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Sommario del 21/03/2014

Il Papa e la Santa Sede

  • Papa Francesco: necessarie umiltà e preghiera per non "impadronirsi" della Parola di Dio
  • Jean Vanier incontra il Papa: le persone con disabilità ci rendono più umani
  • L'immigrazione tra i temi al centro dell'incontro tra il Papa e il presidente di Malta
  • Veglia di preghiera con il Papa per ricordare le vittime delle mafie: la testimonianza di don Ciotti e Maria Falcone
  • Sant'Agostino al centro della predica di Quaresima di p. Cantalamessa: è lo Spirito Santo che fa l'unità dei cristiani
  • Nomine episcopali in Inghilterra e Italia
  • Tweet del Papa: malattia e morte non sono tabù, ma realtà da affrontare alla presenza di Gesù
  • Il card. Sarah in Guatemala. Mons. Ramazzini: un Paese dalle ferite aperte
  • A Roma la Via Crucis “Per le donne crocifisse”, vittime di tratta e prostituzione coatta
  • Montecassino: celebrato 70.mo della distruzione-ricostruzione dell'Abbazia
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Ucraina firma accordo associazione con Ue. Senato russo: sì annessione Crimea
  • La Turchia blocca Twitter. Usa e Ue: grave attacco alla libertà di espressione
  • Sant'Egidio, giornata di studio cattolici-ortodossi. Riccardi: decisivo tema delle periferie
  • Incontro su Chiara Lubich e le religioni: testimonianze a sei anni dalla scomparsa
  • "Transumanza Latina in bicicletta" per la Giornata contro le mafie
  • Giornata della Sindrome di Down: esistere con i malati, non solo assistere
  • “Il progetto di Francesco”. Libro-dialogo del vaticanista Rodari con il teologo argentino Fernández
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Terra Santa. Il sindaco musulmano di Nazareth: voglio che l'Annunciazione diventi festa civile
  • Il 24 marzo la Giornata dei Missionari Martiri: come loro siamo tutti “testimoni” del Vangelo
  • Afghanistan: attacco dei talebani al centro di Kabul
  • Libia: ucciso professore cristiano irakeno. Il patriarca Sako si interroga sul futuro della regione
  • Filippine Sud: premio islamico al movimento per il dialogo “Silsilah”
  • Nigeria: il presidente dell'episcopato respinge le accuse di omofobia rivolte ai vescovi
  • Etiopia: emergenza per decine di migliaia di rifugiati sud sudanesi
  • India: l'impegno della Chiesa accanto ai più deboli
  • Perù: il vescovo di Chimbote obbligato a particolari misure di sicurezza
  • Guatemala: la Chiesa esorta il governo a garantire assistenza ai malati di Aids
  • Spagna: appello della Chiesa per condizioni di lavoro più sicure e dignitose per i marinai
  • Il Papa e la Santa Sede



    Papa Francesco: necessarie umiltà e preghiera per non "impadronirsi" della Parola di Dio

    ◊   Per non “uccidere” nel cuore la Parola di Dio, bisogna essere umili e capaci di pregare. Due atteggiamenti che Papa Francesco ha indicato questa mattina nel commentare il Vangelo durante la Messa presieduta in Casa Santa Marta. Il servizio di Alessandro De Carolis:

    Ci si può impadronire della Parola di Dio e disporne a proprio piacimento, se un cristiano non è umile e non prega. Lo spunto per mettere in risalto e in guardia da questa insidia Papa Francesco lo prende dal Vangelo del giorno, in cui Gesù racconta la parabola dei vignaioli omicidi, che dapprima uccidono i servi e da ultimo il figlio del padrone della vigna con l’intenzione di impadronirsi dell’eredità. Ad ascoltare questa parabola ci sono farisei, anziani, sacerdoti ai quali – spiega il Papa – Gesù si rivolge per far capire loro “dove sono caduti” per non avere “il cuore aperto alla Parola di Dio”:

    “Questo è il dramma di questa gente, e anche il dramma nostro! Si sono impadroniti della Parola di Dio. E la Parola di Dio diventa parola loro, una parola secondo il loro interesse, le loro ideologie, le loro teologie… ma al loro servizio. E ognuno la interpreta secondo la propria volontà, secondo il proprio interesse. Questo è il dramma di questo popolo. E per conservare questo, uccidono. Questo è successo a Gesù”.

    “I capi dei sacerdoti e dei farisei – prosegue Papa Francesco – capirono che parlava di loro, quando avevano sentito questa parabola di Gesù. Cercavano di catturarlo e farlo morire”. In questo modo, afferma il Papa, “la Parola di Dio diventa morta, diventa imprigionata, lo Spirito Santo è ingabbiato nei desideri di ognuno di loro”. Ed è esattamente quello accade a noi, osserva Papa Francesco, “quando non siamo aperti alla novità della Parola di Dio, quando non siamo obbedienti alla Parola di Dio”:

    “Ma, c’è una frase che ci dà speranza. La Parola di Dio è morta nel cuore di questa gente; anche, può morire nel nostro cuore! Ma non finisce, perché è viva nel cuore dei semplici, degli umili, del popolo di Dio. Cercavano di catturarlo, ma ebbero paura della folla del popolo di Dio, perché lo considerava un profeta. Quella folla semplice – che andava dietro a Gesù, perché quello che Gesù diceva faceva loro bene al cuore, riscaldava loro il cuore – questa gente non aveva sbagliato: non usava la Parola di Dio per il proprio interesse, sentiva e cercava di essere un po’ più buona”.

    E noi, si chiede in conclusione Papa Francesco, “cosa possiamo fare per non uccidere la parola di Dio”, per “essere docili, “per non ingabbiare lo Spirito Santo”? “Due cose semplici”, è la sua risposta:

    “Questo è l’atteggiamento di quello che vuole ascoltare la Parola di Dio: primo, umiltà; secondo, preghiera. Questa gente non pregava. Non aveva bisogno di pregare. Si sentivano sicuri, si sentivano forti, si sentivano 'dei'. Umiltà e preghiera: con l’umiltà e la preghiera andiamo avanti per ascoltare la Parola di Dio e obbedirle. Nella Chiesa. Umiltà e preghiera nella Chiesa. E così, non succederà a noi quello che è accaduto a questa gente: non uccideremo per difendere la Parola di Dio, quella Parola che noi crediamo che è la Parola di Dio, ma è una parola totalmente alterata da noi”.

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    Jean Vanier incontra il Papa: le persone con disabilità ci rendono più umani

    ◊   Papa Francesco ha ricevuto stamani Jean Vanier, Fondatore de L’Arca, una comunità fondata negli anni '60, che raggruppa oltre 130 gruppi nel mondo per l'accoglienza di persone con disabilità. Antonino Galofaro ha chiesto a Jean Vanier come sia nata questa esperienza:

    R. - J’ai pris conscience, en visitant un aumônier d’un petit centre, …
    Andai a trovare un cappellano in un piccolo centro, e mi resi conto che le persone con disabilità sono le persone più oppresse e quelle maggiormente rifiutate, e ancora oggi ci si vergogna di loro. La società li chiama handicappati, disadattati … tutti concetti negativi. Nel 1964 ho scoperto un istituto spaventoso dove erano rinchiusi 80 uomini, abbandonati a se stessi, senza far nulla, i dormitori erano di 40 posti letto, i letti uno attaccato all’altro … Quando i genitori non sapevano più cosa fare con i figli con handicap grave, li mettevano in questo istituto. La direttrice non cercava il bene delle persone con handicap, ma il sollievo ai genitori. Queste persone con handicap non venivano trattate come esseri umani, che hanno diritto alla parola, di avere progetti, desideri e via dicendo … “L’Arca” è nata proprio quando ho scoperto due uomini con handicap mentale in quell’istituto, e li ho invitati a venire a vivere con me in Francia dove avevo una casa diroccata. Così abbiamo iniziato a vivere in tre; poi sono venute delle persone ad aiutarmi … Essenzialmente, vivevamo con loro e per fare qualcosa con loro.

    D. – 50 anni fa, poteva immaginare che così tanta gente l’avrebbe seguita?

    R. – L’histoire de “L’Arche” est une histoire d’émerveillement …
    La storia de “L’Arca” è una storia dello stupore: cioè, “L’Arca” è cresciuta perché è venuto un tale ad aiutarci e a sua volta è stato ricambiato, ha scoperto che la persona con disabilità è un messaggero di Dio. Ecco, c’è bisogno di persone che facciano questa scoperta; il fatto che un grande numero di persone abbia fatto questa scoperta fa sì che oggi nel mondo ci siano 4 mila persone con handicap seguite da 4 mila assistenti, tutti con uno spirito di fede. Questo non significa che a volte non ci siano dei problemi o delle difficoltà, ma il cuore dell’“Arca” è un luogo di celebrazione. Rimango sempre stupito dal fatto che siano le persone con handicap che attraggono le persone, che le formano … Vorrei dire che sono le persone con handicap quelle che ci formano e ci rendono più umani …

    D. – Cosa danno alla società le persone con handicap?

    R. – Ça serait toujours très personnel. Nous disons, à L’Arche: «Changez le monde, …
    Questo è molto personale. Noi, all’“Arca”, diciamo: “Cambiate il mondo, ma un cuore per volta”. Ed è vero che quando qualcuno incontra e vive con una persona con handicap, scopre tutta una parte di se stesso che ignorava; e scopre anche che essere amico di una persona con disabilità ti cambia, ti cambia e ti dà un’altra visione della società: una società che non sia individualista e competitiva, ma una società nella quale si cerchi di creare delle relazioni, delle comunità, dove le persone possano vivere insieme. Perché il grande desiderio di Gesù è l’unità: creare luoghi in cui le persone si conoscano e si incontrino senza paura. Questa è la realtà. Lo spirito di divisione crea divisione, e poi succede che si ha paura del diverso. Credo che il grande messaggio di Gesù sia: “Non abbiate paura!”. Non abbiate paura di incontrare colui che è diverso.

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    L'immigrazione tra i temi al centro dell'incontro tra il Papa e il presidente di Malta

    ◊   Stamani, Papa Francesco ha ricevuto nel Palazzo Apostolico Vaticano il presidente della Repubblica di Malta, George Abela, che poi ha incontrato il cardinale segretario di Stato Pietro Parolin e mons. Dominique Mamberti, segretario per i Rapporti con gli Stati.

    “Nel corso dei colloqui, che si sono svolti in un clima cordiale – riferisce la Sala Stampa vaticana - sono state ricordate le profonde tracce del cristianesimo nella storia, nella cultura e nella vita del Popolo maltese, come pure le buone relazioni tra la Santa Sede e Malta, evocando le visite pastorali compiute dal Beato Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. In particolare, si è fatto riferimento all’apporto della Chiesa cattolica in campo educativo e assistenziale, come pure agli Accordi conclusi tra la Santa Sede e Malta in vista di una proficua cooperazione a servizio del bene comune. Infine, ci si è soffermati sul contributo di Malta in seno all’Unione Europea, come pure su alcune situazioni della regione del Mediterraneo, nonché sul fenomeno delle migrazioni verso l’Europa che vede impegnati la Chiesa e il Governo”.

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    Veglia di preghiera con il Papa per ricordare le vittime delle mafie: la testimonianza di don Ciotti e Maria Falcone

    ◊   Dal 1996, per iniziativa dell’associazione Libera, il 21 marzo, primo giorno di primavera, si ricordano in tutta Italia le vittime innocenti delle mafie. Nell’occasione arrivano oggi da tutta Italia a Roma circa un migliaio di familiari delle vittime per partecipare a una veglia di preghiera, presieduta dal Papa alle 17,30 nella Parrocchia di San Gregorio VII. Si tratta di una rappresentanza delle 15 mila persone che, in questi anni, in Italia hanno subito il dolore della perdita di un loro caro per mano della violenza mafiosa. La XIX edizione della giornata per l’impegno e la memoria si svolgerà invece domani a Latina dove si ritroveranno, insieme ai familiari, migliaia di persone, soprattutto giovani, provenienti da tutta Italia per partecipare a seminari, laboratori e spettacoli sui temi della legalità e dell'impegno civile contro le mafie. Sul significato della veglia di stasera, il commento di don Luigi Ciotti, presidente di Libera, al microfono di Fabio Colagrande:

    R. - Un momento di silenzio, di riflessione, anche di preghiera. Da 19 anni, facciamo sempre la vigilia nelle chiese locali, nello stesso giorno della giornata della memoria e dell’impegno, che Libera ha voluto che fosse il primo giorno di primavera, anche per augurarci una primavera della giustizia, della libertà, della dignità, della pace per tutti. Quest’anno sarà a Latina, nel Lazio, la Giornata della memoria e dell’impegno. Abbiamo pensato che si poteva fare a Roma e in un incontro tra me e Papa Francesco, il Papa si è reso subito disponibile a partecipare, a riflettere, a pregare insieme. Sarà anche presente a quella lettura interminabile di tanti nomi - che per noi sono volti, storie, vissuti, speranze e fatiche di persone - per abbracciare centinaia e centinaia di familiari di vittime innocenti della criminalità mafiosa.

    D. - Che significato dà la disponibilità di Papa Francesco a partecipare a questa preghiera?

    D. - E’ un grande dono. Primo, perché precede la Giornata della memoria e dell’impegno. Il miglior modo di fare memoria è quello di impegnarsi di più tutti 365 giorni all’anno. C’è tanto bisogno di impegno anche dentro tutte le nostre realtà, anche all’interno della Chiesa, proprio rispetto all’arroganza, ai poteri forti, le mafie, la corruzione, lo sfruttamento... Il secondo valore è la sua disponibilità ad accompagnare proprio i familiari in questo momento che è molto carico di dolore ma anche di speranza. Quindi, è un segno di grande attenzione da parte sua e di grande sensibilità e di partecipazione. E’ un segno di attenzione per un’umanità fragile, ferita: a queste persone hanno strappato gli affetti più cari e desiderano veramente tanto questo abbraccio, tanto, tanto, tanto.

    D. – E’ anche un segno di attenzione da parte del Papa per il tema specifico delle mafie, della corruzione…

    R. – Lui non si è mai sottratto, in modo molto chiaro profondo, documentato. Nei suoi interventi, rispetto a questa violenza criminale, rispetto a forme di sfruttamento, come la tratta, la prostituzione, il mondo della droga, il riciclaggio, l’usura, il traffico degli esseri umani, le mafie, il crimine organizzato, lui ha sempre, sempre, sempre, parlato. Quindi, gli abbiamo offerto un’altra occasione, nell’abbraccio ai familiari, per poter gridare ancora una volta, per graffiare anche le nostre coscienze: dire con forza che il Vangelo è incompatibile con queste organizzazioni criminali, coi loro linguaggi, i loro percorsi.

    D. – Chi sono i familiari che a Gregorio VII pregano insieme al Papa? Da dove vengono, quali sono le storie?

    R. – Da tutta Italia sono migliaia, una rappresentanza in modo approssimativo di oltre 15 mila persone. A volte sono famiglie numerose e per noi non è possibile portare tutti i nuclei familiari, tutti i parenti: è anche un investimento economico che non siamo in grado di sostenere. Abbiamo offerto questa opportunità a quanti sono già con Libera poi l’abbiamo allargata anche ad altri... Mi fa piacere che arrivino i parenti di don Puglisi, ci saranno i parenti stretti, i fratelli, la famiglia di don Peppino Diana. E’ tornata, sarà lì con noi, è molto contenta, Rosaria Schifani. Ce la ricordiamo tutti al funerale del marito Vito, dei tre ragazzi della scorta di Falcone e di Francesca Morvillo: Vito Schifani, Rocco Dicillo, Antonio Montinaro. Ce la ricordiamo a quel microfono in chiesa che grida: “Convertitevi!”. E’ lei che dice ai mafiosi: “Cambiate vita!”. Poi si è racchiusa nel suo grande silenzio. E’ felice di poter abbracciare il Papa, è felice di poter prendere la parola ma la cosa che mi ha chiesto è se può leggere la parte dei nomi dove c’è quello del grande amore della sua vita, Vito.

    D. – Quanto è importante che la Chiesa continui a voce alta a condannare ogni tipo di mafia?

    R. – La Chiesa ha un ruolo molto importante. E’ fondamentale dire questo, anche perché non dimentichiamo che la mafia produce una cultura di fatto atea che è antitetica con il Vangelo perché mette un uomo o un’organizzazione al posto di Dio. Quindi, è importante non dimenticare che i mafiosi si sono creati un loro Dio che li fa sentire dalla parte dei giusti. Allora, è importante gridare con forza, impegnarci, illuminare le coscienze per dire che la mafia è incompatibile con il Vangelo, con la fede cristiana e che sono fuori dalla comunione della Chiesa quanti direttamente o indirettamente permettono di far tutto questo. Don Puglisi venne ucciso per odio alla sua fede da un’altra Chiesa, da un’altra religione, la religione della violenza che non tollera il testimone dell’amore di Cristo. Abbiamo bisogno di testimoni, della testimonianza cristiana che si salda alla responsabilità civile.


    E tra le persone che parteciperanno alla Veglia anche Maria Falcone, sorella del giudice Giovanni Falcone ucciso con la moglie e gli uomini della scorta dalla Mafia, il 23 maggio del 1992 a Capaci. Fabio Colagrande ha raccolto la sua testimonianza:

    R. – Io ho incontrato Papa Giovanni Paolo II nel ’93 quando lui è venuto nella Valle dei templi ad Agrigento, proprio un anno dopo la morte di Giovanni. Per me che sono cattolica osservante, chiaramente, l’incontro con il Papa rappresenta un momento di riflessione importante, un momento che mi porta a far sì che, secondo la nostra religione, il dolore subito non si tramuti in odio ma in voglia di riscatto. Significa questo: perché altri non debbano piangere, perché altri non debbano subire quello che noi abbiamo subito. Quindi, l’impegno deve servire a creare una società migliore, non dico completamente immune dal problema criminale, ma sicuramente potremmo mettere al tappeto le grandi organizzazioni criminali come Cosa Nostra, ‘Ndrangheta, Camorra, che hanno un dominio del territorio in tutto il Sud d’Italia e costringono tutta la popolazione a vivere in una situazione di continua oppressione sia a livello sociale sia a livello economico.

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    Sant'Agostino al centro della predica di Quaresima di p. Cantalamessa: è lo Spirito Santo che fa l'unità dei cristiani

    ◊   E’ Sant’Agostino il protagonista della seconda predica di Quaresima di padre Raniero Cantalamessa, pronunciata stamattina nella Cappella Redemptoris Mater del Palazzo Apostolico alla presenza del Papa. Il predicatore della Casa Pontificia ha scelto il vescovo di Ippona per spiegare che “la Chiesa è formata da più persone riunite e amalgamate insieme dalla carità che è lo Spirito Santo”, dove proprio quest’ultimo è ciò che la anima e la unisce. Il servizio di Tiziana Campisi:

    C’è una prima distinzione da comprendere quando si guarda alla Chiesa, questo ha insegnato Agostino. Una cosa è la Chiesa presente o terrestre, “il campo in cui sono frammisti grano e zizzania, la rete che raccoglie pesci buoni e cattivi, cioè santi e peccatori”, altra è la Chiesa futura o celeste, quella fatta di tutti e soli santi. Il predicatore della Casa Pontificia è partito da questo grande insegnamento del vescovo di Ippona per sviluppare la sua meditazione sulla natura della Chiesa proseguendo, con l’ulteriore distinzione, nella Chiesa terrena, tra comunione dei sacramenti, quella che unisce quanti partecipano degli stessi segni esterni - ossia sacramenti, Scritture, autorità - e comunione operata dalla Spirito Santo, dalla grazia, dalla carità:

    “L’appartenenza piena alla Chiesa esige le due cose insieme, e la comunione visibile dei segni sacramentali e la comunione invisibile della grazia. Essa però, e qui un altro progresso di Agostino, ammette dei gradi”.

    Da qui gli scismi, le separazioni, le controversie, le dispute teologiche, sicché Agostino conclude che “può dunque esserci nella Chiesa cattolica qualcosa che non è cattolico, come può esserci fuori della Chiesa cattolica qualcosa che è cattolico”:

    “Vediamo come la teologia di Agostino ci può aiutare in questa impresa di superare gli steccati secolari … oggi dobbiamo muovere dalla comunione spirituale della carità verso la piena comunione anche nei sacramenti, soprattutto dell’Eucaristia”.

    Il problema che si pone, considerando discordie e divisioni, ha rilevato padre Cantalamessa, è che “non si può dare maggiore importanza alla comunione istituzionale” rispetto “a quella spirituale”:

    “Questo per me pone un interrogativo serio, da tempo. Posso io, come cattolico, sentirmi più in comunione con la moltitudine di coloro che, battezzati nella mia stessa Chiesa, si disinteressano completamente di Cristo e della Chiesa, o se ne interessano solo per parlarne male, di quanto io mi senta unito, in comunione con la schiera di coloro che, pur appartenendo ad altre confessioni cristiane, credono le verità fondamentali che crediamo noi, amano Gesù Cristo, diffondono il Vangelo, mostrano i segni interiori dello Spirito Santo? Le persecuzioni, così frequenti oggi in certe parti del mondo, non fanno distinzione: non bruciano chiese, non uccidono persone perché sono cattolici o perché sono protestanti, ma perché sono cristiani. Per essi siamo già ‘una cosa sola’!”.

    Sono interrogativi “che dovrebbero porsi anche i cristiani di altre Chiese nei confronti dei cattolici, ha aggiunto il predicatore della Casa Pontificia, che ha ribadito l’importanza dell’intuizione di Sant’Agostino nel riconoscere nello Spirito il principio essenziale dell’unità della Chiesa, “anziché nella comunione orizzontale dei vescovi tra di loro e dei vescovi con il Papa”. Insomma, è lo Spirito Santo che fa l’unità della Chiesa, “riflesso dell’unità perfetta che c’è tra il Padre e il Figlio per opera dello Spirito”. “È Gesú che ha fissato una volta per sempre questo fondamento mistico dell’unità quando ha detto: ‘Che siano una cosa sola come noi siamo una cosa sola’. L’unità essenziale nella dottrina e nella disciplina sarà il frutto di questa unità mistica e spirituale, non potrà mai esserne la causa”. Infine padre Cantalamessa ha osservato:

    “I passi più concreti verso l’unità non sono perciò quelli che si fanno intorno a un tavolo o nelle dichiarazioni congiunte - per quanto questi siano utilissimi e indispensabili - ; sono quelli che si fanno quando credenti di diverse confessioni si trovano a proclamare insieme, in fraterno accordo, Gesú Signore, condividendo ognuno il proprio carisma, riconoscendosi come fratelli nella piena lealtà e obbedienza ognuno alle direttive della propria Chiesa”.

    Ma quale l’insegnamento ultimo da cogliere sulla natura della Chiesa? E’ l’esortazione che Agostino usa chiudendo tanti suoi discorsi sulla Chiesa stessa: “Se dunque volete vivere dello Spirito Santo, conservate la carità, amate la verità, e raggiungerete l’eternità”.

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    Nomine episcopali in Inghilterra e Italia

    ◊   Papa Francesco ha ricevuto nel corso della mattinata, in successive udienze, il cardinale Gerhard Ludwig Muller, prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, e l’arcivescovo Piero Pioppo, nunzio apostolico in Camerun e la Guinea Equatoriale.
    In Inghilterra, Papa Francesco ha nominato arcivescovo metropolita di Liverpool monsignor Malcolm Patrick McMahon, dell’Ordine Domenicano, trasferendolo dalla sede di Nottingham. Mons. McMahon è nato a Londra il 14 giugno 1949. Presso la “University of Manchester Institute of Science and Technology” ha ottenuto il “Bachelor of Science” in “Engineering”. Dopo un periodo di lavoro nel settore industriale, come ingegnere, è entrato nell’Ordine Domenicano nel 1976. Ha frequentato il “Dominican Studium” a Blackfriars, Oxford, e ha studiato teologia all’“Heythrop College” presso l’Università di Londra, dove ha ottenuto il “Master of Theology”. Fu ordinato sacerdote il 26 giugno 1982. Dopo l’ordinazione è stato cappellano al Leicester Polytechnic, nella diocesi di Nottingham. È stato, per breve tempo, Priore e Parroco a Newcastle-upon-Tyne; ha svolto, però, la maggior parte del suo ministero sacerdotale a Londra, dove successivamente è stato Economo della Provincia, Priore e Parroco del St Dominic’s Priory e, infine, Provinciale per due mandati successivi. Dall’aprile 2000 è infine stato Priore di Blackfriars Priory, Oxford. Eletto il 7 novembre 2000 Vescovo di Nottingham, è stato consacrato l'8 dicembre 2000. All'interno della Conferenza Episcopale d'Inghilterra e Galles presiede il Department of Catholic Education and Formation.

    In Italia, il Papa ha nominato vescovo di Caserta mons. Giovanni D’Alise, trasferendolo dalla sede vescovile di Ariano Irpino-Lacedonia. Il presule è nato a Napoli il 14 gennaio 1948 ed ha frequentato la scuola media nel Seminario di Acerra, il ginnasio nel Seminario di Capua, il liceo nel Seminario di Benevento e la Teologia nel Seminario Campano di Napoli, conseguendo la Licenza in Teologia presso la Pontificia Facoltà Teologica dell'Italia meridionale. È stato ordinato sacerdote il 23 settembre 1972 ed ha svolto il ministero di Vicario Cooperatore nella Parrocchia di S. Alfonso M. de' Liguori in Cancello Scalo, dal 1974 fino al 1990, quando vi è stato nominato Parroco, ministero che ha svolto fino alla nomina episcopale. Dal 2001 al 2004 è stato Vicario Foraneo della Forania di San Felice - Arienzo. Nel 1984 è stato incaricato di alcuni uffici pastorali della Curia diocesana quali Responsabile della catechesi diocesana, della scuola di religione e della formazione alla catechesi ed ha avviato la Scuola di formazione per i laici, di cui è stato Direttore. Per alcuni anni è stato anche Direttore del Bollettino diocesano. Ha curato l'organizzazione dei 22 Convegni diocesani annuali della diocesi di Acerra e la celebrazione annuale della Giornata per la Vita. Dal 2003 al 2004, la diocesi di Nocera Inferiore-Sarno lo ha incaricato della formazione dei propri diaconi permanenti. Il 5 giugno 2004 è stato eletto alla sede vescovile di Ariano Irpino-Lacedonia e ordinato vescovo il 17 luglio dello stesso anno.

    Il Pontefice ha accettato la rinuncia di mons. Werner Thissen all’ufficio di arcivescovo di Hamburg, in Germania, per raggiunti limiti di età.

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    Tweet del Papa: malattia e morte non sono tabù, ma realtà da affrontare alla presenza di Gesù

    ◊   Papa Francesco, in questo terzo Venerdì di Quaresima, ha lanciato questo tweet: “La malattia e la morte non sono dei tabù. Sono realtà che dobbiamo affrontare alla presenza di Gesù”.

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    Il card. Sarah in Guatemala. Mons. Ramazzini: un Paese dalle ferite aperte

    ◊   Si conclude oggi il viaggio del cardinale Robert Sarah in Guatemala. Il presidente del Pontificio Consiglio “Cor Unum” è giunto nel Paese centroamericano il 18 marzo scorso per inaugurare un complesso abitativo di diciannove case con una cappella, costruite per altrettante famiglie, grazie a un dono del Papa, dopo le calamità naturali che hanno colpito il Paese nell’autunno 2011, e portare un segno di concreta vicinanza spirituale alle popolazioni che stanno ora affrontando la fase della ricostruzione. 16 anni dopo la fine della guerra civile, il Guatemala resta uno dei Paesi più poveri del mondo, dove un bambino su due soffre di malnutrizione cronica. Come si può spiegare questa situazione drammatica? Xavier Sartre lo ha chiesto a mons. Alvaro Leonel Ramazzini Imeri, vescovo della diocesi guatemalteca di Huehuetenango:

    R. – Si spiega con il fatto che quella guatemalteca è una società nella quale predomina il modello economico neoliberale che fa sì che i ricchi diventino più ricchi e i poveri più poveri. Il Guatemala ha sempre seguito questo modello economico, in tutta la sua storia, e che finora ha prodotto esclusione, emarginazione e ancora più povertà per i più poveri, in particolar modo per gli indigeni e per i contadini. Da un punto di vista religioso, è un Paese in cui nonostante il 98 per cento della popolazione si definisca cristiana, non si vive in maniera coerente ai principi del Vangelo. E questo, almeno dal mio punto di vista di vescovo, è molto serio. Assistiamo ad una crisi molto, molto profonda dell’essere cristiano. Moltissime persone non capiscono che essere cristiano significa seguire il Signore Gesù, imitare il suo stile di vita che comporta non soltanto carità ma anche lotta per la giustizia e per il rispetto degli esseri umani.

    D. – Perché, secondo lei, c’è sempre più differenza tra i ricchi e i poveri?

    R. – Lei sa che – come ha detto Papa Francesco nella sua recente Esortazione Apostolica – c’è questa mentalità di servire sempre più il “dio denaro”, e questo fa dimenticare che ci sono tantissime persone che soffrono. In fondo, il problema del Guatemala è che manca la vera adorazione di Dio, non si trova il Signore Gesù nei poveri. Parlo di una crisi molto, molto profonda del cristianesimo guatemalteco.

    D. – Il problema della ripartizione delle terre rimane comunque uno dei maggiori problemi del suo Paese…

    R. – Certo. Infatti, non abbiamo mai avuto una riforma agraria. Alcuni anni fa, il Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace aveva scritto un documento che è stato per noi di grande orientamento. Bisogna considerare che in Guatemala moltissime persone non conoscono il Compendio della Dottrina sociale della Chiesa, anche se noi cerchiamo di farlo conoscere. Quindi, i principi della Dottrina sociale della Chiesa non sono seguiti. Tra questi, ad esempio, il fatto che i beni della terra sono per tutti e non soltanto per un piccolo gruppo di persone.

    D. – C’è un altro problema: la violenza nelle città. L’urbanizzazione del Paese piuttosto che favorire migliori condizioni di vita, sembra aver contribuito a far aumentare la violenza e la povertà. Perché?

    R. – Perché ci sono tantissimi giovani che sono nati in famiglie disintegrate, famiglie distrutte e quindi non hanno neanche avuto l’opportunità di sentirsi amati. E questo ha dato come risultato la presenza di questi gruppi, che noi chiamiamo “las maras”: sono gruppi veramente violenti, risultato della povertà, della mancanza di opportunità per i giovani, della mancanza di istruzione, di opportunità di lavoro … Secondo me, la violenza maggiore che stiamo soffrendo adesso, in Guatemala, è proprio la povertà, che crea poi questi risultati dei quali stiamo parlando.

    D. – La guerra civile è durata 36 anni: sono sempre aperte le ferite di questo conflitto a 16 anni dalla sua fine?

    R. – Penso di sì. Uno dei segni di questo è il fatto che abbiamo perso la capacità di dialogare, di trovarci insieme per affrontare i nostri problemi. Poi, c’è un certo sentimento di vendetta in molte persone che hanno sofferto tanto, durante la guerra, e nonostante i nostri sforzi di portare avanti non solo un discorso sulla riconciliazione, ma anche una pratica della riconciliazione, troviamo che molte ferite sono ancora aperte, e per me questo significa che noi pastori dobbiamo veramente cercare di promuovere programmi di assistenza psicologica, perché molta gente non riesce a superare le ferite lasciate dalla guerra civile.

    D. – In questo contesto, qual è il ruolo che può ricoprire la Chiesa nel Paese?

    R. – Continuare ad annunciare il Vangelo che è sempre seme, ma soprattutto forza per riuscire a raggiungere la pace. Per me, però, è molto importante ricordare le parole del Beato Giovanni XXIII nella sua Enciclica “Pacem in terris”, quando ha ricordato che non si può avere una vera pace se non la si fonda su quattro colonne: la giustizia, la verità, la libertà e la carità. Credo che noi pastori del Guatemala dobbiamo cercare il modo di far sì che queste colonne possano stare lì, che le possiamo sostenere al fine di trovare questa pace della quale il Paese ha bisogno.

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    A Roma la Via Crucis “Per le donne crocifisse”, vittime di tratta e prostituzione coatta

    ◊   Una Via Crucis “Per le donne crocifisse”, vittime di tratta e prostituzione coatta, si snoda questa sera nel centro di Roma. L'evento è stato ricordato da Papa Francesco all'Angelus di domenica scorsa. La partenza alle 19.30 da Piazza Santi Apostoli mentre la tappa di arrivo è alla Chiesa in Santa Maria in Traspontina, in via della Conciliazione; durante il percorso le toccanti testimonianze di alcune ragazze. Ad organizzare la processione, l’Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII, fondata da don Oreste Benzi, che da anni si impegna per la liberazione di tante giovani schiavizzate. Debora Donnini ha intervistato don Aldo Buonaiuto, della segreteria organizzativa:

    R. - È una Via Crucis simbolica ma molto importante, dal titolo “Per le donne crocifisse”, pensando a quelle donne più dimenticate e allo stesso tempo più usate da oltre nove milioni di maschi italiani che sono sulle strade di Italia e nei locali a comprare il corpo di ragazze giovanissime, portate in Italia con l’inganno, attraverso una vera e propria tratta degli esseri umani, ridotte in stato di schiavitù, torturate, e che ogni giorno subiscono violenze e percosse.

    D. – In base alla sua esperienza di aiuto alle ragazze vittime della prostituzione, come avviene il traffico di queste giovani donne? Sono consenzienti o sono portate qui con l’inganno? Quali sono le differenze, anche in base ai Paesi da cui provengono?

    R. – In questa Via Crucis, il nostro sguardo va alle donne vittime della tratta e della prostituzione schiavizzata. Parliamo di quelle donne al 99% straniere, oltre 100mila, sulle strade d’Italia che sono condotte qui con l’inganno di una promessa di lavoro. Non dimentichiamo che provengono da Paesi poverissimi - Nigeria, Romania, Albania, Moldavia, Bulgaria – luoghi dove molto spesso le ragazze sono avvicinate proprio perché si conosce lo stato in cui versano - specialmente le loro famiglie – che è uno stato di grande povertà. Allora, ecco che la ragazza reclutata viene adescata proprio con questa promessa: poter trovare un lavoro che consenta di aiutare le loro famiglie. Si intraprendono questi viaggi che lungo il percorso si rivelano i viaggi delle botte, dell’assogettazione: quando arrivano in Italia queste donne giovanissime sono già assoggettate e ricattate nei confronti proprio dei loro cari.

    D. – Dal ’91 ad oggi l’Associazione Papa Giovanni XXIII è riuscita a liberare circa settemila ragazze ridotte in schiavitù. Come intervenite per salvare queste ragazze?

    R. – Interveniamo su quasi tutto il territorio nazionale andando in strada con le nostre unità di strada: persone eroiche, ragazzi, giovani, persone che le avvicinano cercando di dar loro il coraggio, di far vincere loro la paura ed aprire un dialogo. Allora, quando si cominciano a fidare, si intraprende il percorso di protezione sociale per reinserirle nella società, cercare un lavoro e ristabilire soprattutto un rapporto di fiducia e di affetto attraverso le nostre case-famiglia.

    D. – Voi cosa chiedete alle istituzioni?

    R. – Noi chiediamo che l’Italia possa recepire la direttiva europea che chiede di disincentivare la domanda. Abbiamo anche messo in atto una petizione - che si può vedere nel nostro sito - perché l’Italia possa accogliere questa risoluzione d’Europa: la domanda si colpisce punendo i clienti, facendo una grande opera di prevenzione e di rieducazione.

    D. – Al termine della Via Crucis, alle 22.00, c’è un oratorio sacro dal titolo “Lo sposo dell’umanità”. In cosa consiste?

    R. – Consiste in un bellissimo gruppo di giovani che si sono riuniti – loro vengono da Fabriano, dalle Marche – per cantare e pregare. Si ripercorrerà attraverso alcuni passi della Sacra Scrittura il percorso dalla morte alla vita, dalla schiavitù alla libertà. L’augurio che faremo per la Pasqua a tante ragazze è che possano trovare il coraggio di liberarsi da quella morte.

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    Montecassino: celebrato 70.mo della distruzione-ricostruzione dell'Abbazia

    ◊   Si è svolta stamattina la celebrazione commemorativa del 70.mo anniversario della distruzione-ricostruzione dell’Abbazia di Montecassino, alla quale ha preso parte anche il cardinale Ennio Antonelli, presidente emerito del Pontificio Consiglio per la Famiglia, inviato da Papa come suo rappresentante. Nel 1944, durante la Seconda Guerra Mondiale, il celebre monastero di San Benedetto venne distrutto, si dice per un tragico errore o per il frutto di una cattiva informazione. Veronica Giacometti ha chiesto un commento all’amministratore apostolico dell'Abbazia, don Augusto Ricci:

    R. – I militari tedeschi erano nella vicinanza dell’Abbazia, ma non nell’Abbazia. Probabilmente, gli Alleati vedevano l’edificio come una minaccia e pensavano che la distruzione fosse un vantaggio militare. Invece si è rivelato poi un errore. Però, nell’Abbazia è chiaro che non c’erano presenze militari.

    D. – Il Papa ha inviato il cardinale Antonelli come inviato speciale per la celebrazione commemorativa di oggi. Cosa vi ha colpito delle sue parole?

    R. – Nell’omelia, ha riportato la vicinanza del Santo Padre. Ha commentato la vita monastica secondo la regola di San Benedetto e nelle realizzazioni, attraverso i secoli, e poi anche il messaggio di pace che attraverso i monasteri benedettini deve giungere a tutto il mondo: i Benedettini come costruttori di pace e il bene che i monasteri benedettini hanno realizzato nelle comunità attraverso i secoli.

    D. – Come ricordano, oggi, i Benedettini quell’evento?

    R. – Nei monasteri ci sono ancora due monaci che hanno visto l’Abbazia prima dei bombardamenti. Nel territorio, vedo che è ancora molto sentito il ricordo di quegli eventi. Purtroppo, la tragica realtà della guerra con le distruzioni che comporta, con le violenze ma soprattutto il messaggio di pace… Quest’anno, ricordiamo anche i 50 anni dalla visita di Paolo VI, con la riconsacrazione della chiesa ricostruita e con la proclamazione di San Benedetto a Patrono d’Europa.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   Quella pedata del Signore: un articolo di Mario Ponzi sull'incontro di Papa Francesco con Libera, l’associazione di Don Ciotti, nel giorno della memoria e dell’impegno per sostenere le famiglie delle vittime di tutte le mafie.

    Guerra di sanzioni: Obama vara nuove misure contro funzionari russi e il Cremlino risponde con provvedimenti analoghi.

    In cultura, Ettore Merkel su Pio X e il rilancio dell’arte sacra nel primo Novecento.

    Al bistrot in attesa del treno della vita: Sandro Barbagallo sul collezionista Jonas Netter nella Parigi dei pittori maledetti.

    L’Argentina a Parigi: dallo speciale della “Croix” un articolo di Angeline Montoya sul Salone del libro dove il Paese è ospite d’onore.

    Enrico Reggiani sull'interpretazione chestertoniana del secolo lungo e l’Età vittoriana in letteratura.

    La giornata mondiale dell’acqua: nel servizio religioso, Ugo Sartorio sul documento dei francescani per l’ecologia.

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    Oggi in Primo Piano



    Ucraina firma accordo associazione con Ue. Senato russo: sì annessione Crimea

    ◊   La crisi ucraina ancora al centro della cronaca internazionale. Dopo le sanzioni reciproche di ieri tra Russia e Stati Uniti, oggi nuova giornata decisiva. Il Senato di Mosca, così come aveva fatto la Duma, ha votato favorevolmente all’annessione della Crimea, mentre a Bruxelles è stata firmata la parte politica dell’accordo di associazione tra Unione Europea e Ucraina. Intanto, il primo ministro russo, Medvedev, ha ricordato che Kiev ha un debito di 16 miliardi di dollari con Mosca per forniture di gas. Sulle ricadute economiche degli eventi di questi giorni, Giancarlo La Vella ha parlato con l’economista, Francesco Carlà:

    R. – Le ricadute economiche ci sono da parecchi lati: l’Ucraina chiaramente si impoverisce e cerca aiuto dall’Unione Europea, dall’estero. Il Giappone si è offerto di offrire un finanziamento di un miliardo di dollari. L’Europa e anche l’Italia rischiano alcuni business molto importanti, come ad esempio la mega opera a South Stream che vale dieci miliardi di dollari. Ma anche la Russia hai i suoi problemi, perché sia le solite agenzie Fitch e Standard and Poor’s hanno degradato l’outlook di Mosca. Quindi anche lì, ci saranno delle ripercussioni per tutti i titoli di Stato russi.

    D. – Se la Russia dovesse chiedere il rientro immediato dei debiti per le forniture di gas a Kiev, questa cosa ricadrebbe in qualche modo anche sull’Europa?

    R. – Qui l’escalation è di tre tipi. Mediatica, con continui comunicati anche da parte di Stati Uniti, Europa, Russia, Ucraina. Militare, con le scaramucce nelle zone russofone. E naturalmente ripercussioni economiche, finanziarie, minacce e cose di questo tipo. Quindi, dal combinato disposto di questi tre fronti possono nascere i profili più delicati e preoccupanti per i prossimi giorni.

    D. – Guardando al futuro, si corre il rischio che si ricrei un mondo a blocchi contrapposti?

    R. – Intanto, dal punto di vista politico l’Unione Europea ha detto che il G8 non esiste più. Quindi, Mosca sta già subendo le sue ripercussioni. Che si crei un mondo, di nuovo da un punto di vista economico, simile a quello del periodo della Guerra Fredda, del Muro di Berlino, ho molti più dubbi perché le interrelazioni di tipo finanziario, industriale ed economico sono molto più ampie, complesse e stratificate. Credo sia possibile che tutte le parti trovino molto sgradevole proseguire eccessivamente su questa linea. Non credo che dal punto di vista economico e finanziario sia molto conveniente. Naturalmente, restano gli scenari militari, per i quali è molto più difficile stabilire i confini e i termini.

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    La Turchia blocca Twitter. Usa e Ue: grave attacco alla libertà di espressione

    ◊   Cresce la tensione in Turchia dopo che l’autorità per le telecomunicazioni ha bloccato la notte scorsa l'accesso a Twitter, poche ore dopo la minaccia espressa dal premier Erdogan di vietare l'uso del social network nel Paese a seguito della pubblicazione di alcune intercettazioni che lo vedono coinvolto in un caso di corruzione. “Non mi interessa cosa dice la comunità internazionale”, afferma il premier, suscitando la preoccupazione degli Stati Uniti e la condanna dell'Ue, che parla di grave violazione di libertà d'espressione. Anche il presidente turco, Gul, disapprova e l’opposizione promette ricorso. Come spiegare dunque questa decisione? Gabriella Ceraso lo ha chiesto a Fazila Mat, corrispondente ad Istanbul dell’Osservatorio Balcani e Caucaso:

    R. - Il premier Erdogan ha avuto un rapporto difficile con Twitter e i social media già a partire dai fatti del Gezi Park dell’estate scorsa. In quell’occasione, aveva definito i social media una piaga della società, perché fornivano un canale di informazione essenziale per mobilitare le proteste.

    D. - Ora la condanna è altrettanto forte, e comunque l’oscuramento di Twitter è totale. Come si legge in Turchia questa mossa?

    R. - Il prossimo 30 marzo ci sono le elezioni amministrative, considerate dal premier Erdogan come un test molto importante per riconfermare la propria autorità. È molto probabile, come suggeriscono anche alcuni analisti, che questa mossa sia rivolta a cercare una maggiore popolarità tra il suo elettorato conservatore, una massa forte di persone che - incuranti di quello che addirittura potrebbe dire la comunità internazionale - fa quello che decide di fare.

    D. - Questo però gioca negativamente nell’immagine che può dare all’Europa un cammino di riavvicinamento, o no?

    R. - Assolutamente sì. Però, una volta assicurata forse di nuovo la posizione all’interno del Paese, potrà forse pensare di rammendare la propria immagine fortemente in calo all’estero.

    D. - È anche una mossa che continua inesorabilmente a incidere su una stabilità interna ormai al tracollo…

    R. - Sì, la politica turca in questo momento è attraversata da una forte turbolenza. Sappiamo che c’è in atto questo scontro di potere tra le forze vicine al governo e l’ex alleato Fethullah Gulen, una lotta per occupare le posizioni di forza all’interno dello Stato. Quindi, è quasi come se da un momento all’altro tutto potesse cambiare.

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    Sant'Egidio, giornata di studio cattolici-ortodossi. Riccardi: decisivo tema delle periferie

    ◊   Si è svolta oggi a Roma, presso la Comunità di Sant’Egidio, una giornata di studio e riflessione per approfondire la collaborazione fra ortodossi e cattolici sulla via della carità. Presenti anche alcuni vescovi del Patriarcato di Mosca e Kiev. L’incontro si è svolto mentre le Chiese ortodosse sono impegnate nella preparazione del Concilio panortodosso, convocato entro il 2016 a Costantinopoli, sotto la presidenza del Patriarca ecumenico, Bartolomeo I. Il servizio di Elvira Ragosta:

    Ortodossi e cattolici uniti sulla via della carità perché, ha sottolineato il metropolita Juvenalij del Patriarcato di Mosca, "le opere della carità sono legate all’adempimento liturgico”. E la carità, in un mondo globalizzato, nell’economia come nella società, diventa valore e servizio necessario per le periferie umane ed esistenziali cui fa riferimento spesso Papa Francesco. Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di sant’Egidio:

    R. – Io credo che il tema delle periferie sia un tema decisivo, perché nel mondo globale le città, le mega-città, prevalgono ed è un mondo fatto di periferie umane e di periferie urbane. In queste realtà, vivono uomini e donne che sono spaesati, che non hanno punti di riferimento. Il grande problema per il cristianesimo, per le Chiese cristiane, è riprendere a parlare con loro, riprendere a incontrarli. Io vengo da Città del Messico e sono rimasto impressionato da questa grande città di 35 milioni di abitanti, in cui gli uomini e le donne si sentono periferici. Come possono tornare al centro della storia? Questa è la sfida di questo Convegno, che riunisce cattolici e ortodossi su questa problematica: costruire, realizzare dei centri di vita in periferia e riscattare l’uomo dall’anonimato.

    D. – C’è una collaborazione più che trentennale tra la Comunità di Sant’Egidio e la Chiesa ortodossa del Patriarcato di Mosca, che in questo particolare momento di crisi dell’Ucraina assume un valore ancora più importante e soprattutto nell’esercizio della carità...

    R. – La solidarietà con i poveri costruisce la pace. In questo momento, il tessuto umano dell’Ucraina è molto lacerato, conflittuale, e i cristiani hanno un grande ruolo nel ricostruire la pace, nel ricostruire l’unità e la comprensione tra gli ucraini con i russi e con i Paesi vicini.

    Tanti sono i riferimenti alle periferie esistenziali anche nelle Sacre Scritture, come ricordato da mons. Ambrogio Spreafico, vescovo di Frosinone:

    R. – Nell’Antico e nel Nuovo Testamento, i poveri sono i privilegiati di Dio e quindi anche nell’Antico Testamento la loro presenza è richiamata con forza, soprattutto quando sono trattati ingiustamente e il loro grido è sempre ascoltato da Dio. Quindi, i Profeti, ma anche i testi legislativi, il Deuteronomio, hanno uno sguardo particolare verso i poveri e affermano sempre come Dio sia il loro grande protettore e il loro grande difensore. Nella Bibbia, noi vediamo, sia nell’Antico Testamento e poi soprattutto a partire da Gesù, come la Chiesa, come il Vangelo includano i poveri nella comunità. Non solo, dunque, c’è un’attenzione, non solo c’è una preoccupazione per loro, non solo Dio li difende, ma Dio vuole anche che siano parte della comunità. Mi viene in mente quel bellissimo testo del profeta Sofonia, quando parla di un popolo di umili e di poveri. Ho sempre pensato che gli umili dovremmo essere noi, cioè i discepoli, e i poveri sono i poveri. Questo popolo è anche il popolo della Chiesa, è il popolo dei cristiani, e attraverso i poveri incontra Gesù e si converte alla misericordia e all’amore che Lui ha per noi e per tutti.

    Sul fondamento spirituale della misericordia nella Chiesa ortodossa del Patriarcato di Mosca, è intervenuto il vescovo di Orechovo, Pantalejmon:

    R. – (parole russe)
    La misericordia ha bisogno di un fondamento spirituale. E’ una qualità naturale dell’uomo, ma le qualità naturali senza un fondamento spirituale si perdono, si smarriscono e diventano qualcos’altro. Il mondo va via da Cristo perché non lo conosce e il nostro compito è riportare Cristo al mondo. Si dice che questa sia un’epoca post-cristiana, ma Cristo è sempre lo stesso e quindi noi dobbiamo fare questo.

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    Incontro su Chiara Lubich e le religioni: testimonianze a sei anni dalla scomparsa

    ◊   Chiara Lubich: donna del dialogo e della profezia. Così è stata ricordata, a sei anni dalla sua scomparsa, la fondatrice del Movimento dei focolari. A testimoniare del suo grande impegno per il dialogo interreligioso, sono state personalità di diverse fedi provenienti da tutto il mondo, riunite ieri alla conferenza pubblica “Chiara e le religioni. Insieme verso l’unità della famiglia umana”. L’incontro si è svolto alla Pontificia Università Urbaniana e ha concluso un simposio interreligioso di tre giorni svoltosi a Castelgandolfo. Servizio di Antonella Pilia:

    La luce di Cristo portata dal carisma dell’unità di Chiara Lubich risuona ad una voce dagli interventi di coloro che l’hanno conosciuta e con lei hanno percorso il cammino verso l’ideale della fratellanza universale. Sono cristiani, buddisti, musulmani, ebrei e indù, in rappresentanza dei 250 partecipanti del Simposio interreligioso dei giorni scorsi. “Chiara puntava all’unità, superando le differenze generazionali, di razza, paese e religione”, in nome dell’evangelico “affinché tutti siano uno”, ribadiscono i buddisti. Come una “una donna di profonda ispirazione, ricevuta dal Signore” la ricordano invece i musulmani, che grazie a lei hanno approfondito la conoscenza del Corano. L’ultima testimonianza è di un indù: “La vita di Chiara - dice - mi ha ricordato che dobbiamo essere strumenti di amore concreto e di servizio verso gli altri”. Maria Voce, attuale presidente del Movimento dei Focolari:

    R. – Diciamo che, dopo sei anni, il ricordo di Chiara è ancora più forte e ci impegna a vivere come lei ha vissuto tutta la vita, incontrando ogni persona con questo atteggiamento di dialogo, che per lei era amare l’altro come avrebbe desiderato essere amata, quindi mettersi nei panni degli altri, ascoltarli fino in fondo, scoprire il dono che l’altro è e fare dono di se stessa all’altro. In questo spirito, credo che possiamo continuare il cammino che stiamo facendo e l’esperienza di questo momento, con questo gruppo interreligioso, lo dimostra.

    D. – Nel mondo attuale è sempre più importante cercare un incontro tra i popoli. Da questo punto di vista, l’eredità di Chiara vi spinge ad andare avanti. Cosa vedete nel vostro orizzonte?

    R. – Vediamo una grande sfida nella difficoltà che il mondo incontra in questo momento, ma vediamo anche che quello che Chiara ha proclamato come dialogo aveva una valenza profetica e che forse le domande cui risponde questo dialogo, che Chiara ha instaurato, sono più pressanti oggi di quando l’ha annunciato. Di fronte, cioè, a questo frantumarsi apparente del mondo, sentiamo che non possiamo fare altro che quello che lei voleva, cioè che i fratelli si amino: essere noi per primi ad amare e insegnare a tutti ad amarsi da fratelli, come siamo in questa umanità, perché tutti figli di Dio. Chiara voleva che l’umanità diventasse una famiglia e in una famiglia non ci si appiattisce, non si è tutti uguali – ci sono i grandi e i piccoli, ci sono i più dotati e i meno dotati – ma si è una famiglia, una famiglia unita dall’amore scambievole. E questo noi lo stiamo sperimentando con queste persone, di varie fedi, di varie religioni, che si riconoscono tutte nell’unico spirito di questa famiglia, che è lo spirito dell’amore scambievole.

    D. – Chiara aveva un sogno particolare?

    R. – Il suo sogno lei l’ha confidato una volta: voleva portare a Dio il mondo fra le sue braccia. Noi cerchiamo di essere le sue braccia per aiutarla a portare questo mondo a Dio, tutto unito.

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    "Transumanza Latina in bicicletta" per la Giornata contro le mafie

    ◊   Novecento sono le vittime innocenti, uccise dalle mafie negli ultimi anni: per ricordarli si celebra domani a Latina, la 19.ma “Giornata della memoria”. A organizzarla è Libera, l’associazione fondata da Don Ciotti. Oltre a cittadini, studenti e scout, parteciperanno anche gli appassionati delle due ruote, che hanno organizzato la “Transumanza Latina in bicicletta”. Di cosa si tratti, lo spiega l’organizzatore, Andrea Satta, cantante del gruppo musicale Tètes des boìs, al microfono di Maria Cristina Montagnaro:

    R. - Quest’anno la transumanza a pedali, declina in transumanza Latina - Latina con la “L” maiuscola perché Libera, l’associazione di don Ciotti contro tutte le mafie, ci ha chiesto di fare l’alimentazione del palco dal quale verranno annunciati, come tutti gli anni nella Giornata nazionale di Libera, i nomi delle vittime della mafia. Questo palco a pedali però sarà preceduto dalla transumanza a pedali che sarà una transumanza verso Latina.

    D. - In che cosa consiste?

    R. - Si andrà da Roma a Latina in bicicletta. Sono quali cento chilometri. È il modo per portare il tracciante che ci piace, quello dell’energia che nasce dagli uomini.

    D. - Cento chilometri come i “cento passi” per ricordare Peppino Impastato …

    R. - Certo. Cento, ricordando sempre il sacrificio di Peppino, perché è rimasto un numero simbolico molto forte.

    D. - Perché partecipare alla Giornata delle memorie per le vittime proprio in bicicletta?

    R. - Perché per noi la bicicletta è un amore, ma anche il simbolo di una nuova libertà; rappresenta la leggerezza, la scelta del mondo che vorremmo: un mondo fatto per i bambini, fatto di sincerità. La bicicletta non tradisce: se non pedali, non vai. La bicicletta è lo strumento dei nostri padri, dei nostri nonni che andavano a faticare nei campi e nelle fabbriche. È inoltre, anche lo strumento dell’amore, del tempo libero, dei giochi di infanzia; è il primo equilibrio che si conquista dopo quello dei piedi: quando vai in bicicletta non senti più la mano di tuo padre o di tua madre che ti tiene il sellino; sei solo di fronte al mondo, giri l’angolo e ti sembra di poterlo avere quasi tutto a disposizione.

    D. – Quale il percorso?

    R. - Partiremo da Roma, attraverseremo il bellissimo Parco dell’Appia Antica, saliremo i contrafforti dei Colli Albani - i Castelli Romani -, attraverseremo delle zone molto belle, ci lasceremo a destra i laghi di Albano e di Nemi, i Pratoni del Vivaro, poi scenderemo verso la Pianura Pontina fino ad arrivare a Latina.

    D. - Prima accennava al palco a pedali. Ci può spiegare cos’è?

    R. - È una cosa divertente! C’è il gusto di arrivare con la tua bicicletta, arrivi al luogo del concerto, dello spettacolo, porti semplicemente te stesso e la tua bici che mettiamo su un cavalletto e la tua energia, i tuoi watt, con una pedalata semplice, leggera - come se fossi d’estate sul lungomare - pedalando insieme a tutte le altre 128 pedalate di altre 128 biciclette si produce energia che serve per accendere il palco.

    D. - Energia umana …

    R. - Assolutamente! È proprio la vera prova della partecipazione.

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    Giornata della Sindrome di Down: esistere con i malati, non solo assistere

    ◊   Si celebra oggi la Giornata mondiale della Sindrome di Down, sancita ufficialmente anche da una risoluzione dell’Onu. Il tema di quest’anno è il "benessere", che per le persone che vivono questa diversità significa inserimento nella scuola, nel lavoro e nella società. Lo scopo della Giornata è far conoscere questa condizione e promuovere l’integrazione di chi è affetto dalla malattia. Il prof. Giuseppe Zampino, responsabile del Centro malattie rare e difetti congeniti del Dipartimento della tutela della salute della donna e del bambino del Policlinico Universitario Agostino Gemelli di Roma, ne parla al microfono di Eliana Astorri:

    R. – La Sindrome di Down è una condizione che è caratterizzata da una serie di aspetti chimici, che trovano la loro origine nel fatto che ci siano tre cromosomi 21 in più nella maggior parte dei casi. La scienza poi ha definito che in realtà più che di tre cromosomi 21 in più, c’è bisogno solamente di un raddoppio di un piccolo segmento critico, il braccio lungo del cromosoma 21, in una parte che noi chiamiamo 21.1 e 22.3. Basta quel piccolo segmento di cromosoma 21, duplicato, per avere la trisomia 21. Per cui dal punto di vista tecnico certamente è una sindrome, cioè un insieme di segni caratterizzati dal fatto di avere un particolare aspetto, una difficoltà a crescere, un ritardo nell’apprendimento, e questo insieme di segni trova un’origine biologica in questo raddoppio di segmento critico e trisomia 21 nella maggior parte dei casi. In realtà, poi, la definiamo condizione, perché è un modo di essere e, quindi, parlando del modo di essere, arriviamo a un progetto assistenziale, quello che noi medici facciamo nei confronti del bambino e della famiglia. Ma un cammino esistenziale, da assistenziale ad esistenziale, cioè una condivisione di tutto quello che è il progetto di vita, che parte ovviamente da un momento fondamentale, la comunicazione della diagnosi, ovvero il momento più critico che i genitori si trovano ad affrontare.

    D. – "Coordown Onlus", che riunisce le associazioni italiane delle persone con Sindrome di Down, ha lanciato una campagna internazionale che si chiama “Dear future moms” su Youtube, che ha raggiunto mezzo milione di visualizzazioni, sul diritto alla felicità e al benessere di queste persone. E l’idea di questa campagna è nata da una e-mail che una mamma ha scritto appunto al Coordown, in cui chiedeva: “Che tipo di vita potrà avere mio figlio?” In questa domanda c’è la preoccupazione, la paura di tutte le donne che aspettano un figlio, che nascerà in questo modo...

    R. – Questo è considerato un momento estremamente delicato e importante in tutto il processo di accettazione della malattia e della condizione in generale. Una famiglia, infatti, specie se non ha fatto diagnosi prenatale, sta immaginando un figlio perfetto e poi, a un certo punto, si trova un figlio che ha un problema. Il meccanismo consiste nel fatto che devi accettare e rivalutare tutte quelle che sono le tue idee e i tuoi sogni e riadattarle a quella che è la realtà. In questo momento la comunicazione diventa importante, perché ti permette di accettare in tempi più brevi e con più efficacia la situazione, se la comunicazione è fatta adeguatamente.

    D. – Un bambino con Sindrome di Down un domani potrà però lavorare, andare a scuola. Noi sappiamo dell’esperienza del "Ristorante dei Girasoli" qui a Roma, dove lavorano ragazzi affetti da questa malattia. In questa Giornata mondiale dedicata alle persone che vivono tale condizione, quindi, qual è il messaggio che lei può mandare?

    R. – Il messaggio che posso mandare è che c’è possibilità di avere autonomia e quindi c’è la possibilità da parte di ragazzi con la Sindrome di Down di raggiungere un’autonomia, che ovviamente è variabile da persona a persona. E’ l’impegno, però, che hanno sia le associazioni sia i sistemi di riabilitazione. Questo è un dato di fatto: si stanno creando case-famiglia per accogliere persone con la Sindrome di Down per poter sviluppare al meglio la loro autonomia. Ho tanti anni di esperienza, vedo la storia di tante famiglie, e nella maggior parte delle famiglie che ho incontrato – dopo un primo momento di lutto legato al fatto di un evento inatteso – c’è stata poi una situazione di riorganizzazione e, nella maggior parte di queste famiglie, c’è stata la possibilità di vivere una vita felice anche con una situazione di questo tipo. La felicità, comunque, è un cammino nell’acquisizione delle tappe che man mano ti trovi ad affrontare. Ora, se sei bravissimo, le tappe le fai velocemente e le acquisisci, se sei meno bravo, ma hai una possibilità di avere una strada, quella strada ti permette comunque di avere una tensione verso il domani e quindi di acquisire anche aspetti positivi di felicità.

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    “Il progetto di Francesco”. Libro-dialogo del vaticanista Rodari con il teologo argentino Fernández

    ◊   “Il progetto di Francesco. Dove vuole portare la Chiesa”. E’ il titolo di un libro-intervista del vaticanista di “Repubblica”, Paolo Rodari, con il vescovo e teologo argentino Victor Manuel Fernández, rettore della Pontificia Università Cattolica Argentina. Il volume edito dalla Emi si concentra in particolare sull’Esortazione apostolica Evangelii Gaudium. Alessandro Gisotti ha chiesto a Paolo Rodari di raccontare com’è nato questo libro:

    R. – C’era il desiderio qualche mese dopo l’elezione di Papa Bergoglio di conoscere più da vicino la sua figura, soprattutto le sue origini, e dialogando con alcune persone in Vaticano è venuto fuori che un teologo molto vicino a lui era mons. Fernández, che ha aiutato il Papa ad Apareçida nel 2007 a scrivere il documento finale di quell’importante incontro e poi anche probabilmente un po’ l’Evangelii Gaudium. Quindi, questo libro è nato da questo desiderio di conoscere maggiormente il Papa e di incontrare una persona che “avesse diritto”, diciamo così, di parlare di lui in presa quasi diretta.

    D. – Il libro è incentrato sulla Evangelii Gaudium, l’Esortazione apostolica ma anche programmatica di Papa Francesco. Dalla conversazione con mons. Fernández cosa emerge in particolare guardando a questo documento?

    R. – Emerge una necessità per un’azione importante e necessaria che, per il Papa, la Chiesa deve fare propria in questo tempo: la necessità di uscire fuori da se stessa, abbandonare una certa autoreferenzialità. Uscire significa andare incontro a tutti, ai poveri, agli ultimi anche a coloro che sono poveri e ultimi nel cuore.

    D. – Una categoria fondamentale per Jorge Mario Bergoglio e in realtà lo si vede anche leggendo questo libro, perfino dalla immagine scelta per la copertina è il popolo...

    R. - Il popolo è la Chiesa, la Chiesa è il popolo: siamo tutti noi, sono i vescovi, i cardinali, la gente, i fedeli, i laici, gli ultimi, i primi. Il popolo siamo tutti noi. Il popolo è anche colui che aiuta i pastori a guidare la Chiesa nella direzione più giusta. Ho dialogato a Buenos Aires, prima della stesura di questo libro, con padre Gustavo Carrara che è un sacerdote che vive in una delle villas miserias, una delle baraccopoli intorno a Buenos Aires, e mi diceva che un giorno a una giovane coppia era morto un bambino, un piccolo di sei anni. Lui era preoccupato perché non sapeva cosa avrebbe dovuto dirgli. E’ andato in casa loro, il piccolo era disteso sul letto con due ali di cartone. I genitori hanno detto al sacerdote: “Padre Gustavo, adesso lui è in Cielo, è un angelo di Dio”. Padre Gustavo ha capito che sono loro, che è il popolo che insegna le parole giuste da usare, che gli insegna ad avere fede e non è tanto lui a dover insegnare! In questo senso, mi pare che per Bergoglio il popolo sia proprio colui che insieme ai pastori guida la Chiesa nella direzione giusta e aiuta ad avere fede.

    D. – In questo libro-conversazione si vede anche la solidità teologica dell’azione pastorale di Francesco…

    R. – Sì, mi sembra che questa solidità sia ancorata a questa teologia del popolo che è propria dell’Argentina, diversa dalla teologia della liberazione sudamericana. E’ una teologia del popolo nel senso che Bergoglio, per quello che ho potuto vedere - anche per quel che Fernández dice - è proprio un pastore e le parole che dice, le riflessioni teologiche che propone, anche le omelie così semplici che fa a Santa Marta la mattina, che però hanno uno spessore teologico, hanno un fondamento proprio nel vissuto. Papa Bergoglio per anni è stato fra la gente, a Buenos Aires, e la sapienza popolare che distribuisce ogni volta che parla, ha le sue radici proprio in questa grande missione pastorale che ha fatto precedentemente di essere eletto al soglio di Pietro, e da lì è come se abbia potuto trarre a sua volta una sua nuova sapienza da comunicare a tutti.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Terra Santa. Il sindaco musulmano di Nazareth: voglio che l'Annunciazione diventi festa civile

    ◊   “Il mio più grande desiderio che la festa dell'Annunciazione sia proclamata ufficialmente festa civile per tutta Nazareth”. Così si è espresso il nuovo sindaco di Nazareth, il musulmano Ali Salam, in un recente incontro con alcuni rappresentanti delle comunità religiose cittadine che erano andati a congratularsi con lui nella sede della municipalità in occasione dell'inizio del suo mandato politico. All'incontro – svoltosi lunedì 17 marzo - era presente anche il vescovo cattolico Giacinto Boulos Marcuzzo, vicario patriarcale per Israele del patriarcato di Gerusalemme dei latini.

    Secondo quanto riportato dalle fonti ufficiali del patriarcato latino riprese dall'agenzia Fides, il sindaco Salam ha fatto esplicito riferimento al “precedente” del Libano, la nazione del Medio Oriente dove dal 2010 la solennità dell'Annunciazione è stata proclamata festa nazionale, con l’intento dichiarato di trovare nella devozione a Maria – condivisa anche dai musulmani - un punto di convergenza tra le diverse comunità religiose. “Dal momento che il Corano parla molte volte della Vergine Maria, e che questa festa è divenuta festività nazionale in Libano” così si è espresso il sindaco Salam “perché non proclamarla come festa per tutta la città di Nazareth, dove accadde l'evento dell'Annunciazione?”. Tutti i rappresentanti delle delegazioni presenti – cristiani, musulmani e drusi della Galilea – hanno salutato con un applauso comune il proposito espresso dal sindaco.

    Il nuovo sindaco Salam ha ottenuto un'ampia maggioranza di consensi (il 62% contro il 38 %) alle elezioni che l'11 marzo lo hanno visto contrapposto al sindaco uscente, Ramez Jarayseh, in carica dal lontano 1994. Un precedente appuntamento elettorale, svoltosi lo scorso ottobre, era stato seguito da ricorsi e da contestazioni dei risultati, con l'intervento finale della Corte Suprema che aveva stabilito di ripetere le elezioni municipali. Ali Salam era sostenuto dalla Lista civica Nassirati (“Mia Nazareth”), da lui stesso fondata, di matrice musulmana moderata. (R.P.)

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    Il 24 marzo la Giornata dei Missionari Martiri: come loro siamo tutti “testimoni” del Vangelo

    ◊   Il 24 marzo 1980 veniva assassinato mons. Oscar A. Romero, arcivescovo di San Salvador. Dal 1993, per iniziativa del Movimento giovanile missionario delle Pontificie Opere Missionarie italiane, in tale data si ricordano tutti i missionari che sono stati uccisi nel mondo. L’iniziativa - riporta l'agenzia Fides - è ormai diffusa in tante nazioni, anche in date e circostanze diverse: molte sono le diocesi e gli istituti religiosi che dedicano particolari iniziative per ricordare i propri missionari e tutti coloro che hanno versato il sangue per il Vangelo.

    Il tema scelto per la XXII Giornata di preghiera e digiuno in memoria dei missionari martiri, lunedì 24 marzo 2014, è “Martyria”, che vuol dire testimonianza, “la conditio sine qua non per essere veramente discepoli di Gesù” come è spiegato nel sussidio predisposto da Missio per l’animazione. “Tutti siamo chiamati a testimoniare la nostra fede, a raccontare il nostro incontro con il Risorto, a sopportare ogni sorta di tribolazione, ingiustizia, persecuzione fisica e spirituale, incomprensioni di qualsiasi genere, pur di trasmettere la Buona Novella che noi stessi abbiamo ricevuto da altri”.

    Secondo le informazioni raccolte da Fides, nel 2013 sono stati uccisi 23 operatori pastorali: 20 sacerdoti, una religiosa e due laici. “Ricordare i missionari, che in modi diversi hanno pagato con la vita il loro generoso servizio per i fratelli – scrive don Michele Autuoro, direttore nazionale di Missio – non deve diventare per noi un alibi, non possiamo limitarci con la celebrazione del loro nome… No! Abbiamo il compito di raccogliere lo stile, la indiscussa serietà e dedizione, che li ha spinti a non temere per l’eventualità di minacce e rischi… questi nostri amici ci scuotono affinchè la nostra vita di discepoli del Maestro Gesù continui a proclamare il Vangelo che libera, che restituisce la dignità ai troppi fratelli e sorelle calpestati dalle ingiustizie di altri fratelli e sorelle”.

    Nel sussidio preparato per la Giornata sono raccolte alcune proposte per l’animazione: il testo di una Veglia per i Missionari Martiri e quello di una Via Crucis con i testi di Papa Giovanni XXIII e Papa Giovanni Paolo II che verranno canonizzati il 27 aprile. Le offerte raccolte con il digiuno contribuiranno a realizzare due progetti missionari: in Tanzania (una scuola alberghiera per 100 studenti) e in Bangladesh (ricostruzione della chiesa di Narail). (R.P.)

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    Afghanistan: attacco dei talebani al centro di Kabul

    ◊   È di almeno otto morti, tra cui bambini e cittadini stranieri, il bilancio dell’attacco talebano di ieri sera contro un lussuoso albergo di Kabul considerato tra i luoghi più sicuri del paese. Secondo quanto riferito dal ministero dell’Interno, quattro giovani assalitori hanno superato i vari controlli di sicurezza nascondendo armi da fuoco nelle calze e sono entrati nel Serena Hotel, dove hanno iniziato a sparare all’impazzata prima di essere abbattuti dalle forze di sicurezza dopo un conflitto durato tre ore.

    Tra le vittime - riferisce l'agenzia Misna - un ex diplomatico paraguayano, in Afghanistan come osservatore per le elezioni presidenziali del 5 aprile. Nell’azione terroristica, rivendicata dai talebani, sono rimasti uccisi otto civili, di cui tre donne, tre uomini e due bambini. Per il vice-ministro dell’Interno, le vittime sarebbero nove, di cui cinque di nazionalità afghana e quattro stranieri. Un obiettivo scelto con cura, il Serena, abitualmente frequentato da molti stranieri e ieri decorato a festa per la ricorrenza del Nawroz, il Capodanno persiano che viene celebrato anche in Afghanistan.

    L’attacco che ha avuto inizio alle 18 di ieri, si è verificato in una giornata già segnata dal devastante attacco portato sempre da militanti talebani a Jalalabad, capoluogo della provincia orientale di Nangarhar. In un’azione che per il ministero dell’Interno è frutto di un’iniziativa di servizi segreti stranieri, una serie di esplosioni e l’assalto a un posto di polizia che ha coinvolto le aree circostanti ha provocato almeno 18 morti, di cui 10 poliziotti, e una quindicina di feriti. (R.P.)

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    Libia: ucciso professore cristiano irakeno. Il patriarca Sako si interroga sul futuro della regione

    ◊   Si chiamava Adison Karkha ed era un cristiano di Kirkuk il professore 54enne, Preside della facoltà di medicina dell'Università di Sirte, ucciso martedì scorso mentre si recava al lavoro con la sua auto. Il ritrovamento del suo corpo crivellato di colpi, in una zona dove operano le bande di islamisti radicali di Ansar al-Shariah, conferma le apprensioni sulla condizione dei cristiani nella Libia post-Gheddafi, già allarmanti dopo la strage di sette lavoratori egiziani copti trucidati a Bengasi lo scorso 23 febbraio. Dopo l'assassinio del professor Karkha, il Ministero degli esteri iracheno ha chiesto al governo libico di fare tutto il possibile per arrestare gli esecutori dell'omicidio.

    La tragica fine di Adison Karcha suggerisce al patriarca di Babilonia del Caldei, Louis Raphael I Sako, considerazioni generali sulle dinamiche convulse in atto in Medio Oriente e nei Paesi del nord Africa: “Il professore” riferisce all'agenzia Fides il patriarca Sako “era emigrato in Libia con la moglie più di sette anni fa, anche per sottrarsi all'insicurezza dell'Iraq e cercare di continuare con tranquillità il suo lavoro. Adesso, dopo la caduta di Gheddafi, anche in Libia dilaga il fondamentalismo islamista. Quel fenomeno per me continua a rappresentare un enigma: inseguono il disegno fuori dal tempo di imporre uno Stato islamista, e la loro ideologia religiosa viene sfruttata politicamente.

    In ogni caso” aggiunge il patriarca “la grande domanda che ci facciamo riguardo alla Libia, all'Iraq e a tutta la regione è sempre la stessa: la fine dei regimi ha migliorato o peggiorato le cose? Si vede che non c'è progresso nei servizi, nel lavoro, nell'economia, nella sicurezza. La corruzione sembra addirittura aumentata, e tutto è diventato motivo di scontri settari. Attendevamo di veder crescere il senso di una comune cittadinanza, mentre avanzano solo nuovi confessionalismi. E allora ci chiediamo qual'è davvero il futuro dei nostri popoli e dei nostri Paesi”. (R.P.)

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    Filippine Sud: premio islamico al movimento per il dialogo “Silsilah”

    ◊   Il movimento per il dialogo islamo-cristiano “Silsilah” avviato nelle Filippine Sud dal missionario del Pime padre Sebastiano D’Ambra, ha vinto il primo premio della “World Interfaith Harmony Week 2014”, che sarà consegnato da Re Abdullah II di Giordania. Il riconoscimento viene assegnato dal “Royal Islamic Strategic Studies Centre”, prestigioso istituto di studi islamici, che con il premio intende segnalare e promuovere le iniziative di dialogo interreligioso nel mondo. Come riferisce una nota inviata all'agenzia Fides dal “Silsilah”, si vogliono premiare “eventi o testi che hanno avuto maggior impatto e successo nel promuovere l'armonia interreligiosa e la comprensione religiosa”.

    Il movimento Silsilah guida l’iniziativa di promuovere e realizzare nelle Filippine Sud la “Settimana dell’armonia interreligiosa”, promossa dall’Onu nella prima settimana di febbraio. L’intento è sviluppare il dialogo tra le diverse fedi e religioni come strada per costruire la pace nel mondo. “Silsilah” incoraggia la diffusione dell’armonia interreligiosa nelle chiese, nelle moschee e in altri luoghi di culto, diffondendo una cultura basata sull'amore di Dio e del prossimo, secondo le proprie tradizioni e convinzioni religiose. Il premio sarà consegnato in una cerimonia ad Amman, nel mese di aprile. (R.P.)

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    Nigeria: il presidente dell'episcopato respinge le accuse di omofobia rivolte ai vescovi

    ◊   “La posizione della Chiesa cattolica in Nigeria sulle unioni omosessuali e altri vizi morali è perfettamente in linea con quella della Chiesa universale e con i suoi insegnamenti sociali”. Lo ha dichiarato il presidente dei vescovi nigeriani, mons. Ignatius Kaigama, alla Plenaria svoltasi nei giorni scorsi ad Abuja. Il presule ha voluto così rispondere agli attacchi mossi alla Chiesa, dopo la lettera del gennaio scorso nella quale i vescovi si erano congratulati con il Presidente Goodluck Jonathan per avere promulgato la nuova legge che mette al bando le relazioni omosessuali nel Paese. Una decisione che nella missiva era stata definita “coraggiosa e saggia”.

    “Quando la Conferenza episcopale ha inviato quella lettera – ha chiarito mons. Kaigama – lo ha fatto per difendere i valori morali contenuti nella Bibbia e appartenenti alla tradizione del popolo nigeriano”, che sono incompatibili con il riconoscimento delle le unioni omosessuali. Questo non significa – ha precisato ancora il presule - che i cattolici nigeriani detestino uomini e donne con inclinazioni omosessuali: “Verso di loro avremo sempre la compassione di Cristo e difenderemo i loro diritti, come abbiamo sempre fatto per le persone discriminate”. Mons. Kaigama ha quindi chiesto “ai gruppi e ai governi stranieri che con tanta solerzia difendono i diritti dei gay in Nigeria, di pensare piuttosto ad aiutare il popolo nigeriano” alle prese l’emergenza terrorismo che ha causato la perdita di tante vite umane e piombato il Paese nell’insicurezza.

    E il tema dell’insicurezza è stato uno dei punti affrontati durante la Plenaria, incentrata in gran parte sull’educazione. A questo proposito i vescovi hanno espresso l’auspicio che la Conferenza nazionale iniziata mercoledì nella capitale Abuja per discutere i problemi del Paese, sia anche un ‘occasione per affrontare il ruolo delle religioni e la loro pacifica convivenza in Nigeria. Alla Conferenza, che durerà per tre mesi, partecipano delegati selezionati in modo da rappresentare la complessità della popolazione nigeriana, dal punto di vista regionale, etnico, religioso. Tra le questioni su tappeto: la distribuzione degli introiti del petrolio e gli equilibri di potere tra il Governo federale e le amministrazioni del 37 Stati confederati. (A cura di Lisa Zengarini)

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    Etiopia: emergenza per decine di migliaia di rifugiati sud sudanesi

    ◊   Sono tra i 72.000 e i 100.000 i rifugiati sud-sudanesi che si sono riversati nella regione occidentale etiopica di Gambella, secondo le stime di alcune associazioni umanitarie che operano nell’area. Gli scontri tra i militari del governo sud sudanese e i ribelli fedeli all’ex vice Presidente Riek Machar - riporta l'agenzia Fides - hanno costretto alla fuga diverse centinaia di migliaia di persone tra sfollati interni e rifugiati nei Paesi vicini, in primo luogo l’Etiopia.

    La situazione umanitaria dei rifugiati nella regione di Gambella è precaria e si aggrava di giorno in giorno per il continuo arrivo di nuovi profughi. A destare la maggior preoccupazione sono le condizioni igienico sanitarie dei due campi dove sono accolti i rifugiati (in gran parte donne e bambini), quello di Kule (situato 40 km dalla capitale regionale, Gambella) e Pagak, 80 a km ad ovest di Kule. Il governo di Addis Abeba ha lanciato un appello alla comunità internazionale per ottenere supporto nel fare fronte all’emergenza umanitaria. (R.P.)

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    India: l'impegno della Chiesa accanto ai più deboli

    ◊   La difesa dei diritti delle fasce più deboli è una priorità per la Chiesa: lo ha detto mons. William D’Souza, arcivescovo di Patna, capitale dello stato indiano di Bihar, in un workshop sulla Dottrina sociale della Chiesa organizzato a Patna dalla “Commissione per la Giustizia, la pace e lo sviluppo” della Conferenza episcopale dell'India. Come riferisce all'agenzia Fides una nota della Commissione, il vescovo esortato i fedeli a “un impegno attivo per la giustizia”. Citando il profeta Michea, ha ricordato la frase “fare giustizia, amare la pietà”, affermando che questo illumina i cristiani su come rispondere ai “segni dei tempi”.

    La Dottrina sociale della Chiesa – ha aggiunto padre Charles Irudayam, segretario della Commissione dei vescovi – non è solo pura teoria ma è un richiamo all’impegno sociale. I partecipanti hanno fatto il punto sulle questioni chiave che interessano la società e la Chiesa. Sono sfide per la Chiesa specialmente, nello stato del Bihar: la difesa dei diritti delle donne e dei bambini; il sistema delle caste ancora vigente nella prassi; la discriminazione delle minoranze.

    I 45 partecipanti al workshop, sacerdoti, laici, delegati ed esperti dalle diocesi del Bihar, hanno rimarcato che, sullo stile e secondo i richiami di Papa Francesco, la Chiesa in India sta riscoprendo l’importanza di compiere un serio discernimento ed una efficace azione sociale, per attualizzare e incarnare nella realtà indiana i principi fondamentali della Dottrina sociale come solidarietà e opzione preferenziale per i poveri. (R.P.)

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    Perù: il vescovo di Chimbote obbligato a particolari misure di sicurezza

    ◊   Per l'alto tasso di insicurezza nella regione di Ancash (500 chilometri a nord della capitale del Perù), il Ministero dell'Interno ha predisposto adeguate misure di sicurezza per il vescovo della diocesi di Chimbote, mons. Angel Francisco Simon Piorno, che da tempo denuncia apertamente la corruzione e la violenza nella regione.
    La nota inviata all'agenzia Fides da una fonte locale riferisce quanto dichiarato da mons. Simon Piorno: "Il nuovo capo della divisione di polizia di Chimbote ha disposto che io debba avere garantita la sicurezza personale, sotto il comando dello stesso Ministero dell'Interno. Io non l’ho chiesto, perché mi sento sicuro e non ho avuto problemi con nessuno. Non credo neanche che qualcuno voglia farmi del male, nonostante l'ondata di criminalità che ha raggiunto il suo livello più alto nella nostra città. Io mi sento protetto da Dio".

    Il vescovo però ha voluto ribadire la condanna dell’assassinio di Ezequiel Nolasco Campos, che conosceva personalmente, il quale gli aveva espresso la sua volontà di scoprire gli assassini del figlio, Roberto Torres Blas. "Molti crimini avvengono in questa città, e toccano tutti, tuttavia quando si tratta di persone conosciute, come Ezequiel Nolasco Campos, si vede subito che hanno una connotazione politica, quindi dobbiamo scoprire i colpevoli" ha detto mons. Simon Piorno. Ezequiel Nolasco Campos era un consigliere regionale e presidente di un sindacato che denunciava spesso la corruzione delle autorità. E’ stato assassinato il 14 marzo proprio quando aveva annunciato la sua disponibilità a candidarsi all’amministrazione regionale. (R.P.)

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    Guatemala: la Chiesa esorta il governo a garantire assistenza ai malati di Aids

    ◊   La Chiesa del Guatemala ha espresso la sua preoccupazione per il futuro delle persone affette dall’Hiv che non avranno accesso alle cure se il Parlamento non approva il rinnovo del decreto che regola i fondi a beneficio di circa 11 mila assistiti. In un comunicato, la Commissione di giustizia e solidarietà della Conferenza episcopale esorta il Parlamento a discutere al più presto il rinnovo del Decreto, con scadenza 31 marzo, affinché il Ministero di Salute Pubblica possa usufruire delle risorse destinate ai progetti di assistenza per i malati di Hiv nel periodo 2014-2016. Il rinnovo del decreto è indispensabile per il ripristino dell’accordo di sovvenzione con il Fondo Mondiale.

    Gran parte di questi fondi sono utilizzati per la dotazione di medicinali antiretrovirali e per il sostegno integrale dei pazienti. La commissione episcopale ricorda che lo Stato deve garantire il diritto alla salute di tutti i suoi cittadini e compito dei legislatori dare priorità alle decisioni che contribuiscano a migliorare il servizio sanitario integrale e il rispetto alla dignità di ogni persona. La nota dell’episcopato afferma che la dignità della persona umana è un valore fondamentale della riflessione etica e si può realizzare pienamente soltanto in una società giusta e solidale, dove nessuno veda calpestati i propri diritti, perciò “l’indifferenza del Congresso” - scrivono i vescovi - rappresenta una violazione della Costituzione e dei diritti in essa garantiti. (A.T.)

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    Spagna: appello della Chiesa per condizioni di lavoro più sicure e dignitose per i marinai

    ◊   “È necessario tornare a chiedere l’attenzione di tutte le istituzioni competenti, affinché ci siano condizioni di lavoro giuste per gli operatori del mare, in nome di una vita dignitosa e sicura”: questo l’appello lanciato dall’Apostolato del Mare, in Spagna, dopo il naufragio del peschereccio “Sant’Anna”, avvenuto nei giorni scorsi a largo delle Asturie.

    In un messaggio a firma di mons. Luis Quinteiro Fiuza, vescovo responsabile del settore, i presuli iberici invitano alla preghiera per le vittime del naufragio ed alla solidarietà nei confronti delle loro famiglie, sottolineando “l’insicurezza nella quale vivono ogni giorni gli uomini e le donne del mare”. “È facile – scrivono i vescovi – sentirsi vicini in momenti così difficili; però ci sono molte altre situazioni complesse nella vita quotidiane della gente di mare che non fanno notizia”. Per questo, la Chiesa spagnola esorta ad “una sensibilità permanente” di fronte “alla durezza del lavoro, al dolore ed alle difficoltà” vissuti dai marinai, chiedendo alle istituzioni, al contempo, “sostegno ed aiuto sociali” per coloro che vivono in tali condizioni.

    “Chiediamo ancora una volta – si legge nel testo – che tutta la società sia cosciente della durezza del lavoro degli uomini del mare, con giornate lunghe e condizioni di vita a volte difficili da immaginare, sempre con l’incognita delle condizioni atmosferiche e con la preoccupazione del mare”. Infine, la Chiesa di Madrid rivolge un pensiero particolare ai pescatori, “marinai dimenticati”, per i quali “gli effetti della globalizzazione” creano condizioni di “maggiore vulnerabilità”. Il messaggio si conclude con l’invocazione della Vergine del Carmelo, “Stella Maris”. (A cura di Isabella Piro)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVIII no. 80

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    E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.