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Sommario del 06/03/2014

Il Papa e la Santa Sede

  • Il Papa ai sacerdoti romani: è il tempo della misericordia, curate la ferite non siate asettici
  • Papa Francesco e la croce di padre Aristi: quanto bene fa un prete misericordioso!
  • Papa Francesco: non c'è stile cristiano senza croce e senza Gesù
  • Le Ceneri. Il Papa: Quaresima è invito a tornare a Dio perchè qualcosa non va nella società e nella Chiesa
  • Altre udienze e nomine
  • Tweet del Papa: preghiamo per i cristiani perseguitati perché sappiano reagire al male con il bene
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Si vota il 16 marzo in Crimea il referendum sull'adesione alla Russia
  • Sud Sudan: violenze a Juba. Una suora: Dio ci è vicino, è la speranza della gente
  • Gli orrori di un esodo: il viaggio degli eritrei verso l'Europa in una conferenza dell'Oim
  • Repubblica Centrafricana. L'Unicef: sfollati in vertiginoso aumento, molti bambini soli
  • Senato vota sì all'introduzione del reato di tortura
  • Entro settembre quattro miliardi per l'edilizia scolastica
  • Europa: aumenta l'uso di droghe tra gli adolescenti. Italia al primo posto
  • Maximulta dall'antitrust per cartello Novartis-Roche. Aziende annunciano ricorso
  • "Il mio Papa", la prima rivista su Papa Francesco. Vitali: portiamo il suo messaggio a tutti
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Svizzera: dalla Plenaria dei vescovi un appello per la pace in Ucraina
  • Siria. Mons. Hindo: i cristiani non appoggiano l'entità autonoma curda
  • Patriarcato ecumenico: incontro dei Primati ortodossi. Presente anche Mosca
  • Malaysia: rinviato il verdetto sull'uso di "Allah" per i cristiani
  • 7 poveri su 10 nel mondo sono donne, prive di diritti e istruzione
  • Caritas Internationalis promuove il Premio “Donne seminatrici di sviluppo”
  • Brunei: fede cristiana vietata nelle scuole cristiane se vi sono bambini musulmani
  • Haiti: riprende il dialogo politico con la mediazione del card. Langlois
  • Spagna: oltre 3,5 milioni di alunni scelgono l’ora di religione
  • Il Papa e la Santa Sede



    Il Papa ai sacerdoti romani: è il tempo della misericordia, curate la ferite non siate asettici

    ◊   E’ il tempo della misericordia. E’ il cuore del discorso di Papa Francesco ai parroci della sua diocesi di Roma, ricevuti stamani in Aula Paolo VI. Il Pontefice ha sottolineato che c’è tanta gente ferita da problemi materiali e spirituali e i sacerdoti sono chiamati “prima di tutto a curare le ferite”. Quindi, ha ribadito che non vanno bene preti lassisti o rigoristi, né tanto meno preti “asettici”, “da laboratorio”. Prima del suo intervento, il Papa ha chiesto di pregare per "don Gino", un sacerdote morto in questi giorni. Poi, ha detto di aver condiviso il dolore di alcuni sacerdoti romani per aver ricevuto accuse ingiuste. L’indirizzo d’omaggio è stato rivolto al Papa dal cardinale vicario Agostino Vallini. Il servizio di Alessandro Gisotti:

    “Nella Chiesa tutta è il tempo della misericordia”. Il vescovo di Roma ha esordito così nel suo appassionato discorso ai suoi sacerdoti, quasi un esame di coscienza condiviso fraternamente, ricco di richiami alla propria esperienza personale di pastore a Buenos Aires. Papa Francesco ha innanzitutto rammentato l’intuizione del suo predecessore Giovanni Paolo II che ha introdotto la festa della Divina Misericordia e ha canonizzato Suor Faustina Kowalska. Karol Wojtyla, ha proseguito, “ha avuto il fiuto che questo era il tempo della misericordia”. Qualcosa, ha detto, che va “rimeditato”:

    “Oggi dimentichiamo tutto troppo in fretta, anche il Magistero della Chiesa! In parte è inevitabile, ma i grandi contenuti, le grandi intuizioni e le consegne lasciate al Popolo di Dio non possiamo dimenticarle. E quella della divina misericordia è una di queste. E’ una consegna che lui ci ha dato, ma che viene dall’alto”.

    “Sta a noi, come ministri della Chiesa – ha aggiunto – tenere vivo questo messaggio soprattutto nella predicazione e nei gesti, nei segni, nelle scelte pastorali, ad esempio la scelta di restituire priorità al sacramento della Riconciliazione, e al tempo stesso alle opere di misericordia”. Il Papa ha quindi domandato cosa significa misericordia “per noi preti”, ma prima ha fatto una confidenza:

    “E mi viene in mente che alcuni di voi mi hanno telefonato, scritto una lettera, poi ho parlato al telefono… 'Ma Papa, perché lei ce l’ha con i preti?'. Perché dicevano che io bastono i preti! Non voglio bastonare qui…Che cosa significa misericordia per i preti?”.

    I preti, ha affermato, “si commuovono davanti alle pecore, come Gesù, quando vedeva la gente stanca e sfinita come pecore senza pastore”. Gesù, ha detto ancora, “ha le viscere di Dio: è pieno di tenerezza verso la gente, specialmente verso le persone escluse, verso i peccatori, verso i malati di cui nessuno si prende cura”:

    “Così a immagine del Buon Pastore, il prete è uomo di misericordia e di compassione, vicino alla sua gente e servitore di tutti. Questo è un criterio pastorale che vorrei sottolineare tanto: la vicinanza! La prossimità e il servizio: ma la prossimità, quella vicinanza… Chiunque si trovi ferito nella propria vita, in qualsiasi modo, può trovare in lui attenzione e ascolto…”.

    In particolare, ha commentato, “il prete dimostra viscere di misericordia nell’amministrare il sacramento della Riconciliazione; lo dimostra in tutto il suo atteggiamento, nel modo di accogliere, di ascoltare, di consigliare, di assolvere”. “Questo deriva – ha osservato – da come lui stesso vive il sacramento in prima persona, da come si lascia abbracciare da Dio Padre nella Confessione, e rimane dentro questo abbraccio”. E riferendosi ad un padre confessore di Buenos Aires ha sottolineato che se “uno vive questo su di sé, nel proprio cuore – ha soggiunto - può anche donarlo agli altri nel ministero”. “Il prete – ha soggiunto – è chiamato a imparare questo, ad avere un cuore che si commuove”.

    “I preti - mi permetto la parola - 'asettici' quelli 'di laboratorio', tutto pulito, tutto bello, non aiutano la Chiesa! La Chiesa oggi possiamo pensarla come un 'ospedale da campo'. Questo scusatemi lo ripeto, perché lo vedo così, lo sento così: un 'ospedale da campo'. C’è bisogno di curare le ferite, tante ferite! Tante ferite! C’è tanta gente ferita, dai problemi materiali, dagli scandali, anche nella Chiesa... Gente ferita dalle illusioni del mondo… Noi preti dobbiamo essere lì, vicino a questa gente. Misericordia significa prima di tutto curare le ferite”.

    Quando uno è ferito, ha proseguito, “ha bisogno subito di questo, non delle analisi”, “poi si faranno le cure specialistiche, ma prima si devono curare le ferite aperte”. Del resto, ha constatato, ci sono anche “ferite nascoste” e gente “che si allontana per non far vedere le ferite”. E, ha aggiunto, “si allontanano forse un po’ con la faccia storta, contro la Chiesa, ma nel fondo, dentro c’è la ferita…vogliono una carezza!”. Voi, ha domandato ancora, “conoscete le ferite dei vostri parrocchiani? Le intuite? Siete vicini a loro?”. E si è così riferito al Sacramento della Riconciliazione:

    Capita spesso, a noi preti, di sentire l’esperienza di nostri fedeli che ci raccontano di aver incontrato nella Confessione un sacerdote molto 'stretto', oppure molto 'largo', lassista o rigorista. Questo non va bene. Che tra i confessori ci siano differenze di stile è normale, ma queste differenze non possono riguardare la sostanza, cioè la sana dottrina morale e la misericordia. Né il lassista né il rigorista rende testimonianza a Gesù Cristo, perché né l’uno né l’altro si fa carico della persona che incontra”.

    Il rigorista infatti, ha affermato, “inchioda” la persona “alla legge intesa in modo freddo e rigido”, il lassista invece “si lava le mani”, “solo apparentemente è misericordioso, ma in realtà non prende sul serio il problema di quella coscienza, minimizzando il peccato”:

    “La vera misericordia si fa carico della persona, la ascolta attentamente, si accosta con rispetto e con verità alla sua situazione, e la accompagna nel cammino della riconciliazione. E’ questo è faticoso! Sì, certamente! Il sacerdote veramente misericordioso si comporta come il Buon Samaritano… ma perché lo fa? Perché il suo cuore è capace di compassione, è il cuore di Cristo!”.

    “Né il lassismo né il rigorismo – ha detto ancora – fanno crescere la santità”. Forse, ha soggiunto, “alcuni rigoristi sembrano santi”, ma “pensate a Pelagio e poi parliamo”. Il lassismo e il rigorismo, ha ripreso, “non santificano il prete, e non santificano il fedele”. La misericordia, ha aggiunto, accompagna invece “il cammino della santità, la accompagna e la fa crescere”. E questo “attraverso la sofferenza pastorale, che è una forma della misericordia”. Che cosa significa, dunque, “sofferenza pastorale?”. Vuol dire, ha avvertito il Papa, “soffrire per e con le persone”, come “un padre e una madre soffrono per i figli”, mi “permetto di dire anche con ansia”. E per rendere più incisive queste parole ha rivolto ai sacerdoti alcune domande che lo aiutano quando un prete va da lui:

    “Dimmi: Tu piangi? O abbiamo perso le lacrime? (…) Ma, quanti di noi piangiamo davanti alla sofferenza di un bambino, davanti alla distruzione di una famiglia, davanti a tanta gente che non trova il cammino … Il pianto del prete … Tu piangi? O in questo presbiterio abbiamo perso le lacrime? Piangi per il tuo popolo? Dimmi, tu fai la preghiera di intercessione davanti al Tabernacolo? Tu lotti con il Signore per il tuo popolo, come Abramo ha lottato? (…) Noi abbiamo i pantaloni per lottare con Dio per il nostro popolo? Un’altra domanda che faccio: la sera, come concludi la tua giornata? Con il Signore o con la televisione? Com’è il tuo rapporto con quelli che aiutano ad essere più misericordiosi? Cioè, com’è il tuo rapporto con i bambini, con gli anziani, con i malati? Sai accarezzarli, o ti vergogni di accarezzare un anziano?”.

    “Non avere vergogna della carne del tuo fratello”, ha ripreso, “alla fine, saremo giudicati su come avremo saputo avvicinarci ad “ogni carne”, “farci prossimo” alla carne del fratello” come il Buon Samaritano. Alla fine dei tempi, ha concluso Papa Francesco, “sarà ammesso a contemplare la carne glorificata di Cristo solo chi non avrà avuto vergogna della carne del suo fratello ferito ed escluso”.

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    Papa Francesco e la croce di padre Aristi: quanto bene fa un prete misericordioso!

    ◊   Quasi come in un’appendice del suo intervento al clero romano, il Papa è tornato indietro con la memoria per parlare di padre Aristi, Sacramentino, da cui tutto il clero di Buenos Aires, e lui stesso, andava a confessarsi. Il religioso, ha ricordato, morì ad oltre 90 anni la mattina di Pasqua. L’allora vicario generale Bergoglio decise allora di recarsi a rendere omaggio a padre Aristi, le cui spoglie erano nella cripta di una chiesa, prima del funerale. “C’era la bara – ha raccontato il Papa – solo due vecchiette lì che pregavano, ma nessun fiore”. Per quest’uomo, ha commentato, “che ha perdonato i peccati a tutto il clero di Buenos Aires, anche a me, nemmeno un fiore”. Il futuro Pontefice ha, dunque, preso l’iniziativa. Questo il racconto di quello che successe, condiviso con i sacerdoti romani:

    “Sono salito e sono andato in una fioreria – perché a Buenos Aires agli incroci delle vie ci sono le fiorerie, sulle strade, nei posti dove c’è gente – e ho comprato fiori, rose… E sono tornato e ho incominciato a preparare bene la bara, con fiori... E ho guardato il Rosario che aveva in mano… E subito mi è venuto in mente - quel ladro che tutti noi abbiamo dentro, no? -, e mentre sistemavo i fiori ho preso la croce del Rosario, e con un po’ di forza l’ho staccata. E in quel momento l’ho guardato e ho detto: 'Dammi la metà della tua misericordia'. Ho sentito una cosa forte che mi ha dato il coraggio di fare questo e di fare questa preghiera! E poi, quella croce l’ho messa qui, in tasca. Le camicie del Papa non hanno tasche, ma io sempre porto qui una busta di stoffa piccola, e da quel giorno fino ad oggi, quella croce è con me. E quando mi viene un cattivo pensiero contro qualche persona, la mano mi viene qui, sempre. E sento la grazia! Sento che mi fa bene. Quanto bene fa l’esempio di un prete misericordioso, di un prete che si avvicina alle ferite…”.

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    Papa Francesco: non c'è stile cristiano senza croce e senza Gesù

    ◊   Umiltà, mitezza, generosità: questo è lo stile cristiano, una via che passa per la croce, come ha fatto Gesù, ed è una via che porta alla gioia. E' quanto, in sintesi, ha detto Papa Francesco nell'omelia pronunciata stamani durante la Messa a Santa Marta. Ce ne parla Sergio Centofanti:

    Nel Vangelo proposto dalla liturgia del giovedì dopo le Ceneri, Gesù dice ai discepoli: “Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua”. Questo – sottolinea Papa Francesco - è “lo stile cristiano” perché Gesù per primo ha percorso “questo cammino”:

    “Noi non possiamo pensare la vita cristiana fuori da questa strada. Sempre c’è questo cammino che Lui ha fatto per primo: il cammino dell’umiltà, il cammino anche dell’umiliazione, di annientare se stesso, e poi risorgere. Ma, questa è la strada. Lo stile cristiano, senza croce non è cristiano, e se la croce è una croce senza Gesù, non è cristiana. Lo stile cristiano prende la croce con Gesù e va avanti. Non senza croce, non senza Gesù”.

    Gesù “ha dato l’esempio” – ha proseguito il Papa – e, pur “essendo uguale a Dio”, “annientò se stesso, si è fatto servo per tutti noi”:

    “E questo stile ci salverà, ci darà gioia e ci farà fecondi, perché questo cammino di rinnegare se stessi è per dare vita, è contro il cammino dell’egoismo, di essere attaccato a tutti i beni soltanto per me … Questo cammino è aperto agli altri, perché quel cammino che ha fatto Gesù, di annientamento, quel cammino è stato per dare vita. Lo stile cristiano è proprio questo stile di umiltà, di mitezza, di mansuetudine”.

    “Chi vuole salvare la propria vita, la perderà” – ripete Gesù – perché “se il grano non muore, non può dare frutto”. E “questo, con gioia – afferma il Papa - perché la gioia ce la dà Lui stesso. Seguire Gesù è gioia, ma seguire Gesù con lo stile di Gesù, non con lo stile del mondo”. Seguire lo stile cristiano significa percorrere la strada del Signore, “ognuno come può”, “per dare vita agli altri, non per dare vita a se stessi. E’ lo spirito della generosità”. Il nostro egoismo ci spinge a voler apparire importanti davanti agli altri. Invece, il libro dell’Imitazione di Cristo – osserva il Papa - “ci dà un consiglio bellissimo: ‘Ama non essere conosciuto ed essere giudicato come niente’. E’ l’umiltà cristiana, quello che ha fatto Gesù per primo”:

    “E questa è la nostra gioia, e questa è la nostra fecondità: andare con Gesù. Altre gioie non sono feconde; soltanto pensano – come dice il Signore – a guadagnare il mondo intero, ma alla fine perdere e rovinare la vita. All’inizio della Quaresima chiediamo al Signore che ci insegni un po’ questo stile cristiano di servizio, di gioia, di annientamento di noi stessi e di fecondità con Lui, come Lui la vuole”.

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    Le Ceneri. Il Papa: Quaresima è invito a tornare a Dio perchè qualcosa non va nella società e nella Chiesa

    ◊   La Quaresima è un invito a tornare a Dio, perché “qualcosa non va bene in noi, nella società e nella Chiesa e abbiamo bisogno di convertirci”. Così il Papa celebrando ieri pomeriggio presso la Basilica di santa Sabina sull’Aventino il mercoledì delle Ceneri. “Viviamo in un mondo sempre più artificiale dove – ha detto il Pontefice – senza accorgercene escludiamo Dio dal nostro orizzonte”. “La Quaresima – è stata l’esortazione – viene a risvegliarci dall’inerzia e dalla routine per “andare oltre il nostro orticello”. Prima della Messa, la processione penitenziale dalla Chiesa di Sant’Anselmo all’Aventino. Il servizio di Paolo Ondarza:

    Preghiera, digiuno, elemosina per non farsi dominare dalle cose che appaiono, perché “quel che conta – spiega Papa Francesco - non è l’apparenza o il successo, ma quanto abbiamo dentro”: questi tre elementi caratterizzano il cammino quaresimale che comprende la croce e la rinuncia. Il Papa li ha indicati invitando ad “aprirsi a Dio e ai fratelli” in un mondo sempre più artificiale, in “una cultura del fare e dell’utile”, dove senza accorgercene “escludiamo Dio dal nostro orizzonte”. “La Quaresima – ha detto – ci chiama a riscuoterci, a ricordarci che siamo creature e non siamo Dio”:

    "Quando io guardo nel piccolo ambiente quotidiano alcune lotte di potere per spazi, io penso: 'Ma, questa gente gioca a Dio Creatore!'. Ancora non se ne sono accorti che non sono Dio!".

    La preghiera – ha spiegato il Santo Padre – è la forza del cristiano e di ogni credente. Nella debolezza e nella fragilità della vita possiamo rivolgerci a Dio con la fiducia di figli con una preghiera, “capace di farsi carico delle necessità dei fratelli” in povertà o sofferenza:

    "Dinanzi a tante ferite che ci fanno male e che ci potrebbero indurire il cuore, noi siamo chiamati a tuffarci nel mare della preghiera, che è il mare dell’amore sconfinato di Dio, per gustare la sua tenerezza".

    “Il digiuno – ha proseguito Papa Francesco – comporta la scelta di una vita sobria, che non spreca, non scarta”. “Digiunare aiuta ad allenare il cuore all’essenzialità e alla condivisione: è un segno di presa di coscienza e di responsabilità di fronte ad ingiustizie e soprusi specialmente nei confronti dei poveri e dei piccoli; è segno della fiducia riposta in Dio e nella provvidenza:

    "Dobbiamo stare attenti a non praticare un digiuno formale, o che in verità ci 'sazia' perché ci fa sentire a posto. Il digiuno ha senso se veramente intacca la nostra sicurezza, e anche se ne consegue un beneficio per gli altri, se ci aiuta a coltivare lo stile del Buon Samaritano, che si china sul fratello in difficoltà e si prende cura di lui".

    Espressione di quella gratuità che dovrebbe caratterizzare ogni cristiano che da Dio ha ricevuto tutto gratuitamente è, infine, l’elemosina: si da a qualcuno da cui non ci si aspetta di ricevere qualcosa in cambio. Un‘azione spesso estranea dalla vita quotidiana dove – ha constato il Papa - tutto è calcolo e misura, tutto si vende e si compra”:

    "L’elemosina ci aiuta a vivere la gratuità del dono, che è libertà dall’ossessione del possesso, dalla paura di perdere quello che si ha, dalla tristezza di chi non vuole condividere con gli altri il proprio benessere".

    Ma perché dobbiamo tornare a Dio come esortano le Scritture? “ Perché – è la risposta del Papa - qualcosa non va bene in noi, nella società e nella Chiesa e abbiamo bisogno di cambiare, di convertirci”. “La Quaresima – ha concluso – viene a ricordarci che è possibile realizzare in noi e attorno a noi qualcosa di nuovo, perché Dio è fedele e pronto a perdonare e a ricominciare da capo”.

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    Altre udienze e nomine

    ◊   Papa Francesco ha ricevuto questa mattina in udienza, nello Studio dell’Aula Paolo VI, il cardinale Gerhard Ludwig Müller, prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede.

    Il Santo Padre ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Governador Valadares (Brasile), presentata da mons. Werner Franz Siebenbrock, S.V.D., per raggiunti limiti di età. Gli succede mons. Antônio Carlos Félix, finora Vescovo di Luz. Mons. Antônio Carlos Félix è nato il 5 dicembre 1957 a Caldas, nell’arcidiocesi di Pouso Alegre. Ha frequentato il corso di Filosofia presso il Seminario maggiore di Pouso Alegre e quello di Teologia presso l’Istituto Teologico "Sagrado Coração de Jesus" a Taubaté. Inoltre, ha ottenuto la specializzazione in Teologia Dogmatica presso la Pontificia Facoltà di Teologia "Nossa Senhora da Assunção", São Paulo. Ha ricevuto l’ordinazione sacerdotale il 20 dicembre 1986 ed è stato incardinato nell’arcidiocesi di Pouso Alegre, nella quale ha ricoperto i seguenti incarichi: Vicario Parrocchiale della Parrocchia "São Francisco de Paula" ad Ouro Fino e della Parrocchia "Nossa Senhora da Piedade" a Crisólia (1987); Professore, Promotore Vocazionale, Direttore degli studi e Rettore del Seminario arcidiocesano di Pouso Alegre (1988-1999); Parroco della Parrocchia "São Cristóvão" a Pouso Alegre e Professore, Direttore Spirituale e di Tesi teologiche nell’Istituto Teologico Interdiocesano "São José" (2000-2003). Il 5 febbraio 2003 è stato nominato Vescovo di Luz, ricevendo l’ordinazione episcopale il 4 maggio successivo. Nell’ambito della Conferenza Episcopale Regionale "Leste 2" ha ricoperto i seguenti incarichi: Responsabile per i Seminari, Segretario (dal 2007) e Membro della Commissione per l’Azione Missionaria (dal 2011). Inoltre, è Direttore della F.A.S.F. – Facoltà di Scienze e Lettere dell’Alto São Francisco e Presidente dell’ente Opere Sociali e Educazionali di Luz.

    Il Santo Padre ha nominato Vescovo di Nice (Francia) mons. André Marceau, finora Vescovo di Perpignan-Elne (Francia). Mons. André Marceau è nato il 5 maggio 1946 a Cérons, nell’arcidiocesi di Bordeaux. Ha compiuto gli studi secondari nel Seminario Minore di Bordeaux e quelli di Filosofia in quello Maggiore. Al termine del ciclo filosofico ha svolto per due anni l’incarico di professore di storia e geografia presso il Seminario Minore di Bingerville in Costa d’Avorio. Ha ripreso poi gli studi teologici a Bordeaux ed è stato ordinato sacerdote il 25 marzo 1972 per l’arcidiocesi di Bordeaux. Dopo l’ordinazione è stato nominato Vicario parrocchiale dell’équipe sacerdotale di Mérignac, nella banlieue di Bordeaux, incarico che ha mantenuto fino al 1980, e contemporaneamente ha frequentato i corsi di Pedagogia presso l’Università della città. Negli anni 1980-1982 ha frequentato i corsi all’"Institut Supéreieur de Pastorale Catéchétique" presso l’"Institut Catholqiue de Paris". Dal 1982 al 1992 è stato Coordinatore del "Service diocésain de Pastorale Catéchétique". Nel 1988 ha assunto anche l’incarico di responsabile diocesano della Formazione Permanente dei Preti. Dal 1992 al 1996 è stato Vicario episcopale della Zona "Gironde-sud" e Parroco-Decano del settore di Bazas e dal 1996 al 2000 Parroco di Bazas e Vicario episcopale della zona del "Bazadais". Nel 1998 è divenuto anche Responsabile del Catecumenato degli adulti. Dal 2000 al 2004 è stato Vicario episcopale della zona "Bazas et de la Côte" e Parroco di "La Réole" e Responsabile del settore pastorale del "Réolais", conservando gli altri incarichi diocesani. Nominato Vescovo di Perpignan-Elne il 13 gennaio 2004, è stato consacrato il 7 marzo successivo. In seno alla Conferenza Episcopale è Membro della Commissione Episcopale per la Catechesi ed il Catecumenato.

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    Tweet del Papa: preghiamo per i cristiani perseguitati perché sappiano reagire al male con il bene

    ◊   Il Papa ha lanciato oggi questo nuovo tweet: “Preghiamo per i cristiani vittime di persecuzione, perché sappiano reagire al male con il bene”.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   Il tempo della misericordia: All’inizio del periodo quaresimale, il Papa incontra i sacerdoti della diocesi di Roma.

    La processione penitenziale e la Messa del Pontefice per il mercoledì delle ceneri.

    I bilanci si fanno dal confessore: Silvia Guidi traccia un panorama delle reazioni dei media internazionali all’intervista di Ferruccio de Bortoli, direttore del “Corriere della sera”, a Papa Francesco.

    Nell’informazione internazionale, in primo piano la crisi ucraina: il conflitto si gioca ormai sempre di più sul piano economico.

    Le Poste italiane e l’emancipazione femminile: Lucetta Scaraffia racconta il coraggio e la speranza delle prime donne impiegate agli inizi del Novecento.

    Cristiana Dobner sulla figura di Eva Mameli, una delle prime donne in Italia a laurearsi in scienze naturali.

    Sorprendente Francesco: in cultura, un articolo di Gualtiero Bassetti, cardinale arcivescovo di Perugia, sull’iconografia del santo di Assisi.

    La storia della pittura e il primo conflitto mondiale: stralci dal catalogo della mostra “Sironi e la grande guerra” (fino al 25 maggio a Chieti, a Palazzo de’ Mayo).

    Verso il grande concilio: nel servizio religioso, l’avvio della riunione dei primati delle Chiese autocefale ortodosse.

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    Oggi in Primo Piano



    Si vota il 16 marzo in Crimea il referendum sull'adesione alla Russia

    ◊   Il Consiglio di sicurezza nazionale russo si è riunito per valutare la situazione in Ucraina anche
    alla luce della decisione del parlamento della Crimea di indire un referendum per far aderire la penisola alla Russia. Il 16 marzo prossimo, i cittadini della Crimea dovranno scegliere se restare in Ucraina o aderire alla Russia. Ma oggi stesso il parlamento della Crimea ha votato in favore dell'adesione della regione alla Russia come soggetto della Federazione Russa. E nella città di Kharkiv, nella regione orientale russofona dell'Ucraina, oggi circa 5.000 filorussi sono scesi in piazza chiedendo un referendum per avere maggiore autonomia da Kiev e protestando contro la ripresa del percorso di integrazione europea dell'Ucraina e contro un eventuale ingresso nella Nato. Intanto, sono stati bloccati a un check-point gli osservatori dell'Osce che oggi cercavano di raggiungere la Crimea. Degli equilibri in atto e dell'impegno delle diplomazie occidentali, Fausta Speranza ha parlato con Daniele De Luca, docente di Storia delle relazioni internazionali all'Università del Salento:

    R. – Credo che tutti stiano prendendo tempo, sia ad est che ad ovest. Come credo sia logico e razionale in una situazione del genere. L’Unione Europea prende il suo tempo, gli Stati Uniti lo stesso, la Nato non si esprime ancora e lo stesso deve fare la Russia. Certo, il referendum indetto dal parlamento della Crimea è una forte accelerazione, anche perché è un referendum che si terrà a brevissimo. Quindi, sì, è necessario prendere tempo ma senza esagerare.

    D. – Che dire del fatto che è stato fissato il referendum per i cittadini ma nel frattempo il Parlamento ha già votato per l’annessione alla Russia...

    R. – Bisogna stare attenti: sì, ha votato per l’annessione alla Russia, però il referendum parla - da quello che si legge - di un aumento dell’autonomia della Crimea all’interno dell’Ucraina. Le notizie che arrivano a volte sono un po’ contraddittorie. Quindi, in questo momento forse dobbiamo veramente prendere tempo e vedere come si sistemano le cose.

    D. – A proposito di attesa: c’è il Consiglio straordinario europeo oggi pomeriggio a Bruxelles. Cosa aspettarsi?

    R. – Quello che ci si può aspettare è quello che è stato dichiarato da più parti, ovvero, possibili sanzioni. È possibile anche che alcune sanzioni possano essere prese nei confronti della Russia ma, se devo essere sincero, credo a sanzioni estremamente “light”. Dobbiamo sempre ricordare che attraverso l’Ucraina passa gran parte della fornitura di gas che serve all’Europa, ma soprattutto che molte delle compagnie, delle aziende europee, fanno affari con la Russia e sicuramente non vogliono perdere questa opportunità. Se ci fossero forti sanzioni economiche nei confronti della Russia, la Russia stessa sarebbe costretta a bloccare molti dei rapporti con le aziende europee. Credo che nessuno di noi si possa permettere questo.

    D. – Dagli Stati Uniti è stata fatta la richiesta a Mosca di colloqui diretti tra la Russia e l’Ucraina...

    R. – Ci saranno sicuramente. Penso che, in maniera segreta, non si siano mai interrotti definitivamente i contatti tra le due parti. Solo in caso di guerra esplicita i contatti si interrompono. Quindi, non so se nelle prossime ore ci potranno essere questi contatti, ma sicuramente un contatto bilaterale tra Mosca e Kiev è assolutamente necessario e credo che le due parti lo auspichino.

    D. – Quali altri fattori pensare che debbano essere messi in gioco?

    R. – A questo punto, non voglio usare mie parole ma consiglio la lettura di un’ottima analisi fatta dall’ex segretario di Stato americano, Henry Kissinger. Suggerisce che Est ed Ovest devono considerare molte cose che si trovano sul tavolo. L’Occidente deve prendere in considerazione l’ipotesi che mai la Russia ha considerato, o considera, cioè l’Ucraina come parte completamente staccata dalla Russia stessa. E' assolutamente necessario che l’Ucraina non venga spinta a fare una scelta tra Est ed Ovest, ma che possa essere proprio l’anello di congiunzione tra Est ed Ovest e, fondamentalmente – questa è una cosa che deve essere tenuta presente – non bisogna assolutamente fare pressioni sull’Ucraina perché entri nella Nato. Se l’Ucraina dovesse, per qualsiasi ragione, entrare nella Nato, allora sì che dovremmo preoccuparci di una possibile mossa russa.

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    Sud Sudan: violenze a Juba. Una suora: Dio ci è vicino, è la speranza della gente

    ◊   Nuovi scontri a Juba, in Sud Sudan, dopo le violenze scoppiate a metà dicembre tra le truppe governative del presidente Salva Kiir e i ribelli dell’ex vice presidente Riek Machar, già da tempo in disaccordo sul controllo dell’esecutivo e del partito Splm, il Movimento per la liberazione del popolo sudanese. Stavolta, i combattimenti sarebbero stati provocati da dissidi interni all’esercito, forse legati a stipendi non pagati. Cinque militari hanno perso la vita. La situazione, dunque, rimane ancora tesa nel giovane Stato africano, che ha proclamato l’indipendenza da Khartoum nel 2011. Per una testimonianza da Juba, ascoltiamo suor Anna Gastaldello, missionaria comboniana da 15 anni in Sudan e Sud Sudan. L’intervista è di Giada Aquilino:

    R. – Oggi c’è calma, la gente è tornata alle proprie attività, anche se ci sono ancora profughi e sfollati che hanno trovato rifugio nella cattedrale di Juba, Santa Teresa. Stamattina sono andata là e ce n’erano un centinaio. Il parroco mi ha detto che ieri sera erano molti, poi sono tornati a casa.

    D. – Ieri, invece, ci sono stati scontri?

    R. – Ci sono stati scontri tra soldati della Splm: sono andati a prendere la loro paga, alcuni di loro però non hanno ricevuto i soldi, per motivi che non si conoscono. Sono scoppiati alterchi e hanno cominciato a spararsi addosso.

    D. – Combattimenti tra truppe fedeli al presidente Salva Kiir e quelle ribelli dell’ex presidente Riek Machar se ne segnalano?

    R. – Qui a Juba no, ma in altre parti del Paese sì, specialmente nelle zone petrolifere.

    D. – Ci sono notizie che, per esempio, a Malakal, nell'Alto Nilo, sono state evacuate molte persone...

    R. – Malakal è sotto il controllo dei ribelli. Praticamente è vuota.

    D. – Ma perché, di fatto, da metà dicembre la violenza è divampata così prepotentemente in Sud Sudan?

    R. – La risposta è difficile. Penso che alla base di tutto ci sia una corsa al potere: all’interno del movimento Splm/Spla c’erano contrasti molto forti che non si sono risolti con il dialogo, per cui un gruppo – quello di Riek Machar – ha preferito la rivolta armata.

    D. – Voi operate a contatto con le popolazioni sud sudanesi: quale messaggio diffondete, soprattutto dopo le ultime violenze?

    R. – Abbiamo cercato di rimanere con la gente il più a lungo possibile, finché è stato possibile, in tante comunità. Dopo siamo arrivati ad un punto per cui non si poteva più rimanere in certe zone: le nostre comunità sono state attaccate, derubate. Il messaggio che cerchiamo di dare alla gente è che Dio è vicino a loro anche in questo momento così difficile. Cerchiamo di portare un messaggio di speranza. Diciamo alle persone: la croce che state vivendo adesso, porterà alla resurrezione. Poi, c’è anche il messaggio della riconciliazione, del volersi bene, del trattarsi come fratelli e sorelle. Infatti, tra la popolazione civile non ci sono grandi problemi, i problemi grossi sono a livello di esercito. Ci sono state anche azioni brutte, come lotte tribali, dove alcune persone sono state uccise solo perché appartenevano ad un certo gruppo tribale. Però, tra la popolazione civile davvero non c’è questo problema. Penso che i problemi debbano essere risolti a livello di ribelli e governo: i dialoghi di pace al momento sono stati interrotti e riprenderanno il 20 marzo. Il problema quindi è di tipo politico e, se non verrà risolto, continuerà ad esistere e la gente continuerà a soffrire. La speranza è che il Signore riesca a cambiare i cuori dei leader locali, affinché guardino veramente al bene della gente, più che ai loro interessi politici.

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    Gli orrori di un esodo: il viaggio degli eritrei verso l'Europa in una conferenza dell'Oim

    ◊   Un viaggio pieno di difficoltà e, spesso, anche di indicibili sofferenze. E’ quello che compiono ogni mese oltre tremila eritrei nella speranza di raggiungere l’Europa. Per ricordare le loro storie, dense di dolore ma accomunate anche dalla speranza in un futuro migliore, si è tenuta nella sede della nostra emittente una conferenza stampa dal titolo “Il viaggio dall’Eritrea all’Europa: notizie da un’emergenza umanitaria”. Il servizio di Amedeo Lomonaco:

    La povertà, la mancanza di libertà, l’obbligo del servizio militare per quasi tutta la vita consumano ogni speranza di vita. Per questo, migliaia di eritrei decidono di lasciare il loro Paese. Ma lungo il viaggio disperato verso l’Europa sono spesso intercettati da trafficanti di uomini. E diventano schiavi, vittime di atroci sofferenze. Aganesh Fessaha, presidente dell’Ong Gandhi, ripercorre il drammatico percorso di questi giovani:

    “Vengono aiutati da qualcuno del governo per passare la frontiera, pagando circa duemila dollari per arrivare al confine del Sudan. Lì, poi, c’è qualcuno del governo sudanese che li prende in custodia e, se sono fortunati, li consegna all’Unhcr, oppure li vende ai trafficanti sudanesi, i rashaida. Da lì, a loro volta, vengono venduti ad altri trafficanti egiziani e giunti vicino al confine di Israele, i trafficanti li smistano. L’essere umano è considerato come merce. Poi, vengono stabiliti i prezzi e i riscatti da chiedere alle famiglie, che partono dai 30 fino ai 50 mila dollari. Ma non è solo questo. Durante tutto il percorso, queste persone subiscono torture disumane: le donne vengono violentate, i ragazzi vengono sodomizzati così come le donne, torturati anche i bambini se ce ne sono. Usano tubi di plastica, li bruciano e li fanno colare sulla schiena e sulla testa... Li tengono per ore appesi al muro, in alto, con la testa in giù, fino a quando non svengono perché non ce la fanno più. Poi, li fanno scendere e li picchiano svariate volte. Vengono torturati anche con delle lame roventi. Ci sono stati anche traffici di organi”.

    Alcuni di questi giovani vengono salvati e liberati grazie al prezioso impegno dell’Ong Gandhi e dello sceicco egiziano salafita Mohammed Ali Hassan Awwad. Ancora Aganesh Fessaha:

    “Spesso questi ragazzi mi chiamano, di notte e di giorno, e mi chiedono di aiutarli. Io dico loro: ‘Non paghiamo riscatti, però se voi ci date indicazione su dove vi trovate, noi vi possiamo liberare!’. Spesso, quando li portano fuori solo per un secondo, vedono o la moschea o una piantagione o qualche segnale… E mi dicono dov’è la casa dove stanno. Io lo dico allo sceicco: lo sceicco Mohammed va a fare un’ispezione del posto. La prima fase è quella di parlare con il proprietario della casa e di dire: ‘Mi hanno detto che ci sono delle persone - dieci persone, venti persone - da te. Tu le hai catturate!’. Loro spesso negano. Lui ci va per tre volte, cerca di convincerli. Alla fine - la quarta volta - lui insieme con 10-15 persone della sua famiglia, armate, si mettono vicino alla casa… Io dico ai ragazzi, prima di partire: ‘Voi, ad una certa ora, quando i guardiani non ci sono cercate di venire verso la porta. Noi siamo lì e vi portiamo via!’. In quel momento mando il segnale, parlo in tigrino, dico solo due parole e loro allora, incatenati, vengono. I fratelli dello sceicco Mohammed li prendono e li caricano sul pick-up e li portiamo via”.

    Durante la conferenza stampa, sono state mostrate drammatiche immagini con corpi di giovani eritrei arrivati in Israele e deturpati da torture e violenze. Suor Azezet Kidane, missionaria comboniana di origine eritrea, che da anni lavora come infermiera nello Stato ebraico ha raccolto le testimonianze di molti giovani e visto le loro sofferenze:

    “Non voglio farvi vedere più, perché avete visto cosa io ho visto in Israele… Persone senza mani, distrutti, bruciati… Io non credevo e non volevo credere! E non volevo neanche dire che cosa mi dicessero, perché era così doloroso… E ripetendolo mi sembrava che lo facevo realtà. La verità? Non volevo credere!”.

    Oltre al volto disumano di trafficanti di uomini, questi giovani conoscono anche l’indifferenza del mondo. Ancora suor Azezet Kidane:

    “Anche se queste vittime hanno parlato, hanno detto, hanno fatto filmati, hanno fatto documentari per poter far sapere al mondo, il mondo non si interessa di loro: intanto - scusatemi per la parola - sono poveri africani! Come al tempo della schiavitù! Perché non si muove? Questo per me è un dolore! A che cosa serve parlare, fare e ancora raccontare e raccontare, quando il mondo non si interessa di questa gente che ancora soffre? Hanno una grande fede, una grande speranza. Hanno il forte desiderio che il domani diventerà migliore: 'Domani saremo forti, ci aiuteremo!'. Questa loro forza e la loro fede mi dà coraggio di andare ancora e sentirli. Speriamo che anche voi non rimarrete in silenzio”.

    Dopo la guerra fra Etiopia e Eritrea durata 30 anni, i confini tra i due Paesi non sono ancora delimitati. Questa cornice indefinita provoca gravi conseguenze. Don Mussie Zerai, presidente dell'Agenzia Habeshia:

    “Questo problema irrisolto del confine è diventato un alibi. E’ diventato un alibi anche per chi sta governando in quel Paese, per non democratizzare il Paese, per non dare le libertà fondamentali al popolo, dicendo:‘ Siamo ancora in guerra’. Quindi, il primo impegno che la comunità internazionale può prendersi è quello di risolvere questo problema, che è irrisolto ormai da 14 anni, dando la possibilità agli eritrei stessi di dire al loro governo: ‘Ora non c’è scusa perché il problema del confine è risolto’. Questo è il primo passo. Nel frattempo, la comunità internazionale può impegnarsi con la cooperazione internazionale a rendere vivibile la situazione nei Paesi limitrofi: quando gli eritrei scappano, scappano prima in Sudan o in Etiopia… Allora, perché non rendere possibilità di vita migliori in questi Paesi, con dei progetti? Quando parliamo di migrazione ci si dice: 'Ah, volete far venire tutta l’Africa in Europa!'. No, non è vero. Anzi, io sono il primo contrario a che gli eritrei o gli altri siano costretti a venire in Europa. Questo vuol dire impoverimento del nostro continente. Ma se non c’è possibilità di vita lì, cosa devono fare queste persone? Allora aiutiamoli perché possano vivere dignitosamente nel loro Paese o nei Paesi limitrofi, pacificando quell’area e offrendo dei progetti di vita, di lavoro e di studio in quell’area”.

    Per arginare il drammatico fenomeno del traffico di esseri umani è anche necessaria una diversa gestione dei flussi migratori. Josè Angel Oropeza, direttore dell’Ufficio di Coordinamento dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni:

    “Noi abbiamo proposto non solo un dialogo tra tutti i Paesi, ma anche di studiare forme e canali affinché la migrazione irregolare diventi regolare. Abbiamo proposto anche dei centri di accoglienza nel lungo percorso di immigrazione: nella regione del Sinai, del Sahel o del Nord Africa”.

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    Repubblica Centrafricana. L'Unicef: sfollati in vertiginoso aumento, molti bambini soli

    ◊   La crisi umanitaria nella Repubblica Centrafricana non si arresta e si stima che gli sfollati potrebbero aumentare fino a 150 mila: è l’allerta dell’Unicef. Le violenze della guerra civile costringono soprattutto donne e bambini a cercare rifugio, troppo spesso quando hanno già subìto esperienze traumatiche. Rischio di malnutrizione, carestie e inondazioni con la nuova stagione delle piogge vanno ad aggiungersi alle sofferenze cui è sottoposta la popolazione. Lo spiega Andrea Iacomini, portavoce di Unicef Italia, intervistato da Maura Pellegrini Rhao:

    R. – Nella Repubblica Centrafricana, ci sono sempre più persone che fuggono nei Paesi vicini: è un’allerta di cui l’Unicef anche oggi parla, soprattutto per 76 mila persone. Ricordiamo che la maggior parte sono donne e bambini che scappano dalle violenze verso il Ciad; sono persone che hanno bisogno urgente di aiuto perché nei siti di sfollati lungo il confine ci sono madri e bambini che hanno lasciato ogni cosa, proprio nella Repubblica Centrafricana, per scappare e mettersi in salvo. Queste sono le notizie che ci sono arrivate proprio oggi da questo Paese, in cui ogni settimana i nostri colleghi sul campo danno assistenza alle persone che superano il confine con il Ciad. Molti, soprattutto i bambini, hanno subito terribili violenze: queste sono le evidenze più gravi che abbiamo in questo momento.

    D. – Spesso i bambini arrivano ai campi profughi da soli…

    R. – Finora, sono 1.062 i bambini registrati come non accompagnati o separati dalle proprie famiglie: questo è un fenomeno molto grave. La metà di questi, fortunatamente e grazie alla nostra azione, sono stati riuniti; ma l’Unicef, naturalmente, lavora con le altre autorità, con l’Oim (l’Organizzazione internazionale per le migrazioni), per assicurare a questi bambini cure immediate, un supporto psico-sociale e soprattutto un’intensa attività di protezione perché questi bambini sfollati spesso hanno subito esperienze molto traumatiche. Quindi, è necessario dare una priorità a questo tipo di attività e mettere tutti al sicuro, perché gli enormi bisogni umanitari, che naturalmente adesso si sposteranno nel Ciad, tenderanno ad aumentare nelle prossime settimane. E non dimentichiamo specialmente che l’arrivo della stagione delle piogge, per molti di questi siti di sfollati che sono esposti naturalmente a inondazioni e alle malattie legate all’acqua, creeranno ulteriori problemi. Quindi, ci sarà un deterioramento della situazione umanitaria ed è per questo che bisogna essere pronti non soltanto ai nuovi arrivi, ma anche – purtroppo – a possibili epidemie di colera, di morbillo, di malaria, di meningite. Insomma, è un quadro davvero impressionante. Bisogna intervenire subito.

    D. – Inoltre, si stima il rischio di malnutrizione e carestie: come si può far fronte a tutto questo?

    R. – Intervenendo immediatamente. Cioè, oltre al Ciad ci sono altri Paesi vicini come il Camerun, la Repubblica Democratica del Congo che sono fortemente coinvolte dall’impatto di questa crisi e quindi proprio la stima che ci saranno 500 mila bambini sotto i cinque anni affetti da malnutrizione nel Ciad ma soprattutto nella fascia del Sahel, non fa altro che aumentare i rischi. Bisogna intervenire, naturalmente, perché se le poche piogge del 2013 hanno colpito in maniera significativa la produzione agricola, a breve inizierà una stagione di carestia – si prevede da aprile a settembre – che coinvolgerà due milioni e mezzo di persone. Quindi, ci vuole un intervento immediato con kit di prima assistenza e cercare, soprattutto nelle fasce più deboli e per i bambini, di intervenire con alimenti terapeutici di qualsiasi tipo.

    D. – Il governo sta cercando di arginare questa crisi?

    R. – L’Unicef sta lavorando proprio con le autorità e con il governo per cercare almeno di porre freno alla situazione degli sfollati, oltre che naturalmente a collaborare con le altri organizzazioni internazionali, per aumentare l’impiego di personale medico e la distribuzione di aiuti salvavita. In questo il governo è assolutamente collaborativo. Non dimentichiamo che esiste una guerra civile che purtroppo impatta in maniera determinante su tutta la situazione. Non facciamo altro che invitare entrambe le parti a deporre le armi e interrompere il conflitto in corso, perché questa della Repubblica Centrafricana, insieme a quella del Sud Sudan, è l’emergenza del momento.

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    Senato vota sì all'introduzione del reato di tortura

    ◊   L’Assemblea del Senato ha approvato il disegno di legge che introduce il delitto di tortura nell’ordinamento italiano. Il reato sarà comune, costituirà aggravante se commesso da un pubblico ufficiale. Ascoltiamo il commento di Patrizio Gonnella, presidente dell’Associazione Antigone per i diritti e le garanzie nel sistema penale, intervistato da Veronica Giacometti:

    R. - Erano 25 anni che l’Italia aveva preso un impegno di questo tipo. D’altronde, la tortura è un crimine contro l’umanità e quindi è un po’ singolare che in Italia l’unica norma che non siamo riusciti a inserire nella nostra legislazione sia proprio la tortura. Il 2014 è l’anno in cui festeggiamo i 250 anni di “Dei delitti e delle pene” di Cesare Beccaria e quindi è anche un omaggio a lui.

    D. - Si è optato per l’introduzione di un reato comune, anziché di un reato specifico riguardante esclusivamente i funzionari pubblici. Costituisce aggravante il fatto che il reato sia stato commesso da un pubblico ufficiale. Qual è la reazione delle associazioni come voi, per i diritti e le garanzie nel sistema penale?

    R. - Antigone, assieme a tantissime organizzazioni, era stata impegnata nell’ultimo anno in una raccolta di firme per una proposta di legge di iniziativa popolare: ne abbiamo raccolte decine e decine di migliaia e le abbiamo messe a disposizione dei parlamentari. La tortura non è un reato che tra due cittadini si commette reciprocamente: nasce dove c’è un obbligo di custodia, dove c’è un obbligo giudiziario di intervento. Abbiamo voluto invece introdurlo come un delitto comune: un delitto cioè che può essere esercitato in famiglia, fra criminali, in un consesso mafioso. Però, c’è una circostanza aggravante che è quella per cui la pena ti è aumentata se sei un pubblico ufficiale. Quindi, il giudizio è giudizio di sospensione. Avremmo preferito un testo più chiaro e coerente con le norme Onu, però si vada avanti… E’ tanto tempo che ne parliamo e non si può più attendere.

    D. – L’introduzione del reato di tortura in Italia quali modifiche porterà alla luce della vostra esperienza?

    R. - Io cito una vicenda dove noi, come Antigone, eravamo costituiti parte in giudizio: un giudice ad Asti, nel gennaio 2012, ha chiuso il processo per prescrizione - in quel caso c’erano violenze in un carcere nei confronti di due detenuti, violenze brutali - e nel chiudere per prescrizione ha detto: “I reati previsti nel Codice che io ho a disposizione hanno tempi di prescrizione brevissimi, pene brevissime… Se ci fosse stato il delitto di tortura, avrei avuto degli strumenti sanzionatori ben più efficaci”.

    D. - Quali potrebbero essere le modifiche per migliorare questo disegno di legge?

    R. - Non avrei dubbi, se fossi io il legislatore. Non userei troppa fantasia. C’è una definizione Onu inglese che è stata firmata e ratificata da 190 Stati nel mondo. Si prenda un buon interprete e la si traduca in italiano e le si aggiunga una pena: senza inventarsi parole diverse, storie diverse, configurazioni giuridiche diverse… Ripeto: se questo deve significare, però, che poi dalla Camera ritorna in Senato, che in Senato finisca nella palude, allora no. A questo punto, approvarla subito così com’è. Ricordo che, con motu proprio, il Papa ha introdotto il reato di tortura nel Codice Penale del Vaticano. Quindi, si prenda esempio.

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    Entro settembre quattro miliardi per l'edilizia scolastica

    ◊   Entra nel vivo il piano del governo sulle scuole. Il ministro dell’Istruzione, Stefania Giannini, ha annunciato che tra giugno e settembre apriranno i cantieri per l'edilizia scolastica. Il servizio di Alessandro Guarasci:

    Entro l’avvio del prossimo anno scolastico il governo, le regioni, i Comuni metteranno in campo quattro miliardi di euro per rendere le scuole di sicure. Circa il 40% degli edifici non è del tutto a norma. Per il ministro dell’Istruzione, Stefania Giannini, “il progetto lanciato a Treviso e ribadito da Renzi a Siracusa prevede la possibilità di investire fondi che sono già nella disponibilità degli enti locali ma vincolati dal Patto di stabilità”. Il ministro Giannini:

    "L'obiettivo è cercare di uscire da una logica di emergenza, che purtroppo questo ministero impone nell'agenda quotidiana, e poter avviare una strategia di riqualificazione in tutti quei molti punti di cui c'è bisogno".

    Insomma, per il ministro, in questo settore, si può fare presto e bene. Ma il Ministero pensa anche a un piano nazionale sulla sicurezza. Assieme alla Federazione dei Medici e al Garante per l’Infanzia a breve saranno fatti partire 60 corsi in 60 province rivolti a insegnanti e personale tecnico su temi fondamentali, come la disostruzione delle vie aree nel caso un boccone di cibo vada di traverso. Al contempo, assieme al Ministero dell’ambiente, sarà completata l’anagrafe degli edifici, anche con l’obiettivo di migliorare l’efficienza energetica e debellare del tutto la presenza di amianto nelle scuole.

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    Europa: aumenta l'uso di droghe tra gli adolescenti. Italia al primo posto

    ◊   Aumenta in Europa l’uso di sostanze stupefacenti tra i giovani di età compresa tra i 15 e i 16 anni e l’Italia è in testa alla classifica nell’uso frequente di stupefacenti altamente nocivi per la salute. E’ quanto emerge da uno studio condotto su 38 Paesi europei dal Consiglio italiano delle Scienze Sociali, insieme al Cnr e all’Università di Roma Tor Vergata. L’indagine è stata presentata ieri (5 marzo) presso la Fondazione Lelio Basso di Roma. Elvira Ragosta ha intervistato la prof.ssa Carla Rossi, vicepresidente del Consiglio delle Scienze Sociali e rappresentante dell’Osservatorio europeo sulle droghe di Lisbona:

    R. - Emerge un diverso comportamento dei giovani nei diversi Paesi e l’Italia, applicando gli indicatori che valutano le conseguenze sulla salute dell’uso di sostanze più pericolose e dell’uso contemporaneo di più sostanze, è in testa alla classifica.

    D. - C’è anche un primato che riguarda la Repubblica Ceca, ma con un indicatore differente rispetto a quello del primato italiano…

    R. - Esatto! Nella Repubblica Ceca c’è una grande proporzione di ragazzi che a 16 anni ha già usato droghe, ma le ha usate in modo non particolarmente pericoloso. L’Italia sta peggio di tutti e quindi questo significa che le politiche fatte e i metodi utilizzati per la prevenzione non hanno funzionato. Mentre, per esempio, la politica del Portogallo, la politica dell’Olanda e anche la politica della Repubblica Ceca, che sono molto meno proibitive della Repubblica Italiana, hanno avuto dei risultati migliori.

    D. - Sulla base di questo studio, la prevenzione quanto è importante e come potrebbe essere realizzata?

    R. - Con metodi completamente diversi da quelli che sono stati utilizzati negli ultimi anni.

    Allo studio ha partecipato anche la dott.ssa Sabrina Molinaro, ricercatrice del Cnr:

    R. - Le tendenze che si evidenziano negli ultimi dati - quelli più recenti, che sono quelli del 2013 - sono che i consumi continuano ad avere un loro andamento che sembra più legato a delle leggi di mercato che non condizionato dalle politiche preventive messe in atto. Quello che abbiamo visto dai nostri dati è che - per esempio - la diffusione della cannabis ha ripreso a crescere da un paio di anni a questa parte e con essa anche tutte le sostanze anfetaminiche. Quello che ci deve far riflettere è che non cresce solo la diffusione del consumo una tantum, ma cresce anche la diffusione dei consumatori frequenti: per consumatori frequenti noi identifichiamo quei ragazzi che ci dicono di fare uso 20 o più volte al mese di cannabis e 10 o più volte al mese di altre sostanze. Quando vediamo come si sono modificati negli anni i comportamenti di questi ragazzi, notiamo come negli ultimi anni sia per la cannabis che per l’eroina, che per le anfetamine questi studenti sono aumentati.

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    Maximulta dall'antitrust per cartello Novartis-Roche. Aziende annunciano ricorso

    ◊   E’ la più alta sanzione mai inflitta dall’Antitrust: Novartis e Roche dovranno pagare 180 milioni di euro. Le due Case farmaceutiche sono accusate di aver creato un cartello per ostacolare la diffusione di un medicinale molto economico a vantaggio di uno più costoso. Le aziende annunciano ricorso al Tar, mentre le procure di Roma e Torino hanno aperto un’inchiesta. Il servizio di Paolo Ondarza:

    Due farmaci: stessa efficacia – attestata da studi e pazienti – nella cura della maculopatia, una grave malattia degli occhi che può provocare la cecità; decisamente enorme la differenza di prezzo. 900 euro per una confezione di Lucentis prodotto dalla Novartis, tra i 15 e gli 80 euro per una di Avastin di proprietà della Roche, usato originariamente nella cura di alcune gravi forme di tumore. Una terapia efficace necessita di almeno sei dosi l’anno. Secondo l’Antitrust le due case farmaceutiche si sarebbero accordate per favorire la vendita del medicinale più costoso. Per colpa del cartello, inoltre, il servizio sanitario nazionale avrebbe già speso 45 milioni in più nel 2012 e a 100mila pazienti sarebbero state rifiutate le cure a causa dei tagli della spending review, denuncia la Società oftalmologica italiana. Novartis e Roche parlano di accuse infondate e promettono ricorso, ma intanto la Beuc, l’organizzazione europea dei consumatori, sollecita un’indagine Ue per valutare i danni. Ne fa parte l’Associazione dei consumatori italiani per l’Europa, di cui Giovanni Ferrari è presidente:

    R. – L’esigenza che si sente in questi casi è di un intervento unitario a livello europeo, perché troppo spesso la frammentarietà delle decisioni delle autorità locali rende facile alle aziende tenere comportamenti illeciti senza avere sanzioni o senza che possano essere bloccati tempestivamente. E devo dire che l’autorità antitrust italiana è sempre un po’ un faro a livello europeo.

    D. – Siete preoccupati per quanto è emerso in queste ultime ore?

    R. – Sicuramente sì. Sono tanti i pazienti che non hanno potuto accedere alle cure, proprio a causa del costo, ma sicuramente, il primo danneggiato è il Servizio sanitario nazionale, per il quale l’antitrust prevedeva in futuro danni nell’ordine di 600 milioni di euro e quindi un danno, per tutti i cittadini. Ovviamente, poi, ho sentito che le Case farmaceutiche vogliono fare ricorso al Tar: speriamo che abbiano ragione loro! Devo dire che le evidenze che si hanno finora depongono invece in senso contrario e non è certo il primo caso a cui assistiamo.

    D. – Andare a gravare sul Servizio sanitario nazionale in un momento di tagli, di spending review, di crisi economica rende il quadro ancora più grave, più allarmante …

    R. – Certo, rende il quadro più allarmante, però – purtroppo – dobbiamo renderci conto che in questo momento di crisi economica questi fenomeno si accentuano. Siccome anche le aziende si trovano in crisi economica, cercano di ribaltare le difficoltà che hanno sulle pubbliche amministrazioni e poi indirettamente sui cittadini.

    D. – L’Agenzia italiana del farmaco parla di una sentenza storica per tutta l’Europa. Ma ci sono delle responsabilità di omesso controllo su questa vicenda, da parte della stessa Aifa, Agenzia del farmaco?

    R. – E’ possibile. E’ una cosa che andrà accertata senz’altro.

    D. – Per le due Case farmaceutiche vale la presunzione di innocenza, visto che l’inchiesta giudiziaria è stata appena aperta. Ma, secondo la vostra esperienza, è lecito pensare ad altri episodi di cartelli a danno dei consumatori e a vantaggio delle aziende?

    R. – Nell’ambito farmaceutico è possibile che ci siano, come purtroppo vengono rilevati un po’ in tutti i settori. Dal momento che nel settore farmaceutico c’è una posizione dominante da parte di pochi operatori, è facile che si creino fenomeni del genere. D’altra parte, la stessa antitrust ha evidenziato le partecipazioni reciproche azionarie che hanno, queste due società, per cui è chiaro che l’interesse di una società possa coincidere con quello dell’altra, apparentemente concorrente, e questo poi ovviamente va a viziare i meccanismi sani di concorrenza tra aziende.

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    "Il mio Papa", la prima rivista su Papa Francesco. Vitali: portiamo il suo messaggio a tutti

    ◊   Siamo ammirati e guardiamo “con grande affetto” a un Papa che sta cambiando il cuore di molte persone. Lo afferma Aldo Vitali, direttore del nuovo settimanale “Il mio Papa”, uscito ieri per la prima volta in edicola in Italia. Unico caso editoriale di una rivista interamente dedicata a Papa Francesco, il settimanale vuole essere, spiega Vitali, uno strumento in grado di portare il più possibile senza commenti il messaggio del Papa anche alle persone più lontane. Il direttore Vitali ne parla al microfono di Luca Collodi:

    R. – Nasce da una costatazione molto semplice: Papa Francesco ha cambiato tante cose e sta cambiando tante cose, ma soprattutto sta cambiando il modo di stare assieme delle persone. Non c’è persona che non sia stata colpita e anche un po’, in fondo, direi cambiata, dalle parole e dalle azioni di questo Papa. Allora, abbiamo pensato – anche considerando che i giornali molto spesso devono semplificare e sintetizzare quello che lui dice, quello che lui fa – di fare un settimanale che cerca almeno nella prima parte del giornale di raccontare i suoi sette giorni, il più possibile con le sue parole, evitando assolutamente di presentarlo come un "supereroe" o una "rockstar"…

    D. – Proprio questo: non correte il rischio di presentare il Papa, in una dimensione anche molto popolare di un giornale come “Il mio Papa”, come una sorta di supereroe al pubblico più semplice?

    R. – No. Si corrono sempre tantissimi rischi avvicinandosi al Papa e a un Papa come Papa Francesco. Ma, innanzitutto, secondo me, conviene riflettere su cosa voglia dire essere "popolari". Essere popolari vuol dire arrivare alla gente. Quando Papa Francesco dice che il pastore "deve avere l’odore del suo gregge", dice una cosa molto popolare che capiscono tutti e che fa capire che è il contrario della rockstar o del culto della personalità. Quindi, le persone che sono lontane dal Papa – perché abitano magari nei paesini, che abitano in posti lontani – hanno la possibilità di vedere le foto, che spesso non si vedono del Papa, e leggere le sue parole direttamente con un minimo di commento per spiegarle.

    D. – Voi come pensate di portare il messaggio del Papa nelle periferie dei lettori di un settimanale popolare come voi state cercando di fare?

    R. – Questa è la nostra sfida più grande. Il Papa vuole parlare a tutti ed è chiaro che ci sono quelli più vicini per tanti motivi, anche geografici, e quelli più lontani, anche per gli strumenti che hanno a disposizione … La grandezza del messaggio di Papa Francesco, al di là del contenuto, sta proprio secondo noi nella forma, nel modo in cui per esempio dice che il Papa emerito non è una "statua", ma è un "nonno" e i nonni non vanno messi nell’ospizio ma vanno tenuti in famiglia perché la loro saggezza aiuta tutti. Questa cosa la capisce anche una persona che non crede, la capisce un bambino, la capisce un anziano e il nostro obiettivo è quello di trasmettere queste parole quasi senza commento, con un linguaggio e un sistema che sia il più possibile vicino alla gente.

    D. – Si può fare un giornale che parla di una figura come il Papa senza l’utilizzo pressante dei cosiddetti “vaticanisti”?

    R. – Noi non abbiamo "insider" vaticano, noi siamo persone che ammirano e amano e hanno un affetto e una riconoscenza profonda per Papa Francesco e per le persone che lo circondano. Quindi, ci stiamo muovendo cercando in qualche modo di avvicinarlo come “ambiente”. Però, il nostro non è un discorso politico o un discorso altamente teologico. L’interpretazione delle parole del Papa è giusto che i vaticanisti la facciano nei giornali, ma quello che è importante è il messaggio.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Svizzera: dalla Plenaria dei vescovi un appello per la pace in Ucraina

    ◊   “Pace per l’Ucraina”: si intitola così il comunicato finale diffuso oggi dalla Conferenza episcopale svizzera (Ces), a conclusione dell’Assemblea plenaria svoltasi a Friburgo dal 3 al 5 marzo. “Le sofferenze e le speranze degli abitanti di questo Paese”, si legge nel documento, sono state al centro della riflessione dei presuli grazie alla presenza, nel corso dei lavori, del vescovo greco-cattolico di Ucraina, Borys Gudziak.

    Testimone oculare degli scontri di piazza Maidan a Kiev, mons. Gudziak ha sottolineato che tali manifestazioni del popolo vogliono “difendere dei principi morali e non interessi di parte”, rilanciando “una cultura della dignità al posto di una cultura della paura”. Quindi, mons. Gudziak ha ricordato l’impegno della Chiesa e delle comunità religiose affinché non si ricorra alla violenza ed ha evidenziato come “ogni notte si tenga un incontro ecumenico coordinato dal Consiglio ucraino delle Chiese e da alcune organizzazioni religiose”.

    Quattro, infine, i punti sottolineati dal presule greco-cattolico per stabilizzare la situazione a Kiev: il governo deve ascoltare la popolazione; manifestanti e istituzioni devono evitare qualsiasi forma di violenza; non bisogna esortare alla scissione del Paese; è necessario ricorrere al dialogo. Di qui, il conseguente appello dei vescovi svizzeri: “Sull’esempio di Papa Francesco – scrivono – esortiamo tutti gli uomini di buona volontà a pregare per la pace in Ucraina e a sostenere tutte le iniziative che mirano ad incoraggiare il dialogo e la rinuncia alla violenza”.

    Tra gli altri temi affrontati dalla Plenaria, anche la questione della diocesi di Coira, guidata da mons. Vitus Huonder, criticato per le sue posizioni conservatrici. “La Ces non ha alcun diritto sulle diocesi e sui vescovi", precisa la nota episcopale. Dal suo canto, il presidente della Ces, mons. Markus Büchel, leggerà la lettere dei partecipanti ad una manifestazione di protesta in programma il 9 marzo a St-Gall e la trasmetterà agli organi competenti”. E ancora: i presuli elvetici hanno stabilito di creare “un gruppo di lavoro sulla questione del ‘genere’, con il compito di redigere una nota pastorale”, e di organizzare una raccolta fondi per “le vittime di misure di coercizione ai fini di assistenza”.

    Contestualmente alla Plenaria, la Ces ha diffuso anche una Lettera pastorale per la Quaresima, intitolata “Uniti nella fede della Chiesa”. Guardando ai cinquant’anni del Concilio Vaticano II, appena celebrati con l’Anno della fede, i presuli sottolineano che “essere cristiani non significa rivendicare le proprie idee, ma accettare con riconoscenza che è Dio che viene a noi”. Per questo, continua la Lettera, la Chiesa, la sua fede ed i suoi sacramenti “non sono un’opera umana, ma qualcosa che noi riceviamo da Dio”. Anzi: “La Chiesa è un sacramento – aggiunge la Ces – ed il suo obiettivo è l’unità di Dio e degli uomini”.

    Richiamando, poi, quanto detto in più occasioni da Papa Francesco, i presuli svizzeri sottolineano che “la Chiesa non è una Ong o una multinazionale, non è guidata da un direttore generale, né si può adattare alle circostanze del mercato”. I cambiamenti che la riguardano, quindi, “non possono toccare la fede o la struttura fondamentale, come i sacramenti”, bensì devono partire “soprattutto dalla preghiera ed avere inizio dalla conversione”, che “si compie nella fede”. “Vivere e testimoniare questa fede”, dunque, è il primo dovere del cristiano, così come indicato dal Concilio Vaticano II. (A cura di Isabella Piro)

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    Siria. Mons. Hindo: i cristiani non appoggiano l'entità autonoma curda

    ◊   I cristiani della provincia siriana nord-orientale di Jazira hanno escluso ogni appoggio alla creazione di una regione autonoma curda nell'area circostante i centri urbani di Qamishli e Hassakè. Lo ribadisce alla agenzia Fides l'arcivescovo siro-cattolico Jacques Behnan Hindo, titolare dell'eparchia di Hassakè-Nisibi.

    Alla vigilia della Conferenza internazionale sulla Siria convocata a Ginevra, i curdi siriani avevano compiuto un passo avanti verso la creazione di una entità politica autonoma nel nord-est del Paese, annunciando la formazione di un governo autonomo composto da 20 ministri. Nella squadra governativa erano stati cooptati anche tre ministri cristiani siri. Ma il loro arruolamento non è valso a guadagnare l'appoggio dei cristiani all'operazione sponsorizzata in particolare dai gruppi curdi siriani legati al Pkk, il Partito di Abdullah Ocalan.

    “Io e il vescovo assiro Mar Afrem Natanaele” spiega a Fides l'arcivescovo Hindo “dopo esserci consultati anche con le nostre comunità, abbiamo detto a nome di tutti che ogni scelta sull'assetto della regione doveva essere condivisa paritariamente dalle tre componenti della popolazione locale: curdi, cristiani e arabi musulmani. I tre cristiani aggregati nel governo sono stati scelti dai curdi, come mera concessione per cercare consenso, ma rappresentano solo se stessi”. L'arcivescovo solleva dubbi anche sulla reale consistenza del progetto di autonomia curda nel nordest siriano: “a appoggiarlo” ripete mons. Hindo “c'è solo il Pkk. Altre organizzazioni curde non si sono coinvolte. E rimane l'impressione che le mosse dei curdi siano solo temporaneamente tollerate dal governo di Damasco”.

    Un episodio, riferito dall'arcivescovo, risulta emblematico: alcune settimane fa un dirigente degli apparati di sicurezza e intellligence siriani si è recato a parlare con i leader degli autonomisti curdi, e il giorno dopo da Qamishli – sede del sedicente governo autonomo dell'area – tutte le insegne e le bandiere dei militanti curdi sono sparite dalle vie del centro cittadino. “Anche le operazioni delle milizie curde contro le fazioni ribelli” spiega l'arcivescovo Hindo “hanno successo duraturo solo quando vengono accompagnate e sostenute dalle incursioni dell'esercito governativo”. (R.P.)

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    Patriarcato ecumenico: incontro dei Primati ortodossi. Presente anche Mosca

    ◊   Da ieri e fino al 9 marzo a Istanbul, sono riuniti i Primati delle Chiese ortodosse, convocati dal patriarca di Costantinopoli Bartolomeo per programmare insieme lo svolgimento di un Grande Concilio panortodosso. L’evento è di particolare importanza perché in un futuro “Grande Concilio” i patriarchi ortodossi dovranno stabilire alcune questioni chiave come la proclamazione di una chiesa autocefala (indipendente) e concordare l’ordine di primato tra le varie Chiese ortodosse. Dovranno stabilire anche il modo in cui saranno prese le decisioni, con un largo consenso o diversamente.

    Nella sede del Patriarcato ecumenico a Istanbul - riferisce l'agenzia Sir - da martedì sono in corso i lavori del gruppo preparatorio dell’incontro dei primati ortodossi che sta stabilendo l’agenda dell’evento sotto la presidenza del metropolita di Pergamo Ioannis Zizioulas e con la partecipazione di rappresentanti da 15 Chiese ortodosse da tutto il mondo. Molto importante è la partecipazione ai lavori del patriarcato di Mosca che è giunta al Fanar con una delegazione guidata dal metropolita Hilarion, capo del Dipartimento per le relazioni esterne del Patriarcato. Nella giornata di ieri sono stati trattati diversi argomenti tra i quali il dialogo ecumenico con la Chiesa cattolica, la situazione dei cristiani nel Medio Oriente, la povertà nel mondo e altre questioni riguardanti la procedura sulla convocazione del prossimo grande concilio della Chiesa ortodossa.

    “Questo Concilio si sta preparando ormai da 50 anni e molti di noi si chiedono quanto potrebbe durare ancora questo processo”, ha detto nel suo intervento il metropolita Hilarion. E ha aggiunto: “Dobbiamo abbreviare i tempi per la preparazione e creare un meccanismo che stabilisce il giorno e le regole per il Concilio e definisce chi parteciperà e come saranno presentate le diverse Chiese. Un’altra questione importante è chi prenderà le decisioni e in che modo”. Secondo il rappresentante del patriarcato di Mosca il tema numero uno al cuore del mondo ortodosso riguarda i cristiani in Medio Oriente alle prese con una situazione che sta seriamente minacciando la loro sopravvivenza e la presenza del cristianesimo nella regione. Dopo la primavere araba e lo sconvolgimento dei regimi, “è cominciato il caos”, ha detto Hilarion. E con il disordine, hanno preso il sopravvento le “forze estremiste” e gli attacchi contro i cristiani, con rapimenti di sacerdoti, vescovi, suore e distruzione di chiese.

    “Tutta questa tragedia - ha detto Hilarion - si sta svolgendo sotto i nostri occhi. È spesso passata sotto silenzio dai media. E noi, in quanto rappresentanti delle Chiese ortodosse locali, dobbiamo fare tutto il possibile per attirare l’attenzione della comunità mondiale su questa situazione, affermare la nostra solidarietà con i nostri fratelli e sorelle perseguitati affinché il genocidio dei cristiani in Medio Oriente si fermi e coloro che sono stati rapiti tornino in libertà e coloro che invece hanno dovuto abbandonare le proprie case possano ritornarci”. Una solidarietà speciale è stata espressa dal patriarcato di Mosca verso la Chiesa di Antiochia chiedendo la liberazione dei due vescovi rapiti lo scorso anno che “tutti noi conosciamo molto bene e per i quali preghiamo”.

    Alla vigilia dell'incontro, il patriarca ecumenico Bartolomeo I si è espresso con un no deciso contro la riapertura a moschea della basilica di Santa Sofia di Costantinopoli. Anzi egli ha detto che se essa "va restituita al culto, questo non potrà essere che quello cristiano". (R.P.)

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    Malaysia: rinviato il verdetto sull'uso di "Allah" per i cristiani

    ◊   Attesa inutile ieri di una decisione su cui i cristiani malesi contavano per vincere una contesa che rischia di esporre i battezzati a incomprensioni e ritorsioni. Dopo che un tribunale di grado inferiore lo scorso ottobre aveva sostenuto la richiesta del governo di bloccare l’uso della parola “Allah” per indicare anche il Dio cristiano nei testi in lingua malese, la Chiesa aveva chiesto una revisione del pronunciamento che rischia, in una applicazione che i radicali islamici vorrebbero estesa a tutti gli ambiti, di bloccare un uso antico di secoli. Oltre tutto, una questione mai apparsa fino a pochi anni fa e oggi cavalcata dal governo per interessi politici e a sostegno dell’identità della maggioranza malese di fede musulmana (il 60% dei 28 milioni di abitanti, al 10% cristiani).

    Sette giudici della Corte federale malese - riferisce l'agenzia Misna - avrebbero dovuto decidere ieri se procedere verso un nuovo giudizio sulla questione oppure confermare la sentenza precedente. Invece, dopo ore di tensione, mentre all’esterno centinaia di musulmani reclamavano l’uso esclusivo di “Allah” e mostravano striscioni in cui consigliavano a non musulmani che volessero usare il termine di convertirsi all’Islam, i giudici hanno deciso di posporre il loro parere. Una non-decisione che ha creato ovvia delusione tra i cristiani che in tutto il Paese avevano accompagnato la giornata con iniziative di digiuno e di preghiera.

    La decisione di ottobre aveva rovesciato una precedente sentenza della stessa Corte che nel 2009 si era pronunciata a favore dell’uso della parola contesa nei testi in malese del settimanale cattolico della capitale Kuala Lumpur, The Herald. Al suo direttore, padre Lawrence Andrew, nel 2007 il ministero dell’Interno aveva minacciato di togliere il permesso di pubblicazione se non avesse sospeso l’uso di un vocabolo che per i radicali islamisti rischierebbe di confondere i lettori e che potrebbe spingere i musulmani alla conversione, non consentita e sanzionata dalla legge coranica.

    Lo stesso padre Andrew è alla testa della rivendicazione dell’uso di Allah da parte cristiana in tutti gli ambiti di utilizzo tradizionale, inclusa la Bibbia, con il sostegno della gerarchia cattolica ma anche di non cattolici. All’estero, oltre a varie Conferenze episcopali cattoliche, anche il Consiglio Mondiale delle Chiese ha chiesto che venga rispettata una tradizione antica e che non è estranea a altri Paesi di fede musulmana. (R.P.)

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    7 poveri su 10 nel mondo sono donne, prive di diritti e istruzione

    ◊   Su 1 miliardo e 300 milioni di persone che vivono in condizioni di povertà estrema in tutto il mondo, 910 milioni sono donne, 7 su 10. Inoltre, in nessun Paese della Terra usufruiscono degli stessi diritti e opportunità degli uomini. E’ quanto dichiara un comunicato della Ong spagnola Ayuda en Acción che, dal 1981, si dedica alla cooperazione internazionale per l’eradicazione della povertà mediante programmi di sviluppo autosostenibili e campagne di sensibilizzazione tra le fasce più vulnerabili.

    Le donne che vivono nei Paesi più poveri del mondo, nonostante producano il 70% dei generi alimentari non possiedono neanche il 2% dei terreni coltivabili e, il fatto di essere povere, bambine o di vivere in una zona di conflitto aumenta la probabilità di non accedere all’istruzione. A questi fenomeni si aggiungono pure i matrimoni e le gravidanze precoci che impediscono a molte di studiare o trovare un lavoro. Secondo la Ong, oltre 60 milioni di bambine sono costrette a sposarsi o convivere prima dei 18 anni di età, ogni minuto muore una donna nel mondo per complicazioni evitabili durante la gravidanza o il parto e 350 milioni non hanno alcun accesso ai programmi di pianificazione familiare. (R.P.)

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    Caritas Internationalis promuove il Premio “Donne seminatrici di sviluppo”

    ◊   “Donne seminatrici di sviluppo”: si intitola così il premio promosso da Caritas Internationalis per l’8 marzo, Giornata internazionale della donna. Il riconoscimento, informa una nota, viene assegnato insieme alla Fondazione Fidel Götz che ha scopi caritativi, e “vuole onorare il ruolo delle donne nel trovare soluzioni alla fame nel mondo”. “Il premio – spiega il card. Oscar Rodriguez Maradiaga, presidente di Caritas Internationalis – ha l’obiettivo di riconoscere l’abilità delle donne nell’agricoltura, perché è grazie a loro che possiamo pensare di porre fine alla fame mondiale”. Le donne, infatti, pure possedendo solo il 2% dei terreni coltivabili, producono circa la metà del cibo mondiale. In ogni regione del pianeta hanno accesso alle risorse in forma minore rispetto agli uomini, mentre se avessero pari opportunità, potrebbero aumentare la produttività agricola del 20-30%, il che significherebbe sfamare circa 100-150 milioni di persone. Il Premio consiste in due riconoscimenti da 10mila euro ciascuno: il primo destinato ai programmi promossi da Caritas Internationalis, il secondo ad altri organismi caritativi. Le vincitrici saranno annunciate il prossimo 16 ottobre, Giornata mondiale dell’alimentazione. Il lancio ufficiale del premio avverrà l’8 marzo, nel corso dell’evento “Voci di fede”, che sarà ospitato dalla Filmoteca vaticana dalle 14.00 alle 19.00, durante il quale undici donne condivideranno le loro storie personali, dimostrando come la fede abbia cambiato positivamente le loro vite. (I.P.)

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    Brunei: fede cristiana vietata nelle scuole cristiane se vi sono bambini musulmani

    ◊   Presidi e professori in scuole e istituti di istruzione privati in Brunei rischiano fino a cinque anni di carcere e una multa fino a 20.000 dollari se insegnano o parlano a un bambino musulmano di religioni diverse dall'islam. Come appreso dall'agenzia Fides, nell'ambito del nuovo Codice penale, impostato sulla “sharia” (legge islamica), che entrerà in vigore nel mese di aprile, è reato “persuadere, raccontare, influenzare, incitare, incoraggiare un bambino con insegnamenti non- islamici”. E’ reato anche “esporre il bambino a ogni cerimonia, atto di culto o qualsiasi attività non islamica o farlo partecipare ad attività a beneficio di altre religioni”.

    Come riferito a Fides dalla Chiesa locale, il provvedimento e le restrizioni preoccupano le scuole cristiane frequentate anche da allievi musulmani, soprattutto per le possibile distorsioni o strumentalizzazioni: nelle scuole cristiane, infatti, si garantisce un’istruzione di qualità, del tutto scevra da forme di proselitismo. Il Brunei sta introducendo la nuova legge in diverse fasi: nella prima fase entrano in vigore reati punibili con multe o carcere; in una seconda fase, si applicheranno pene più severe, ad esempio fino all’amputazione degli arti per il reato di furto. Nella terza fase entrerà in vigore la pena di morte.

    La Chiesa cattolica nel piccolo sultanato – dove esiste un Vicariato Apostolico guidato dall’arcivescovo Cornelius Sim, con tre chiese parrocchiali, tre preti e nel complesso 20mila cattolici – ha auspicato che le disposizioni della sharia si applichino solo ai cittadini musulmani, come è nella tradizione. La “sharia”, infatti, è generalmente limitata a musulmani, ma può estendersi ai non musulmani se questi sono complici di un reato commesso da un musulmano. (R.P.)

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    Haiti: riprende il dialogo politico con la mediazione del card. Langlois

    ◊   “Il dialogo inter-haitiano” tra il Presidente e il parlamento, riprenderà fra poco, con il ritorno in Paese del card. Chibly Langlois: lo rileva all'agenzia Fides, mons. Patrick Aris, portavoce della Conferenza episcopale di Haiti (Ceh). Il dialogo tra le forze politiche haitiane era stato avviato il 24 gennaio e si è concluso il 12 febbraio ma la firma dell'accordo è saltata perché l'esecutivo aveva pubblicato sul giornale ufficiale “Le Moniteur” l'elenco incompleto dei giudici per integrare la “Corte dei Conti”.

    Già due anni fa si sarebbero dovute tenere le elezioni ad Haiti, ma le dispute sulla formazione del tribunale elettorale e sulla legge che regola lo svolgimento delle elezioni, hanno rimandato la consultazione. Per risolvere questa crisi prolungata, nel Paese – che ancora soffre le conseguenze del devastante terremoto di quattro anni fa – la Chiesa cattolica è stata invitata a svolgere un opera di mediazione.

    Il neo cardinale Chibly Langlois, arcivescovo di Les Cayes, in un colloquio con la Fides, aveva detto pochi giorni fa: “C’è una cosa molto importante da rilevare nel campo sociale: la Chiesa accompagna i protagonisti politici per riuscire a costruire un dialogo fra tutte le parti e risolvere i problemi della nostra società. Dobbiamo condividere la responsabilità di risolvere la situazione politica che vive il nostro Paese, la crisi che vive il Paese, e questo sarà possibile solo con il dialogo. La Conferenza episcopale si è offerta come mediatrice in questa crisi e abbiamo la speranza che, attraverso il dialogo, si vada avanti. Adesso manca solo la firma dell’accordo per uscire dalla crisi. In questo la Chiesa ha quindi un ruolo sociale molto ben definito. (R.P.)

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    Spagna: oltre 3,5 milioni di alunni scelgono l’ora di religione

    ◊   Sono oltre 3,5 milioni gli alunni spagnoli che scelgono di avvalersi dell’insegnamento della religione cattolica nelle scuole: lo rende noto la Commissione episcopale per l’Insegnamento e la catechesi della Conferenza dei vescovi iberici (Cee). Attualmente, tale insegnamento è tornato obbligatorio nelle scuole elementari e medie, dopo essere stato facoltativo durante l’esecutivo di Zapatero. I dati, diffusi ogni anno, evidenziano come due studenti su tre optino volontariamente per l’ora di religione.

    Rispetto all’anno scorso, nelle scuole cattoliche si registra l’1,5% in più, mentre negli istituti statali l’1,8% in meno. Guardando a 61 delle 69 diocesi della Spagna, per un totale di 5.385.601 alunni, risulta che 3.501.555 seguono l’ora di religione, ovvero il 65% del totale. Un dato che, tuttavia, fa registrare un meno 1,7% rispetto allo scorso anno. “Questa diminuzione – spiega la Chiesa di Madrid – si deve, tra gli altri motivi, anche alle difficoltà di tipo legislativo e amministrativo relative all’insegnamento della religione”. Quindi, i vescovi ricordano “il contributo significativo offerto alla didattica dall’ora di religione”, la quale è, innanzitutto, “un esercizio della libertà religiosa e del diritto all’educazione dei figli da parte dei genitori, secondo le loro convinzioni religiose e morali”.

    Di qui, l’esortazione che la Cee lancia affinché “l’insegnamento della religione sia una materia equiparabile a quelle fondamentali, ad offerta obbligatoria da parte dei centri formativi e a scelta facoltativa da parte degli alunni”. Infine, i vescovi spagnoli chiedono che “l’avvalersi o meno di tale insegnamento non supponga alcuna discriminazione all’interno delle attività scolastiche”. (I.P.)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVIII no. 65

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    E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.