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Sommario del 16/03/2014

Il Papa e la Santa Sede

  • Il Papa all’Angelus: ascoltate Gesù e condividete la sua Parola. Portate sempre il Vangelo con voi
  • I vescovi di Timor Est incontrano il Papa. Mons. Do Nascimento: siamo un Paese di periferia
  • La Corea in attesa del Papa. Il direttore del Santuario di Jeoldusan: sarà un messaggio di pace
  • Mons. Carballo: il Pontificato di Papa Francesco, un soffio dello Spirito nella Chiesa e nel mondo
  • Oggi in Primo Piano

  • Crimea oggi al voto: la comunità internazionale non riconosce il referendum
  • Elezioni legislative in Serbia. Quasi sette milioni di elettori chiamati alle urne
  • Italia ed Etiopia insieme contro le malattie. Inaugurato l'unico ospedale del nord-ovest del Tigray
  • La bellezza, via per riscoprire Dio: la riflessione del prof. Rodolfo Papa
  • La diocesi di Roma rilegge in un incontro le figure di don Camillo e Peppone
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Siria. L'arcivescovo Nassar: segnali di speranza nella nostra Quaresima di guerra
  • Inghilterra: a 3 anni del conflitto in Siria, i vescovi chiedono sicurezza, libertà e dignità per il popolo
  • Aereo sparito: 25 Paesi convolti nelle ricerche
  • Sud Corea. Chiesa e governo impegnati per la visita del Papa: boom di adesioni all’Asian Youth Day
  • Corea del Nord: nuovo test di missili a corto raggio
  • Irlanda: per la Festa di San Patrizio i vescovi esortano a pregare per tutti i migranti
  • Il Papa e la Santa Sede



    Il Papa all’Angelus: ascoltate Gesù e condividete la sua Parola. Portate sempre il Vangelo con voi

    ◊   Ricordando che oggi il Vangelo ci presenta l’evento della trasfigurazione di Gesù sul monte Tabor, Papa Francesco all’Angelus ha esortato a proseguire con fede e generosità l’itinerario della Quaresima ad ascoltare e a seguire la Parola di Gesù. Ascoltare Cristo imparando, un po’ di più, a “salire” con la preghiera e a “scendere” con carità fraterna per condividere con il popolo di Dio “i tesori di grazia ricevuti”. Il servizio di Amedeo Lomonaco:

    L’evento della Trasfigurazione ci ricorda che Gesù “prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni” e li condusse in disparte, “su un alto monte”. La montagna – sottolinea il Papa - rappresenta “il luogo della vicinanza con Dio”, “il luogo della preghiera, dove stare alla presenza del Signore”. Lassù, sul monte, Gesù si mostra ai tre discepoli “trasfigurato, luminoso” e poi appaiono Mosè ed Elia, che conversano con Lui. Il suo volto è “così splendente”, che Pietro “ne rimane folgorato”. Ma subito risuona dall’alto “la voce del Padre che proclama Gesù suo Figlio prediletto”, dicendo: “Ascoltatelo”.

    “È molto importante questo invito del Padre. Noi, discepoli di Gesù, siamo chiamati ad essere persone che ascoltano la sua voce e prendono sul serio le sue parole. Per ascoltare Gesù, bisogna essere vicino a Lui, seguirlo, come facevano le folle del Vangelo che lo rincorrevano per le strade della Palestina. Gesù non aveva una cattedra o un pulpito fissi, ma era un maestro itinerante, che proponeva i suoi insegnamenti, che erano gli insegnamenti che gli aveva dato il Padre, lungo le strade, percorrendo tragitti non sempre prevedibili e a volte poco agevoli”.

    Si deve seguire Gesù – sottolinea il Papa - per ascoltarlo “nella sua Parola scritta, nel Vangelo”. Quindi una domanda rivolta ad ognuno:

    “Voi leggete il Vangelo? E’ cosa buona; è una cosa buona avere un piccolo Vangelo, piccolo, e portarlo con noi, in tasca, nella borsa, e leggerne un piccolo passo in qualsiasi momento della giornata... Lì è Gesù che ci parla, nel Vangelo! Pensate questo. Non è difficile, neppure necessario che siano i quattro: uno dei Vangeli, piccolino, con noi. Sempre il Vangelo con noi, perché è la Parola di Gesù per poterlo ascoltare”.

    Il Santo Padre indica poi due elementi significativi dell’episodio della Trasfigurazione: la salita e la discesa.

    “Noi abbiamo bisogno di andare in disparte, di salire sulla montagna in uno spazio di silenzio, per ritrovare noi stessi e percepire meglio la voce del Signore. Questo facciamo nella preghiera. Ma non possiamo rimanere lì! L’incontro con Dio nella preghiera ci spinge nuovamente a ‘scendere dalla montagna’ e ritornare in basso, nella pianura, dove incontriamo tanti fratelli appesantiti da fatiche, malattie, ingiustizie, ignoranze, povertà materiale e spirituale”.

    “A questi nostri fratelli che sono in difficoltà – spiega il Pontefice - siamo chiamati a portare i frutti dell’esperienza che abbiamo fatto con Dio, condividendo con loro i tesori di grazia ricevuti” e la Parola del Signore.

    “Quando noi sentiamo la Parola di Gesù, ascoltiamo la Parola di Gesù e l’abbiamo nel cuore, quella Parola cresce. E sapete come cresce? Dandola all’altro! La Parola di Cristo in noi cresce quando noi la proclamiamo, quando noi la diamo agli altri! E questa è la vita cristiana. E’ una missione per tutta la Chiesa, per tutti i battezzati, per tutti noi: ascoltare Gesù e offrirlo agli altri. Non dimenticare: questa settimana, ascoltate Gesù! E pensate a questa cosa del Vangelo: lo farete? Farete questo? Poi domenica prossima mi direte se avete fatto questo: avere un piccolo Vangelo in tasca o nella borsa per leggere un piccolo passo nella giornata”.

    “Questa missione – ha concluso il Santo Padre - riguarda tutta la Chiesa, ed è responsabilità in primo luogo dei Pastori – i vescovi, i sacerdoti – chiamati a immergersi in mezzo alle necessità del Popolo di Dio, avvicinandosi con affetto e tenerezza specialmente ai più deboli e piccoli, agli ultimi. Ma per compiere con gioia e disponibilità quest’opera pastorale, i Vescovi e i sacerdoti hanno bisogno della preghiera dell’intera comunità cristiana”. Dopo la recita dell'Angelus, Papa Francesco ha salutato fedeli e pellegrini ed esortato a ricordare nella preghiera i passeggeri e l’equipaggio dell’aereo scomparso della Malaysia e i loro familiari. Il Pontefice ha anche ricordato che venerdì prossimo la Comunità Papa Giovanni XXIII, fondata da Don Oreste Benzi, guiderà per le strade del centro di Roma una speciale “Via Crucis” per le donne vittime della tratta.

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    I vescovi di Timor Est incontrano il Papa. Mons. Do Nascimento: siamo un Paese di periferia

    ◊   Un Paese a larghissima maggioranza cattolico – una rarità per l’Asia – che per la prima volta vede i suoi vescovi raggiungere il Vaticano e incontrare domani il Papa per la visita ad Limina. Si tratta di Timor Est, piccola isola del Sudest asiatico, fino al 1975 colonia portoghese, che nel 1999 si distaccò dall’Indonesia diventando nel 2002 uno Stato indipendente. Una autonomia conquistata a prezzo del sangue, che vide la Chiesa timorese in prima linea nel ristabilimento della pace. Mons. Basilio Do Nascimento, vescovo di Baucau e presidente dei vescovi di Timor Est, ne parla al microfono di Rafael Belincanta:

    R. – Il ruolo della Chiesa continua a essere importante: esso è ancora riconosciuto sia dai governanti che dal popolo. Penso che oggi la Chiesa debba sapersi collocare in questa nuova realtà. Io dico sempre che, subito dopo l'invasione indonesiana, la Chiesa ha svolto il ruolo di protettrice, denunciando la violazione dei diritti umani dei timoresi. C’è stata poi una fase in cui la Chiesa si è impegnata per la riconciliazione con i fratelli indonesiani e oggi sta cercando di svolgere un ruolo di educatrice, non semplicemente nel senso di insegnare a leggere e scrivere, ma di insegnare ai timoresi a vivere in questa nuova situazione. La democrazia , per esempio, è una cosa nuova per Timor Est: siamo passati da un sistema tradizionale a un sistema moderno che la popolazione deve imparare a conoscere e credo che il ruolo della Chiesa oggi sia di educarla alla democrazia.

    D – Cosa direte a Papa Francesco che incontrate per la prima volta?

    R. – Per prima cosa, descriveremo quello che Timor Est è con due semplici parole care a Papa Francesco: è un Paese della “periferia”, sia nel senso di periferia rispetto ai centri dello sviluppo nel mondo, sia in senso geografico, che siamo cioè alla "fine del mondo". Credo che questa espressione calzi bene per Timor Est. Ma – nonostante le sue piccole dimensioni e un’indipendenza limitata – è un Paese con una tradizione cattolica lunga 500 anni. Quindi, al Papa presenteremo l’invito a venire a festeggiare con noi, nel 2015, i 500 anni dell’evangelizzazione di Timor. A Papa Francesco illustreremo anche la vita della nostra Chiesa, le nostre difficoltà, i nostri bisogni e soprattutto la realtà in cui viviamo oggi.

    D – Come è stata accolta l'elezione di Papa Francisco a Timor Est e come giudicano i fedeli timoresi il Papa in questo primo anno di Pontificato?

    R. – Il nome del Santo Padre era sconosciuto. Quindi, è stata una vera sorpresa, tanto più se si considera che i media avevano fatto ipotesi su nomi più noti. Ma dal primo momento Papa Francesco ha colpito e conquistato il popolo timorese. Questo è un Paese in netta maggioranza cattolico - il 97% della popolazione è battezzato – e il Santo Padre ha suscitato grande simpatia tra i cristiani per il suo modo di essere, per la sua semplicità e il suo linguaggio molto concreto. L’impressione è che quando parla il Papa tocchi la realtà delle persone, la realtà della vita quotidiana.

    D. – Il prossimo Sinodo sarà dedicato alla famiglia. Qual è la realtà della famiglia a Timor Est?

    R. – La famiglia a Timor Est ha ancora un grande valore qui e ha un peso importante. Ma adesso il modello tradizionale della famiglia timorese, quello patriarcale con molti figli, deve confrontarsi con nuovi modelli e idee come la parità dei sessi e la limitazione delle nascite, che crea una certa confusione tra la nostra gente, educata in passato ai valori portati dal Portogallo.

    D. – Qual è la sfida più grande per le tre diocesi di Timor Est?

    R. – Il problema di fondo è la formazione. Quando dicevo che il 97% della popolazione è cattolica, mi riferivo al numero dei battezzati. Ma l’educazione alla fede è molto carente. E questo è anche il risultato della guerra, durante la quale molte persone lì per lì sono state battezzate nella Chiesa, che poi però non ha avuto il tempo e le risorse per formare i fedeli nella fede. La nostra sfida è questa. Ci mancano poi le strutture, tanto che oggi anche il livello di formazione del clero e degli operatori pastorali è abbastanza scarso. Per questo abbiamo bisogno dell’aiuto di altre Chiese. Finora, abbiamo chiesto aiuto alla Chiesa portoghese e quest'anno anche la Chiesa brasiliana ci ha dato una mano. La Conferenza episcopale brasiliana (CNBB) ci ha inviato professori per formare gli insegnanti in seminario. Insomma la nostra più grande preoccupazione oggi è la formazione a tutti i livelli.

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    La Corea in attesa del Papa. Il direttore del Santuario di Jeoldusan: sarà un messaggio di pace

    ◊   In Corea del Sud già fervono i preparativi per la visita che Papa Francesco compirà in questo Paese dal 14 al 18 agosto. L’occasione, lo ricordiamo, è data della sesta Giornata della Gioventù Asiatica, che si svolgerà nella diocesi di Daejeon. Il Papa presiederà anche la cerimonia di Beatificazione di un gruppo di martiri coreani. La Corea ha conosciuto nella storia numerose persecuzioni anticristiane e questa Chiesa è fondata proprio sul sangue dei martiri. A Seul sorge il celebre Santuario di Jeoldusan, la cosiddetta Collina dei martiri, meta tradizionale di pellegrinaggi. Ce ne parla Davide Dionisi:

    Il nome del Santuario significa letteralmente “Collina della decapitazione”. E infatti nel 1866 ad un gruppo di cattolici coreani venne tagliata la testa in virtù di un decreto del sovrano dell’epoca. I corpi furono poi gettati in un fiume adiacente. In cima a questo colle è stata costruita una cappellina quale testimonianza di un martirio e della presenza della Chiesa in Corea. Ogni anno questo luogo è meta di pellegrinaggio di oltre cinquecentomila persone, la maggior parte delle quali è cattolica. Vengono anche protestanti, buddisti e persino atei, magari solo per trascorrere qualche ora nel vicino parco pubblico. All’indomani della notizia della visita del Papa, il direttore del Santuario, don Timoteo Jung, non nasconde la sua gioia.

    D. - Tutto il popolo coreano aspetta con il cuore pieno di gioia la visita pastorale di Papa Francesco.

    D. - Dopo 25 anni, la visita di un Papa in Corea: cosa significa per la comunità di fedeli?

    R. – Noi cattolici, ma anche tutti i coreani, sentiamo che Papa Francesco ama tanto il nostro popolo coreano, la nostra penisola coreana. Sentiamo che questo è un messaggio di pace e riconciliazione.

    D. - Come accoglierete Papa Francesco, tenuto conto che Jeoldusan è uno dei luoghi di preghiera più frequentati che ha fatto registrare presenze record nelle meditazioni da voi organizzate per l’Anno della Fede?

    R. - Nel miglior modo possibile, senza limitazioni del cuore. Sicuramente i cattolici, ma tutto il popolo coreano, tutti vogliamo accogliere il Papa non tanto come capo della Chiesa cattolica ma come capo del mondo, capo dell’umanità intera. La diocesi di Daejeon ha già organizzato tutto; insieme con la Conferenza episcopale coreana stiamo facendo i preparativi pensando a Papa Francesco come ad una persona semplice, sempre vicina ai poveri.

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    Mons. Carballo: il Pontificato di Papa Francesco, un soffio dello Spirito nella Chiesa e nel mondo

    ◊   In questi giorni sono stati davvero numerosissimi gli auguri e i commenti, in tutto il mondo, per il primo anno di Pontificato di Papa Francesco, salito al soglio di Pietro il 13 marzo 2013. Su questo anniversario Alberto Goroni ha intervistato mons. José Rodríguez Carballo, segretario della Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e già ministro generale dei Frati Minori:

    R. - Lo definirei come un soffio dello Spirito. Papa Francesco, nella continuità di quanto chiesto dal Vaticano II e certamente in continuità con quanto hanno cercato di fare i suoi predecessori, ci invita costantemente ad un rinnovamento profondo di mente e di cuore, ad un rinnovamento che abbia anche delle conseguenze molto concrete nella vita della Chiesa e di tutti noi. Ci ha offerto un tale programma di vita, che se riuscissimo a portarlo avanti, certamente molte cose cambierebbero. Quindi è stato un anno molto fecondo, un anno in cui la Chiesa si è avvicinata all’uomo e alla donna di oggi; un anno in cui la persona di Papa Francesco ha certamente suscitato molto entusiasmo e molte speranze, sia all’interno della Chiesa che tra i non credenti o i non cattolici.

    D. - Cosa la colpisce maggiormente della personalità del Papa e del suo modo di essere Vescovo di Roma?

    R. - Mi colpisce, prima di tutto, la sua vicinanza: Papa Francesco ama stare con la gente. “E’ un pastore che ha l’odore delle pecore”, per usare la sua stessa espressione… Una vicinanza che si fa ascolto, dialogo, il che non impedisce di prendere decisioni che lui crede necessarie quando arriva il momento opportuno. Quindi, Papa Francesco sa coniugare molto bene la vicinanza e il dialogo con la sua responsabilità di pastore della Chiesa universale e di Vescovo di Roma.

    D. - Il Papa ha più volte invitato i cristiani, in particolare i religiosi, ad evangelizzare le periferie esistenziali. Come raccogliere questa sfida, in particolare da parte del suo dicastero?

    R. - Il Papa insiste costantemente su una Chiesa che deve uscire, deve andare… Forse il verbo più coniugato da Papa Francesco, in questi mesi di Pontificato, è proprio “andare”, “uscire”, che poi è il mandato di Gesù ai suoi discepoli. E uscire, andare dove? Alle periferie esistenziali dell’uomo e della donna di oggi, alle periferie della povertà e alle periferie del pensiero. Il Papa ai superiori maggiori generali ha ricordato questo: la necessità urgente di andare alle periferie della povertà, ma anche del pensiero. Il nostro dicastero, in questo momento, sta incoraggiando i religiosi ad ascoltare questo appello urgente del Santo Padre. Anche nel momento in cui le vocazioni diminuiscono e la tentazione del benessere tocca il nostro cuore, è bene ricordare questo appello di Papa Francesco e questo bisogno della Chiesa e del mondo: “Andare, andare, andare!”. E andare dove nessuno vuole andare. In un certo senso i religiosi dovrebbero essere come i tappabuchi: proprio dove nessuno vuole andare, lì è il posto da preferirsi per i religiosi.

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    Oggi in Primo Piano



    Crimea oggi al voto: la comunità internazionale non riconosce il referendum

    ◊   Urne aperte in Crimea per il referendum sull'adesione alla Russia eche sancisce la secessione dall'Ucraina. Si vote fino alle 21 italiane e i risultati sono attesi già questa sera. Una consultazione contestata da Kiev e dalla comunità internazionale e che si svolge in un escalation militare della crisi, che vede l’aumento delle truppe di russe in Crimea, con presunto sconfinamento una località di confine ucraina. Il punto nel servizio di Marco Guerra:

    “Siete a favore della riunificazione della Crimea con la Russia ?” o “Siete a favore dello status della Crimea come parte dell'Ucraina?”. Queste le domande sulla scheda di un referendum dall’esito scontato che si svolge in una regione di due milioni di persone, il 60% delle quali appartenenti alla comunità russofona. Si prevede, inoltre, una bassa affluenza al voto della minoranza ucraina e anche di quella di etnia tatara. E ad urne aperte, il parlamento filo russo della Crimea accelera sul processo di avvicinamento a Mosca, annunciando che già domani mattina approverà l’esito del voto odierno. Intanto da Kiev il ministro della Difesa ucraino parla di un aumento a 22mila unità delle truppe Russe presenti in Crimea, denunciando il superamento del limite di 12mila soldati fissato dagli accordi sulle basi di Mosca sul Mar Nero. Se confermata, sarebbe un’ennesima provocazione dopo lo sconfinamento di alcuni parà russi in territorio ucraino, avvenuto ieri al confine settentrionale della Crimea. Intanto, tutti i Paesi occidentali continuano a non riconoscere il referendum. Ieri, solo per il veto di Mosca, al consiglio di sicurezza dell’Onu non è passata una risoluzione contro la legittimità del quesito referendario, ma sale l’attesa per la riunione di domani dei ministri degli Esteri Ue per decidere eventuali sanzioni alla Russia.

    Per un’analisi dell’evoluzione della crisi e dei possibili risvolti del referendum, abbiamo raccolto il commento di Luigi Geninazzi, inviato di Avvenire esperto dell’area:

    R. - È un referendum farsa dall’esito scontato. La vera svolta, anche traumatica, è già avvenuta con l’occupazione militare della Crimea, come ha ammesso un alto funzionario della Duma - il Parlamento di Mosca - ovvero, che questi sono militari russi. Si sospettava infatti che venissero da Mosca ed ora ne abbiamo la conferma. L’altra svolta è stata la proclamazione d’indipendenza dell’autoproclamato Parlamento della Crimea e l’adozione del rublo. Il referendum insomma non porta niente di nuovo: non c’è un significativo numero di osservatori internazionali, i delegati dell’Osce non sono riusciti ad entrare e tutto è stato fatto in fretta. Non è oggi la data importante; certo, è una conferma e se non ci fosse stata sarebbe stato un segnale importante. Di fatto, quello che è avvenuto è che ormai l’Ucraina ha perso la Crimea e bisognerà vedere cosa succederà adesso, perché quello che sta succedendo nelle regioni ad Est, filo russe, è veramente inquietante.

    D. - Ad urne chiuse cosa bisogna attenderci da Kiev, da Mosca ed anche dal resto dello schieramento internazionale?

    R. - Due cose: un giudizio netto su quanto è avvenuto che riguarda la Crimea; che non è che si tratta di secessione - chiariamolo - perché non è un’indipendenza della Crimea ma un’adesione della Crimea alla grande madre Russia. La seconda è quella di vedere se Putin si accontenta di questo - non tanto di un pezzo di terra, quanto di un gesto per far capire al mondo che lui fa quello che vuole, quando gli sembra che i suoi interessi vengano minacciati - o se invece andrà avanti in questa strategia di logoramento di una nazione in difficoltà dopo la rivoluzione di Maidan, perché è l’economia che va a picco. Quindi, la vera incognita è se fomenterà ribellioni, scontri nell’Ucraina dell’Est e su questo l’Occidente mi sembra che abbia un po’ le “armi spuntate”: certamente non potrà - e mi auguro che non lo faccia - pensare ad una risposta militare, questo è escluso, ma deve trovare altre opzioni. È molto difficile, in particolare per l’Occidente e per i Paesi europei, adottare una strategia dura a livello di sanzioni economiche perché sarebbe l’Europa stessa ad essere la prima ad avere contraccolpi tremendi per quanto riguarda i rifornimenti energetici. Quindi, è chiaro che l’Europa ha le mani legate; si tratta di riavviare un processo di responsabilità da tutte le parti. La richiesta centrale - quella che potrebbe far tornare indietro questa escalation - è che Mosca riconosca e apra un dialogo diretto con Kiev. E la cosa più terribile, più grave è proprio che Mosca non riconosca il governo di Kiev. Solo quando il premier Arseny Iatseniuk, o il governo che uscirà dalle elezioni del 25 maggio dialogheranno con Mosca allora potremmo pensare ad una svolta positiva, altrimenti ogni giorno assisteremo ad un passo in dietro.

    D. - Continueremo quindi a vedere questa contrapposizione tra filo russi e sostenitori dell’unità ucraina?

    R. - E’ un Paese “ponte”, o almeno dovrebbe esserlo. Non può esserci un’Ucraina anti russa ma nemmeno un’Ucraina anti europea: la gente sta insieme anche se parla russo piuttosto che ucraino, che sia di Leopoli, o che sia di Donetsk. Se invece dall’esterno si minaccia, anzi si soffia sul fuoco delle contrapposizione è un Paese che va alla deriva, è un Paese che si spacca e tutto questo non solo rappresenta la più grave crisi tra Est ed Ovest dalla fine della guerra Fredda, ma rappresenta veramente una situazione "jugoslava moltiplicata" perché l’Ucraina è un pezzo strategico nell’Europa e fa parte dell’Europa, così come deve essere amica della Russia.

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    Elezioni legislative in Serbia. Quasi sette milioni di elettori chiamati alle urne

    ◊   Oggi in Serbia elezioni legislative anticipate. Quasi sette milioni di elettori sono chiamati alle urne per scegliere i 250 deputati del Parlamento unicamerale tra gli oltre 3 mila candidati di 19 partiti. A Belgrado si vota anche per le municipali. Favoriti i conservatori del vicepremier Vucic, leader del Partito del Progresso serbo. Da Belgrado, Iva Mihailova:

    I seggi sono stati aperti questa mattina alle sette e chiuderanno alle otto di sera. Si vota anche in Kosovo grazie all’opera di mediazione dell’Osce. Secondo le previsioni, solo il 55% degli aventi diritto si recheranno alle urne. Tra le poche irregolarità registrate finora, un seggio aperto due ore più tardi per mancanza di tutti i documenti. Le elezioni procedono in modo molto tranquillo e non c’è nessuna minaccia per l’esito del voto. Belgrado è tappezzata di manifesti dai quali spuntano le facce dei candidati a governare il Paese balcanico con un’alta disoccupazione e una situazione economica molto difficile. Per questo, i serbi guardano con fiducia al processo di adesione all’Europa iniziato a gennaio da dove aspettano un miglioramento della loro vita. L’esito della tornata elettorale, però, sembra chiaro con gli ultrafavoriti conservatori del partito del Progresso del vicepremier, Alexander Vucic, con circa 45% dei consensi. Infatti la posta in gioco è con quale degli altri partiti sarà formato il governo: i socialisti, loro partner alleato finora, oppure un altro partito dell’opposizione come quello dell’ex presidente Boris Tadic.

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    Italia ed Etiopia insieme contro le malattie. Inaugurato l'unico ospedale del nord-ovest del Tigray

    ◊   E’ stato inaugurato, nei giorni scorsi, a Sheraro, cittadina dell’Etiopia al confine con l’Eritrea, l’unico ospedale nel nord-ovest della regione del Tigray. L’iniziativa è stata finanziata grazie al lascito di Mario Maiani, un veterinario italiano che ha sempre lottato per sconfiggere le povertà. La struttura che serve 50mila persone, 100mila nella stagione delle piogge, sarà punto di riferimento anche per i campi profughi dell'area. Massimiliano Menichetti ha intervistato il prof. Aldo Morrone, direttore generale dell’Azienda Ospedaliera San Camillo-Forlanini di Roma, in prima linea nella realizzazione del nosocomio:

    R. – Si tratta del dono dovuto alla generosità di un italiano bravissimo, il dr. Mario Maiani, veterinario di Grosseto, che ha voluto dare gran parte delle sue risorse finanziarie per un progetto che restituisse vita, salute e dignità ad una popolazione tradizionalmente povera e colpita dalla guerra, al confine tra l’Eritrea e l’Etiopia: abbiamo costruito un ospedale da 100 posti letto che può essere utilizzato sia dagli eritrei, sia dagli etiopici anche come segno di pace, che abbiamo inaugurato pochi giorni fa.

    D. – Qual è la condizione di vita delle persone in quella parte del Tigray?

    R. – E’ una delle più drammatiche a livello globale: c’è un’aspettativa di vita alla nascita molto bassa, una mortalità materno-infantile molto alta; stiamo cercando di raggiungere gli Obiettivi del Millennio indicati dall’Organizzazione mondiale della sanità, in modo tale da ridurre le grandi malattie – l’aids, la malaria, la tubercolosi –, la denutrizione e restituire effettivamente la possibilità di salute e di dignità ad una popolazione che per 10-11 mesi all’anno è priva di acqua, priva di piogge … La zona è anche semidesertica per cui è anche difficile coltivare cibo. E’ una situazione drammatica. In più, aggravata dal fatto che c’è una presenza molto elevata di profughi dall’Eritrea.

    D. – Come la popolazione ha accolto questa struttura?

    R. – C’è stata una vera festa di popolo. Oltre 10 mila persone hanno partecipato – donne, bambini, anziani, quei pochi che ci sono – una grande festa di popolo per un dono che aspettavano da tantissimo tempo in risposta ad una reale necessità. Devo dire che io sono stato più volte, durante la costruzione dell’ospedale, a Sheraro, e ogni volta era una festa. Questa è stata straordinaria perché il giorno dopo l’inaugurazione è partita immediatamente la prima attività chirurgica, sono stati eseguiti i primi parti cesarei, sono nati i primi bambini … Quindi, c’era nell’aria un clima straordinario. C’è una comunità cristiana copto-ortodossa che ha benedetto questo dono e ha ringraziato Dio per questa opportunità che le è stata data.

    D. – Gli operatori della struttura sono tutti locali? Continua il legame tra Italia ed Etiopia?

    R. – Tutto personale locale: medici, infermieri, ostetriche, amministrativi, in modo tale da dare anche un’opportunità di occupazione e di sviluppo economico all’area. La nostra attività sarà quella di continuare una sorta di tutoraggio, soprattutto nei primi anni, di verifica dei risultati dell’attività e di aggiornare il personale sulle tecniche più moderne. E’ un’area dove anche le apparecchiature mancano: noi abbiamo fatto già una lunga formazione sull’attività delle camere operatorie, sull’attività dell’ostetricia e della ginecologia proprio perché le apparecchiature potessero poi essere utilizzate nel modo migliore.

    D. – Questa iniziativa dimostra che non bisogna scoraggiarsi nemmeno in periodi di grande crisi …

    R. – Credo che uno dei segnali di voler uscire dalle grandi crisi internazionali finanziarie ed economiche sia esattamente quella di investire in tre grandi settori che possono essere poi forieri di sviluppo e di ritorno ad una vita normale, che sono il settore dell’istruzione e il settore del sociale, del welfare, e il settore della sanità e della salute. E’ stata una scommessa straordinaria vinta insieme, etiopici e italiani, ma devo dire anche con l’aiuto di molti colleghi internazionali; è stata anche la scommessa della generosità di un uomo che ha creduto di poter cambiare la vita di alcune persone dando quella parte di aiuto che poteva dare. E sono convinto che questo sia un esempio che vada seguito, se davvero crediamo che la tutela della salute sia un diritto universale.

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    La bellezza, via per riscoprire Dio: la riflessione del prof. Rodolfo Papa

    ◊   “È bene che ogni catechesi presti una speciale attenzione alla ‘via della bellezza’”. E’ questo un passaggio dell’Esortazione apostolica "Evangelii gaudium" di Papa Francesco. “Annunciare Cristo – scrive il Santo Padre - significa mostrare che credere in Lui e seguirlo non è solamente una cosa vera e giusta, ma anche bella”. Sul rapporto tra arte e fede, spiritualità e bellezza, Paolo Ondarza ha intervistato l’artista Rodolfo Papa, docente di Storia delle teorie estetiche presso la Pontificia Università Urbaniana:

    R. – C’è un rapporto profondissimo e quindi noi vediamo anche oggi – Giovanni Paolo II, Benedetto XVI, Papa Francesco – ribadire la centralità della bellezza nel discorso della nuova evangelizzazione; e la bellezza è uno degli strumenti per poter parlare di Dio e per arrivare al cuore degli uomini.

    D. – Soprattutto in una cultura dominata dall’immagine, la bellezza può parlare in maniera forte, in maniera chiara?

    R. – Sì, ma bisogna fare tanti distinguo. Viviamo, in fin dei conti, in una cultura profondamente iconofobica. Cioè: viviamo nelle immagini, ma le immagini sono quelle monodimensionali, quelle della pubblicità. Abbiamo espunto quasi completamente le immagini tridimensionali, quelle che hanno, invece, un senso profondo, che sono portatrici di senso. All’interno di tutta la nostra tradizione cattolica, l’immagine ha sempre avuto un ruolo centrale per l’educazione, per la formazione, per la preghiera, nella liturgia, come modello morale per l’uomo. Noi, oggi, abbiamo difficoltà a far comprendere questo, nella contemporaneità; ma è nostro compito, nostro dovere.

    D. – E probabilmente c’è anche una difficoltà a definire il concetto di bellezza: spesso se ne parla in modo improprio …

    R. – Eh sì: da quando Giovanni Paolo II, nel 1999, ha rilanciato questo tema, abbiamo visto che lentamente è penetrato in tutti gli ambienti, ma spesso viene utilizzato in maniera equivoca o confusa – non da ultimo in ambito cinematografico, per esempio. Ma dobbiamo capire una cosa: che bellezza, nella tradizione cristiana, sia nella linea che noi chiamiamo “orientale”, sia in quella “occidentale, è legata alla santità, non alla ricchezza. Quindi, non è un bene materiale, non può essere rappresentata esclusivamente con qualcosa che abbia a che fare con il lusso. La bellezza è attributo di Dio, è – potremmo dire – “la gloria di Dio”, citando von Balthasaar. Noi dobbiamo recuperare proprio questo: è questo l’aspetto che è stato a cuore di Giovanni Paolo II, che è stato a cuore e che sta a cuore di Benedetto XVI, e che sta a cuore in modo particolare a Papa Francesco. Non c’è discorso che lui faccia, a qualunque gruppo incontri, ribadendo quella triade classica: bene, vero e bello, e queste tre cose vanno insieme.

    D. – E questo ci aiuta anche a superare quei pregiudizi improntati ad un certo moralismo, secondo cui parlare di bellezza è qualcosa di vacuo, di fine a se stesso, equivale a parlare quasi di estetismo?

    R. – Sì, perché è chiaro che se noi intendiamo la bellezza proprio come una visione “dandistica”, da “Dandy”, quindi estetizzante, estetistica, delle cose, del mondo, dell’uomo, della vita, fraintendiamo perché riduciamo quella bellezza ad un elemento di tipo materiale. La bellezza, in realtà, ha proprio in sé la gloria di Dio …

    D. – … potremmo dire che ha un volto?

    R. – E’ un volto, è il volto stesso di Cristo. E quel volto è talmente bello, è talmente splendente che ha – come dire – riempito di sé tutta l’attività artistica. Quindi, la bellezza alla quale hanno teso la cultura carolingia, gotica, romanica, rinascimentale, barocca e via via fino ai nostri giorni, in quella linea che si è mantenuta fedele ai principi fondamentali dell’arte cattolica, lì noi abbiamo la rappresentazione della bellezza. L’esperienza mistica che dovrebbe fare un cristiano – o che fa un cristiano – quando entra in una chiesa, è quella di entrare nel paradiso, dimora di Dio. Quando noi abbiamo a che fare, per esempio, con un portale gotico, noi abbiamo tutta una serie di archi concentrici che rappresentano ognuno dei cieli; vengono messi in prospettiva tutti i sei cieli che ci separano dal settimo cielo – il luogo dove abita Dio; si apre una porta e noi entriamo nel settimo cielo. Quello è il luogo della bellezza. E’ per questo che è splendente d’oro, è splendente di immagini; è questo quello il Pontefice, per esempio, nella Evangelii gaudium, parlando del ruolo dell’arte, ci sta dicendo.

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    La diocesi di Roma rilegge in un incontro le figure di don Camillo e Peppone

    ◊   “La catechesi non si trasmette solo con la Bibbia, ma con la cultura nata dalla fede”. In questo senso, i film di don Camillo e Peppone, nati dalla penna di Giovannino Guareschi, rappresentano un tesoro di vita cristiana vissuta. Ne è convinto mons. Andrea Lonardo, direttore dell’Ufficio catechistico della diocesi di Roma, intervenuto ieri a un incontro per educatori dedicato proprio all’opera dello scrittore cristiano. Il servizio di Antonella Pilia:

    Don Camillo e Peppone: sacerdote del paese il primo, sindaco comunista il secondo. I due personaggi in costante attrito, nati dalla penna di Giovannino Guareschi, sono entrati nel cuore di ben tre generazioni. Merito dei libri, tradotti in 350 lingue, ma soprattutto dei film, realizzati negli anni ‘50 e riproposti ogni anno a grande richiesta di pubblico. A loro, la diocesi di Roma ha dedicato un incontro. Mons. Andrea Lonardo, direttore dell’Ufficio catechistico:

    Papa Francesco nell’Evangelii Gaudium ci sta insegnando che la catechesi ha bisogno di immagini: deve toccare il cuore, deve emozionare come una madre che parla ai suoi figli. Papa Giovanni Paolo II nel Trittico Romano, un ciclo di poesie bellissimo, spiega che la Bibbia attende qualcuno che la traduca in qualcosa di visibile e di concreto. E così Guareschi ci mostra come la parola di Dio prende vita nella storia di un prete, nella storia del sindaco comunista, nelle storia delle famiglie e della gente del paese, così come nel desiderio di vivere bene e di superare il male. Per questo, come Ufficio catechistico della diocesi, ogni anno stiamo portando avanti la riflessione su una figura - quest’anno su Guareschi - per aiutare i catechisti ad attingere da questi tesori di immagini, di vita cristiana vissuta che aiutano a completare l’annuncio che viene fatto attraverso la scrittura ed il dogma della Chiesa.

    D. - Lei ha raccontato che Papa Giovanni XXIII chiese a Guareschi di scrivere un catechismo della Chiesa cattolica…

    R. - Certo. Questo episodio è molto interessante: nel ’59, appena eletto Papa, Giovanni XXIII si rese conto che la catechesi aveva bisogno di qualcosa di più vicino al cuore, alla vita delle persone, rispetto al semplice catechismo con tutta la riproposizione della Chiesa. Tramite Loris Capovilla, allora suo segretario, fece chiedere proprio a Guareschi se se la sentiva di scrivere un catechismo della Chiesa per mostrare la vitalità della morale, dei dogmi, della liturgia cristiana… Guareschi, a quel tempo, rispose subito che era assolutamente impensabile perché non si riteneva in grado. Poi, pian piano, ci ripensò e si rese conto che in realtà avrebbe potuto commentare ogni aspetto della fede cristiana dicendo: “Don Camillo dice… o don Camillo fece… o don Camillo pensò…”, ma era troppo tardi. Giovanni XXIII oramai era diventato anziano, si era ammalato ed il progetto era decaduto. Vediamo, però, nei libri e nella serie cinematografica che ne è stata tratta, che in realtà don Camillo e Peppone sono la riproposizione delle storie evangeliche senza citarle esplicitamente nella vita dell’uomo del suo tempo ma anche di ogni tempo.

    D. - Perché i film di don Camillo e Peppone sono ancora tanto attuali a distanza di oltre 50 anni?

    R. - E’ innanzitutto uno stile che può essere un’illustrazione di quello che Papa Francesco ci dice circa questo sguardo positivo sulla realtà: Peppone e don Camillo, pur essendo acerrimi nemici, in realtà si vogliono bene. È una Chiesa che certamente denuncia il male ma vuole profondamente bene ad ogni persona. È un dialogo tra due amici che camminano insieme. C’è una scena famosissima dove i due sono in bicicletta e si superano vicendevolmente ma vogliono, comunque, arrivare alla meta insieme. Don Camillo è un prete profondamente inserito nella vita del paese. E' un uomo di Dio, ma anche uomo della gente. E in questo paese, questo piccolo mondo, lui è testimone della trascendenza di Dio. Un’altra scena meravigliosa, che viene anche ripresa dai libri, è quella dell’alluvione: sul greto del fiume c’è la gente che sta lasciando il Paese e chissà quando ritornerà perché l’alluvione ha allagato tutto. Nella chiesa è rimasto solo il prete con l’acqua fino alla cintura e con il megafono rassicura la gente: “Sentirete ancora le campane suonare, vi richiamerò e voi ritornerete”. Dio è con noi e ci benedice e come tutte le altre generazioni che hanno ritrovato la vita dopo aver affrontato la morte, così anche noi riusciremo a rendere il nostro paese un piccolo paradiso. Queste sono immagini molto potenti, molto forti che mostrano la grandezza di Dio e la bellezza della vita di tutti i giorni.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Siria. L'arcivescovo Nassar: segnali di speranza nella nostra Quaresima di guerra

    ◊   Una nuova Quaresima vissuta sotto la guerra “vorrà dire violenza e dolore”, ma “negli abissi della sofferenza” si intravvedono anche “segni miracolosi di luce e speranza”. Li descrive l'arcivescovo maronita di Damasco, Samir Nassar, in una lettera pervenuta all'agenzia Fides. “Nuovi flussi di profughi” riferisce mons. Nassar “vengono alle nostre parrocchie e le richieste di aiuto superano le nostre disponibilità. Tutta la nostra azione pastorale e sociale è concentrata sul soccorso alle famiglie colpite”. Il numero di rifugiati e sfollati – ricorda l'arcivescovo maronita – ha raggiunto la cifra impressionante di 12 milioni di individui, di cui 3 milioni espatriati nei Paesi confinanti (Libano, Giordania, Iraq, Turchia). Milioni di studenti hanno sospeso ogni attività scolastica. Mentre l'embargo “colpisce tutti, ma soprattutto i bambini, i poveri, gli ospedali e il settore medico sanitario”.

    I vescovi e i sacerdoti – confida mons. Nassar – a volte non sanno come confortare i cristiani che “condividono le stesse sofferenze dei propri concittadini” e rappresentano ormai “un “piccolo gregge colto dalla paura”. Eppure, in questa situazione umanamente insostenibile – riconosce l'arcivescovo maronita - ci sono segnali di fede e di speranza luminosi: “il soccorso vicendevole e la solidarietà si manifestano con spontaneità tra le famiglie povere che aprono le loro porte ai rifugiati; ci sono nuove iniziative di dialogo e riconciliazione tra i nemici; c'è un rifiorire della fede che rafforza le nostre comunità. Il Vangelo è il nostro punto di riferimento e la nostra ispirazione. I fedeli vengono a Messa, anche sotto la minaccia delle bombe, e dedicano molto tempo alla preghiera e all'adorazione eucaristica”. Tutti – conclude mons. Nassar - ricevono conforto “dallo sguardo di Maria, Nostra Signora della Pace”.

    Sul terreno, intanto, nei giorni in cui il conflitto entra nel quarto anno, le forze del regime hanno intensificato le operazioni conquistando la città di Yabroud, una delle principali roccaforti dei ribelli nella provincia nord di Damasco, vicino al confine con il Libano. Lo ha annunciato la tv di Stato citando fonti militari e lo hanno confermato anche gli attivisti anti-regime che parlano della caduta della città nelle mani delle forze lealiste e degli Hezbollah libanesi. L’esercito di Damasco sostiene di avere il pieno controllo del centro abitato e che, al momento, si sta “ispezionando quartiere per quartiere alla ricerca di ordigni esplosivi lasciati dai terroristi”. (R.P.)

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    Inghilterra: a 3 anni del conflitto in Siria, i vescovi chiedono sicurezza, libertà e dignità per il popolo

    ◊   A tre anni dall’inizio della guerra civile in Siria, scoppiata il 15 marzo 2011, i vescovi dell’Inghilterra e del Galles esortano a non dimenticare la tragedia di migliaia di persone che vivono nella violenza, con un’escalation di sofferenze e di vittime. “Tutti i siriani meritano di meglio”, si legge nel comunicato firmato da mons. Declan Lang, vescovo di Clifton e responsabile dell’ufficio relazioni internazionali dell’episcopato. “Sembra che i 140mila morti, i 6,5 milioni di sfollati interni, i 2,5 milioni di rifugiati nei Paesi limitrofi come Libano e la Giordania e centinaia di migliaia di feriti, sequestrati, imprigionati e scomparsi in tutto il Paese, abbiano intorpidito i nostri sensi”, aggiunge il comunicato. Mons. Lang afferma che per fermare il massacro bisogna smettere di guardare alla Siria come una questione di vinti e vincitori e sforzarsi piuttosto a estirpare la violenza alla radice e ad aumentare l’assistenza umanitaria. Il messaggio ribadisce che tutti i siriani - cristiani, drusi, kurdi, sunniti e sciiti - meritano dignità, libertà e sicurezza. “Questo si potrà ottenere se la buona volontà e la buona fede rimuovono l’amarezza e il rancore che si sono annidati nei cuori e nella mente delle persone”. Infine, mons. Lang invita i fedeli a pregare per i siriani, in particolare in questo tempo di Quaresima che ci aiuta a raddoppiare i nostri sforzi perché consapevoli che la Crocifissione ci porta alla Risurrezione. (A cura di Alina Tufani)

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    Aereo sparito: 25 Paesi convolti nelle ricerche

    ◊   Le ricerche dell'aereo della Malaysia Airlines sparito misteriosamente otto giorni fa, con 239 persone a bordo, proseguono con il coinvolgimento di 25 Paesi. Lo ha detto in una conferenza stampa a Kuala Lumpur il ministro dei Trasporti malese, secondo il quale ad alcuni di questi sono state chieste informazioni sui passeggeri e i dati raccolti attraverso radar e satelliti “per restringere il campo della ricerca”. Ieri il premier della Malesia Razak ha spiegato la scomparsa dell'aereo con una “azione deliberata” a bordo del Boeing, pur non confermando l’ipotesi del dirottamento avanzata dopo la scoperta dei cambi di rotta e del fatto che l'aereo è rimasto in volo per altre sette ore dopo l'ultimo contatto con la torre di controllo. Intanto si stanno passando al setaccio le vite dei due piloti, uno dei quali sarebbe stato un acceso sostenitore del leader dell’opposizione malese, incarcerato pochi giorni prima del volo scomparso. (M.G.)

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    Sud Corea. Chiesa e governo impegnati per la visita del Papa: boom di adesioni all’Asian Youth Day

    ◊   La preparazione della visita di Papa Francesco in Sud Corea, annunciata per il 14-18 agosto, procede alacremente. Come appreso dall'agenzia Fides, la Chiesa coreana ha istituito una speciale Commissione, formata da vescovi, religiosi e laici, che è responsabile dell’organizzazione della visita e ne cura tutti gli aspetti, da quelli spirituali a quelli logistici. Per l’evento, che coinvolge l’intera nazione, la Chiesa sta ricevendo il pieno supporto dal governo coreano che ha creato un Comitato per la visita del Papa, che sta collaborando e aiutando la Commissione ecclesiale in molti aspetti.

    Sono due i versanti principali che toccano il viaggio: il primo è l’organizzazione dell’Asian Youth Day che, come comunica a Fides la Chiesa coreana, sta registrando un vero e proprio “boom” di adesioni. La Giornata, che si terrà a Dajeon dal 10 al 17 agosto 2014, accoglierà giovani in rappresentanza di 29 paesi dell'Asia. Il secondo evento memorabile è la celebrazione per la beatificazione dei martiri coreani, altro evento che tocca nel profondo il cuore della popolazione coreana. Quando Papa Giovanni Paolo II giunse in Corea, nel 1984 e nel 1989, “abbiamo avuto oltre un anno di preavviso per preparare la visita. Ora abbiamo meno di cinque mesi. Ma stiamo lavorando con zelo ed entusiasmo perchè tutto proceda per il meglio”, afferma a Fides la Commissione preparatoria della Chiesa coreana. (R.P.)

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    Corea del Nord: nuovo test di missili a corto raggio

    ◊   La Corea del nord ha lanciato dieci missili a corto raggio in direzione del Mar del Giappone nella serata di ieri. Ad annunciarlo è stata una fonte sudcoreana, secondo cui il lancio è iniziato alle 18.20 locali ed è proseguito per una decina di minuti. I missili hanno percorso circa 70 chilometri prima di finire nel Mare orientale, precisa la fonte. E' il quarto test di questo tipo nelle ultime tre settimane e, secondo gli analisti, il regime Pyongyang vuole mostrare i muscoli per esprimere la sua contrarietà alle manovre militari che Corea del Sud e Usa si apprestano ad effettuare nel sud della penisola il 18 aprile e che il regime nordcoreano ha sempre denunciato come una invasione del suo territorio. Tuttavia, la Corea del Nord in base alle risoluzioni Onu avrebbe già dovuto abbandonare i suoi programmi missilistici. (M.G.)

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    Irlanda: per la Festa di San Patrizio i vescovi esortano a pregare per tutti i migranti

    ◊   I vescovi irlandesi esortano i fedeli a celebrare la festa nazionale di San Patrizio, domani 17 marzo, partecipando alle Messe celebrate per il Santo Patrono della nazione e con la preghiera per tutti i migranti, in patria e all’estero. Nel messaggio per l’occasione, i presuli rilevano che anche quest’anno la festa di San Patrizio cade in piena recessione economica, che sta colpendo tante persone e famiglie irlandesi, costrette alla disoccupazione o all’emigrazione. Di qui l’esortazione a pregare per i migranti, ma anche ad accogliere gli immigrati e i rifugiati che hanno raggiunto in questi anni l’Irlanda, ricordando la sorte toccata nella storia a milioni di irlandesi costretti a cercare fortuna lontano dal loro Paese: “Possa questa accoglienza essere generosa. Lo dobbiamo come figli di Dio e di San Patrizio”, conclude il messaggio. (A cura di Lisa Zengarini)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVIII no. 75


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    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.