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Sommario del 17/03/2014

Il Papa e la Santa Sede

  • Il Papa ai vescovi di Timor Est: c’è un mondo di “feriti”, scaldate i cuori col Vangelo
  • Papa Francesco: la misericordia è la via della pace nel mondo
  • Ascoltare Dio per nutrire la propria fede: il richiamo del Papa nella parrocchia di Santa Maria dell'Orazione
  • Incontro tra il Papa e la presidente argentina de Kirchner per l'anniversario di Pontificato
  • Il Papa riceve l'arcivescovo maggiore di Kiev, Sviatoslav Shevchuk
  • Il grazie del Papa via Twitter per i tanti auguri per il primo anno di Pontificato
  • Un anno fa, la prima Messa pubblica di Papa Francesco nella parrocchia di Sant'Anna in Vaticano
  • Stop a schiavitù e tratta di esseri umani entro il 2020: la Santa Sede firma un accordo con altre religioni mondiali
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • La Crimea dichiara l'indipendenza. Scattano le sanzioni Usa e Ue
  • Strage in Nigeria, 100 morti: sullo sfondo lotte ataviche per la gestione delle terre
  • Pakistan. Processo Asia Bibi, udienza rinviata. Delusione e speranza
  • Rapporto Sipri su commercio armi: India leader assoluta tra i Paesi importatori con supporto della Russia
  • Atlante delle guerre: 35 conflitti nel mondo, nove morti su dieci sono civili innocenti
  • Convegno di Scienza e Vita sulla sanità in tempo di crisi: il medico sia amorevole
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Crimea: la Chiesa cattolica affida il Paese alla protezione del Cuore di Maria
  • Papa in Terra Santa: motto e logo del pellegrinaggio
  • Sud Corea. La Park ringrazia il Papa: la sua visita è una grande opportunità per tutti noi
  • Siria. Mons Audo: per l'azione della Caritas si aprono nuovi fronti
  • Nigeria, i vescovi: “Siamo angosciati” per i recenti massacri
  • Centrafrica. Ban Ki-moon ai leader religiosi per la pace: “Il conflitto non è religioso”
  • Haiti. Elezioni il 26 ottobre, il presidente ringrazia la Chiesa per la mediazione
  • Bolivia: morti e feriti per le forti piogge a Beni. Preoccupa la mancanza di cibo
  • Argentina: la Chiesa chiede di risolvere la protesta dei docenti
  • Il Papa e la Santa Sede



    Il Papa ai vescovi di Timor Est: c’è un mondo di “feriti”, scaldate i cuori col Vangelo

    ◊   Siate “coscienza critica della nazione”, annunciate il Vangelo della misericordia e fate in modo che questo annuncio sia comprensibile nelle “lingue locali”. Sono i tre punti che Papa Francesco ha affidato all’impegno pastorale dei vescovi di Timor Est, ricevuti questa mattina in visita ad Limina. Il servizio di Alessandro De Carolis:

    Cinquecento anni di Vangelo sono una lunga storia di fede e, in un continente come l’Asia dove la Chiesa è generalmente fatta di comunità esigue, il 97% di battezzati che popola l’isola di Timor Est rappresenta in modo rotondo i “frutti” dei semi piantati secoli fa. Ma anche la piccola isola confinante con l’Indonesia non è impermeabile a quelle che Papa Francesco definisce “dolorose sorprese”, emerse negli ultimi anni nel tessuto della società timorense. Il processo di costruzione di una nazione “libera, solidale e giusta per tutti”, messo in moto dopo il sanguinoso conflitto alla fine degli anni Novanta, ha più volte indotto la Chiesa locale “a ricordare – constata il Papa – le basi necessarie di una società che intende essere degna dell’uomo e del suo destino trascendente”. Un’attenzione che non può in nessun modo calare e, rivolto ai vescovi, Papa Francesco si dice sul punto “certo che voi, con i sacerdoti, continuerete a svolgere la funzione di coscienza critica della nazione, mantenendo a tal fine la dovuta indipendenza dal potere politico in una collaborazione equidistante che lasci ad esso la responsabilità di occuparsi del bene comune della società e di promuoverlo”.

    Sul versante interno alla Chiesa, il Papa invita a un “raddoppiato sforzo di evangelizzazione”, da esprimere – sottolinea – con la lingua della “misericordia”. Senza di essa, afferma Papa Francesco “noi oggi abbiamo poche possibilità d’inserirci in un mondo di ‘feriti’, che ha bisogno di comprensione, di perdono, di amore”. È la realizzazione pratica della “rivoluzione della tenerezza”, invocata nell’Evangelii Gaudium. Ma chi evangelizza e come? Il Papa risponde a queste domande indicando la strada di una “solida formazione” per sacerdoti, religiosi e laici. E tuttavia, osserva, “non si pretende un’evangelizzazione realizzata solo da agenti qualificati”, perché, sostiene, “se uno ha realmente fatto esperienza dell’amore di Dio che lo salva, non ha bisogno di molto tempo di preparazione per andare ad annunciarlo, non può attendere che gli vengano impartite molte lezioni o lunghe istruzioni. Ogni cristiano è missionario nella misura in cui si è incontrato con l’amore di Dio in Cristo Gesù”.

    Altro punto fondamentale è “il bisogno di evangelizzare le culture per inculturare il Vangelo”. “Se, nei vari contesti culturali di Timor Est – afferma Papa Francesco – la fede e l’evangelizzazione non sono capaci di dire Dio, di annunciare la vittoria di Cristo sul dramma della condizione umana, di aprire spazi per lo Spirito rinnovatore, è perché non sono sufficientemente vive nei fedeli cristiani, che hanno bisogno di un cammino di formazione e di maturazione”. Dunque, “tutto ciò comporta – nota il Papa – una serie di sfide per permettere una più facile comprensione della Parola di Dio e una migliore ricezione dei Sacramenti. Ma una sfida – spiega – non è una minaccia. La coscienza missionaria oggi presuppone che si possiedano il valore umile del dialogo e la convinzione ferma di presentare una proposta di pienezza umana nel nostro contesto culturale”. L’ultima riflessione è per i vescovi di Timor Est: “Siate uomini capaci di sostenere, con amore e pazienza, i passi di Dio nel suo popolo e valorizzate tutto ciò che lo mantiene unito, mettendo in guardia contro eventuali pericoli, ma soprattutto facendo crescere la speranza: che ci siano – è l’augurio di Papa Francesco – sole e luce nei cuori”.

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    Papa Francesco: la misericordia è la via della pace nel mondo

    ◊   Perdonare per trovare misericordia: questo è il cammino che porta la pace nei nostri cuori e nel mondo: è quanto, in sintesi, ha detto Papa Francesco nell'omelia di stamane durante la Messa presieduta a Santa Marta. Il servizio di Sergio Centofanti:

    “Siate misericordiosi come il Padre vostro è misericordioso”: il Papa commenta l’esortazione di Gesù, affermando subito che “non è facile capire questo atteggiamento della misericordia” perché siamo abituati a giudicare: “non siamo persone che danno naturalmente un po’ di spazio alla comprensione e anche alla misericordia”. “Per essere misericordiosi – osserva - ci sono necessari due atteggiamenti. Il primo è la conoscenza di se stessi”: sapere che “abbiamo fatto tante cose non buone: siamo peccatori!”. E di fronte al pentimento, “la giustizia di Dio … si trasforma in misericordia e perdono”. Ma è necessario vergognarsi dei peccati:

    “E’ vero, nessuno di noi ha ammazzato nessuno, ma tante piccole cose, tanti peccati quotidiani, di tutti i giorni… E quando uno pensa: ‘Ma che cosa, ma che cuore piccolino: ho fatto questo contro il Signore!’. E vergognarsi! Vergognarsi davanti a Dio e questa vergogna è una grazia: è la grazia di essere peccatori. ‘Io sono peccatore e mi vergogno davanti a Te e ti chiedo il perdono’. E’ semplice, ma è tanto difficile dire: ‘Io ho peccato’”.

    Spesso – osserva Papa Francesco – giustifichiamo il nostro peccato scaricando la colpa sugli altri, come hanno fatto Adamo ed Eva. “Forse – ha proseguito - l’altro mi ha aiutato, ha facilitato la strada per farlo, ma lo ho fatto io! Se noi facciamo questo, quante cose buone ci saranno, perché saremo umili!”. E “con questo atteggiamento di pentimento siamo più capaci di essere misericordiosi, perché sentiamo su di noi la misericordia di Dio”, come diciamo nel Padre Nostro: “Perdona, come noi perdoniamo”. Così, “se io non perdono, io sono un po’ fuori gioco!”.

    L’altro atteggiamento per essere misericordiosi – ha poi affermato il Papa – “è allargare il cuore”, perché “un cuore piccolo” ed “egoista è incapace di misericordia”:

    “Allargare il cuore! ‘Ma io sono peccatore’. ‘Ma guarda cosa ha fatto questo, quello…. Io ne ho fatte tante! Chi sono io per giudicarlo?’. Questa frase: ‘Chi sono io per giudicare questo? Chi sono io per chiacchierare di questo? Chi sono io per? Chi sono io che ho fatto le stesse cose o peggio?’. Il cuore allargato! E il Signore lo dice: ‘Non giudicate e non sarete giudicati! Non condannate e non sarete condannati! Perdonate e sarete perdonati! Date e vi sarà dato!’. Questa generosità del cuore! E cosa vi sarà dato? Una misura buona, pigiata, colma e traboccante vi sarà versata nel grembo. E’ l’immagine delle persone che andavano a prendere il grano con il grembiule e allargavano il grembiule per ricevere più, più grano. Se tu hai il cuore largo, grande, tu puoi ricevere di più”.

    Il cuore grande – ha detto Papa Francesco – “non condanna, ma perdona, dimentica” perché “Dio ha dimenticato i miei peccati; Dio ha perdonato i miei peccati. Allargare il cuore. Questo è bello! - esclama il Papa - Siate misericordiosi”:

    “L’uomo e la donna misericordiosi hanno un cuore largo, largo: sempre scusano gli altri e pensano ai loro peccati. ‘Ma hai visto cosa ha fatto questo?’. ‘Ma io ne ho abbastanza con quello che ho fatto io e non mi immischio!’. Questo è il cammino della misericordia che dobbiamo chiedere. Ma se tutti noi, se tutti i popoli, le persone, le famiglie, i quartieri, avessimo questo atteggiamento, quanta pace ci sarebbe nel mondo, quanta pace nei nostri cuori! Perché la misericordia ci porta alla pace. Ricordatevi sempre: ‘Chi sono io per giudicare?’. Vergognarsi e allargare il cuore. Che il Signore ci dia questa grazia”.

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    Ascoltare Dio per nutrire la propria fede: il richiamo del Papa nella parrocchia di Santa Maria dell'Orazione

    ◊   Il primo compito di ogni cristiano è nutrire la propria fede. Questa la raccomandazione del Papa nella Messa celebrata domenica pomeriggio nella Chiesa di Santa Maria dell’Orazione di Setteville di Guidonia, parrocchia alla periferia nord-est della capitale, la quinta visitata da Papa Francesco in questo suo primo anno di Pontificato. Nel corso della visita il Pontefice ha incontrato anziani, disabili e le comunità neocatecumenali. Il servizio di Francesca Sabatinelli:

    Si deve ascoltare Gesù per rendere più forte la fede, e guardare Gesù per preparare gli occhi alla bella visione del suo volto. Il Papa, nel giorno del Vangelo della Trasfigurazione, ricorda ai fedeli, assiepati nella parrocchia di Guidonia, il primo compito del cristiano:

    "Quali sono i compiti del cristiano? Forse mi direte: andare a Messa le domeniche; fare digiuno e astinenza nella Settimana Santa; fare questo… Ma il primo compito del cristiano è ascoltare la Parola di Dio, ascoltare Gesù, perché Lui ci parla e Lui ci salva con la sua Parola. E anche Lui fa più robusta, più forte la nostra fede, con quella Parola. Ascoltare Gesù! 'Ma, Padre, io ascolto Gesù, lo ascolto tanto!”. “Sì? Cosa ascolti?'. 'Ma ascolto la radio, ascolto la televisione, ascolto le chiacchiere delle persone…'. Tante cose ascoltiamo noi durante la giornata, tante cose… Ma vi faccio una domanda: prendiamo un po’ di tempo, ogni giorno, per ascoltare Gesù, per ascoltare la Parola di Gesù?".

    La parola di Gesù è il pasto più forte per l’anima, spiega il Papa, ed ecco quindi che, così come detto precedentemente all’Angelus, Francesco suggerisce come nutrire la fede ogni giorno: portando un Vangelo sempre con sé, come facevano i primi martiri, come faceva Santa Cecilia, dice. Leggere quotidianamente un brano del Vangelo permette di far entrare la parola di Gesù nel cuore e rende più forti nella fede:

    "Vi suggerisco di avere un piccolo Vangelo, piccolino, da portare in tasca, nella borsa e quando abbiamo un po’ di tempo, forse nel bus…quando si può nel bus, perché tante volte nel bus siamo costretti a mantenere l’equilibrio e anche a difendere le tasche, no? Sempre… Ma quando tu sei seduto, qui o là, leggere anche durante la giornata, prendere il Vangelo e leggere due paroline. Il Vangelo sempre con noi!".

    Il Papa passa poi alla seconda delle due grazie chieste nell’orazione: la grazia della purificazione degli occhi, degli occhi del nostro spirito, per prepararli alla vita eterna:

    "Io sono invitato ad ascoltare Gesù e Gesù si manifesta e con la sua Trasfigurazione ci invita a guardarLo. E guardare Gesù purifica i nostri occhi e li prepara alla vita eterna, alla visione del Cielo. Forse i nostri occhi sono un po’ ammalati perché vediamo tante cose che non sono di Gesù, sono anche contro Gesù: cose mondane, cose che non fanno bene alla luce dell’anima. E così questa luce si spegne lentamente e senza saperlo finiamo nel buio interiore, nel buio spirituale, nel buio della fede: un buio perché non siamo abituati a guardare, immaginare le cose di Gesù".

    Ascoltare Gesù e guardare Gesù, è l’insegnamento che si chiede al Padre, e a conclusione dell’omelia il Papa invita di nuovo a leggere il Vangelo, immaginando e guardando “come era Gesù e come faceva le cose”. E’ così che intelligenza e cuore procedono nel cammino della speranza.

    In particolare, il Papa si è intrattenuto a lungo con le sei comunità neocatecumenali della parrocchia. "Mi piace molto la parola 'cammino' - ha detto loro - perchè il cristiano che non cammina si corrompe. Camminare, come Abramo. Quando riceve la parola del Signore e non sa dove deve andare... non ha un biglietto del treno. Va, si fida del Signore. A chi non cammina - ha osservato il Papa - succede come l’acqua stagnante, che si corrompe". Ha chi cammina poi, Papa Francesco ha indicato 'due pericoli' e una 'trappola'. Il primo pericolo: fermarsi lungo il cammino. Si giunge a una bella villa e si dice: “Io mi fermo qui”, sto comodo e mi basta questo. L’altro pericolo è quello di andare fuori strada: succede ogni volta che pecchiamo. La 'trappola' è il terzo rischio: si pensa di camminare, ma in realtà stiamo 'girovagando', facciamo turismo, ma non camminiamo. Non abbiamo una meta, non andiamo da nessuna parte. "Siamo in Quaresima: è importante il cammino, il cammino verso la Pasqua". Infine la raccomandazione del Papa: "Non abbiate paura. Andate avanti!".

    A conclusione della visita, Papa Francesco si è affacciato dalla terrazza della parrocchia per un saluto ai numerosi fedeli raccolti nel piazzale antistante. Il Papa li ha ringraziati per l’entusiasmo, e a tutti loro ha chiesto di pregare per lui, affinché possa essere un buon vescovo e per evitare di fare cose sbagliate.

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    Incontro tra il Papa e la presidente argentina de Kirchner per l'anniversario di Pontificato

    ◊   Papa Francesco ha incontrato, a fine mattinata, la presidente della Repubblica Argentina, Cristina Fernández de Kirchner, accompagnata da una numerosa delegazione. La visita, avvenuta nella sala al pianterreno di Casa Santa Marta, “ha avuto lo scopo di presentare al Santo Padre – informa una nota del direttore della Sala Stampa Vaticana, padre Federico Lombardi – il saluto, l’augurio e i sentimenti di affetto del popolo argentino in occasione del compimento del primo anno del Pontificato”. Il Papa, prosegue la nota, “ha atteso e ricevuto la presidente e la delegazione alla porta della Domus di Santa Marta intorno alle 13.10”, quindi si è intrattenuto dapprima con la delegazione al completo e successivamente con il capo dello Stato. “Verso le 13.30 – conclude la nota – il Papa e la signora presidente si sono recati a pranzare in privato”.

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    Il Papa riceve l'arcivescovo maggiore di Kiev, Sviatoslav Shevchuk

    ◊   Papa Francesco ha ricevuto questa mattina Sua Beatitudine Sviatoslav Shevchuk, arcivescovo maggiore di Kyiv-Halyč (Ucraina), e mons. Nicola Girasole, arcivescovo tit. di Egnazia Appula, nunzio apostolico in Trinidad e Tobago, Antigua e Barbuda, Bahamas, Barbados, Dominica, Giamaica, Grenada, nella Repubblica Cooperativistica della Guyana, Saint Kitts e Nevis, Santa Lucia, San Vincenzo e Grenadine, Suriname, nonché delegato apostolico nelle Antille.

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    Il grazie del Papa via Twitter per i tanti auguri per il primo anno di Pontificato

    ◊   Il Papa ha espresso oggi via Twitter la sua gratitudine per i tantissimi auguri ricevuti in occasione del suo primo anniversario di Pontificato, il 13 marzo scorzo: “Grazie per tutte le espressioni di affetto per l’anniversario – afferma nel suo tweet - Per favore, continuate a pregare per me”.

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    Un anno fa, la prima Messa pubblica di Papa Francesco nella parrocchia di Sant'Anna in Vaticano

    ◊   Un anno fa la prima visita di Papa Francesco ad una parrocchia. Trascorsi quattro giorni dalla sua elezione, il Pontefice ha celebrato la sua prima Messa pubblica a Sant’Anna in Vaticano, saltando ogni protocollo e mettendo persino in difficoltà i servizi di sicurezza. Già allora Papa Francesco ha mostrato di volere il contatto con i fedeli, colpiti dalle sue parole semplici e confidenziali. Al microfono di Tiziana Campisi, il parroco di Sant’Anna, il padre agostiniano Bruno Silvestrini, ricorda cosa è successo il 17 marzo dello scorso anno:

    R. - L’arrivo del Santo Padre nella parrocchia è stata una grande novità: tutto il protocollo è saltato, ed è stato un momento di gioia, come l’incontro tra un padre con i suoi figli.

    D. - La prima Messa celebrata da Papa Francesco in una parrocchia – la Parrocchia di Sant’Anna in Vaticano – è stata un po’ un biglietto da visita al mondo ...

    R. - Sì. Posso dire che è stato, innanzitutto, il primo biglietto delle due grandi realtà del Santo Padre. La vicinanza fisica alle persone, quindi il contatto, l’abbracciare, il lasciarsi abbracciare, addirittura lasciarsi baciare! Un gesto inconcepibile, perché il protocollo non prevedeva mai questo aspetto: si baciava la mano al Santo Padre, si veniva benedetti dal Santo Padre, ma mai si poteva posare le mani sulle spalle e addirittura baciare il Santo Padre sulle guancie. Il secondo messaggio è stato il messaggio della misericordia, della bontà, del Dio che ci accoglie così come siamo ed è sempre pronto a perdonare. Posso notare che questa tematica è entrata anche nell’Evangelii Gaudium al numero 3, dove il Santo Padre ripete: “Dio non si stanca mai di perdonare. Siamo noi che ci stanchiamo di chiedere la sua Misericordia”.

    D. - Quali tracce indelebili sono rimaste della visita di Papa Francesco nella parrocchia di Sant’Anna?

    R. - Quando abbiamo incontrato il Santo Padre, ci chiedeva: “Ma tu chi sei? Che cosa fai?”. Tutti, in parrocchia, ci siamo fatti questa domanda negli incontri successivi, con la necessità di verificare per dare il meglio di noi stessi, aprirci alla Parola del Signore, aprirci all’incontro con Gesù per poi essere portatori di speranza – come ci dice il Papa – nell’incontro con le persone.

    D. - In quell’occasione, quali parole le ha rivolto personalmente Papa Francesco?

    R. - Più volte, prima dell’ingresso in chiesa, e subito dopo la celebrazione eucaristica, dopo aver terminato il mio discorso nella sagrestia, il Papa chiedeva sempre di pregare per lui. Non potrò mai dimenticare questa sua necessità. Mi chiedeva sempre: ”Preghi per me! Le chiedo questa grazia. Preghi per me!”.

    D. - Che cosa è cambiato nella parrocchia di Sant’Anna in Vaticano dopo la visita di Papa Francesco?

    R. - Ho avuto centinaia, migliaia di telefonate, di richieste via mail dove mi chiedevano di poter incontrare il Santo Padre, mi chiedevano quando il Papa celebrava la Messa ... Poi la numerosissima presenza di fedeli la domenica. Quando arrivano le celebrazioni delle 10 e delle 11 la chiesa è stracolma perché le persone vogliono andare all’Angelus. Quindi, in un numero molto più elevato di quello degli altri anni vengono alla Messa delle 10 o a quella delle 11. Poi al termine della celebrazione vanno tutti all’Angelus del Santo Padre. Dunque non è più un incontrare il Santo Padre per curiosità: ci siamo accorti che i cristiani, anche quelli lontani, stanno riscoprendo il dono grande della fede.

    D. - La prima Messa celebrata in una parrocchia da Papa Francesco è stato un mostrare al mondo un po’ tutto quello che poi è successo durante quest’anno ...

    R. - Devo dire che la visita del Santo Padre in questa parrocchia, a quattro giorni dalla sua elezione, ha dato inizio ad uno stile di Pontificato: quello del parlare in maniera semplice, e il sentire che il Santo Padre non è lontano, ma è vicino a tutti.

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    Stop a schiavitù e tratta di esseri umani entro il 2020: la Santa Sede firma un accordo con altre religioni mondiali

    ◊   Un accordo fra rappresentanti di grandi religioni mondiali per sradicare le moderne forme di schiavitù e il traffico di persone. È il “Global Freedom Network”, realizzato in collaborazione con la Walk Free Foundation e presentato stamani in Sala Stampa della Santa Sede. Sono intervenuti mons. Marcelo Sánchez Sorondo, cancelliere delle Pontificie Accademie delle Scienze e delle Scienze Sociali, in rappresentanza della Santa Sede; Mahmoud Azab, in rappresentanza del grande Imam di Al-Azhar, del Cairo, in Egitto; l’anglicano David John Moxon, in rappresentanza dell’arcivescovo di Canterbury, Justin Welby; l’australiano Andrew Forrest, fondatore della Walk Free Foundation. Presente anche il cardinale Peter Kodwo Appiah Turkson, presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace. A moderare, il portavoce vaticano, padre Federico Lombardi. Il servizio di Giada Aquilino:

    Sradicare la schiavitù moderna e la tratta di esseri umani in tutto il mondo entro il 2020, attraverso “gli strumenti della fede”, preghiera, digiuno e carità, e stimolando un’azione globale di contrasto a tali crimini “contro l’umanità”. E’ l'obiettivo del Global Freedom Network (Gfn), un accordo senza precedenti tra rappresentanti religiosi che ha come partner principale anche la Walk Free Foundation. La dichiarazione comune è stata firmata questa mattina. A nome di Papa Francesco, mons. Sánchez Sorondo, che ha citato direttamente la richiesta del Santo Padre di affrontare i temi della tratta delle persone, della schiavitù moderna, del commercio illegale di organi umani:

    "All these new forms of slavery and human trafficking and prostitution …
    Tutte queste nuove forme di schiavitù e traffico di esseri umani e prostituzione sono un crimine contro l’umanità. Papa Francesco ha ribadito questo concetto quattro volte ed io lo ringrazio perché ha avuto il coraggio di dirlo. Il Papa dice: 'Sì, io dico queste cose perché gli altri non vogliono dirle, ma sono la realtà!'”.

    A nome del grande Imam di Al Azhar, Ahmed al-Tayyeb, il rappresentante della medesima università, Mahmoud Azab, ha ricordato – in arabo, poi tradotto in sala stampa in più lingue - la posizione del mondo musulmano a proposito della tratta e della schiavitù, citando le parole dello stesso Imam:

    "Islam prohibits trafficking and slavery at a hundred per cent. …
    L’Islam vieta al cento per cento il traffico di persone umane e la schiavitù. Io stesso e tutti coloro che lavorano ad Al Azhar sono impegnati nella lotta contro questi fenomeni. Soprattutto la schiavitù moderna è proibita tassativamente in qualsiasi parte del mondo".

    E in italiano ha fatto aggiungere:

    "Per quelli che capiscono l’italiano devo dire che l’Islam, il Corano non accetta la schiavitù".

    Nella dichiarazione comune, i firmatari del Global Freedom Network sottolineano come “lo sfruttamento fisico, economico e sessuale di uomini, donne e bambini” condanni oggi 30 milioni di persone “al degrado”. Tollerando questa situazione, aggiungono, “violiamo la nostra umanità comune e offendiamo le coscienze di tutti i popoli”. Deve cessare quindi “ogni forma di indifferenza” per le vittime di sfruttamento. Attraverso “gli ideali della fede e i valori umani condivisi” si può puntare a sradicare “definitivamente la schiavitù moderna e la tratta di esseri umani dal nostro mondo”. Eppure, nonostante gli sforzi, “la schiavitù moderna e la tratta di esseri umani continuano a crescere”. Ne ha parlato il rappresentante anglicano David John Moxon, inviato dell’arcivescovo di Canterbury:

    "Modern slavery and trafficking in human beings is one of the greatest scandals …
    La schiavitù moderna e il traffico di persone umane è uno dei maggiori scandali e una delle maggiori tragedie del nostro tempo. E’ intollerabile che milioni di nostri fratelli subiscano violazioni di questo genere, assoggettati a sfruttamento disumano e privati della loro dignità e dei loro diritti. Questo oltraggio deve toccare ciascuno di noi, perché ciò che colpisce una parte dell’umanità colpisce noi tutti. Virtualmente, ogni parte del mondo è colpita, in qualche modo, dalla crudeltà e dalla violenza associate a quest’attività criminale".

    Le vittime, è stato evidenziato, “sono tenute nascoste: in luoghi di prostituzione, in stabilimenti e nelle campagne, su pescherecci e strutture illegali, in case private”. E non bisogna andare molto lontano, come ha ricordato il card. Turkson:

    "Parecchi pensano che il commercio delle persone ridotte in schiavitù sia molto lontano. Non è lontano. Secondo l’esperienza che abbiamo fatto, dove c’è una popolazione molto anziana, che richiede assistenza in casa, è lì che si comincia a rilevare questa esperienza di schiavitù. Quando le persone vengono chiamate per curare gli anziani, allora forse è necessario studiare le condizioni in cui si presta tale servizio. E forse già lì incominceremo a trovare i primi segni di schiavitù. Quindi: non è necessario andare lontano, a volte questi fenomeni esistono molto vicino a noi".

    Il Global Freedom Network invita le altre Chiese cristiane e confessioni religiose a intervenire, sollecitando i leader spirituali del mondo, i fedeli e “le persone di buona volontà” ad aderire all’iniziativa. Lo ha ribadito Andrew Forrest, fondatore della Walk Free Foundation:

    "I ask the governments of the world to join the World’s great faiths …
    Chiedo ai governi del mondo di unirsi alle grandi religioni del mondo – anglicani, cattolici, islamici sunniti – nel nostro tentativo di raggiungere le altri grandi fedi del mondo con l’amore del nostro messaggio; di unirsi anche al ‘Global Freedom Network’. Chiedo a 163 governi di proporre lo sradicamento della schiavitù come l’unico, maggiore moltiplicatore economico al prossimo G20: infatti, non c’è modo migliore di far crescere l'economia che valorizzando un essere umano per tutte le sue capacità, non solo per il suo corpo".

    Ci sarà una giornata di preghiera per le vittime e per la loro libertà, fanno sapere i partecipanti. Si coinvolgeranno famiglie, scuole, università, perché si impari a conoscere e denunciare tali piaghe, affinché “ogni mano e ogni cuore” si unisca per liberare “tutti coloro che sono imprigionati e soffrono”. “Cammineremo con loro - conclude il Gfn - verso la libertà”.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   Con il Vangelo in tasca: all'Angelus e in una parrocchia romana il Papa invita a leggerlo ogni giorno.

    Per una fede che diventi cultura: il Pontefice ai vescovi della conferenza episcopale di Timor est in visita "ad limina".

    Mai più schiavitù: leader religiosi firmano in Vaticano un impegno comune per sradicarla entro il 2020.


    La crisi siriana minaccia il Libano.

    Ecologia bizantina: Jean-Claude Larchet su Massimo il Confessore e il rispetto per il creato.

    E il treno ritardò per aspettarlo: a proposito delle foto di don Bosco.

    Per imparare dall'altare della Bugia: Marco Agostini sul "Castigo di Anania e Saffira" dipinto dal Pomarancio per la basilica di San Pietro.

    Sotto la luce dell'Afghanistan: Gaetano Vallini recensisce il libro di Monica Bulaj che racconta due anni di viaggio solitaro.

    Mentre scattava l'Operazione Margarethe: Giovanni Preziosi ricorda il sacrificio di suor Sara Salkahazi che non scappò quando si sarebbe potuta salvare.

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    Oggi in Primo Piano



    La Crimea dichiara l'indipendenza. Scattano le sanzioni Usa e Ue

    ◊   Ue e Usa hanno annunciato sanzioni dopo che in Crimea il parlamento ha proclamato l’indipendenza da Kiev, in seguito al referendum che ha registrato ieri oltre il 95,6% di consensi alla scelta di annessione alla Russia. L’Ue ha colpito 21 persone, "politici e militari" di Russia e Crimea. Obama ha stabilito per decreto sanzioni economiche e congelamento dei beni ai danni di diversi alti funzionari russi, tra cui stretti collaboratori di Putin e lo stesso ex presidente ucraino Ianukovich. Da parte ucraina, il presidente ad interim Turcinov ha firmato la “mobilitazione parziale” del Paese per la crisi in Crimea e il ministro della Difesa ha assicurato che le truppe ucraine resteranno in Crimea. Mosca ribadisce le sue proposte a Ue e Usa per uscire dalla crisi, in particolare istituendo un "gruppo di sostegno" internazionale all'Ucraina che sia accettabile per tutte le forze politiche del Paese. Del braccio di ferro tra Sebastopoli e Kiev e del ruolo della comunità internazionale Fausta Speranza ha parlato con Germano Dottori, docente di Studi strategici all'Università Luiss:

    R. - E’ una questione molto sensibile sia per l’opinione pubblica russa che per l’opinione pubblica ucraina, ma occorre anche tener presente il fatto che comunque questa crisi non si sviluppa nel vuoto pneumatico: c’è la Comunità internazionale ed esistono anche possibilità che qualche mediazione - per congelare la situazione e piano piano farla rientrare entro margini più accettabili - esista ancora.

    D. - La prima richiesta, in queste ore, da parte di Stati Uniti e Unione Europea è quella di accettare in Crimea osservatori internazionali…

    R. - Sì, è comprensibile. Anche perché ovviamente si vuol fugare il timore che le persone ostili all’ingresso della Crimea nella Federazione Russa subiscano delle discriminazioni o vengano fatte oggetto in qualche misura di ritorsioni. Mi sembra abbastanza normale e sarebbe anche interesse - a mio avviso - delle autorità locali permetterlo. D’altra parte, però, gli animi sono ancora abbastanza surriscaldati, come prova la circostanza riferita poco fa da una giornalista italiana sul posto che anche andare ad assistere alle manifestazioni di giubilo ha creato dei problemi con le sicurezze locali: malgrado - diciamo - ci fosse il loro interesse anche, teoricamente, a mostrare al mondo che genere di consenso e di supporto popolare ha questo passo che è stato fatto in Crimea ieri.

    D. - La Comunità internazionale ha ribadito che questo referendum è illegittimo e illegale, fondamentalmente perché viene dopo l’intervento delle truppe russe in Crimea: è così?

    R. - I problemi sono molteplici. Io credo che, al di là di tutto, siccome la Comunità internazionale è composta da Stati sovrani e molti Stati sovrani sono alle prese con una crisi di coesione territoriale che li attraversa al proprio interno ed è una cosa molto forte anche all’interno dell’Unione Europea - avvertita, per esempio, dal Belgio e in una certa misura anche dalla Gran Bretagna; non parliamo poi della Spagna - c’è comunque un interesse a far sì che il precedente non si generalizzi. L’intenzione è di circoscriverlo al massimo! Il secondo elemento è che qui non si parla soltanto di una secessione e quindi di una proclamazione dell’indipendenza, ma si parla di una proclamazione dell’indipendenza che è funzionale al passaggio di un territorio da uno Stato sovrano ad un altro Stato sovrano. Io immagino che proprio per questo la Russia avrà tutto l’interesse a separare i due passaggi, in modo tale che risulti chiaro che la Russia non si annette un territorio appartenente ad un altro Stato, ma accetta la proposta di unione che viene da un altro Stato sovrano nei suoi confronti. Alla fine è la politica che incide in questo caso e che determina un po’ anche la forzatura delle forme giuridiche.

    D. - Professore, permettiamoci una banalizzazione giornalistica: sta vincendo Putin perché si è preso appieno la Crimea o sta vincendo l’Occidente perché il resto dell’Ucraina sarà più libera e più distante dall’influenza di Mosca?

    R. - Direi la seconda, nel senso che Putin recupera la Crimea, ma, sino a questo momento, perde l’Ucraina, che era un elemento essenziale del suo progetto di unione euroasiatica. Peraltro la perdita dell’Ucraina è qualche cosa che non è maturata ieri e neanche nell’ultimo mese: è qualcosa che ha preso forma già nel 2013.


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    Strage in Nigeria, 100 morti: sullo sfondo lotte ataviche per la gestione delle terre

    ◊   Nuova strage in Nigeria: tre villaggi completamente rasi al suolo, con almeno 100 vittime, nello Stato di Kaduna. Gli assalitori hanno messo a ferro e a fuoco i villaggi a maggioranza cristiana, ma figurerebbero tra le vittime anche dei musulmani. La polizia non ha attribuito ancora la paternità del massacro, ma alcuni degli scampati hanno puntato il dito contro i pastori di etnia Fulani o Haussa, rivali da sempre della popolazione nei villaggi per ciò che riguarda il controllo dei pascoli. Dunque, la Nigeria, oltre alla campagna di terrore scatenata dagli estremisti islamici, fa i conti in questo caso con antiche lotte etniche per la gestione delle terre. Veronica Giacometti ha chiesto un commento ad Anna Bono, docente di Storia dei Paesi e delle istituzioni africane all’Università di Torino:

    R. – Raid molto violenti hanno raso al suolo e ucciso decine di persone, il che si inserisce in un continuum di conflitti tra tribù che si scontrano – questo purtroppo succede da decenni, anzi da secoli – per il controllo delle scarse risorse economiche: pascoli, terre fertili e le sorgenti.

    D. – Oltre alle violenze degli estremisti islamici, che vorrebbero trasformare la Nigeria in una repubblica islamica, bisogna fare i conti anche con le tensioni etniche, religiose, le lotte per la gestione della terra…

    R. – E’ importante distinguere questi due fenomeni. Mentre Boko Haram – movimento islamista più responsabile oramai di migliaia di morti in Nigeria – colpisce con un obiettivo preciso, dichiarato che è quello di trasformare la Nigeria in uno Stato governato dalla legge coranica, la sharia – e nel frattempo costringere il più possibile la maggior parte dei cristiani che vivono nel nord a maggioranza islamica a ritornare negli stati meridionali – qui, invece, eravamo in presenza di uno scontro tra vicini per il controllo di risorse economiche preziosissime, che diventa più importante quando si scontrano popolazioni dedite all’agricoltura e alla pastorizia, perché sono due sistemi economici molto diversi con esigenze diverse.

    D. – Quale potrebbe essere un argine per queste lotte di vario tipo che si susseguono…

    R. – In tutti e due i casi, quello che servirebbe sarebbe una crescita economica, o meglio ancora, uno sviluppo economico ed umano, perché la Nigeria cresce economicamente, anzi è il primo produttore di petrolio di tutta l’Africa. Però, questa immensa ricchezza da decenni non si traduce in miglioramenti, sviluppo economico e, sottolineo, sviluppo umano. Basti pensare che circa il 70% della popolazione nigeriana tuttora vive con meno di due dollari al giorno. Le violenze perderebbero in gran parte ragione d’essere se migliorassero le condizioni economiche di un Paese che – è importante sottolinearlo – continua a essere in mano a una classe dirigente, una classe politica, che ha per caratteristica livelli di corruzione estremi.

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    Pakistan. Processo Asia Bibi, udienza rinviata. Delusione e speranza

    ◊   E’ stata rinviata per l’assenza di uno dei due giudici dell’Alta Corte di Lahore la prima udienza, prevista questa mattina, del processo di appello ad Asia Bibi; dovrà continuare ad attendere dunque la donna pakistana, madre di 5 figli, cristiana protestante, arrestata il 19 giugno 2009 e condannata a morte l’11 novembre 2010 in base alla ‘legge sulla blasfemia’ con l’accusa di aver offeso il Profeta Maometto. Delusione e speranza i sentimenti di Paul Bhatti, presidente dell’Alleanza di tutte le minoranze del Pakistan e fratello Shabbaz, difensore di Asia Bibi, ucciso dai fondamentalisti perché voleva riformare la legge sulla blasfemia. Paolo Ondarza lo ha intervistato:

    R. – Le speranze in ogni caso restano, questa è comunque una piccola delusione perché ogni volta che c’è il processo, ogni volta che c’è un’occasione si spera di avere giustizia; la stessa Asia Bibi lo spera, la sua famiglia lo spera insieme a tutti quelli che la sostengono. Però, chiaramente quando ciò non si verifica c’è una piccola delusione. Adesso, stiamo cercando altre vie perché nelle prossime udienze si possa far giustizia.

    D. – Qualora venisse assolta il caso costituirebbe un precedente importante…

    R. – Sarebbe molto bello in quanto potremmo dire che in Pakistan ha prevalso la giustizia nonostante tutto l’estremismo. Sarebbe un messaggio di positività, sarebbe un messaggio di un islam tollerante.

    D. – Il caso è fortemente strumentalizzato dai fondamentalisti, dai talebani che vorrebbero l’introduzione della Sharia nel Paese…

    R. – Si, penso però che non sarà possibile: se si vede tutta la cronologia delle elezioni in Pakistan, tutti i partiti religiosi che impongono la legge della Sharia non hanno mai avuto seggi in parlamento. Questo vuol dire che la gente in Pakistan non vuole questo tipo di legge.

    D. – La legge sulla blasfemia resta comunque un argomento molto dibattuto e su cui si concentrano i fondamentalisti. Quella legge sulla blasfemia che suo fratello, Shahbaz Bhatti, voleva modificare…

    R. – Sì, lui la voleva cambiare perché ci sono state tantissime accuse false e la gente usava questa legge per scopi personali. Noi non siamo contro l’islam. Questo è il messaggio che vogliamo dare.

    D. – Da Lahore giungono in queste ore notizie di iniziative di preghiera. Lei ce lo conferma?

    R. - Sì. Tutta la comunità, in particolare quella di Lahore, ma anche la Chiesa anglicana e la nostra Chiesa cattolica insieme ai vescovi hanno chiesto questa preghiera. Speriamo che porti buoni risultati.

    D. – Accusata di aver offeso Maometto, in carcere da oltre quattro anni, recentemente a Natale dal carcere di Multan, Asia Bibi aveva scritto una lettera al Papa ringraziandolo proprio per le preghiere della Chiesa che scriveva “mi tengono in vita”. Oggi come sta Asia Bibi?

    R. – Può immaginare… una donna in prigione, lontana dai figli, lontana dalla sua famiglia. Per Asia Bibi essere lontano dalla sua famiglia, dai bambini e da suo marito è quasi già una morte.
    D. – Le tante firme raccolte per salvare Asia Bibi hanno avuto finora qualche effetto?

    R. – Onestamente direi di no. È diverso raccogliere le firme in un contesto democratico come la civiltà europea, italiana rispetto al Pakistan perché i pakistani, specialmente quelli estremisti, accusano l’Occidente di intereferenza. Allora, la raccolta di firme in Occidente per una donna cristiana viene accolta negativamente.

    D. – La raccolta firme dunque viene vista come un ingerenza straniera. Allora, cosa si può fare per aiutare Asia Bibi?

    R. – Io chiedo che chi desidera aiutare una comunità cristiana, o una comunità più fragile del Pakistan deve, attraverso la chiesa locale e attraverso le persone che sono attive localmente, collaborare con loro e trovare strategie affinché questa violenza, questo trattamento delle minoranze finisca. Penso che questa sia una cosa positiva e concreta da fare.

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    Rapporto Sipri su commercio armi: India leader assoluta tra i Paesi importatori con supporto della Russia

    ◊   Cresce il commercio delle armi convenzionali: tra il 2009 e il 2013 è salito del 14 per cento rispetto al periodo 2004-2008, secondo il rapporto - reso noto a Stoccolma - dal Sipri, l’Istituto internazionale di ricerca per la pace. A guidare la classifica dei maggiori importatori è l’India, seguita da Cina e Pakistan. Il servizio di Roberta Gisotti:

    Balzo avanti dell’India, che incrementa del 119% le sue importazioni di armi convenzionali, oltre tre volte quelle della Cina e del Pakistan, secondo e terzo maggiori importatori di armi al mondo. Principale fornitore di armi all’India è la Russia che conquista il 75%, seguita dagli Stati Uniti con appena il 7%, per la prima volta secondi nel mercato indiano. Gli Usa però occupano il 27% del mercato pakistano, supportato al 54% dalla Cina, che fornisce anche armi per l’82% al Bangladesh. Il protagonismo di Russia, Usa e Cina nell’Asia meridionale ha implicazioni economiche e politiche d’influenza sulle regione, sottolinea il rapporto Sipri. In particolare la Cina sale nella leadership dei maggiori esportatori di armi al quarto posto, nel 2013, con il 6%, davanti alla Francia al 5%, e dietro alla Germania al 7%, alla Russia al 27% e agli Stati Uniti al 29%. Questi cinque Paesi esportano il 75 % di tutte le armi, Russia e Usa insieme il 56 %. Mosca nonostante la crisi della sua industria bellica nel dopo guerra fredda ha esportato armi tra il 2009-2013 in 52 Stati. In crescita del 23% anche le importazioni di armi nei Paesi del Golfo, principale fornitore qui sono gli Usa con il 45% di esportazioni nell’area. E l’Arabia Saudita sale dal 18.mo posto al quinto tra tutti i Paesi importatori al mondo. Altre evidenze nel rapporto riguardano l’Australia con un incremento dell’83% e l’Azerbaigian del 378%. Unica buona notizia: il calo del 25% delle importazioni di armi in Europa.

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    Atlante delle guerre: 35 conflitti nel mondo, nove morti su dieci sono civili innocenti

    ◊   E’ dedicata a Nelson Mandela la quinta edizione de “L’Atlante delle guerre e dei conflitti del mondo”, redatto dall’associazione“ 46° parallelo ed edito da Terra Nuova. Il volume conferma sostanzialmente lo stesso numero di conflitti rispetto allo scorso anno e propone schede, mappe e approfondimenti sulle crisi internazionali. Ma quanti sono le guerre oggi? Elvira Ragosta lo ha chiesto al direttore dell’Atlante, il giornalista Raffaele Crocco:

    R. – Sono 35, almeno per quanto ci riguarda come Atlante, più sette situazioni di crisi. Un Paese su cinque, in pratica, in questo momento, è in guerra.

    D. – I conflitti sono cambiati nel tempo: siamo passati dall’attacco chimico al cyber terrorismo…

    R. – Sì, sono cambiati soprattutto perché ormai l’obiettivo della guerra non è più il controllo “fisico” di un terreno, di un territorio di un Paese, ma è il controllo politico e soprattutto economico di questo Paese: piccoli eserciti, quindi, molto efficaci, che applicano anche strategie molto dure oppure l’impiego – come accade in Africa ad esempio – di milizie, di bande armate che servono per garantire il potere o rovesciare il potere di governi, che sono amici o nemici, a seconda dell’interesse che si vuole difendere.

    D. – Nell’Atlante emerge la drammaticità dei costi umanitari dei conflitti e non sempre si possono quantificare le vittime…

    R. – Il dato essenziale è che nove morti su dieci, in un conflitto moderno, sono vittime civili, cioè donne, uomini, bambini che non hanno un’arma in mano. Alle vittime, nel senso di morti, dobbiamo aggiungere altre vittime, che sono i profughi. In questo momento nel pianeta, a causa delle guerre, c’è un nuovo profugo ogni quattro secondi, cioè una persona ch deve lasciare tutto per trovare una speranza di vita altrove. Anche queste sono, davvero, vittime della guerra.

    D. – E tra le vittime ci sono anche le donne. Come mai in questa edizione avete dedicato uno speciale a “Le donne e la guerra”?

    R. – Perché in realtà non si parla mai del rapporto delle donne con la guerra o del modo di vedere, della visione della guerra che hanno le donne. Le donne sono sicuramente vittime. Pensiamo ad un milione di donne che hanno subito violenza, almeno questo è documentato negli ultimi anni, nelle ultime guerre. Le donne sono vittime, però, anche perché il peso maggiore del conflitto cade sempre sulle loro spalle, per riuscire a mantenere in vita la famiglia. Oggi, comunque, sono diventate anche delle combattenti: combattono le guerre sia negli eserciti regolari sia negli eserciti irregolari. E’ un ruolo, quindi, completamente diverso ed è una visione della guerra utile per capire cosa sia la guerra oggi.

    D. – Trattandosi di un Atlante, nella cartografia c’è anche la Carta di Peters che ridisegna il mondo con dimensioni diverse da quelle che conosciamo…

    R. – Sì, in realtà è una visione corretta dei Paesi, soprattutto delle grandi terre e dei continenti. Quello che fa Peters, infatti, è assegnare ad ogni terra esattamente i chilometri quadrati, cioè la superficie, l’esatta misura di quella terra. Rispettare le grandezze significa rispettare il diritto dei popoli ad esistere ed esistere con una dignità. E’ una carta molto coerente con quello che dice la Dichiarazione dei diritti universali dell’uomo, a differenza delle proiezioni precedenti, che sono rinascimentali, e quindi hanno una visione molto eurocentrica. E’ una visione politica del mondo, anche attraverso la geografia, e la geografia è molto utile per capire le cose.

    D. – L’Atlante è un documento in divenire, perché ci sono guerre che fortunatamente finiscono, ma altre che iniziano…

    R. – Sì, davvero, speriamo di non dover fare una scheda conflitto sull’Ucraina e speriamo di poter togliere anche altre schede-conflitto. Credo che noi siamo fra i pochi autori al mondo a sperare che il nostro libro diventi sempre più piccino fino a sparire, perché non più giustificato. La speranza è di non doverne aggiungere.

    D. – C’è un team di giornalisti specializzati che redige le diverse sezioni dell’Atlante, ma come viene organizzato il lavoro?

    R. – C’è una specie di organizzazione di redazione, fatta da alcune persone - quattro - che in qualche modo coordinano il lavoro di tutti, tengono i contatti e soprattutto tengono le fila di queste discussioni, delle proposte che ci sono durante l’anno su cosa mettere nell’Atlante, e alla fine fanno un po’ da vigili urbani: raccolgono il materiale, lo curano, lo seguono e lo sistemano graficamente, anche dal punto di vista dell’editing. Il lavoro è chiaramente tutto attraverso il web – fortunatamente c’è la tecnologia - quindi skype, le e-mail o le telefonate.

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    Convegno di Scienza e Vita sulla sanità in tempo di crisi: il medico sia amorevole

    ◊   In Italia, anche il sistema sanitario ha risentito pesantemente della crisi economica. Aumenta l’aspettativa di vita, aumentano le persone da curare e si riducono le disponibilità economiche, con gravi conseguenze per i più deboli e i più poveri. Questo il tema al centro del Convegno intitolato “Garantire la salute oggi, con attenzione ai più deboli”, organizzato da Scienza e Vita. Su questo incontro, in programma oggi a Napoli, Amedeo Lomonaco ha intervistato il presidente del Forum nazionale sociosanitario di ispirazione cristiana, il dott. Aldo Bova, consigliere nazionale dell’Associazione dei medici cattolici:

    R. – La salute è un bene al quale hanno diritto tutti. Allo stato attuale, per la crisi mondiale che c’è stata e che ha avuto delle ripercussioni in Italia, ne ha risentito anche il Sistema sanitario nazionale. Sono state ridotte, nelle varie aziende ospedaliere, tante prestazioni proprio per la difficoltà ad acquistare beni e servizi. E quello che abbiamo notato, e che dispiace molto, è che a pagare le spese di questa condizione di difficoltà sono i più indigenti. Basti pensare che per avere una visita ambulatoriale in alcuni ambienti si pagano 50 euro. Alcune persone, che hanno una pensione di 500-600 euro o qualcosa in più, non ce la fanno.

    D. – Quale è lo scopo del convegno?

    R. – Far mente locale sulla situazione attuale, cercare di immaginare quali possano essere le strade per migliorare l’organizzazione lì dove non ce ne è una buona, migliorare le prestazioni, fare in modo che ci siano i fondi affinché le persone indigenti abbiano la possibilità di curarsi. Questo per un dovere nei riguardi delle persone indigenti, ma anche comprendendo che la loro mancata assistenza comporta ulteriori patologie e ulteriori aggravi per quanto riguarda assistenza sociale, riabilitazione e tante altre problematiche che possono essere provocate dal fatto di non curarsi.

    D. – C’è dunque il rischio che il diritto alla salute diventi sempre più un lusso per pochi. Come evitare questo pericolo?

    R. – Eliminando gli sprechi. E’ documentato che, in un anno, vengono buttati via 6-7 milioni di euro di cibo dagli ospedali. Quindi, per esempio, regolando meglio l’offerta del cibo e non sprecandolo o buttandolo si risparmiano soldi. Poi, un’altra cosa che va definita è che ci vuole un rapporto veramente umano tra la struttura curante e il paziente. E non per un "francescanesimo" che noi vogliamo portare avanti in questa epoca, ma perché è documentato che lì dove il medico tratta con umanità e con calore, con amore, il paziente, le cure danno migliori risultati. Lo dice l’Organizzazione mondiale della sanità con dati obiettivi e certi, avendo documentato che – per esempio – due trapianti di fegato su quattro vanno male, a livello mondiale, quando non c’è, da parte del curante, una adesione amorevole e di affettuosità nei riguardi dei pazienti.

    D. – Dunque, il medico è chiamato a essere un professionista, ma anche un “missionario”…

    R. – Il rapporto tra il medico e il paziente non può essere tra uno che conosce tecniche chirurgiche e, dall’altro lato, una struttura fatta di muscoli, di cute, di ossa e di cuore. Non è così! Se si interpreta così la cosa, la cura del paziente non va bene. Ma è chiaro che noi in questa azione ci vogliamo mettere anche l’afflato cristiano affinché le cose vadano meglio, e abbiamo il dovere di farlo anche seguendo le indicazioni di Papa Francesco che, certamente, ci dice di non stare fermi nelle sagrestie o in un circuito chiuso. Dobbiamo vivere la realtà concreta, calarci nelle difficoltà che si vivono quotidianamente e cercare di dare il nostro contributo affinché le cose che vanno bene vadano sempre meglio. Ma le cose che non vanno bene si aggiustino a vantaggio di tutti.

    D. – Lei è presidente del Forum sociosanitario di ispirazione cristiana: che tipo di realtà è questa?

    R. – Anzitutto, bisogna dire che è un Forum a cui partecipano tante associazioni, tra cui medici cattolici, farmacisti cattolici, giuristi cattolici, Movimento per la Vita, Unitalsi, Istituto don Gnocchi. Tante strutture che hanno ispirazione cristiana e che operano nel mondo sociosanitario. La nostra finalità è anzitutto quella di poter portare avanti un discorso a vantaggio della vita dal suo nascere al suo termine, ma andando nel concreto e nel pratico. A livello nazionale mettendoci insieme, discutendo le questioni che ci sono e cercando di avere rapporti con le istituzioni affinché queste agiscano per aggiornare la legislazione, per seguire bene l’evoluzione del servizio che lo Stato può offrire in questo settore. Il Forum è collegato alla Conferenza episcopale italiana. Abbiamo nel nostro statuto un osservatore permanente della Cei e vogliamo agire in linea con il Magistero della Chiesa.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Crimea: la Chiesa cattolica affida il Paese alla protezione del Cuore di Maria

    ◊   Il vescovo ausiliare della diocesi cattolica di Odessa-Simferopoli, responsabile per la Crimea, mons. Jacek Pyl, ha affidato ieri alla fine della Messa domenicale e di fronte al Santissimo Sacramento, la Crimea, tutte le persone e i popoli che la abitano, alla protezione del Cuore immacolato di Maria. Lo racconta il vescovo Pyl raggiunto a Simferopoli telefonicamente dall'agenzia Sir, all’indomani del referendum che ha decretato la secessione della Crimea dall’Ucraina. In attesa dei risultati “ufficiali” del referendum, la Chiesa cattolica non farà dichiarazioni politiche. Ma chiede l’aiuto e il sostegno spirituale nella preghiera e nel digiuno quaresimale alle Chiese sorelle europee.

    “Mi sento - confida il vescovo - come Gesù nel giardino del Getsemani. Prego e vivo nella speranza”. “Nella situazione in cui ci troviamo - prosegue mons. Pyl - abbiamo bisogno di aiuto e supporto spirituale, chiediamo preghiera e digiuno quaresimale. Abbiamo bisogno di un miracolo. Abbiamo fede e speranza che Dio governa la storia e guida anche questa situazione. Per la nostra fede, noi confidiamo nella Provvidenza di Dio, che tutto ciò che avverrà, sarà volontà di Dio e non la volontà di governanti e re. È Dio che governa la storia”.

    Poi il vescovo ausiliare lancia un appello alla pace: “Cerchiamo innanzitutto la pace interiore, la pace nei cuori e la pace nelle famiglie. Il comandamento dell’amore di Gesù che è l’amore al prossimo, è la sorgente della pace, tra le nostre famiglie”. Preoccupazione per l'escalation della situazione in altre regioni e province dell’Ucraina, è stata espressa anche dal vescovo di Odessa-Simferopoli monsignor Bronislav Biernacki. “La situazione ora è estremamente pericolosa - ha detto - e noi tutti speriamo che le forze politiche occidentali possano fermare Putin”. (R.P.)

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    Papa in Terra Santa: motto e logo del pellegrinaggio

    ◊   “Perchè siano una cosa sola” (Ut unum sint): riprende il passo evangelico di Giovanni (17,20-23) il motto della visita di Papa Francesco in Terra Santa, previsto a maggio prossimo. A sceglierlo l’Assemblea degli Ordinari cattolici di Terra Santa (Aocts) nel corso dell’ultimo incontro a Tiberiade. Nella stessa occasione - riporta l'agenzia Sir - è stato deciso anche il logo del pellegrinaggio che ritrae l’abbraccio tra san Pietro e sant’Andrea, i primi due discepoli chiamati da Gesù in Galilea. San Pietro, il patrono della Chiesa che si trova a Roma, e sant’Andrea, di quella che si trova a Costantinopoli. A Gerusalemme, la Chiesa madre, si abbracciano. I due apostoli si trovano su una stessa barca, che rappresenta la Chiesa. L’albero maestro di questa barca è la croce di Gesù, mentre le vele della barca sono gonfiate dal vento dello Spirito Santo che dirige la barca nella sua navigazione sulle acque del mondo. Papa Francesco ha insistito che al centro del suo pellegrinaggio ci sia l’incontro con il patriarca greco-ortodosso Bartolomeo I di Costantinopoli e i responsabili delle Chiese di Gerusalemme. Questo per commemorare l’unità espressa da Paolo VI e il patriarca Atenagora di Costantinopoli 50 anni fa a Gerusalemme. La chiamata all’unità dei cristiani è un messaggio per tutta l’umanità e un invito a superare tutte le divisioni del passato per procedere verso un futuro di giustizia, pace e riconciliazione. (R.P.)

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    Sud Corea. La Park ringrazia il Papa: la sua visita è una grande opportunità per tutti noi

    ◊   Papa Francesco "ha molto a cuore la penisola coreana, la situazione fra Nord e Sud. Sono davvero grata per il fatto che il Pontefice abbia pregato e continui a pregare per noi. La sua visita in Corea rappresenta un'opportunità per tutti noi". Lo ha detto la Presidente sudcoreana Park Geun-hye ai membri della Commissione preparatoria per la visita papale nel corso di un pranzo ufficiale presso la Casa Blu, residenza presidenziale di Seoul. È stato il primo incontro formale - riporta l'agenzia AsiaNews - fra la Park, eletta più di un anno fa, e i rappresentanti della Chiesa cattolica.

    Con un comunicato ufficiale della Sala Stampa della Santa Sede, il Vaticano ha confermato che Papa Francesco si recherà in Sud Corea dal 14 al 18 agosto, per partecipare alla Giornata asiatica della Gioventù e presiedere la cerimonia di beatificazione dei 124 martiri coreani.

    Al pranzo hanno partecipato l'arcivescovo di Seoul, card. Andrea Yeom Soo-jung; il nunzio apostolico in Corea, mons. Osvaldo Padillla; il presidente della Commissione mons. Pietro Kang U-il, anche presidente della Conferenza episcopale; il direttore esecutivo della Commissione, mons. Basilio Cho Kyu-man, ausiliare della capitale. Nel corso dell'incontro, avvenuto venerdì scorso, la Presidente ha dichiarato: "Quest'anno il Paese è pieno di occasioni cattoliche! Ho sempre sperato che la nostra nazione potesse avere un nuovo cardinale, e la nomina del card. Yeom rappresenta una grande gioia non solo per la Chiesa coreana ma per tutto il Paese".

    Parlando della visita di agosto, la Park ha detto: "Sono veramente grata al Pontefice per il suo interesse nei confronti della nostra situazione. Sono grata del fatto che abbia pregato in pubblico per la pace in Corea". Da parte sua, il card. Yeom ha aggiunto: "La visita di Francesco è una grande opportunità per tutti noi, che in questo modo avremo la possibilità di imparare di nuovo ad amare i nostri vicini e portare così gioia al mondo". (R.P.)

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    Siria. Mons Audo: per l'azione della Caritas si aprono nuovi fronti

    ◊   Il perdurare del conflitto sta annientando la popolazione siriana anche a livello psicologico, e ciò spinge la Caritas a farsi carico di nuove urgenze, come quelle del blocco delle attività lavorative e dell'assistenza psico-sociale. Lo riferisce all'agenzia Fides il vescovo caldeo di Aleppo, Antoine Audo, presidente di Caritas Siria, offrendo un resoconto della settimana di formazione degli operatori Caritas siriani svoltasi in Libano, ad Harissa, nella prima decade di marzo.

    “Per la prima volta” spiega il vescovo caldeo “gli addetti della Caritas che operano nelle sei regioni in cui abbiamo diviso la Siria si sono ritrovati tutti insieme. Erano un centinaio. Anche la natura plenaria dell'incontro ci ha permesso di renderci conto del grande lavoro che si sta portando avanti in un Paese devastato, e ha fatto emergere con forza le nuove necessità umane che siamo chiamati a affrontare”. Il perpetuarsi degli scontri, dei bombardamenti e degli attentati costringe a affrontare bisogni che non hanno a che fare soltanto con le urgenze immediate di sopravvivenza. “Oltre ai pacchi viveri, l'assistenza sanitaria e il soccorso ai poveri” prosegue il vescovo Audo “abbiamo individuato due campi nuovi d'azione: l'assistenza psico-sociale e l'aiuto per coinvolgere giovani siriani in micro-progetti di lavoro, soprattutto nei villaggi e nelle campagne”.

    L'intento è quello di aiutare soprattutto i bambini, le donne e i giovani a resistere anche dal punto di vista psicologico alla tragedia in cui si trovano a vivere da tre anni. “Nei comportamenti individuali” racconta il vescovo Audo “si moltiplicano i segnali di crollo spirituale e interiore. Rischiamo di avere generazioni intere di bambini e giovani devastati per sempre dall'esperienza che hanno vissuto. Per questo abbiamo deciso di prendere questa nuova direzione legata al lavoro e all'assistenza psico-sociale. Ma questo richiede anche tempo e formazione. La nostra realtà, i nostri operatori non potevano immaginarsi, qualche anno fa, di dover far fronte a un impegno umanitario di queste proporzioni”.

    In questo cammino, Caritas Siria conta sull'aiuto delle Caritas di altri Paesi (Italia, Usa, Germania, Francia). I rappresentanti e gli operatori delle altre Caritas nazionali verranno coinvolti in un gruppo di lavoro per sostenere da vicino Caritas Siria nei nuovi campi d'azione. Intanto l'Assemblea dei vescovi cattolici della Siria – svoltasi a Beirut lo scorso 12 marzo – ha stabilito che le offerte raccolte nelle chiese di tutto il Paese la prima domenica di giugno saranno devolute alla Caritas. (R.P.)

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    Nigeria, i vescovi: “Siamo angosciati” per i recenti massacri

    ◊   “L’insensato massacro di studenti innocenti nelle loro scuole negli Stati nord-orientali di Borno, Adamawa e Yobe, è profondamente angosciante” affermano i vescovi della Nigeria in un comunicato inviato all’agenzia Fides al termine della loro prima Assemblea plenaria del 2014, dedicata in gran parte ai temi dell’educazione. I vescovi sottolineano che “il problema dell’insicurezza colpisce l’educazione”. La setta islamista Boko Haram ha infatti più volte commesso attacchi contro scuole e dormitori scolastici, uccidendo studenti e insegnanti. L’ultimo assalto ad una scuola risale al 25 febbraio scorso.

    “Nonostante gli sforzi delle agenzie di sicurezza, la vita e la proprietà in Nigeria sono ancora alla mercé di persone dalla intenzioni malvagie” rimarcano i vescovi, che chiedono alle autorità di investigare anche sui “crescenti conflitti tra gli allevatori di bestiame e le comunità indigene in tutti gli Stati del Nord e del Middle Belt (l’area centrale che divide il nord dal sud, ndr) per trovare soluzioni durature per la pace e la riconciliazione”. Il 14 marzo più di 100 persone sono state uccise in una serie di raid commessi da pastori Fulani contro alcuni villaggi di agricoltori nello Stato di Kaduna. Il fatto che i Fulani sono in maggioranza musulmani e gli agricoltori cristiani, fa spesso caratterizzare questi drammatici episodi come scontri religiosi ma, come i vescovi hanno più volte sottolineato, questi fatti derivano dalla lotta tra agricoltori e allevatori.

    La Conferenza episcopale chiede infine alle autorità di rispettare, conformemente al principio di sussidiarietà, il diritto dei genitori a scegliere quale educazione dare ai propri figli. I vescovi in particolare chiedono la non discriminazione delle scuole private e propongono la costituzione di una partnership pubblico-privato per assicurare a tutti i nigeriani un sistema educativo di qualità. (R.P.)

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    Centrafrica. Ban Ki-moon ai leader religiosi per la pace: “Il conflitto non è religioso”

    ◊   “Vogliamo far passare insieme un messaggio essenziale: che il conflitto nella Repubblica Centrafricana non riguarda la religione” ha affermato il Segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, nell’incontrare a New York i leader della “piattaforma dei religiosi per la pace”: mons. Dieudonné Nzapalainga, Oumar Kobine Layama, rispettivamente arcivescovo e Imam di Bangui, e il Pastore Nicolas Grékoyamé-Gbangou, presidente delle Chiese Evangeliche.

    Dicendosi “onorato” di incontrare i tre leader religiosi, il Segretario generale dell’Onu ha affermato che costoro “sono un forte simbolo della lunga tradizione di coesistenza del loro Paese”. “Assistiamo alla manipolazione delle appartenenze religiose ed etniche per motivi politici” ha aggiunto Ban Ki-moon. “Spero che il popolo centrafricano si libererà dalla paura e ritornerà alla coesistenza che fa parte da molto tempo della tradizione del Paese”.

    I leader religiosi hanno illustrato la drammatica situazione centrafricana al Consiglio di Sicurezza dell’Onu che dovrà decidere l’invio di una missione di consolidamento della pace nel Paese. Il Segretario generale dell’Onu ha chiesto ai membri del Consiglio di decidere al più presto il dispiegamento nella Repubblica Centrafricana di 12.000 “Caschi Blu” in appoggio ai 6.000 militari della Misca (Missione africana in Centrafrica) e dei 2000 soldati francesi della forza Sangaris già presenti sul terreno, ma che sono insufficienti per garantire minime condizioni di sicurezza in vaste aree del Paese. (R.P.)

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    Haiti. Elezioni il 26 ottobre, il presidente ringrazia la Chiesa per la mediazione

    ◊   Dopo più di un mese di dialogo teso, il card. Chibly Langlois, chiamato a mediare per porre fine alla paralisi del Paese ha annunciato che venerdì sera, 14 marzo, il Presidente haitiano Michel Martelly, il senatore Steven Benoit in rappresentanza del Presidente del Senato (assente a causa di un viaggio) e i rappresentanti dei partiti politici, hanno firmato l'accordo raggiunto dal dialogo inter-haitiano, dopo alcune modifiche al testo originale.

    Secondo la nota inviata all’agenzia Fides da una fonte locale, firmando l’accordo il Presidente Martelly ha espresso la sua soddisfazione per l’azione del card. Langlois: “Mi congratulo con il Mediatore, che è giunto al successo attraverso il dialogo, perché la situazione non era facile. Mi congratulo con il Parlamento per il suo contributo, anche se ci sono stati alti e bassi per la firma di questo accordo. Ora vediamo prossime le elezioni, il primo turno si terrà il 26 ottobre 2014".

    Anche il senatore Steven Benoit ha espresso apprezzamento per l'impegno dei leader politici, che hanno accettato di contribuire a risolvere il problema politico del Paese: "l'accordo non è perfetto, ma è un passo verso il cambiamento. E’ un atto di responsabilità politica, la dimostrazione della coscienza patriottica e dell'impegno civico", pur deplorando l'assenza di qualche leader dei partiti dell'opposizione. Il card. Langlois ha sottolineato la determinazione dei soggetti coinvolti nel dialogo che hanno accettato di firmare l'accordo: "Il dialogo ci ha permesso di crescere come Paese, siamo usciti più forti, non ci sono perdenti nel dialogo, ci sono solo vincitori".

    Pur non essendo ancora disponibile il testo dell'accordo, i punti importanti sono i seguenti: trasformazione del Collegio del Consiglio Elettorale Permanente in Consiglio elettorale provvisorio; possibilità per ognuno di cambiare uno dei tre propri rappresentanti nel Consiglio elettorale; realizzazione delle elezioni per i due terzi del Senato, della Camera dei deputati e degli enti locali; modifica della legge elettorale; formazione di un governo inclusivo. (R.P.)

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    Bolivia: morti e feriti per le forti piogge a Beni. Preoccupa la mancanza di cibo

    ◊   Molte famiglie sono ancora isolate nella zona del Beni, a causa delle forti piogge. Fides è in contatto con alcuni missionari che, attraverso i social network, riescono a informare sulla terribile situazione che da qualche giorno vive questa zona boliviana. Le parrocchie sono diventati centri di assistenza e i missionari cercano con tutti mezzi di aiutare le famiglie più colpite, anche se non ci sono risorse materiali. Nelle ultime tre settimane si sono registrati 59 morti e 60.000 senza tetto. Solo nella settimana scorsa si parlava di 59.836 capi di bestiame morti, mentre che 45.274 ettari di terreno sono danneggiati dalle piogge e dalle alluvioni.

    Il ministro della Presidenza, Juan Ramon Quintana, ha detto che le inondazioni continuano a preoccupare il governo, in particolare nel nord-ovest: “sul Comune di Guayaramerín (nel Beni) situato al confine con il Brasile, si stanno concentrando i maggiori sforzi del governo, dato che ci sono 1.700 famiglie colpite: 450 famiglie nelle aree urbane e circa 1.200 nelle zone rurali”. "La nostra più grande preoccupazione è la zona di Mamoré-Madera, soprattutto nel comune di Guayaramerín" ha detto Quintana, annunciando che il governo nazionale sta mettendo in atto operazioni per fornire cibo alle vittime e creare tendopoli di primo soccorso. (R.P.)

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    Argentina: la Chiesa chiede di risolvere la protesta dei docenti

    ◊   Il vescovo della diocesi di Mar del Plata, mons. Antonio Marino, ha chiesto pubblicamente che "la protesta dei docenti", che dal 5 marzo impedisce lo svolgimento delle lezioni nelle scuole di Buenos Aires, "si risolva con gli studenti in aula". La nota inviata all’agenzia Fides riferisce che tale richiesta è stata espressa in occasione della benedizione da parte del vescovo, di una mostra dedicata a Papa Francesco, inaugurata sabato 15 marzo al Museo del Mare, mentre all’ingresso della mostra un gruppo di insegnanti manifestava in difesa delle loro richieste salariali. I giornalisti presenti hanno interpellato al riguardo anche il governatore Daniel Scioli, che si è detto concorde con il vescovo.

    Mons. Antonio Marino ha chiesto alle autorità e agli insegnanti di riflettere sulla situazione creata e di considerare urgente la soluzione della disputa, in quanto "i ragazzi non ne hanno colpa". Il vescovo ha detto di pensare ai genitori che si preoccupano per i giorni senza lezioni dei propri figli, agli insegnanti che subiscono retribuzioni ingiuste e alle autorità "travolte dalla situazione economica". Mentre i negoziati tra governo e sindacati degli insegnanti sembrano fermi, da 10 giorni gli insegnanti non svolgono alcuna attività scolastica nelle scuole pubbliche della provincia di Buenos Aires, che comprende 3,2 milioni di studenti. (R.P.)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVIII no. 76

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