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Sommario del 07/03/2014

Il Papa e la Santa Sede

  • Il Papa al Consiglio Ecumenico delle Chiese: avanti con fiducia verso l'unità dei cristiani
  • Il Papa: il digiuno più difficile è chinarsi sull'uomo ferito, digiuno è anche una carezza
  • Siria, mons. Arbach: la preoccupazione del Papa per il futuro del Paese e dei cristiani
  • Scioperi in Israele. P. Lombardi: viaggio del Papa in Terra Santa resta come da programma
  • Il card. Sandri: cristiani del Medio Oriente in gravi difficoltà, aiutiamoli a non fuggire
  • Tweet del Papa: la nostra gioia più profonda viene da Cristo; stare con Lui e camminare con Lui
  • Benedetto XVI: vi racconto la santità di Giovanni Paolo II, Papa e amico
  • Simposio sulla gestione dei beni ecclesiastici dei religiosi. Mons. Carballo: la trasparenza è credibilità
  • Altre udienze e nomine
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Ucraina: la Crimea convoca il referendum per entrare in Russia. Al via le Paralimpiadi di Sochi
  • Mons Biguzzi: in Sierra Leone serve più formazione per sconfiggere sfruttamento e corruzione
  • Libia: dalla Conferenza di Roma l'impegno a sostenere il rilancio del Paese
  • Algeria: continuano le manifestazioni contro la nuova candidatura di Bouteflika
  • Mons. Ambrosio: dalla politica attenzione alla scuola, "genitore 1 genitore 2" visione ideologica
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Siria: persi i contatti con le suore di Maaloula. Nessuna notizia degli altri religiosi rapiti
  • Centrafrica: Anti-Balaka e Seleka si impegnano per la pace
  • Giornata della donna. L'Unicef: l'istruzione come salvavita per le bambine
  • Cei: domenica 9 marzo in tutte le chiese una preghiera per l'Ucraina
  • Appello del card. Bagnasco per l'Ucraina. Domenica preghiere per la pace
  • Congo. Vescovi ed attivisti: "In Katanga l'incubo deve finire"
  • Filippine: a 4 mesi dal tifone Haiyan, ricostruzione ancora lontana
  • Terra Santa: Caritas Jerusalem risolve i problemi idrici di due cittadine palestinesi
  • Paraguay: il presidente Cartes incontra i vescovi sui problemi del Paese tra cui la povertà crescente
  • Perù: la Chiesa denuncia l’inquinamento allarmante della foresta
  • Università Europea: nuovo corso di laurea in ingegneria edile-architettura
  • Il Papa e la Santa Sede



    Il Papa al Consiglio Ecumenico delle Chiese: avanti con fiducia verso l'unità dei cristiani

    ◊   Le divisioni tra cristiani “non vanno accettate con rassegnazione”; andiamo avanti “con fiducia” verso l’unità. È l’auspicio del Papa alla delegazione del Consiglio Ecumenico delle Chiese (Wcc), guidata dal segretario generale, il rev. Olav Fykse Tveit, e ricevuta stamani in Vaticano. Il servizio di Giada Aquilino:

    Un “pesante ostacolo” alla testimonianza del Vangelo nel mondo. Sono le divisioni ancora oggi esistenti tra i cristiani nelle parole di Papa Francesco alla delegazione del Consiglio Ecumenico delle Chiese (Wcc). Salutando i rappresentanti dell’organismo ecumenico e ringraziandoli per il servizio che rendono “alla causa dell’unità tra i credenti in Cristo”, il Pontefice si è soffermato appunto sulle divisioni che permangono:

    “Esse non vanno accettate con rassegnazione, come fossero semplicemente una componente inevitabile dell’esperienza storica della Chiesa. Se i cristiani ignorano la chiamata all’unità rivolta loro dal Signore, essi rischiano di ignorare il Signore stesso e la salvezza da Lui offerta attraverso il suo Corpo, la Chiesa”.

    Le relazioni tra la Chiesa Cattolica e il Consiglio Ecumenico delle Chiese, ha ricordato il Santo Padre, si svilupparono a partire dal Concilio Vaticano II e hanno fatto sì che, “superando le incomprensioni reciproche”, si instaurasse “una sincera collaborazione ecumenica” e “un crescente ‘scambio di doni’ tra le diverse comunità”:

    “La via verso la comunione piena e visibile è un cammino che risulta ancora oggi arduo e in salita. Lo Spirito però ci invita a non aver timore, ad andare avanti con fiducia, a non accontentarci dei progressi che pure abbiamo potuto sperimentare in questi decenni”.

    Fondamentale, in tale cammino, è la preghiera, ha aggiunto il Papa:

    “Solo con spirito di preghiera umile e insistente si potrà avere la necessaria lungimiranza, il discernimento e le motivazioni per offrire il nostro servizio alla famiglia umana, in tutte le sue debolezze e le sue necessità, sia spirituali che materiali”.

    Nell’incontro tra la delegazione del Wcc e il Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani - è stato l’auspicio finale del Santo Padre - “sia possibile individuare il modo più efficace per progredire insieme su questa strada”.

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    Il Papa: il digiuno più difficile è chinarsi sull'uomo ferito, digiuno è anche una carezza

    ◊   “Io mi vergogno della carne di mio fratello, di mia sorella?”. È una delle domande che hanno caratterizzato l’omelia di Papa Francesco, durante la Messa di stamattina a Casa Santa Marta. Il Papa ha messo in risalto che la vita di fede è strettamente connessa a una vita di carità verso i poveri, senza la quale ciò che si professa è solo ipocrisia. Il servizio di Alessandro De Carolis:

    Il cristianesimo non è una regola senz’anima, un prontuario di osservanze formali per gente che indossa la faccia buona dell’ipocrisia per nascondere un cuore vuoto di carità. Il cristianesimo è la “carne” stessa di Cristo che si china senza vergognarsi su chi soffre. Per spiegare questa contrapposizione, Papa Francesco riprende il dialogo del Vangelo odierno tra Gesù e i dottori della legge, i quali criticano i discepoli per il fatto di non rispettare il digiuno, a differenza loro e dei farisei che invece di digiuni ne praticano molti. Il fatto, obietta il Papa, è che i dottori della legge avevano trasformato l’osservanza dei Comandamenti in una “formalità”, trasformando la “vita religiosa” in “un’etica” e dimenticandone la radice, cioè “una storia di salvezza, di elezione, di alleanza”:

    “Ricevere dal Signore l’amore di un Padre, ricevere dal Signore l’identità di un popolo e poi trasformarla in una etica è rifiutare quel dono di amore. Questa gente ipocrita sono persone buone, fanno tutto quello che si deve fare. Sembrano buone! Sono eticisti, ma eticisti senza bontà, perché hanno perso il senso di appartenenza a un popolo! La salvezza, il Signore la dà dentro un popolo, nell’appartenenza a un popolo”.

    Eppure, osserva il Papa, già il Profeta Isaia – nel passo ricordato nella Prima lettura – aveva descritto con chiarezza quale fosse il digiuno secondo la visione di Dio: “Sciogliere le catene inique”, “rimandare liberi gli oppressi”, ma anche “dividere il pane con l’affamato, introdurre in casa i miseri senza tetto”, “vestire uno che vedi nudo”.

    “Quello è il digiuno che vuole il Signore! Digiuno che si preoccupa della vita del fratello, che non si vergogna - lo dice Isaia stesso - della carne del fratello. La nostra perfezione, la nostra santità va avanti con il nostro popolo, nel quale noi siamo eletti e inseriti. Il nostro atto di santità più grande è proprio nella carne del fratello e nella carne di Gesù Cristo. L’atto di santità di oggi, nostro, qui, nell’altare, non è un digiuno ipocrita: è non vergognarci della carne di Cristo che viene oggi qui! E’ il mistero del Corpo e del Sangue di Cristo. E’ andare a dividere il pane con l’affamato, a curare gli ammalati, gli anziani, quelli che non possono darci niente in contraccambio: quello è non vergognarsi della carne!”.

    Questo significa che il “digiuno più difficile”, afferma Papa Francesco, è “il digiuno della bontà”. È il digiuno di cui è capace il Buon Samaritano, che si china sull’uomo ferito, e non è quello del sacerdote, che guarda lo stesso sventurato ma tira diritto, forse per timore di contaminarsi. E dunque, conclude, “questa è la proposta della Chiesa oggi: io mi vergogno della carne di mio fratello, di mia sorella?”:

    “Quando io do l’elemosina, lascio cadere la moneta senza toccare la mano? E se per caso la tocco, faccio così, subito? Quando io do un’elemosina, guardo negli occhi di mio fratello, di mia sorella? Quando io so che una persona è ammalata, vado a trovarla? La saluto con tenerezza? C’è un segno che forse ci aiuterà, è una domanda: so carezzare gli ammalati, gli anziani, i bambini o ho perso il senso della carezza? Questi ipocriti non sapevano carezzare! Se ne erano dimenticati… Non vergognarsi della carne di nostro fratello: è la nostra carne! Come noi facciamo con questo fratello, con questa sorella, saremo giudicati”.

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    Siria, mons. Arbach: la preoccupazione del Papa per il futuro del Paese e dei cristiani

    ◊   La preoccupazione per il futuro della Siria e per la situazione dei cristiani locali. Questo il pensiero del Papa per il Paese insanguinato da quasi 3 anni di conflitto. Lo ha riferito mons. Jean-Abdo Arbach, arcivescovo di Homs dei greco-melkiti, ricevuto stamani in udienza dal Pontefice. Il presule, contattato dalla nostra emittente subito dopo l’incontro in Vaticano, ha aggiornato il Santo Padre sulla situazione umanitaria siriana e sulle sofferenze delle comunità cristiane. Nel colloquio, durato una quindicina di minuti, mons. Arbach ha parlato in particolare della situazione ad Homs, dove - ha detto - “ogni giorno ci sono morti”, ma anche a Damasco e nel resto della Siria. Il Pontefice, ha aggiunto, “mi ha ascoltato con grande attenzione, trasmettendomi una sensazione di pace e di tranquillità: è molto sensibile alle sofferenze e riconosce grande importanza alla preghiera e alla speranza nella fede dei cristiani”, appoggiandone il lavoro e il contributo in Siria e in tutto il Medio Oriente.

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    Scioperi in Israele. P. Lombardi: viaggio del Papa in Terra Santa resta come da programma

    ◊   Il viaggio di Papa Francesco in Terra Santa rimane in programma come comunicato dalla Santa Sede per i giorni 24-26 maggio: è quanto ha affermato il direttore della Sala Stampa vaticana, padre Federico Lombardi. Il portavoce vaticano ha detto che gli scioperi, in corso, del servizio diplomatico in Israele potrebbero creare difficoltà alla preparazione della visita, ma per il momento tutto rimane come da programma.

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    Il card. Sandri: cristiani del Medio Oriente in gravi difficoltà, aiutiamoli a non fuggire

    ◊   I cristiani in Medio Oriente stanno vivendo una situazione drammatica, oggi hanno bisogno più che mai del nostro aiuto. E' l'appello lanciato dal cardinale Leonardo Sandri, prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali, nella sua lettera ai vescovi di tutto il mondo in occasione dell'annuale Colletta per la Terra Santa. Il servizio di Sergio Centofanti:

    “Ogni giorno i cristiani in varie regioni del Medio Oriente – scrive il cardinale Sandri - si interrogano se restare o emigrare: vivono nell’insicurezza o subiscono violenza, talora, per il solo fatto di professare la loro e nostra fede. Ogni giorno ci sono fratelli e sorelle che resistono, scegliendo di restare là dove Dio ha compiuto in Cristo il disegno della universale riconciliazione” e “ancora oggi – rileva il porporato - la Colletta è la fonte principale per il sostentamento della loro vita e delle loro opere”.

    “La situazione attuale – sottolinea - è veramente delicata: basti pensare al conflitto tra Israele e Palestina, all’evoluzione che investe l’Egitto, alla tragedia della Siria. Nel Venerdì Santo vorremo elevare al Crocifisso il grido della pace per Gerusalemme e perché il mondo, cominciando dalla Terra di Gesù, divenga la Città della pace. Ai discepoli di Cristo si chiede di operare per la pace”.

    “La situazione di pesante incertezza sociale, e addirittura di guerra – ha aggiunto il cardinale Sandri - si è aggravata, colpendo ad ogni livello il fragile equilibrio dell’intera area e riversando sul Libano e sulla Giordania profughi e rifugiati che moltiplicano a dismisura campi di accoglienza sempre meno adeguati. Si rimane sconvolti per il numero di rapimenti e omicidi di cristiani in Siria e altrove, per la distruzione di chiese, case e scuole. Ciò non fa che alimentare l’esodo dei cristiani e la dispersione di famiglie e comunità”.

    “Tanti fratelli e sorelle nella fede – si legge ancora nella lettera - stanno scrivendo una pagina della storia con ‘l’ecumenismo del sangue’, che li affratella, e noi vogliamo essere al loro fianco con ogni sollecitudine. Le comunità cattoliche di Terra Santa, quella latina della Diocesi Patriarcale di Gerusalemme, come della Custodia Francescana e delle altre circoscrizioni, e quelle greco-melchita, copta, maronita, sira, caldea, armena, con le famiglie religiose ed organismi di ogni genere, grazie alla Colletta del Venerdì Santo, riceveranno il sostegno per essere vicine ai poveri e ai sofferenti senza distinzione di credo o di etnia. Le parrocchie manterranno aperte le porte ad ogni bisogno; così le scuole, ove cristiani e musulmani insieme preparano un futuro di rispetto e collaborazione; gli ospedali ed ambulatori, gli ospizi e i centri di ritrovo continueranno ad offrire la loro assistenza, affinché nello smarrimento di questi nostri giorni, la carità ecclesiale faccia risuonare la parola di Gesù: ‘Coraggio…non temete’ (Mc 6,50)”.

    “Così – conclude il cardinale Sandri - accompagneremo fin da ora Papa Francesco, che si appresta a farsi pellegrino di unità e pace in Terra Santa: una visita tanto attesa, desiderata e necessaria. Essa – è il suo auspicio - confermi nella fede i cristiani, li renda ancora e sempre più capaci di misericordia, di perdono e di amore”.

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    Tweet del Papa: la nostra gioia più profonda viene da Cristo; stare con Lui e camminare con Lui

    ◊   Il Papa ha lanciato oggi questo nuovo tweet dall’account @Pontifex in nove lingue: “La nostra gioia più profonda viene da Cristo: stare con Lui, camminare con Lui, essere suoi discepoli”.

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    Benedetto XVI: vi racconto la santità di Giovanni Paolo II, Papa e amico

    ◊   “Solo a partire dal suo rapporto con Dio” si può capire Karol Wojtyla. E’ uno dei passaggi dell’intervista a Benedetto XVI realizzata da Wlodzimierz Redzioch e contenuta nel libro “Accanto a Giovanni Paolo II” delle Edizioni Ares, pubblicato in occasione della canonizzazione di Papa Wojtyla il prossimo 27 aprile. Nella lunga intervista, la prima dopo la rinuncia al ministero petrino, il Papa emerito riflette sulla personalità e la spiritualità del suo Predecessore e racconta il suo rapporto straordinario con il Papa polacco quando era prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede. Un’ampia sintesi dell’intervista nel servizio di Alessandro Gisotti:

    “Santo Padre, Lei dovrebbe riposare”; e lui: “Posso farlo in cielo”. In questo scambio tra Giovanni Paolo II e il cardinale Joseph Ratzinger, risalente alla visita di Papa Wojtyla a Monaco di Baviera nel 1980, c’è tutta l’intensità del rapporto tra i due straordinari servitori del Signore. Un rapporto a cui ci si accosta nella lettura della lunga intervista del Papa emerito a Wlodzimierz Redzioch. Benedetto XVI ricorda che il suo primo vero incontro con Karol Wojtyla avvenne nel 1978 ai tempi del Conclave, ma già al Concilio Vaticano II si erano “cercati”, lavorando entrambi alla Costituzione Gaudium et Spes. “Percepii subito con forza – osserva – il fascino umano che egli emanava e, da come pregava, avvertii quanto fosse profondamente unito a Dio”. Il racconto si sposta dunque in avanti di qualche anno quando, diventato Papa, Giovanni Paolo II chiama il porporato tedesco ad essere tra i suoi più stretti collaboratori come prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede. “La collaborazione con il Santo Padre – ricorda Ratzinger – fu sempre caratterizzata da amicizia e affetto” e “si sviluppò” sia sul piano ufficiale che su quello privato. Innumerevoli gli incontri tra i due e il Papa emerito confida che “era sempre bello, per ambedue, cercare insieme la decisione giusta” sulle grandi questioni per la vita della Chiesa.

    La prima grande sfida, rileva, fu la “Teologia della liberazione” che si stava diffondendo in America Latina. L’opinione comune, afferma, era che “si trattasse di un sostegno ai poveri”, “ma era un errore”. La povertà e i poveri, spiega, “erano senza dubbio posti a tema dalla Teologia della liberazione e tuttavia in una prospettiva molto specifica”. Non era “questione di aiuti e di riforme, si diceva, ma del grande rivolgimento dal quale doveva scaturire un mondo nuovo”. Dunque, commenta Benedetto XVI, “la fede cristiana veniva usata come motore per questo movimento rivoluzionario, trasformandola così in una forza di tipo politico”. A “una simile falsificazione della fede cristiana – annota – bisogna opporsi anche proprio per amore dei poveri e a pro del servizio che va reso loro”. Giovanni Paolo II, aggiunge, ci guidò “da un lato a smascherare una falsa idea di liberazione, dall’altro a esporre l’autentica vocazione della Chiesa alla liberazione dell’uomo”. Un’altra sfida, ricorda, era “lo sforzo per giungere a una corretta comprensione dell’ecumenismo” e il dialogo tra le religioni e ancora il legame tra Chiesa e scienza.

    Benedetto XVI mette l’accento sull’importanza delle Encicliche di Giovanni Paolo II, a partire dalla prima, la Redemptor hominis, in cui “ha offerto la sua personale sintesi della fede cristiana”. Quindi, si sofferma lungamente sulla spiritualità del Beato Wojtyla. Una dimensione, evidenzia, “caratterizzata soprattutto dall’intensità della sua preghiera e pertanto era profondamente radicata nella celebrazione della Santa Eucaristia e fatta insieme a tutta la Chiesa”. Il Papa emerito non manca poi di dire la sua sulla santità di Karol Wojtyla. “Che Giovanni Paolo II fosse un santo – afferma – mi è divenuto di volta in volta sempre più chiaro”. C’è, spiega, “innanzitutto da tenere presente naturalmente il suo intenso rapporto con Dio, il suo essere immerso nella comunione con il Signore”. Di qui, soggiunge, “veniva la sua letizia, in mezzo alle grandi fatiche doveva sostenere e il coraggio con il quale assolse il suo compito in un tempo veramente difficile”. Giovanni Paolo II, ribadisce, “non chiedeva applausi, né si è mai guardato intorno preoccupato di come le sue decisioni sarebbero state accolte. Egli ha agito a partire dalla sua fede e dalle sue convinzioni ed era pronto anche a subire dei colpi”. Il “coraggio della verità”, prosegue, “è ai miei occhi un criterio di prim’ordine della santità. Solo a partire dal suo rapporto con Dio è possibile capire anche il suo indefesso impegno pastorale. Si è dato con una radicalità che non può essere spiegata altrimenti”.

    Nell’ultima parte dell’intervista, Benedetto XVI rammenta il grande affetto che lo legava al futuro Santo. “Spesso – confida con grande umiltà – avrebbe avuto motivi sufficienti per biasimarmi o per porre fine al mio incarico di prefetto. E tuttavia mi sostenne con una fedeltà e una bontà assolutamente incomprensibili”. Il Papa emerito fa l’esempio della Dichiarazione Dominus Jesus, che suscitò, nelle parole di Ratzinger, “un turbine”. Giovanni Paolo II, rimarca, difese “inequivocabilmente il documento” che egli approvava “incondizionatamente”. Il mio ricordo, confida infine, è “colmo di gratitudine”. “Non potevo – rileva – e non dovevo provare a imitarlo, ma ho cercato di portare avanti la sua eredità e il suo compito, meglio che ho potuto”. Per questo, conclude, “sono certo che ancora oggi la sua bontà mi accompagna e la sua benedizione mi protegge”.

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    Simposio sulla gestione dei beni ecclesiastici dei religiosi. Mons. Carballo: la trasparenza è credibilità

    ◊   Da domani a domenica gli Economi e le Econome generali di più di 500 Istituti di Vita consacrata provenienti da ogni parte del mondo parteciperanno al Simposio internazionale su “La gestione dei beni ecclesiastici degli Istituti di Vita consacrata e delle Società di Vita Apostolica a servizio dell’humanum e della missione della Chiesa”, presso la Pontificia Università Antonianum, a Roma. L’evento, organizzato dalla Congregazione per gli Istituti di Vita consacrata e le Società di Vita Apostolica, sarà aperto dall’intervento del cardinale prefetto del Dicastero, João Braz de Aviz. Presiederà i Vespri di sabato, il segretario di Stato, cardinale Pietro Parolin. “Lo scopo di questo Simposio è per il momento iniziare una riflessione profonda sulla gestione dei beni ecclesiastici da parte dei consacrati”, ha detto il segretario della stessa Congregazione, mons. José Rodriguez Carballo. Debora Donnini lo ha intervistato:

    R. - Prima di tutto questo Simposium è stato proposto alla Congregazione dal Santo Padre, perché certamente lui conosce la complessità della gestione dei beni ecclesiastici da parte dei consacrati e non soltanto. Questo desiderio del Santo Padre è venuto incontro ad un desiderio anche nostro, perché nella Congregazione stiamo vedendo che questa gestione, se non viene ben fatta, porta a delle conseguenze molto serie e a volte gravissime per gli Istituti stessi. Per adesso si tratta di iniziare una riflessione, condividere la complessità di questa tematica con gli Economi e i Superiori maggiori che partecipano, e arrivare a degli orientamenti. Il Dicastero sta preparando, già da alcuni mesi, alcuni orientamenti riguardo a questa gestione. Pensiamo dopo il Congresso - arricchito dalla partecipazione di tanti fratelli e sorelle - di poter offrire orientamenti precisi a tutti gli Istituti religiosi.

    D. - Oggi più che mai è necessaria la trasparenza. Quali scelte economiche fare di fronte alle esigenze di evangelizzazione?

    R. - Io credo che nel campo della trasparenza si sia fatta certamente molta strada. Posso dire che sono molte le Congregazioni che hanno audit annuali e che si fanno certificare i bilanci delle opere; sono molte le Congregazioni con scelte economiche condivise all’interno e con la partecipazione di esperti dall’esterno. Nel Simposio vogliamo insistere molto sulla trasparenza, perché crediamo che la trasparenza sia fondamentale per l’efficienza e l’efficacia della missione. Nella trasparenza ci giochiamo la credibilità! E questo non può mettersi in gioco.

    D. - Secondo lei, per gestire i beni ecclesiastici nel modo migliore è importante valorizzare le persone, cioè formare bene coloro che li gestiscono?

    R. - Questo è imprescindibile. Non arriveremo mai ad una gestione dei beni adeguata senza una formazione profonda - dal punto di vista tecnico, ma anche dal punto di vista carismatico - di chi gestisce quei beni. Quindi la formazione alla dimensione economica nella linea del proprio carisma è fondamentale, affinché le scelte nella missione possano essere innovative e profetiche. Devo dire che gli Istituti stanno investendo molto nella formazione, ma ancora oggi si improvvisa molto. Ecco perché anche il Simposio insisterà sulla formazione iniziale, nella quale si devono prevedere percorsi di educazione alla dimensione economica e gestionale, ai costi della vita e della missione. I nostri giovani, in formazione iniziale, devono sapere quanto costa la luce, l’acqua, il riscaldamento…

    D. - Ci vuole formazione professionale e formazione cristiana?

    R. - Certo, e direi anche umana. Ecco perché l’aspetto della gestione dei beni deve entrare pienamente nella formazione iniziale, però - allo stesso tempo - deve farsi una formazione per gli Economi. Questa formazione deve sensibilizzare gli Economi a tutti i valori, e concretamente e soprattutto ai valori evangelici della generosità, della solidarietà, della comunione.

    D. - Organizzazione economica e Provvidenza: un binomio non sempre facile da armonizzare, almeno apparentemente…

    R. - Alla luce della Sacra Scrittura possiamo dire che il grande pericolo delle ricchezze è proprio che ci fanno dimenticare Colui dal quale procedono tutti i beni: perché soltanto Lui è il proprietario assoluto! “Non si possono servire due padroni”, dice Gesù nel Vangelo. Quindi noi dovremo anche, attraverso una gestione dei beni giusta, lasciare alla Provvidenza il posto che le appartiene.

    D. - Cosa dire alla gente dinanzi ad alcune vicende che hanno scandalizzato l’opinione pubblica?

    R. - Prima di tutto si deve chiedere perdono! Si è sbagliato, anche a volte con buona coscienza. Io suppongo che c’è stata buona coscienza. Prima di tutto, perché i beni sono di Dio, non nostri; secondo, chiedere perdono ai poveri, perché di solito gli Istituti di Vita consacrata vivono della generosità dei poveri. E’ necessario quindi prendere delle misure tali da correggere immediatamente questi sbagli, voluti o non voluti e quando dico “voluti” non intendo dire che si cercano direttamente, ma certamente se non si ha una vigilanza adeguata, bisogna mettere in atto dei mezzi affinché questi sbagli vengano corretti immediatamente.

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    Altre udienze e nomine

    ◊   Papa Francesco ha ricevuto questa mattina mons. Andrés Carrascosa Coso, arcivescovo tit. di Elo, nunzio apostolico in Panamá, e alcuni presuli della Conferenza Episcopale di Spagna, in Visita "ad Limina Apostolorum".

    Il Santo Padre ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Melipilla (Cile), presentata da mons. Enrique Troncoso Troncoso, per raggiunti limiti di età. Gli succede mons. Cristián Contreras Villarroel, finora vescovo titolare di Illiberi ed ausiliare dell’arcidiocesi di Santiago del Cile. Mons. Cristián Contreras Villarroel è nato a Santiago del Cile il 24 aprile 1959. Ha compiuto gli studi filosofici e teologici nel Pontificio Seminario Maggiore di Santiago. Ha ottenuto la Licenza in Teologia presso la Pontificia Università Cattolica del Cile e il Dottorato in Teologia presso la Pontificia Università Gregoriana di Roma. Ha ricevuto l’ordinazione sacerdotale il 5 dicembre 1984 per l’arcidiocesi di Santiago del Cile. Dopo l’ordinazione sacerdotale ha ricoperto gli incarichi di vicario parrocchiale e di formatore ed insegnante nel Seminario Maggiore. Dal 1992 al 1999 è stato officiale della Congregazione per i Vescovi. Tornato nell’arcidiocesi, è stato parroco, cancelliere della Curia arcivescovile e vicario generale di Santiago del Cile. Il 25 aprile 2003 è stato nominato vescovo titolare di Illiberi ed ausiliare dell’arcidiocesi di Santiago del Cile. Ha ricevuto l'ordinazione episcopale il 21 giugno successivo.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   Non bisogna rassegnarsi alle divisioni: il Papa al segretario generale del Consiglio ecumenico delle Chiese.

    Un cantiere aperto: in prima pagina, un editoriale di Lucetta Scaraffia sulle donne nella Chiesa.

    Strumenti per la modernità: il cardinale segretario di Stato su Jacques Maritain discepolo di Cristo e della verità (in occasione del convegno, a Roma, per i quarant'anni dell'Istituto internazionale intitolato al filosofo francese).

    Chi era Karol Wojtyla: Silvia Guidi sulle ventidue testimonianze raccolte nel libro "Accanto a Giovanni Paolo II. Gli amici e i collaboratori raccontano".

    La vera misura delle cose: Inos Biffi su Tommaso d'Aquino e il senso dell'incarnazione.

    Otto regole per ritrovare l'unità: Anton Witwer illustra il metodo missionario di Pietro Fabro nella Germania protestante.

    Ma questo è un campo di concentramento!: Giulia Galeotti su Helga, la bambina divenuta donna tra Terezin e Auschwitz.


    Per una città più umana: il cardinale vicario Agostino Vallini sulla missione dei laici cristiani e la profezia del Concilio Vaticano II.

    L'Onu denuncia la lentezza di Damasco sulle armi chimiche.

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    Oggi in Primo Piano



    Ucraina: la Crimea convoca il referendum per entrare in Russia. Al via le Paralimpiadi di Sochi

    ◊   Si acuisce la tensione tra la Russia e la comunità internazionale sulla Crimea. Quest’ultima ha convocato un referendum, in programma il 16 marzo, per passare sotto l’egida di Mosca. Intanto oggi si aprono le Paralimpiadi a Sochi, tra il boicottaggio generale della cerimonia come conseguenza delle tensioni con Kiev, propria la delegazione ucraina invece sarà presente. Il servizio di Benedetta Capelli:

    Sono almeno 30mila i soldati russi presenti in Crimea. A riferirlo una televisione ucraina in una giornata densa di avvenimenti. Intanto è giallo sulle condizioni di salute dell’ex Presidente Yanukovic, sarebbe ricoverato in gravi condizioni in una clinica di Mosca a causa di un infarto. A preoccupare la comunità internazionale è invece il referendum convocato dalla Crimea il prossimo 16 marzo per entrare in Russia, una scelta che da Mosca definiscono “storica”. “Sarà rispettato qualsiasi esito delle urne”: aggiungono ma tanti Paesi definiscono la consultazione “incostituzionale”. Una vicenda che è stata toccata anche da Putin e Obama ieri al telefono. Gli Stati Uniti hanno rilanciato la necessità di un’azione diplomatica incisiva mentre la Russia ha ribadito che non si mettono in crisi le relazioni tra i due Paesi per “problemi internazionali isolati”. Intanto Mosca respinge anche la minaccia di sanzioni progressive da parte dell’Unione Europea e afferma che quanto sta accadendo in Crimea ha “una genesi interna”. Nel giorno dell’apertura delle Paralimpiadi di Sochi, giungono molte defezioni alla cerimonia di stasera alla quale sarà presente il Presidente russo Putin. Non ci saranno le delegazione di Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia, Norvegia e Finlandia, solo gli atleti sfileranno in pista. Presente a sorpresa una rappresentanza ucraina che però ha minacciato di lasciare i Giochi se la situazione dovesse precipitare.

    Sulla vicenda ucraina ed in particolare su quanto le condizioni di salute di Yanukovic potrebbero cambiare l’atteggiamento della Russia. Benedetta Capelli ha raccolto il commento di Fulvio Scaglione, vice-direttore di Famiglia Cristiana, esperto dell’area:

    R. – Io credo che Yanukovich sia una figura ormai fuori dai giochi: lo si è visto anche dall’accoglienza che ha avuto nelle prime ore del suo “esilio” in Russia: è stato ignorato, non è mai comparso affianco ai leader russi. Ovviamente, speriamo che si rimetta ma politicamente è già scomparso.

    D. – Per quanto riguarda il referendum convocato dalla Crimea il prossimo 16 marzo: molti Paesi dell’occidente definiscono questa consultazione incostituzionale. Dall’altro lato, invece, c’è Mosca che dice: “Noi accetteremo qualsiasi risultato”. Un Paese ha il diritto di indire un referendum sulla propria autonomia?

    R. – E’ una vecchissima questione: è la classica questione del doppio standard con cui si giudicano fenomeno analoghi. Qualcuno dovrebbe spiegare qual è la sostanziale differenza che c’è – per esempio – tra il caso del Kosovo e il caso della Crimea, perché alcuni hanno diritto all’autodeterminazione e altri no… Vorrei dire che non si può fare dell’autodeterminazione dei popoli un totem assoluto. Insomma, questa cosa dell’autodeterminazione dei popoli viene usata e tirata un po’ di qua e un po’ di là secondo la convenienza politica del momento. Dirimere questa questione è impossibile, e infatti nessuno ci riesce, neanche le grandi istituzioni internazionali. Non è che dal punto di vista istituzionale – strettamente istituzionale – sia molto più legittimo destituire con disordini di piazza un governo comunque legittimamente eletto …

    D. – La Russia ha ribadito agli Stati Uniti che quanto accade in Crimea ha una genesi interna e che non pesa sulle relazioni diplomatiche tra Washington e Mosca. Questa posizione di Mosca è una reazione alle ingerenze di alcuni Paesi nella vicenda della Crimea?

    R. – Questa questione è come quella dell’autodeterminazione dei popoli: vista da destra e vista da sinistra. E’ chiaro che la Crimea è una questione interna, ma è altrettanto chiaro che è una questione interna su cui ci sono state pesanti interferenze esterne, come quelle – appunto – della Russia. La stessa cosa, onestamente, lo si può dire dell’intera questione ucraina, che è una questione interna, perché il regime di Yanukovich era ormai diventato insopportabile ai più, su cui si sono esercitate pesanti interferenze esterne. Voglio dire: nel momento in cui un ex candidato alla Casa Bianca come il senatore John McCain, senza essere minimamente smentito da Washington, si reca a Kiev e tiene un comizio contro le autorità locali a favore di un partito di estrema destra come “Svoboda”, interferisce dall’esterno con una situazione interna. Idem le autorità europee. Qui, hanno tutti il naso lungo per le bugie, diciamola così …

    D. – Oggi l’apertura delle Paraolimpiadi di Sochi: molte le defezioni. L’Ucraina ha detto che non boicotterà i giochi. Come leggere questa novità?

    R. – Io credo che in questo momento il governo provvisorio dell’Ucraina sia estremamente attento a non provocare nessuno: non provocare la Russia, naturalmente, che è – in questo momento – l’interlocutore più temibile, ma anche non provocare una piazza – quella interna, ucraina – che, non dimentichiamoci, è la vera fonte di autorevolezza e di autorità di questo governo provvisorio che, non a caso, ha dovuto passare l’esame della piazza prima di passare quello del Parlamento. Credo che in questo momento le autorità di Kiev cerchino di pattinare su questo ghiaccio molto sottile, cercando di arrivare alla scadenza delle elezioni presidenziali anticipate, fissate per maggio. Credo che in questo momento sia molto più importante per Kiev riuscire a ottenere dall’Unione Europea e dagli Stati Uniti quei finanziamenti che sono indispensabili per la sopravvivenza dello Stato.

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    Mons Biguzzi: in Sierra Leone serve più formazione per sconfiggere sfruttamento e corruzione

    ◊   In Sierra Leone bisogna formare competenze per togliere il Paese dal giogo dello sfruttamento. Così in sintesi mons. Giorgio Biguzzi, 35 anni nel Paese africano, commentando la chiusura ufficiale della missione di pace delle Nazioni Unite, istituita 15 anni fa durante la guerra civile in Sierra Leone. Il conflitto, durato dal 1991 al 2002, ha causato - lo ricordiamo - almeno 120mila vittime. Massimiliano Menichetti ha raccolto il commento proprio di mons. Biguzzi vescovo di Makeni fino al 2012 e già presidente della conferenza episcopale della Sierra Leone:

    R. – Penso che si possa sostenere che sia stato una missine di successo, in Sierra Leone. Io sono stato presente per tutto il periodo: i vari combattenti si sono fidati delle truppe Onu. La guerra era stata condotta in modo molto sanguinoso dai combattenti locali, i ribelli del Ruf (Revolutionary United Front), milizie Kamajors e dall’Ecomog, cioè dal soldati della Comunità economica dell’Africa occidentale, al 90% nigeriani.

    D. – Perché si causò il conflitto?

    R. – Anzitutto, dite che non era a sfondo religioso né a sfondo tribale: era a sfondo economico-sociale, cioè lo Stato era praticamente crollato, nel senso che non c’erano più servizi sociali, la corruzione dilagava – si aveva l’impressione che alcuni dei ministri saccheggiassero lo Stato – quindi è bastata una spinta di qualcuno che non aveva neanche un progetto per farlo cadere, e tutto è finito nel caos.

    D. – Nel ’91 i ribelli del Fronte unito rivoluzionario invasero la Sierra Leone dalla Liberia …

    R. – Vennero dalla Liberia e, come detto, lo Stato era quasi un edificio fragilissimo e bacato, è crollato e crollando ci sono andate di mezzo decine di migliaia di persone innocenti, civili …

    D. – Lei era lì: fu un momento dolorosissimo …

    R. – Dolorosissimo, dolorosissimo! Io ricordo la prima volta, la prima massa di rifugiati interni, mi era venuto quasi da piangere a vedere persone con le mani tagliate, sanguinanti, "bambini soldato" morti sulle strade, la paura, l’insicurezza totale, il crollo dell’economia e quindi anche la fame …

    D. – Nel ’99, però, le cose iniziano a cambiare.

    R. – Il 7 luglio c’è stata la firma del Trattato di pace, e quando sono venuti i soldati di pace per il disarmo, i combattenti si sono fidati. C’erano tra gli articoli del Trattato, la cessazione immediata delle ostilità, il disarmo, la riabilitazione dei combattenti, la trasformazione del Ruf in partito politico, la costituzione di un tribunale speciale per i maggiori responsabili dei crimini: per questo si è poi costituito in Sierra Leone un tribunale misto che ha trovato le sue conclusioni in Olanda, all’Aja, con la condanna di colui che era stato il Presidente della Liberia Charles Taylor.

    D. – Oggi, invece, che volto ha il Paese?

    R. – C’è stato il disarmo, c’è stata la riconciliazione nazionale, c’è stata la ripresa della legittimità con lezioni pacifiche e anche abbastanza pacifiche già nel 2002, nel 2007 e nel 2012. Si è mossa molto anche la ricostruzione: ci sono stati grossi investimenti nelle materie prime, costruzioni di strade, infrastrutture; però, innanzitutto c’è ancora corruzione dilagante a tutti livelli, c’è grandissima disoccupazione e poi non sembra che ci sia un controllo adeguato delle concessioni a queste multinazionali. Ci sono grossi interrogativi sulla ricaduta sulle persone, sui villaggi, sugli operai, sui contadini.

    D. – Il Paese si sta ricostruendo grazie alla popolazione, o soggetti internazionali stanno approfittando del Paese?

    R. – Innanzitutto, diamo credito alla popolazione, però i governi si sono appoggiati molto a queste concessioni fatte a multinazionali cinesi, europee, sudafricane, australiane che sono tutto un conglomerato … Quindi, il governo ne trae dei ricavi, però ha posto grossi interrogativi sull’ecologia per la distruzione non solo delle foreste, ma sull’utilizzo delle acque. Poi ci sono stati gli espropriati che magari all’inizio si sono illusi che avrebbero avuto tanto lavoro, ma questo non sembra accadere … Poi, ci sono i servizi sociali che sono ancora molto inadeguati, a cominciare dall’istruzione.

    D. – Secondo lei, qual è la sfida che deve affrontare adesso il Paese, dato che la missione è finita?

    R. – Rafforzare le istituzioni nazionali: la giustizia, la corruzione, la trasparenza dei contratti con le multinazionali in cui si veda la ricaduta positiva sulla gente; e poi, la preparazione dei quadri locali. Bisognerebbe veramente investire sulle persone, investire sulla formazione, altrimenti si continuerà a sfruttare sempre le materie prime, però sotto la direzione di qualcun altro.

    D. – La Chiesa e anche i missionari sono stati molto presenti durante gli anni del conflitto: ora che ruolo hanno?

    R. – Ora, ovviamente, il ruolo dei missionari è al servizio di una Chiesa locale, di una gerarchia locale che è cresciuta. La Chiesa locale è molto impegnata, ovviamente, nell’evangelizzazione; poi, attraverso le Caritas locali, per i servizi sociali. La Chiesa già da 100 anni si è sempre impegnata nelle scuole, fin nei villaggi più sperduti, dove non c’era andato nessuno! In un Paese che è al 60-70% musulmano, le Chiese cristiane gestiscono il 43% delle scuole. Poi, la Chiesa è coinvolta tradizionalmente nelle cliniche e negli ospedali. Poi, ci sono le suore di Madre Teresa che hanno avuto quattro martiri, durante la guerra: quattro delle loro suore sono state uccise; hanno due Centri, uno nella capitale e uno a Makeni,dove curano i più poveri dei poveri.

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    Libia: dalla Conferenza di Roma l'impegno a sostenere il rilancio del Paese

    ◊   La comunità internazionale si impegna a supportare la Libia nella transizione democratica che, a due anni e mezzo dalla destituzione di Gheddafi, soffre ancora di grave instabilità politica e di mancanza di sicurezza interna. E’quanto è emerso ieri a Roma, nel corso della Conferenza internazionale sulla Libia, cui hanno preso parte più di 40 delegazioni di Paesi e Organizzazioni internazionali e il segretario di Stato americano, John Kerry. Il servizio di Elvira Ragosta:

    Le sfide alla sicurezza globale passano anche per la Libia, soprattutto per il suo Sud. E una Libia politicamente stabile genera stabilità nel Mediterraneo, in Europa e nell’intera comunità internazionale. L’impegno preso, ieri, a Roma è di supportare il governo libico con progetti di governance e sviluppo. A partire dal controllo delle armi e delle frontiere, fino all’inclusione istituzionale della galassia di gruppi che hanno combattuto la rivoluzione e che oggi sono incontrollate milizie autogestite. “La sicurezza della Libia - ha affermato il ministro degli Esteri italiano, Federica Mogherini - è un problema politico”. Dal suo omologo libico la richiesta di capacity building, per l’organizzazione di istituzioni che la Libia non ha mai avuto. “Abbiamo ereditato un non Stato – ha ricordato il ministro Abdelaziz – e dobbiamo ricostruirlo da zero, partendo dalla decentralizzazione”. Tra qualche giorno, sulla delicata questione libica si riunirà anche il Consiglio di Sicurezza dell’Onu, mentre le delegazioni presenti ieri a Roma verificheranno i progressi del loro operato nella prossima conferenza, in programma tra qualche mese in Turchia.

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    Algeria: continuano le manifestazioni contro la nuova candidatura di Bouteflika

    ◊   Ondata di proteste in Algeria per la quarta candidatura consecutiva a capo dello Stato da parte del 77enne Abdelaziz Bouteflika. Movimenti studenteschi, islamisti e dell’opposizione hanno lanciato un boicottaggio delle urne al quale hanno aderito anche gli altri 12 candidati: temono brogli durante le prossime elezioni. Maura Pellegrini Rhao ha sentito Luigi Serra, docente all’Orientale di Napoli ed esperto dell’area magrebina:

    R. – Oggi la protesta non è oceanica, in Algeria, contro Bouteflika; è pressoché oceanica, invece, la sensazione di malumore per un presidente che si ricandida quando – tra l’altro – da lungo tempo non appare sulla scena pubblica. E’, la sua, una ricandidatura che appare di routine e quindi c’è una protesta avvertita psicologicamente, in nuce, latente, diffusissima. E’ una protesta più evidente in quegli ambienti dove tradizionalmente non si è filo-governativi. Quindi, la protesta è psicologicamente, intimamente oceanica, largamente diffusa, perché l’Algeria, poi, è un Paese culturalmente evoluto e determinati movimenti politici che riproducono una continuità non unanimemente condivisa creano delle perplessità. Dal punto di vista delle evidenze, è più circoscritta ed è circoscritta proprio in quegli ambienti tradizionalmente "non allineati con il Palazzo".

    D. – Viene denunciata la mancanza di un’alternativa reale ad un governo ormai cristallizzato …

    R. – Questo alimenta perplessità di retroguardia, nel senso di dire: “Avete voluto imporci questo schema già le passate volte, abbiamo la verifica del fallimento”.

    D. – Inoltre, gli altri 12 candidati hanno aderito al boicottaggio delle urne a causa di probabili brogli elettorali …

    R. – 12 candidati non è poco … Una riconferma di Bouteflika significa la cancellazione di una tendenza di alternanza su schema molto partitico o variabilmente idealizzabile, quindi in pratica una linea ancora di gestione non democratica della destinazione a presidenza della Repubblica.

    D. – Possiamo fare dei pronostici per gli esiti di queste proteste?

    R. – Esiti … è presto per dirlo. L’Algeria è dicotomica da sempre: vi sono due realtà sociopolitiche, linguistico-culturali ben distinte e da sempre contrapposte. La componente araba e la componente berbera sono fortemente significative della dimensione nazionale e statuale, con la componente araba, minoritaria dal punto di vista antropologico, etnico, sociale e la componente berbera, minoritaria dal punto di vista politico ma indubbiamente paritaria dal punto di vista dell’entità etnica. Quindi, ogni previsione in ordine alla sicura lettura delle conseguenze di una qualsivoglia protesta è pressoché aleatoria: bisogna verificarla, poi, sul campo. Se si acuisce sul terreno, probabilmente gli esiti porteranno ad un ripensamento da parte dello stesso Bouteflika.

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    Mons. Ambrosio: dalla politica attenzione alla scuola, "genitore 1 genitore 2" visione ideologica

    ◊   E’ necessario rafforzare l’autonomia scolastica, a 15 anni dal suo regolamento attuativo. Un percorso che passa anche attraverso una maggiore sussidiarietà. E’ quanto è emerso a Roma in un seminario organizzato dal centro studio scuola cattolica della Cei. La scuola d’altronde è al centro dell’azione del governo Renzi. Su questo, Alessandro Guarasci ha sentito il presidente della Commissione episcopale per la scuola, mons. Gianni Ambrosio:

    R. - Anche a me è parso di vedere questo piccolo segno, questa attenzione da parte appunto della politica. Credo sarebbe anche molto importante che questa attenzione al sistema scolastico nel suo complesso fosse una “responsabilità” che la stessa società civile deve avvertire, altrimenti vi è solo e sempre un’attenzione di tipo numerico, quantitativo, finanziario rispetto alla scuola, dimenticando che l’educazione deve essere davvero al cuore ed al centro dell’impresa educativa.

    D. – Finanziamenti più certi ed erogazioni più certe per le scuole paritarie?

    R. – Per tutto il sistema scolastico. All’interno del sistema scolastico, naturalmente anche la possibilità di poter offrire un esempio di autonomia scolastica per le scuole paritarie. Credo che questo sarebbe un contributo importante per far migliorare tutto il sistema scolastico.

    D. – E’ necessario, secondo lei, anche abbandonare alcuni schemi ideologici tipo “genitore 1, genitore 2” che hanno fatto tanto discutere?

    R. – Indubbiamente sì, perché mi pare che in una situazione di emergenza educativa andiamo ad accentuare le difficoltà piuttosto che offrire qualche buon spunto per superare le difficoltà nelle quali noi viviamo. Credo sia una visione estremamente ideologica che non ci aiuta a crescere.

    D. – Rafforzare anche l’insegnamento della religione nelle scuole?

    R. – Sì, anche questo contribuisce molto a guardare verso l’alto e ad avere un orizzonte; altrimenti se ci manca il riferimento al cielo allora la sola terra è molto grigia. I giovani hanno bisogno di uno slancio ideale per potersi impegnare, per poter essere responsabili di se stessi rispetto all’impegno scolastico, rispetto anche alle varie forme di dispersione scolastica, rispetto al tanto bullismo presente all’interno delle scuole. Se manca una visione ideale della vita credo che non faremo molta strada.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Siria: persi i contatti con le suore di Maaloula. Nessuna notizia degli altri religiosi rapiti

    ◊   Un gruppo di negoziatori che cercava di liberare le 13 suore di Maaloula, rapite lo scorso anno, hanno perso i contatti con i rapitori che con ogni probabilità hanno trasferito le religiose in un nuovo nascondiglio. Le 13 suore - riferisce l'agenzia AsiaNews - erano state rapite nel dicembre scorso, insieme a tre ragazze loro ospiti e portate fuori dal monastero di Maaloula verso Yabrud, una cittadina sotto il controllo dei ribelli, nella zona nord-est di Damasco, vicina al confine col Libano. I rapitori hanno diffuso due video sulla loro prigionia. In cambio della loro liberazione, essi hanno chiesto dapprima la libertà per tutte le donne prigioniere della Siria, poi quella di tutti i prigionieri politici. Negli ultimi giorni hanno aumentato le richieste, fra cui provvedere cibo per le città sotto il dominio dei ribelli e far allontanare l'esercito dai luoghi religiosi cristiani.

    Secondo alcune fonti, i ribelli appartengono a un gruppo affiliato ad Al Nusra, una derivazione di Al Qaeda, il cui capo sarebbe Abu Malek al-Kuwaiti. Fonti di AsiaNews a Damasco confermano di non avere alcuna notizie delle suore, né dei due vescovi ortodossi rapiti lo scorso aprile né del padre Paolo Dall'Oglio.

    La situazione nel Paese si fa sempre più pesante dopo il fallimento dei dialoghi di pace a Ginevra. I combattimenti e i bombardamenti dei due fronti, insieme alle distruzioni di tre anni di guerra e all'enorme numero di sfollati - si parla di 9 milioni di siriani - hanno causato la penuria di cibo e spesso anche di acqua. A causa degli scontri violenti le organizzazioni umanitarie sono impossibilitate a portare aiuto. Sebbene a Ginevra Damasco e i ribelli avessero acconsentito ad aprire presto dei corridoi umanitari, i camion di viveri e medicinali vengono bloccati o depredati. Secondo l'analista Daveed Gartenstein-Ross la guerra in Siria - che il 15 marzo prossimo entrerà nel suo quarto anno - potrebbe durare ancora "10 anni o più". (R.P.)

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    Centrafrica: Anti-Balaka e Seleka si impegnano per la pace

    ◊   “Un incontro senza precedenti” concluso con “un impegno a lavorare per la pace”: così la radio di Stato centrafricana riferisce della riunione convocata dal primo ministro André Nzapayeke, che per la prima volta ha visto sedersi attorno allo stesso tavolo capi delle milizie rivali responsabili della crisi armata. “Il capo del governo ci ha ricevuti per vedere come far uscire definitivamente il Paese dal ciclo di violenza. Gli abbiamo detto che siamo pronti a lavorare per riportare la pace” ha dichiarato Herbert Gontran Djono Ahaba, ministro dei Lavori pubblici, esponente di primo piano dell’ex coalizione ribelle Seleka, aggiungendo che “ci sono scene di violenza quotidiana, non possiamo più andare avanti così. E’ giunta l’ora di fermarci per ricostruire il nostro Paese”. Lo stesso impegno è stato preso da Joachim Kokate, capo militare delle milizie di autodifesa Anti-Balaka, nominato di recente consigliere del primo ministro. “Abbiamo risposto all’appello del capo di governo e abbiamo espresso la nostra volontà di cooperare per porre fine alle violenze” ha detto Kokate al termine della riunione.

    Nelle stesse ore sempre a Bangui si è tenuta la prima sessione del 2014 del parlamento di transizione. Il suo presidente Alexandre Ferdinand Nguendet ha chiesto al governo di “mettersi al lavoro per raggiungere i principali obiettivi già delineati”. Tra le azioni prioritarie c’è il coinvolgimento delle Forze armate centrafricane (Faca) nel processo di pacificazione e di messa in sicurezza del territorio affianco ai soldati francesi di Sangaris e alle truppe africane della Misca. Nguendet ha sottolineato “l’urgenza di passi concreti per creare le condizioni di un perdono e della riconciliazione nazionale, ma senza alcuna impunità”, ricordando anche la scadenza elettorale del febbraio 2015 “che va rispettata”.

    Nel frattempo la crisi centrafricana è al centro di discussioni al Consiglio di sicurezza dell’Onu, che sta valutando la proposta del segretario generale Ban Ki-moon di dispiegare una missione di 12.000 Caschi blu. “Questa missione rappresenta l’unica possibilità di sopravvivenza. Non ci sono alternative” ha dichiarato nel suo intervento ai 15 Stati membri il ministro degli Esteri di Bangui, Toussaint Kongo-Doudou. Al centro del dibattito c’è il costo di una futura missione di peacekeeping e un quadro chiaro di forze e mezzi che ogni paese intende mettere a disposizione. Il voto di una risoluzione potrebbe tenersi entro la fine del mese.

    Da Ginevra, l’Alto commissario Onu per i Rifugiati Antonio Guterres ha denunciato “una pulizia in atto, ai danni dei musulmani, costretti a scappare” dal Centrafrica, avvertendo del rischio “che migliaia di altri civili vengano uccisi sotto i nostri occhi”. Dalla scorsa settimana circa 15.000 civili sono intrappolati in 18 siti nell’ovest del Paese, circondati dalle milizie Anti-Balaka che potrebbero attaccarli da un momento all’altro. Se la situazione molto volatile sul terreno richiede un intervento militare urgente – in aggiunta dei 2.000 soldati francesi e dei 6.000 militari africani – concretamente, per motivi organizzativi e logistici, il dispiegamento di una missione Onu potrebbe non essere attuato prima del prossimo settembre. (R.P.)

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    Giornata della donna. L'Unicef: l'istruzione come salvavita per le bambine

    ◊   “31 milioni di bambine, nel mondo, sono escluse dalla scolarizzazione primaria”, si contano “circa 70 milioni” di donne “spose bambine”, cifra che, “entro il 2020”, salirà a 142 milioni. Sono alcuni dei dati diffusi da Unicef Italia, che in occasione della Giornata delle donne - riporta l'agenzia Sir - lancia l’iniziativa “#8marzodellebambine: l’istruzione come salvavita”, nata “per sottolineare il dramma dell’infanzia negata di milioni di bambine”, nota Giacomo Guerrera, presidente di Unicef Italia.

    “Almeno 50.000 ragazze tra 15 e 19 anni muoiono per complicazioni durante la gravidanza e il parto” e “nel mondo, dei 6 milioni e mezzo di bambini tra i 5 e i 14 anni che lavorano come domestici in case private, il 71% sono bambine. Circa il 20% delle donne hanno subito abusi sessuali da bambine”, sottolinea Guerrera, mentre “più di 125 milioni di bambine e donne sono state sottoposte a mutilazioni genitali”. Per l’Unicef “la scuola è un luogo reale di protezione dagli abusi, dallo sfruttamento, dai matrimoni e dalle gravidanze precoci, soprattutto in alcuni Paesi del mondo dove più le bambine sono ancora fortemente discriminate. L’istruzione è l’investimento più potente che una nazione possa fare”, conclude Guerrera. (R.P.)

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    Cei: domenica 9 marzo in tutte le chiese una preghiera per l'Ucraina

    ◊   “La Quaresima è tempo di preghiera, di una preghiera più intensa, più prolungata, più assidua, più capace di farsi carico delle necessità dei fratelli”, ha ricordato il Santo Padre nella celebrazione delle Ceneri che mercoledì ha aperto la Quaresima; è tempo di una “preghiera di intercessione, per intercedere davanti a Dio per tante situazioni di povertà e di sofferenza”.

    In “questo spirito” - riferisce l'agenzia Sir - la presidenza della Conferenza episcopale italiana chiede che “in tutte le chiese domenica 9 marzo ci sia un’intenzione di preghiera per la pace in Ucraina. A fronte di una situazione fattasi estremamente delicata, i vescovi italiani fanno proprio inoltre l’auspicio espresso all’Angelus domenica scorsa dallo stesso Papa Francesco, affinché le diverse componenti di quel Paese sappiano adoperarsi per il superamento delle incomprensioni e per costruire insieme il futuro della Nazione. Nel contempo, chiedono alla comunità internazionale di sostenere ogni iniziativa che sia in favore del dialogo e della concordia”.

    “La preghiera a cui invita la Cei - viene spiegato in una nota diffusa dall’Ufficio nazionale per le comunicazioni sociali - vuol essere anche un segno tangibile di vicinanza alla numerosa comunità di ucraini residenti in Italia, comprensibilmente preoccupata per la sorte di familiari che vivono in Ucraina”. Intanto, informa l’Ufficio Cei, “si è costituito un gruppo di lavoro che vede coinvolte diverse Caritas nazionali europee, inclusa Caritas Italiana, che da anni sono impegnate sul territorio con programmi di sostegno alla popolazione ucraina”.

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    Appello del card. Bagnasco per l'Ucraina. Domenica preghiere per la pace

    ◊   “Preghiamo perché tutti quanti, in modo particolare la nostra Europa, possa, con una sola voce e un solo cuore favorire le vie del dialogo e scoraggiare tutte le altre vie che non sono vie della vita e dell’amore, che non sono vie del rispetto della dignità delle persone, delle famiglie e dei popoli”. Lo ha affermato il card. Angelo Bagnasco, arcivescovo di Genova e presidente della Cei, durante la preghiera per il popolo ucraino, organizzata con la collaborazione dell’Ufficio diocesano Migrantes, ieri pomeriggio nell’abbazia di Santo Stefano, alla presenza del cappellano ucraino padre Vitaliy Tarasenko.

    “Vogliamo pregare lo Spirito Santo - ha detto il cardinale - perché illumini e riscaldi i cuori degli uomini, in particolare di coloro che hanno maggiori responsabilità di decisione, di giudizio, in questo momento, sulla scena non solo del popolo ucraino ma dell’Europa e del mondo. E, in particolare, del nostro Occidente perché gli interessi non prevalgano sui diritti in nessun modo e per nessuna ragione. Preghiamo - ha aggiunto - per tutti i popoli e per le nazioni che stanno vedendo con apprensione e con responsabilità quanto sta accadendo su un popolo vicino a noi, che è a tutti noi certamente particolarmente caro, perché possano giudicare scevri da interessi di qualunque natura, unicamente preoccupati per il bene delle persone, di una nazione, di un popolo”.

    Al termine - riferisce l'agenzia Sir - il cardinale ha poi rivolto un appello “ai capi di Stato dei vari Stati membri dell’Europa, perché, solo con un una voce unita e convinta, si può aiutare la via del dialogo e scongiurare le vie del conflitto, delle armi e della guerra” e “perché non facciano finta di non vedere, si lasciano guidare dal bene del popolo ucraino e dai diritti dei popoli e non da interessi di altra natura”. Infine, “come vescovi italiani rinnoviamo l’appello e l’auspicio ai capi delle nazioni affinché diano sempre più spazio al dialogo, di non cedere alla tentazione delle armi, che non risolvono niente ma peggiorano tutto”. (R.P.)

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    Congo. Vescovi ed attivisti: "In Katanga l'incubo deve finire"

    ◊   In un lettera pastorale i vescovi della provincia ecclesiastica di Lubumbashi – intitolata “Piangiamo con quelli che piangono” - lanciano “un grido di disperazione” alle autorità del Katanga, al governo di Kinshasa, alla locale missione Onu (Monusco) e ai miliziani Mayi Mayi Bakata-Katanga. Per i vescovi della provincia sud-orientale della Repubblica Democratica del Congo, l’attuale situazione “drammatica” è la conseguenza diretta della debolezza dell’autorità dello Stato, dell’impunità, della cattiva ripartizione delle ricchezze e degli squilibri economici tra ambienti urbani e rurali. La lettera pastorale, pubblicata il mese scorso al termine di un’Assemblea dei vescovi, auspica da tutte le parti coinvolte nella crisi “il rispetto della dignità umana”, calpestata dall’insicurezza politica, sociale ed economica.

    I presuli evidenziano che “la rivendicazione dell’indipendenza da parte della milizia è in realtà soltanto un pretesto per giustificare la propria violenza” e denunciano “il reclutamento dei giovani con la forza e sotto l’effetto di droghe”. Incursioni, attacchi ai villaggi e violazioni dei diritti umani su vasta scala “alimentano la psicosi tra la gente e danno una pessima immagine del Katanga” si legge ancora nel testo che illustra il paradosso tra “l’abbondanza delle ricchezze derivanti dallo sfruttamento delle risorse locali” e “la povertà scandalosa delle popolazioni locali”.

    Alle autorità centrali viene chiesto di “porre fine all’incubo vissuto dal Katanga” tenendo conto delle “rivendicazioni legittime dei civili”, con l’apertura di procedimenti giudiziari per punire i responsabili di crimini contro l’umanità, la fine dell’approvvigionamento in armi dei miliziani e della strumentalizzazione di “giovani innocenti trasformati in assassini”.

    L’organizzazione locale di difesa dei diritti umani Voix des sans voix (Vsv), ricorda che il governo congolese “non ha mai spiegato all’opinione pubblica cause e dinamiche della fuga dal carcere, nel 2011, del capo milizia Gédéon Kyungu Mutanda e dei suoi uomini”, condannati alla pena capitale per crimini contro l’umanità. Vsv denuncia inoltre l’inerzia del governo congolese e chiede un suo intervento urgente per risolvere la crisi aperta in Katanga, riferendo della “crescente insicurezza ai danni della popolazione”, soprattutto nei territori di Manono, Mitwaba e Pweto, noti come “triangolo della morte”. Negli ultimi mesi, sottolinea la nota dell’Ong, la “barbarie” dei miliziani è sfociata in “atrocità commesse nella totale impunità”, tra cui esecuzioni sommarie, rapimenti, stupri, villaggi incendiati, che hanno costretto alla fuga più di 400.000 persone, oggi in situazione di “grave crisi umanitaria, dimenticata”. (R.P.)

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    Filippine: a 4 mesi dal tifone Haiyan, ricostruzione ancora lontana

    ◊   L’8 novembre 2013 le onde e le raffiche di vento portate dal tifone Haiyan (chiamato dai filippini Yolanda) investirono con forza devastante ampie aree centrali dell’arcipelago e in particolare le isole di Leyte, Cebu e Bantayan. Quattro mesi dopo - riferisce l'agenzia Misna - il lavoro di ricostruzione nelle aree maggiormente colpite non è ancora completato al 10%. Addirittura non è ancora stato definito il piano di ricostruzione nelle 171 municipalità interessate dalla calamità. Le ragioni sono di carattere logistico, ma anche nella burocrazia e nelle leggi. Una situazione ammessa dalle autorità.

    “Il governo nazionale non ha ancora completato le indagini post-disastro essenziali per il piano di riabilitazione. Una volta realizzato quest’ultimo, tutto avrà un’accelerazione perché si potranno avviare contemporaneamente iniziative di ricostruzione e di riabilitazione”, ha ricordato ieri Panfilo Lacson, incaricato presidenziale per l’opera di recupero e ricostruzione.

    Una dichiarazione che riconosce l’urgenza degli interventi. Per cercare di accelerare le iniziative che restituiscano speranza e una qualche normalità di vita ai 14 milioni di filippini interessati dal disastro, Lacson chiede anche aiuto al settore privato, per tutti quegli interventi possibili che aggirino ostacoli burocratici e i limiti delle possibilità ufficiali. “Per quanto possa essere spiacevole e a volte frustrante, dobbiamo accettare che è una buona cosa che il settore privato sia coinvolto e che finora non abbia fatto mancare partecipazione e interesse”, ha ricordato Lacson, che ha presente la necessità di assicurare che ingenti aiuti in denaro vengano utilizzati al meglio e in tempi brevi. Ancor più davanti alle denunce che già emergono sulla costruzione di abitazioni collettive provvisorie non conformi agli standard previsti e che, Lacson conferma, “devono essere accolte per evitare che i donatori perdano fiducia nelle nostre capacità e onestà”.

    Un sostegno a garantire almeno la sopravvivenza di migliaia di famiglie sono i programmi “lavoro in cambio di cibo”, come quello attivato da World Vision, Ong globale di ispirazione cristiana. L’organizzazione paga il salario minimo giornaliero legale di 260 pesos per quattro ore di lavoro quotidiano a ciascuno dei 12.000 filippini impiegati in attività di utilità sociale in 12 municipalità dell’isola di Leyte. Il progetto, di cui è previsto il finanziamento fino a novembre, risulta anche essenziale nel consentire alle famiglie di restare sul territorio e ai figli di studiare e crescere in un ambiente loro favorevole. “Non ricostruiamo soltanto comunità e infrastrutture – conferma Minnie Portales, tra i responsabili di World Vision nelle Filippine – ma stiamo restituendo la dignità a famiglie che hanno perso così tanto a causa del tifone”. (R.P.)

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    Terra Santa: Caritas Jerusalem risolve i problemi idrici di due cittadine palestinesi

    ◊   I problemi nella gestione delle risorse idriche nei Territori palestinesi penalizzano in forme diverse la vita della popolazione locale. La generale scarsità di acqua si accompagna a situazioni paradossali in cui la configurazione territoriale provoca problemi di allagamento in caso di pioggia. Due progetti portati a compimento da Caritas Jerusalem nelle scorse settimane hanno affrontato e risolto in pochi mesi le emergenze di segno opposto che pesavano gravemente sulle vita quotidiana degli abitanti di due città palestinesi. Lo riferiscono le fonti ufficiali di Caritas Jerusalem all'agenzia Fides.

    La cittadina di Ain Arik, a meno di sei chilometri da Ramallah, ha sempre sofferto per la scarsità di approvvigionamento idrico e per l'impossibilità di reperire acqua non contaminata. Per questo il dipartimento di Caritas Jerusalem per la sicurezza alimentare ha costruito in quella città due serbatoi per l'acqua collegandoli a un esteso sistema di irrigazione. L'opera, iniziata nel giugno 2013, è stata completata in 7 mesi di lavoro e già si prefigura un aumento consistente della produzione agricola locale di cui beneficeranno più di ottanta nuclei familiari. La realizzazione dell'opera ha permesso anche di offrire lavoro a almeno 13 giovani disoccupati. “il progetto” riferisce con toni entusiasti padre Raed Abusahlia, direttore generale di Caritas Jerusalem “trasformerà Ain Arik in un piccolo paradiso. Il nostro sogno è quello di estendere questo lavoro produttivo a altri villaggi”.

    Di tutt'altro ordine sono i problemi toccati alla città palestinese di Zababdeh, nella parte settentrionale della West Bank, dove l'assenza di un adeguato drenaggio provoca inondazioni diffuse, a danno delle proprietà e della vita quotidiana dei residenti. In questo caso Caritas Jerusalem con il sostegno di Caritas Belgio ha contribuito a istallare un sistema di drenaggio che permette di salvaguardare dalle inondazioni ampie aree nella parte meridionale del centro abitato. In soli due mesi, sono migliorate sensibilmente le condizioni di vita di quasi 600 dei 3mila abitanti di Zababdeh. (R.P.)

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    Paraguay: il presidente Cartes incontra i vescovi sui problemi del Paese tra cui la povertà crescente

    ◊   Il Presidente del Paraguay, Horacio Cartes, (che il 25 novembre scorso era stato in udienza in Vaticano da Papa Francesco) ha incontrato i vescovi della Conferenza episcopale del Paese latinoamericano, riuniti per la loro Assemblea ordinaria, per discutere di vari temi legati alla situazione della nazione. Mons. Adalberto Martínez Flores, Ordinario Militare del Paraguay, ha riferito in una nota inviata all’Agenzia Fides che durante l’incontro, avvenuto ieri, sono state affrontate questioni specifiche come il problema della terra, le coltivazioni, il progresso, la povertà crescente (in modo speciale nella zona rurale). Il Presidente Horacio Cartes, che era stato invitato a partecipare dai vescovi, si è presentato nella seconda giornata della 199.ma Assemblea plenaria ordinaria della Conferenza Episcopale del Paraguay, accompagnato da alcuni membri del suo gabinetto, tra cui i ministri dell'Interno, della Sanità e della Giustizia.

    Mons. Martinez, nel ruolo di portavoce, ha giudicato positivo lo sforzo fatto dal governo per migliorare la situazione del Paese, soprattutto in relazione alla povertà: "Si riescono a fare cose buone, ma c'è ancora molto da fare nel Paese" ha commentato parlando ai media.

    In virtù dei rapporti Chiesa-Stato, ai sensi dell'articolo 24 della Costituzione del Paraguay e sulla base dell’indipendenza, della cooperazione e dell’autonomia, è normale per la Conferenza episcopale del Paraguay ricevere autorità civili o richiedere incontri.

    Proprio in questi giorni la popolazione ha manifestato il suo totale disaccordo per come è stato rimosso il Sostituto Procuratore dell’Unità anti-corruzione e criminalità economica, Carlos Arregui. Forse proprio per questo motivo, il Procuratore generale dello Stato, Javier Diaz Veron, è intervenuto alla prima sessione dell’Assemblea della Conferenza episcopale, il 5 marzo, al fine di esporre personalmente la situazione, dopo la preoccupazione manifestata dai vescovi per questa rimozione a sorpresa. (R.P.)

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    Perù: la Chiesa denuncia l’inquinamento allarmante della foresta

    ◊   In Perù l'Ufficio per i Diritti umani del vicariato apostolico di Iquitos, ha pubblicato un "Rapporto di monitoraggio ambientale del fiume Marañón e della Riserva Pacaya Samiria" che attesta un grave inquinamento della zona. Mons. Miguel Olaortua Laspra, vicario apostolico di Iquitos, informa che i risultati mostrano livelli "allarmanti" di inquinamento delle acque, tanto da renderle "non idonee al consumo umano", e osserva che da molti anni erano state denunciate “la presenza o la fuoriuscita di petrolio”.

    La nota inviata all’agenzia Fides è accompagnata dal comunicato del vicario apostolico, che ricorda: “la responsabilità dell’ambiente è di tutti”. Si legge inoltre nel testo: “In totale sono stati ispezionati 17 piccoli centri. I risultati sono preoccupanti, se non allarmanti, perché il livello di inquinamento delle acque è tale che non sono idonee al consumo umano. Si sono trovati agenti contaminanti come ferro, alluminio, manganese, arsenico, cromo, coliformi totali e fecali, mercurio, zinco, piombo ... alcuni nel sistema idrico potabile (nelle località che godono di questo servizio) e altri nei fiumi Samiria e Maranon. Lo stesso vale per i fiumi Tigre e Corrientes, che pur non essendo oggetto di questo studio o rapporto, soffrono per una situazione simile. Stiamo lavorando con le comunità dei bacini di questi fiumi per offrire sostegno e consulenza da parte della Chiesa. Questa realtà contaminata che presenta il rapporto - afferma il vicario - mette in serio pericolo la salute dei nostri popoli e della nostra gente". (R.P.)

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    Università Europea: nuovo corso di laurea in ingegneria edile-architettura

    ◊   Novità per l’Università Europea di Roma: con il prossimo anno accademico partirà un nuovo corso di laurea magistrale a ciclo unico quinquennale in ingegneria edile-architettura. Ne dà notizia oggi la stessa Università. Caratteristica della nuova laurea sarà quella di dare una particolare importanza allo studio del patrimonio storico-artistico, al restauro e conservazione, all’arte ed edilizia sacra e all’ecosostenibilità. I futuri laureati - riferisce l'agenzia Sir - potranno partecipare agli esami di Stato per gli albi professionali di ingegnere (sez. A), architetto (sez. A) e dottori agronomi e forestali. La laurea è ad accesso programmato. Per poter partecipare alle prove di ammissione è necessario iscriversi sul portale www.universitaly.it, inderogabilmente entro le ore 15 del giorno 11 marzo 2014. Gli studenti potranno contare su una serie di servizi personalizzati e tecnologicamente avanzati. Tra questi: un laboratorio numerico; una biblioteca virtuale accessibile gratuitamente via internet con un ricco catalogo di riviste specialistiche e libri in formato elettronico; ogni studente, infine, avrà un tutor personale che lo seguirà per tutto il corso di studio. (R.P.)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVIII no. 66

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    E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.