Logo 50Radiogiornale Radio Vaticana
Redazione +390669883674 | +390669883998 | e-mail: sicsegre@vatiradio.va

Sommario del 26/03/2014

Il Papa e la Santa Sede

  • Udienza generale. Il Papa: un sacerdote o ama il popolo col cuore di Gesù o non serve
  • Il Papa incoraggia i leader religiosi del Centrafrica: parlerà della situazione con Obama
  • Letto il messaggio del Papa ai funerali dell'ex premier spagnolo Adolfo Suárez
  • Il Papa nomina mons. Galantino segretario generale della Cei ad quinquennium
  • Diocesi di Limburg: accolta la rinuncia di mons. Tebartz-Van Elst
  • Nomina episcopale in Brasile
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Vertice Ue-Usa su crisi ucraina. Obama: se la Russia continua, il suo isolamento aumenterà
  • Venezuela: l’opposizione disposta al dialogo con il governo con una terza parte
  • Emergenza Ebola in Guinea Conakry. Allarme in Sierra Leone, Liberia e Costa d'Avorio
  • Calabria. Renzi agli studenti: educazione alla legalità arma contro le mafie
  • Immigrati, in tanti lavorano ma in pochi prendono la pensione
  • "Abbiamo stretto molte mani", in un libro 20 anni dell'organizzazione umanitaria Intersos
  • All'Università cattolica di Recife, la "Cattedra Chiara Lubich su fraternità ed umanesimo"
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Sud Sudan: a rischio un milione di persone, soprattutto donne e bambini
  • Papa in Terra Santa. Il card. Sandri: "La Chiesa è dalla parte di chi soffre"
  • Terra Santa: le sfide per la famiglia oggi al centro dell'omelia del patriarca Twal
  • Libano: il patriarca Rai interviene sull'elezione del nuovo presidente
  • Egitto. Commissione d'inchiesta: continuano le violenze contro i copti
  • Monito da Luanda: stop ai gruppi ribelli nel Kivu
  • Nigeria: a Kaduna incontro interreligioso per la pace
  • Nicaragua: il governo di Ortega disponibile al dialogo con la Chiesa
  • Brasile: la Chiesa accompagna i Mondiali di calcio invitando a lottare contro la tratta
  • Myanmar: la "lunga marcia" degli attivisti birmani per la chiusura della diga di Myitsone
  • Il Papa e la Santa Sede



    Udienza generale. Il Papa: un sacerdote o ama il popolo col cuore di Gesù o non serve

    ◊   Un vescovo, un prete o un diacono che non sono “al servizio della loro comunità” con i sentimenti d’amore di Gesù non svolgono bene il loro ministero. Attorno a questo pensiero di fondo, Papa Francesco ha sviluppato la catechesi dell’udienza generale di stamattina in Piazza San Pietro, dedicata al Sacramento dell’Ordine. Un vescovo e un sacerdote, ha detto il Papa, devono vivere con intensità l’Eucaristia, l’ascolto della Parola di Dio e il Sacramento della Confessione. Il servizio di Alessandro De Carolis:

    Servi della comunità, con amore. È l’unica supremazia mai immaginata da Gesù per i suoi Apostoli e per tutti i loro successori, capi della Chiesa in quanto primi a servirla. Qualsiasi altra forma di esercizio dell’autorità è sbagliata, “non fa bene”, afferma a chiare note Papa Francesco davanti alle oltre 50 mila di persone che lo ascoltano al riparo degli ombrelli, in una giornata di primavera regalata all’inverno. Il gregge, spiega il Papa, si pasce con “il cuore di Gesù, che è un cuore d’amore”:

    “Il sacerdote, il vescovo, il diacono deve pascere il gregge del Signore con amore. Se non lo fa con amore, non serve. E in tal senso, i ministri che vengono scelti e consacrati per questo servizio prolungano nel tempo la presenza di Gesù: se lo fanno col potere dello Spirito Santo, in nome di Dio e con amore”.

    L’amore è la regola del sacerdozio, a ogni ordine e grado. Ma per amare come Gesù bisogna essere uniti a Lui in modo indissolubile, in azioni, parole, sentimenti. Altrimenti – assicura Papa Francesco – “si finisce inevitabilmente per perdere di vista il senso autentico del proprio servizio” e anche “la gioia” che viene dall’essere in comunione con Cristo:

    “Il vescovo che non prega, il vescovo che non sente e ascolta la Parola di Dio, che non celebra tutti i giorni, che non va a confessarsi regolarmente – e lo stesso sacerdote che non fa queste cose – alla lunga perdono l’unione con Gesù e loro diventano di una mediocrità che non fa bene alla Chiesa. Per questo, dobbiamo aiutare i vescovi, i sacerdoti, a pregare, ad ascoltare la Parola di Dio che è il pasto quotidiano, a celebrare ogni giorno l’Eucaristia e ad andare a confessarsi abitualmente. E questo è tanto importante perché va alla santificazione proprio dei vescovi e dei sacerdoti”.

    Capi uniti a Cristo, Maestro di amore e servizio, ma anche capi “appassionati” delle comunità affidate alla loro cura. Per Papa Francesco non può esserci un cuore tiepido nel petto di un ministro di Dio. Per lui – ribadisce – la Chiesa “è la sua famiglia”, le “dedica tutto se stesso”, la “ama con tutto il cuore”:

    “Il vescovo, il sacerdote amano la Chiesa nella loro comunità e la amano fortemente. Come? Come Cristo ama la Chiesa. Lo stesso dirà San Paolo del matrimonio: lo sposo ama sua moglie come Cristo ama la Chiesa. E’ un mistero grande di amore, questo del ministero e quello del matrimonio, i due sacramenti che sono la strada per la quale le persone abitualmente vanno, come sacramento, al Signore”.

    L’ultimo pensiero sboccia spontaneo ed è per chi non è sacerdote ma sente il fascino per questa scelta di vita. Per diventarlo, dice con un filo d’ironia Papa Francesco, non si va dove si staccano dei biglietti. La vocazione non si vende perché è pura iniziativa di Dio:

    “Il Signore chiama: chiama ognuno che vuole che diventi sacerdote, e forse ci sono alcuni giovani, qui, che hanno sentito nel loro cuore questa chiamata. La voglia di diventare sacerdoti, la voglia di servire gli altri nelle cose che vengono da Dio. La voglia di essere tutta la vita al servizio per catechizzare, battezzare, perdonare, celebrare l’Eucaristia, curare gli ammalati… ma, tutta la vita così! Se qualcuno di voi ha sentito questo nel cuore, è Gesù che lo ha messo lì. Curate questo invito e pregate perché questo cresca e dia il frutto in tutta la Chiesa”.

    Al termine dell’udienza generale, Papa Francesco accenna alla situazione del Medio Oriente salutando in lingua araba i fedeli in arrivo da Giordania e Iraq e poco dopo, in italiano, gli ufficiali e militari dell’Esercito e della Guardia Costiera di Salerno, alcuni dei quali in ottobre si recheranno in missione di pace in Libano.

    inizio pagina

    Il Papa incoraggia i leader religiosi del Centrafrica: parlerà della situazione con Obama

    ◊   Al termine dell'udienza generale, il Papa ha incontrato i rappresentanti della “Piattaforma dei religiosi per la pace” in Centrafrica, composta da mons. Dieudonné Nzapalainga, arcivescovo di Bangui, dal pastore Nicolas Grékoyamé-Gbangou, presidente delle Chiese Evangeliche, e dall’Imam di Bangui, Oumar Kobine Layama. Papa Francesco li ha incoraggiati a restare uniti, vicini al proprio popolo, continuando a operare contro ogni divisione. Ha quindi assicurato che parlerà del Centrafrica nell'incontro di domani col presidente degli Stati Uniti Obama. I tre leader religiosi, che prima dell'udienza generale sono stati ricevuti dal cardinale segretario di Stato Pietro Parolin, da tempo si stanno spendendo per pacificare il Paese, incontrando vari leader della comunità internazionale. Marie Duhamel li ha intervistati. Ascoltiamo, innanzitutto, l’arcivescovo di Bangui:

    R. – Et sans voir, ce sont des hommes, des femmes centrafricains qui sont …
    Sono uomini e donne centrafricani che vivono nella boscaglia, smarriti, terrorizzati, che non sono più nemmeno capaci di esprimere le loro sensazioni o che, camminando per la strada, parlano ma sono convinti che nessuno li ascolti. A loro nome, ho fatto la scelta, insieme agli altri, di andare ad incontrare le autorità, coloro che decidono, perché possano ascoltare dalla nostra viva voce la preoccupazione, la sofferenza, la pena e la miseria di queste persone che piangono e che aumentano sempre di numero. Questo è il senso della nostra missione nei confronti delle autorità di questo mondo.

    D. – Cosa chiede questo grido?

    R. – Ce cri demande actuellement la sécurité car sans la sécurité on ne pourra pas …
    Questo grido chiede attualmente la sicurezza, perché senza la sicurezza non si potrà tornare a scuola, non si potranno riprendere le attività ospedaliere, non si potranno riprendere le attività agricole e nemmeno quelle amministrative: tutto rimarrà paralizzato come lo è attualmente. Non c’è sicurezza: noi ne vediamo le conseguenze! Tutto è al punto zero. Visto che le fazioni rivali del Seleka e degli anti-balaka non riescono a proteggere il popolo centrafricano, abbiamo rivolto un appello affinché la comunità internazionale intervenga per proteggere il popolo centrafricano: il Centrafrica è parte del consesso delle Nazioni ed è assolutamente impossibile rimanere a guardare, nella completa indifferenza, uomini e donne che muoiono come bestie, non si può restare così senza muovere un dito! E’ tempo di agire, affinché un domani la storia non ci condanni chiedendoci: “Cosa avete fatto dei vostri fratelli?”.

    D. – Avete avuto una risposta positiva dall’Onu e dai dirigenti che avete incontrato?

    R. – Nous avons des réponses que nous laissent croire que demain serait meilleur, …
    Abbiamo ricevuto risposte che ci aiutano a credere che il domani sarà migliore: lo stesso segretario generale dell’Onu ha detto che sta preparando una Risoluzione che vada nel senso di un intervento dei Caschi blu. Abbiamo incontrato anche altri responsabili che ci hanno fatto capire che tutti sono disposti ad allearsi affinché si dia inizio ad un’operazione per il mantenimento della pace: prima avverrà tanto meglio sarà, perché più i giorni passano e più cresce il numero dei centrafricani che muoiono.


    Sul rapporto tra le religioni in questo difficile momento del Centrafrica si sofferma l’imam di Bangui, Oumar Kobine Layama:

    R. – Le croyant, quelque soit la circonstance, doit…
    Il credente deve conservare la fede in qualsiasi circostanza e davanti alle difficoltà dobbiamo chiederci: “Cosa è successo? Cosa abbiamo fatto? Forse è a causa del nostro comportamento che Dio ci ha messo alla prova, facendoci vivere questo dramma? O forse, è per darci una lezione affinché impariamo ad accettare Dio in ogni situazione?”. La fede non c’è soltanto nei momenti felici, deve esserci anche nel tempo della disgrazia. Quindi, il messaggio che io voglio passare è quello della fede che significa sopportazione, pazienza e tolleranza, che formano il carattere e le virtù di un vero credente. Chiedo ai miei fratelli musulmani tolleranza e pazienza, perché Dio ci riporti la pace e la coesione sociale.

    D. – Sono stati rivolti diversi appelli alla Jihad, soprattutto tramite il Mali…

    R. – Bon, le Jihad sur les sites maliens, je suis au courant de tout ça…
    Sì, sono al corrente dell’appello alla Jihad in Mali, ma mi chiedo: la Jihad, la guerra santa contro chi? È questa la domanda che mi pongo: proteggere i musulmani, ma contro chi? Perché, essenzialmente, i musulmani sono protetti dai cristiani nelle loro chiese: la maggioranza dei musulmani trova protezione presso i religiosi cristiani, protestanti e cattolici, ma in gran maggioranza cattolici… E quindi, andare a buttare le bombe dove? In quelle stesse chiese che hanno accordato protezione ai musulmani? Oppure, per disturbare quegli stessi leader religiosi cristiani che proteggono i musulmani? Veramente questo non è l’islam che Dio ci ha affidato. Dio ci ha affidato un islam di pace, di tolleranza e di pazienza, di sopportazione in tutte le prove. Penso che noi musulmani ci troviamo oggi di fronte a queste difficoltà perché noi abbiamo scelto il silenzio complice: non abbiamo mai denunciato, nella nostra comunità, gli abusi, i comportamenti dei nostri fratelli che erano nel Seleka. Non ci siamo assunti le nostre responsabilità. Ecco, oggi abbiamo le conseguenze che Dio ci ha mandato. Per questo, è necessario che esaminiamo i nostri comportamenti per agire di conseguenza, chiedere perdono a Dio per quanto ci riguarda, affinché Dio ci aiuti, insieme agli altri, a ristabilire la coesione sociale. Se in questo momento perdiamo la nostra fede, la nostra situazione non potrà migliorare: rischiamo un disastro sull’altro, nonostante gli sforzi della comunità internazionale. Siamo noi, prima di tutto, davanti alle nostre coscienze, che dobbiamo riunirci, riconciliarci, per aiutare la comunità internazionale che si preoccupa della nostra situazione.


    Il pastore Nicolas Grékoyamé-Gbangou, presidente delle Chiese Evangeliche, ricorda che non ci sono “milizie cristiane” in Centrafrica:

    R. – Il n’y a jamais eu une milice chrétienne en Centrafrique : les anti-balaka …
    Non c’è mai stata una milizia cristiana in Centrafrica: gli anti-balaka sono delle bande di autodifesa a livello di villaggi, che ora, per forza di cose, si sono costituiti in milizie, per contrastare e ostacolare il Seleka. Non si può parlare di “milizia cristiana”.

    D. – Ha provato a parlare direttamente con queste persone?

    R. – Bah, ils sont là, parsemés dans le quartier ou nous sommes, et on …
    Vivono nel nostro stesso quartiere e noi cerchiamo di farli tornare alla ragione, per far loro comprendere che in realtà chi ci va di mezzo è la popolazione e che è importante cercare di fermare le ostilità.

    D. – La situazione è drammatica dal punto di vista della sicurezza e alimentare. Quale il suo auspicio?

    R. – Nous pensons que la communauté internationale va entendre notre cri et …
    Noi immaginiamo che la comunità internazionale ascolterà il nostro grido di dolore e quelle delle persone che si trovano in difficoltà, e che quindi intervenga presto per risolvere la situazione degli sfollati interni e anche delle persone che sono rimaste a casa ma la cui situazione è in pericolo. Noi pensiamo che sia necessario ristabilire la sicurezza e velocemente, con l’aiuto delle Nazioni Unite e di tutte le persone di buona volontà. Coloro che hanno il compito di venire in aiuto delle persone in difficoltà, devono farlo rapidamente …

    inizio pagina

    Letto il messaggio del Papa ai funerali dell'ex premier spagnolo Adolfo Suárez

    ◊   L'ex premier spagnolo Adolfo Suárez Gonzalez, primo capo di governo spagnolo democraticamente eletto dopo la morte di Franco, è stato sepolto ieri nella Cattedrale del Salvatore ad Avila. Il leader politico è deceduto domenica 23 marzo, in ospedale, all'età di 81 anni, per le complicanze del morbo di Alzheimer. Le esequie sono state presiedute dal vescovo di Avila, mons. Jesús García Burillo, che al termine della celebrazione ha letto il telegramma di Papa Francesco, a firma del cardinale segretario di Stato Pietro Parolin.

    “Nell’apprendere la triste notizia della scomparsa” dell'ex premier spagnolo - si legge nel messaggio - il Papa “esprime le sue più sentite condoglianze, che accompagna con preghiere di suffragio al Signore per l’eterno riposo di questa eminente figura dell’epoca recente spagnola”. Quindi, imparte la benedizione apostolica alla sua famiglia e a quanti piangono la sua morte, “come segno della speranza cristiana nel Signore Risorto”.

    inizio pagina

    Il Papa nomina mons. Galantino segretario generale della Cei ad quinquennium

    ◊   In data 25 marzo, il Santo Padre ha nominato segretario generale della Conferenza Episcopale Italiana ad quinquennium mons. Nunzio Galantino, vescovo di Cassano all’Jonio.

    Il Consiglio Permanente della Cei esprime in una dichiarazione la sua riconoscenza al Papa: “La sua scelta – si legge nel testo - qualifica la Segreteria Generale con la conferma di un vescovo del quale in questi mesi abbiamo apprezzato dedizione, passione e impegno”. “Con il suo prezioso servizio, mons. Galantino contribuirà a rendere sempre più sensibile la Segreteria Generale – e quindi gli Uffici della Cei – alle vere necessità che interpellano le Chiese che sono in Italia per riuscire ad affrontarle con orientamenti pastorali condivisi. Mentre gli esprimiamo la nostra cordiale stima e accoglienza – conclude la dichiarazione - siamo certi che continuerà a promuovere la fraternità e la partecipazione, con disponibilità all’ascolto e dialogo costante”.

    inizio pagina

    Diocesi di Limburg: accolta la rinuncia di mons. Tebartz-Van Elst

    ◊   Il Papa ha accettato la rinuncia di mons. Franz-Peter Tebartz-Van Elst all’ufficio di vescovo di Limburg, in Germania, in conformità al can. 401 §2 del Codice di Diritto canonico.

    A questo proposito, la Sala Stampa vaticana ha riferito che “la Congregazione per i Vescovi ha studiato attentamente il rapporto della Commissione voluta dal vescovo e dal Capitolo Cattedrale, per intraprendere approfondite indagini circa le responsabilità coinvolte nella costruzione del Centro Diocesano ‘St. Nikolaus’. Atteso che nella diocesi di Limburg si è venuta a determinare una situazione che impedisce un esercizio fecondo del ministero da parte di mons. Franz-Peter Tebartz-van Elst, la Santa Sede ha accettato le dimissioni presentate dal presule in data 20 ottobre 2013 e ha nominato un amministratore apostolico sede vacante nella persona di mons. Manfred Grothe. Il vescovo uscente, mons. Tebartz-van Elst, riceverà in tempo opportuno un altro incarico. Il Santo Padre chiede al clero e ai fedeli della diocesi di Limburg di voler accogliere le decisioni della Santa Sede con docilità e di voler impegnarsi a ritrovare un clima di carità e riconciliazione”.

    Nel pomeriggio viene pubblicato il rapporto della Commissione istituita per la vicenda, disponibile sul sito della Conferenza episcopale tedesca "www.dbk.de".

    inizio pagina

    Nomina episcopale in Brasile

    ◊   Il Santo Padre ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Cornélio Procópio (Brasile), presentata da mons. Getúlio Teixeira Guimarães, S.V.D., per raggiunti limiti di età. Gli succede mons. Manoel João Francisco, finora vescovo di Chapecó. Mons. Manoel João Francisco è nato a Navegantes, nell'arcidiocesi di Florianópolis (Santa Catarina), il 5 settembre 1946. Dopo i corsi preparatori svolti nel Seminario minore di Brusque, ha frequentato il Corso di Filosofia presso l'Università Federale di Curitiba e quello di Teologia a Curitiba e a Roma, presso la Pontificia Università Gregoriana. Inoltre, ha conseguito la Licenza e il Dottorato in Sacra Liturgia presso il Pontificio Ateneo Sant’Anselmo. L'8 dicembre 1973 ha ricevuto l'ordinazione sacerdotale nella sua città natale ed è stato incardinato nel clero di Florianópolis. Nel corso del ministero sacerdotale ha ricoperto i seguenti incarichi: vice-parroco e parroco in diverse parrocchie; professore di Teologia a Florianópolis e in altre città; direttore dell'ITESC – Instituto Teológico de Santa Catarina e coordinatore della pastorale ecumenica dell'arcidiocesi. Il 28 ottobre 1998 è stato nominato vescovo di Chapecó, ricevendo l’ordinazione episcopale il 21 febbraio 1999.

    inizio pagina

    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   All’udienza generale Papa Francesco parla del sacramento dell’ordine.

    Che cosa resta della lotta alla fame: nel servizio internazionale, in primo piano il rapporto dell’Oxfam sul rapporto tra cambiamenti climatici e mercato alimentare.

    L’intervento dell’arcivescovo Silvano M. Tomasi, Osservatore permanente della Santa Sede presso l’Ufficio delle Nazioni Unite a Ginevra, sul diritto al cibo.

    La felicità è di chi vigila: Manuel Nin sui canti quaresimali bizantini in Vaticano.

    La primavera vista dall’orto di un convento: stralcio di uno degli articoli contenuti nel numero di marzo del mensile «Beata pacis visio», bollettino dell’abbazia di Santa Maria di Rosano nei pressi di Firenze.

    In cultura, Gaetano Vallini sul libro di Élisabeth Gille “Un paesaggio di ceneri”, seguito ideale di “Suite francese” della madre Irène Némirovski.

    Simona Verrazzo sulla mostra «L’ossessione nordica. Böcklin, Klimt, Munch e la pittura italiana» fino al 22 giugno a Palazzo Rovella a Rovigo, curata da Giandomenico Romanelli e diretta da Alessia Vedova.

    Francesco apostolo in Terra Santa: nel servizio religioso, l’omelia del patriarca di Gerusalemme dei Latini, Fouad Twal, per l’Annunciazione del Signore.

    inizio pagina

    Oggi in Primo Piano



    Vertice Ue-Usa su crisi ucraina. Obama: se la Russia continua, il suo isolamento aumenterà

    ◊   La Russia può ancora fare un passo indietro in Ucraina e questa è la sola opzione per risolvere il problema, altrimenti il suo isolamento aumenterà. Così il presidente americano Obama al termine del vertice Ue-Usa sulla questione ucraina, che si è tenuto a Bruxelles. Obama, che ha incontrato i presidenti di Commissione europea e del Consiglio, Barroso e Van Rompuy, ha anche detto che gli Usa hanno autorizzato l'esportazione di gas naturale americano verso l'Europa. Intanto la comunità internazionale continua a confrontarsi sull'annessione della Crimea alla Russia, un fatto clamoroso sul quale, da parte russa, si fa il parallelo con il Kosovo, la regione separatasi unilateralmente dalla Serbia nel 2008. Emanuela Campanile ne ha parlato con Marco Lombardi, esperto di gestione della crisi e comunicazione, docente all’Università Cattolica di Milano:

    R. - La realtà balcanica in cui si muoveva il Kosovo è molto diversa. C’era la dissoluzione di uno Stato nazionale e nuovi Stati che andavano a sorgere, quindi l’autodeterminazione dei gruppi etnici locali. Qui è qualcosa di diverso: un giorno una parte di popolazione - quindi i cittadini di un certo Stato - decide di non appartenere più con armi e bagagli, case e terre a quello Stato ma di farsi annettere, di entrare come parte di un altro Stato. Con l’idea di dire: “Andiamo ad aiutare le nostre minoranze che chiedono aiuto”, ecco che Putin allarga la sua sfera di influenza.

    D. - Quindi ci si sta nascondendo un po’ dietro al principio del popolo sovrano?

    R. - Purtroppo il principio del popolo sovrano è sempre stato usato da tutti i detentori del potere per giustificare le loro scelte. In realtà ci sono degli interessi globali enormi che evidentemente si muovono attorno a questi eventi. Siamo nel Mar Nero, la sede - da sempre - della flotta russa per entrare nel Mediterraneo; fa parte del grande gioco che coinvolge tutta l’Asia centrale, perché la Crimea è un esempio attuale, ma restando su quelle frontiere anche la Moldavia, la Polonia, tutti i Paesi Baltici sono tutti Paesi con i polsi che tremano, hanno tutti una grande paura. In Afghanistan, in Turkmenistan, in Tagikistan, in Kazakistan la presenza russa è fortissima e in questi casi si stanno giocando tutte le partire energetiche e di materie prime tra le grandi potenze.

    D. - Quindi, qual è il grande rischio di questo precedente?

    R. - Il rischio è quello che un evento di questo genere - in termini di politica - fornisca un altro strumento utilizzabile da tutti quelli che vogliono giustificare la presa di potere in nome del popolo sovrano.

    inizio pagina

    Venezuela: l’opposizione disposta al dialogo con il governo con una terza parte

    ◊   Ancora tensioni in Venezuela. Il presidente Nicolas Maduro ha denunciato ieri l'esistenza di un piano per portare a termine un colpo di Stato nel Paese, nel quale sono coinvolti tre generali della forza aerea, che sono stati "catturati". Maduro ha incontrato a Caracas i rappresentanti dell'Unasur, l'Unione delle Nazioni Sudamericane, giunti nel Paese per appoggiare il dialogo politico, lanciato dallo stesso governo venezuelano per superare la crisi innescata dalle proteste cominciate all’inizio di febbraio. Ieri, poi, la piattaforma dell’opposizione venezuelana Mud, "Mesa de la Unidad Suramericanas", ha prospettato all’Unasur la sua disposizione a dialogare con il governo anche con l’aiuto di una terza parte. Sul clima che si respira nel Paese, Debora Donnini ha sentito Martina Zannotti, analista del Cesi, Centro Studi Internazionali, esperta di America Latina:

    R. – Chiaramente, si tratta di una situazione particolarmente difficile, soprattutto a fronte del fatto che ci sono tre dati indicativi che hanno scatenato le proteste di piazza. Da una parte, l’inflazione che ha raggiunto il livello storico del 56,2%, e dall’altra il fatto che, conseguentemente, manchi anche tutta serie di beni di prima necessità, in primis la carta: dalla carta igienica alla carta per i giornali, e pertanto molti giornali stanno pensando addirittura di chiudere. In terzo luogo, l’alto tasso di criminalità. C’è un’ondata di criminalità crescente, che chiaramente si è inserita anche nelle proteste di piazza.

    D. – Ieri, è stato deciso l’arresto di tre generali, accusati dal presidente Maduro di un tentativo di colpo di Stato. Come legge questo atto?

    R. – Sicuramente, c’è l’intenzione di Maduro di tacciare di golpe qualsiasi tentativo di opposizione. Pensiamo già all’arresto di Leopoldo Lopez, leader di "Voluntad Popular", che ha sicuramente dimostrato l’intenzione di Maduro di voler proseguire con la linea dura. Dall’altra parte, c’è da dire che lo spettro del golpe è sempre stato molto forte, sia nella politica interna sia in quella estera di Chavez, sia in quella del suo successore, Maduro.

    D. – La piattaforma di opposizione venezuelana ha prospettato ad una missione dell’Unasur, la sua disposizione a dialogare con il governo di Maduro sulla situazione del Paese, anche con l’intervento di una terza parte. Pensa che questo sarà un aiuto per il dialogo tra governo e opposizione?

    R. – Penso di sì. Anche da un punto di vista militare, l’Unasur rappresenta una forza importante, una voce importante in America Latina. Presumo che Maduro accetterà il dialogo e accetterà eventuali proposte che l’Unasur farà per risolvere la questione, anche perché la linea della durezza potrebbe non giocargli a favore: potrebbe, anzi, fomentare altri tentativi insurrezionali. Quindi, non penso che la linea della durezza e la mano forte possano giocare a favore di Maduro. Penso quindi che accetterà eventuali proposte dell’Unasur.

    inizio pagina

    Emergenza Ebola in Guinea Conakry. Allarme in Sierra Leone, Liberia e Costa d'Avorio

    ◊   È lotta contro il tempo in Sierra Leone e Liberia per fermare la propagazione della febbre emorragica che ha colpito già da qualche settimana la vicina Guinea Conakry. In allerta anche la Costa d’Avorio. Un centinaio i casi individuati, principalmente legati al virus Ebola: oltre 60 le persone decedute, perlopiù in Guinea Conakry, dove le autorità stanno adottando misure di contrasto alla diffusione del virus: vietati la vendita e il consumo di carne di pipistrello. Per l’Ebola a oggi non esistono vaccini. La situazione è "in rapida evoluzione", secondo l'Organizzazione mondiale della sanità. Sull’emergenza, ascoltiamo Silvia Mancini di Medici Senza Frontiere Italia, esperta in Salute pubblica, intervistata da Giada Aquilino:

    R. – Come si sviluppa e come si propaga l’Ebola è ancora qualcosa che i ricercatori stanno studiando. Sembra fortemente probabile che sia il “serbatoio” che l’“ospite primario” siano i pipistrelli. Poi, come dagli animali il virus passi all’uomo non è ancora chiaro. Comunque, sono cinque i tipi di Ebola: di questi cinque, quattro sicuramente si sono sviluppati tra gli umani, con un tasso di mortalità molto elevato.

    D. – Ma è vero che il virus si propaga comunque attraverso il contatto tra gli uomini?

    R. – Certo. Si propaga attraverso il contatto con una persona che ha contratto il virus, oppure con il contatto con secrezioni infette, come sangue o altri liquidi.

    D. – Come si manifesta l’infezione?

    R. – L’infezione si manifesta attraverso sintomi che possono essere molto simili ad altri tipi di malattie, come ad esempio la malaria: quindi mal di testa, dolori agli arti, dolori muscolari, febbre, diarrea. In realtà, dunque, all’inizio non è facilmente identificabile.

    D. – Le notizie che arrivano dalla Guinea Conakry, come da altri Paesi limitrofi, sono che gli sforzi per contenere l’epidemia di Ebola devono fare i conti anche con grandi spostamenti di persone per i funerali, con l’usanza di toccare il corpo dei defunti…

    R. – Questo aspetto fa parte della sensibilizzazione, perché non appena la malattia è stata identificata spetta poi ai sanitari, quindi anche al mistero della Salute locale, diffondere notizie al riguardo. Ovviamente, va usata la massima prevenzione: vanno utilizzati guanti, protezioni corporee, occhiali, mascherine. Quindi, l’abitudine che molti hanno in loco di lavare i corpi, di purificarli, non deve essere adottata in questi casi.

    D. – In Guinea Conakry, avete un’equipe di una trentina di persone. Dalle notizie che vi giungono, questa febbre emorragica è legata esclusivamente all’Ebola o ci sono altre infezioni?

    R. – Attualmente, abbiamo riscontrato circa 86 casi sospetti, di cui 60 mortali e per cause riconducibili all’Ebola. È chiaro che poi in tali contesti ci sono sempre anche altre emergenze, però al momento stiamo trattando questo tipo di malattia. Uno degli interventi di Medici Senza Frontiere è anche quello di garantire che il paziente, oltre al virus dell’Ebola, non abbia altre patologie. Certo, il tipo di epidemiologia del Paese è molto variegato: ci sono altri tipi di infezioni, come la malaria, l’hiv-aids…

    D. – Cosa serve allora per la Guinea Conakry e per gli altri Paesi interessati?

    R. – Noi abbiamo inviato 33 tonnellate di materiale in Guinea, con medicine e l’equipaggiamento necessario per l’isolamento dei pazienti, oltre al materiale per proteggere il sanitario che deve somministrare le cure. Questo non esclude l’intervento di Medici Senza Frontiere anche su altri fronti. Noi contiamo che l’emergenza si esaurisca rapidamente, in meno di qualche mese. Speriamo di riuscire a contenerla attraverso una sensibilizzazione da un punto di vista igienico, l’isolamento dei malati che sono stati identificati, la cura per quanto possibile sintomatica dei malati identificati e attraverso un chiaro messaggio delle autorità sanitarie.

    inizio pagina

    Calabria. Renzi agli studenti: educazione alla legalità arma contro le mafie

    ◊   La visita alla scuola media Caloprese, l’incontro con i sindaci della Provincia di Cosenza e una manifestazione contro le mafie hanno scandito oggi la giornata del premier Matteo Renzi in Calabria. Si deve fare in modo – ha detto il presidente del Consiglio – che una legge contro il "voto di scambio politico mafioso sia al più presto possibile approvata”. Poi il premier si è rivolto direttamente ai calabresi: "Il governo non vi lascerà soli, ma abbiate il coraggio di alzarvi e combattere". Il servizio di Amedeo Lomonaco:

    Il premier Matteo Renzi, contestato al suo arrivo da un gruppo di precari, parlando agli studenti della scuola media Caloprese ha ricordato l’importanza dell’educazione alla legalità. “In Calabria – ha detto – c’è una situazione difficile di criminalità”. Il presidente di Legautonomie Calabria, Mario Maiolo:

    “Il premier Renzi ha assicurato il suo impegno rispetto alla garanzia della legalità e del presidio delle forze dell’ordine, della magistratura. Ha assicurato maggior impegno rispetto a questo fenomeno che, ovviamente, è sempre stato trattato come un fenomeno del Mezzogiorno ma che ora è diventato internazionale. E, quindi, aggredisce lo Stato anche nella sua capacità di governare il territorio e di garantire i diritti”.

    Il Comune di Scalea, in particolare, è stato sciolto lo scorso mese di febbraio per infiltrazione mafiosa. Ancora Mario Maiolo:

    “Scalea non è una realtà ad alto tasso mafioso. Scalea è un simbolo di una realtà che, apparentemente, non è ‘stritolata’ dai poteri 'ndranghetisti. Ma anche in questa realtà, la 'ndrangheta decide di infiltrarsi nell’organizzazione comunale e quindi determina condizionamenti e poi la conseguenza dello scioglimento. Questo vuol dire che anche i pezzi che, fino ad oggi, ritenevamo non sottoposti al condizionamento della 'ndrangheta, invece lo sono in maniera piena. La pervasività della 'ndrangheta è internazionale, molto profonda, con una capacità economica quasi inestimabile e questo fa sì che qualsiasi ambiente, qualsiasi realtà, sia facilmente aggredibile”.

    Rivolgendosi poi agli amministratori locali, il presidente del Consiglio dei ministri ha affermato che c’è un’emergenza nel rapporto tra politica e cittadini. “C’è uno spread drammatico – ha aggiunto – tra le istituzioni e i cittadini”. Sulla gestione dei fondi europei – ha spiegato Renzi – bisogna totalmente cambiare passo, sfruttando pienamente le risorse che arrivano dall'Unione Europea. La giornata si è conclusa con una manifestazione contro le mafie.

    inizio pagina

    Immigrati, in tanti lavorano ma in pochi prendono la pensione

    ◊   Gli immigrati sono fondamentali per il sistema previdenziale. Secondo uno studio dell’istituto Idos e della Rete Europea delle Migrazioni, nel 2015 sul totale delle persone che potranno aver diritto alla pensione solo il 2,6% sarà straniero. La maggioranza degli italiani giudica quindi alta la presenza degli immigrati nel Paese ma per loro chiede maggiori diritti. Il servizio di Alessandro Guarasci:

    Gli stranieri sono ancora una goccia nel mare del sistema pensionistico. Solo lo 0,6% su un totale di oltre 12 milioni e 300 mila persone che hanno superato i 65 anni e che dunque si può ritirare dal lavoro. Gli immigrati in Italia sono principalmente giovani, che avranno pensioni modeste visto che la loro paga è più bassa del 25% rispetto agli italiani. La situazione cambierà da qui al 2025, quando il 6% di coloro che potrà andare in pensione sarà straniero. Ma è anche vero che gli extracomunitari saranno almeno il 12,3% di tutta la popolazione residente in Italia. Anche gli ammortizzatori sociali vedono una bassa presenza degli stranieri. Basta dire che sui congedi per maternità, solo l’8,4% va a beneficio di immigrate. Franco Pittau, dell’istituto Idos:

    "La conoscenza è l’arma più potente per godere della protezione, perché parla un’altra lingua non sempre agevole. Seconda cosa, possono esserci interpretazioni distorte: in Italia ce ne sono state tante che hanno chiamato in causa non solo i giudici di merito, ma anche la Cassazione e la Corte Costituzionale".

    E secondo un’indagine del Centro Studi Famiglia, la metà degli italiani pensa che gli immigrati in Italia siano troppi, ma chiede al contempo di facilitare i ricongiungimenti familiari e più di un terzo si augura che siano migliorate le norme per ottenere la cittadinanza.

    inizio pagina

    "Abbiamo stretto molte mani", in un libro 20 anni dell'organizzazione umanitaria Intersos

    ◊   “Abbiamo stretto molte mani” è il titolo del libro che raccoglie 20 anni di esperienze sul campo dell’organizzazione non governativa italiana "Intersos", specializzata nell’intervento in situazioni d’emergenza e che nel corso del tempo ha svolto missioni in 35 Paesi del mondo. Il volume è stato presentato ieri pomeriggio a Roma. Il servizio di Davide Maggiore:

    Sono gli operatori umanitari i protagonisti del libro, e dall’Africa, dall’Asia centrale e dal Medio Oriente raccontano le loro esperienze al fianco dei beneficiari dei progetti di Intersos. Un approccio che l’autrice di “Abbiamo stretto molte mani”, la giornalista Sonia Grieco, ha voluto sottolineare fin dal titolo:

    "Ovviamente, lo abbiamo scelto insieme con Intersos. Ci sembrava emblematico del lavoro che fa Intersos, che è quello di cercare di creare un rapporto paritario con chi ha bisogno del sostegno di un’organizzazione umanitaria. Quindi, ci sembrava che desse il senso del lavoro e di come Intersos intende il lavoro umanitario".

    Il libro si concentra in particolare su contesti che fanno riferimento all’attualità, come il conflitto in Sud Sudan e la situazione afghana, ma dedica spazio anche a esperienze che hanno segnato una tappa importante nella crescita di Intersos. E raccogliendo le testimonianze nate da vent’anni di missioni, “Abbiamo stretto molte mani” diventa anche uno strumento per riflettere su cosa è cambiato e cosa invece resta costante nel settore dell’impegno umanitario. Ne parla Nino Sergi, presidente e fondatore di Intersos:

    "Il mondo è cambiato in questi 20 anni, dunque anche gli interventi umanitari hanno dovuto adattarsi ai cambiamenti del mondo. Rimangono però delle certezze che sono i principi umanitari: gli Stati spesso intervengono per altri motivi, ma un’organizzazione umanitaria interviene perché c’è bisogno. Inoltre, si interviene esercitando una neutralità: se uno prende parte tra i contendenti, ovviamente, il nostro lavoro perde molto di efficacia perché saremo visti di parte. Per questo noi dobbiamo essere neutrali ed anche imparziali. L’aiuto deve arrivare a tutti".

    In un’epoca in cui – oltre alle modalità della cooperazione – sono aumentati anche i soggetti che se ne incaricano, arrivando a comprendere le missioni militari all’estero, anche il profilo dell’operatore umanitario non è uno solo. Lo spiega Sonia Grieco:

    "Tra i vari operatori che ho intervistato, c’era chi lo ha fatto per conoscere altre culture, altre comunità e lo vuole fare con calma, con pazienza, vivendo a stretto contatto con loro. Altri perché hanno un senso della solidarietà e del dono che li ha spinti a scegliere questo mestiere. Per esempio, parlavo con uno degli amministratori – laureato in economia e finanza – che mi diceva: 'Io sarei stato destinato ad una banca, invece facendo questo mestiere vedo il destinatario finale del lavoro che faccio'”.

    Costante è però la consapevolezza che chi interviene anche in situazioni d’emergenza deve tenere conto delle cause di una crisi, in modo da poter riannodare i fili del tessuto sociale una volta terminato il conflitto. Nino Sergi prende come esempio il lavoro svolto da Intersos in Kosovo:

    "Riabilitando dei siti culturalmente, ma anche dal punto di vista religioso, molto importanti, puntando sul patrimonio artistico, siamo riusciti a unire albanesi e serbi che si sono ritrovati dopo anni ed anni di 'non dialogo'. Ricordo poi che portando ragazzi delle scuole elementari, albanesi-kosovari, al monastero di Dečani
    gli stessi monaci hanno detto: 'Noi dobbiamo imparare l’albanese. Con queste persone adesso dobbiamo dialogare molto più di quanto potevamo fare nel passato, quando il nostro rapporto era solo con la comunità serba”.

    inizio pagina

    All'Università cattolica di Recife, la "Cattedra Chiara Lubich su fraternità ed umanesimo"

    ◊   Inaugurata all’Università cattolica di Recife nel nordest brasiliano, la “Cattedra Chiara Lubich su fraternità ed umanesimo”, un nuovo spazio accademico di studio e ricerca, promosso dall’Unicap, congiuntamente con la Facoltà Asces di Caruaru. La prolusione è stata affidata a Maria Voce, la prima presidente dei Focolari succeduta alla fondatrice, giunta in questi giorni in Brasile. Tra le personalità presenti, anche il vescovo di Palmares. Da Recife, il servizio di Carla Cotignoli:

    In un’aula magna affollata, il rettore dell'Unicap il padre gesuita Pedro Rubens, ha evidenziato che “la fraternità non è un valore romantico o unicamente religioso, ma un appello all'intelligenza, un progetto concreto che assume il rischio della storia”, di un Paese, il Brasile, “segnato da gravi disuguaglianze e nello stesso tempo Paese emergente che occupa una posizione strategica nel mondo”. E’ questa una presa di coscienza che si sta facendo strada, per farsi cultura. “Lo studio e l’approfondimento della fraternità, sta attraendo sempre più l’interesse di ricercatori delle più diverse discipline”, ha rilevato il prof. Paolo Muniz, direttore della facoltà Asces. “Una ricerca che ora le due università volgono al pensiero e all’opera di Chiara Lubich, la quale – ha detto - oltre ad essere leader spirituale, è anche ispiratrice di nuove luci che illuminano le diverse aree della conoscenza umana”. Maria Voce, presidente dei Focolari, in questi giorni in Brasile, presentando la visione dell’uomo di Chiara, profondamente radicata nella Scrittura, è penetrata nella dinamica dell’Amore in Dio Trinità, il suo riflesso nella vita dell’uomo e del cosmo, la chiamata ad essere "Amore-in-relazione". Ha ricordato che “noi siamo, se siamo l’altro”, che significa “vuoto di sé”, “dono senza misura”. Per non deturpare l’immagine del Dio-comunione, impressa in noi. Di qui “un nuovo stile di vita, capace di farsi terreno fecondo su cui può germogliare - ha detto Maria Voce - un autentico umanesimo, una concreta fraternità”.

    inizio pagina

    Nella Chiesa e nel mondo



    Sud Sudan: a rischio un milione di persone, soprattutto donne e bambini

    ◊   A meno che la situazione umanitaria in Sud Sudan non migliori velocemente e radicalmente, circa un milione di persone - in maggior parte donne e bambini - dovranno affrontare una crisi ancor più grave, sia all’interno del Paese che nei Paesi vicini. “Con l’avvicinarsi delle piogge, il tempo per scongiurare una catastrofe umanitaria per i bambini del Sud Sudan si accorcia sempre più”, ha dichiarato Yasmin Haque, vice direttore dei Programmi d’Emergenza dell’Unicef, di ritorno dal Sud Sudan.

    “Le persone che abbiamo incontrato a Nyal nello Stato di Unity stanno cercando rifugio su piccole isole circondate dall’acqua. Non fanno un pasto completo da circa 75 giorni e stanno sopravvivendo a malapena nutrendosi con noci di cocco, radici selvatiche, gambi di giglio e semi. Alcuni hanno provato a realizzare delle reti per pescare. I bambini - afferma Yasmin Haque - hanno disperato bisogno di aiuto, alcuni hanno dovuto correre per salvare le proprie vite e sono stati separati dalle loro famiglie. E’ stato molto duro assistere a tutto questo”.

    Già 250.000 sud-sudanesi sono scappati nei Paesi vicini – Uganda, Etiopia, Sudan e Kenya – per sfuggire ai combattimenti e trovare aiuto. All’interno del Paese - si legge nel comunicato Unicef - più di 700.000 persone sono sfollate. La maggior parte sono donne e bambini. Con l’arrivo delle piogge gran parte del Paese diventerà irraggiungibile via terra, rendendo più difficile e più costosa la distribuzione via aerea degli aiuti salva vita. I rifugi, le precarie condizioni igienico-sanitarie e le malattie legate all’acqua metteranno ulteriormente sotto sforzo le aree sovraffollate all’interno del Sud Sudan e nei Paesi vicini.

    “Oltre le violenze cui i bambini hanno assistito e che hanno subito durante questi 100 giorni, adesso corrono rischi ancora più grandi: malattie e malnutrizione. Il tempo è scaduto per i bambini della nazione più giovane del mondo – abbiamo bisogno di risorse, accesso, pace e sicurezza. I bambini non possono aspettare”, ha concluso Haque. (R.P.)

    inizio pagina

    Papa in Terra Santa. Il card. Sandri: "La Chiesa è dalla parte di chi soffre"

    ◊   “Ad Amman sarà molto importante l’incontro di Papa Francesco con le vittime della catastrofe umanitaria causata dalla guerra in Siria, dopo la tragedia in Iraq. L’incontro con i profughi mostrerà che la Chiesa è dalla parte di quelli che più soffrono, e costituirà un appello al mondo intero per un aiuto concreto a queste persone”. È quanto afferma il card. Leonardo Sandri, prefetto della Congregazione per le Chiese orientali, parlando del viaggio, a maggio, di Papa Francesco in Terra Santa.

    In un’intervista in uscita sul numero di marzo-aprile del bimestrale Terrasanta e ripresa dall'agenzia Sir, il cardinale ricorda che “il viaggio avrà fondamentalmente un significato ecumenico, sulla scia di un interrogativo che c’interpella tutti e che è sempre più incomprensibile: perché siamo divisi? Perché se tutti crediamo in Cristo stiamo dando questo spettacolo di divisione? È enormemente significativo - aggiunge Sandri - che il Papa incontrerà il patriarca Bartolomeo e lo abbraccerà esattamente come 50 anni fa si abbracciarono Paolo VI e Atenagora proprio nel Santo Sepolcro, che rappresenta il luogo in cui si avverte maggiormente la divisione dei cristiani.

    Nell’intervista il prefetto si sofferma anche sull’annosa trattativa con Israele per la restituzione del Cenacolo, intesa come un possibile gesto verso Papa Francesco: “Le sorprese non sono da escludere, specialmente da un popolo sensibile alle istanze religiose come il popolo d’Israele, un popolo che capisce l’importanza di questo luogo per i cristiani, e per i cattolici in particolare”. Un gesto come la restituzione, spiega il card. Sandri, “sarebbe magnifico non solo perché sarebbe un atto unilaterale, ma soprattutto come gesto di corrispondenza all’amore che Papa Francesco dimostra per il popolo ebraico, e che tutti manifestiamo per la fede di Abramo”. (R.P.)

    inizio pagina

    Terra Santa: le sfide per la famiglia oggi al centro dell'omelia del patriarca Twal

    ◊   “Esistono diverse sfide che toccano la famiglia cristiana e che minacciano la sua stabilità e la sua coerenza, sfide importanti, ma noi non abbiamo nulla da temere fino a quando resteremo uniti con la Santa Famiglia di Nazareth”: è quanto ha affermato il patriarca latino di Gerusalemme Fouad Twal, nell’omelia pronunciata ieri, durante la celebrazione presieduta in occasione della solennità dell’Annunciazione nell’omonima basilica di Nazareth. In una chiesa gremita di fedeli, alla presenza delle autorità religiose e politiche, il patriarca ha lanciato un messaggio spiritualmente forte e pieno di speranza.

    “Noi soffriamo e siamo tormentati a causa delle numerose sfide presenti in Terra Santa – ha aggiunto –. I nostri fratelli, in Siria, in Iraq, in Egitto ma anche in Nigeria, in Africa centrale e altrove, sono schiacciati dalle guerre e dalle divisioni”. “Delle sofferenze si aggiungono alle nostre ferite qui a Nazareth ed in Palestina”, ha proseguito il patriarca che ha poi definito la famiglia “pietra angolare della trasmissione della fede”, evidenziando che in Terra Santa le famiglie sono unite da legami religiosi, dal senso morale, dalle buone tradizioni ereditate dagli antenati. Il patriarca ha inoltre parlato dell’importanza della famiglia sia per la società che per la comunità cristiana, ed ha invitato i fedeli e le autorità a fare di tutto per garantirne la stabilità e la sopravvivenza.

    Ricordando la figura di Maria e il suo atteggiamento di fronte all’annuncio dell’arcangelo Gabriele, il patriarca ha anche incoraggiato i fedeli a non temere le difficoltà della vita e ad aprirsi al mistero di Dio. Infine, un riferimento al viaggio apostolico che Papa Francesco compirà in Terra Santa, dal 24 al 26 maggio. Il patriarca Twal l’ha definito “una visita importante e ricca di significato”, sia perché essa ricorderà il 50.mo anniversario dell’incontro di Paolo VI con il patriarca ecumenico Atenagora, sia per il messaggio di cui è portatore Papa Francesco, “apostolo della carità, della pace e della riconciliazione, apostolo della famiglia, difensore dei suoi diritti”. (G.P.)

    inizio pagina

    Libano: il patriarca Rai interviene sull'elezione del nuovo presidente

    ◊   L'elezione del nuovo Presidente della Repubblica libanese è una scelta che compete solo ai cittadini del Libano “e non agli iraniani, ai sauditi o agli americani”. Essa deve essere operata alla luce del sole dall'Assemblea parlamentare, e non attraverso accordi sotterranei extra-parlamentari tra le fazioni contrapposte che da anni bloccano il corretto funzionamento delle istituzioni statali. Così il patriarca di Antiochia dei Maroniti, Bechara Boutros Rai, si è espresso in un'intervista rilasciata alla rete televisiva Lbci. Nel corso dell'intervista, il patriarca Rai ha più volte richiamato il presidente del parlamento Nabih Berri a convocare subito l'Assemblea parlamentare per permettere ai deputati di iniziare al più presto la ricerca di candidati alla Presidenza della repubblica.

    Il richiamo a coinvolgere subito il Parlamento, espresso dal patriarca, contrasta con le mosse di chi punta invece ad affidare la scelta del nuovo Presidente a accordi preconfezionati tra i due blocchi politici maggioritari – la Coalizione 8 marzo e la Coalizione 14 marzo – che da anni condizionano la vita politica del Paese dei cedri.

    L'attuale Presidente in carica, Michel Sleiman, terminerà il suo mandato il prossimo 25 maggio. Nel sistema istituzionale in vigore in Libano, la carica di Presidente della Repubblica spetta a un cristiano. Le preoccupazioni espresse dal Capo della Chiesa maronita riguardano la possibilità che la contrapposizione tra i blocchi possa portare a un'impasse o a scelte di compromesso al ribasso, sottraendo di fatto all'Assemblea parlamentare la competenza dell'elezione.

    Il Patriarca ha ribadito che non è sua intenzione indicare dei nomi per la carica presidenziale. Ma ha aggiunto che, in caso di stallo, renderà noto l'elenco dei candidati preferiti dal popolo libanese, sulla base degli orientamenti documentati da sondaggi e ricerche demoscopiche. Riguardo al profilo del candidato, il patriarca Rai ha sottolineato l'urgenza di trovare una “persona moderna che sappia trattare gli affari dello Stato”, ribadendo che a scegliere il loro Presidente devono essere solo i cittadini libanesi, “e non gli iraniani, i sauditi o gli americani”. Il card. Rai ha anche rivelato di aver incontrato diplomatici di diversi Paesi per chiedere loro di tenere fuori il Libano dal conflitto siriano, dai negoziati sul programma nucleare iraniano e dalle tensioni tra Iran e Arabia saudita, per garantire che l'elezione del Presidente non sia condizionata dalle tensioni regionali e internazionali.

    Interpellato riguardo alle milizie collegate al partito sciita Hezbollah, il Patriarca Rai ha ribadito che esse non possono operare al di fuori della giurisdizione dello Stato e devono essere inserite nel quadro della strategia di difesa nazionale. (R.P.)

    inizio pagina

    Egitto. Commissione d'inchiesta: continuano le violenze contro i copti

    ◊   La Commissione d'inchiesta sugli incidenti del 30 giugno, incaricata di monitorare le violenze settarie che continuano a attraversare l'Egitto dopo la deposizione del Presidente Morsi, ha documentato in un rapporto pubblicato ieri, le forme endemiche di violenza e di prevaricazione che continuano ad essere perpetrate ai danni dei cristiani copti in molte aree del Paese, in particolare nei governatorati di Luxor, Sohag e Aswan.

    Nel rapporto, ripreso dall'agenzia Fides, si fa riferimento a rapimenti, espropri di case, saccheggi di negozi di cui continuano a essere vittime in maniera mirata i copti egiziani. Il preoccupante scenario è stato ricostruito nei dettagli sulla base di incontri con i rappresentanti delle comunità, con organizzazioni della società civile e grazie anche a materiale documentario fornito dai testimoni oculari di molti fenomeni di violenza. (R.P.)

    inizio pagina

    Monito da Luanda: stop ai gruppi ribelli nel Kivu

    ◊   Una “condanna” ai gruppi ribelli ancora attivi in Nord Kivu, che “possono rappresentare una minaccia per la stabilità della regione”: sono queste le conclusioni del mini-vertice dei capi di Stato della regione dei Grandi Laghi, tenuto ieri a Luanda.
    Dai colloqui a porte chiuse - riferisce l'agenzia Misna - non sono emerse decisioni concrete ma soltanto una posizione comune sulla necessità di “bloccare gli incidenti nefasti provocati da elementi negativi”, un riferimento chiaro ai ribelli ugandesi Adf-Nalu (Alleanza delle forze democratiche-Esercito nazionale di liberazione dell’Uganda) e ai ruandesi delle Forze democratiche di liberazione del Rwanda (Fdlr, hutu). “Dobbiamo lanciare azioni multidisciplinari sul piano politico, sociale e se necessario anche militare” ha dichiarato José Eduardo dos Santos, presidente dell’Angola, il Paese che detiene la presidenza di turno della Conferenze internazionale per la regione dei Grandi Laghi (Cirgl).

    Al vertice di Luanda hanno partecipato i capi i Stato di Rwanda, Paul Kagame, Repubblica Democratica del Congo, Joseph Kabila, Uganda, Yoweri Museveni, e Repubblica del Congo, Denis Sassou Nguesso. I capi di stato-maggiore dei Paesi membri dell’organismo regionale hanno fatto il punto dell’andamento delle operazioni militari in Kivu, attuate dalle Forze armate regolari congolesi (Fardc) e dalla locale missione Onu (Monusco).

    Sulla lotta ai gruppi armati dell’est del Congo, le conclusioni dell’incontro sono state “positive”, ha sottolineato Ntumba Luaba, segretario esecutivo della Cirgl. I partner regionali hanno esplicitamente chiesto alle autorità di Kinshasa di “proseguire le operazioni fino al pieno controllo” delle instabili province, ma hanno anche riconosciuto i successi già ottenuti sul terreno. “Il Presidente Kabila ha confermato che l’85% dei combattenti delle Adf-Nalu è stato neutralizzato. Anche la delegazione ugandese lo ha riconosciuto – ha detto Luaba – ma ora rimangono le Fdlr”.

    Altro tema al centro del vertice – secondo alcune fonti di stampa tenuto dietro esplicita richiesta di Pretoria al presidente angolano – è stata la crisi diplomatica tra Rwanda e Sudafrica. “L’incontro a porte chiuse di Luanda è stato l’opportunità di un dialogo onesto e diretto per cercare di appianare le divergenze” hanno commentato fonti anonime della Cirgl. A Luanda il presidente sudafricano Jacob Zuma ha avuto un confronto diretto col suo omologo ruandese Kagame. In assenza di dichiarazioni ufficiali sul braccio di ferro politico tra Pretoria e Kigali, osservatori hanno ipotecato che Zuma abbia voluto “spiegare ai presidenti della regione le cause delle divergenze” con le autorità ruandesi, ma anche lanciare un “monito al Rwanda davanti a testimoni”. Due settimane fa Pretoria ha espulso tre diplomatici ruandesi sospettati di coinvolgimento nell’attacco alla residenza dell’ex capo di stato maggiore ruandese, il generale Kayumba Nyamwasa, esiliato a Johannesburg. Alcune cronache giornalistiche si sono inoltre interrogate sull’assenza del Presidente tanzaniano Jakaya Kikwete, che era stato invitato. Kigali lo accusa di essere vicino alla ribellione ruandese delle Fdlr. (R.P.)

    inizio pagina

    Nigeria: a Kaduna incontro interreligioso per la pace

    ◊   La pace si costruisce con il confronto sui problemi, sociali, economici e politici: è l’idea alla base di un incontro interreligioso in corso a Kaduna, capoluogo di una delle regioni della Nigeria dove tensioni tra comunità di pastori e contadini sono di recente sfociate in violenze che hanno causato decine di vittime.

    All’incontro, riferisce il quotidiano Daily Trust, stanno partecipando da ieri sia rappresentanti delle Chiese cristiane e delle comunità musulmane che capi tradizionali. In un discorso pronunciato in apertura dei lavori il governatore dello Stato di Kaduna, Mukhtar Ramalan Yero, ha sottolineato che pace e sicurezza possono essere solo frutto di “un approccio multi-dimensionale”. “La gente – ha aggiunto Yero – crede che le differenze di tribù o di religione siano la causa di quanto sta accadendo, ma queste differenze le avevamo anche in passato e vivevamo in pace”.

    Tra il 15 e il 16 marzo - riferisce l'agenzia Misna - più di 100 persone sono state uccise nel corso di assalti di pastori di etnia fulani a tre villaggi del distretto di Kaura, nello Stato di Kaduna. Violenze che hanno contrapposto diverse comunità, in apparenza innescate da dispute sulla proprietà della terra e i diritti di pascolo, si sono verificate in Nigeria anche ieri. Nello Stato orientale di Benue si sono scontrati pastori fulani, per lo più musulmani, e contadini tiv, in maggioranza cristiani. Secondo un portavoce dell’amministrazione locale, le vittime sono almeno sette. Fonti del quotidiano The Vanguard, per ora prive di conferme, riferiscono invece di decine di vittime. (R.P.)

    inizio pagina

    Nicaragua: il governo di Ortega disponibile al dialogo con la Chiesa

    ◊   La Conferenza episcopale del Nicaragua (Cen) ha annunciato che il governo di Daniel Ortega ha accettato l'invito al dialogo che i vescovi gli avevano rivolto con una lettera lo scorso 18 marzo. "Questa richiesta ha avuto risposta martedì scorso, in modo positivo" si legge nella nota inviata all’agenzia Fides dalla Cen.

    Prima ancora che la stampa locale informasse i nicaraguensi, il vescovo ausiliare di Managua e Segretario generale della Cen, mons. Silvio José Báez, in un twitter a Fides specificava che “nel dialogo con il governo, la Chiesa non parlerà a suo favore, ma del benessere socio-economico e politico del Nicaragua”. Successivamente lo stesso mons. Báez avvertiva: “Non ci sono temi stabiliti per il dialogo. C'è solo la buona volontà della Cen di farsi, come Chiesa, strumento di dialogo e di comunione”.

    Fra il governo del presidente Ortega e la Chiesa cattolica ci sono buoni rapporti, ma molto distanti, perché i vescovi hanno criticato le autorità riguardo all'uso dei simboli religiosi nelle manifestazioni pubbliche, alla concentrazione del potere di rappresentanza e per le presunte frodi nelle elezioni del 2007. Da quando l'arcivescovo Brenes è stato creato cardinale, il Presidente Ortega ha comunque mostrato particolare interesse a instaurare un dialogo con la Chiesa, dopo sette anni di tentativi falliti da parte della Cen. (R.P.)

    inizio pagina

    Brasile: la Chiesa accompagna i Mondiali di calcio invitando a lottare contro la tratta

    ◊   La Conferenza nazionale dei vescovi del Brasile (Cnbb), tramite la sua Commissione della Pastorale della Mobilità umana, ha pubblicato un messaggio intitolato "Gioca per la Vita" in vista dei prossimi Mondiali di calcio, nel quale afferma che la Chiesa del Brasile "accompagna con presenza amorevole, materna e solidale, questo evento che riunirà diversi Paesi, e la possibilità di proporre una riconciliazione universale".

    A motivo del Campionato mondiale di calcio, che inizierà il prossimo giugno in diverse città brasiliane, i vescovi invitano ad aderire al progetto "Coppa della Pace" e alla campagna "Gioca per la Vita” e a “denunciare il traffico di esseri umani", perché questo evento "sia ricordato come un momento di rafforzamento della cittadinanza". Nel messaggio, inviato a Fides dalla Cnbb, i vescovi sottolineano che l'evento sportivo serve a riflettere con la società sui rapporti pacifici e culturali tra tutti i popoli, come sugli aspetti sociali ed economici coinvolti nello sport, ribadendo che il denaro e il successo non devono prevalere come obiettivo finale.

    La Campagna di Fraternità 2014, che si sta svolgendo per la Quaresima, oltre ad informare e prevenire il fenomeno della tratta, sollecita una partecipazione diretta, in quanto “rappresenta un invito a tutta la società brasiliana, a prendere coscienza di un problema di rilevanza sociale - come afferma mons. Jaime Spengler, arcivescovo di Porto Alegre nella nota inviata a Fides -. In questo 2014 ci siamo confrontati con la piaga del traffico di esseri umani, che provoca dolore, sofferenza, vergogna e la morte a tanti fratelli". (R.P.)

    inizio pagina

    Myanmar: la "lunga marcia" degli attivisti birmani per la chiusura della diga di Myitsone

    ◊   Oltre cento attivisti birmani hanno lanciato una marcia di due mesi, che ha preso il via lo scorso 23 marzo a Yangon e si concluderà nei pressi del cantiere della controversa diga di Myitsone, in territorio Kachin, nel nord del Myanmar al confine con la Cina. I promotori intendono esercitare pressioni sull'esecutivo centrale a Naypyidaw e sul Presidente Thein Sein, perché venga cancellato in modo permanente il progetto. Un cammino lungo oltre 2.400 km, da compiere in poco più di due mesi a piedi attraverso villaggi, campagne e cittadine. Il proposito è quello di sensibilizzare la popolazione sul mega-impianto, nel mirino degli ambientalisti per i pesanti danni che causerebbe al fiume Irrawaddy e all'intero eco-sistema naturale lungo il suo corso.

    Nel settembre 2011 - riferisce l'agenzia AsiaNews - il Presidente Thein Sein aveva ordinato lo stop ai lavori e la sospensione sino al 2015, termine del suo mandato, per valutarne l'impatto ambientale. In realtà, secondo testimoni locali le operazioni "accessorie" alla realizzazione della diga, fra cui la realizzazione di strade che conducono al cantiere e gli abbattimenti, non si sono mai fermate.

    Da tempo le Compagnie cinesi premono sul governo birmano per ottenere la ripresa dei lavori; il timore degli ambientalisti e degli attivisti per i diritti umani è che nel 2015, con le elezioni parlamentari e la formazione di un nuovo esecutivo, il cantiere riprenda a pieno ritmo.

    La leader dell'opposizione Aung San Suu Kyi nei mesi scorsi ha criticato con forza il capo di Stato per non aver chiarito in via definitiva le sorti future della diga di Myitsone e, di conseguenza, della popolazione locale interessata al progetto. La Nobel per la pace e presidente della Lega nazionale per la democrazia (Nld) ha accusato il presidente di voler "consegnare la patata bollente" al prossimo esecutivo, dichiarando solo una sospensione dei lavori sino al termine del suo mandato.

    La costruzione della diga di Myitsone è frutto di un progetto congiunto da 3,6 miliardi di dollari fra il Ministero birmano dell'industria, Asia World e la China Power Investment Corporation (Cpi), gigante cinese dell'energia. Essa dovrebbe garantire 3.600 megawatt di potenza, destinati a rifornire la provincia cinese dello Yunnan. L'apertura del cantiere ha causato lo spostamento forzato di 15mila abitanti, sparsi in 60 villaggi della zona; la comunità cristiana ha inoltre denunciato la distruzione di una grotta che conteneva una statua della Vergine Maria, cui i fedeli erano devoti. (R.P.)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVIII no. 85

    inizio pagina
    E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.