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Sommario del 15/03/2014

Il Papa e la Santa Sede

  • Il Papa con le famiglie delle vittime delle mafie. Don Ciotti: grande gioia per la presenza di Francesco
  • Il Papa ai Francescani Minori: siate frati della misericordia
  • Il preposito generale dei carmelitani Scalzi dal Papa: Chiesa, luogo di accoglienza e misericordia
  • La Chiesa, il Vangelo, i poveri. Intervista al Papa di Radio Bajo Flores, emittente di una baraccopoli di Buenos Aires
  • Visita del Papa nella parrocchia di Santa Maria dell'Orazione. Intervista con il parroco
  • Sinodo. I card. Vingt-Trois, Tagle e Damasceno Assis nominati presidenti delegati
  • Il card. Tauran inviato del Papa alla consacrazione del Santuario di Agostino ad Annaba
  • Nomine episcopali nelle Filippine, Inghilterra e Costa Rica
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Referendum in Crimea. Un sacerdote: l'Ucraina non è spaccata, il popolo prega per la pace
  • Siria, tre anni fa l'inizio del conflitto. La Croce Rossa: cibo e medicine priorità assolute
  • Elezioni in Serbia, favoriti i conservatori di Vučić
  • Renzi a confronto con l'Europa. Intesa con Hollande: priorità a crescita e lavoro
  • Giornata contro i disturbi alimentari. L'esperta: aiutare giovani contro stereotipi bellezza
  • Un restauro on line per San Francesco a Ripa
  • Giovanni Allevi agli studenti della Salesiana: nella mia musica la ricerca di Dio
  • Il commento di don Ezechiele Pasotti al Vangelo della Domenica
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Pakistan: a Lahore convocato il processo di appello per Asia Bibi
  • India: reazioni alla sentenza sulla suora stuprata durante i pogrom in Orissa nel 2008
  • Funerali di don Lazzaro Longobardi. Mons. Galantino: un martire della carità
  • Sri Lanka. Il clero tamil all’Onu: “Abusi sui diritti umani, urge un intervento internazionale”
  • Terra Santa: mons. Twal incontra il ministro del Turismo israeliano in vista del viaggio del Papa
  • Sud Corea: on line il sito web della sesta Giornata della gioventù asiatica
  • Venezuela. La Chiesa mediatrice per il dialogo: stop alla violenza nel Paese
  • Ecuador: la voce della Chiesa su laicità e libertà religiosa
  • Spagna: conclusa la 103.ma Plenaria dei vescovi. La missione, compito primario
  • Card. Bagnasco: la famiglia è il fondamento della coesione sociale
  • Il Papa e la Santa Sede



    Il Papa con le famiglie delle vittime delle mafie. Don Ciotti: grande gioia per la presenza di Francesco

    ◊   La vicinanza di Papa Francesco ai familiari delle vittime innocenti di tutte le mafie. Il Pontefice li abbraccerà tutti venerdì 21 marzo, nella Chiesa di San Gregorio VII a Roma, in occasione dell’incontro promosso dalla Fondazione “Libera” di don Luigi Ciotti. L’evento, annunciato stamani dalla Sala Stampa vaticana, si tiene alla vigilia della XIX “Giornata della memoria e dell’impegno”, che si svolgerà a Latina, in ricordo di chi ha patito dolore e sofferenze a causa della violenza delle mafie. Il servizio di Giancarlo La Vella:

    Arriveranno a Roma da tutta Italia almeno 700 familiari delle vittime delle mafie in rappresentanza dei circa 15 mila che hanno subito la perdita di un loro caro per mano della violenza mafiosa. Alle ore 17.30 è prevista nella parrocchia di San Gregorio VII, vicino San Pietro, la veglia di preghiera, presieduta da Papa Francesco, con tutti i familiari accompagnati dai rappresentanti territoriali dell’associazione “Libera”, dai referenti di alcune delle 1600 associazioni aderenti e dai rappresentanti istituzionali che hanno aderito all’iniziativa. E la presenza del Santo Padre arricchisce di significato un evento già particolarmente sentito da tutta la società civile, come conferma lo stesso don Ciotti:

    “Grande la gioia di centinaia di familiari delle vittime innocenti di mafia che, pur avendo, molti di loro, altri culti, altri riferimenti, hanno gradito questo pensiero e lo sentono profondamente dentro. Attendono una parola, ancora una volta, forte, come quella che Francesco sa dare, che dica con chiarezza di nuovo che il Vangelo è incompatibile con l’illegalità, la corruzione e le mafie. C’è molta attesa ed è molto bello che Francesco venga e partecipi alla lettura di tutti i nomi delle vittime questo 21 marzo, primo giorno di primavera. Questa lettura, che viene fatta da tanti anni in tutti i luoghi d’Italia, verrà fatta a Roma con Papa Francesco, che è stato subito disponibile”.

    Un dolore senza risposta, un dolore insanabile, se non visto alla luce della fede, quello di chi ha perso un congiunto o un amico a causa dell’immotivata violenza mafiosa. Che cosa chiedono oggi queste famiglie? Ancora don Luigi Ciotti:

    “Chiedono una cosa, che può sembrare scontata, ma che scontata non è: giustizia e verità. Non dobbiamo dimenticarci, infatti, che il 70 per cento dei familiari delle vittime innocenti di mafia non conosce la verità. Questo Pontificato parla di una Chiesa più libera da qualunque forma di potere economico e politico e, soprattutto, di una Chiesa profetica. Questi sono segni profetici, perché la Chiesa o è profezia o non è Chiesa”.

    Dopo l’incontro con il Papa, il giorno successivo, il 22 marzo per le vie di Latina si ritroveranno, in un grande abbraccio ai familiari, migliaia di persone, soprattutto giovani, provenienti da tutte le regioni italiane che ragioneranno insieme all'interno dei 25 seminari, laboratori e spettacoli sui temi della legalità e dell'impegno civile contro le mafie.

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    Il Papa ai Francescani Minori: siate frati della misericordia

    ◊   Portate misericordia e condivisione ovunque nel mondo. È quanto Papa Francesco ha chiesto ai responsabili dell’Ordine dei Frati Minori Francescani, ricevuti questa mattina in udienza. Il ministro generale dell’Ordine, fr. Michael Anthony Perry, spiega al microfono di Alessandro De Carolis la particolare sintonia riscontrata con il Papa che porta il nome del Fondatore del francescanesimo:

    R. – Lui ha incominciato ricordando ciò che ha sperimentato nella sua vita presso i Francescani: la misericordia. E ha detto che questa misericordia noi dobbiamo continuare a portarla a tutti, in ogni parte del mondo, nei 112 Paesi in cui ci troviamo con 13 mila frati. Ma questo deve essere un messaggio per chiunque venga a cercare la vicinanza di Gesù: noi dobbiamo rappresentare per tutti un’esperienza di misericordia. Poi, lui ha parlato della nostra spiritualità: questa “minorità”, la povertà, i poveri di Cristo, che noi dobbiamo mantenere al centro della nostra testimonianza. E poi anche la nostra vicinanza ai popoli: ha sottolineato questa dimensione almeno tre-quattro volte.

    D. – In un messaggio al momento della sua elezione, lei affermò che i Frati minori sono chiamati a vivere la condivisione e la fraternità come segno della “misericordia di Dio” verso i poveri, i giovani, gli anziani. Parole che hanno una fortissima sintonia con il magistero e lo stile di Papa Francesco, il Papa delle “periferie”…

    R. – Certo. E’ vero che noi ci troviamo in sintonia con il Papa sulle questioni della condivisione e della fraternità. Andiamo verso il capitolo del 2015, che avrà luogo ad Assisi nel maggio dell’anno prossimo. Parteciperanno 130 frati, con i provinciali di tutte le entità. Il tema sarà: “Frati e minori nel mondo, oggi”. Allora, tocchiamo questa condivisione, questa fraternità, questo segno della misericordia di Dio verso i poveri, i giovani e gli anziani.

    D. – In particolare, quali sono le priorità pastorali della vostra famiglia religiosa?

    R. – Dare una testimonianza con la vita: poche parole e piuttosto la testimonianza di una vita coerente. E, secondo, camminare con i laici: siamo tutti sulla stessa strada, nella Chiesa, in Cristo. E questo è molto importante: non trattare i laici come operai, come assistenti, ma veramente come co-discepoli. Mi sembra che questo per noi sia molto importante. E poi continuiamo con il servizio della giustizia e della carità in favore dei poveri e degli emarginati.

    D. – Il prossimo sarà l’Anno della vita consacrata. Come vi state preparando a questo appuntamento e che aspettative nutrite?

    R. – Grazie a Dio, abbiamo anticipato quest’anno perché con il nostro Capitolo generale 2015 siamo già in cammino verso le diverse dimensioni della vita consacrata. Per esempio, stiamo cercando di capire come rivitalizzare la vita contemplativa all’interno del nostro carisma e poi la dimensione della vita fraterna, la comunione tra di noi e una comunione con tutte le persone di ogni religione e cultura, e anche con il Creato, con la natura. E poi, nella nostra vita consacrata, la dimensione francescana missionaria nel mondo di oggi.

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    Il preposito generale dei carmelitani Scalzi dal Papa: Chiesa, luogo di accoglienza e misericordia

    ◊   Questa mattina Papa Francesco ha incontrato anche padre Saverio Cannistrà, preposito generale dei Carmelitani Scalzi. Ascoltiamolo al microfono di Sergio Centofanti:

    R. – E’ stata per me un’esperienza toccante, perché era la prima volta che incontravo personalmente Papa Francesco, e veramente sono rimasto colpito, impressionato dalla sua semplicità evangelica, dalla sua umiltà e dalla sua passione per la Chiesa. Io ho visto, in questo, anche il religioso, l’uomo che vive la condizione di povertà, di spogliamento e che si dona completamente alla Chiesa per i servizi che la Chiesa gli chiede, e che li svolge in maniera completamente disinteressata.

    R. – Quali gli argomenti al centro del colloquio?

    D. – L’argomento del colloquio era soprattutto sul progetto di rinnovamento della Costituzione apostolica sulle monache contemplative. Come si sa, è stato annunciato il progetto di una nuova Costituzione apostolica sulle monache contemplative e io, in quanto preposito generale dei Carmelitani e delle Carmelitane Scalze ho quindi un particolare interesse, un particolare impegno in questo tema, essendo nel nostro Ordine presenti circa 10 mila monache di clausura, contemplative.

    D. – Quale l’invito di Papa Francesco ai religiosi?

    R. – Quello di un’autenticità evangelica, di avere come punto di riferimento il Vangelo con tutto ciò che il Vangelo comporta, proprio in quanto proposta completamente alternativa rispetto alle varie politiche, ai vari poteri del mondo che però possono anche installarsi all’interno della Chiesa. In questo senso, capisco ancora meglio perché il cardinale Bergoglio volle chiamarsi “Francesco”.

    D. – Cosa dire di questo primo anno di Pontificato di Papa Francesco?

    R. – Certamente, ciò che io ho visto è un uomo di Dio che è profondamente impegnato nel portare avanti la missione che il Signore gli ha affidato.

    D. – Che cosa possono dare i Carmelitani Scalzi alla Chiesa, guidata oggi da Papa Francesco?

    R. – Un luogo di accoglienza. Un luogo di accoglienza innanzitutto dell’umanità del Signore Gesù, così come l’hanno vissuto Teresa d’Avila, Teresa di Gesù Bambino, i nostri santi; ma poi, un luogo d’accoglienza per l’umanità di ciascun fratello e di ciascuna sorella con quella profondità di accoglienza che non è solo accoglienza delle dimensioni esterne della persona, ma che cerca di essere un’accoglienza della persona integrale, quindi nella profondità del suo essere e del suo spirito.

    D. – “E’ il tempo della misericordia”, dice spesso Papa Francesco …

    R. – Sì, assolutamente, e ne ho avuto la conferma proprio nell’incontro che ho avuto con lui.

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    La Chiesa, il Vangelo, i poveri. Intervista al Papa di Radio Bajo Flores, emittente di una baraccopoli di Buenos Aires

    ◊   La Chiesa, il Vangelo, i poveri, la povertà al centro dell’intervista rilasciata nei giorni scorsi da Papa Francesco all’emittente argentina “radio FM 88.1 Bajo Flores” di una "villa miseria", una baraccopoli di Buenos Aires. La registrazione è stata trasmessa giovedì 13 marzo, in occasione dell’anniversario dell’elezione al soglio pontificio. Il servizio di Paolo Ondarza:

    Un salto indietro nel tempo a quando Jorge Mario Bergoglio, arcivescovo di Buenos Aires, si recava nella parrocchia Madre del Popolo nel "barrio porteño" di Bajo Flores per celebrare l’Eucaristia in mezzo ai poveri, intrattenendosi nelle loro case a prendere il mate o a salutare malati e anziani ai quali portava la comunione. Questo ha rappresentato, per i tanti presenti ieri alla celebrazione nella chiesa della "villa miseria" di Buenos Aires, la trasmissione sui maxi schermi dell’intervista concessa in video dal “Papa de los villeros”, questo il titolo della conversazione, a “radio FM 88.1 Bajo Flores”. Dodici le domande sulla presenza concreta della Chiesa in mezzo agli emarginati. Papa Francesco riflette sul lavoro pastorale dei "curas villeros", quei sacerdoti che lavorano nelle periferie tra i più poveri e la cui pastorale egli stesso ha sostenuto e promosso in qualità di arcivescovo di Buenos Aires; il Pontefice rimarca l’importanza dell’educazione dei giovani e del loro accompagnamento durante la crescita. Quanto fanno i sacerdoti nella "villa miseria" – spiega – “non è una cosa ideologica , ma una missione apostolica”. Il riferimento è a quanto in passato è stato detto su questi preti, che, chiarisce il Santo Padre, “non erano comunisti”, ma “grandi sacerdoti che ascoltavano il popolo di Dio e lottavano per la giustizia”. Nell’intervista, il Papa esprime la necessità “di avere un atteggiamento di povertà e servizio, di aiuto agli altri”, ma nel contempo – prosegue - bisogna “lasciarsi aiutare dagli altri”, “abbiamo bisogno gli uni degli altri”. Alla domanda su cosa gli piaccia di meno della sua missione di Successore di Pietro, Francesco risponde: “il lavoro con le carte, quello d’ufficio, nel quale” – confida – “ho sempre fatto fatica”. Quindi il Pontefice saluta affettuosamente i carcerati e i loro familiari, a tutti ancora una volta chiede preghiere: “ho bisogno del sostegno del popolo di Dio”.

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    Visita del Papa nella parrocchia di Santa Maria dell'Orazione. Intervista con il parroco

    ◊   Papa Francesco si recherà questa diomenica in visita pastorale presso la parrocchia romana di Santa Maria dell'Orazione di Setteville di Guidonia, nella periferia Nord della capitale. L’arrivo è previsto alle 16.00: il primo incontro è con i malati e i disabili, seguito dal saluto ai bambini e ragazzi delle Prime Comunioni e delle Cresime e alle comunità neocatecumenali. Il Papa confesserà alcune persone e dopo presiederà la Messa. Alle 20 circa, il rientro in Vaticano. Su questa visita, la quinta di Papa Francesco in una parrocchia romana, Federico Piana ha intervistato il parroco, don Francesco Bagalà, che racconta come si sia preparata la sua comunità:

    R. - Innanzitutto nella preghiera, in modo particolare con i ragazzi di Comunione e Cresima, centrata sul Mistero pasquale. 150 dei nostri ragazzi riceveranno la Prima Comunione dopo Pasqua ed in questa occasione chiederemo al Papa che ci aiuti per questo splendido giorno della Pasqua e della Prima Comunione. I ragazzi delle Cresime hanno fatto i ritiri - divisi in due gruppi, per un totale di 73 ragazzi - ed anche loro chiederanno al Papa un aiuto, una parola sullo Spirito Santo ed i suoi doni; magari l’esperienza dello stesso Papa Francesco. Con gli anziani abbiamo fatto l’unzione degli infermi; con i giovani ci siamo interrogati su quello che Gesù dice ai discepoli: “Voi chi dite che io sia?”. Ecco, perché attendiamo un incontro personale con Gesù Cristo: il Santo Padre verrà qui e siamo coscienti che ci visiterà anche il Signore.

    D. – Che frutti spirituali si aspetta che scaturiscano da questa visita di Papa Francesco?

    R. – La gioia dell’ascoltare il “kerigma”: l’annuncio che Gesù Cristo ha dato la sua vita per noi, che ha perdonato i nostri peccati. Dio è misericordia, Dio è amore. Vedere anche come l’uomo oggi ha bisogno di tornare a Dio con fiducia e di riscoprire il proprio Battesimo; la chiamata ad essere Santi, immacolati nell’amore. Essere, come dice anche Papa Francesco, “Chiesa in uscita”. E poi non solo la gioia di riscoprire le ricchezze del nostro Battesimo e della vita cristiana ma trovare l’amore di Dio anche nella sofferenza. Credo che non ci sia riforma più grande che riscoprire il proprio Battesimo, essere immersi nel Mistero pasquale e rinascere a vita nuova. Il Papa verrà nel giorno in cui il Vangelo è la Trasfigurazione: Pietro era presente sul monte Tabor e sarà qui in mezzo a noi per portarci a Gerusalemme dove Gesù muore, risorge, ascende al cielo e distribuisce doni; lo Spirito Santo per primo. Confidiamo in questo dono immenso dello Spirito Santo e della vita nuova in Cristo.

    D. – Possiamo raccontare che parrocchia è Santa Maria dell’Orazione a Guidonia e poi anche il contesto sociale, di quartiere dove si inserisce questa parrocchia?

    R. – Questa è una parrocchia di periferia di Roma ed anche di Guidonia. Qui, mancano i servizi sociali ed inoltre scuole, servizi, piazze… La popolazione è giovane: la giornata tipo di chi si è trasferito qui in periferia da Roma inizia alle sei circa per andare a lavorare e si torna per le otto. E' un quartiere dormitorio. È chiaro il disagio di non avere una scuola: noi copriamo le scuole di tutto il circondario e questa è una carenza ma speriamo che arrivi presto.

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    Sinodo. I card. Vingt-Trois, Tagle e Damasceno Assis nominati presidenti delegati

    ◊   In vista della terza Assemblea Generale Straordinaria del Sinodo dei Vescovi, che avrà luogo in Vaticano dal 5 al 19 ottobre 2014, sul tema Le sfide pastorali sulla famiglia nel contesto dell’evangelizzazione, Papa Francesco ha nominato presidenti delegati i cardinali André Vingt-Trois, arcivescovo di Parigi, Luis Antonio G. Tagle, arcivescovo di Manila, Raymondo Damasceno Assis, arcivescovo di Aparecida.

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    Il card. Tauran inviato del Papa alla consacrazione del Santuario di Agostino ad Annaba

    ◊   Papa Francesco ha nominato il cardinale Jean-Luis Tauran, presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso, suo Inviato speciale alla consacrazione del Santuario di Sant’Agostino d’Ippona ad Annaba, in Algeria, recentemente restaurato, che avrà luogo il 2 maggio 2014, nel centenario della sua elevazione a Basilica.

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    Nomine episcopali nelle Filippine, Inghilterra e Costa Rica

    ◊   Papa Francesco ha ricevuto nel corso della mattinata l’arcivescovo Orlando Antonini, nunzio apostolico in Serbia.

    Nelle Filippine, il Papa ha nominato arcivescovo metropolita di Zamboanga mons. Romulo T. De La Cruz, trasferendolo dalla sede di Kidapawan. Mons. De La Cruz è nato a Balasan, Iloilo nell'arcidiocesi di Jaro (Filippine), il 24 giugno 1947. Ha svolto gli studi secondari presso il “Notre Dame Archdiocesan Seminary” di Cotabato e quelli filosofici e teologici presso il Seminario Maggiore di Davao City. Ha fatto poi studi ulteriori presso il "Summer Institute on Pastoral Counseling" di Quezon City, e l'"Institute on Religious Formation" di St. Louis, negli USA. Fu ordinato sacerdote per l'arcidiocesi di Cotabato l'8 dicembre 1972. Dopo alcuni anni come Parroco a Tacurong, Sultan Kudarat, è stato dal 1976 al 1983 Rettore del “Notre Dame Archdiocesan Seminary” di Cotabato. Successivamente è diventato Vicario Generale dell'arcidiocesi di Cotabato. Eletto il 17 dicembre 1987 Vescovo Coadiutore di Isabela, è stato consacrato il 16 marzo 1988. E' poi diventato Ordinario il 28 gennaio 1989. L'8 gennaio 2001 è stato trasferito come Coadiutore a San Josè de Antigue, divenendone Ordinario il 16 marzo 2002. Il 14 maggio 2008 è stato trasferito come Ordinario di Kidapawan.

    In Costa Rica, il Pontefice ha nominato vescovo della diocesi di Ciudad Quesada il sacerdote José Manuel Garita Herrera, del clero dell’arcidiocesi di San José de Costa Rica, finora rettore del Seminario maggiore nazionale “Nuestra Señora de los Ángeles”. Il neo presule è nato a Heredia, nell’arcidiocesi di San José de Costa Rica, il 26 marzo 1965. Compì gli studi di Filosofia e Teologia nel Seminario Maggiore Nazionale di Costa Rica. Ottenne la Licenza in Diritto Canonico presso la Pontificia Università Gregoriana di Roma. Fu ordinato sacerdote il 26 novembre 1988, per il clero dell'arcidiocesi di San José de Costa Rica. Come sacerdote ha svolto i seguenti incarichi pastorali: Vicario Parrocchiale della Parrocchia di “Nuestra Señora del Carmen”, Uditore, Difensore del Vincolo e Vicario Giudiziale del Tribunal ecclesiastico, Professore di Sacra Scrittura nell’Università Autonoma di Centro America, Vicecancelliere e Cancelliere arcidiocesano, Economo arcidiocesano e Capo del personale della curia, Professore di diritto canonico nell’Università Cattolica, nell’Istituto Teologico dell’America Centrale e nel Seminario Maggiore Nazionale, Rettore del “Santuario Nacional Templo Votivo al Sagrado Corazón de Jesús”, Vicario Foraneo, Formatore, Direttore Spirituale, Professore e, dal gennaio 2010, Rettore del Seminario Maggiore Nazionale “Nuestra Señora de los Ángeles”.

    In Inghilterra, Papa Francesco ha nominato ausiliare dell’arcidiocesi di Birmingham padre Robert Byrne, dell'Oratorio di San Filippo Neri a Oxford, finora segretario del Dipartimento per il Dialogo e l'Unità della Conferenza episcopale d'Inghilterra e Galles, assegnandogli la sede titolare vescovile di Cuncacestre. Mons. Byrne è nato a Urmston, Lancashire, il 22 settembre 1956. Ha compiuto gli studi superiori al St.Bede's Grammar School e quelli universitari al King's College dell'Università di Londra. Nel 1980 entrò nell'Oratorio di Birmingham e, per esso, il 5 gennaio 1985 fu ordinato sacerdote. In seguito, con altri due Confratelli, si spostò nella parrocchia di St. Aloysius, a Oxford, per fondarvi un nuovo Oratorio (1993). Dal 1993 al 2011 è stato Prevosto dell'Oratorio ad Oxford, svolgendo contemporaneamente gli incarichi di Cappellano della prigione di Oxford e poi in quella di Bullingdon; di Governatore dell'Oratory School (dal 1996) e membro di vari suoi comitati; infine di Presidente della Deputazione Permanente della Confederazione Internazionale Oratoriana (dal 2000). Nel 2011 è stato nominato Segretario del Dipartimento per il Dialogo e l'Unità della Conferenza Episcopale d'Inghilterra e Galles.

    In Colombia, il Papa ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Sincelejo, presentata da mons. Nel Hedye Beltrán Santamaría, in conformità al canone 401 – parag. 2 del Codice di Diritto Canonico.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   Lavrov e Kerry divisi sulla crisi ucraina.

    Affinché siano una cosa sola: nell'assemblea degli ordinari cattolici presentati il motto e il logo del prossimo viaggio di Papa Francesco in Terra Santa.

    Ezio Bolis spiega che solo partendo dai suoi diari è possibile capire chi era veramente Giovanni XXIII.

    Se un treno è capace di sovvertire il potere: Emilio Ranzato recensisce il film "Snowpiercer" del regista sudcoreano Bong Joo-ho.

    Un ottimista con il Vangelo: Shinzo Kawamura sull'attività missionaria di Francesco Saverio in Giappone e Yoshiaki Ishizawa sulle iniziative in Cambogia della Sophia University.

    Una parrocchia in uscita: Gianluca Biccini sulla visita, domani pomeriggio, del vescovo di Roma a Santa Maria dell'Orazione.

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    Oggi in Primo Piano



    Referendum in Crimea. Un sacerdote: l'Ucraina non è spaccata, il popolo prega per la pace

    ◊   Ore di attesa per la crisi in Ucraina. Il Consiglio di Sicurezza dell’Onu si riunisce a New York per pronunciarsi sulla bozza di risoluzione messa a punto dagli Stati Uniti che definisce illegale il referendum di questa domenica sulla secessione della Crimea. A Mosca in almeno 50 mila hanno manifestato contro la politica russa al riguardo, mentre il premier ucraino Arseni Iatseniuk ha fatto sapere che la parte politica dell'accordo di associazione e libero scambio tra Kiev e l’Ue sarà firmata il 21 marzo prossimo. Il Parlamento di Kiev ha intanto revocato il mandato alla Rada della Crimea. Dall’Italia arriva l’appello del capo di Stato Giorgio Napolitano, che auspica la via del dialogo "per disinnescare i pericoli insiti in una contrapposizione o sfida minacciosa sullo status dell’Ucraina". Nel Paese però sale la tensione anche a Kharkiv, nella parte orientale, dove almeno due persone sono morte in scontri tra filo russi e nazionalisti. La gente, comunque, in Ucraina è unita dalla preoccupazione per il futuro. Lo testimonia don Oleksandr Khalayim, sacerdote della città occidentale di Horodok, che da tempo collabora con 'Aiuto alla Chiesa che Soffre' nel portare la propria testimonianza nelle parrocchie italiane. Giada Aquilino lo ha intervistato:

    R. – Possiamo dire che il Paese è totalmente diverso da quello di tre mesi fa. Per la preoccupazione si vede che il popolo, soprattutto i giovani, si sentono responsabili per tutto ciò che sta succedendo in Ucraina. Davvero la paura del sangue ha unito un popolo: si sta insieme. Non si parla adesso della differenza tra Chiese ortodosse, cattoliche, protestanti, perché tutti pregano insieme per la pace, affinché la situazione cambi. Anche a Maidan, la piazza centrale di Kiev, c’è grande rispetto per i sacerdoti: non c’è differenza tra il sacerdote ortodosso e quello cattolico. A Maidan, c’è sempre stata una tenda che fungeva da piccola cappella, dove si poteva pregare 24 ore su 24. Mi sembra che il popolo, di nuovo, stia cercando il senso di Dio. Per 70 anni si è gridato che Dio non esisteva. Questa situazione dice invece che, prima di cambiare la politica, l’economia, bisogna trovare Dio e bisogna cambiare dentro di noi.

    D. – Lei ci sta descrivendo un’Ucraina diversa da quella che appare dalle notizie che arrivano, riguardo a un Paese spaccato...

    R. - Sono stato due settimane fa in diverse parti dell’Ucraina e non si vede tutta questa differenza: si vede l’unità e come tutti siano preoccupati per il Paese. Sì, certo, esistono questi casi, unici, dove invece la situazione non è così.

    D. – Questa domenica il referendum in Crimea. Le organizzazioni internazionali fanno sapere che non riconosceranno l’esito della consultazione. La Russia dice invece che il diritto internazionale è rispettato. Ma che ore si stanno vivendo lì?

    R. – Adesso, lì non possono parlare, c’è il silenzio di 24 ore per il referendum. Ma come si può fare il referendum con le armi? L’esercito russo è dappertutto. Lì ci sono, per esempio, i nostri sacerdoti cattolici, sono 8-9, a cui ora non si possono portare medicine, non si può portare il necessario. Prima di entrare nella penisola di Crimea ci sono i controlli, così come ci sono all’aeroporto.

    D. – Cosa raccontano i sacerdoti?

    R. – Anche i sacerdoti dicono che adesso ci sono tante persone che cercano Dio, tante persone che entrano nelle chiese, anche se non sono credenti: accendono una candela e stanno cinque o sei minuti a pregare per chiedere la pace. Il popolo della Crimea non vuole la guerra. In Crimea vivono non solo russi ed ucraini, ma anche tanti tatari. E anche loro dicono: “Noi vogliamo solo la pace, perché questa è la nostra terra”.

    D. – I tatari rappresentano la comunità musulmana?

    R. – Sì, i tatari della comunità musulmana dicono: “Noi vogliamo rimanere in Ucraina, in questa terra, com’era prima”.

    D. – Anche a Kharkiv sta salendo la tensione. Che rischi ci sono?

    R. – La situazione è veramente molto difficile, perché è come se si trattasse di due vicini che non riescono a trovarsi d’accordo. Basta solo una piccola parola per fare esplodere quello che abbiamo visto per esempio l’altro ieri a Donetsk, dove ora dicono sono morte tre persone, ma probabilmente sono di più.

    D. – Lei ha vissuto tutti i momenti della crisi, ha visto la gente morire...

    R. – Sì. Ho assistito all’arrivo di questo nuovo governo, dopo gli scontri e le proteste. Non si vedeva, però, la gioia tra la gente. È come se in Paese ci fosse stato un funerale: ho visto piangere tutti. In treno, per esempio, ho visto persone piangere, non parlare, non scherzare. Sì, sembrava proprio il funerale di un grande Paese. Mi ha colpito la storia di un giovane, morto vicino alla città di Horodok per salvare la sua fidanzata. Quando hanno cominciato a sparare, infatti, lui con il suo corpo ha coperto la sua ragazza ed è stato ucciso. E quando lo hanno portato a casa, tutta la città è venuta a pregare per lui. Un altro episodio che mi ha toccato è quello di un padre che, al funerale del suo unico figlio, ha detto: “Questo nostro figlio - di una ventina d’anni - era la nostra speranza e tutto quello che facevamo era per lui, pensavamo che lui ci avrebbe aiutato più in là”. Ma con questo grande dolore, ha aggiunto: “C’è anche una grande speranza: che questa morte non sia vana e che porti il cambiamento al nostro Paese”.

    D. – Dai sacerdoti della Crimea a quelli che sono stati in piazza a Maidan, a Kiev, a quelli che sono nel suo Paese, Horodok, e in tutta l’Ucraina quale messaggio state diffondendo e quale messaggio ricevete dalla popolazione?

    R. – Le persone vengono per chiedere pace e per pregare. La speranza della Chiesa ucraina è che per rialzarsi si ritrovino i valori religiosi, si trovi di nuovo Dio, perché senza di Lui non possiamo costruire un Paese democratico, un Paese libero, dove siano presenti i valori umani.

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    Siria, tre anni fa l'inizio del conflitto. La Croce Rossa: cibo e medicine priorità assolute

    ◊   Tre anni fa iniziava il conflitto in Siria, trasformatosi presto in una sanguinosa guerra civile: alcune stime, non ufficiali, parlano di 146 mila morti, mentre 9 milioni di persone hanno urgente bisogno di assistenza. Tra esercito governativo e ribelli, continua la battaglia per il controllo delle aree strategiche del Paese: le truppe regolari sono entrate nelle scorse ore a Yabroud, località a nord di Damasco, finora in mano ai ribelli. Il servizio di Davide Maggiore:

    Dall’aria il bombardamento degli elicotteri, da terra l’avanzata dell’esercito, affiancato da elementi degli Hezbollah libanesi, che si scontrano con i ribelli islamisti di Al Nusra e con i qaedisti dello Stato islamico d’Iraq e del Levante. Così attivisti d’opposizione descrivono i combattimenti in corso a Yabroud: conquistare la città vicina alla frontiera libanese per le forze di Assad significherebbe impedire ai ribelli di ricevere qualsiasi rifornimento da oltre confine e allo stesso tempo prendere il controllo dell’autostrada che unisce Aleppo e Damasco alla costa, roccaforte degli alawiti. Fonti militari parlano di una fuga dei ribelli e, secondo gli attivisti anti-regime, sarebbe rimasto ucciso nei combattimenti uno dei comandanti locali di al-Nusra, Abu Azzam al Kuwaiti. Le stesse fonti riferiscono che l’uomo sarebbe stato uno dei negoziatori nelle trattative per la liberazione delle suore di Maaloula, avvenuta la scorsa settimana. Sul fronte politico, mentre da parte governativa si pensa anche alla campagna elettorale per il prossimo voto presidenziale, la Coalizione nazionale siriana, principale raggruppamento dell’opposizione all’estero, chiede che si facciano “pressioni sul regime affinché smetta di colpire i civili e acconsenta a un processo di transizione”.

    Dal punto di vista umanitario, la situazione resta preoccupante anche nella capitale Damasco. Lo spiega Francesco Rocca, presidente della Croce Rossa Italiana, nell’intervista di Luca Collodi:

    R. – C’è una finta normalità che regna a Damasco. Non si sente più il rumore di artiglieria ma in realtà, come si esce dal centro città e si arriva nella periferia, le immagini cambiano completamente: palazzi distrutti, abbandonati o occupati dai rifugiati. Gli sfollati interni hanno raggiunto i sei milioni e vivono senza elettricità, né acqua corrente. È la prima volta che ho provato su di me veramente il peso della vergogna, dell’assenza della comunità internazionale.

    D. – Quali sono i bisogni reali della popolazione?

    R. – Stiamo raggiungendo mensilmente, in questo momento, circa 600 mila famiglie, che equivale a circa tre milioni di persone. Ma i bisogni sono pari al doppio: cibo e medicine sono sicuramente la priorità assoluta. Poi, per i bambini aggiungerei la serenità: sono stati strappati dalle loro case in maniera violenta e sono accompagnati quotidianamente dai rumori della guerra. Abbiamo la responsabilità, anche per il futuro, di aiutare a ricostruire un clima sociale di convivenza. Così rischia di alimentarsi soltanto un clima di rabbia e di risentimento. Quello che noi ci aspettiamo è un’implementazione, da entrambe le parti in conflitto, della possibilità di accesso per gli aiuti umanitari. Vorrei ricordare che ci sono aree in cui ancora oggi l’accesso non è consentito: abbiamo provato a visitare ed entrare a Yarmuk – campo palestinese vicino Damasco – dove sono sotto assedio 20 mila persone, di cui circa cinquemila sono bambini e dove sono, inoltre, morte 120 persone di fame. È una tragedia nella tragedia che si sta consumando.

    D. – Lei ha detto che sul piano umanitario si registra un abbandono un disinteresse dei grandi Paesi occidentali. È così?

    R. – Sì, nel senso che la risposta che mi posso immaginare potrebbe arrivare, ma come? Abbiamo fatto conferenze, abbiamo cercato aiuti ma il problema è di accompagnare l’azione umanitaria concretamente. Ci sono partner con cui noi entriamo in azione tutti i giorni – parlo anche come Italia – su cui dobbiamo spendere una parola importante perché la responsabilità non è soltanto dei sirian,i ma anche di chi è armato e di chi sostiene tutto quello che sta avvenendo.

    D. – Le zone cristiane hanno un minimo di normalità, o sono sotto attacco anch’esse?

    R. – In questo momento, sono apparentemente in quella tregua di cui parlavamo prima, ma a Maalula ed in altre zone l’accesso è ancora difficile. È sempre una situazione in divenire, in cui non c’è mai certezza degli aiuti. Quindi, è l’intera comunità – quella cristiana, quella sunnita e sciita – a essere interessata. Non c’è una comunità in particolare che stia soffrendo di più o di meno.

    D. – Tra l’altro, ci sono persone che sembrano essere ancora in mano a sequestratori anche da un punto di vista religioso, di sacerdoti… Quindi, una situazione caotica anche da questo punto di vista…

    R. – Questo è quello a cui mi riferivo prima. Sicuramente, in questo conflitto c’è anche una esasperazione del radicalismo religioso che non fa mai bene e porta a queste violenze assolutamente ingiustificabili.

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    Elezioni in Serbia, favoriti i conservatori di Vučić

    ◊   Elezioni legislative questa domenica in Serbia. Sette milioni di cittadini al voto, oltre tremila candidati di 19 partiti per i 250 seggi del parlamento unicamerale. Più di 700 gli osservatori internazionali chiamati a vigilare sulle consultazioni. A Belgrado, si vota anche per le municipali con il rinnovo dei 110 seggi dell’Assemblea locale. Favoriti nella corsa i conservatori del vicepremier Vucic, leader del Partito del progresso serbo (Snc), mentre l’opposizione si presenta divisa: da una parte il Partito democratico dell’ex sindaco di Belgrado, Dragan Djilas, e dall’altro la nuova formazione dell’ex presidente, Boris Tadić. Molte le sfide che il Paese balcanico dovrà affrontare, a partire dall’integrazione europea fino alle scelte economiche. Ma come arriva la Serbia all’appuntamento elettorale? Benedetta Capelli lo ha chiesto a Matteo Tacconi, coordinatore del sito "rassegna est.com", esperto di Balcani:

    R. – Arriva con un risultato importante incassato, cioè l’avvio dei negoziati di adesione all’Unione Europea: poi va precisato che un conto è avviarli e un conto è arrivare a un esito. Si parla del 2020, c’è ancora tanta strada da fare... Però, questo è un risultato che la Serbia ha incamerato, tant’è che il voto anticipato è stato convocato dopo che c’è stato l’accordo in tal senso. La questione del Kosovo invece rimane sullo sfondo, ma rimane sempre un nodo. C’è stato un accordo sulla normalizzazione dei rapporti tra i due Paesi, però la tensione nelle aree serbe del Kosovo, cioè nel nord del Paese, rimane abbastanza forte. La minoranza serba in Kosovo è arrabbiata con Belgrado, perché sostiene di essere stata abbandonata, e Belgrado sa bene che per portare avanti il discorso con l’Europa deve cedere sul Kosovo. Poi, c’è il discorso dell’Europa. Il presidente Nikolic, il vicepremier Vučić e i conservatori in Serbia hanno fatto una scelta, hanno rotto con la tradizione antieuropea e puntano sull’Europa: che sia sincera o opportunistica, in fin dei conti, non è molto utile discuterne, perché si va avanti su quella strada. E poi c’è l’economia: lì, secondo me, è il vero fronte, perché la Serbia è un Paese che, come tutti i Paesi della regione e dell’intera Europa, ha attraversato delle fasi di recessione legate alla crisi globale e al fatto che comunque dipende dagli investimenti dall’estero. Poi, c’è anche un altro problema, perché c’è stata una ripresa, il Pil va bene adesso e c’è il boom dell’export, ma di tutto questo i serbi non beneficiano. L’export è fatto dalle aziende estere che hanno investito in Serbia e non c’è una ricaduta sul fronte dei consumi interni e dell’occupazione. Il tasso di senza lavoro è al 25%: un serbo su quattro non lavora.

    D. – Quindi, le sfide che dovrà affrontare il nuovo esecutivo si collocano più che altro nella dimensione economica?

    R. – Penso proprio di sì, considerando anche che in tutta la regione negli ultimi anni, e da ultimo in Bosnia, si è visto che c’è grosso fermento sociale, la gente protesta contro i governi. I Balcani sicuramente sono meglio di come non fossero cinque, dieci, quindici o venti anni fa, ma ci sono larghe fasce di popolazione tenute fuori dalla crescita: non si sta creando una classe media. Visto che la Serbia è rimasta per ora immune da queste tensioni, io credo che Vučić debba un po’ guardarsi le spalle. Se ci sono tutti questi disoccupati, se c’è questa frustrazione sociale, non è escluso che possa aprirsi anche un fronte in Serbia da questo punto di vista. Secondo me, Vučić cercherà di tamponarlo dispensando un po’ di politiche paternalistiche, magari alzando un po’ le pensioni, evitando che il Fondo monetario metta un po’ troppo il dito nella piaga. Però, il rischio è che queste siano tutte soluzioni palliative… Sicuramente, la Serbia ha anche bisogno di uno shock riformista e non so quanto Vučić – sempre che vinca e che trionfi con una maggioranza assoluta – riesca a garantirlo. Il punto è questo.

    D. – Ma quali sono stati gli elementi di forza che hanno creato consenso proprio intorno a Vučić?

    R. – Anzitutto, è un uomo forte e in un Paese dove c’è una sindacalizzazione relativa, le conquiste sociali sono relative e che rimane ancora un’idea un po’ socialista che lo Stato debba dare, che lo Stato debba aiutare, l’uomo forte, con una verve paternalistica prende voti. Poi, c’è anche il discorso del risultato raggiunto con l’Europa: alla fine è un dato di fatto e sicuramente non tutti i serbi credono a questa integrazione, ma la maggioranza sì, e avendo avviato i negoziati, questo è un punto che va a vantaggio di Vučić.

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    Renzi a confronto con l'Europa. Intesa con Hollande: priorità a crescita e lavoro

    ◊   Impegnativo tour europeo per il premier italiano Renzi che oggi a Parigi ha incontrato Hollande, lunedì vedrà la Merkel in Germania e giovedì, prima dell'inizio del vertice europeo, il presidente della Commissione Ue, Barroso. A Parigi, Renzi e Hollande hanno concordato che la priorità attuale va a crescita e lavoro. Sullo sfondo di questa missione, tante dichiarazioni e alcuni provvedimenti come i primi tagli alle tasse e qualche euro in più nelle buste paga di chi in Italia guadagna di meno. Tra gli annunci la conferma che il governo rispetterà gli impegni presi con l’Europa e terrà i conti in ordine, ma decidendo in autonomia sulle riforme da fare e proponendo un’inversione di rotta che accanto al rigore preveda la crescita e il lavoro. Al microfono di Adriana Masotti sentiamo l’economista Leonardo Becchetti, ordinario di economia politica all’Università Tor Vergata di Roma:

    R. – Innanzitutto, penso che il rapporto tra Italia ed Europa non debba essere quello di fare i compiti a casa presi da una maestra, ma piuttosto ridiscutere assieme ai Paesi membri quella che può essere la strategia migliore. In questo momento l’Unione Europea sta chiaramente adottando una politica troppo recessiva e quindi Renzi deve assolutamente battersi per una politica fiscale comunitaria molto più espansiva e per una politica monetaria molto più simile a quella che sta perseguendo la Fed negli Stati Uniti, con l’obiettivo di ridurre la disoccupazione piuttosto che guardare solamente all’inflazione.

    D. – Ma rispettare gli impegni, cioè nel nostro caso non superare il 3% nel rapporto debito-Pil e, insieme, investire nella crescita è possibile?

    R. – Io credo che gli impegni debbano essere da entrambe le parti. Renzi dovrebbe far presente che esiste un impegno italiano che, tra l’altro, andrebbe un pochino ridiscusso, ma esiste anche un impegno da parte delle istituzioni comunitarie. La Banca Centrale, ad esempio, ha l’obiettivo di tendere al 2% d’inflazione. In questo momento, l’inflazione invece è molto inferiore e questo rende molto difficile il rispetto del nostro impegno. Infatti, se noi dobbiamo rispettare il Fiscal compact dall’anno prossimo in poi, questo comporta almeno due punti in più di crescita, quando l’inflazione è così bassa. Io chiederei, quindi, un rispetto degli impegni da tutte e due le parti e, in particolare, insisterei sul fatto che l’Unione Europea deve aumentare leggermente il proprio tasso d’inflazione e non deve tenere il tasso di cambio così alto, cosa che svantaggia moltissimo il tentativo di far ripartire la crescita in tutti i Paesi membri, inclusa l’Italia.

    D. – Con quale autorevolezza, con quale credibilità, secondo lei, Renzi si presenta in Europa?

    R. – Credo che sicuramente abbia dato un segno di entusiasmo, di energie. Ovviamente deve poi dimostrare che dietro gli annunci ci sono i fatti, attraverso la realizzazione di quello che ha promesso. Io credo, però, debba anche supportare le proprie posizioni con le idee di economisti autorevoli, che nelle diverse parti del mondo, hanno sostenuto che la politica europea in questo momento è troppo recessiva. Sicuramente questi economisti autorevoli hanno curriculum più importanti di quelli dei funzionari europei, che ora ci chiedono di fare i compiti a casa.

    D. – Tutti guardano in particolare alle reazioni della Germania. Lei che cosa si aspetta dalla Merkel che, comunque, ha detto che quello presentato da Renzi è un piano ambizioso?

    R. – Probabilmente c’è una certa simpatia e bisogna giocare anche su questo. D’altra parte, bisogna convincere i tedeschi che è anche loro interesse avere un’Europa con più crescita, avere un’ Europa dove anche i Paesi del Sud hanno uno sviluppo dell’economia migliore di quello di adesso. E trovare, quindi, quelle situazioni che noi economisti chiamiamo “win win”, cioè quelle situazioni di miglioramenti e di riforma, dove tutti i giocatori hanno dei vantaggi, quindi anche la Germania.

    D. – Riguardo poi all’Italia, lei che cosa si auspica, è anche lei in attesa di vedere che cosa poi delle tante promesse si riuscirà a realizzare da parte del governo?

    R. – Io insisto sul fatto che il problema dell’Italia è un problema di domanda interna, ovvero l’economia non va avanti perché la gente non compra. Bisogna, dunque, sostenere la domanda interna e per sostenere la domanda interna non è certo la spending review la strada migliore. La strada migliore è quella di riqualificare la spesa e quindi bene ha fatto Renzi a varare un programma sulla casa, un programma sulla ristrutturazione del territorio, un programma sulla ristrutturazione degli edifici scolastici. Queste sono cose che attivano settori ad alta intensità di lavoro e fanno ripartire l’economia. Io credo, quindi, che la strada da seguire sia questa. Bisogna fare molta attenzione anche sul cuneo, perché è bene rimettere i soldi nelle tasche dei cittadini, ma se questo finanziamento del cuneo viene accompagnato da manovre che riducono la domanda pubblica, questo può addirittura avere un saldo zero, un saldo negativo sull’espansione dell’economia. Bisogna tener conto, fondamentalmente, di quelli che sono gli insegnamenti di Keynes che ci dice che è soprattutto la domanda, in questo momento, ad essere molto importante, essendo proprio la domanda interna a languire oggi.

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    Giornata contro i disturbi alimentari. L'esperta: aiutare giovani contro stereotipi bellezza

    ◊   Oltre due milioni di adolescenti in Italia soffrono di disturbi alimentari che sono la seconda causa di morte tra i ragazzi. Una novità positiva: l’artista americano, Nickolay Lamm, è riuscito a mettere in produzione una bambola le cui misure corrispondono in proporzione a quelle di una ragazza americana media. Lo scopo è promuovere un’immagine più positiva del corpo femminile ai bambini. Mariella Falsini, presidente di Consultanoi, Associazione nazionale di volontariato per i disturbi del comportamento alimentare, ne parla nell'intervista di Maura Pellegrini Rhao:

    R. – Sono tante le persone che soffrono. Sono tante le persone che si nascondono perché si vergognano. Comprendere i disturbi del comportamento alimentare e attivare dei percorsi assistenziali ovunque significherebbe fare in modo di consentire alle persone che chiedono aiuto, anche inconsapevolmente, di iniziare subito quel percorso che deve essere fatto: la conoscenza e la formazione di tutto il personale sanitario e l’attivazione di percorsi che consentono l’assistenza alla persona che chiede aiuto.

    D. – Come è attuabile una prevenzione?

    R. – Cerchiamo di fare la prevenzione nelle scuole nell’età a rischio. Abbiamo, ad esempio, presentato un progetto al Ministero della sanità dal titolo “Dca: divulgazione, conoscenza, approfondimento sui disturbi del comportamento alimentare". Non si parla più soltanto di una malattia femminile. Si parla di una malattia che non guarda il sesso. È un disturbo che abbraccia un’età che va dagli 8 anni fino ai 50 anni, addirittura. Il problema è che il nostro cervello è un organo e, come tale, si ammala alla stregua di tutti gli altri organi. Nessuno si vergogna di essere cardiopatico, iperteso, diabetico. Nessuno si deve vergognare di avere un disturbo del comportamento alimentare, perché soltanto così si può curare.

    D. – La principale causa è solo legata ad una questione di modelli proposti?

    R. – Quello che è intorno a noi – la società in genere – dà la possibilità di avere dei modelli da seguire. È ovvio che la società vede in maniera positiva le persone magre. Se una persona non sta bene con sé stessa, se ha delle difficoltà oggettive ad accettarsi, prenderà come riferimento quei modelli e crederà di essere accettata in maniera migliore o più positiva dagli altri se ha un peso inferiore. Però, non parte dal peso, non parte dal voler essere magre: parte dall’accettazione di sé stessi.

    D. – È stata creata una nuova bambola le cui misure sono basate sulle dimensioni medie di una ragazza di 19 anni. È un risultato positivo...

    R. – Penso di sì. Se noi cambiamo comunque ottica sulla bellezza, su quello che noi crediamo possa essere lo stereotipo di bellezza, è ovvio che faremo un passo avanti. Ma la cosa più importante è capire un po’ più a fondo i nostri ragazzi. Ed è possibile fare questo non soltanto capendoli, ma cambiando i canoni che noi – perché la società siamo – abbiamo dato. Quindi, è giusto e corretto avere una sana alimentazione, ma il cibo in questo caso è soltanto uno strumento per queste persone che soffrono. Per quanto riguarda l’obesità, la bulimia, queste persone cercano di riempire un vuoto. Per quello che riguarda l’anoressia, queste persone cercano di avere un controllo su loro stesse credendo di averlo poi su quello che è il loro mondo. Poi, di fatto, è il contrario.

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    Un restauro on line per San Francesco a Ripa

    ◊   Parte la racconta fondi internazionale on-line per restaurare il Santuario romano di San Francesco a Ripa. La cella, dove il Santo di Assisi soggiornò più volte, necessita di lavori urgenti di restauro, per tutelare il suo inestimabile valore spirituale e le antiche opere d’arte in essa custodite. Per finanziare il progetto i frati romani hanno lanciato una campagna di raccolta fondi sul web che durerà circa quaranta giorni. Veronica Giacometti ha intervistato il parroco della Chiesa di San Francesco a Ripa, padre Stefano Tamburo:

    R. - Questa iniziativa è finalizzata a raccogliere la somma di denaro che ci serve per restaurare la Cella di San Francesco, ovvero il Santuario qui a San Francesco a Ripa. Ovviamente in questo tempo particolare di profonda crisi, non è facile ottenere i fondi dallo Stato che dovrebbe provvedere , in qualche modo, al suo restauro. Attingendo un po’ anche alla nostra tradizione francescana, ci è venuto in mente il modello questua che i frati - fin dall’inizio - adottano. E questo ha reso possibile la costruzione di tutte le chiese, così come questa. Quindi ritornare a chiedere alla gente un contributo, secondo le proprie possibilità. Abbiamo usato la piattaforma americana per via dell’affidabilità e anche per diffondere questa notizia in modo più capillare, essendo una nazione abituata a questa raccolta di fondi.

    D. - La scelta di utilizzare donazioni private, attraverso il web da cosa è motivata principalmente?

    R. Ci ha spinto proprio la motivazione di non dover gravare sullo Stato o su sponsor pubblici che, vivendo questo periodo di crisi, hanno difficoltà: quelle somme di denaro possono così essere usate per fini sociali. Nonostante l’urgenza estrema del restauro del Santuario, che rischia di cadere a pezzi.

    D. - Perché è importante San Francesco a Ripa nel mondo?

    R. - San Francesco a Ripa è famoso nel mondo perché - come ogni santuario - è un luogo dove è accaduto qualcosa di particolare, dove un santo ha vissuto una particolare esperienza di Dio. Oggi, attraverso il contatto con queste pietre, ridando a queste pietre quella voce originaria, significa riappropriarci dell’esperienza di Francesco, che qui a San Francesco a Ripa viveva sia il rapporto con la Chiesa, quindi con il Papa, sia soprattutto il rapporto con la povere gente: faceva servizio, accudiva i lebbrosi e serviva i malati. Oggi significa risentire o cercare di risentire, attraverso queste pietre, questa esperienza umana e cristiana di Francesco.

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    Giovanni Allevi agli studenti della Salesiana: nella mia musica la ricerca di Dio

    ◊   "Comunicazione e musica” è il titolo dell’incontro con il maestro Giovanni Allevi, ospitato oggi pomeriggio dalla Pontificia Università Salesiana di Roma. In questa occasione, la Facoltà di Scienze della comunicazione sociale dell’Ateneo, nel suo 25mo di fondazione, assegnerà al musicista una speciale benemerenza nel campo della comunicazione musicale. Giovanni Allevi, artista di fama internazionale, molto amato dal pubblico, in particolare dai giovani, è impegnato in questi giorni nel suo Tour “Solo Piano 2014”. Prossima tappa, il 19 marzo a Lugano. Roberta Gisotti lo ha intervistato:

    D. – Maestro, quanto ha contato nel suo possiamo dire travolgente successo, oltre alle sue indubbie doti artistiche, la sua capacità di comunicare?

    R. – Probabilmente non riesco a rendermene conto. Sicuramente, non posso prescindere dalla mia capacità comunicativa. Continuo però a pensare che sia la musica l’elemento principale ad avere stabilito, ad avere toccato il cuore della gente. Forse, quella musica ha una grande capacità comunicativa.

    D. – Nella sua biografia ufficiale è riportata questa sua frase: “Oggi l’artista deve essere un po’ filosofo, un po’ inventore, un po’ folle, deve uscire dalla torre d’avorio e avvicinarsi al sentire comune”. Che senso ha questa riflessione?

    R. – Alla base di questa riflessione c’è proprio la mia esigenza – e credo anche quella di un intero movimento artistico – di uscire fuori dalla torre d’avorio che rappresenta in un certo senso l’accademismo, in cui io stesso sono cresciuto, per avvicinare la propria arte, la propria espressione, al sentire comune, cioè avvicinarsi alla gente e riuscire a raccontare questo nostro tempo, riuscire a raccontare anche gli slanci e le aspirazioni delle persone, che vivono intorno a noi in questo momento, quindi nel presente.

    D. – Di lei si è letta questa definizione, “L’enfant terrible della musica classica contemporanea”. Ecco, prima di lei questi due aggettivi non venivano appaiati, ma certo possiamo dire che anche Mozart al suo tempo sarà stato un artista classico contemporaneo...

    R. – Si, certo, certo. Può sembrare un ossimoro, la vicinanza della classicità alla contemporaneità. In realtà, la mia definizione vuole avere un significato puramente tecnico e prescinde da qualunque giudizio di valore. Per classicità intendo il recupero di forme e di architetture, che sono proprio tipiche della tradizione classica: per esempio, la forma sonata, la sinfonia, il concerto per strumento solista e orchestra. La contemporaneità invece concerne, a mio avviso, i contenuti. Ossia, è necessario che quelle forme classiche inglobino i ritmi e i suoni che sono intorno a noi in questo momento. Per questo ho immaginato, ho pensato che fosse possibile, e anche necessaria, una musica classica nelle forme e contemporanea nei contenuti, la cosiddetta "musica classica contemporanea", che tanto ha fatto e continua a far discutere il mondo accademico. Ed è giusto che faccia discutere, perché vuole rappresentare la possibilità, irriverente sotto certi aspetti, che la musica classica si evolva continuamente e quindi torni a parlare, a raccontare il presente e non più un’epoca di due secoli fa.

    D. – Leggendo la sua biografia, incuriosisce il tema della sua tesi in filosofia: “Il vuoto nella fisica contemporanea”. C’è stata o c’è una trasposizione di questo concetto nella sua musica?

    R. – Probabilmente sì, perché secondo la meccanica quantistica, quindi le ultime teorie della fisica contemporanea, il vuoto assoluto non esiste. Il vuoto è sempre, comunque, un elemento ribollente di attività, di attività subatomica, da cui poi si origina il pieno, si origina la materia. Io lo posso assimilare al silenzio in musica che, nonostante sia privo di suono, è sicuramente molto espressivo e dà la possibilità al suono, che poi sopraggiunge, di manifestare tutta la sua potenza. C’è, dunque, sicuramente un parallelismo tra la mia ricerca filosofica sul vuoto e la musica.

    D. – Pensando ai tanti giovani, suoi fan, e agli studenti universitari, come è stato anche lei, quanto è importante coltivare un’arte come la musica o altre arti, al di là del lavoro che poi si farà per vivere?

    R. – E’ importantissimo perché dobbiamo dare ai ragazzi la possibilità di esprimere il proprio mondo interiore. Questo può essere fatto attraverso la musica, attraverso la pittura, attraverso la letteratura, attraverso qualunque forma d’arte, indipendentemente dal fatto che quello diventerà il lavoro e quindi un mezzo per la propria sussistenza. E’ necessario, è quasi direi urgente, che i ragazzi oggi trovino la possibilità di esprimere il loro sentimento, di esprimere anche la loro rabbia repressa, per evitare che possano dirigere questa energia, questa energia sotterranea, verso forme che magari possono essere anche autolesioniste. Quindi, “Evviva l’arte!” e soprattutto cerchiamo di raccontare questo nostro tempo con una nuova arte, cosa che ancora non è stata fatta.

    D. – Sempre pensando ai giovani, quale suggerimento su come gestire – se arrivano – il successo, i soldi, la notorietà? Si dice pure che non sempre sia una fortuna...

    R. – Basta pensare che comunque tutto purtroppo è labile: il successo e la notorietà possono arrivare magari all’improvviso e allo stesso modo se ne possono andare. Quindi, è meglio concentrare la nostra attenzione su ciò che davvero conta. Per quanto mi riguarda, è scrivere la musica, è comporre musica, è mettere tutto me stesso in quello che sto facendo, senza pensare al riscontro esterno, senza pensare al successo, alla notorietà, che sono una conseguenza - soltanto una conseguenza! - della mia attività artistica. Se dovessero diventare un fine, probabilmente la mia vita si trasformerebbe in un inferno.

    D. – Un’ultima domanda sulla comunicazione, che oggi pervade ogni ambito della nostra vita: lei, come artista, portato quindi a ricercare anche momenti di isolamento creativo, soffre la sovraesposizione mediatica e se sì come si difende?

    R. – No, non la soffro. Anche perché i media rappresentano per me, nel loro senso concreto del termine, dei mezzi: dei mezzi per esprimere e per veicolare dei contenuti. Ciò che conta sono i contenuti. Se si ha davvero qualcosa da dire, ci sarà dall’altra parte qualcuno disposto ad ascoltare e a fare tesoro di ciò che viene detto, indipendentemente dal mezzo che viene utilizzato. Dunque, ci sono dei momenti in cui io sento fortemente la necessità di esprimere il mio mondo interiore attraverso la musica e di condividerlo. Come conseguenza, si determina una esposizione mediatica, ma è soltanto una conseguenza di quello che io sento di dover fare dentro di me. Credo che sia questo ciò che conta in assoluto.

    D. – Bisogna avere, però, l’equilibrio di ritirarsi quando è necessario, raccogliersi in se stessi…

    R. – Certo, assolutamente. Ed è quello il momento in cui inevitabilmente la cosiddetta esposizione mediatica finisce o si limita. Ma tutto, tutto parte da quello che hai dentro, da quello che vuoi esprimere e da quando vuoi esprimerlo. Non sono spaventato. Trovo tutto molto naturale.

    D. – Maestro Allevi, lei oggi parlerà a degli studenti di una Università pontificia, una Università cattolica. Nella sua arte c’è la ricerca dell’aldilà?

    R. - Sì, deve esserci. Io lo ho sempre considerato come un fine della mia arte, ma credo anche dell’arte in generale, quello di riuscire a cogliere una luce. E’ l’esigenza che viene da me, che sono la persona più piccola e che mi riputo avvolta nell’ansia e spesso in contatto con il buio dell’anima: ecco, questa persona che sono cerca, cerca spasmodicamente una luce. Io la trovo nella musica, nella musica che scrivo, e quindi penso che come principio regolativo questa musica voglia condurmi verso una dimensione superiore. Non so se riesca a farlo, però lo considero un fine, lo considero un fine della mia musica.

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    Il commento di don Ezechiele Pasotti al Vangelo della Domenica

    ◊   Nella seconda domenica di Quaresima, la liturgia ci presenta il Vangelo in cui Gesù viene trasfigurato sul monte Tabor davanti a Pietro, Giacomo e Giovanni. Una nube luminosa li copre con la sua ombra. E una voce dalla nube dice:

    «Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento. Ascoltatelo».

    Su questo brano evangelico ascoltiamo il commento di don Ezechiele Pasotti, prefetto agli studi nel Collegio Diocesano missionario “Redemptoris Mater” di Roma:

    Dal deserto – il luogo della prova, della ribellione, dove abita il tentatore, l’accusatore (I domenica di Quaresima) – al monte della trasfigurazione, al luogo della manifestazione di Dio, della sua rivelazione, della sua santità: ecco il cammino che questa seconda domenica di Quaresima apre davanti a noi. Il Signore Gesù porta con sé i discepoli Pietro, Giacomo e Giovanni, per prepararli al mistero della Pasqua e renderli suoi testimoni. E viene trasfigurato davanti a loro: il suo Volto si illumina della gloria divina, le sue vesti splendono del segno della vittoria pasquale. Sono presenti anche Mosè ed Elia a dichiarare il compimento delle promesse fatte da Dio nell’Antico Testamento. Gli apostoli “vedono” la gloria del Figlio di Dio e Pietro esclama: “Signore, è bello per noi essere qui!” e contemplare il Volto di Dio. È la somma felicità dell’uomo: noi siamo stati voluti e creati da Dio per stare con lui, nella sua casa, per godere del suo volto. È un istante, poi la Nube ricopre tutto con la sua ombra e la voce rivela: “Questi è il Figlio mio, l’amato, in Lui ho posto il mio compiacimento. Ascoltatelo”. Un “ascolto” che è obbedienza, che è desiderio di seguirlo fino alla croce, fino alla risurrezione e alla gloria. La rivelazione che lo Spirito del Padre fa del Figlio è un dono che viene a noi dall’”eccesso sovrabbondante della divina Bontà” (T. Federici), che oggi ci fa Chiesa, sposa del Verbo, e ci prepara a partecipare al mistero della sua Pasqua per entrare nell’intimità di Dio.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Pakistan: a Lahore convocato il processo di appello per Asia Bibi

    ◊   Dopo più di quattro anni di carcere, i giudici del tribunale di appello apriranno il prossimo 17 marzo il procedimento per la revisione della condanna di Asia Bibi, cristiana pakistana condannata a morte senza prove sulla base della famigerata "legge sulla blasfemia". Madre di cinque figli, Asia Bibi è stata arrestata nel 2009 con l'accusa di aver insultato Maometto e quindi condannata a morte. La comunità internazionale, la Chiesa cattolica e diverse organizzazioni per i diritti umani - riferisce l'agenzia AsiaNews - hanno protestato contro questa sentenza, che ora dovrà essere analizzata dall'Alta Corte di Lahore.

    Il Centre for Legal Aid, Assistance and Settlement - gruppo che fornisce assistenza legale ai membri delle minoranze pakistane e alla stessa Bibi - conferma l'appello. Il direttore della sezione pakistana, Joseph Francis, dice: "Il caso ha tutto il nostro sostegno. Spero che non ci saranno pressioni degli estremisti sui giudici, che devono gestire il caso con cura, considerazione e diligenza. Se i giudici saranno lasciati liberi di prendere una decisione giusta, le accuse cadranno".

    Nasir Saeed, della sezione britannica, è meno positivo: "Non sarà per niente facile, soprattutto per i giudici che si troveranno sotto gli occhi del mondo intero. Prego che Dio riempia il loro cuore di coraggio e di fermezza, e che dia loro la forza di sconfiggere la paura. Spero anche che seguiranno il diritto e lasceranno che a vincere sia la giustizia".

    Cristiana e madre di cinque figli, nel novembre 2010 Asia è stata condannata a morte in base alla "legge nera" ed è in attesa della sentenza di appello sin da allora, rinchiusa in isolamento nel carcere femminile di Sheikhupura (nel Punjab). Per la sua liberazione si sono mobilitati il governatore del Punjab Salman Taseer e Shahbaz Bhatti, ministro per le Minoranze religiose: entrambi sono stati assassinati nel 2011, per mano degli estremisti islamici. Il Papa emerito Benedetto XVI ha lanciato un appello per la liberazione di Asia Bibi, provata nel fisico e nel morale dalla lunga prigionia.

    L'appello dovrà decidere sul "crimine" commesso da Asia Bibi, ovvero aver bevuto un bicchiere d'acqua raccolta da un pozzo di proprietà di un musulmano. Da qui l'accusa di aver "infettato" la fonte, poi la discussione con le altre donne e, infine, l'incriminazione per aver "insultato il profeta Maometto". (R.P.)

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    India: reazioni alla sentenza sulla suora stuprata durante i pogrom in Orissa nel 2008

    ◊   Un verdetto che mostra in modo chiaro "la connivenza e il sostegno dei funzionari pubblici alle violenze deliberate dei fondamentalisti indù". Lo afferma all'agenzia AsiaNews Sajan George, presidente del Global Council of Indian Christians (Gcic), commentando la sentenza di un tribunale di Cuttack sul caso di suor Meena Barwa, stuprata e umiliata da una decina di persone durante i pogrom di Kandhamal (Orissa) del 2008.

    Nove uomini sono stati processati per le violenze compiute sulla religiosa: i giudici hanno però condannato solo tre di loro, dando piena assoluzione agli altri sei. Una decima persona, identificata dalla stessa vittima, non è mai stata arrestata. "Siamo sconvolti e costernati dal verdetto pronunciato dalla corte distrettuale di Cuttack - sottolinea Sajan George - in merito a un atto criminale e disumano. La suora è stata aggredita, stuprata e trascinata nuda per le strade del distretto di Kandhamal, esposta al pubblico ludibrio. Già all'epoca quanto accaduto ha scosso la coscienza di tutta la nazione, e quasi tutti i giornali ne hanno parlato".

    In tal senso, spiega il presidente del Gcic, "la sentenza mostra che la complicità riguarda l'intera macchina processuale: le indagini, la documentazione, le accuse e i procedimenti. Le agenzie statali hanno fallito in modo eclatante nel dare il necessario sostegno istituzionale alle vittime". Secondo Sajan George il caso "indica in modo evidente un pregiudizio istituzionale nei confronti della comunità cristiana. Minimizzare la violenza sessuale contro le donne è un'inadempienza deliberata del proprio dovere, che viola ogni garanzia sancita dalla Costituzione". (R.P.)

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    Funerali di don Lazzaro Longobardi. Mons. Galantino: un martire della carità

    ◊   In tanti hanno partecipato ai funerali di don Lazzaro Longobardi, il sacerdote ucciso a Sibari, in Calabria, a colpi di spranga il 2 marzo scorso. Mons. Nunzio Galantino, vescovo di Cassano all’Ionio e segretario generale della Conferenza episcopale italiana, ha presieduto il rito definendo il prete un "martire della carità". Il suo esempio, ha detto il presule, non deve essere sepolto con lui: "Mi sembra che come cristiani abbiamo la responsabilità di non lasciar passare nulla invano, nella nostra vita". "La Parola di Dio è fatta anche di eventi, anche questi eventi duri da capire - ha sottolineato - e la nostra risposta può solo maturare con un impegno maggiore, con una Chiesa che, a partire dal sangue di padre Lazzaro, qui si dia più da fare"."Il martirio di padre Lazzaro - ha sottolineato mons. Galantino - ci dice che nella Chiesa, l'amore per Cristo e per il Vangelo ė capace di provocare gesti significativi di accoglienza e di essere davvero profetica. Cioè quella capacità di porre gesti non banali e prevedibili e quella capacità di dire parole significative per il nostro territorio, che rischia tante volte di essere soffocata da eccesso di prudenza, che poi è solo paura di osare e calcolo strumentale; che rischia di essere soffocata da eccesso di equilibrio, che poi è solo voglia di non essere scomodati dalla radicalità del Vangelo". Poi ha invitato a mettere da parte “una pastorale fatta di reticenze che amiamo chiamare rispetto per le tradizioni” e “la sterile ripetitività di gesti che, per quanto carichi di sacralità, sortiscono solo l'effetto di mettere a posto la nostra coscienza per lo più addormentata”. “Il martirio di padre Lazzaro – ha detto - ci dice che la nostra Chiesa e il nostro territorio hanno le energie necessarie e possono contare su una religiosità straordinarie, capaci di ridare vita e di far germogliare speranza". "Se è vero che 'il sangue dei martiri è vita di nuovi cristiani', come affermava Tertulliano - ha concluso mons. Galantino - il sangue versato da padre Lazzaro ottenga alla nostra Chiesa una vita nuova. Nuova perché più evangelica, più attenta ai bisogni degli ultimi e meno ripiegata, come ci invita a fare Papa Francesco, su se stessa, perché disponibile a lasciarsi guidare dallo Spirito di Dio piuttosto che dallo spirito del mondo". Don Longobardi sarà sepolto, per volontà dei parenti, nel cimitero di Castellammare di Stabia.


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    Sri Lanka. Il clero tamil all’Onu: “Abusi sui diritti umani, urge un intervento internazionale”

    ◊   Urge una inchiesta internazionale sulle violazioni dei diritti umani e del diritto umanitario avvenute durante la guerra civile e che proseguono anche oggi in Sri Lanka: lo scrivono i sacerdoti tamil, residenti nel Nord e nell’Est dell’isola, in una lettera al Consiglio Onu per i diritti umani delle Nazioni Unite. La missiva, inviata all'agenzia Fides, è firmata da 205 sacerdoti e religiosi, tra i quali Oblati di Maria Immacolata, Gesuiti, altri religiosi e oltre 100 suore. Primo firmatario, mons. Rayappu Joseph, vescovo di Mannar espostosi nel chiedere un intervento Onu. Come appreso da Fides, il vescovo, definito “il Romero dello Sri Lanka”, sta ricevendo pressioni e minacce di morte.

    “A quasi 5 anni dalla fine della guerra , non abbiamo visto nessuna verità e giustizia emergere dai meccanismi nazionali”, esordisce il testo, notando che “la parte della popolazione tamil resta discriminata e colpita. “Sparizioni, abusi sessuali, arresti, detenzioni e torture sulla base della legge anti-terrorismo, restrizioni alla libertà di riunione, di espressione, di associazione e di movimento continuano tutt’oggi”, denunciano i religiosi. “Non si possono commemorare collettivamente i morti e gli scomparsi. Quanti criticano le politiche e le pratiche di governo e i difensori diritti umani sono bollati come sostenitori del terrorismo o traditori”, si racconta.

    Fra costoro vi sono anche diversi sacerdoti cattolici che sono stati “interrogati , minacciati e intimiditi”. “L'esercito continua la sua ingerenza nelle attività civili ed economiche , in particolare nel Nord ed Est, minando l'emancipazione civile ed economica delle popolazioni locali”, prosegue. Allo stesso tempo, affermano, “siamo preoccupati per l'intensificarsi degli sforzi sistematici e delle misure per distruggere l'identità della comunità tamil. Centri e istituti militari si accaparrano la terra dei tamil, mentre progetti di sviluppo e un insediamento organizzato di coloni singalesi prosegue ritmi alti nel Nord e dell'Est dell’isola, dove i tamil sono storicamente la maggioranza”.

    Il clero denuncia anche “l'imposizione della lingua cingalese e delle religione buddista nel Nord e nell’Est”. “Non c'è stato alcun autentico processo politico per affrontare alla radice le cause del conflitto , che vengono aggravate”, si nota. Per questo è urgente che la comunità internazionale, attraverso le Nazioni Unite, trovare forme concrete di assistenza per la popolazione tamil. Si chiede, dunque, all’Onu di indagare sulle accuse di violazioni dei diritti umani internazionali e del diritto umanitario durante la guerra; di identificare chiaramente le unità e gli individui responsabili; di monitorare le violazioni dei diritti umani in tutto lo Sri Lanka, grazie a team di esperti Onu; di prevedere programmi di protezione per le vittime e i testimoni; di garantire agli esperti un accesso illimitato a tutti i luoghi importanti, a persone e documenti. (R.P.)

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    Terra Santa: mons. Twal incontra il ministro del Turismo israeliano in vista del viaggio del Papa

    ◊   Il patriarca latino di Gerusalemme, Sua Beatitudine Fouad Twal, ed il ministro del Turismo israeliano, Uri Landau, si sono incontrati giovedì a Gerusalemme, nella sede del patriarcato. Al centro di questo secondo incontro - il primo era avvenuto nell’ottobre del 2013 – ci sono stati i preparativi al prossimo viaggio di Papa Francesco in Terra Santa, dal 24 al 26 maggio.

    Il patriarca Twal e Landau hanno anche discusso di altri temi, quali la dimensione universale assunta dalla città di Gerusalemme nella costruzione di ponti di pace e nella mediazione interculturale, nonché l’accoglienza dei pellegrini nei luoghi santi. “Insieme, facciamo il possibile – ha detto il patriarca - affinché i pellegrinaggi siano facilitati e l’accesso ai luoghi santi sia possibile per tutti, poiché l’accoglienza è un interesse comune”. Dal suo canto, il ministro Landau ha sottolineato l’importanza per tutti - cittadini e pellegrini – di accedere ai luoghi santi “in tutta sicurezza”. Quanto allo sciopero in corso da parte dei funzionari del ministero degli Esteri, Landau ha affermato che la protesta “dovrebbe presto, noi speriamo, giungere al termine”. Resta, in ogni caso, confermato il viaggio del Papa, così come ribadito da padre Lombardi, direttore della Sala Stampa della Santa Sede, nei giorni scorsi.

    Intanto, proprio in questi giorni è stato presentato ufficialmente alle autorità istituzionali di Gerusalemme il progetto del Museo della Terra Santa (Terra Sancta Museum), che vedrà la luce nel 2015. Ad illustrarlo, nella sede della Custodia, il Custode padre Pierbattista Pizzaballa, il quale ha osservato come “la storia della cristianità, e la storia dei francescani da otto secoli custodi dei luoghi santi, costituiscono un patrimonio” che ha “un significato fondamentale per tutti i cristiani del mondo”. Le tre sezioni del Terra Sancta Museum - archeologica, storica e multimediale - renderanno fruibile a tutti, pellegrini o visitatori, gli oggetti preziosi che, nel corso dei secoli, hanno costituito quello che è considerato il “tesoro di Terra Santa”. Il coinvolgimento delle autorità locali tiene conto dell’importanza internazionale del progetto stesso. Gli archivi storici della Custodia, così come i paramenti e gli oggetti sacri della Basilica del Santo Sepolcro, testimoni di secoli di storia della cristianità nel Vicino Oriente, troveranno una fissa dimora ed un luogo di esposizione degno del loro prestigio in un futuro ormai prossimo. (G.P.)

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    Sud Corea: on line il sito web della sesta Giornata della gioventù asiatica

    ◊   www.ayd2014.org è questo il sito dedicato alla 6.a Giornata della gioventù asiatica (Ayd) che si terrà a Daejeon, in Corea del Sud, dal 13 al 17 agosto e che accoglierà, dal 14 al 18 dello stesso mese, Papa Francesco. Realizzato in inglese e coreano, il sito presenta in home page il logo dell’evento: al centro, campeggia una Croce rossa, circondata da due gocce (una rossa e l’altra blu) che simboleggiano non solo il sangue e l’acqua usciti dal costato di Cristo crocifisso, ma anche il sacrificio dei martiri coreani. Le due gocce poggiano, a loro volta, sulla lettera “Y”, iniziale di “youth – gioventù”, che è posta al centro di altre due lettere: la A di “Asian – asiatica” e la D di “Day – giornata”. Tuttavia, la grafica di queste due lettere rimanda anche al greco “Alfa e Omega”, simboli del Signore, come si legge nell’Apocalisse.

    Il motto della Giornata è “Gioventù asiatica, svegliati! La gloria dei martiri risplende su di te”. Tre gli obiettivi principali dell’evento, spiega il sito: “Ricordare il percorso della nostra fede; riscoprire il nostro Credo, e camminare insieme a Gesù ed ai martiri, testimoni nel mondo contemporaneo”. Ogni giorno dell’Ayd sarà, inoltre, dedicato ad una riflessione specifica, ispirata ad un versetto biblico: il 13 agosto, ad esempio, avrà come tema “Venite e vedrete” (Gv 1, 39), mentre il 17 agosto si rifletterà su passo evangelico “Andate in tutto il mondo e predicate il vangelo ad ogni creatura” (Mc 16,15).

    Il sito web offre anche il file audio dell’inno della Giornata, intitolato “La gloria dei martiri”, con il relativo spartito musicale. Una sezione apposito riporta alcuni dati relativi alla diocesi di Daejeon, luogo di nascita del primo sacerdote coreano, Andrea Kim Daegeon, vissuto alla metà dell’800 e proclamato Santo da Giovanni Paolo II nel 1984 a Seoul, insieme ad altri 102 martiri coreani. La diocesi conta circa 28mila fedeli, due vescovi, 344 sacerdoti e 127 parrocchie. Dalla fine di dicembre, inoltre, è stato avviato il pellegrinaggio diocesano della Croce, simbolo dell’Ayd. Altre pagine del sito sono infine riservate agli aspetti logistici dell’evento: registrazione on-line, domande e risposte più frequenti (le così dette “Faq”) e gallerie di immagini.

    Da ricordare che l’Asian Youth Day nasce come iniziativa della Sezione Giovani dell'Ufficio per i Laici della Federazione delle Conferenze episcopali d'Asia (Fabc), che l’ha lanciata nel 1999 allo scopo di promuovere e di valorizzare le potenzialità evangelizzatrici dei giovani del continente, offrendo loro un'opportunità per condividere anche con giovani di altre religioni "l'esperienza di Dio". L’evento viene attualmente organizzato in media ogni tre anni e si svolge con incontri di approfondimento spirituale e culturale. Le precedenti Ayd si sono tenute a Hua Hin (Thailandia) nel 1999, Taipei (Taiwan) nel 2001, a Bangalore (India) nel 2003, a Hong Kong nel 2006 e a Manila nel 2009. (I.P.)

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    Venezuela. La Chiesa mediatrice per il dialogo: stop alla violenza nel Paese

    ◊   La complessa situazione in Venezuela – dove, da un circa mese, le manifestazioni della popolazione e gli scontri con i gruppi armati hanno causato più di 25 morti – è uno dei temi discussi dai Segretari generali delle Conferenze Episcopali dell'America Latina e dei Caraibi (Celam), che si sono incontrati questa settimana a Bogotà (Colombia) per analizzare la realtà sociale politica, economica e religiosa della regione. Secondo una nota dei vescovi, pervenuta all'agenzia Fides, per la Chiesa Latinoamericana è urgente fermare la violenza delle manifestazioni, perché ogni giorno che passa cresce il numero di vittime degli scontri tra governo e opposizione.

    Mons. Jesus Gonzalez de Zarate, Segretario generale della Conferenza episcopale del Venezuela, ha lanciato un appello “per dire stop alla violenza, da qualunque parte provenga. Come vescovi del Venezuela, abbiamo invitato le parti a incontrarsi per un dialogo, sapendo che non è facile quando ci sono differenze e incomprensioni. Ma è urgente farlo, altrimenti ci saranno problemi peggiori”.

    Il presidente del Celam, mons. Carlos Aguiar, ha detto che “è sempre difficile avviare azioni concrete, ma possiamo dire chiaramente che la via è il dialogo, sedersi a un tavolo e parlare per analizzare le ragioni che sono alla base delle manifestazioni. Il dialogo non è una processo giudiziario, ma la via per capire cosa c'è dietro ogni posizione”.

    Il Segretario dei vescovi del Venezuela ha ribadito l'offerta di mediazione, lanciata dalla Conferenza episcopale (Cev), che si è messa a disposizione per aprire canali di dialogo e superare la tensione. “La cosa importante è che vi sia una reale volontà di confronto, da ambo le parti. Possiamo avviare un dialogo costruttivo, in cui tutti si sentano ascoltati e valorizzati”, ha concluso. (R.P.)

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    Ecuador: la voce della Chiesa su laicità e libertà religiosa

    ◊   I vescovi dell’Ecuador hanno pubblicato una Lettera pastorale dal titolo: “Laicità e libertà religiosa”. Il documento, inviato all’agenzia Fides, è articolato in due sezioni ed esprime il pensiero della Chiesa cattolica sull’argomento, molto sentito nel Paese sudamericano. Nell’introduzione si afferma: "Nel nostro Paese stiamo assistendo - nel fenomeno planetario più ampio della globalizzazione - ad un interesse particolare per la diversità di mentalità, ad una condivisione della conoscenza e ad un apprezzamento di culture diverse…” Quindi i vescovi scrivono: “vogliamo condividere alcuni concetti sulla laicità, la laicità dello Stato e la libertà religiosa”.

    La prima parte del documento mette in guardia “sulla confusione tra laicità e laicismo”. Il laicismo cerca “la totale separazione tra Stato e Chiesa, senza che quest’ultima possa avere autorità per intervenire su questioni relative alla vita umana e al comportamento dei cittadini". Secondo una concezione esatta, “Stato laico non significa ‘non-religioso’ o, peggio, antireligioso, ma solo ‘laico’, cioè, che non professa una particolare confessione religiosa”. Per questo motivo, "lo Stato non può imporre la religione, ma deve garantire la sua libertà e l'armonia tra i seguaci di diverse religioni; e la Chiesa, come espressione sociale della fede cristiana, da parte sua, ha la sua indipendenza e vive la sua forma comunitaria fondata sulla fede, che lo Stato deve rispettare".

    Nella seconda parte, sulla libertà religiosa, il documento sviluppa l’argomento con molta chiarezza: "La libertà religiosa non è esclusiva dei credenti, ma dell'intera famiglia dei popoli della terra. E' una vera e propria conquista di progresso giuridico e politico, e un elemento attualmente indispensabile per un vero stato di diritto”. Inoltre si precisa che "lo Stato laico è chiamato al servizio dei cittadini e della società secondo le proprie caratteristiche, culturali, economiche, linguistiche o religiose".

    Il documento conclude affermando che "lo Stato laico ha il dovere di tutelare, garantire e promuovere la laicità e la libertà religiosa, come strumenti per rafforzare la democrazia e la società stessa, perché questi elementi incoraggiano una maggiore partecipazione dei cittadini e aiutano a superare pregiudizi ideologici e limitazioni ingiustificate all'interno della società, in un clima di reciproca amicizia e collaborazione”. (R.P.)

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    Spagna: conclusa la 103.ma Plenaria dei vescovi. La missione, compito primario

    ◊   “Missione permanente, annuncio incessante, animazione costante”: sono le tre linee-guida che la Conferenza episcopale spagnola (Cee) si è posta a conclusione della sua 103.ma Assemblea plenaria, svoltasi a Madrid dall’11 marzo ad oggi. Nel comunicato diffuso al termine dei lavori, i presuli hanno sottolineato che, alla vigilia del 50.mo anno di istituzione, che cadrà nel 2016, la Cee ha, sì, fatto tanto, ma tanto ancora resta da fare. In particolare, ha spiegato il card. Antonio Maria Rouco Varela, presidente uscente, “è necessario fare progressi nell’organizzazione interna e nell’efficacia del servizio che la Chiesa è chiamata a prestare”.

    L’obiettivo primario resta comunque “la missione, la nuova evangelizzazione a cui invita Papa Francesco”. Ricordando, poi, la recente visita ad limina in Vaticano, svoltasi dal 24 febbraio all’8 marzo, i presuli hanno richiamato i temi più importanti segnalati loro dal Pontefice, tra cui “l’accompagnamento delle famiglie, l’incremento delle vocazioni e la cura e l’attenzione nei confronti dei poveri”. La Plenaria ha quindi inviato una lettera a Papa Francesco in occasione del primo anniversario della sua elezione al soglio pontificio, avvenuta il 13 marzo 2013. “Il Suo magistero – hanno scritto i vescovi – e la Sua persona sono per noi un magnifico esempio di pastorale e di sforzo evangelizzatore”. Manifestando, inoltre, “la piena comunione” con il Papa, i presuli esprimono “immensa gratitudine” per “l’attenzione paterna” loro rivolta dal Pontefice.

    Tra gli altri argomenti in esame durante la Plenaria, anche l’Istruzione pastorale sul Catechismo dell’iniziazione cristiana. Intitolato “Custodire e promuovere la memoria di Gesù Cristo”, tale documento è in fase di elaborazione ed avrà l’obiettivo di “offrire criteri per la catechesi e riflessioni significative sulla trasmissione della fede durante l’infanzia e l’adolescenza, tappe decisive della persona”. Da ricordare, infine, che i presuli hanno eletto come nuovo presidente della Cee mons. Ricardo Blázquez, ed hanno commemorato con una Messa in suffragio delle vittime, il decimo anniversario degli attentanti di Atocha. (A cura di Isabella Piro)

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    Card. Bagnasco: la famiglia è il fondamento della coesione sociale

    ◊   “La famiglia è il primo luogo di relazione, è scuola e palestra principale”. Ma “il tesoro della famiglia è insidiato da una mentalità individualista che spinge a disgregare i rapporti, a rendere i legami deboli e incerti”. Lo ha affermato il card. Angelo Bagnasco, arcivescovo di Genova e presidente della Cei, nella riflessione pronunciata ieri sera al termine della Via Crucis diocesana che si è svolta nel capoluogo ligure.

    “Se la famiglia si sfalda - ha detto il cardinale - è l‘uomo che si smarrisce, la sua umanità, e la società perde il suo fondamento, la sua stabilità, la sua coesione”. Infatti, “non sono le leggi che fanno la coesione sociale. Le leggi ci vogliono, ma non sono assolutamente sufficienti. La coesione sociale deriva dalla famiglia, da questi microcosmi di relazioni buone, virtuose dove si impara a stare insieme ad avere fiducia gli uni gli altri, a perdonarsi, a ricominciare, a portare gli uni i pesi altrui, a condividere. Qui sta la stabilità sociale”.

    In precedenza - riporta l'agenzia Sir - il cardinale aveva affermato che “il Figlio di Dio ha dato la vita per noi, perché vivessimo come figli di Dio e come fratelli tra di noi”. Oscurare la paternità di Dio è soffocare la fraternità alla radice, è proclamare che l‘uomo è orfano e solo. Non possiamo vivere senza essere fratelli, ma per essere fratelli è necessaria una paternità”.

    E ancora: “Cristo è il Salvatore del mondo. Non è venuto a guarirci dai mali della vita, malattie, sofferenze fisiche e psichiche, morte corporale, ma è venuto per guarirci dal male del peccato che è la lontananza da Dio". Infatti, “non si può vivere lontani dall‘amore. Si diventa aridi. Non si può vivere lontani dalla sorgente della vita. Si diventa spenti. Non si può vivere lontani dalla comunione. Si vive lacerati: in famiglia, nel lavoro, nella società”. (R.P.)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVIII no. 74

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    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.