, pertanto, ha sempre esercitato il ministero episcopale nella clandestinità.

    Amato e stimato dalla comunità cattolica cinese, apprezzato anche nella Chiesa universale, mons. Fan si è sempre impegnato al servizio della Chiesa nonostante le grandi difficoltà in cui si è trovato a svolgere il proprio ministero. Animato da grande zelo pastorale, amministrava personalmente i sacramenti ai suoi fedeli; ha fondato la Congregazione religiosa femminile diocesana “Cuore Immacolato di Maria”, ed è sempre stato disponibile per i sacerdoti e per gli altri Vescovi, che si rivolgevano a lui chiedendo collaborazione e consigli.

    Dopo la sua morte, in continuazione sono state celebrate Messe di suffragio sia a Shanghai sia in altre chiese della Cina. I fedeli hanno ottenuto di esporre un catafalco nella cattedrale di Sant’Ignazio, sede del vescovo di Shanghai.

    Con la morte di mons. Fan, la Chiesa in Cina perde un altro dei suoi grandi pilastri, testimone coraggioso e perseverante della fedeltà a Cristo, alla Chiesa e al Santo Padre. La Chiesa universale assicura la propria vicinanza e preghiera alla diocesi di Shanghai, invocando il premio eterno per mons. Fan e la consolazione per i fedeli e auspicando che questi trovino nel suo esempio ispirazione e forza per la loro vita.

    Il 22 marzo scorso, circa 5 mila fedeli di Shanghai e di altre diocesi della Cina hanno partecipato al solenne rito funebre in suffragio del presule. La Messa è stata presieduta dal padre gesuita Giuseppe Zhu Yude. Insieme a lui hanno concelebrato 61 sacerdoti. Mons. Taddeo Ma Daqin, vescovo impedito, non era presente, ma ha potuto inviare una corona di fiori con un suo scritto di commemorazione. Il presule nel suo blog ha scritto un ricordo di mons. Fan, citando il libro del Siracide: …piacque al Signore e fu portato in cielo, vero esempio di conversione per le generazioni seguenti… E accrebbe la gloria di Aronne dandogli un’eredità, gli assegnò le primizie dei frutti, gli assicurò soprattutto pane in abbondanza (Sir 44,16; 45,20).

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    Vescovi scandinavi: "Rispettare la sovranità dell'Ucraina. No all'uso delle armi"

    ◊   “Esortiamo tutte le parti coinvolte a rispettare pienamente la sovranità dell’Ucraina e a lavorare per rinunciare a qualsiasi intenzione di usare la forza militare”: così scrivono in una dichiarazione gli otto vescovi membri della Conferenza episcopale dei Paesi scandinavi, che ieri in Svezia hanno concluso i lavori della plenaria di primavera. “Oggi non esiste più argomentazione morale per l’uso della violenza nel proteggere la giustizia e le libertà civili”, sostengono i vescovi che chiedono “con forza a tutti di astenersi da minacce e azioni contro le minoranze religiose o etniche”.

    L’Ucraina e la commemorazione per il 25° anniversario della visita di Giovanni Paolo II - riferisce l'agenzia Sir - sono stati i temi determinanti dell’Assemblea. La consacrazione dei Paesi nordici a Maria che il Papa polacco aveva compiuto nel 1989 è stata rinnovata in una concelebrazione a Lund il 22 marzo con il cardinale Kurt Koch, presidente del Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani. Il cardinale e i vescovi, si legge in un comunicato, sono poi stati ospiti del vescovo eletto luterano di Lund e Uppsala Antje Jackelén, con cui hanno concelebrato i vespri solenni e “hanno discusso delle iniziative per il giubileo della riforma del 2017 e altri temi d’interesse comune”. È stato inoltre deciso che il vescovo Anders Arborelius di Stoccolma rappresenterà le diocesi nordiche al Sinodo straordinario di ottobre. (R.P.)

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    Slovacchia: i vescovi lodano la proposta di definire costituzionalmente il matrimonio

    ◊   “Accogliamo con favore ogni iniziativa pubblica a sostegno del matrimonio e della famiglia e in particolare apprezziamo la proposta di emendamento alla Costituzione che dovrebbe contenere la definizione del matrimonio”. È quanto si legge in una dichiarazione della Conferenza episcopale slovacca, pubblicata ieri al termine dell’Assemblea plenaria che si è svolta a Cicmany. “Invitiamo tutte le autorità pubbliche e le persone di buona volontà a considerare la famiglia come il fulcro degli interessi della società”, continuano i prelati, invitando alla preghiera per “riconoscere la verità che la natura umana è dono di Dio e non dipende dalle decisioni private di nessun uomo”.

    Il documento - riferisce l'agenzia Sir - esprime l’auspicio che la Costituzione della Repubblica Slovacca prenda in considerazione il matrimonio come legame tra un uomo e una donna e il fatto che i diritti e i doveri naturali derivanti dal matrimonio non possono fondarsi su nessun’altra cosa. “Preghiamo affinché i bambini possano avere l’opportunità di conoscere la loro madre e il loro padre e perché possano essere cresciuti da entrambi”, conclude il messaggio dei vescovi rivolto alla società civile.

    La questione dell’emendamento costituzionale riguardante la definizione del matrimonio è stata discussa per settimane dai circoli politici e sociali. La proposta è stata presentata dal Movimento democratico cristiano con il vasto sostegno di decine di organizzazioni pro-famiglia e pro-vita. (R.P.)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVIII no. 86

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