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Sommario del 24/03/2014

Il Papa e la Santa Sede

  • Il Papa: la “grande scuola” per chi si dedica ai malati è la Passione di Gesù
  • L'unità tra cristiani supera i conflitti: così il Papa ai vescovi della Guinea Conakry
  • Papa Francesco: Dio ci salva nei nostri sbagli non nelle nostre sicurezze
  • Il Papa alla gente della Casamance: prego per la riconciliazione e la fine delle violenze
  • In udienza dal Papa una delegazione della Chiesa ortodossa greca
  • Tweet del Papa: Gesù mai è lontano da noi peccatori, riversa senza misura la sua misericordia
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Egitto: sale la tensione dopo la condanna a morte di 529 sostenitori dei Fratelli Musulmani
  • Sud Sudan: sete di potere dietro il conflitto interetnico. Forse già un milione i profughi
  • Municipali in Francia: dominio del Fronte Nazionale di Le Pen, attesa per il ballottaggio di domenica
  • Giornata contro la tubercolosi, malattia ancora molto diffusa in aree povere del mondo
  • Giornata di preghiera per i missionari martiri: il ricordo di p. Lanciotti e p. Bizimana
  • Ilo: un giovane su due tra i 15 e i 24 anni non ha lavoro, urgono misure di tutela
  • Corsa contro il tempo per Rejana, bimba kosovara con l’esofago menomato
  • Sanità e futuro: in Trentino la cartella clinica è on line
  • Fosse Ardeatine, 70 anni fa l'eccidio. Testimonianze di Giulia Spizzichino e Vera Michelin Salomon
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • El Salvador: il Paese ricorda l’assassinio di mons. Romero
  • Le conclusioni del Seminario di studio su Giovanni Paolo II, il "Papa della famiglia"
  • Kenya: vescovo e missionari sull'attacco ad una chiesa a Mombasa
  • Congo: più di 250 rifugiati annegano cercando di rientrare in patria dall’Uganda
  • Guinea Conakry: confermata epidemia di Ebola nel sud
  • Pakistan. Asia Bibi: nuova udienza il 26 marzo
  • Terra Santa: i giovani in preghiera per il viaggio di Papa Francesco
  • Nazareth: inaugurate nuove sale dell’Ospedale San Vincenzo de’ Paoli
  • Taiwan. A Taipei la polizia sgombera il palazzo del governo occupato dagli studenti
  • Iraq. I capi delle Chiese a tutti i cristiani: partecipiamo alle elezioni
  • India: il 6 aprile Giornata di preghiera per le elezioni
  • India. Madhya Pradesh: arrestati due pastori pentecostali con false accuse di conversioni forzate
  • Austria: al via l'Assemblea plenaria della Conferenza episcopale
  • Bolivia: i vescovi invocano un dialogo solidale per uno sbocco al mare del Paese
  • Il Papa e la Santa Sede



    Il Papa: la “grande scuola” per chi si dedica ai malati è la Passione di Gesù

    ◊   Non c’è tipo di malattia o di sofferenza psicofisica nella quale non si possa riconoscere il valore sacro della vita umana e il segno della Passione di Cristo, che spinge a curare chi soffre con amore, difendendone la dignità. Lo ha detto Papa Francesco ai membri della Plenaria del Pontificio Consiglio degli Operatori Sanitari. Il servizio di Alessandro De Carolis:

    C’è un grande abbraccio di Dio che si stringe attorno alla “carne di Cristo”, che consola chi soffre per una malattia, una disabilità, e che spesso, oltre alla sopportazione del male fisico, vive anche il gelo dell’abbandono, dell’indifferenza. “Carne di Cristo”, come ama definirla Papa Francesco, che ricorda al dicastero degli Operatori Sanitari come l’esperienza del Calvario abbia ribaltato ogni prospettiva legata al dolore, dando un senso anche alla più grave infermità umana:

    “E’ vero, infatti, che anche nella sofferenza nessuno è mai solo, perché Dio nel suo amore misericordioso per l’uomo e per il mondo abbraccia anche le situazioni più disumane, nelle quali l’immagine del Creatore presente in ogni persona appare offuscata o sfigurata. Così è stato per Gesù nella sua Passione. In Lui ogni dolore umano, ogni angoscia, ogni patimento è stato assunto per amore, per pura volontà di esserci vicino, di essere con noi”.

    “Nella Passione di Gesù – è l’affermazione centrale di Papa Francesco – c’è la più grande scuola per chiunque voglia dedicarsi al servizio dei fratelli malati e sofferenti”:

    “L’esperienza della condivisione fraterna con chi soffre ci apre alla vera bellezza della vita umana, che comprende la sua fragilità. Nella custodia e nella promozione della vita, in qualunque stadio e condizione si trovi, possiamo riconoscere la dignità e il valore di ogni singolo essere umano, dal concepimento fino alla morte”.

    Papa Francesco ricorda Giovanni Paolo II e la sua Lettera di 30 anni fa, la Salvifici doloris, sul significato della sofferenza in ottica cristiana. Ma soprattutto ne rammenta l’essere stato, sul finire della vita, testimone “esemplare” dei suoi stessi insegnamenti, un “magistero vivente”, amato e venerato da milioni di persone. E dunque, un esempio e un magistero – indica il papa ai mebri della Plenaria – che chiede di essere imitato:

    “Cari amici, nel quotidiano svolgimento del nostro servizio, teniamo sempre presente la carne di Cristo presente nei poveri, nei sofferenti, nei bambini, anche indesiderati, nelle persone con handicap fisici o psichici, negli anziani”.

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    L'unità tra cristiani supera i conflitti: così il Papa ai vescovi della Guinea Conakry

    ◊   Le discordie tra cristiani sono il più grande ostacolo all’evangelizzazione. Lo ha sottolineato Papa Francesco, nel discorso consegnato stamani ai vescovi della Guinea Conakry in visita ad Limina. Dopo aver salutato il presidente della locale Conferenza episcopale, mons. Emmanuel Félémou, e ricordato la collaborazione con il cardinale Robert Sarah, arcivescovo emerito di Conakry e presidente del Pontificio Consiglio Cor Unum, il pensiero del Santo Padre è anche andato alle condizioni di grande povertà della popolazione del Paese africano, a fianco della quale opera la Chiesa locale. Il servizio di Giada Aquilino:

    In un mondo ferito da tanti “conflitti etnici, politici e religiosi”, le nostre comunità devono essere autenticamente fraterne e riconciliate, perché “le discordie tra cristiani sono il più grande ostacolo all’evangelizzazione”: solo rimanendo “uniti nell’amore” possiamo rendere testimonianza “della verità del Vangelo”. Questa la riflessione del Papa con i vescovi della Guinea Conakry, ai quali ha ricordato che “l’unità supera il conflitto”. Tali disaccordi, ha proseguito il Pontefice, favoriscono il proliferare di gruppi che sfruttano la povertà e la buona fede della gente, “per offrire facili ma illusorie soluzioni ai problemi”.

    In questo quadro e nonostante le condizioni in cui la Buona Novella è annunciata siano spesso “difficili”, in Guinea Conakry comunque si compie “un grande lavoro di evangelizzazione”, in cui i vescovi non sono “soli”: con loro, “tutto il popolo – ha notato il Santo Padre – è missionario”. Ricordando che “tutta la nostra esistenza deve essere coerente col Vangelo che predichiamo”, il Pontefice ha messo in luce la “realtà viva” delle diocesi del Paese africano, riferendosi ai fedeli laici impegnati nella pastorale, con particolare attenzione ai catechisti che svolgono “un’opera insostituibile di evangelizzazione e animazione nelle comunità cristiane”, anche grazie ad appositi centri di formazione.

    Papa Francesco ha esortato poi a “sostenere le famiglie” per le quali “il modello cristiano deve essere proposto e vissuto senza ambiguità”, anche se – ha proseguito – la poligamia è ancora diffusa e sono frequenti i matrimoni con disparità di culto, cioè tra un battezzato e un non battezzato. Per i laici, in particolare i giovani, il Santo Padre ha suggerito di invitarli a testimoniare la loro fede con un “maggiore impegno nella società”, perché – con gli altri attori della vita sociale – siano sempre e ovunque “artigiani di pace e riconciliazione per lottare contro l’estrema povertà” nel Paese. In tale prospettiva, “malgrado le difficoltà”, il Papa ha auspicato di “approfondire le relazioni” con le comunità musulmane locali, imparando reciprocamente ad accettare modi di essere, di pensare e di esprimersi diversi.

    Il pensiero del Pontefice è andato anche ai religiosi e alle religiose che, con la preghiera e le opere, sono sempre al fianco della popolazione: spesso in situazioni “di grande povertà”, offrono assistenza sanitaria, educativa e scolastica. Eppure l’apostolato dei sacerdoti è reso difficile dal loro numero esiguo; ai vescovi il Papa ha raccomandato di essere “padri e amici”, ricordando che i sacerdoti “devono vivere in linea con ciò che predicano”: è la credibilità stessa della testimonianza della Chiesa ad essere “in gioco”. Per questo, va fatto tutto il possibile per suscitare “abbondanti e solide vocazioni sacerdotali”. Papa Francesco ha quindi salutato la recente apertura del Seminario intitolato a Benedetto XVI, affinché ne nasca un nuovo slancio nella vita sacerdotale, offrendo ai giovani “un cammino serio di crescita intellettuale e spirituale”. Raccomandata infine una vocazione vissuta “nella gioia”, osservando “le esigenze del celibato ecclesiastico”, rifiutando “mondanità e carrierismi”, perché - ha concluso il Pontefice - il sacerdozio “non è un mezzo di ascesa sociale”.

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    Papa Francesco: Dio ci salva nei nostri sbagli non nelle nostre sicurezze

    ◊   Non ci salva la nostra sicurezza di osservare i comandamenti, ma l’umiltà di avere sempre bisogno di essere guariti da Dio: è quanto, in sintesi, ha affermato Papa Francesco nella Messa presieduta stamane a Santa Marta. Ce ne parla Sergio Centofanti:

    “Nessun profeta è bene accetto nella sua patria”: l’omelia del Papa parte da queste parole di Gesù rivolte ai suoi conterranei, gli abitanti di Nazaret, presso i quali non poté operare miracoli perché “non avevano fede”. Gesù ricorda due episodi biblici: il miracolo della guarigione dalla lebbra di Naamàn il Siro, al tempo del profeta Eliseo, e l’incontro del profeta Elia con la vedova di Sarepta di Sidone, che fu salvata dalla carestia. “I lebbrosi e le vedove – spiega Papa Francesco - in quel tempo erano emarginati”. Eppure, questi due emarginati, accogliendo i profeti, sono stati salvati. Invece, i nazaretani non accettano Gesù, perché “erano tanto sicuri nella loro ‘fede’, tanto sicuri nella loro osservanza dei comandamenti, che non avevano bisogno di un’altra salvezza”:

    “E’ il dramma dell’osservanza dei comandamenti senza fede: 'Io mi salvo da solo, perché vado alla sinagoga tutti i sabati, cerco di ubbidire ai comandamenti, ma che non venga questo a dirmi che erano meglio di me quel lebbroso e quella vedova!'. Quelli erano emarginati! E Gesù ci dice: ‘Ma, guarda, se tu non ti emargini, non ti senti al margine, non avrai salvezza’. Questa è l’umiltà, la strada dell’umiltà: sentirsi tanto emarginati che abbiamo bisogno della salvezza del Signore. Solo Lui salva, non la nostra osservanza dei precetti. E questo non è piaciuto, si sono arrabbiati e volevano ucciderlo”.

    La stessa rabbia – commenta il Papa - colpisce inizialmente anche Naamàn, perché ritiene ridicolo e umiliante l’invito di Eliseo a bagnarsi sette volte nel fiume Giordano per essere guarito dalla lebbra. “Il Signore gli chiede un gesto di umiltà, di ubbidire come un bambino, fare il ridicolo”. Se ne va sdegnato, ma poi, convinto dai suoi servi, torna e fa quanto detto dal profeta. Quell’atto di umiltà lo guarisce. “E’ questo il messaggio di oggi, in questa terza settimana di Quaresima – afferma il Papa -: se noi vogliamo essere salvi, dobbiamo scegliere la strada dell’umiltà”:

    “Maria nel suo Cantico non dice che è contenta perché Dio ha guardato la sua verginità, la sua bontà e la sua dolcezza, tante virtù che aveva lei, no: ma perché il Signore ha guardato l’umiltà della sua serva, la sua piccolezza, l’umiltà. E’ quello che guarda il Signore. E dobbiamo imparare questa saggezza di emarginarci, perché il Signore ci trovi. Non ci troverà al centro delle nostre sicurezze, no, no. Lì non va il Signore. Ci troverà nell’emarginazione, nei nostri peccati, nei nostri sbagli, nelle nostre necessità di essere guariti spiritualmente, di essere salvati; lì ci troverà il Signore”.

    “E questa – ribadisce il Papa - è la strada dell’umiltà”:

    “L’umiltà cristiana non è la virtù di dire: ‘Ma, io non servo per niente’ e nascondere la superbia lì, no, no! L’umiltà cristiana è dire la verità: ‘Sono peccatore, sono peccatrice’. Dire la verità: è questa la nostra verità. Ma, c’è l’altra: Dio ci salva. Ma ci salva là, quando noi siamo emarginati; non ci salva nella nostra sicurezza. Chiediamo la grazia di avere questa saggezza di emarginarci, la grazia dell’umiltà per ricevere la salvezza del Signore”.

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    Il Papa alla gente della Casamance: prego per la riconciliazione e la fine delle violenze

    ◊   Un’esistenza concorde e fraterna. È quanto Papa Francesco auspica per la regione senegalese della Casamance, segnata da un lungo conflitto interno. L’augurio del Papa è contenuto in un messaggio inviato in Senegal a firma del segretario di Stato, il cardinale Pietro Parolin, in occasione del 26.mo pellegrinaggio interdiocesano che le diocesi di Ziguinchor e Kolda hanno effettuato, sabato e domenica scorsi, al Santuario mariano di Témento. Il Papa incoraggia gli abitanti della Casamance, “così provata dalla violenza e dalla divisione, a cercare “una vera e propria rinascita evangelica e a perseverare nella preghiera, senza scoraggiarsi, chiedendo a Dio di rendere tutti artigiani della pace e della riconciliazione”.

    Il messaggio del Papa è stato letto ieri dal nunzio apostolico in Senegal, mons. Mariano Montemayor, durante la Messa solenne presieduta nel Santuario, durante la quale anche il presule ha spronato la popolazione della Casamance alla pacificazione della regione.

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    In udienza dal Papa una delegazione della Chiesa ortodossa greca

    ◊   Papa Francesco ha ricevuto nel corso della mattinata, in successive udienze, il cardinale Fernando Filoni, Prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli e una delegazione dell’“Apostolikì Diakonia” della Chiesa Ortodossa di Grecia. Sabato scorso, il Papa ha ricevuto in udienza il cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Conferenza Episcopale Italiana.

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    Tweet del Papa: Gesù mai è lontano da noi peccatori, riversa senza misura la sua misericordia

    ◊   Papa Francesco ha lanciato oggi un tweet dal suo account @Pontifex: “Gesù non è mai lontano da noi peccatori. Lui vuole riversare su di noi, senza misura, tutta la sua misericordia”.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   L’unità prevalga sui conflitti: il messaggio di Papa Francesco durante l'udienza ai vescovi della Guinea.

    Nel servizio vaticano, Nicola Gori a colloquio con monsignor Nykiel in occasione del XXV corso sul foro interno promosso dalla Penitenzieria apostolica.

    Una parola di misericordia: in prima pagina, un editoriale di Manuel Nin sull'Annunciazione secondo Severo di Antiochia.

    La linea di Obama: nel servizio internazionale, il vertice dell'Aia sulla crisi ucraina.
    Alle origini del mito del complotto: Anna Foa sull'antisemitismo nella letteratura russa dell'Ottocento.

    Teologi stanchi? Un articolo dell'arcivescovo Rino Fisichella, presidente del Pontificio Consiglio per la nuova evangelizzazione, su Max Seckler.

    Fede e martirio sopra Seoul: in cultura, Christian Martini Grimaldi santuario di Jeoldusan, il cui museo conserva le lettere scritte da Andrea Taegon durante la persecuzione.

    Marcello Filotei ricorda l'eccidio delle Fosse Ardeatine.

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    Oggi in Primo Piano



    Egitto: sale la tensione dopo la condanna a morte di 529 sostenitori dei Fratelli Musulmani

    ◊   In Egitto si sono registrati, questa mattina, momenti di forte tensione davanti al tribunale di Minya dopo la lettura della sentenza di condanna a morte per 529 sostenitori dei Fratelli musulmani, con vari capi di accusa che includono anche l’omicidio. Amedeo Lomonaco ha raccolto il commento della prof.ssa Valentina Colombo della European Foundation for Democracy e ricercatrice di storia dei Paesi islamici all’Università Europea di Roma:

    R. – La notizia di questa mattina mi riporta al 1954. Mi riporta all’anno in cui Nasser diede avvio a quella che può essere definita una purga del movimento dei Fratelli musulmani. In questo momento, un’azione di questo genere è interpretabile come l’ennesimo atto di forza da parte di un governo che, dal punto di vista della sicurezza interna, è molto debole. Teniamo presente che in Egitto, ad esempio, un’area come il Sinai è ormai al di là di ogni controllo, per quanto riguarda la sicurezza. Questa azione intende dunque dire: noi ci siamo e puniremo con ogni mezzo chiunque ci si opporrà.

    D. – Ma non è proprio un rischio, questo, per far salire la tensione in vista delle elezioni presidenziali che si terranno entro giugno?

    R. – E’ un rischio anche nei confronti dell’opinione internazionale. Io parlo da persona che non ha mai risparmiato critiche al Movimento dei Fratelli musulmani. Ma un’azione di questo genere, un’azione che condanna a morte 529 persone legate – chi più, chi meno – al movimento dei Fratelli musulmani, certamente non è una mossa che – a livello internazionale – possa definirsi una mossa opportuna da parte del governo egiziano. Teniamo presente che l’opinione internazionale – Stati Uniti ma anche recenti dichiarazioni del vice ministro degli esteri italiano – propende per un dialogo con i Fratelli musulmani. Questa mossa del governo egiziano, certamente, aiuta chiunque, ingenuamente o meno, sia dalla parte dei Fratelli musulmani, perché è un’accusa molto facile dire: il governo ha tanto proposto e propugnato diritti umani accusando i Fratelli musulmani, invece, di essere tutto il contrario dei diritti umani. Ma ora sono state emesse 529 condanne a morte che, ovviamente, non sono un’azione di chi rispetta i diritti umani.

    D. – Si può chiudere la storia dei Fratelli musulmani in Egitto?

    R. – No. La storia dei Fratelli musulmani non si chiude. Io continuo a ripeterlo, a scriverlo e a dirlo. Fino a quando il governo egiziano – attuale, ma anche qualsiasi governo egiziano futuro – non porrà mano alle riforme sociali, alle riforme economiche che vadano a garantire una vita normale e dignitosa ad ogni egiziano, i Fratelli musulmani avranno terreno fertile. In questo momento, e nel momento in cui si avvia l’ennesima purga nei loro confronti, ovviamente ritorneranno ad essere un movimento sotterraneo. Ma loro sono esperti nell’essere un movimento sotterraneo, un gruppo che lavora dietro le quinte nonostante tutto. Quindi non è certo un gesto forte, eclatante come la condanna a morte di 529 appartenenti ai Fratelli musulmani, che potrà cambiare le cose …

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    Sud Sudan: sete di potere dietro il conflitto interetnico. Forse già un milione i profughi

    ◊   Nel cuore del Papa la sofferenza del popolo sud-sudanese che, conquistata dopo annose guerre civili l’indipendenza dal Sudan nel luglio 2011, è afflitto ora da un conflitto interetnico che sta lacerando il Paese. Da qui il messaggio inviato ieri da Papa Francesco per chiedere la fine delle violenze, arrivare alla pace e poter assicurare gli aiuti umanitari. Roberta Gisotti ha intervistato Elisabetta D’Agostino, appena rientrata da Juba in Italia, responsabile in Sud Sudan dell’Ong “Comitato Collaborazione Medica”, che opera a supporto delle sanità pubbliche nei Paesi africani.

    A metà dicembre lo scoppio del conflitto tra le forze governative del presidente Kiir di etnia Dinka e quelle di entnia Nuer, fedeli all’ex vice-presidente Machar, estromesso nel luglio scorso. Il 23 gennaio la firma del cessate il fuoco, ma la tregua dura poco. Forse già un milione i profughi. Elisabetta D’Agostino, lei segue questo Paese da circa un anno: che cosa sta accadendo? Una guerra possiamo dire tra poveri, ma anche di brame di potere, come denuncia il Papa….

    R. - Credo di sì. Nel Paese si è aperto un conflitto che si sta opponendo nelle due maggiori etnie del Paese e che, evidentemente, non nasce da ragioni interne, o da scontri interni a queste due etnie, ma che in qualche modo le utilizza, le pilota per supportare i gruppi di potere: i due rappresentanti politici che in questo momento si stanno scontrando e che, secondo me, sono al vertice di interessi diversi e che godono, ovviamente, del supporto esterno di altre nazioni e di altri gruppi di potere economico.

    D. - Quali sono i bisogni immediati in questa situazione della popolazione?

    R. - Dallo scoppio del conflitto, in tutto il Paese ci siamo ritrovati con un numero altissimo di sfollati sia nella capitale, sia negli Stati in cui si combatte ma soprattutto negli Stati confinanti. Queste persone hanno perso tutto e per quanto ci sia una forte presenza di agenzie internazionali e di Ong, i bisogni restano altissimi e mancano le risorse. C’è da tenere presente che si tratta di un Paese totalmente privo anche di infrastrutture: non esistono strade asfaltate; stiamo andando poi verso la stagione delle piogge e questo comporta sia dal punto di vista logistico, sia dal punto di vista sanitario rischi giganteschi, perché vuol dire che nei prossimi mesi l’accessibilità sarà sempre più complicata e inoltre vuol dire che con le forti piogge ci sarà l’aumento del rischio di epidemie importanti. Quindi, ci sono bisogni giganteschi a cui far fronte e le risorse al momento non sono adeguate.

    D. - Era prevedibile, era nell’aria lo scoppio di questo conflitto interetnico?

    R. - Ci si aspettava che qualcosa succedesse già dal mese di luglio, quando il presidente Salva Kiir ha sciolto il governo e tolto gli incarichi innanzitutto al suo vice-presidente Riek Machar, sia ad altri esponenti politici importanti che venivano dall’etnia nuer. Con il passare del tempo forse si è abbassata la guardia troppo presto ed alla fine il conflitto è arrivato. Al momento, quello che preoccupa è che gli accordi non hanno dato risultati concreti e, di fatto, c’è un cessate il fuoco che fa più pensare ad un tempo e ad uno spazio per recuperare le forze e riarmarsi che ad un vero e proprio percorso si pace. Questo lascia tutti quanti noi in una situazione di allerta e di preoccupazione per il futuro.

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    Municipali in Francia: dominio del Fronte Nazionale di Le Pen, attesa per il ballottaggio di domenica

    ◊   In Francia la sinistra corre ai ripari dopo il deludente risultato nel primo turno delle municipali, disertate dal 38% dei francesi. Per fermare l’avanzata del Fronte Nazionale di Marie Le Pen, che ha ottenuto il 4,5% dei consensi, i socialisti hanno annunciato la presentazione di liste comuni con i Verdi ed il Partito comunista nel prossimo ballottaggio di domenica. Resta aperta la partita per il sindaco di Parigi e di Marsiglia. Dell’esito delle urne Benedetta Capelli ha parlato con Michele Sorice, docente di Scienza Politica alla Pontificia Università Gregoriana di Roma:

    R. - L’astensionismo in realtà era abbastanza prevedibile, secondo alcuni studiosi, e questo deriva da un certo scollamento tra la politica istituzionale e la sensibilità dei francesi. Il risultato di Hollande era in parte prevedibile, forse non in queste dimensioni; la popolarità dell’esecutivo e del presidente non è mai stata così bassa ed è naturalmente legata a molti fattori: in parte relativi alla politica interna ed in parte all’incapacità del governo di rispondere in maniera efficace alle emergenze sociali che si stanno sviluppando in un Paese che, comunque, sente la crisi e che non trova risposte adeguate in un governo che si sperava fosse di cambiamento.

    D. - Invece, dov’è la chiave del successo di Marine Le Pen?

    R. - Direi che ci sono tre chiavi che possiamo individuare: la prima è quella relativa alla crescita di un sentimento euroscettico che sta avvolgendo la Francia, Paese che è vero che ha sempre avuto il luogo comune dello sciovinismo come sua caratteristica dominante, però ha sempre avuto anche una grande sensibilità europea. Probabilmente sente però l’Europa lontana: l’Europa delle burocrazie sta allontanando il sogno dell’Europa dei cittadini e questo si ripercuote moltissimo nella politica francese. Marine Le Pen è riuscita ad intercettare questo sentimento euroscettico in maniera molto forte e questa direi che sia la prima tendenza. La seconda è legata alla crescita di emergenze sociali a cui il governo non riesce a dare una risposta di sinistra, dalle forti aspettative sociali, che avevano accompagnato le elezioni di Hollande e che dunque vengono canalizzate verso un voto che è sostanzialmente di protesta. La terza è relativa invece ad un problema interno al Partito socialista che non riesce ad esprimere un legame forte con il suo elettorato ed ancora una volta il Front National riesce ad approfittarne; non ci riesce invece l’Ump in misura considerevole perché comunque è ancora sentito come molto istituzionale. Diciamo quindi che da una parte la crisi dei partiti tradizionali, dall’altra l’emersione di tendenze anti europee e poi l’assenza di una capacità strategica, da parte dei partiti istituzionali, democratici di rispondere alle tendenze neo populiste.

    D. - Per quanto riguarda il ballottaggio di domenica prossima ritiene che ci sarà questa netta affermazione ancora di più del Fronte Nazionale, oppure si possono ipotizzare alleanze?

    R. - C’è da rilevare che il Front National si presenta soltanto in poco più di 600 comuni su 36 mila, quindi non è comunque presente; laddove fosse presente non credo che ripeterà l’exploit perché ci saranno sicuramente alleanze repubblicane - come vengono chiamate in Francia - tra i partiti che si riconoscono in una visione democratica della società; per altro, è già accaduto nelle elezioni presidenziali che portarono poi alla vittoria di Chirac. Non credo sia pensabile l’alleanza tra Partito socialista e l’Ump che possa in qualche modo attenuare, se non addirittura ridurre fortemente il successo del Front National.

    D. - Secondo lei questo sentimento anti europeista che ha dominato le municipali francesi, che effetto potrà avere anche in altri Paesi chiamati per esempio al voto per le europee?

    R. - Sicuramente la tendenza anti europea e contro le burocrazie europee è molto forte in tutta Europa. Quindi, più che l’esito del voto francese, è una tendenza montante presente nell’opinione pubblica di molti Paesi: nel Nord Europa, tradizionalmente “alieno” a questi tipi di populismi anti europei; in Gran Bretagna dove l’Ukip sta diventando un partito straordinariamente importante. Lo Stato francese quindi non credo che avrà influenza sulle europee, però sicuramente sta in una tendenza che potrà evolversi, o comunque far avere risultati molto significativi alle forze euroscettiche ed anche all’interno del Parlamento europeo alle elezioni del prossimo maggio.

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    Giornata contro la tubercolosi, malattia ancora molto diffusa in aree povere del mondo

    ◊   Una serie di iniziative ricorda oggi la Giornata mondiale della tubercolosi, patologia scoperta e descritta il 24 marzo 1882 dallo scienziato tedesco, Robert Kock. Si tratta di una malattia ancora molto diffusa in alcune aree nel mondo, nonostante le nuove terapie e la promozione dei sistemi di prevenzione. Eliana Astorri ne ha parlato con il prof. Roberto Cauda, ordinario di Malattie infettive del Policlinico Universitario Agostino Gemelli di Roma:

    R. - La situazione tubercolosi nel mondo ed in Europa è quella di una malattia molto diversa a seconda delle aree geografiche che consideriamo. Mentre Italia, Europa e Nord America possiamo considerarle aree a bassa endemia - quindi con un numero di casi piuttosto basso, comunque sempre significativo, soprattutto per tutti gli aspetti che rappresenta - nel mondo, in particolarmente in alcune aree come l’Africa subsahariana, in India, quindi nel Sud del mondo, questa malattia è ancora estremamente “importante” sia per il numero dei soggetti colpiti, sia per la mortalità ad essa associata.

    D. - Qual è il tipo di ambiente in cui la tubercolosi trova le condizioni per diffondersi?

    R. - Sono ambienti legati al sovraffollamento, alla povertà, al disagio sociale dove qualche volta è difficile anche fare una diagnosi. È importante soprattutto che le persone abbiano la consapevolezza di essere malate. Proprio quest’anno, per la Giornata mondiale della tubercolosi, “Stop Tb” - un gruppo di Associazioni sotto l’egida dell’Organizzazione mondiale della sanità - ha posto come leitmotiv “Reach the 3 Million”, “Raggiungere i tre Milioni”: quei tre milioni di persone su nove che ogni anno si infettano con la tubercolosi che sono in qualche modo inesistenti da un punto di vista diagnostico e terapeutico e che quindi sono più a rischio di sviluppare forme più gravi, più a rischio di morte, e di diffondere inconsciamente la malattia. Quindi, il messaggio che quest’anno si vuole dare è proprio quello di cercare di arrivare a quelle persone che sono sempre difficilmente raggiungibili proprio per le condizioni di povertà di cui parlavo.

    D. - Perché questi Paesi ancora oggi hanno difficoltà ad accedere alle cure?

    R. - Certamente non si può generalizzare. Sono situazioni variegate a seconda delle aree geografiche, diverse da Paese a Paese. In linea generale, possiamo dire che la tubercolosi è una malattia estremamente diffusa in alcune aree, ma paradossalmente qualche volta è anche difficile da diagnosticare e trattare. Da un po’ di tempo a questa parte, stanno emergendo ceppi resistenti, i “Multi-drug-resistant”, ovvero ceppi resistenti almeno a due farmaci maggiori. Recentemente, si è visto che esistono ceppi di tubercolosi estremamente resistenti in cui lo spettro di resistenza è ancora maggiore. Tutte queste situazioni non sono solo appannaggio dei Paesi più poveri ma anche dei Paesi come l’Europa ed il Nord America.

    D. - In questa Giornata mondiale dedicata alla tubercolosi qual è il suo messaggio?

    R. - Il messaggio - se posso prenderlo in prestito dai Cdc di Atlanta (Centers for Disease Control and Prevention) - è “Find Tuberculosis, treat Tuberculosis, cioè “scovare - forse ho usato un termine poco scientifico - la tubercolosi e trattarla". Questo vale per tutti i Paesi dove la tubercolosi è presente, come da noi, con bassa incidenza e per quelli nei quali è più frequente e molto più incisiva. La tubercolosi è un nemico antico, verso il quale non bisogna mai abbassare la guardia.

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    Giornata di preghiera per i missionari martiri: il ricordo di p. Lanciotti e p. Bizimana

    ◊   Oggi si celebra la 22.ma Giornata di preghiera e digiuno in memoria dei missionari martiri, promossa dal Movimento Giovanile delle Pontificie Opere Missionarie, nell’anniversario dell’uccisione di mons. Oscar Arnulfo Romero, arcivescovo di San Salvador. Il tema è “Martyria”, ovvero il richiamo alla dimensione essenziale dell’esperienza di fede: la testimonianza al Vangelo di tanti fratelli e sorelle che hanno dato la loro vita per il suo annuncio nel mondo. Tra loro padre Nazareno Lanciotti, fidei donum, ucciso in Brasile nel 2001 dopo trent’anni di servizio per i più poveri e in prima fila nell’ostacolare i progetti dei mercanti di droga e prostituzione nel Mato Grosso. Sullo spirito che lo ha animato Gabriella Ceraso ha raccolto la testimonianza della sorella, Francesca Lanciotti:

    R. - La viveva con tutto se stesso. Ha assunto la povertà di questa gente, perché diceva che non si può stare in mezzo ai poveri e non sentirsi come loro: ha capito fino in fondo la loro necessità sia materiale che spirituale. Ha costruito una chiesa, però ha pensato anche all’ospedale e alla scuola. Ha coinvolto molto anche la popolazione che sentiva che queste strutture alla fine erano le loro. Ha iniziato anche a fare un seminario e quindi sono venuti fuori dei sacerdoti; adesso, uno di questi è addirittura vice postulatore della causa in Brasile!

    D. - Quali erano le cose in cui lui credeva?

    R. - La sua formazione era una una formazione benedettina: “Ora et labora”, quindi “prega e lavora”.

    D. - Perché è partito? Perché ha scelto questa strada?

    R. - Aveva aderito all’operazione Mato Grosso che lavorava per i poveri del Terzo mondo. Lui aveva fatto un’esperienza del genere in Bolivia ed ha capito che c’è era molto bisogno lì di sacerdoti.

    D. - 30 anni di lavoro senza sosta. Quali erano le forze che lo portavano avanti in contesti così difficili?

    R. - Era devotissimo alla Madonna e allo stesso tempo all’Eucarestia, perché tutti i giorni anche se andava nella foresta, c’era sempre l’Adorazione e poi ha diffuso tantissimo il Rosario. Tutto il resto, lui diceva, era frutto della Divina Provvidenza. La sua vita è stata veramente un miracolo perché prima di tutto aveva Gesù e la Madonna sempre nel cuore e li portava agli altri. Amava quelle persone come amava la sua famiglia!

    D. - Quindi come diceva, una vita per i poveri …

    R. - Per i poveri sì, ma anche con molta devozione, molta religiosità. Infatti, lui è stato ucciso perché la gente era ben formata sulla strada della fede: pregavano, frequentavano tantissimo la chiesa e non entrava né droga, né prostituzione. Quindi erano talmente forti nella fede, ma anche a livello morale, che i malviventi avevano capito che tutto questo dipendeva dal sacerdote e così hanno programmato un attentato. La persona, il killer incappucciato che gli si è avvicinato, gli ha detto: “Io sono il demonio e tu ci dai troppo fastidio. Sono venuto per ucciderti”.

    D. - Padre Nazareno ha anche perdonato la persona che lo ha ucciso …

    R. - Sì. Ha pregato per i suoi attentatori, li ha perdonati. Ha avuto il tempo, era lucido, di offrire la sua vita per il Papa, per la Chiesa, per i sacerdoti.

    D. - Le dico una cosa che ha detto il Papa sui martiri missionari: “Sono cristiani impegnati ad amare sino alla fine per Cristo”….che ne pensa?

    R. - È così, fino alla fine. E lui ha ricevuto minacce - se lo aspettava - e tra l’altro era responsabile, per il Brasile, del Movimento sacerdotale mariano e diciamo che la consacrazione per quei sacerdoti è quella di offrire anche il sangue se necessario, quindi era disposto a tutto.

    D. - Che cosa, con la sua vita, con la sua testimonianza, con il suo impegno, suo fratello le ha insegnato?

    R. - Che bisogna essere testimoni giorno dopo giorno; non abbandonare mai questo senso di responsabilità che abbiamo verso gli altri. Non dobbiamo essere “cristiani di immagine”, ma cristiani concreti, perché altrimenti allontaniamo le persone.

    Testimone di Cristo in una terra devastata dalla violenza, come era il Rwanda nei mesi del genocidio del 1994, è stato padre Fabien Bizimana, assistente generale dei Barnabiti. In quei massacri morirono anche 3 vescovi e una decina di sacerdoti: lo stesso padre Fabien fu vittima di un assalto armato. Gabriella Ceraso ha raccolto la sua testimonianza:

    R. – Riconosco che, seppure, sia stato veramente drammatico quell’evento, è stato però anche un momento molto cruciale della testimonianza. I cristiani sono stati messi alla prova ed è stata un’occasione per dimostrare che il Vangelo non è una favola, ma è una realtà, è una vita.

    D. – Testimoniare, in queste circostanze, che cosa significa? Proteggere, amare...

    R. – Per me vuol dire rendere il Vangelo una realtà e il riassunto del Vangelo è l’amore; dare quindi prova dell’amore e della speranza che è dentro di noi.

    D. – Lei ha visto, è stato testimone, di religiosi che hanno perso la vita...

    R. – Nel 1994 mi trovavo proprio presso la nostra casa di formazione a Cyangugu, in Rwanda, e abbiamo visto con i nostri stessi occhi sacerdoti trucidati, e non solo sacerdoti, ma pure gente che veniva affogata nel lago Kivu, lì vicino. Noi ci siamo salvati, perché eravamo congolesi, solo per questo, altrimenti ci avrebbero ammazzati tutti.

    D. – E che cosa si fa per aiutare la gente, quando c’è tanto odio, oppure come in altre zone del mondo, c’è tanta malavita e ci sono comunque tante violenze legate ad altri traffici?

    R. – Il missionario, se accetta che la sua vita diventi un’offerta, non ha bisogno di molti discorsi per far capire che è dalla loro parte. Si rende credibile con i suoi fatti, con la sua vita quotidiana. Dopo di che il suo discorso diventa trasparente, diventa realtà. Secondo me, molti sacerdoti si sono salvati anche perché i loro parrocchiani o i loro fedeli credevano in loro veramente, vivendo quanto predicavano.

    D. – Allargando l’immagine dal Rwanda, tutta l’Africa è un crogiolo purtroppo di tante violenze in cui i martiri abbondano. Cosa può dire in una giornata che li ricorda tutti?

    R. – L’Africa si salverà solo tornando ai valori che hanno fatto sì che i nostri antenati, i nostri genitori vivessero quanto hanno sempre messo in evidenza, cioè la solidarietà. Ricorderei qui uno dei martiri del Congo, mons. Musiro, che diceva: “Non è colpa di nessuno se nasce tutsi anziché nascere hutu oppure di un’altra etnia”. Siamo tutti fratelli. Quando capiremo che, veramente, solo questa fratellanza universale, solo la solidarietà può ancora dare all’Africa un’era nuova di sviluppo?

    D. – E può testimoniare quello che il Papa dice, cioè che i martiri sono discepoli di Cristo, che hanno imparato il significato della parola “amare” sino alla fine?

    R. – Io stesso sono stato vittima di un assalto di persone armate nella nostra parrocchia. Eravamo solo io con il mio confratello, ma in quella notte, mentre ero picchiato a sangue, tre persone hanno perso la vita fra quelli che venivano in nostro soccorso, in nostro aiuto; e lì ho visto con i miei stessi occhi come uno può arrivare a spendere, a dare la propria vita per un fratello.

    D. – Il cristiano è proprio colui che ama sino alla fine ...

    R. – Sì, è proprio questa la definizione del cristiano. Il Vangelo si riassume proprio con la parola “amore”.

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    Ilo: un giovane su due tra i 15 e i 24 anni non ha lavoro, urgono misure di tutela

    ◊   Secondo l’ultimo Rapporto dell'Ilo sulle tendenze globali dell'occupazione, il tasso di disoccupazione giovanile è quasi tre volte tanto il tasso di disoccupazione degli adulti. Quasi un giovane su due, tra i 15 e i 24 anni, non ha lavoro. Per far fronte a questa emergenza il Consiglio europeo ha adottato l’iniziativa “Garanzia Giovani”, un programma concreto che sollecita gli Stati membri ad attuare rapidamente misure che assicurino ai giovani entro i 25 anni un’offerta di lavoro qualitativamente valida, di formazione o tirocinio. Per garantire l’efficacia di queste misure, l’Ilo e la Commissione europea collaborano attivamente nella fase di monitoraggio e integrazione con altre misure di promozione dell’occupazione giovanile. Veronica Giacometti ha intervistato il prof. Furio Rosati, responsabile del Programma Giovani:

    R. – Il divario tra il tasso di disoccupazione giovanile e quello degli adulti è diventato tale che segnala effettivamente una situazione di crisi. Nell’ambito poi dei giovani disoccupati, bisogna tener conto che il tasso di disoccupazione più alto si registra per quelli che sono “più vulnerabili”, quindi giovani che non hanno una laurea universitaria, quelli che escono dalla scuola con un diploma o addirittura senza un diploma. Quindi, all’interno di questa crisi c’è un’altra crisi, perché i più colpiti sono i giovani più vulnerabili, quelli meno preparati ad affrontare il mercato del lavoro.

    D. – Se non si interviene immediatamente, un’intera generazione è a rischio esclusione…

    R. – Questo è un grave problema. Si devono fare due cose allo stesso tempo. Da un lato, intervenire per salvare la generazione che è a rischio, perché poi passato un certo periodo diventa estremamente difficile un inserimento proficuo nel mercato del lavoro. Nello stesso tempo, gli interventi che si devono fare non possono essere del tutto contingenti: devono mettere in piedi un sistema che funzioni non solo per questa generazione, per questi giovani, in questo momento, ma anche per il futuro.

    D. – Il Consiglio europeo ha adottato l’iniziativa “Garanzia giovani”: come si struttura questo intervento?

    R. – L’intervento si struttura dando un peso maggiore alle politiche attive del lavoro: dare un maggior peso a cercare di intervenire per facilitare l’accesso dei giovani al mercato del lavoro, sia con sistemi di formazione, di accompagnamento sul mercato del lavoro, quindi con l’idea di non lasciare i giovani da soli di fronte a questo problema, di offrire loro una serie di percorsi possibili.

    D. – Nella maniera più pratica possibile, cosa consiglia di fare ai giovani in questo momento?

    R. – La cosa principale è investire nell’educazione. Il problema del mercato del lavoro, quindi della limitata domanda di lavoro che c’è in questo momento, richiede non solo di investire sulla propria educazione ma anche di farlo bene. Quindi, non solo si deve andare a scuola e all’università, ma si deve uscire ben preparati. Questa è la prima azione che i giovani devono intraprendere. La seconda è quella di cercare, con il supporto – spero – di questi strumenti della “Garanzia giovani”, di cercare attivamente, senza lasciarsi scoraggiare, le occasioni sul mercato del lavoro che in realtà ci sono, sia pure in numero limitato.

    D. – Oggi, viene presentato anche un Piano europeo straordinario per lo sviluppo sostenibile e l’occupazione: tutte iniziative che hanno lo stesso scopo…

    R. – Il problema è che se da un lato noi dobbiamo cercare di favorire l’ingresso dei giovani sul mercato del lavoro, con politiche – per così dire – di miglioramento dell’offerta, quindi formazione, evitare l’abbandono scolastico, facilitazione nell’accesso del mercato del lavoro, d’altra parte questo è solo un termine dell’equazione: dall’altro lato, ci dev’essere una domanda di lavoro da parte delle imprese. Quindi, l’idea di un piano di sviluppo sostenibile è anche un piano che cerca di orientare lo sviluppo dell’economia in modo che sia in grado di generare le necessarie opportunità di occupazione.

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    Corsa contro il tempo per Rejana, bimba kosovara con l’esofago menomato

    ◊   Dal Kosovo alla Turchia, infine a Verona. E’ il tragitto in cerca di speranza percorso da Rejana, una bimba kosovara di due anni, affetta da stenosi esofagea a seguito di ingestione di un detersivo. La bimba non può più mangiare cibi solidi, perché l’esofago si richiude su se stesso. Serve dunque al più presto un intervento molto delicato per ridarle una vita normale. Al fianco di Rejana c’è l’associazione veronese “Il Castello dei sorrisi” (www.ilcastellodeisorrisi.org), ma il suo impegno non basta. Alessandro Gisotti ha raccolto la testimonianza del presidente dell’associazione umanitaria, Michele Betetto:

    R. – Rejana è una bambina kosovara che ormai ha quasi due anni e mezzo; arriva al "Castello dei sorrisi" nel settembre 2013 in quanto segnalata per un grave incidente domestico che era avvenuto qualche mese prima. Rejana aveva bevuto un detersivo contenente sostanze caustiche che le hanno bruciato in parte l’esofago e quando l’esofago subisce questo tipo di trauma tende a perdere la sua elasticità e a richiudersi su se stesso e non permette, di fatto, il passaggio del cibo, in particolare di quello solido.

    D. – Cosa sta facendo il "Castello dei sorrisi" e che cosa ha fatto già, in questo mesi?

    R. – Rejana aveva bisogno di dilatazioni dell’esofago che le permettessero sostanzialmente di riportare l’organo ad una sua apertura naturale, in maniera tale che la bambina potesse alimentarsi correttamente anche con cibo solidi, non solamente con liquidi. Per questo è stata sottoposta a questi cicli di dilatazione e a tutta una serie di terapie endoscopiche che hanno portato anche dei risultati positivi ma non definitivi, nel senso che la bambina ogni tre-quattro settimane tende ad avere l’esofago che, in certi punti, continua a richiudersi. Non è pensabile che la bambina possa continuare a vivere sostenendo queste dilatazioni.

    D. – L’Associazione ha fatto un passo ulteriore per trovare una possibilità di risoluzione …

    R. – Sì, certo: per Rejana, il prossimo step consiste nella sistemazione di uno stent nel suo esofago. Si tratta di una retina che tenga aperta in maniera continuata la parte dell’esofago che si è bruciata. La difficoltà che stiamo trovando è legata al fatto che il centro di eccellenza per questo tipo di interventi è il Bambin Gesù a Roma e per noi, che siamo una piccola associazione di Verona, si creano difficoltà di ordine logistico ma anche economico, per le quali abbiamo la necessità di avere un aiuto. Chiaramente, la costruzione dello stent, il posizionamento, tutti i controlli che vanno fatti poi nel tempo hanno una cifra da coprire che indicativamente possiamo considerare sugli 8-10 mila euro, in questo momento, ma che possono rappresentare per Rejana veramente il ritorno ad una vita serena e tranquilla, e soprattutto con aspettative positive per il futuro.

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    Sanità e futuro: in Trentino la cartella clinica è on line

    ◊   Usare il web per trasmettere ricette, prescrizioni, risultati di analisi e test di laboratorio, ma anche per una sorta di diario personale della salute, dove appuntare malattie già avute, allergie varie, farmaci presi frequentemente. Si tratta della sanità elettronica, una gestione differente nella salute pubblica già in uso in molti paesi europei e da poco arrivata in Italia. Su questa tematica, si è svolto a Trento nei giorni scorsi un Convegno su “Dal Taccuino al Personal healt record”, promosso dal Ministero della salute e dalla Provincia Autonoma di Trento, per spiegare i benefici di questa nuova frontiera. Marina Tomarro ha intervistato Diego Conforti, responsabile Innovazione dell’Assessorato alla Sanità della Provincia di Trento:

    R. - Il contesto più generale riguarda le sfide, i servizi sanitari che i Paesi industrializzati si trovano ad affrontare, partendo quindi dai cambiamenti legati all’invecchiamento della popolazione, il conseguente aumento delle malattie croniche e quindi l’aumento dei costi del Servizio sanitario, in una condizione di congiuntura economica in cui invece c’è una costrizione di risorse. Poi, c’è un altro aspetto che è la richiesta crescente da parte dei cittadini di un maggiore coinvolgimento e di un ruolo più attivo nella gestione della propria cura. Per affrontare sfide di questa natura, è necessario implementare nuovi modelli di cura e di erogazione dei servizi sanitari, riguardanti da una parte proprio la dimensione della cura e dall’altra anche l’appello per la prevenzione quindi gli stili di vita, l’alimentazione, l’attività fisica. Il tutto quindi in un paradigma di sanità personalizzata.

    D. - Ma come vengono coinvolti i cittadini in questo nuovo modello di gestione della salute pubblica?

    R. - A livello nazionale, recentemente è stato approvato il Fascicolo sanitario elettronico che tra le sue componenti prevede il “Taccuino personale del cittadino”, inteso proprio come una sezione a lui destinata e in cui si possono inserire informazioni personali riguardanti la propria salute, documenti sanitari, un diario… Nel contesto internazionale, specialmente nell’area anglosassone, avanza il concetto di “Personal healt record”: una piattaforma di servizi on line rivolti al cittadino. Quindi, c’è una vicinanza tra questi due concetti.

    D. - Nel Trentino, la sanità elettronica è già realtà con la "Cartella clinica del cittadino". Di cosa si tratta?

    R. - Possiamo sintetizzare definendola come una piattaforma digitale che consente a tutti i cittadini, residenti in Trentino - dopo aver attivato la propria tessera sanitaria - di aver accesso e gestire attraverso Internet le informazioni sanitarie relative alla propria salute. I cittadini quindi possono ritirare on line i referti, gli esami di laboratorio, le lettere di dimissione e gli esiti diagnostici. Inoltre, si può tenere traccia della propria storia clinica inserendo informazioni in questo sistema, per esempio le terapie farmacologiche, le terapie personali e familiari. È quindi una sorta di diario della salute personale che, nel decreto del ministero - quello del fascicolo sanitario - è definito Taccuino. C’è poi la possibilità di supportare, attraverso questa piattaforma, servizi di tele-monitoraggio a domicilio per garantire la continuità della cura ed un’assistenza più tempestiva ed efficace verso i pazienti, in particolar modo quelli cronici.

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    Fosse Ardeatine, 70 anni fa l'eccidio. Testimonianze di Giulia Spizzichino e Vera Michelin Salomon

    ◊   "La pace non è un dato scontato, ma una conquista, dovuta alla unità europea che oggi troppo superficialmente si cerca di screditare e attaccare". Così il presidente della Repubblica Napolitano oggi durante la commemorazione del 70.mo anniversario dell’eccidio delle Fosse Ardeatine. 335 civili e militari vennero uccisi il 24 marzo 1944 per mano dei nazisti. L’esecuzione fu decisa in seguito alla morte, il giorno prima, di 33 soldati tedeschi nell’attentato partigiano di Via Rasella. Alle Fosse Ardeatine, Giulia Spizzichino perse 7 familiari; nel rastrellamento furono coinvolti altri 11 suoi parenti, tra donne e bambini, gasati ad Auschwitz. Paolo Ondarza l’ha intervistata:

    R. – Purtroppo, ricordo tutto perché ero già grande, avevo 17 anni: quella sera era l’ora del coprifuoco e Via Madonna dei Monti era completamente al buio, come tutta Roma, come tutta l’Italia, per via dell’oscurità obbligatoria. Noi sentimmo passare un camion tedesco sotto le nostre finestre, a Via Madonna dei Monti, dove io ero ospite, perché ero sfuggita per l’ennesima volta, insieme alla mia famiglia, ai nazisti, nella casa di fronte c’era mio nonno con la sua famiglia. Mamma spense le luci e ci mettemmo sotto le persiane, per vedere cosa stesse succedendo. Era realmente un camion tedesco con i fari illuminati, che procedeva molto lentamente e che si fermò proprio davanti al negozio e all’abitazione di mio nonno, dove era ospite in quel momento il figlio, con la moglie e nove nipoti. La cosa durò forse un quarto d’ora: si vedevano solo delle ombre e si sentiva un grande silenzio. Quando il camion ripartì, non c’era più nessuno: avevano caricato tutti, persino il pupetto, nato da 18 giorni.

    D. – Di questo eccidio c’è ancora qualcosa di cui non è stato detto abbastanza?

    R. – C’è stato quel tedesco, quel nazista, di cui non voglio neanche dire il nome, che è morto adesso a 100 anni, che ha dichiarato fino all’ultimo che le camere a gas non erano vere, che il gas c’era, ma serviva per cucinare… Tornando a quel giorno: gli uomini furono immediatamente divisi dalle donne e dai bambini e sette della mia famiglia, della famiglia di mia madre, la famiglia Di Consiglio, furono portati alle Fosse Ardeatine. Pensavano di andare a lavorare, con le mani legate dietro la schiena. Furono chiamati cinque per volta, fatti inginocchiare e inchinare immediatamente il capo sulla mano del nazista, che sparava dietro il capo di ognuno un solo colpo, per non sprecare le munizioni. Alcuni, infatti, sono stati trovati in condizioni disperate, perché non sono morti sul colpo. Le donne, poi, furono mandate a Fossoli per un mese, e dopo un viaggio allucinante, con parecchi bambini quella sera, non furono nemmeno “timbrati”, se mi si vuol passare questa brutta parola, e furono immediatamente inviati alle camere a gas e bruciati tutti. Non tornò più nessuno.

    D. – Lei faceva riferimento ad uno dei principali responsabili del massacro delle Fosse Ardeatine, Erich Priebke, che fuggì in Argentina, e la cui estradizione fu resa possibile negli anni ’90 proprio grazie al suo impegno ...

    R. – Sì, fui chiamata dalla televisione americana, che mi aveva visto sul Combat Film, e mi chiese se volevo andare a chiedere l’estradizione, visto che il ministro Biondi non c’era riuscito. Io risposi: “Scusi, non c’è riuscito un ministro, ci riesco io?”. Poi, non so come, dissi immediatamente sì e mi trovai catapultata in Argentina.

    D. – E ha ottenuto questa estradizione: Priebke è stato portato in Italia, dove è stato processato...

    R. – Ringrazio gli argentini che mi hanno accolto come una regina.

    D. – Questo è solo uno degli esempi del suo grande impegno nel mantenere vivo il ricordo di quell’eccidio...

    R. – Mi sono trovata coinvolta, da 20 anni, in questa cosa. Sono 20 anni, infatti, che saltello come una farfalla impazzita...

    D. – ... infatti, ha scritto anche un libro (intitolato “La farfalla impazzita”) che ha regalato al Papa...

    R. – Esattamente. E’ stato molto carino. Ho una foto stupenda, che mio figlio ha voluto sviluppassi in tela e incorniciassi, perché è bellissima, dove tiene le mie mani strette a libretto. E’ bellissima, è una foto stupenda.

    D. – Cosa vorrebbe dire alle giovani generazioni oggi, a 70 anni dall’eccidio delle Fosse Ardeatine?

    R. – Quando vado nelle scuole è qualcosa di incredibile. Anche i bambini delle elementari, dai quali sono sempre un po’ restia ad andare, non può immaginare che accoglienza mi facciano. Sono veramente meravigliata di quello che fa la gioventù. Non è vero che non gliene importa niente, non è vero che sono superficiali. Ci saranno pure quelli che fanno cosacce, ma io amo molto i giovani. Mi vogliono, mi cercano tanto e sto facendo veramente la spola. Qualche giorno fa sono stata al Senato e alle due già ero in treno per Firenze; sono andata ad Agrigento, sono andata da tutte le parti.

    D. – Un impegno che richiede sicuramente uno sforzo fisico...

    R. – Uno sforzo, perché io non sono più una ragazzina, sono abbastanza vecchia. Può fare il conto: se avevo 17 anni nel ’44...

    D. – E dove trova tanta energia?

    R. – Non lo so. Una conoscente ebrea mi ha detto: “Ma tanto non sei tu che parli, è l’Angelo di Dio”. Può darsi, può darsi, perché io non so dove la trovo, ma sento che non posso rifiutare.

    Altrettanto grande l’impegno nel tenere viva la memoria dell’eccidio delle Fosse Ardeatine è quello profuso da un’altra testimone Vera Michelin Salomon, oppositrice politica al nazismo, deportata in Germania. Ascoltiamola al microfono di Paolo Ondarza:

    R. – Ero prigioniera a Regina Coeli, quando è stata fatta la scelta delle persone che dovevano andare, si pensava, a lavoro, e invece poi abbiamo saputo, la sera stessa, che erano state uccise. Tra queste persone c’era un caro amico, che era stato arrestato con noi, perché si era trovato in casa nel momento in cui erano venute le SS a cercarmi: ero accusata di aver diffuso dei volantini davanti ad una scuola. Questa persona si chiama Paolo Petrucci ed è un numero abbastanza alto nel memoriale, nelle tombe raccolte. Questo ci ha fatto pensare che sia stato tra i primi uccisi. Questo è il mio ricordo, personale, che mi segue tutti gli anni. Il peggior ricordo del mio anno, più di un anno, prima in Italia e poi deportata in un carcere in Germania.

    D. – Sui libri di storia è stata fatta piena luce, verità, sull’eccidio delle Fosse Ardeatine?

    R. – Ma quali libri di storia? Ci sono dei libri di storia che sì, l’hanno fatta con gli elementi che hanno trovato. Quella degli occupanti tedeschi, dei nazisti, delle SS, non è stata una rappresaglia dovuta alla mancata presentazione dei cosiddetti colpevoli: è stata una vendetta contro un gesto, un’azione militare, approvata dal Cnl, dal Comando di liberazione nazionale, e non un’iniziativa di quattro terroristi sparsi. E’ stato, quindi, un vero atto di guerra e con un atto di vendetta di guerra si è risposto.

    D. – Lei s’impegna, continua ad impegnarsi ogni anno, per la memoria di questo periodo storico...
    R. – Faccio parte dell’Associazione nazionale dei deportati. Spero che la popolazione capisca, anno dopo anno, come sono andate le cose e faccia di questo luogo romano un posto dove si va, così come si va al Colosseo. E’ un posto dove riflettere, dove commuoversi e dove pensare alla storia che abbiamo attraversato.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    El Salvador: il Paese ricorda l’assassinio di mons. Romero

    ◊   Migliaia di salvadoregni ricordano oggi i 34 anni dell'assassinio dell'arcivescovo di San Salvador, mons. Oscar Arnulfo Romero, avvenuto il 24 marzo 1980. Le celebrazioni commemorative sono iniziate già sabato 22 marzo, con un pellegrinaggio molto partecipato. La nota pervenuta all’agenzia Fides da una fonte locale riferisce le parole del vescovo ausiliare dell'arcidiocesi di San Salvador, mons. Gregorio Rosa Chavez, durante il pellegrinaggio: "A livello di Chiesa siamo molto vicini alla sua beatificazione, tutti i segnali indicano che tale data si sta avvicinando".

    Il pellegrinaggio, organizzato dalla Fondazione Romero per commemorare l'assassinio dell'arcivescovo, è noto come "Pellegrinaggio delle luci", ed è ormai diventato una tradizione: percorre diverse strade di San Salvador: dalla Plaza Salvador del Mundo (dove c'è una statua di mons. Romero) fino alla cattedrale metropolitana, nella cui cripta è sepolto. Anche quest’anno erano presenti più di 3.000 persone, tantissimi giovani, appartenenti alle organizzazioni cattoliche, studenti e gruppi sociali, così come molti cristiani arrivati da Centro America, Sud America, Stati Uniti, Canada e perfino dai Paesi europei.

    Il processo di beatificazione di mons. Romero è stato aperto in Vaticano nel 1994. Mons. Rosa Chavez durante il pellegrinaggio ha detto: "Nel 2017 ricorrono 100 anni dalla nascita di mons. Romero, siamo fiduciosi che prima di tale data lo avremo sugli altari".

    Mons. Romero è ricordato per aver denunciato le ingiustizie commesse dal conflitto armato in El Salvador durato dodici anni (1980-1992), che ha lasciato 75.000 morti, 8.000 dispersi e 12.000 invalidi. (R.P.)

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    Le conclusioni del Seminario di studio su Giovanni Paolo II, il "Papa della famiglia"

    ◊   Docenti e studenti delle scienze del matrimonio e della famiglia si sono incontrati nei giorni scorsi a Roma (20-21 marzo) insieme a vescovi di tutto il mondo per riflettere e approfondire l’eredità di Giovanni Paolo II sulla famiglia. L’incontro, organizzato dal Pontificio Istituto Giovanni Paolo II per Studi su Matrimonio e Famiglia, ha ricevuto il patrocinio del Consiglio delle Conferenze Episcopali d’Europa (Ccee), che ne ha anche curato la sessione conclusiva.

    Obiettivo della sessione conclusiva dell’incontro era una verifica circa le risorse della pastorale famigliare davanti alle sfide attuali. La sessione, presieduta dal card. Lorenzo Baldisseri, segretario generale del Sinodo dei vescovi e moderata da mons. Duarte da Cunha, segretario generale del Ccee, ha visto il contributo di diversi esperti del continente europeo.

    Dai lavori emerge la costatazione, più volte ribadita, di una grande ignoranza della dottrina della Chiesa sulla famiglia, spesso percepita come un insieme di norme. Questo dato è confermato anche dalle molte risposte al questionario sulla famiglia giunte al Sinodo dei vescovi. Invece la missione della Chiesa è prima di tutto - si sottolinea nel comunicato - annunciare Cristo che viene all’incontro di ciascuno e bussa alla porta di ogni focolare per portare la pienezza di vita. E’ Cristo che salva le famiglie attraverso la Chiesa.

    A Roma, partecipanti e relatori hanno invece sottolineato la sfida pastorale di fare emergere la bellezza del Vangelo della Famiglia senza nasconderne le esigenze di verità che corrispondono in ultima istanza alle attese del cuore dell’uomo. Il card. Baldisseri ha invitato i partecipanti a fare di questo tempo di preparazione al prossimo Sinodo un’occasione per parlare della famiglia e mostrare la bellezza dell'insegnamento della Chiesa testimoniata quotidianamente dalla vita di molte famiglie cristiane. Di fatto, uno degli scopi del prossimo Sinodo, è quello di approfondire la dottrina della Chiesa di fronte alle sfide del mondo odierno per discernere quello che il Signore insegna al suo popolo rispondendo così anche alla grande sete di conoscere meglio quanto la Chiesa annuncia sulla famiglia e soprattutto di entusiasmare tutta la Chiesa a portare a tutte le famiglie Cristo.

    Alla vigilia della canonizzazione di colui che è già stato definito il "Papa della Famiglia", la figura e il contributo di Giovanni Paolo II sui temi del matrimonio e della famiglia sono stati più volte evocati. La passione per la Famiglia del Papa beato l’ha portato all’elaborazione di un ricco magistero ancora molto attuale. La Familiaris Consortio, le catechesi sull'amore umano e i tanti altri documenti, ma soprattutto la memoria del suo modo di relazionarsi pastoralmente con le famiglie, sono ancora fonti d’ispirazione come hanno testimoniato gli operatori nella pastorale della famiglia provenienti dai cinque continenti intervenuti nell’incontro.

    L’insegnamento del futuro Santo - si legge ancora nel comunicato - è un invito a non smettere di annunciare l'amore familiare, anche quando quest’annuncio deve andare contro corrente, perché è una responsabilità della Chiesa, erede di questo Papa. In questo senso, la Chiesa è invitata a promuovere una pastorale della famiglia adeguata, che sappia accompagnare persone e famiglie portando tutti alla verità e l’amore di Gesù.

    I partecipanti hanno voluto rendere omaggio a Papa Wojtyla partecipando a una Messa di ringraziamento celebrata dal card. Carlo Caffarra, primo preside dell'Istituto Giovanni Paolo II, nella basilica di San Pietro presso la tomba del Papa Beato. (R.P.)

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    Kenya: vescovo e missionari sull'attacco ad una chiesa a Mombasa

    ◊   “Erano da poco passate le 9 del mattino quando abbiamo sentito i primi spari. Poi le urla e tanta gente che scappava dappertutto. La nostra comunità è sotto shock”: lo ha raccontato all'agenzia Misna padre Joseph Waithaka, missionario della Consolata a Likoni, sud di Mombasa, teatro ieri di un attacco armato ad una chiesa evangelica.

    L’assalto, condotto da uomini armati durante la messa domenicale ha causato vittime e feriti tra i fedeli in preghiera. “Le ultime informazioni circolate riferiscono di 5 morti e una ventina di feriti” riferisce ancora l’interlocutore, la cui missione dista appena 200 metri dal luogo della sparatoria. “Questo è un piccolo centro alle porte di una grande città, ma qui la gente vive in pace, anche se negli ultimi anni le tensioni – alimentate dalla polemica seguita all’intervento del Kenya nella vicina Somalia – non sono mancate”. Il Kenya è nel mirino dei gruppi estremisti islamici, primo fra tutti Al Shabaab, da quando, nell’ottobre 2011, è intervenuto militarmente nel sud della Somalia per sostenere il governo di Mogadiscio contro gli insorti.

    “Anche se l’attacco non è stato rivendicato, gli indici sono puntati su Al Shabaab, e comunque i testimoni riferiscono che i ragazzi che hanno compiuto il massacro erano somali” dice ancora il religioso. Immediata la condanna del gesto “terroristico” da parte delle istituzioni e delle autorità religiose cristiane e musulmane.

    “L’attentato non è stato rivendicato - dice all’agenzia Fides mons. Emanuel Barbara, vescovo di Malindi e amministratore apostolico di Mombasa - ma occorre tenere presente che la zona di Mombasa è considerata la roccaforte di un movimento di secessione a base islamista” aggiunge il vescovo. “Questi gruppi minacciano pure gli Imam locali, accusati di essere moderati. Ci sono stati diversi episodi di minacce e intimidazioni nei confronti dei leader religiosi musulmani locali perché predichino una dottrina radicale”.

    “Ancora una volta ci troviamo a dover sottolineare che l’Islam è una religione di dialogo e di tolleranza – hanno dichiarato in un comunicato i responsabili della comunità musulmana – e non ha niente a che vedere con atti di odio nei confronti dei nostri fratelli”. (R.P.)

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    Congo: più di 250 rifugiati annegano cercando di rientrare in patria dall’Uganda

    ◊   Oltre 250 rifugiati congolesi sono morti nel ribaltamento di un’imbarcazione che stava riportandoli nella Repubblica Democratica del Congo (Rdc). Socondo una nota inviata all’agenzia Fides dal Coordinamento della società civile del Nord Kivu, la tragedia si è verificata il 22 marzo. I rifugiati erano fuggiti dalla località di Watalinga, nel territorio di Beni, nel Nord Kivu (est della Rdc), tra luglio e dicembre 2013. In un primo momento erano stati accolti in alcune località di frontiera tra la Rdc e l’Uganda. In seguito erano stati trasferiti dalle autorità ugandesi nel campo di rifugiati di Kyangwali (Uganda) a più di 350 km dalla frontiera.

    Quando i rifugiati hanno appreso la notizia che l’esercito congolese aveva liberato i loro villaggi dalla presenza dei ribelli ugandesi dell’Adf-Nalu, hanno chiesto di rientrare nella Rdc. Due imbarcazioni motorizzate erano state messe a loro disposizione per attraversare il Lago Alberto. La prima ha effettuato la traversata senza problemi, mentre la seconda, con 292 persone a bordo, è affondata nel mezzo del lago. Secondo la nota inviata a Fides, l’incidente si è verificato alle 9 del mattino del 22 marzo. Solo 41 persone sono sopravvissute, compreso il comandare e l’intero equipaggio (tutti ugandesi) e qualche rifugiato. La società civile del Nord Kivu chiede al governo congolese un’inchiesta indipendente per accertare le circostanze della tragedia. (R.P.)

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    Guinea Conakry: confermata epidemia di Ebola nel sud

    ◊   Ha già provocato la morte di 59 persone, per lo più bambini, l’epidemia di Ebola nella regione Forestière, al sud del Paese: il bilancio, che si aggrava di ora in ora, è stato diffuso dalle autorità sanitarie locali e da Ong internazionali operative in Guinea. Dallo scorso 9 febbraio sono stati registrati 80 casi, ma negli ultimi giorni il numero dei contagi si è accelerato e il ceppo di febbre si è propagato da Guéckédou alle altre località meridionali di Macenta e Kissidougou. La causa dell’epidemia riscontrata al sud del Paese è stata accertata dopo il prelievo di vari campioni su vittime e malati, analizzato in un laboratorio francese che ha identificato il virus di Ebola.

    Nelle ultime ore alcune fonti mediche internazionali, tra cui il Fondo Onu per l’infanzia (Unicef), hanno segnalato due morti sospette nella periferia di Conakry, facendo temere la propagazione dell’Ebola nella popolosa capitale, dove vivono due milioni di persone. “In un Paese dove le infrastrutture sanitarie sono così carenti, una malattia come questa può avere un effetto devastante” ha avvertito Mohamed Ag Ayoya, rappresentante di Unicef nel Paese dell’Africa occidentale. Sulla base di prime analisi, l’Ebola non sarebbe la causa della morte di due pazienti alle porte della capitale. Per misura di precauzione e per non diffondere la psicosi tra i residenti di Conakry, il ministero guineano della Sanità non si è ancora pronunciato ufficialmente.

    Nella regione Forestière, epicentro dell’epidemia, le autorità guineane e l’Unicef hanno già consegnato cinque tonnellate di medicinali e dispositivi di protezione degli operatori sanitari e per curare i malati. La sezione belga di Medici Senza Frontiere (Msf) – già intervenuta in scenari simili in Uganda, Gabon e Angola – ha predisposto una struttura sanitaria ad hoc di accoglienza e monitoraggio dei pazienti contagiati. Sul posto sono già al lavoro 24 medici, infermieri ed esperti dell’igiene.

    La patologia si manifesta con una grave febbre emorragica, diarrea e vomito; tutti sintomi potenzialmente riconducibili ad altre malattie diffuse nella zona quali colera e febbre gialla. L’indice di mortalità può raggiungere il 90% delle persone infette; attraverso il contatto diretto, in particolare durante i riti funebri, il contagio è molto rapido. Anche il consumo di carne di bestiame contagiato è fonte di contaminazione dei soggetti sani. Non esiste alcun trattamento specifico all’Ebola, virus manifestatosi per la prima volta nel 1976 nell’allora Zaire e che si ripresenta ciclicamente in diversi Paesi dell’Africa centrale ed occidentale. (R.P.)

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    Pakistan. Asia Bibi: nuova udienza il 26 marzo

    ◊   La giustizia pakistana ci riprova: è fissata nuovamente per il 26 marzo, dopo due rinvii, la prima udienza nel processo di appello per Asia Bibi, la donna cristiana accusata ingiustamente e condannata a morte per blasfemia. Lo riferisce all’Agenzia Fides l’avvocato cristiano Naeem Shakir, a capo del collegio difensivo della donna. L’avvocato sta preparando le argomentazioni della difesa puntando a dimostrare che “le accuse a suo carico sono state, sin dall’inizio, costruite ad arte”. Il processo ha già subito due rinvii e l’amministrazione della Corte era in sciopero nei giorni scorsi, ma l’avvocato dice di nutrire “buone speranze”. Intanto Asia è nel carcere femminile di Multan “in buone condizioni di sicurezza e di salute”, dice a Fides Shakir: “La donna prega e spera”.

    Sul caso di Asia Bibi, in prigione da 4 anni, si è espresso di recente il gruppo di lavoro del Parlamento Europeo sulla libertà di religione. In una nota del 19 marzo, inviata a Fides, il gruppo, afferma: “Accogliamo con favore la decisione dell’Alta Corte di Lahore di avviare il processo di appello per Asia Bibi. Prendiamo atto con rammarico che, in due udienze, i giudici responsabili erano in congedo. Confidiamo che i giudici designati siano presenti per la terza udienza”.

    Il testo giunto a Fides prosegue: “Chiediamo a tutti coloro che sono coinvolti nel caso di dare prova di coraggio e di non cedere ad alcuna pressione o minaccia esterna. Chiediamo al governo pakistano di salvaguardare l'indipendenza e il buon funzionamento dell’Alta Corte di Lahore. Inoltre esortiamo le autorità pakistane a fornire protezione adeguata a tutte le persone coinvolte nel caso, ora e dopo una eventuale, futura decisione giudiziaria”. Il gruppo continuerà a seguire da vicino questo caso, come altri casi che riguardano le leggi sulla blasfemia in Pakistan, che il Parlamento Europeo invita a riformare, per evitarne gli abusi, o ad abrogare. (R.P.)

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    Terra Santa: i giovani in preghiera per il viaggio di Papa Francesco

    ◊   Il nuovo sito web www.terrasanctapax.org, attivo dallo scorso 17 marzo e legato ad alcune realtà giovanili cattoliche, ha organizzato un’importante iniziativa di preghiera e di raccoglimento per i prossimi mesi. L’obiettivo, come spiegano i promotori sullo stesso sito, è quello di accompagnare e di preparare spiritualmente il pellegrinaggio di Papa Francesco nella terra di Gesù e previsto dal 24 al 26 maggio prossimi.

    Le giornate di preghiera si svolgeranno dal 24 al 26 dei mesi di marzo, aprile e maggio, alternando momenti di digiuno a momenti di lode e di condivisione fraterna. Un apposito sussidio per la preghiera, pubblicato in diverse lingue, si proporrà come testo base per coloro che desidereranno partecipare all’iniziativa. I giovani ideatori dell’iniziativa di preghiera sono tra gli animatori della Giornata Internazionale di intercessione per la pace in Terra Santa che si svolge ogni anno, nell’ultima domenica di gennaio. L’ultima edizione, svoltasi il 26 gennaio scorso, ha visto l’adesione di oltre 5mila città del mondo. (G.P.)

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    Nazareth: inaugurate nuove sale dell’Ospedale San Vincenzo de’ Paoli

    ◊   L’ospedale cattolico francese di San Vincenzo de’ Paoli di Nazareth, retto dalla congregazione vincenziana delle Suore della Carità, si conferma quale complesso ospedaliero di alta qualità sul territorio israeliano. Di recente, infatti, sono stati rinnovati alcuni reparti, mentre nuove tecnologie ed apparecchiature hanno trovato spazio in altrettante nuove sale destinate rispettivamente agli interventi chirurgici, otorinolaringoiatrici e oftalmologici. A questo si è aggiunta anche l’apertura di una struttura per la maternità composta da ben sei sale parto, oltre che da uno spazio per le madri che hanno appena partorito.

    I lavori, che hanno avuto un costo complessivo di circa trenta milioni di shekel, sono stati resi possibili grazie al contributo economico del Ministero israeliano della Salute nonché di fondazioni di beneficienza, tra le quali la Pontifical Mission, l’Opera d’Oriente, e la Congregazione delle Figlie della Carità. All’inaugurazione, presieduta da mons. Giacinto-Boulos Marcuzzo, vicario patriarcale latino per Israele, hanno preso parte diverse autorità religiose e politiche sia francesi che israeliane. Mons. Marcuzzo, durante l’omelia, ha affermato che tutti “siamo invitati ad essere, come ha detto papa Francesco, i custodi dei nostri fratelli, della nostra vocazione” e, parlando della missione cristiana dell’ospedale, ha aggiunto che esso “considera tutte le persone, da 116 anni, un fratello e una sorella, mantiene la vita, la salute e le famiglie della popolazione locale, senza distinzione, con un amore incondizionato”. (G.P)

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    Taiwan. A Taipei la polizia sgombera il palazzo del governo occupato dagli studenti

    ◊   La polizia taiwanese ha trascinato via migliaia di studenti che ieri avevano occupato il palazzo del governo. In tenuta antisommossa - riferisce l'agenzia AsiaNews - la polizia ha portato via di peso i giovani in un'operazione che è durata dalla mezzanotte di ieri fino all'alba di oggi. Negli scontri con le forze dell'ordine, che hanno anche usato manganelli e idranti, circa 60 persone sono state arrestate e almeno 100 ferite.

    Dal 18 marzo gli studenti occupavano già la sede del parlamento, per criticare una bozza di accordo economico con la Cina che a loro parere rischia di compromettere la libertà dell'isola e mette in crisi le loro prospettive di lavoro.

    La tensione è andata crescendo da ieri. In mattinata, il presidente Ma Ying-jeou ha tenuto una conferenza stampa per spiegare la storia, le linee fondamentali e le ragioni dietro l'accordo commerciale. Ha ringraziato gli studenti per la loro presa di posizione, che farà rivedere ad uno ad uno tutti i passaggi formulati, ma ha riaffermato la necessità dell'accordo per ragioni di competitività economica con molti altri Paesi emergenti. Alla domanda di un cronista straniero se tra le ragioni "c'è anche la pressione di Pechino", il presidente ha affermato: "Facciamo questo accordo di nostra iniziativa. Qui si tratta della nostra sopravvivenza economica. Se perdiamo quote di mercato, altri subentrano e ci mettono ai margini, e iniziamo un inesorabile declino. Non siamo sotto gli ordini di nessuno e non vogliamo perdere quanto Taiwan ha costruito negli ultimi 40 anni".

    Scontenti delle risposte di Ma, in serata gli studenti hanno occupato anche il palazzo del governo. La decisione è stata presa dal leader degli studenti, Lin Fei-fan che ha invitato quelli che protestavano all'esterno ad attraversare la strada, andare in via ZhongShan Bei ad entrare nel palazzo del governo. Fino ad allora, la polizia, poca e in tenuta leggera, aveva l'ordine di non intervenire e di arginare nella maniera meno violenta possibile la grande massa di studenti.

    Dopo le 11 però la polizia, seguendo l'ordine del primo ministro Jiang Yi-huah, è arrivata in gruppi massicci e ha cominciato lo sgombero forzato, portando via di peso gli occupanti, senza uso di lacrimogeni, manganelli o idranti. A mezzanotte e mezza è iniziato uno sgombero ancora più massiccio con più di tremila poliziotti molto ben addestrati che vestivano il casco e portavano gli scudi antisommossa.

    AsiaNews ha intervistato due studenti che appartengono al gruppo che aveva invaso il parlamento. Essi raccontano che dopo l'incontro con il primo ministro Jiang Yuhua, l'unione tra gli studenti ha iniziato a dividersi perché a detta di molti la loro protesta era fallita non essendo stato raggiunto l'obiettivo principale. Alcuni gruppi hanno iniziato a usare maniere più violente, nonostante i richiami dei leader, e a distruggere quanto più possibile, come dimostra questa mattina l'interno del palazzo del governo, compreso l'ufficio del primo ministro.

    In una breve conferenza stampa del mattino, il primo ministro riferisce di essere rattristato dal fatto che una protesta civile e non violenta, come si era dimostrata fino a due giorni prima, si sia poi trasformata in uno scontro con episodi di forza e violenza per colpa di alcuni gruppi mossi dal desiderio di devastare più che dalla volontà di cooperare. (R.P.)

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    Iraq. I capi delle Chiese a tutti i cristiani: partecipiamo alle elezioni

    ◊   Il Consiglio dei Capi delle Chiese cristiane in Iraq – Council of Christian Church-leaders of Iraq, organismo che raduna tutti i responsabili delle diverse confessioni cristiane presenti nel Paese mediorientale - ha diffuso un breve pronunciamento in cui invita tutti i fedeli a partecipare alle imminenti elezioni nazionali, in programma il prossimo 30 aprile. Nel testo, pervenuto all'agenzia Fides, i Capi cristiani fanno appello alla responsabilità civile che coinvolge tutti, nella drammatica situazione vissuta dall'Iraq. “E' importante non disperare del destino di questo Paese” scrivono i leader cristiani, mentre chiedono “a Dio di ispirarci a scegliere per il bene di tutta la nazione”.

    Ancora una volta gli attivisti politici legati alle comunità cristiane presenti in Iraq si presentano in ordine sparso all'appuntamento elettorale che dovrà selezionare i 325 membri del Parlamento (con 5 seggi riservati ai cristiani), chiamati a loro volta a eleggere il Presidente e il Primo Ministro iracheni nel rispetto del sistema che riserva la carica presidenziale a un curdo e quella di Primo Ministro a uno sciita. Sono almeno 9 le piccole liste in lizza ispirate da attivisti cristiani (caldei, siri, assiri). (R.P.)

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    India: il 6 aprile Giornata di preghiera per le elezioni

    ◊   Una Giornata di preghiera per aiutare l’India a votare i leader migliori per il futuro del Paese: è l’iniziativa promossa dalla Conferenza episcopale indiana per il 6 aprile, alla vigilia delle elezioni generali. Dal 7 aprile al 12 maggio, infatti, il Paese asiatico è chiamato alle urne per eleggere in modo diretto i nuovi membri della Lok Sabha ("Casa del popolo"), la Camera bassa del Parlamento. Le elezioni si articoleranno in nove fasi: 7, 9, 10, 12, 17, 24 e 30 aprile; 7 e 12 maggio. Alcuni Stati voteranno in più di un giorno, in base al numero delle circoscrizioni. La conta dei voti avverrà in una sola giornata - il 16 maggio - e il nuovo Parlamento sarà costituito entro il 31 maggio. In vista di questa importante tornata elettorale, che coinvolgerà 814 milioni di votanti, la Chiesa locale ha lanciato dunque la Giornata di preghiera, attraverso una lettera circolare inviata a sacerdoti, religiosi e fedeli laici e firmata dal card. Baselios Cleemis Thottunkal, presidente dei vescovi. “Dovrà essere un giorno di fervida preghiera – scrive il porporato – per lo svolgimento pacifico delle elezioni e per l’assistenza divina di tutti i cittadini, così che possano eleggere i candidati migliori, capaci di sostenere i valori ed i principi morali nella vita pubblica”. Il card. Thottunkal esorta, poi, a scegliere leader capaci di promuovere il dialogo interreligioso e la tutela dei minori e dei più deboli, in difesa dei loro diritti e lavorando per la loro edificazione sociale. I futuri governanti, auspica il porporato, dovranno difendere anche la democrazia ed il carattere non confessionale dell’India. Il 6 aprile, dunque, in ogni Chiesa, cappella ed oratorio del Paese si celebrerà una Santa Messa con intenzioni di preghiera specifiche per le elezioni, con la fiducia – conclude il presidente dei vescovi indiani – “che esse saranno ascoltate e che Dio ispirerà i cuori ed illuminerà le menti della popolazione che dovrà scegliere le persone giuste per guidare il Paese sulla retta via”. (A cura di Isabella Piro)

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    India. Madhya Pradesh: arrestati due pastori pentecostali con false accuse di conversioni forzate

    ◊   "Condanniamo con fermezza le autorità del Madhya Pradesh per la detenzione illegale e ingiusta di due pastori pentecostali, aggrediti nell'intimità della loro casa". Lo afferma all'agenzia AsiaNews Sajan George, presidente del Global Council of Indian Christians (Gcic), commentando la detenzione di fratel Sonjith e fratel Simson, avvenuta il 22 marzo scorso nella città di Morena e causata da un gruppo di fondamentalisti indù.

    I due leader pentecostali avevano organizzato la visione di un film su Gesù insieme ad alcuni cristiani, nella casa di uno dei fedeli. Venuti a conoscenza della proiezione, alcuni estremisti hanno sporto denuncia alla polizia, dichiarando che dei cristiani stavano convertendo con la forza gli indù.

    La polizia è giunta sul posto ed ha arrestato i pastori. Dopo averli interrogati per due ore e avendo provato la loro innocenza, gli agenti li hanno rilasciati. "Il Gcic - spiega Sajan George ad AsiaNews è sconvolto da quanto accaduto. Le zelanti forze dell'ordine 'pro-indù' ci hanno messo poco tempo ad arrestare dei cristiani innocenti, prelevandoli nell'intimità di una casa privata, senza avere prove. A meno di un mese dalle elezioni generali, siamo preoccupati per la comunità cristiana in Madhya Pradesh e negli altri Stati guidati dal Bharatiya Janata Party (Bjp)". Il Bjp è il partito ultranazionalista indù del Paese (attuale leader dell'opposizione) che sostiene gruppi estremisti responsabili di attacchi contro le minoranze etniche, sociali e religiose dell'India. (R.P.)

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    Austria: al via l'Assemblea plenaria della Conferenza episcopale

    ◊   È stata inaugurata oggi presso il monastero benedettino di Admont nella Stiria l’Assemblea plenaria dei vescovi austriaci, riuniti per la sessione primaverile. Dopo la visita “ad limina apostolorum” per incontrare Papa Francesco, svoltasi a fine gennaio, l’Assemblea rappresenta la prima occasione per consultarsi circa i seguiti dei colloqui avvenuti in Vaticano. L’assise - riporta l'agenzia Sir - è presieduta dal presidente della Conferenza episcopale, card. Christoph Schönborn e per quattro giorni si occuperà di vari argomenti, tra cui il congresso dei consigli parrocchiali austriaci, previsto a fine maggio a Mariazell.

    Come per ogni Plenaria, i vescovi si consulteranno anche sui temi attuali della Chiesa e della società austriaca, ha riferito il segretario generale della Conferenza episcopale, Peter Schipka. Tra gli appuntamenti previsti durante la plenaria vi è la Messa solenne che verrà celebrata domani presso la chiesa del monastero che sarà presieduta dal card. Schönborn, con l’omelia pronunciata dal vescovo della Stiria mons. Egon Kapellari, il quale è anche vice-presidente della Conferenza episcopale. (R.P.)

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    Bolivia: i vescovi invocano un dialogo solidale per uno sbocco al mare del Paese

    ◊   Il segretario generale della Conferenza episcopale boliviana e vescovo di El Alto, mons. Eugenio Scarpellini, in un videomessaggio, ha affermato che sebbene la Bolivia abbia ragione a rivendicare il suo diritto ad avere uno sbocco al mare, esso si dovrebbe conseguire attraverso il dialogo solidale e pacifico. Nel ricordare l’anniversario della guerra contro il Cile che, alla fine dell’800, sancì la perdita dell’acceso al mare da parte della Bolivia, mons. Scarpellini ha sottolineato che tali eventi storici, che per tanto tempo hanno danneggiato i rapporti tra la Bolivia e il Cle, devono servire a cercare azioni e soluzioni nuove che permettano ad ambedue le nazioni di crescere nella fratellanza e nella solidarietà per raggiungere lo sviluppo e il benessere delle reciproche popolazioni.

    Il messaggio dell’episcopato boliviano si inserisce nel vivo delle polemiche riguardanti la richiesta presentata l’anno scorso dalla Bolivia alla Corte Internazionale di Giustizia dell’Aja, per “obbligare” il Cile a negoziare in “buona fede” uno sbocco sull’Oceano Pacifico. Ogni anno, il 23 marzo, i boliviani celebrano la Giornata del Mare, con atti e discorsi ufficiali che ricordano la data nella quale la Bolivia, insieme al Perú, perse la guerra contro il Cile, alla fine del XIX secolo. In questo conflitto, conosciuto come la Guerra del Pacifico, la Bolivia ha dovuto cedere 120mila chilometri quadrati di territorio e 400 chilometri di costa che oggi appartengono alla regione cilena di Antofagasta.

    Dopo l’insediamento della presidente cilena Michelle Bachelet, il governo di La Paz ha dichiarato di essere disponibile a discutere su tutti i temi d’interesse bilaterale, esclusa la richiesta di accesso al mare. Lo scambio di dichiarazioni tra i due governi ha creato intense controversie soprattutto in vista del 17 aprile prossimo, quando la Bolivia presenterà alla Corte dell’Aja un memorandum conclusivo con l’argomentazione giuridica e storica del ricorso sullo sbocco al Pacifico. (A cura di Alina Tufani)


    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVIII no. 83

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    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.