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Sommario del 11/03/2014

Il Papa e la Santa Sede

  • Il Papa in Corea. P. Bordo (Caritas Seul): la notizia ha reso felici i nostri poveri
  • Padre Lombardi: da Papa Francesco grande impulso per una Chiesa in cammino
  • Nomina episcopale nella Repubblica Democratica del Congo
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Crimea: parlamento vota l'indipendenza. Yanukovich: "Sono l'unico presidente legittimo"
  • Save the Children: in Siria catastrofe sanitaria per milioni di bambini
  • No di Al Fatah al riconoscimento di Israele come Stato "ebraico"
  • Una speranza per i bimbi del Sud Sudan: a Yirol apre un reparto di pediatria
  • Giappone: silenzio in ricordo del sisma del 2011. P. Bianchin: uomo rispetti la natura
  • Legge elettorale. Approvate le basi dell'"Italicum". Polemica per il no alle "quote rosa"
  • Lieve crescita del Pil italiano. Allarme della Confesercenti: chiuse 29 mila imprese
  • Chi si laurea trova più facilmente un impiego: un'indagine di AlmaLaurea
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Unicef: sono 5 milioni e mezzo i bambini colpiti dal conflitto
  • Siria: riunione dei vescovi in territorio libanese
  • Spagna. Il card. Rouco Varela a 10 anni dagli attentati di Madrid: "Senza perdono non c'è pace"
  • Madrid: aperta l'Assemblea plenaria dei vescovi spagnoli
  • Sudan: chiesta l'apertura di un corridoio umanitario nel Darfur
  • Venezuela: appello del card. Urosa contro la violenza
  • Venezuela: le chiese oggetto di violenze e atti sacrileghi, anche durante le Messe
  • Nigeria. Boko Haram: oltre 500 cattolici uccisi e 20 chiese e case parrocchiali distrutte dal 2009
  • Togo: i vescovi esortano i politici e la società civile a continuare il cammino della riconciliazione
  • Pakistan: distrutta da estremisti chiesa in costruzione. A rischio demolizione le case dei cristiani
  • Concilio panortodosso. Il patriarca Kirill: parlare "con un cuore solo" al mondo
  • Iraq: mons. Sako a un anno dal suo insediamento a patriarca della Chiesa caldea
  • Gmg Cracovia 2016: dal 26 al 31 luglio le date ufficiali
  • Il Papa e la Santa Sede



    Il Papa in Corea. P. Bordo (Caritas Seul): la notizia ha reso felici i nostri poveri

    ◊   Grande entusiasmo nella Repubblica di Corea, all’indomani dell’annuncio della visita pastorale di Papa Francesco nel Paese asiatico a metà agosto. "Quella di Francesco - scrivono in un messaggio i vescovi sudcoreani - è una visita all'intero continente asiatico". Soprattutto tra i poveri e i disagiati delle grandi città la gioia è diffusa e già fervono i preparativi in vista di agosto. A Song-nam, nella periferia di Seul, è presente uno centri Caritas più importanti del paese. Fondato da padre Vincenzo Bordo, missionario degli Oblati di Maria Immacolata, accoglie circa 500 senza fissa dimora al giorno. Davide Dionisi ha chiesto al sacerdote in che modo è stata accolta la notizia dai suoi ospiti:

    R. – Con grande entusiasmo e grande gioia, soprattutto qui dove siamo noi, un centro per homeless, barboni e gente di strada. Al sentire la notizia sono stati tutti euforici. Quando il Papa, infatti, ha festeggiato il compleanno e ha invitato tre barboni, con un cane, ho divulgato la notizia a tutti i miei ospiti che, sapendo quindi che il Papa sarebbe venuto in Corea, hanno detto: “Ma allora verrà a trovare anche noi! Se invita i barboni a casa sua, verrà qui da noi, che siamo 500-600”. Quindi, c’è grande attesa e aspettativa da parte di tutti gli amici della strada per poterlo vedere, per il gesto che ha fatto di apprezzamento, di riconoscimento nei confronti della gente di strada.

    D. - In che modo vi preparerete?

    R. – Innanzitutto, far conoscere chi è il Papa. Qui, siamo in un ambiente non cattolico e non cristiano e del Papa, della Chiesa cattolica, conoscono pochissimo. La prima cosa è far conoscere chi sia questa persona, cosa faccia e cosa sia la Chiesa cattolica. Ci sarà, dunque, una preparazione di catechesi per queste persone, che è un primo annuncio, perché non conoscono né Gesù né la Chiesa e tantomeno il Papa. Sarà un’occasione, dunque, per evangelizzare.

    D. - Non abituarsi alle situazioni di degrado e di miseria che incontriamo camminando per le strade delle nostre città: lei ha un rapporto quotidiano con gli ultimi e ha fatto suo questo messaggio di Papa Francesco fin dalla nascita del Centro Caritas. Quali sentimenti prova un missionario che si è fatto interprete di tale appello nella periferia di Seul?

    R. – Grande gioia quando ho sentito queste parole del Papa, perché per 20 anni – sono 22 anni che sono in questa pastorale – alcune volte mi sono sentito deriso, abbandonato, anche oltraggiato. Il Papa che riconosce questo lavoro, che dice che questi sono fratelli che soffrono, mi dà tanto coraggio e dà tanto coraggio alla gente che è sulla strada. Dicono: “Ma il Papa, che è una persona così importante, si ricorda di noi?”. Queste sono situazioni di sofferenza che spesso la gente non vede, non conosce o non vuol vedere. Il fatto che il Papa se ne sia reso conto e l’abbia proposto all’attenzione di tutti dà consolazione, speranza, gioia a tutti i nostri amici, che vivono sulla strada.

    D. – Com’è cambiata la Corea dal 1989, anno della seconda visita di Giovanni Paolo II, ad oggi? Quali sono le nuove sfide pastorali della Chiesa locale?

    R. – La Chiesa è cambiata tantissimo in questi anni, è cambiata tanto la società e quindi è cambiata anche la Chiesa. Io sono arrivato nel ’90 in Corea e la frequenza dei cattolici coreani alla Messa domenicale era dell’80%: andando in Chiesa si vedeva non soltanto tanta gente, ma si vedevano tanti giovani. Sono passati 20 anni e la percentuale di coloro che frequentano la Messa domenicale è intorno al 25-30% e si tratta soprattutto di anziani. Il problema, quindi, della secolarizzazione è molto grande e c’è bisogno di una nuova evangelizzazione e di un’immagine nuova della Chiesa. Modi nuovi per una realtà che è cambiata, di questo sì, ce n’è tanto bisogno.

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    Padre Lombardi: da Papa Francesco grande impulso per una Chiesa in cammino

    ◊   Tanti i commenti, in questi giorni, in vista del primo anniversario di Pontificato di Papa Francesco che ricorrerà il 13 marzo prossimo. Un anno intensissimo, che ha suscitato una rinnovata attenzione alle questioni ecclesiali anche dei cosiddetti lontani. Ascoltiamo, in proposito, la riflessione del direttore della Sala Stampa vaticana, padre Federico Lombardi, al microfono di Sergio Centofanti:

    R. – La cosa principale di questo primo anno è certamente la grande attenzione, la grande attrazione della gente - dico la gente, per dire non solo i cattolici praticanti, ma tutte le persone di questo mondo – la grande attenzione per questo Papa, per il suo messaggio. E’ qualcosa che penso e spero sia radicato molto profondamente nel cuore delle persone, che si sono sentite toccate da una parola di amore, di attenzione, di misericordia, di vicinanza, di prossimità, in cui attraverso l’uomo, il Papa, è l’amore di Dio che arriva. Io ricorderei un certo numero di episodi, che sono rimasti per me particolarmente toccanti nel corso di quest’anno. Naturalmente la prima comparsa alla loggia della Basilica di San Pietro, con tutto quello che ricordiamo e che ha rappresentato, è indimenticabile. Poi, ricordo la lavanda dei piedi ai giovani nel carcere il Giovedì Santo, nel pomeriggio. Ricordo il viaggio a Lampedusa, con la sua grande intensità di vicinanza alle persone più dimenticate e abbandonate e a coloro che sono morti nel viaggio della speranza e del dolore verso un futuro migliore. Ricordo la Giornata mondiale della gioventù a Rio, il grande incontro della gioventù mondiale, in particolare latinoamericana, con il Papa nel loro continente. Ricordo Assisi. Ricordo il documento programmatico – diciamo così – l’Esortazione apostolica, Evangelii Gaudium, in cui abbiamo veramente il cuore del Papa articolato in un modo molto chiaro, molto ampio, come programma del suo Pontificato. E poi il Concistoro del mese di febbraio. Queste tappe ci dicono quanto sia stato intenso quest’anno e quanti aspetti siano stati toccati, quanti incontri siano avvenuti.

    D. – Il Papa vuole una Chiesa in uscita, parla di riforme strutturali necessarie. Come sta cambiando la Chiesa?

    R. – La Chiesa mi appare veramente come un popolo in cammino. Questa è la cosa più caratteristica: un senso di grande dinamismo. Il Papa ha dato un grande impulso e cammina con una Chiesa che cerca la volontà di Dio, che cerca la sua missione nel mondo di oggi per il bene di tutti, andando veramente verso le periferie, verso i confini del mondo. Il Papa ha parlato spesso dei pastori che sono davanti, dentro, dietro il gregge, per aiutarlo a camminare, a trovare la sua strada. Mi sembra che egli sia veramente così e invita anche tutta la Chiesa ad essere in cammino. C’è un senso forte di dinamismo, che si riscontra in particolare nell’itinerario sinodale, questo lungo cammino di un paio di anni, in cui la Chiesa riflette su un punto centrale dell’esperienza umana e cristiana, che è appunto la famiglia.

    D. – Papa Francesco guarda molto ai lontani e scuote molto i vicini...

    R. – Certamente, perché Dio guarda tutti. Quindi è riuscito a far capire che l’interesse di Dio, il suo sguardo, è per tutte le sue creature, per tutte le persone del mondo e nessuno è dimenticato. Questo è un punto estremamente importante e non l’ha inventato Papa Francesco evidentemente. E’ riuscito, però, a darne un senso molto forte e tantissime persone lo hanno capito. Manifestazioni di attenzione, quindi, che vengono da sedi, da organi di stampa non abituali, significano che il suo messaggio è arrivato. E naturalmente tutti dobbiamo essere in cammino, quindi anche le persone che magari si sentivano più tranquille o più stabili, stabilizzate nella loro condizione, si sentono coinvolte da questa grande missione. Anche questo ha certamente un aspetto positivo.

    D. – Quali immagini significative del primo anno di Pontificato le vengono in mente?

    R. – Mi vengono in mente soprattutto le udienze generali del mercoledì: il Papa che passa attraverso la gente, il Papa che saluta, sorride, incontra e in particolare che si sofferma con i malati. Questa sua scelta precisa, che i malati sono i primi che egli saluta dopo avere terminato la sua catechesi, scendendo dal sagrato e andando dove sono loro, mi sembra molto significativo. Ecco, chi soffre e chi è debole ha una priorità nel cuore del Papa e della Chiesa, perché ha una priorità nel Vangelo.

    D. – Che cosa significa essere il portavoce di Papa Francesco?

    R. – Mi sembra che sia molto bello il fatto che il protagonista sia il Papa stesso, cioè chi parla e chi interessa la gente con le sue parole, chi colpisce con le sue formulazioni, è lui stesso, non ha bisogno di una particolare mediazione. Questa mi sembra un’esperienza molto positiva. E’ quello che ho sempre anche un po’ desiderato: che il Papa arrivi direttamente senza distanze, senza ostacoli al cuore delle persone con le sue parole. Il portavoce, chiamiamolo così, il direttore della Sala Stampa, dà delle informazioni che, però, sono più informazioni di contorno, di carattere organizzativo, di decisioni che vengono prese e sono anche importanti, ma quella che è la parola del Papa per la gente, per il mondo, per la Chiesa arriva direttamente a loro. Questo a me sembra molto bello e fondamentale.

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    Nomina episcopale nella Repubblica Democratica del Congo

    ◊   Nella Repubblica Democratica del Congo, Papa Francesco ha nominato vescovo della Diocesi di Kasongo padre Placide Lubamba Ndjibu, dei Padri Bianchi, superiore provinciale dei Missionari d’Africa per Burundi, Rep. Dem. del Congo e Rwanda. Mons. Lubamba Ndjibu, M. Afr., è nato il 26 ottobre 1959 nella Diocesi di Lubumbashi. Dopo le scuole primarie (1972) e secondarie (1979) a Lubumbashi, concluse con un Diploma di Stato in Pedagogia Generale, ha iniziato la formazione religiosa nell’Istituto dei Padri Bianchi, frequentando il Seminario Maggiore di La Ruizizi, nell’Arcidiocesi di Bukavu (1982-1985) e, poi, l’anno di spiritualità (noviziato) a Friburgo, in Svizzera (1985-1986). Ha completato il tirocinio pastorale nella Diocesi di Nouna-Dédougou, in Burkina Faso (1986-1988) e terminato gli studi di Teologia presso l’Istituto Cattolico di Tolosa, in Francia (1988-1991). È stato ordinato sacerdote il 27 luglio 1991. Dopo l’ordinazione ha ricoperto i seguenti incarichi: 1991-1994: Vicario parrocchiale nella Parrocchia Notre Dame des Champs, nell’Arcidiocesi di Bobo-Dioulasso, Burkina Faso; 1994-1996: Studi di Giornalismo e Comunicazioni Sociali all’Università di Friburgo; 1996-1998: Servizio presso la redazione della rivista dei Padri Bianchi Vivant Univers, in Belgio; 1998-2002: Vicario parrocchiale e Parroco della Parrocchia del Sacro Cuore nella Diocesi di Manzeze, in Tanzania; 2002-2007: Redattore del Bollettino KARIBU a Bukavu e, al medesimo tempo, Cappellano del Liceo Wima e del Campo militare Saio, a Bukavu; 2007-2010: Parroco della Parrocchia Sainte Bernadette di Lubumbashi. Dal 1° settembre 2010, risiede a Bukavu quale Provinciale dei Padri Bianchi per l’Africa Centrale (Burundi, Rwanda e RD Congo). La Diocesi di Kasongo (1959), è suffraganea dell’Arcidiocesi di Bukavu. Ha una superficie di 75.300 kmq e una popolazione di circa 1.700.000 milioni di abitanti, di cui 570.000 sono cattolici. Ci sono 15 parrocchie. Il clero diocesano conta 48 sacerdoti, di cui 14 residenti fuori Diocesi. Nella Diocesi lavorano anche 11 sacerdoti religiosi, 5 fratelli religiosi, 16 suore e 25 seminaristi. La Diocesi di Kasongo, è vacante dal 2009, a seguito del trasferimento dell’Ordinario, S.E. Mons. Théophile Kaboy a Goma.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   Alla ricerca di una soluzione per la crisi ucraina: in prima pagina, la Russia boccia le proposte statunitensi per uscire dall’impasse, ma per la prima volta ne annuncia di proprie.

    Pio XII e la guerra: stralci della relazione dell’assistente postulatore generale della Compagnia di Gesù. Marc Lindeijer, al convegno «Pio XII. Il Papa della carità» presso la Pontificia Università Lateranense. Sul tema, un articolo di Dominiek Oversteyns sui numeri degli aiuti di Papa Pacelli agli ebrei romani.

    Misericordia e verità: in cultura, le riflessioni del cardinale Walter Kasper, presidente emerito del Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani, in vista del sinodo sulla famiglia.

    Le vittime delle migrazioni: gli episcopati di Messico e Stati Uniti si incontreranno alla frontiera.

    Senza giustizia la pace non è possibile: dichiarazioni del vescovo di Maracay, monsignor Rafael Ramón Conde Alfonzo, sui disordini in Venezuela.

    Il peso dell’eredità e della responsabilità: lettera aperta del patriarca di Baghdad dei Caldei, Louis Raphaël I Sako, a un anno dal suo insediamento.

    Le conseguenze dell’amore: Giampietro dal Toso sull’importanza della carità nella Chiesa, che ha bisogno anche di strutture amministrative.

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    Oggi in Primo Piano



    Crimea: parlamento vota l'indipendenza. Yanukovich: "Sono l'unico presidente legittimo"

    ◊   “Sono l'unico presidente legittimo dell'Ucraina e tornerò a Kiev appena possibile”. Dall’est della Russia, parla il deposto presidente, Viktor Iakunovich, che la settimana scorsa era stato dato in fin di vita da alcune fonti di stampa. Nessun passo indietro dunque nelle stesse ore in cui il parlamento della Crimea vota per l’indipendenza dall’Ucraina e l’Unione Europea annuncia la presentazione di misure commerciali a sostegno dell'Ucraina. Il servizio di Gabriella Ceraso:

    Con 78 voti a favore su 81, il parlamento della Crimea ha dichiarato la penisola indipendente dall’Ucraina, un passo obbligato ma ufficiale prima del referendum che domenica prossima sancirà il passaggio della regione sotto l'egida della Federazione russa. Una vera dichiarazione di indipendenza in virtù di quanto accaduto in Kosovo nel 2010, si legge nel comunicato dell’Assemblea nazionale – considerata però illegittima, come il referendum stesso, dalle autorità di Kiev e dall'Unione Europea. Un clima generale di violazione del diritto internazionale, spiega Aldo Ferrari, dell’Istituto di studi di politica internazionale, in cui si inseriscono stamane anche le parole dell’ex presidente ucraino, il deposto Yanukovic, che dalla Russia rivendica il ruolo di leader anche militare e accusa Kiev di volere la guerra civile per mano di ultranazionalisti e neofascisti. Aldo Ferrari:

    “Credo che politicamente Yanukovich sia finito, ma può essere strumentalmente utile alla Russia, in un momento in cui si deve trattare. Quindi, ognuno utilizza gli strumenti di cui dispone per mettere in difficoltà la controparte. Yanukovich rientra in questo gioco di scacchi sostanzialmente”.

    Intanto, è stallo diplomatico senza un’intesa tra Russia e Stati Uniti, mentre sul fronte europeo, all’Ucraina che chiede protezione risponde la Commissione Ue che presenta oggi misure di aiuto commerciale concreto. Ancora Aldo Ferrari:

    “In questo caso, l’Unione Europea ha gravissime responsabilità nell’aggravamento della situazione in Ucraina e, comunque, l’Ucraina è un Paese che adesso, almeno con il governo attuale, desidera ardentemente avvicinarsi all’Europa. L’Europa non può delegare ai soli Stati Uniti e alla Russia un problema che è principalmente suo. Deve intervenire. E’ chiaro che il peso degli Stati Uniti va tenuto presente. Ma, più volte, gli Stati Uniti hanno dimostrato, almeno con questa presidenza, di non avere una politica estera energica, in grado realmente di contrastare la Russia laddove questa si dispiega a pieno”.

    In tutto questo, la Crimea è sempre più isolata e assediata da miliziani filorussi e va inesorabilmente verso la secessione prevista per domenica:

    A questo punto, essendo andati così tanto avanti in tutte le direzioni – e mi permetto di dire che gli errori sono stati gravissimi da parte di quasi tutti attori, da Yanukovich all’Unione Europea alla Russia – direi che se si vuole evitare lo scenario peggiore, che è quello della secessione della Crimea e potenzialmente anche di altre regioni russofone dell’Ucraina orientale, con devastanti conseguenze in Europa e nelle relazioni internazionali, la cosa migliore, per quanto non semplice da realizzare, sarebbe una grande conferenza internazionale nella quale ridiscutere in sostanza il posizionamento e la struttura stessa dell’Ucraina, cioè ritornare indietro e vedere esattamente di risolvere questa instabilità, che ormai da 20 anni caratterizza l’Ucraina indipendente, che evidentemente così com’è strutturata non riesce ad essere stabile. Ora, infatti, prevalgono i filorussi, ora prevalgono i filooccidentali: chi viene sconfitto si sente emarginato e ricorre ad appoggi esterni. Questa è una situazione che non può più proseguire in Ucraina, per il bene dell’Ucraina stessa, ma anche dei Paesi vicini.

    D. – I tatari di Crimea avvertono del rischio di rappresaglie, da parte dei jihadisti, nel caso di un'annessione della penisola alla Russia: che ne pensa?

    R. - Il problema dei tatari di Crimea è molto complesso. Probabilmente, sono più del 12%, perché molti sono penetrati illegalmente e non sono registrati. Credo che dicendo 15% ci si avvicini di più alla realtà. E’ un problema reale. Sono musulmani, peraltro molto laici, chiaramente preoccupati dal possibile inserimento nella Federazione Russa e chiaramente preferirebbero restare in un’Ucraina meno pressante e meno forte. La minaccia jihadista può essere agitata in senso strumentale, ma attualmente tra i tatari di Crimea non c’è nessuna tendenza in questo senso. Chiaramente, può essere strumentalizzata da parte loro, richiamando a combattere sul territorio dei miliziani esterni, come già avvenuto in molte altre parti del mondo. Per il momento, però, una minaccia di questo tipo mi pare puramente verbale.

    D. - E la questione invece delle sanzioni paventata dall’Unione Europea a più voci ha senso?

    R. – Hanno un senso limitato. Le sanzioni non hanno mai indotto nessuno Stato a mutare decisioni prese con forza. Però, la Russia al tempo stesso non può prescindere dall’inserimento nella comunità economica internazionale. Noi abbiamo bisogno del gas e del petrolio russo, ma la Russia ha bisogno di venderlo: è suo interesse assoluto che la crisi venga limitata e superata nel più breve tempo possibile. La Russia sta rischiando molto economicamente e politicamente e Putin sta rischiando in prima persona.

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    Save the Children: in Siria catastrofe sanitaria per milioni di bambini

    ◊   In occasione del terzo anniversario dall’inizio del conflitto in Siria, che si fa risalire alle prime proteste anti Assad del 15 marzo 2011, Save the Children, ha diffuso il Rapporto "Un prezzo inaccettabile: l'impatto di tre anni di guerra sulla salute dei bambini in Siria". Vi si racconta dei quattro milioni e mezzo di bambini sfollati interni, di un sistema sanitario al collasso e della drammatica impossibilità di cure adeguate e nuove vaccinazioni. La Ong ha lanciato anche la mobilitazione del 14 marzo prossimo in Campidoglio, con una illuminazione straordinaria per dire simbolicamente basta alla violenza. Dei principali aspetti del Rapporto, Gabriella Ceraso ha parlato con Valerio Neri, direttore generale di Save the Children:

    R. – E’ partita come una crisi umanitaria. Adesso, però, la distruzione di tutta la logistica anche sanitaria fa sì che si sia aggiunta una gravissima emergenza sanitaria, a causa della quale i bambini vengono colpiti ancor più degli adulti sia sotto il profilo delle malattie – per malattie tipiche portate dalla sporcizia – e avendo pochi medici e pochi ospedali, oltre tutto non hanno tutte le cure che dovrebbero avere. Due ospedali su tre, in Siria, sono distrutti.

    D. – Oltre alla carenza di strutture, il vostro Rapporto denuncia, per esempio, che la copertura dei programmi di vaccinazione è crollata…

    R. – Per forza. Crollando anche la sanità della città e del territorio, non si riesce più a vaccinare i bambini e vanno aumentando moltissimo le malattie una volta sconfitte: quindi, la poliomielite, per esempio, o appunto tutte quelle malattie portate da animali, da zecche…

    D. – Per non parlare dei neonati: voi segnalate solo un parto su quattro assistito e la morte anche di neonati prematuri per frequenti blackout di energia elettrica nelle strutture stesse…

    R. – Sì: questo è un dato veramente impressionante. Molto spesso i medici fanno il taglio cesareo perché non possono aspettare oltre, perché magari sta per arrivare un bombardamento. E questo cosa vuol dire? Che un taglio cesareo, sotto tutti gli aspetti, è un vero e proprio intervento chirurgico a ventre aperto. Quindi, la situazione chirurgica dev’essere sicura al 100%: parlo di infezioni, parlo della degenza subito dopo – si perde molto sangue nel parto cesareo… Molti di questi parti avvengono in medicina d’urgenza, in situazioni non di camera operatoria asettica e perfetta. E quindi, immaginate se un bambino nasca in una situazione di questo genere, con qualche difficoltà respiratoria alla nascita, con qualche difficoltà che – purtroppo – esiste in natura al momento della nascita, quando un pediatra non può intervenire immediatamente a salvare il bambino… Quindi, assistiamo sicuramente ad un incremento della mortalità infantile a causa di una incapacità di soccorso.

    D. – Quindi, l’appello che viene fuori da questo Rapporto è permettere corridoi umanitari e quindi l’ingresso di aiuti al più presto?

    R. – Come dire: non basta che i governi – anche il Consiglio di sicurezza – dicano: “Bene, dobbiamo portare gli aiuti!". E allora, lo si faccia. Insomma, si forzi un po’ la mano per entrare, non si stia solo ad aspettare che ci diano il permesso, perché altrimenti la gente morirà e il permesso non arriverà mai!

    Tra i bambini in Siria dopo tre anni di conflitto si contano 10 mila vittime, quattro milioni di sfollati interni e oltre un milione nei Paesi confinanti. Molti dei bambini sono nei campi profughi della vicina Giordania: sulle loro condizioni di vita, Gabriella Ceraso ha raccolto la testimonianza di Michele Prosperi di “Save the Children”, appena tornato dal campo giordano di Za’atari:

    R. – I bambini presenti nel campo sono più della metà: 50 mila bambini. E tra questi, la metà – 26 mila – hanno meno di 5 anni e molti di loro sono arrivati piccolissimi, non hanno visto nient’altro che il bianco delle tende e delle pietre del deserto. Non conoscono i colori, nemmeno con la fantasia riescono ad immaginare un mondo a colori…

    D. – Tu hai raccolto tante storie: che cosa ti ha colpito?

    R. – Lo shock che queste persone hanno vissuto. La Siria era un Paese nel quale le condizioni di vita erano assolutamente buone, il sistema sanitario assolutamente efficiente, era stato anche capace di contribuire all’abbattimento della mortalità infantile… Addirittura, il Paese esportava farmaci e vaccini. Quindi, c’è un grandissimo sconcerto nelle voci delle madri, delle nonne e delle persone che incontriamo tutti i giorni per il fatto di ritrovarsi improvvisamente senza tutto, soprattutto con la perdita della dignità. Per molti di loro, il pensiero naturalmente è legato a quelli che hanno lasciato all’interno del Paese e che ancora stanno sotto le bombe: bisogna pensare che nel campo di Za’atari si sentono, di notte, i bombardamenti nella parte sud del Paese. Molti di loro hanno lì ancora dei congiunti. Ricordo il racconto fortissimo di una nonna, che aveva ancora quattro figlie in Siria, e ci raccontava di una sua nipote di 14 anni, che si è sposata due mesi fa, e dopo un mese è stata colpita da una pallottola ed è morta. Ecco, questa nonna ha perso prima il matrimonio e poi il funerale di questa nipote…

    D. – Dopo tre anni, c’è questa coscienza del tempo che passa tra le persone?

    R. – Il pensiero delle persone e i loro sentimenti, nel campo sono cambiate nell’arco del tempo, naturalmente. All’inizio, c’era la speranza che tutto si potesse risolvere rapidamente. Adesso, c’è una grandissima preoccupazione sul tempo che sarà necessario per poter ritornare in Siria, che è quello che tutti desiderano. Gli adolescenti e i giovani hanno un grandissimo desiderio di tornare a far vivere di nuovo il loro Paese, a ricostruirlo. Ecco, questo è quello che dicono in tutti i lavori che fanno e anche di cambiare la volontà, di cambiare le cose. C’è anche una richiesta molto forte perché la voce nel mondo si possa alzare forte per fermare il conflitto in Siria, quantomeno dare la possibilità dell’accesso degli aiuti umanitari: una richiesta fortissima, da tutti, nel campo. E non è rivolta soltanto ai governi, è rivolta alle persone, è rivolta alla comunità internazionale nel senso di chiedere a tutti di mobilitarsi perché il mondo sia diverso. Il fatto che la guerra in questo momento sia lì, in Siria, non vuol dire che non possa essere in qualunque altro luogo del mondo.

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    No di Al Fatah al riconoscimento di Israele come Stato "ebraico"

    ◊   In Medio Oriente, almeno tre uomini sono morti in seguito a un raid compiuto dall’aviazione israeliana nella Striscia di Gaza. Intanto, il partito palestinese Al Fatah ha ribadito di non voler riconoscere Israele come Stato ebraico. Il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, ha detto che non ci sarà nessun accordo di pace se i palestinesi non riconosceranno prima lo Stato ebraico. Su questa decisione presa da Fatah, approvata per acclamazione, Amedeo Lomonaco ha intervistato Janiki Cingoli direttore del Centro italiano per la Pace in Medio Oriente:

    R. – I palestinesi hanno sempre detto che loro sono disposti a riconoscere Israele in quanto Stato, ma non in quanto Stato ebraico. Ma io ho l’impressione che ci sia anche il fatto che si tenga duro su una questione, aspettando anche di capire quali siano le proposte sulle altre. Se ci fossero posizioni e offerte nelle proposte di mediazione americana, che diano una linea rispetto alla questione dei grandi insediamenti – che non includa gli insediamenti vicino a Betlemme, per fare un esempio – o se anche sulla questione di Gerusalemme ci fosse un riconoscimento della presenza di un diritto ad avere una capitale palestinese a Gerusalemme Est, inclusi i quartieri storici all’interno delle Mura, escludendo solamente il quartiere ebraico, forse su questi aspetti ci potrebbe essere maggiore duttilità. Se, invece, su queste questioni le proposte fossero insufficienti, questo diventa un’ottima scusa per non entrare nel merito e quindi lasciar perdere.

    D. – Quali questioni pone il fatto che si chieda di riconoscere Israele come Stato ebraico?

    R. – Pone due questioni: una è ovviamente la questione dei rifugiati. I palestinesi hanno diritto al ritorno, Israele nega che ci sia un diritto al ritorno… E’ una questione su cui si sono anche formulazioni abbastanza avanzate, soddisfacenti, anche nelle stesse proposte avanzate da Clinton nel 2000. L’altro aspetto è quello della minoranza araba all’interno di Israele, che rappresenta il 20% della popolazione totale di Israele e la cui crescita demografica è più rapida di quella della parte ebraica. Allora, qui il problema è: quale è l’identità di questa minoranza, in uno Stato che si definisce e chiede di essere riconosciuto in quanto Stato ebraico? E qui è insufficiente fare il discorso di garantire uguali diritti, perché con uguali diritti la maggioranza può opprimere la minoranza. Ci deve essere una tutela delle minoranze, intanto con il riconoscimento che questa minoranza c’è, e secondariamente con il riconoscimento di diritti positivi – la questione della lingua, della scuola, della ripartizione degli aspetti finanziari e via dicendo – che garantiscano un’identità e uno sviluppo autonomo di questa minoranza in un contesto ovviamente di unità nazionale. E’ un po’ il modello, per certi versi, della minoranza tedesca in Alto Adige. Non è un caso che noi abbiamo organizzato diverse missioni di esperti israeliani, arabi ed ebrei, che sono venuti a Bolzano a studiare questa esperienza.

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    Una speranza per i bimbi del Sud Sudan: a Yirol apre un reparto di pediatria

    ◊   Nella difficile e instabile situazione del Sud Sudan, l’Ong Medici con l’Africa Cuamm ha inaugurato il reparto pediatrico nell’Ospedale di Yirol. La struttura accoglierà 3.500 piccoli malati ogni anno, dispone di una sala con 20 posti letto e un’unità di terapia semi intensiva. Veronica Giacometti ha intervistato Giovanni Putoto, responsabile della programmazione:

    R. – Un bisogno fondamentale riguarda l’ospedale di Yirol, nello Stato dei Laghi, nella Repubblica del Sud Sudan che è l’unico riferimento ospedaliero per le mamme e i bambini. Adesso, con l’inaugurazione della nuova pediatria – che arriva a 20 posti letto e che ospiterà 3500 bambini all’anno – riusciamo a dare una risposta più efficace ai tanti bisogni che colpiscono queste categorie di persone vulnerabili.

    D. – Com’è strutturato il reparto: chi sono i medici, com’è l’equipaggiamento, chi sono questi piccoli malati…

    R. – Sono bambini che vivono nei tucul, delle capanne, appartengono alla popolazione dinka, una tribù seminomade che vive a diretto contatto con il bestiame e sono quindi soggetti a molte malattie, in primis la malaria ma anche la polmonite, l’enterite ed a forme di malnutrizione. Il reparto è costituito da 20 posti letto, con due stanze di ricovero da 10 letti ciascuna, due stanze per lo staff medico e infermieristico, un magazzino, l’accettazione e l’ambulatorio. È stata anche costruita una sala per un’unità di terapia semi intensiva: qui arrivano bambini in condizioni così gravi, specie durante le epidemie di malaria, che necessitano un’assistenza ancora più intensa in termini proprio di ausili. È stata realizzata con il contributo della Cooperazione italiana, tramite un’agenzia delle Nazioni Unite che si chiama Unops, mentre l’equipaggiamento – letti, aspiratori, barelle, carrelli, bilance, concentratori di ossigeno, lampade, armadi – è stato reso possibile grazie al sostegno dei donatori di “Parole di Lulù”, una fondazione di Niccolò Fabi e di sua moglie che si occupa dei diritti alla salute dei bambini e che ha destinato alla pediatria le donazioni raccolte nell’edizione 2013 dell’evento annuale “Parole di Lulù”.

    D. – Un miracolo se si pensa che i lavori del reparto pediatrico sono stati ultimati durante la guerra in corso…

    R. – E’ proprio così. I lavori sono stati realizzati ed ultimati in una fase di crisi del Paese – immaginate quindi le difficoltà logistiche – e avere il materiale, l’equipaggiamento, è un potente segno di speranza. La nostra è un’organizzazione che ha 63 anni e si chiama “Medici con l’Africa”: “con” l’Africa perché non basta essere “per” l’Africa, a distanza ma dobbiamo stare con loro e costruire fianco a fianco, giorno dopo giorno – tramite il sostegno al personale locale, tramite anche l’appoggio alle autorità locali – un sistema che dia risposte ai bisogni assistenziali. È un segno di pace, ma anche un segno di speranza, rivolti a queste popolazioni e al futuro di queste genti.

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    Giappone: silenzio in ricordo del sisma del 2011. P. Bianchin: uomo rispetti la natura

    ◊   Tre anni fa, la peggiore tragedia in Giappone dal dopoguerra, quando alle 14.46 ora locale la terra tremò al 9° grado della scala Richter e lo tsumani travolse il nordest del Paese, causando oltre 18 mila morti e dispersi e provocando uno dei più gravi incidenti nucleari nella centrale atomica di Fukushima, che portò all’evacuazione di circa 200 mila persone, di cui 50 mila non sono ancora potute rientrare nelle loro case. Per ricordare questo evento luttuoso, il Giappone ha osservato oggi un minuto di silenzio raccoglimento in memoria delle vittime. Roberta Gisotti ha raggiunto telefonicamente a Tokyo padre Mario Bianchin, superiore generale del Pontificio Istituto Missione estere (Pime), in Giappone:

    D. - Padre Bianchin con quale sentimento il popolo giapponese sta vivendo questo triste anniversario? Quanta sofferenza ancora permane di quei drammatici giorni?

    R. – Oggi, tutto il Giappone ricorda gli avvenimenti di tre anni fa in vari modi. Per quanto riguarda la Chiesa, oggi abbiamo celebrato una Messa con una liturgia speciale, con orazioni proprie, che ricordano appunto questo avvenimento, in cui si prega per i defunti, per chi ha perso la casa, gli amici, tutto... Per chi soffre ancora le conseguenze e per tutto il Paese, perché si adoperi per scongiurare le conseguenze del disastro nucleare e perché l’uomo impari a essere umile e a guardare la natura con rispetto e riconoscenza. Per quanto riguarda invece la società civile, per esempio il notiziario della sera in televisione invece di essere di mezz’ora è di un’ora e prende in esame i vari aspetti dell’avvenimento.

    D. – Le autorità hanno dato le risposte che il popolo giapponese attendeva per gli indennizzi, ma anche per la sicurezza degli impianti nucleari e per la difesa dei più deboli nel Paese, le popolazioni rurali, che in genere gravitano intorno agli impianti nucleari?

    R. – Attualmente, c’è dibattito sull’argomento delle centrali nucleari, che al momento sono tutte ferme, e ovviamente questo pone grossi problemi dal punto di vista del bisogno di energia nel Paese, ma credo che la coscienza e la gravità dei fatti sia diffusa tra la popolazione e vedremo cosa il governo deciderà. Ricordo tre anni fa quando avvenne questo incidente, ero senza luce, senza elettricità, senza poter contattare l’Italia fino alle 3 del mattino. Adesso, sembra una cosa lontana e irreale, perché tutto sembra tornato alla normalità, ma certamente è una cosa che non possiamo dimenticare.

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    Legge elettorale. Approvate le basi dell'"Italicum". Polemica per il no alle "quote rosa"

    ◊   Riforma della legge elettorale. L'Aula di Montecitorio ha approvato l'emendamento che rappresenta il "cuore" dell'Italicum e contiene i "pilastri" del patto siglato tra Matteo Renzi e Silvio Berlusconi. Ovvero, le soglie di sbarramento, il premio di maggioranza al 15% e i criteri e algoritmi per la ripartizione dei seggi. Molti i malumori in aula dopo il mancato voto ieri sera sugli emendamenti bipartisan relativi alle quote rosa. “Un’opportunità persa” è stato il commento della presidente di Montecitorio, Laura Boldrini. Paolo Ondarza ha raccolto due opinioni opposte: quella di Costanza Miriano, giornalista e scrittrice, e di Lella Golfi, presidente della Fondazione Bellisario. Ascoltiamole a partire da quest’ultima:

    R. – La pagina di ieri è una pagina molto triste: non solo di amarezza, ma aggiungerei anche di rabbia. Una occasione sprecata! Era una medicina per curare un po’ un malato che ha bisogno di essere curato, perché in Italia, bisogna ricordarlo, il maschilismo è tanto. Da ex parlamentare voglio aggiungere che forse si sarebbe potuto lavorare meglio, perché non si può arrivare improvvisamente in aula: bisogna creare fuori dall’aula, nella società, nel Paese e tra le donne delle convergenze. E’ un po’ come ho fatto io con la mia legge sulle quote di genere – la 120, approvata – che riguarda la partecipazione al 30% delle donne nelle società quotate e partecipate.

    D. – Dal suo punto di vista, il sistema delle quote rosa rende giustizia effettivamente a una parità uomo-donna?

    R. – Chiamiamole quote di "genere", perché secondo me forse rendono di più quello che si vuole fare e quello che dobbiamo fare. Nelle società quotate – quando io ho presentato la mia proposta di legge – sedeva soltanto un 5% e poco più, mentre oggi siamo arrivati al 18%. Quindi, stiamo coprendo un deficit di una società. Poi, io sono convinta che le donne, nelle società e nel parlamento, parlino un’altra lingua nei confronti delle altre donne: sono più sensibili, con una visione diversa, più vicine alle donne.

    D. – Costanza Miriano, perché “no” alle quote rosa?

    R. – Io credo bisognerebbe spostare l’obiettivo e chiedere una diversa partecipazione nel mondo del lavoro, cioè con un contributo diverso, perché noi siamo chiamate anche ad accudire la vita. Nei primi anni, sicuramente dobbiamo avere una disponibilità di tempo maggiore per accudire i figli. Quindi, io credo che una donna che chieda gli stessi diritti degli uomini manchi di ambizione. Bisogna chiedere di partecipare, ma in un modo diverso, con tempi diversi. Non è facile trovare la strada.

    D. – Quindi, “no” alle quote rosa così come sono state formulate…

    R. – “No” alle quote rosa tout court, perché appunto chiedono di entrare in un mondo maschile, piegandosi ai tempi e ai modi maschili. Questa è violenza, diciamo che è fare violenza all’essenza femminile, che è profondamente e strutturalmente diversa da quella maschile.

    D. – Lei è d’accordo con chi dice che le quote rosa non rendono giustizia al merito?

    R. – Sì, esatto. Credo che la maggioranza delle donne fondamentalmente abbia più a cuore la relazione e la vita personale, che difficilmente è conciliabile con un lavoro che richiede una dedizione totale, come è il lavoro per gli uomini. Quindi, alla fine andrebbero avanti solamente le donne disposte a immolare sull’altare della professione la propria vita personale. E questo significherebbe, alla fine, negare il contributo femminile perché significa far andare avanti un tipo di donna che non rappresenta tutte le donne.

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    Lieve crescita del Pil italiano. Allarme della Confesercenti: chiuse 29 mila imprese

    ◊   Nel quarto trimestre 2013, il Pil italiano è salito dello 0,1% rispetto al trimestre precedente, mentre risulta ancora negativo su base annua. Lo rileva oggi l’Istat. Si tratta del primo segno positivo dopo oltre due anni e rappresenta perciò la prima boccata d'ossigeno per l'economia del Paese. Quanto alle previsioni, l’Ocse calcola una crescita del Pil dello 0,7% nel primo trimestre del 2014, ma un rallentamento nel secondo. Intanto, dalla Confesercenti arriva il dato più allarmante degli ultimi 40 anni: la chiusura di 29 mila imprese tra gennaio e febbraio con Roma "maglia nera" per il peggior risultato. Adriana Masotti ha intervistato l’economista Alberto Quadrio Curzio, vicepresidente dell’Accademia dei Lincei:

    R. – C’è un sintomo di inversione di tendenza ed è questo dato del Pil. Naturalmente, se guardiamo le previsioni su base annuale per il 2014 il nostro Pil cresce molto poco – ovvero, dello 0,6% come previsione – a fronte di un 1,2% dell’Eurozona che è comunque il doppio. Sappiamo inoltre che i dati sulla nostra disoccupazione sono molto pesanti: circa come quelli dell’Eurozona, intorno al 12,5%, tuttavia quelli dell’Eurozona tenderanno a diminuire nel 2015-2016, mentre in base alle previsioni attuali per quelli italiani non è prevista nessuna diminuzione significativa. Quindi, qualche spiraglio c’è, ma allo stesso tempo non dobbiamo pensare che la crisi sia finita.

    D. – Infatti, c’è attesa per le stime sul primo trimestre del 2014 che, se fossero positive, potrebbero ufficializzare l’uscita dalla recessione…

    R. – Esattamente, è vero. L’uscita dalla recessione sì, però in base a valutazioni che sono certamente individuali e non oggettivate nell’analisi scientifica. Fin quando il nostro Paese non ritornerà sopra l’1%, non si può considerare che la crisi sia superata.

    D. – Invece, c'è l’altro dato negativo che emerge oggi dalla Confesercenti. Si tratta dell’emorragia di imprese che ha colpito tutto il suolo nazionale: quindi, il saldo negativo tra le imprese che quest’anno hanno chiuso e quelle che hanno aperto i loro battenti…

    R. – Questo è un dato importante ed è un dato drammatico. Il saldo negativo è enorme – anche solo di esercizi commerciali che sono il punto terminale della catena che intercorre tra produttori e consumatori – ed è molto difficile quando queste desertificazioni hanno luogo, ricostituire poi la “coltivazione” nel senso di un parallelo agrario perduto. È difficile perché ci sono fenomeni di disaffezione, di scoraggiamento che vanno anche oltre nel tempo al fatto meramente materiale di chiudere un esercizio. Obiettivamente, la nostra crisi, che in sei anni ha fatto perdere nove punti percentuali di Pil, è una crisi molto pesante. Siamo stati costretti a manovre correttive molto forti per via del nostro debito pubblico, ma questo ci spinge anche a dire che l’Europa non ha adeguatamente riflettuto su tutta la questione e se vuole ritrovare se stessa deve ritrovare anche la via della crescita.

    D. – La crisi ha colpito anche il settore turistico e Roma, che vive sul turismo, risulta essere la città più colpita. Questo vuol dire anche disoccupazione e maggiore degrado…

    R. – Non c’è dubbio che sia così. Roma ha potuto resistere entro limiti accettabili a una crisi pesante perché è anche un punto di coagulo del popolo cattolico che si reca a Roma per ragioni religiose. Se però non ci fosse stata quella forza di attrazione connotata da valenze religiose il fattore turistico, nel senso vero senso della parola, non sarebbe stato certamente sufficiente ad attenuare una crisi.

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    Chi si laurea trova più facilmente un impiego: un'indagine di AlmaLaurea

    ◊   Valorizzazione delle risorse umane del Paese è il tema centrale della 16.ma indagine svolta da AlmaLaurea sulla condizione occupazionale dei laureati. La ricerca ha coinvolto 450 mila laureati di 64 Università diverse intervistati a uno, tre e cinque anni dall’acquisizione del titolo. Ascoltiamo Andrea Cammelli, direttore di AlmaLaurea al microfono di Maura Pellegrini Rhao:

    R. - La cosa importante che emerge è che i laureati, a cinque anni dalla laurea, hanno un tasso di disoccupazione molto modesto - l’8% soltanto - naturalmente in modo diversificato tra i vari corsi di laurea. Questo vuol dire che quello che si è ripetuto a lungo, ovvero che laurearsi non serve, è in qualche modo destituito di ogni fondamento perché i laureati lavorano molto di più dei diplomati o di coloro con diplomi di scuole secondarie. Purtroppo guadagnano meno, ma la cosa importante che emerge è che laurearsi serve molto e serve soprattutto se qualcuno fa studi all’estero e stage in aziende durante il percorso di studi.

    D. - I principali dati negativi emersi?

    R. - E’ vero che c’è un ritardo nell’occupazione, che abbiamo registrato molto più pronunciato di quanto non avvenga negli altri Paesi europei. Abbiamo bisogno di arrivare almeno a cinque anni affinché un laureato possa trovare una giusta collocazione. Il nostro Paese è purtroppo in queste condizioni: un Paese nella quale gran parte dei manager purtroppo non hanno superato la scuola dell’obbligo, quindi per loro è più difficile riuscire a utilizzare bene il laureato che è formato. Uno studio della Banca d’Italia mette in evidenza che il manager laureato assume tre volte di più i laureati rispetto al manager che non è laureato, nella stessa azienda, con le stesse caratteristiche. Questo vuol dire che purtroppo il manager che non è laureato è molto preoccupato che il giovane conosca le lingue straniere, che conosca l’informatica: che si metta quindi in qualche modo in una condizione di poca valorizzazione. Noi rischiamo di perdere i migliori laureati che vanno all’estero e questo è naturalmente un elemento negativo. Evidentemente, il Paese perde anche occasioni straordinarie per migliorare se stesso.

    D. - Qual è la reale importanza delle università nella promozione dell’innovazione e dell’imprenditorialità?

    R. - Fino al 2000, facevano stage in azienda meno di 10 laureati su 100 e terminavano gli studi regolarmente meno di 10 laureati su 100. Oggi, è cresciuta moltissimo la percentuale di laureati che terminano gli studi in regola, attorno al 40% ed attorno al 65% entro un anno di ritardo. Soprattutto, quello che avviene è una cosa molto importante: la gran parte dei laureati finalmente riesce a fare stage in azienda, che vuol dire mettere insieme non soltanto una cultura di carattere generalista, ma mettere insieme anche una cultura che possa servire esattamente alle aziende per conoscere meglio il prodotto finito di ogni università.

    D. - Vogliamo ricordare dunque il valore dello studio?

    R. - Santa Chiara nel 1300 diceva: “Studiate, studiate!”. Conoscere bene le cose vuol dire diventare più grandi. Lo ha ripetuto anche il nostro ex presidente della Repubblica, Luigi Einaudi, che diceva: “Conoscere per governare è fondamentale”. Altrimenti, il rischio forte è quello di fare “sciocchezze”, continuare a essere un Paese in ritardo rispetto a quelle che sono le condizioni migliori.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Unicef: sono 5 milioni e mezzo i bambini colpiti dal conflitto

    ◊   Sono 5,5 milioni i bambini colpiti dal conflitto in Siria che hanno urgente bisogno di aiuto. Secondo il nuovo rapporto dell’Unicef pubblicato oggi, “Sotto assedio - L’impatto devastante di tre anni di conflitto in Siria sui bambini”, i bambini colpiti dalle violenze sono più che raddoppiati solo negli ultimi 12 mesi. Un milione di piccoli - riporta l'agenzia Sir - è intrappolato nelle aree della Siria sotto assedio o in quelle più difficili da raggiungere con assistenza umanitaria; 1,2 sono rifugiati nei Paesi limitrofi; gli altri 4,3 sono all’interno della Siria, di cui 3 milioni sfollati. Oltre 10.000 bambini hanno perso la vita nel conflitto; oltre 8.000 hanno raggiunto i confini della Siria senza genitori; 37.498 bambini sono nati in condizione di rifugiati; circa 3 milioni non vanno a scuola.

    Degli 1,2 milioni di bambini rifugiati nei Paesi limitrofi, uno su 10 è un piccolo lavoratore e una bambina su 5 è stata costretta al matrimonio precoce. L’Unicef chiede alla comunità internazionale “un’immediata cessazione delle violenze”, la possibilità di raggiungere il milione di bambini all’interno della Siria ancora tagliati fuori dall’assistenza, risorse per la loro istruzione e sostegno psicologico. “Questo terribile terzo anno di violenze per i bambini della Siria deve essere l’ultimo”, afferma il direttore generale Anthony Lake. (R.P.)

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    Siria: riunione dei vescovi in territorio libanese

    ◊   L'Assemblea dei vescovi cattolici di Siria si riunisce domani in trasferta a Raboueh, in Libano, presso la sede del Patriarcato greco-melchita. Lo conferma all'agenzia Fides l'arcivescovo armeno cattolico di Aleppo Boutros Marayati. La riunione episcopale, sotto la presidenza del patriarca greco-melchita Gregorios III Laham, sarà dedicata in particolare alle iniziative messe in campo dalla Caritas per venire incontro alle tante tragedie e sofferenze che affliggono la popolazione siriana nel Paese devastato dal conflitto armato.

    Il vescovo caldeo di Aleppo Antoine Audo, presidente di Caritas Siria, fornirà un quadro degli interventi in atto e di quelli in programma. “All'Assemblea” spiega a Fides l'arcivescovo Marayati “sono convocati i vescovi di tutte le Chiese cattoliche di rito diverso radicate in Siria. Sulla carta dovremmo essere una ventina, ma non sappiamo ancora in quanti riusciranno a uscire dalla Siria per essere presenti a Raboueh”.

    La riunione si tiene a tre giorni dalla liberazione delle suore greco-ortodosse di Maalula che ha suscitato gioia in tutte le comunità cristiane mediorientali. “Adesso” sottolinea l'arcivescovo Marayati “c'è da auspicare che i canali utilizzati per la liberazione delle suore di Maalula funzionino anche per affrontare e risolvere i casi di vescovi, sacerdoti e religiosi rapiti in Siria durante il conflitto”. Nelle trattative per liberare le suore hanno giocato un ruolo preminente i servizi di sicurezza libanesi. Oltre ai vescovi metropoliti di Aleppo Boulos al-Yazigi (greco-ortodosso) e Mar Gregorios Yohanna Ibrahim (siro-ortodosso), tra i sequestrati in Siria figurano ancora il gesuita Paolo Dall'Oglio, il sacerdote armeno cattolico Michel Kayyal e il sacerdote greco- ortodosso Maher Mahfouz. (R.P.)

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    Spagna. Il card. Rouco Varela a 10 anni dagli attentati di Madrid: "Senza perdono non c'è pace"

    ◊   Madrid, 11 marzo 2004, ore 7.36: dieci zaini imbottiti di esplosivo deflagrano in sequenza su quattro treni regionali. La stazione di Atocha diventa il simbolo della strage terroristica che provoca 191 morti ed oltre 2mila feriti. Dieci anni dopo, il card. Antonio Maria Rouco Varela, arcivescovo della capitale iberica, ha celebrato stamani una Messa in suffragio delle vittime, nella cattedrale dell’Almudena.

    Nella sua omelia, il porporato ha sottolineato “l’odio ed il disprezzo per la persona umana” che hanno causato quegli attentati “di raffinata crudeltà”; ma al contempo, il card. Rouco Varela ha evidenziato che “senza un pentimento profondo e radicale non potranno esserci mai strumenti o autori di percorsi di vera giustizia e pace”. “Non sappiamo esattamente – ha continuato il presidente dei vescovi spagnoli – quali furono i propositi ultimi di coloro che idearono, programmarono ed eseguirono gli attentati di Atocha; ma quello che risulta chiaro è che non riuscirono a neutralizzare né ad annullare i frutti dell’umanità redenta” da Cristo.

    Quindi, il porporato ha ricordato che in quei giorni di dieci anni fa “l’amore trionfava sull’odio, la vita sulla morte, la fiducia in Cristo morto e resuscitato aveva la meglio su un sentimento umano di impotenza”, a riprova che “il terrorismo poteva essere sconfitto”, anche grazie ai tanti episodi di “aiuto eroico e amore fraterno” che si verificarono in città. “Per coloro che credono – ha aggiunto il card. Rouco Varela – la morte non è un enigma indecifrabile” ed è per questo che gli attentati dell’11 marzo 2004 possono insegnare due cose: ad essere “sempre aperti al perdono” ed a “costruire la comunità politica e la convivenza sociale sui fondamenti etici dei diritti fondamentali della persona umana, del rispetto e della promozione della sua dignità e dell’unità solidale tra tutti i cittadini”. Infine, il porporato ha esortato “alla preghiera perseverante”, definendola “un fattore imprescindibile per un futuro di rinnovamento profondo del popolo spagnolo”. (A cura di Isabella Piro)

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    Madrid: aperta l'Assemblea plenaria dei vescovi spagnoli

    ◊   Con una grande attesa non solo nella Chiesa ma anche nell'opinione pubblica, é iniziata oggi a Madrid la 103.ma Assemblea della Conferenza episcopale spagnola. Per l'occasione i vescovi dovranno eleggere tutte le cariche della Conferenza episcopale tranne quella di segretario, per la quale é già stato eletto, nella precedente Assemblea, per i prossimi cinque anni, il sacerdote José Maria Gil Tamayo. Dopo qualche sondaggio questo pomeriggio, le elezioni vere e proprie avranno luogo a partire da domani mattina. Prima di iniziare i lavori, i vescovi hanno concelebrato una Eucaristia nella cattedrale della Almudena, nel decimo anniversario dell’attentato di Madrid dell’11 marzo 2004 che causò 192 morti e 1.857 feriti.

    L’arcivescovo di Madrid, card. Antonio Rouco Varela, che con quattro rielezioni è stato presidente della Conferenza per dodici anni, ha aperto i lavori offrendo un ampio bilancio sulla storia della Conferenza nei suoi circa 50 anni di vita. Tra le attività della Chiesa spagnola ha ricordato in particolare le otto visite papali: cinque di Giovanni Paolo II e tre di Benedetto XVI. Ha concluso l’intervento con uno sguardo verso il futuro, pieno di problemi ma anche di motivi di speranza. Nel suo intervento mon. Renzo Fratini, nunzio apostolico in Spagna ha ricordato le parole di Papa Francesco ai vescovi spagnoli nella recente “visita ad limina” ed ha ringraziato il card. Antonio Maria Rouco Varela per il suo impegno di 12 anni, come presidente della Conferenza episcopale spagnola.

    Compito principale di questa Assemblea, sarà l'elezione di tutte le cariche di responsabilità, tranne quella di segretario e portavoce. I vescovi elettori sono 80, tra i quali due cardinali, 13 arcivescovi, 53 vescovi diocesani, 11 ausiliari e l’Ordinario castrense. Le diocesi, oltre alla giurisdizione castrense, sono 69. Sono invece 32 i vescovi emeriti i quali possono partecipare all'Assemblea ma non hanno diritto di voto. E’ grande la responsabilità dei vescovi che dovranno eleggere i responsabili di 14 Comissioni, più altri organismi. Ma si può affermare che avranno una particolare rilevanza il Comitato esecutivo e la Commissione permanente. I lavori dell’Assemblea si concluderanno il prossimo giovedì, 13 marzo. (Dalla Spagna, padre Ignazio Arregui)

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    Sudan: chiesta l'apertura di un corridoio umanitario nel Darfur

    ◊   Il governo deve permettere una ripresa dell’assistenza umanitaria in Darfur, in una zona dove in poche giorni scontri armati hanno costretto circa 40.000 persone a lasciare le loro case: a chiederlo è l’Esercito di liberazione del Sudan guidato da Minni Minnawi, uno dei gruppi ribelli della regione occidentale del Paese.

    Un portavoce, Trayo Ahmed Ali, ha sottolineato che le pressioni della “comunità internazionale” possono essere decisive perché Khartoum permetta il ritorno di agenzie umanitarie espulse dall’area nel 2009. Scontri tra ribelli e milizie filo-governative - riferisce l'agenzia Misna - si sono verificati dalla fine di febbraio nel Darfur meridionale, a sud del capoluogo Nyala. Migliaia di abitanti di villaggi dati alle fiamme hanno cercato rifugio in campi profughi già sovraffollati.

    Violenze, del resto, sono state segnalate anche nel settore settentrionale del Darfur. Secondo i responsabili della missione congiunta dell’Onu e dell’Unione Africana nella regione, Unamid, migliaia di civili hanno cercato protezione presso una base dei peacekeeper nella cittadina di Saraf Umra. Le violenze sarebbero legate a tensioni tra le comunità Abbala e Beni Hussein. In lotta fra loro, riferisce il quotidiano Sudan Tribune, per il controllo di alcune miniere d’oro della zona. (R.P.)

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    Venezuela: appello del card. Urosa contro la violenza

    ◊   “L'uso della forza è riservato per legge ai corpi di sicurezza dello Stato, loro hanno il compito esclusivo di fermare la violenza provocata da alcune persone”: è quanto si legge nel comunicato inviato all’agenzia Fides dall'arcidiocesi di Caracas, firmato dal cardinale arcivescovo Jorge Urosa Savino e dai vescovi ausiliari della capitale. I vescovi intendono così ricordare al governo che non può ricorrere ai civili per fermare la violenza dei manifestanti. La situazione generalizzata di insicurezza ha infatti provocato vandalismi e saccheggi in diverse città del Paese, e la nascita dei cosiddetti “colectivos”, gruppi violenti ed armati che, con il pretesto di fermare le manifestazioni dei cittadini, creano panico e violenza. Sembra godano della simpatia delle autorità perché non sono né puniti né perseguiti dalla giustizia per le loro azioni.

    Pastori di Caracas aggiungono nel comunicato: "il coinvolgimento di questi gruppi (civili) nella repressione dei manifestanti, oltre ad essere illegale, è estremamente pericoloso e minaccia di dare ancora più forza alle proteste dei cittadini". Inoltre, a nome della Chiesa, esprimono preoccupazione per l'escalation di violenza vissuta dal Paese nei giorni scorsi e chiedono di trovare i responsabili dei morti dal 12 febbraio attraverso "un'indagine seria, imparziale e obiettiva".

    Alle autorità è chiesto di garantire il diritto alla protesta e soprattutto di ascoltare quanti reclamano per l'insicurezza e la carenza dei prodotti alimentari di base. In conclusione, i vescovi invitano governo e opposizione alla "serenità", e tutti i cittadini a "promuovere l'armonia per evitare atti violenti che violano l'ordine pubblico e mettono in pericolo la vita dei cittadini". (R.P.)

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    Venezuela: le chiese oggetto di violenze e atti sacrileghi, anche durante le Messe

    ◊   Diverse chiese sono state investite dagli atti di violenza verificatisi negli ultimi giorni in Venezuela: la notizia è stata data da mons. Victor Hugo Basabe, sottosegretario della Conferenza episcopale del Venezuela, parlando ai media. Secondo le informazioni inviate all’agenzia Fides, il sottosegretario ha detto che “alcune chiese che si trovano nei luoghi dove la conflittualità è stata alta, sono state attaccate da gruppi violenti”, anche “in piena Messa”. Ha citato quindi la chiesa di Santa Barbara a Mérida, dove gruppi irregolari hanno fatto irruzione mentre si celebrava la Messa. Inoltre le forze dell’ordine pubblico hanno aggredito un sacerdote, padre José Palmar, durante una marcia a Maracaibo, il 19 febbraio.

    Mons. Rafael Conde, vescovo della diocesi di Maracay, in un comunicato pervenuto a Fides ha denunciato gli atti sacrileghi e di vandalismo accaduti nella parrocchia di Nostra Signora di La Candelaria a la Otra Banda de La Victoria, nel comune di Ribas, nello stato di Aragua, dove è stato distrutto il tabernacolo, gettate in terra le ostie consacrate, rubato l’impianto stereofonico della chiesa e danneggiata la nicchia del Cristo crocifisso per sottrarre la cassetta delle offerte. Mons. Conde ha riferito anche di un altro atto vandalico avvenuto nella parrocchia di La Candelaria a Maracay. "L'insicurezza ci riguarda tutti, non distingue, non chiede, siamo tutti sottoposti a queste violenze" ha commentato.

    Ieri si è registrata un’altra vittima, a Tachira: uno studente di 24 anni. Il Paese è diviso e mentre il presidente Maduro ha convocato un terzo “dialogo di Pace”, l’opposizione è ferma a non voler partecipare. Ieri sera il Segretario generale dell'Oea (Organizzazione degli Stati Americani), José Miguel Insulza, ha detto alla stampa internazionale che la Chiesa cattolica potrebbe essere la mediatrice per portare avanti un vero dialogo di pace e risolvere la terribile situazione che il Venezuela sta vivendo da un mese. (R.P.)

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    Nigeria. Boko Haram: oltre 500 cattolici uccisi e 20 chiese e case parrocchiali distrutte dal 2009

    ◊   Oltre 500 cattolici uccisi e 20 tra chiese e case parrocchiali distrutte. È questo il bilancio delle vittime e dei danni inferti alla comunità cattolica nel nord-est della Nigeria dalla setta islamista Boko Haram, dal 2009 ad oggi. Il rendiconto è stato delineato in un articolo pubblicato dal Catholic News Service of Nigeria, l’agenzia di notizie promossa dalla Conferenza episcopale della Nigeria, firmato da mons. Oliver Dashe Doeme, vescovo di Maiduguri, capitale dello Stato di Borno, il luogo dove la setta è nata nel 2009.

    Mons. Doeme afferma che alla radice delle azioni di Boko Haram, che pure uccide in base a motivazioni religiose, c’è la corruzione. “La corruzione è il problema numero uno della nazione -afferma il vescovo -, l’insorgere di Boko Haram è un prodotto della corruzione. Il Governo federale deve combatterla con forza. È triste vedere come poche persone siedono su miliardi di naira” (la valuta locale) ha aggiunto mons. Doeme. “I giovani coinvolti nelle attività di Boko Haram possono distanziarsi da esse se si dà loro l’opportunità di farlo”.

    In un’intervista del 2011 all’agenzia Fides, mons. Doeme aveva denunciato le connivenze di alcuni politici locali con Boko Haram: “Il coinvolgimento di alcuni politici nella setta è rilevante fin dalla sua fondazione. All’inizio si trattava di un gruppo creato per difendere gli interessi di certi politici, poi si è trasformato in una setta violenta, ma le connessioni politiche sono sempre rimaste”. Il fatto che Boko Haram colpisce anche la comunità musulmana locale è un indizio che la setta persegue obiettivi politici, al di là dell’etichetta religiosa attribuita alle sue azioni.

    Negli ultimi anni da Boko Haram si è staccata una fazione, Ansaru, che sembra seguire un’agenda internazionale avendo allacciato legami con altre formazioni jihadiste africane, come Aqmi (Al Qaida nel Maghreb Islamico).

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    Togo: i vescovi esortano i politici e la società civile a continuare il cammino della riconciliazione

    ◊   I vescovi togolesi sono “convinti che l’attuazione delle raccomandazioni della Commissione verità, giustizia e pace, lo svolgimento delle elezioni locali e l’effettiva realizzazione delle riforme istituzionali potranno contribuire efficacemente a rafforzare il clima di pace, lo stato di diritto e lo sviluppo del Paese”. È quanto si legge nel comunicato pubblicato al termine dell’assemblea ordinaria della Conferenza episcopale (Cet) svoltasi nei giorni scorsi nella capitale Lomé. Durante i lavori i presuli hanno focalizzato la loro attenzione sui problemi che dovrà affrontare il Paese nel prossimo futuro, dopo le tensioni politiche che hanno accompagnato le elezioni presidenziali del luglio scorso.

    A questo proposito essi esortano le istituzioni, i partiti politici e la società civile a perseguire insieme con coraggio il cammino di riconciliazione avviato nel Paese. Nel discorso di apertura il presidente della Cet, mons. Benoît Comlan Messan Alowonou, ha sottolineato l’importanza di una “buona formazione dei futuri sacerdoti e degli agenti pastorali in seno alla Chiesa cattolica”, ma anche di quella dei politici e dei dirigenti che hanno la responsabilità di costruire il futuro della società. L’incontro è stato anche l’occasione per approfondire i temi che riguardano da vicino la comunità cattolica locale, che rappresenta un quinto della popolazione.

    Altri temi discussi hanno riguardato la prossima canonizzazione di Giovanni XXIII e di Giovanni Paolo II; la pastorale sociale in Togo; l’organizzazione e la formazione e nei seminari, l’insegnamento cattolico; l’organizzazione dei pellegrinaggi internazionali nei luoghi santi e la riforma dei tribunali ecclesiastici. L’assemblea ha infine approvato IL piano pastorale per i prossimi tre anni, volto in particolare a migliorare e rendere più efficaci gli interventi della Chiesa cattolica a favore delle fasce più deboli della popolazione. (A cura di Lisa Zengarini)

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    Pakistan: distrutta da estremisti chiesa in costruzione. A rischio demolizione le case dei cristiani

    ◊   I cristiani in Pakistan vedono violato il loro diritto ad avere luoghi di culto e persino un’abitazione. Come riferito all'agenzia Fides, i fedeli cristiani del quartiere identificato con la sigla “Chak 3-4-L” a Okara, nel Punjab pakistano, hanno iniziato la costruzione di una chiesa sul terreno donato dal cristiano Akber Masih, residente nell’area. Hanno costruito le mura dell’edificio e posto una croce davanti al cancello principale del piccolo cantiere.

    Nei giorni scorsi, appena visto il simbolo cristiano, un folto gruppo di estremisti islamici è piombato nel cantiere con dei bulldozer, demolendo la costruzione avviata. I fedeli del luogo hanno presentato una denuncia alla polizia. Come riferito a Fides dall’Ong “Sharing Life Ministries Pakistan”, i colpevoli dell’abuso non sono stati arrestati, anche grazie agli appoggi politici di cui dispongono. I cristiani del quartiere che hanno chiesto protezione alle autorità civili, hanno invece ricevuto minacce perchè desistessero dal progetto di costruire una chiesa.

    Un altro allarme, segnalato a Fides dalla comunità cristiana della capitale Islamabad, riguarda invece le baraccopoli e i quartieri poveri (gli “slums”) presenti nella capitale, aree dove vivono in ghetti (chiamati “colonie”) le minoranze cristiane, povere ed emarginate. Tali “colonie” sono affollate di gente spesso giunta in città dalle aree rurali sperando di trovare un lavoro. Sono quartieri che mancano delle elementari condizioni e norme igieniche, come le condutture dell’acqua e le fogne. Nei giorni scorsi un giudice dell’Alta Corte di Islamabad ha ordinato all’Autorità per lo Sviluppo della Capitale di demolire tutti questi insediamenti, in quanto abusivi.

    Le colonie interessate dal provvedimento sono almeno dieci, in diverse aree periferiche della capitale. Un funzionario del comune ha stimato che sarebbero circa 5.000 le famiglie cristiane, residenti in questi insediamenti, a ritrovarsi senza casa. I leader cristiani chiedono al Comune di pensare a una sistemazione per i nuclei familiari, ormai da anni in città, per migliorare la condizione sociale ed economica delle persone delle minoranze nella comunità cittadina.(R.P.)

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    Concilio panortodosso. Il patriarca Kirill: parlare "con un cuore solo" al mondo

    ◊   “Il Concilio deve unirci, renderci più efficaci davanti ai problemi che esistono nel mondo e riconciliare chi non lo è ancora pienamente”. A indicare gli obiettivi del Santo e Grande Sinodo della Chiesa ortodossa che sarà convocato entro l’anno 2016, è il patriarca di Mosca e di tutta la Russia Kirill in un’intervista rilasciata a una televisione russa e riportata anche sul sito ufficiale del patriarcato. Ad accelerare i tempi e il processo di preparazione del Concilio pan-ortodosso entro il 2016 - riferisce l'agenzia Sir - sono stati i primati delle Chiese ortodosse autocefale, che si sono ritrovati in “sinassi” al Fanar (Istanbul) dal 6 al 9 marzo, su invito e sotto la presidenza del patriarca Bartolomeo. Sarà Bartolomeo, infatti, a convocare e presiedere il Santo Sinodo pan-ortodosso.

    “I lavori della 'sinassi’ - si legge oggi in un comunicato tradotto dalla Chiesa ortodossa italiana legata al Patriarcato ecumenico - sono stati portati a termine in un clima assai fraterno; in particolare sono stati discussi temi inerenti alla vita della Chiesa ortodossa nel mondo contemporaneo, soprattutto nelle regioni dove l’ortodossia e il cristianesimo in genere affrontano seri problemi e difficoltà; è stata espressa la solidarietà e il profondo interesse dell’intera Chiesa ortodossa per i nostri fratelli che lì soffrono”.

    In modo particolare, la “sinassi” si è interessata della situazione in Medio Oriente e in Ucraina, come anche della continua incertezza sulla sorte dei vescovi di Aleppo, Paolo e Yuhanna Ibrahim, rapiti lo scorso anno. I primati hanno anche discusso del Santo e Grande Sinodo della Chiesa ortodossa ed hanno determinato le modalità di rappresentanza e partecipazione delle Chiese ortodosse autocefale al Sinodo, come anche del modo di prendere le decisioni in esso. È il patriarca Kirill a specificare meglio la questione: “Le decisioni al Concilio saranno prese per consenso, cioè per comune accordo”. Ogni Chiesa poi avrà a disposizione un solo voto: “Ciò significa che ogni Chiesa non potrà presentare due opinioni differenti, che la posizione della Chiesa locale dovrà essere formulata in modo tale da esprimere l’opinione di tutto il suo episcopato, il suo clero e il suo popolo. Questo è estremamente importante affinché non ci sia conflitto”.

    Alla “sinassi” i primati hanno anche deciso che ogni Chiesa sarà rappresentata da 24 vescovi e se alcune Chiese non hanno una tale quantità di gerarchi, saranno presenti nella totalità dei loro vescovi. “Se il Signore lo benedice, nel 2016, le Chiese ortodosse s’incontreranno - conclude Kirill - per dire, con una sola bocca e un solo cuore tutto quello che oggi pensano sulla propria vita e attività, sul loro modo di affrontare i problemi più importanti”. (R.P.)

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    Iraq: mons. Sako a un anno dal suo insediamento a patriarca della Chiesa caldea

    ◊   Mons. Louis Raphael I Sako, ha celebrato nei giorni scorsi il primo anniversario del suo insediamento come Patriarca della Chiesa Caldea. Per l’occasione – riporta il blog Baghdadhope – il presule ha scritto una lettera di ringraziamento a tutti coloro che gli hanno fatto gli auguri. Dopo un anno di impegno, scrive il Patriarca il "peso dell'eredità e della responsabilità" che grava sulle sue spalle è sempre maggiore. Un compito "per niente facile, come invece qualcuno immagina sia".

    L'Iraq - sottolinea - è un Paese cui manca ancora la "pace e la stabilità" e nel quale "la nostra gente ancora soffre, si impoverisce ed emigra". In un tale contesto la Chiesa deve affrontare vari problemi: "il numero ridotto di sacerdoti e di religiosi e religiose, la mancanza di competenze, la debolezza del lavoro pastorale e la lentezza nell'aggiornamento e nel rinnovamento". Problemi che, evidenzia mons. Sako, non possono essere risolti dal solo Patriarca che non può "fare miracoli".

    La lettera continua poi con un appello a tutto il clero caldeo perché "faccia un autoesame in silenzio ed in preghiera e perché ascolti la parola di Dio per diventare segno visibile della Sua presenza e della Sua misericordia". Il compito del clero è "imitare l'umiltà di Cristo" perché "i fedeli sentano in misura maggiore il calore del nostro amore e del nostro servizio". "Per poter affrontare le sfide attuali con onestà e coraggio", continua mons. Sako, ci vuole "una spiritualità profonda, una mente illuminata ed aperta, e la saggezza e l'entusiasmo necessari a lavorare in squadra per la nostra missione.”. Un ringraziamento particolare viene poi rivolto ai collaboratori del Patriarca, con i quali - scrive - ha vissuto "momenti difficili ma anche esperienze gioiose". (L.Z.)

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    Gmg Cracovia 2016: dal 26 al 31 luglio le date ufficiali

    ◊   Dal 26 al 31 luglio 2016: è questa la data ufficiale della Giornata Mondiale della Gioventù che si svolgerà a Cracovia. Dal 20 al 25 luglio, invece, avranno luogo “I giorni nelle diocesi”. È quanto si legge nel sito ufficiale della Gmg polacca (www.krakow2016.com) che riporta anche un programma di massima di quei giorni. Martedì 26 - riferisce l'agenzia Sir - avrà luogo la cerimonia di apertura, il Festival della gioventù. Dal mercoledì 27 al venerdì 29 si terranno le catechesi. Il giovedì 28 è prevista l’accoglienza al Papa, mentre il venerdì si svolgerà la Via Crucis. Sabato 30 è il giorno della Veglia, e domenica 31 luglio la Messa finale con l’annuncio della sede della prossima edizione internazionale della Gmg. Il sito prevede che negli ultimi due eventi, la Veglia e la Messa finale, potrebbero partecipare oltre 2 milioni di giovani. 300mila, invece, quelli attesi per i “Giorni nelle diocesi”, ovvero i gemellaggi con le 43 diocesi polacche. (R.P.)


    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVIII no. 70

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    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.