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Sommario del 03/03/2014

Il Papa e la Santa Sede

  • Il Papa ai vescovi spagnoli: la famiglia cristiana è agente prezioso di evangelizzazione
  • Il Papa: importante fare Esercizi spirituali, non si conosce Dio “per sentito dire”
  • Papa Francesco: pregare perché Dio mandi preti e suore liberi da idolatria vanità, potere e denaro
  • Mons. Alfred Xuereb nominato dal Papa prelato segretario generale della Segreteria per l'Economia
  • Tweet del Papa: vivere il matrimonio uniti a Dio, che rinnova l’amore e lo rende più forte della difficoltà
  • Scambio degli strumenti di ratifica dell'Accordo-quadro tra Santa Sede e Burundi
  • Papa Francesco apre al pubblico i Giardini pontifici di Castel Gandolfo
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Nato, Ue e Usa impegnati sulla crisi ucraina dopo che Mosca ha preso il controllo della Crimea
  • Venezuela. Proteste, barricate e scontri a Caracas
  • Siria: salta tregua a Yarmouk. Unrwa: dramma di 18 mila rifugiati palestinesi intrappolati
  • Ricerca Gruppo Abele-Auser: gioco d'azzardo in crescita fra gli anziani
  • Torino. Mons. Nosiglia: la Chiesa va incontro ai giovani con la "movida spirituale"
  • Pompei, nuovi crolli. Unesco: subito piano straordinario. Franceschini convoca vertice
  • "La grande bellezza" da Oscar, alla ricerca del perduto senso della vita
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Crimea: appello alle nazioni del mondo del vescovo di Odessa
  • Nigeria. Il vescovo di Maiduguri: noi senza più difese
  • Sud Sudan: Malakal, città di 250 mila abitanti, completamente deserta dopo assalti dei ribelli
  • Corea del Nord: liberato il missionario australiano John Short
  • Pakistan: cristiani e società civile celebrano Shahbaz Bhatti a tre anni dall'attentato
  • Pakistan: giovane cristiana uccisa dai talebani per aver aiutato un convertito dall’islam
  • Denuncia dall'Iraq: terre di cristiani emigrati depredate con complicità di funzionari corrotti
  • Messico: cinquemila persone con il vescovo alla Marcia per la pace e la famiglia
  • Israele: ebrei ultraortodossi protestano contro progetto di legge sulla leva obbligatoria
  • Cardinale Capovilla: consegnata la berretta a Sotto il Monte
  • Il Papa e la Santa Sede



    Il Papa ai vescovi spagnoli: la famiglia cristiana è agente prezioso di evangelizzazione

    ◊   Una Chiesa in “missione permanente” perché il Vangelo ha bisogno di essere annunciato con coraggio e in modo “costante”. È quanto chiede Papa Francesco alla Chiesa spagnola, i cui vescovi sono stati ricevuti questa mattina in visita ad Limina. Il Papa ha consegnato il suo discorso ai presuli, facendo loro gli auguri per la plenaria della prossima settimana. Il servizio di Alessandro De Carolis:

    Il vescovo non si senta solo, e nemmeno pensi di esserlo, e soprattutto non dimentichi mai che “il gregge che gli è stato affidato ha sensibilità per le cose di Dio”. È a questa consapevolezza che Papa Francesco spinge i vescovi spagnoli, figli di una terra – osserva all’inizio del suo discorso – che ha dato grandi Santi mentre ora soffre “l'indifferenza di molti battezzati”, a loro volta figli di “una cultura mondana che relega Dio alla vita privata e Lo esclude dall'ambito pubblico”. Ma su questo, ribadisce il Papa, c’è la forza dello Spirito Santo, che continua a seminare la grazia. A voi vescovi, dice, “viene affidato il compito di far germogliare questi semi con l'annuncio coraggioso e veritiero del Vangelo, di seguirne attentamente la crescita con l'esempio, l'educazione e la vicinanza e di armonizzarli nell'insieme della 'vigna del Signore', da cui nessuno può restare escluso”.

    Come sempre in questo tipo di incontri, lo sguardo di un Papa abbraccia l’intera realtà della nazione e della Chiesa che in essa vive. Come Gesù, siate capaci – esorta – di “ascoltare tutti da cuore a cuore con tenerezza e misericordia e a cercare ciò che veramente unisce e serve alla reciproca edificazione”. Soprattutto in un momento in cui, nota, “non mancano difficoltà per la trasmissione" della fede, Papa Francesco spinge i presuli spagnoli a porre le loro comunità ecclesiali “in un vero stato di missione permanente”, con uno sguardo ai lontani come pure ai più piccoli. E per ciò, indica, prestate “particolare attenzione al processo di iniziazione alla vita cristiana”, poiché la fede, sostiene, “non è una mera eredità culturale”, ma “un dono che nasce dall'incontro personale con Gesù e dall'accettazione libera e gioiosa della nuova vita che ci offre. Ciò richiede annuncio incessante e animazione costante, affinché il credente sia coerente con la condizione di figlio di Dio che ha ricevuto nel Battesimo”.
    Vicinanza pastorale è quella che Papa Francesco chiede per i sacerdoti, i seminaristi – che questi ultimi abbiano, auspica, “buoni formatori" e "professori competenti” – e in modo particolare per le famiglie. “Una famiglia evangelizzata – afferma il Papa – è un prezioso agente di evangelizzazione, soprattutto perché irradia le meraviglie che Dio ha operato in essa. Inoltre, essendo per sua natura ambito di generosità, promuoverà – conclude – la nascita di vocazioni alla sequela del Signore nel sacerdozio o nella vita consacrata”.

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    Il Papa: importante fare Esercizi spirituali, non si conosce Dio “per sentito dire”

    ◊   Gli Esercizi Spirituali sono “un’esperienza” dell’amore di Dio. E’ quanto affermato da Papa Francesco ricevendo oggi i partecipanti all’assemblea della Fies, Federazione Italiana Esercizi Spirituali, nel 50.mo dell’anniversario di fondazione. Il Papa ha, quindi, sottolineato che gli uomini di oggi hanno bisogno di incontrare Dio “non per sentito dire”. Il servizio di Alessandro Gisotti:

    “Proporre gli Esercizi Spirituali significa invitare ad un’esperienza di Dio, del suo amore e della sua bellezza”. Papa Francesco ha esordito così il suo discorso alla Fies aggiungendo che chi “vive gli Esercizi” ritorna “rinnovato, trasfigurato alla vita ordinaria, al ministero, alle relazioni quotidiane, portando con sé il profumo di Cristo”:

    “Gli uomini e le donne di oggi hanno bisogno di incontrare Dio, di conoscerlo 'non per sentito dire' (cfr Gb 42,5). Il vostro servizio è tutto orientato a questo, e lo fate offrendo spazi e tempi di ascolto intenso della sua Parola nel silenzio e nella preghiera”.

    “Luoghi privilegiati per tale esperienza spirituale – ha soggiunto – sono le Case di Spiritualità, che vanno, a questo scopo, sostenute e fornite di personale adeguato”:

    “Incoraggio i Pastori delle varie comunità a preoccuparsi perché non manchino Case di Esercizi, dove operatori ben formati e predicatori preparati, dotati di qualità dottrinali e spirituali, siano veri maestri di spirito. Tuttavia, non dimentichiamo mai che il protagonista della vita spirituale è lo Spirito Santo. Egli sostiene ogni nostra iniziativa di bene e di preghiera”.

    Un buon corso di Esercizi Spirituali, ha soggiunto, “contribuisce a rinnovare in chi vi partecipa l’adesione incondizionata a Cristo, e aiuta a capire che la preghiera è il mezzo insostituibile di unione a Lui”. Il Papa ha, quindi, concluso ringraziando la Fies “per il servizio prezioso” reso “alla Chiesa, affinché la pratica degli Esercizi Spirituali sia diffusa, sostenuta e valorizzata”.

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    Papa Francesco: pregare perché Dio mandi preti e suore liberi da idolatria vanità, potere e denaro

    ◊   Pregare Dio per le vocazioni, perché mandi preti e suore con il cuore soltanto per Lui, liberi dall’idolatria della vanità, del potere e del denaro: è l’esortazione lanciata da Papa Francesco stamani durante la Messa a Santa Marta. Ce ne parla Sergio Centofanti:

    Il Vangelo dell’uomo ricco che si getta in ginocchio davanti a Gesù per chiedergli cosa debba fare per avere in eredità la vita eterna, è stato al centro dell’omelia di Papa Francesco. Quest’uomo – sottolinea il Papa - “aveva tanta voglia di sentire le parole di Gesù”: era “un uomo buono, perché fin dalla sua giovinezza aveva osservato i comandamenti. Un uomo buono”, dunque, “ma questo non era sufficiente, per lui: voleva di più. Lo Spirito Santo lo spingeva”. Gesù lo guarda con amore e gli fa la proposta: “Vendi tutto e vieni con me a predicare il Vangelo”. Ma quello, sentendo queste parole, “si fece scuro in volto e se ne andò rattristato” perché possedeva molti beni:

    “Il suo cuore inquieto, proprio per lo Spirito Santo che lo spingeva ad avvicinarsi a Gesù e a seguirlo, era un cuore pieno, e lui non ha avuto il coraggio di svuotarlo. E ha fatto la scelta: i soldi. Il cuore pieno di soldi … Ma non era un ladro, un reo: no, no, no! Era un uomo buono: mai aveva rubato, mai! Mai truffato: erano soldi onesti. Ma il suo cuore era imprigionato lì, era legato ai soldi e non aveva la libertà di scegliere. I soldi hanno scelto per lui”.

    “Quanti giovani – ha proseguito Papa Francesco - sentono nel loro cuore questa ‘chiamata’ ad avvicinarsi a Gesù, e sono entusiasti”, “non hanno vergogna di inginocchiarsi” davanti a Lui, di “dare dimostrazione pubblica della loro fede in Gesù Cristo” e “vogliono seguirlo, ma, quando hanno il cuore pieno di un’altra cosa e non sono tanto coraggiosi per svuotarlo, tornano indietro, e quella gioia diviene tristezza”. Anche oggi ci sono tanti giovani che hanno la vocazione, ma a volte c’è qualcosa “che li ferma”:

    “Dobbiamo pregare perché il cuore di questi giovani possa svuotarsi, svuotarsi di altri interessi, di altri amori, perché il cuore divenga libero. E questa è la preghiera per le vocazioni: ‘Signore, mandaci, mandaci suore, mandaci preti, difendili dall’idolatria, dall’idolatria della vanità, dall’idolatria della superbia, dall’idolatria del potere, dall’idolatria del denaro’. E la nostra preghiera è per preparare questi cuori per poter seguire da vicino Gesù”.

    L’uomo di questo Vangelo – ha affermato il Papa - è “tanto buono e poi tanto infelice”. Ci sono tanti giovani oggi così. Per questo occorre elevare a Dio una preghiera intensa:

    “E’ la preghiera: ‘Aiuta, Signore, questi giovani, perché siano liberi e non siano schiavi, perché abbiano il cuore soltanto per te’, e così la chiamata del Signore può venire, può dare frutto. E questa è la preghiera per le vocazioni. Dobbiamo farne tanta: pregare. Ma, sempre stare attenti: le vocazioni ci sono. Dobbiamo aiutare affinché crescano, affinché il Signore possa entrare in quei cuori e dare questa gioia indicibile e gloriosa che ha ogni persona che segue da vicino Gesù”.

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    Mons. Alfred Xuereb nominato dal Papa prelato segretario generale della Segreteria per l'Economia

    ◊   Il Papa ha nominato prelato segretario generale della Segreteria per l'Economia mons. Alfred Xuereb, officiale della Segreteria di Stato. La Segreteria per l’Economia, nuova struttura di coordinamento per gli affari economici della Santa Sede e del Vaticano, è stata costituita il 24 febbraio scorso da Papa Francesco con il Motu proprio "Fidelis dispensator et prudens". A capo dell’organismo è stato chiamato il cardinale George Pell con il titolo di prefetto.

    Oggi sono stati pubblicati i Decreti di nomina del cardinale Pell e di mons. Xuereb. Il Papa, rivolgendosi al porporato, scrive: “Avendo considerato attentamente le qualità specifiche richieste per il Cardinale Prefetto che presiede questo Dicastero della Curia Romana, in particolare il fatto che egli risponde direttamente al Santo Padre, e avendo determinato che tale qualità si possano riconoscere in te venerato fratello, con questo decreto io nomino te, George Cardinale Pell, Prefetto della Segreteria per L'Economia, ad quinquennium. Come Prefetto della Segreteria per l'Economia hai tutti i diritti e i doveri concessi dalla Lettera Apostolica, Fidelis dispensator et prudens, in forma di Motu proprio, e dalla Costituzione Apostolica Pastor Bonus, nonché dagli statuti approvati del nuovo Dicastero. Con questo decreto abrogo e rendo nulla qualsiasi altra disposizione che sia incompatibile con la tua nomina quale Cardinale Prefetto”.

    Nel Decreto di nomina di mons. Alfred Xuereb come prelato segretario generale della Segreteria per l'Economia, che ha il compito di coadiuvare il cardinale prefetto, il Papa scrive: “Avendo considerato le qualità richieste per il Prelato Segretario Generale e avendo sentito il parere di persone degne di fede, e avendo determinato che tali qualità in te si possano riconoscere, con questo decreto io nomino te Monsignor Alfred Xuereb Prelato Segretario Generale della Segreteria per l'Economia, ad quinquennium. Come Prelato Segretario Generale della Segreteria per l'Economia hai tutti i diritti e doveri stabiliti dagli statuti approvati del nuovo Dicastero”.

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    Tweet del Papa: vivere il matrimonio uniti a Dio, che rinnova l’amore e lo rende più forte della difficoltà

    ◊   Il Papa ha lanciato questo nuovo tweet sull’account @Pontifex in nove lingue: “Come vivere bene il matrimonio? Uniti al Signore, che rinnova sempre l’amore e lo rende più forte di ogni difficoltà”.

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    Scambio degli strumenti di ratifica dell'Accordo-quadro tra Santa Sede e Burundi

    ◊   Il 28 febbraio scorso, nella sede del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale della Repubblica del Burundi, il sig. Laurent Kavakure, ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, e mons. Franco Coppola, arcivescovo titolare di Vinda e nunzio apostolico, munito dei pieni poteri, hanno proceduto allo Scambio degli strumenti di ratifica dell’Accordo-quadro tra la Santa Sede e la Repubblica del Burundi su materie di comune interesse, firmato a Bujumbura il 6 novembre 2012.

    L’Accordo-quadro, prendendo atto delle buone relazioni che si sono sviluppate tra la Santa Sede e il Burundi negli ultimi cinquant’anni, definisce e garantisce lo statuto giuridico della Chiesa cattolica e regola vari ambiti, tra cui il matrimonio canonico, i luoghi di culto, le istituzioni cattoliche di istruzione e di educazione, l’attività assistenziale-caritativa della Chiesa, la cura pastorale nelle forze armate e nelle istituzioni penitenziarie ed ospedaliere, e il regime patrimoniale e fiscale. L’Accordo-quadro, che consiste di un Preambolo e di 22 Articoli con un Allegato, è entrato in vigore con lo scambio degli strumenti di ratifica, a norma dell’articolo 22, § 1.

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    Papa Francesco apre al pubblico i Giardini pontifici di Castel Gandolfo

    ◊   Il Papa apre al pubblico i Giardini di Castel Gandolfo: dal primo marzo di quest’anno, pellegrini e turisti possono varcare la soglia delle Ville Pontificie di Castel Gandolfo per visitare il Giardino Barberini. Le Ville Pontificie di Castel Gandolfo sorgono in un’area di circa 55 ettari, situata nei Castelli Romani, in provincia di Roma, inclusa tra le zone extraterritoriali della Santa Sede in Italia. Sono state concesse alla Santa Sede con i Patti Lateranensi del 1929, in quanto costituiscono la residenza suburbana frequentata dai Papi fin dall’epoca di Urbano VIII, nel 17.mo secolo.

    Nel Giardino Barberini, quello più accessibile e anche meno conosciuto, si potranno ammirare scenari naturalistici ed archeologici: dal Giardino della Magnolia, al Viale delle Rose, dal Viale delle Erbe aromatiche a quello dei Ninfei, dal Piazzale dei lecci al Giardino del Belvedere. Nell’area della Villa Barberini sorgeva, con affaccio sul lago, la Villa dell’Imperatore Domiziano e il visitatore potrà sostare fra le rovine del Teatro imperiale o il criptoportico. Affacciandosi sul Piazzale Quadrato o sui giardini del Belvedere lo sguardo si aprirà sul Lazio fino alla linea azzurra del mare.

    Per prenotazioni, vedere sul sito dei Musei Vaticani al settore “Visite guidate”. Questo il link: http://mv.vatican.va/2_IT/pages/z-Info/MV_Info_Servizi_Visite.html#castelgandolfo.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   Per la pace in Ucraina: all’Angelus accorato appello del Pontefice alla comunità internazionale per la soluzione della crisi attraverso il dialogo e la concordia.

    Nessuno può essere escluso dalla vigna del Signore: il Papa ai vescovi spagnoli in visita “ad limina”.

    Due messaggi per una festa: omelia del cardinale decano Angelo Sodano per la consegna della berretta e dell’anello a Loris Francesco Capovilla.

    Ritorno a Cristo: aperto a Roma il ventisettesimo capitolo generale dei salesiani di don Bosco.

    E’ una favola, un “cuento chino”: Jorge Milia spiega come parla Jorge Maria Bergoglio.

    Lucetta Scaraffia sulla necessità di ascoltare le donne sottolineata dal cardinale Walter Kasper in un’intervista ad “Avvenire”.

    Beethoven come religione: Cristiana Dobner recensisce “The Lady in Number 6” che racconta la vita di Alice Herz Sommer, sopravvissuta alla Shoah.

    Nelle Nouvelle vague per caso: Emilio Ranzato ricorda il regista Alain Resnais, morto all’età di 91 anni, e in un secondo articolo mette in evidenza una generale povertà di scrittura nell’annata poco entusiasmante dei premi Oscar.

    Tre miti da smascherare: Marguerite Peeters a proposito della rivoluzione del gender.

    Carlo Pulsoni su un fascista contro Hitler, nei documenti raccolti nel fondo intitolato a Eugenio Morreale.

    Quanto è difficile educare e trasmettere la fede: la recensione dell’arcivescovo di Catanzaro-Squillace, Vincenzo Bertolone, del libro di don Armando Matteo, “L’Adulto che ci manca”.

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    Oggi in Primo Piano



    Nato, Ue e Usa impegnati sulla crisi ucraina dopo che Mosca ha preso il controllo della Crimea

    ◊   Le guardie di frontiera ucraine denunciano che i militari russi continuano a sbarcare in Crimea
    massicciamente: nelle ultime 24 ore, sostengono, sono atterrati in Crimea 10 elicotteri da combattimento e 8 aerei da trasporto, senza che Kiev fosse informata con 72 ore di anticipo previste dall'accordo bilaterale sulla flotta russa del Mar Nero. Da parte sua, il viceministro degli Esteri russo Karasin afferma che "la Russia non vuole la guerra con l'Ucraina”. Dopo che la Russia ha preso il controllo della Crimea, Nato, Ue e Usa hanno condannato la violazione dell’integrità territoriale e in queste ore le cancellerie internazionali sono impegnate su più fronti. Il segretario generale dell’Onu, Ban Ki Moon, incontrerà nel pomeriggio il ministro degli Esteri russo, Lavrov, a Ginevra. Tra poco ci sarà il Consiglio straordinario a Bruxelles. Gli Stati Uniti nel corso di una riunione speciale dell'Ocse hanno chiesto l’invio di osservatori in Ucraina. Intanto continua a scendere da stamattina la Borsa di Mosca: meno 10%. Fausta Speranza ha parlato della crisi ucraina con Daniele De Luca, docente di storia delle relazioni internazionali all’Università del Salento:

    R. – Il compattamento della Comunità internazionale è un po’ ambiguo. Dobbiamo distinguere tra G7 - ex G8 - e G20. Se nella questione ucraina noi consideriamo l’ex G8 - ora diventato G7 -, diciamo che c’è una certa comunanza di intenti, anche se c’è la posizione della Germania che è un po’ più sganciata. Però, dobbiamo allargare la questione al G20 dove abbiamo dei problemi: ci sono Paesi come Brasile, Cina ed India che probabilmente non guardano con estremo favore una politica magari anche di sanzioni nei confronti della Russia. Faccio l’esempio della Cina: si è letto anche sui giornali di una telefonata tra il ministro degli Esteri cinese e quello russo; lì credo ci sia una comunanza di interessi non tanto per quanto riguarda la Crimea ma sulla politica generale nei confronti dei diritti umani e di sfere di influenza.

    D. – C’è davvero il rischio di un conflitto?

    R. – Lo escluderei. Nessun Paese – intendo un Paese occidentale e gli Stati Uniti – ha intenzione di andare in guerra per la questione Ucraina; perché, nonostante la Conferenza di Yalta sia passata da così tanto tempo, ancora vigono nel mondo le sfere di influenza. Gli Stati Uniti possono alzare la voce quanto vogliono ma probabilmente – così come nel caso della Siria, che era un caso abbastanza preoccupante - non muoveranno le proprie truppe; naturalmente ci sono comunque una serie di passaggi. Gli Stati Uniti sono mesi che stanno sollecitando l’Unione Europea a non prendere sottogamba la questione Ucraina e la crisi Ucraina. Ancora una volta devo sottolineare la totale assenza di una politica estera comune nei confronti di una qualsiasi crisi internazionale; basta vedere gli atteggiamenti di alcune nazioni europee e come invece si distingue la Germania per altre azioni.

    D. – In certi momenti è sembrato che tutto si potesse riportare ad un braccio di ferro tra Stati Uniti e Russia, soprattutto dopo la dura condanna venuta da Obama...

    R. – La questione non è soltanto bilaterale, la questione è molto più ampia; sul campo ci sono questioni molto più ampie. Ci sono due questioni che devono essere prese in considerazione, una è prettamente economica e l’altra è militare. Non dimentichiamo che qualche tempo fa la Nato aveva provato a dislocare dei missili difensivi quasi a circondare la Russia e la Russia si era opposta; inoltre da lì passano gasdotti assolutamente fondamentali per l’economia Europea e per l’economia mondiale. Quindi, il confronto non può e non deve essere soltanto bilaterale ma deve essere un confronto a più ampio raggio. Per questa ragione, ritengo che riportare il confronto dal G8 al G7 sia un gravissimo errore: non bisogna mai escludere dalle Conferenze internazionali la nazione che è maggiormente interessata, non si può quindi escludere la Russia con un’azione di rappresaglia diplomatica da un incontro fondamentale come può essere quello del G8.

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    Venezuela. Proteste, barricate e scontri a Caracas

    ◊   Non si fermano le proteste in Venezuela. Migliaia di dimostranti antigovernativi, soprattutto giovani, hanno marciato ieri in un quartiere dell’alta borghesia di Caracas. Dopo questa manifestazione pacifica, centinaia di attivisti hanno eretto barricate e lanciato pietre contro agenti della Guardia nazionale che hanno risposto con gas lacrimogeni. Sulla complessa situazione in Venezuela, Amedeo Lomonaco ha intervistato Roberto Da Rin, giornalista del Sole 24 Ore, esperto di America Latina:

    R. – Il Venezuela è ancora spaccato in due da chi ha ereditato la linea politica di Chavez – e quindi Maduro, il nuovo presidente – e chi invece, gli oppositori, cerca di contrastarlo in ogni modo. Il risultato elettorale ha sancito una vittoria di Maduro alle elezioni presidenziali dello scorso autunno: una vittoria esigua di Maduro e quindi l’opposizione si è sentita legittimata, nelle prime settimane, a chiedere il riconteggio e poi a contestare con manifestazioni quotidiane il risultato elettorale.

    D. – Dopo la morte di Chavez, il presidente Maduro ha impostato il suo agire politico in continuità con il suo predecessore. Quell’esperienza di Chavez può essere ancora attuale per il Venezuela, oppure è una pagina superata in modo definitivo?

    R. – Non è superata in modo definitivo fino a che esiste una metà degli elettori del Venezuela che continua sostanzialmente a supportare quella linea politica, che è una linea politica di sussidi, in parte, ma anche di programmi sociali che hanno migliorato la vita delle classi sociali più disagiate, che in Venezuela sono una percentuale rilevante della popolazione. Quindi, è morto Chavez, ma il "chavismo" rimane.

    D. – Quindi, c’è una metà che ancora sostiene la politica di Chavez, c’è un’altra che invece la contesta: queste proteste sono destinate a essere contenute dal governo, o possono invece aprire scenari nuovi?

    R. – Tutto può succedere, naturalmente. Ciò che congiura e mina la credibilità del nuovo presidente Maduro è una situazione economica piuttosto degradata. L’inflazione è superiore al 50%, la disoccupazione è molto elevata e quindi il Paese versa in condizioni critiche. C’è una svalutazione progressiva del bolivar, la moneta venezuelana: al mercato ufficiale, un dollaro vale 6 bolivares, mentre al cambio nero vale più di 80 bolivares. Quindi, c’è una divaricazione enorme tra la credibilità del governo e quello che in effetti poi accade sui mercati. I prezzi dei beni importati continuano a lievitare, la situazione economica è compromessa: questo è un fatto reale che naturalmente non gioca a favore di una pacificazione del Paese.

    D. – A proposito di situazione economica, il petrolio e anche le riserve di petrolio sono una grande opportunità sicuramente per il Paese, ma possono essere anche un limite per il Venezuela, perché attirano molti e forti interessi…

    R. – Il Venezuela continua ad essere naturalmente un Paese petrolifero e attualmente produce circa due milioni e mezzo di barili al giorno, che è una cifra rilevante, anche perché visto dagli occhi degli Stati Uniti, il Venezuela è il terzo Paese da cui gli Stati Uniti importano petrolio. Questi due milioni e mezzo di barili potrebbero essere di più: l’obiettivo dei tre milioni di barili al giorno non è mai stato raggiunto proprio perché si sono verificati spesso inconvenienti tecnologici e le imprese internazionali non sempre hanno deciso di rinnovare i propri investimenti per ragioni di scarsa credibilità politica. Ciò che comunque è importante sottolineare è che il futuro del Venezuela sarà in parte deciso, con un peso specifico notevole, da Pdvsa (Petróleos de Venezuela, S.A.) – che è l’impresa petrolifera che è uno Stato nello Stato, è uno dei poteri forti – e naturalmente l’esercito. Nel momento in cui la maggior parte dell’esercito dovesse abbandonare Maduro, potrebbe diventare difficile per lui continuare a governare.

    D. – Quindi, questi sono i soggetti forti. Qual è invece il ruolo degli Stati Uniti, in questa crisi?

    R. – Il ruolo degli Stati Uniti naturalmente è sempre stato quello di chi ha avversato sia Chavez sia Maduro. Finora, Obama non ha mai nascosto il suo scetticismo nei confronti di Chavez e poi di Maduro. Però, finché questo scetticismo rimane lì, è legittimo manifestarlo. Se poi si trasforma in un’ingerenza palese, allora no.

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    Siria: salta tregua a Yarmouk. Unrwa: dramma di 18 mila rifugiati palestinesi intrappolati

    ◊   3379: sono le vittime delle violenze in Siria nei primi due mesi del 2014, secondo i dati forniti oggi dall’Osservatorio siriano per i diritti umani. A tre anni dall’inizio della guerra civile, sarebbero circa 140 mila i morti, tra militari e i civili, per gli attentanti e gli scontri armati tra esercito e forze fedeli al regime di Damasco e gruppi ribelli di opposizione. E tra le situazioni più gravi sul terreno c'è quella dei rifugiati palestinesi nel campo di Yarmouk, a sud della capitale, sotto assedio dal luglio 2013, dove ieri è stata rotta la tregua mediata dall’Onu a metà febbraio per poter approvvigionare i profughi rimasti senza cibo e medicine. Roberta Gisotti ha intervistato Tana De Zulueta, presidente del Comitato italiano dell’Unrwa, l’agenzia dell’Onu per i rifugiati palestinesi:

    Nell’intricato mosaico delle violenze in Siria, si combattono aspramente a Yarmouk qaedisti siriani del Fronte al-Nusra, schierati contro il presidente Assad, e i miliziani del Fronte popolare palestinese-comando generale, storicamente legati al regime di Damasco. A pagarne il prezzo più alto sono gli ospiti del campo: 18 mila palestinesi, dei 160 mila presenti nella zona prima dell’inizio della guerra. Tana de Zulueta :

    R. – Le nostre notizie sono che si è dovuta sospendere la distribuzione dei generi alimentari: è una notizia molto grave. Bisogna aggiungere che è da metà febbraio che questa distribuzione è andata avanti così, a intermittenza, perché i combattimenti non sono mai cessati del tutto.

    D. – Sappiamo che il commissario generale dell’Unrwa, Filippo Grandi, ha visitato il campo solo qualche giorno fa e si era detto scioccato delle condizioni in cui versavano i profughi…

    R. – Sì, non è l’unico a rimanere scioccato, perché assieme a Filippo Grandi è entrata una troupe della Bbc e un’inquadratura in particolare di questa onda di persone in attesa di cibo è stata ripresa in tutto il mondo: è un’immagine devastante che dà un senso palpabile della sofferenza che patiscono queste 18 mila persone intrappolate ancora a Yarmouk. Bisogna ricordare che Yarmouk – che nella foto e nelle immagini che tutti hanno visto sembra colpita da uno tsunami – è un sobborgo di Damasco ed è stata per mezzo secolo un luogo di rifugio per i palestinesi che lì avevano trovato un posto sicuro quando dovettero lasciare i propri paesi. Adesso, Yarmouk è una prigione, la fame si vede proprio nei volti, in particolare dei bambini e dei giovani. Per questo, Filippo Grandi è rimasto, come lei dice, scioccato. Però, è andato lì portando un messaggio di speranza: ha promesso agli abitanti di Yarmouk che non verranno dimenticati. Credo che questo sia molto importante. L’Unrwa fa molta fatica a raggiungere Yarmouk, ma è l’unica organizzazione che riesce ancora a operare, ad assistere – non solo a portare cibo – ma in altre località della Siria anche a tenere aperte le scuole, i dispensari e a fornire assistenza medica.

    D. – 18 mila palestinesi intrappolati in questo campo: che ne è stato del resto dei palestinesi? Si dice che lì a Yarmouk abitassero 160 mila palestinesi, non so se il numero è giusto…

    R. – Almeno… C’erano in tutta la Siria 500 mila palestinesi rifugiati e le loro famiglie. Almeno la metà di questi sono dispersi: hanno cercato rifugio o nella vicina Giordania o nel Libano, o si sono spostati in altri luoghi della Siria, quindi sono rifugiati due volte.

    D. – Quindi, non c’è che da auspicare la pace?

    R. – Assolutamente! La presenza dell’Onu in Siria è l’unico "lumicino" che riesce a tenere in piedi questa assistenza umanitaria. L’assistenza umanitaria è la prima emergenza siriana e il presupposto, anche, per la pace. E vorrei anche poter ricordare a voi e ai vostri ascoltatori che è aperta una raccolta fondi a cui possono partecipare anche i cittadini italiani, per l’emergenza Siria, sia con l’Unhcr sia con l’Unrwa, che si stanno impegnando nel tentativo di assistere milioni di rifugiati, ormai. E i rifugiati palestinesi hanno questa doppia vulnerabilità: sono rifugiati due volte, sono stranieri ovunque vadano.

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    Ricerca Gruppo Abele-Auser: gioco d'azzardo in crescita fra gli anziani

    ◊   Crescono sempre di più i dati che confermano la tendenza degli anziani al gioco d’azzardo. Lo ha dimostrato una ricerca, presentata oggi in una conferenza stampa a Torino, realizzata da Gruppo Abele, Auser e Libera. Gli anziani giocano più frequentemente rispetto agli adulti e ai giovani, rischiando l’isolamento e l’impoverimento. Veronica Giacometti ne ha parlato con Leopoldo Grosso, vicepresidente del Gruppo Abele:

    R. – Lo scopo di questa ricerca, condotta dal Gruppo Abele e dall’Auser, è quello di sviluppare meccanismi di protezione della popolazione anziana di fronte al rischio del gioco d’azzardo: vogliamo spiegare che l’azzardo non è un gioco di per sé, ma un modo per cui molte persone rischiano di andare incontro a ulteriori problemi tra cui quello dell’indebitamento e dell’impoverimento.

    D. – Cosa ha messo in luce la ricerca?

    R. – L’indagine ha messo in luce che il 70% della popolazione anziana, su un campione raccolto dall’Associazione Auser, sembrerebbe giocare d’azzardo. Il dato forse più preoccupante è che all’interno di questo 70% della platea dei giocatori intervistati, quello che aumenta è il numero di coloro che giocano a un livello di rischio e addirittura sviluppano problematiche patologiche. Mentre le precedenti ricerche tendenzialmente davano una percentuale di rischio di questo sviluppo di dipendenza tra l’1 e il 3%, noi siamo decisamente un po’ più alti.

    D. – Quali potrebbero essere le soluzioni a questo problema patologico?

    R. – Le soluzioni si collocano da più punti di vista. La prima è quello di bloccare l’attuale deregulation da parte dello Stato visto che, lo ricordo, il gioco d’azzardo è formalmente vietato da un articolo del Codice penale. Però, di volta in volta, dal 1999 a oggi lo Stato ha aperto ad una serie di deroghe e di concessioni, instaurando la possibilità – attraverso il monopolio e poi le agenzie specializzate – di tutta una serie di nuovi giochi, e si è passati dal Lotto al Superenalotto, alle istruzioni che diventano sempre più frequenti, alle lotterie istantanee, a un gratta-e-vinci che è venduto alle Poste come è proposto dopo la coda al supermercato… Quindi, c’è un’esposizione totale delle persone, soprattutto delle persone più vulnerabili, che hanno anche più tempo libero a disposizione – che hanno redditi magari bassi ma certi, che arrivano puntuali con la pensione – per l’illusione della vincita, l’illusione di mettere a posto i propri conti, l’illusione di potersi permettere, magari, alcuni lussi che prima non si potevano permettere. Quindi, da una parte bisogna limitare l’offerta, fare un passo indietro e soprattutto non continuare ad aumentarla. Per fare questo bisogna anche dare la possibilità ai sindaci dei Comuni di decidere per le loro città quanto gioco d’azzardo vogliano nel loro territorio, quanto vogliano trasformare le loro città in piccole Las Vegas in cui muta il panorama urbano. C’è un’aggressività dell’offerta rispetto alla quale i sindaci devono avere il potere di concedere o meno le licenze, cosa che oggi invece è "bypassata" direttamente dalle autorizzazioni statali. E poi, soprattutto, bisogna diffondere una cultura tra gli anziani stessi, all’interno della popolazione, secondo cui l’azzardo, per l’appunto, non è un gioco.

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    Torino. Mons. Nosiglia: la Chiesa va incontro ai giovani con la "movida spirituale"

    ◊   Se i ragazzi non vanno alla Chiesa, la Chiesa va dai ragazzi: è il messaggio interpretato alla lettera da mons. Cesare Nosiglia, arcivescovo di Torino, che ha trascorso il sabato notte di pub in pub a parlare con i giovani. L’oratorio della parrocchia Santi Pietro e Paolo, con il suo parroco Mauro Mergola, aveva deciso di offrire un’alternativa alla movida del sabato e dunque ha tenuto la chiesa aperta tutta la notte, organizzando tornei di calciobalilla sul sagrato. L’arcivescovo è andato di persona ad avvisare i ragazzi di questa opportunità. Ascoltiamo mons. Nosiglia intervistato da Maura Pellegrini Rhao:

    R. – E’ un’iniziativa che si inserisce in un percorso che si è deciso di fare insieme alla parrocchia dei Santi Pietro e Paolo, nel quartiere San Salvario, dove c’è appunto un prete salesiano, un parroco, con un oratorio, e dato che c’è una movida – particolarmente il sabato ci sono migliaia di giovani – il parroco ha deciso di offrire a questi giovani anche un’alternativa. Quindi, la chiesa aperta, poi un momento di preghiera, anche di ascolto, di incontro se vogliono, per parlare con il sacerdote. I giovani dell’oratorio davanti alla chiesa hanno preparato mostre, il calciobalilla… Io sono andato inserendomi, appunto, in questo percorso e quindi ho incominciato a prendere contatto con questo quartiere, a partire dai giovani.

    D. – Come è stato accolto dai ragazzi dei pub?

    R. – Sono stato in mezzo a loro, mi hanno accolto, abbiamo parlato, anche di cose importanti… Erano ovviamente anche stupiti di vedere un vescovo in mezzo a loro, però i discorsi che abbiamo fatto sono stati anche – tutto sommato – discorsi di contenuto. Non c’è stato rifiuto… Però, adesso si tratta di continuare, non voglio che sia solo una visita occasionale e per questo ho deciso di fare la visita pastorale che durerà molti giorni.

    R. – Che significato ha avuto questa iniziativa?

    D. – Questa è stata un’iniziativa che vuole far capire ai giovani che la chiesa è aperta proprio attraverso i pastori, i giovani che frequentano la parrocchia: aperti al dialogo, all’incontro, all’ascolto. Su questo ho pensato anche di attivare un tavolo di incontro tra tutte le componenti sia istituzionali, sia dei residenti, sia degli stessi giovani della parrocchia: ci troveremo lunedì 17, cercheremo di verificare la possibilità di dare un contenuto più serio a questa serata e dare il senso di una Chiesa che si metta in gioco, insomma: non aspettando che i giovani vadano da lei, ma lei in cerca dei giovani. Dare alternative, cercare di far ragionare, fare incontrare questi giovani con alcune persone che possano essere anche di stimolo per uscire da una certa situazione.

    D. – Che cosa ha potuto intuire in questi incontri con i ragazzi?

    R. – Con molta semplicità, parlavano, dicevano le loro cose… Loro hanno centrato soprattutto l’effetto della relazione: sono molto soli, questi ragazzi! Sembra che siano pieni di tante attività, di tante cose che li circondano, di tante proposte, ma in realtà sentono molto la solitudine. Al giorno d’oggi, sembra che a volte i giovani siano pieni di tanto chiasso, di tanta esteriorità, ma nel cuore probabilmente sentono forte questa mancanza di affetto, mancanza di persone che ascoltino, che conducano un dialogo con loro.

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    Pompei, nuovi crolli. Unesco: subito piano straordinario. Franceschini convoca vertice

    ◊   “Occorre un piano di interventi straordinario che metta in sicurezza l'intera area, altrimenti Pompei è destinata a crollare per intero”. L’allarme arriva dall’Unesco dopo i crolli che hanno interessato nelle ultime ore in particolare il "Tempio di Venere" e la necropoli di Porta Nocera. Domani una riunione urgente è stata convocata dal neoministro dei Beni e delle Attività Culturali e del Tursimo (Mibac), Dario Franceschini. Sulla situazione, Paolo Ondarza ha intervistato Antonio Irlando, presidente dell’Osservatorio patrimonio culturale:

    R. – Ormai, questi crolli sono una "grazia" per Pompei. Mi spiego meglio: ormai le criticità sono evidenti da almeno una quindicina d’anni e noi facemmo uno studio nel 2005, nel quale spiegavamo che l’80% dell’area archeologica di Pompei era a rischio crollo o, più in generale, di distruzione. Purtroppo, c’è voluto il crollo della "Schola armaturarum" di qualche anno fa per portare all’attenzione di tutti in maniera evidente, per far aprire gli occhi a tutti e per far allargare la consapevolezza sul dramma che si viveva a Pompei. Oggi ancora crolli, è come se qualcuno ci stesse dicendo: “Ma che aspettate? Che cosa continuate a nascondere?”. Perché si tratta spesso anche di nascondere le cose... A Pompei, la situazione è fuori controllo: per ogni crollo reso noto con un comunicato ufficiale della Sovrintendenza, ce ne sono almeno nove di cui non si ha notizia.

    D. – Lei denuncia un grave vuoto gestionale. In che senso?

    R. – In questo preciso momento, la Sovrintendenza di Pompei – che è una Sovrintendenza di nuova costituzione, perché è nata da una "costola" di quella più grande, che era la Sovrintendenza di Napoli-Pompei, con un decreto legge dell’agosto scorso – non ha un sovrintendente effettivo, ma ha un sovrintende reggente nella persona del direttore generale del Ministero, perché il sovrintende incaricato è ancora in attesa che la Corte dei Conti gli perfezioni, validi il suo contratto. Abbiamo notizia di diversi ricorsi contro questa nomina. Quindi, riteniamo che questo possa rallentare ancora di più l’iter, anche se chiaramente speriamo che ciò non avvenga.

    D. – Quindi, ancora una volta, è la burocrazia a rallentare il salvataggio di Pompei?

    R. – Sì, purtroppo sì. Un quotidiano internazionale - il New York Times - titolò l’estate scorsa che Pompei è vittima della camorra e della burocrazia. Tornando sempre al vuoto gestionale, c’è anche un altro problema: in questo momento, la struttura che dovrebbe occuparsi di dare impulso alle attività di restauro del "Grande Progetto Pompei" – si tratta di quell’opera co-finanziata con 105 milioni dall’Unione Europea – è costituita solo dal direttore generale del progetto, che è stato nominato, e dal suo vice. Lo staff che la legge prevede al servizio del vertice della struttura, composto da 25 persone, non è stato ancora nominato.

    D. – Provocando uno stallo totale in un progetto, che è appunto il "Grande Progetto Pompei", a cui tutto il mondo guarda. Dunque, c’è anche grande aspettativa, grande attesa per quello che potrà scaturirne. Solo pochi giorni fa, tra l’altro, è stata pubblicizzata la fine dei restauri della "Domus del Criptoportico", che sembrava segnare una svolta nel processo di degrado di Pompei…

    R. – Sì, infatti. E’ stata annunciata la fine del’intervento, anche se parziale, sulla Casa del Criptoportico, che è il primo intervento del "Grande Progetto Pompei". E’ il primo intervento e accusa un ritardo di circa un anno rispetto alla tabella di marcia, concordata proprio con l’Unione Europea.

    D. – Quindi: un’incuria che si trascina da anni, un grave vuoto gestionale e l’ombra della criminalità organizzata dietro le lungaggini nel recupero di Pompei…

    R. – Sì, purtroppo sì: nell’ordine in cui lei li ha elencati, sono questi i grossi problemi che interessano l’area archeologica di Pompei. Primo fra tutti, è la mancanza di una programmazione, di un piano organico di interventi ordinari sull’area archeologica. Perché c’è da chiedersi una cosa: una volta concluso il lavoro della "Casa del Criptoportico", non significa che poi si potrà lasciare la Casa senza fare alcun intervento per anni… Quindi, più che fare interventi straordinari, come si continua a fare - perché il "Grande Progetto Pompei" è un intervento straordinario! – bisognerà finalmente pensare a un altro grande progetto straordinario sì, ma di che cosa? Di una manutenzione ordinaria.

    D. – Se ne parlerà probabilmente anche domani al vertice urgente con il ministro della Cultura, Franceschini?

    R. – Mi auguro di sì, per arginare il degrado inesorabile dell’area archeologica di Pompei.

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    "La grande bellezza" da Oscar, alla ricerca del perduto senso della vita

    ◊   Che Bellezza! L’Italia torna a vincere l’Oscar. Ad aggiudicarselo nella categoria del miglior film straniero è “La grande bellezza” di Paolo Sorrentino. Quella a cui fa riferimento il titolo è apparentemente la bellezza magnifica di una città unica al mondo, Roma, contemplata con lente carrellate nelle ore in cui è meno visibile e meno vista, nelle prime ore del mattino, o dalle sponde del Tevere; ma la bellezza della città è un indefinibile rimando a un antico, irrisolvibile mistero, quello della ricerca del senso dell’esistenza. Una domanda ineludibile, se non con lo stordimento di chi crede di passare il tempo e invece perde la propria vita. Meritatissimi e prevedibili gli Oscar per il miglior film a “Dodici anni schiavo” di Steve McQueen, dai toni epici e didattici (negli Stati Uniti è stato adottato nei programmi scolastici), per la migliore sceneggiatura originale all’inquietante “Lei” di Spike Jonze, per i costumi al variopinto “Grande Gatsby” di Baz Luhrman e per la migliore interpretazione maschile a Matthew McConaughy, scheletritosi per “Dallas Buyers Club”. Infine, Oscar per la migliore interpretazione femminile all’eccelsa Cate Blanchett per “Blue Jasmine” di Woody Allen, in cui l’attrice esplora l’involucro attraente e il vuoto interiore di una Blanche Dubois moderna, fragile ed egocentrica, deliziosamente snob e disperatamente sola. (A cura di Rosario Tronnolone)

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Crimea: appello alle nazioni del mondo del vescovo di Odessa

    ◊   Forte preoccupazione per la situazione in Ucraina che si trova “ad un passo dalla Guerra aperta” ed un appello “a tutte le nazioni del mondo” perché aiutino il Paese a ritrovare la strada del dialogo e della pace. A lanciarlo è mons. Bronislav Biernacki, vescovo cattolico di Odessa-Simferopoli. Parte della sua diocesi si trova nella Repubblica Autonoma di Crimea.

    In un messaggio fatto arrivare all'agenzia Sir, il vescovo scrive: “Mentre il mondo intero sta guardando la situazione in Ucraina con grande ansia, anche la Chiesa cattolica è fortemente preoccupata per l’evolversi della situazione nel nostro Paese, che è ora ad un passo dalla guerra aperta che può coinvolgere una parte molto più grande della regione. Essendo il vescovo della diocesi di Odessa-Simferopoli di cui una parte è nella Repubblica Autonoma di Crimea, devo esprimere la mia più grande tristezza per quanto sta accadendo nella mia diocesi. Come cattolici chiediamo pace e dialogo. Capiamo che ogni nazione ha il diritto di decidere autonomamente circa il suo futuro. Capiamo che tutti i cambiamenti politici devono compiersi senza alcuna influenza esterna. Vedendo ora che questa regola fondamentale di condotta internazionale è stata tradita, facciamo appello a tutte le nazioni del mondo a lavorare insieme con l‘Ucraina per aiutarci a riportare la pace e la comprensione tra le diverse parti in conflitto”.

    Durante tutto il tempo di crisi la Chiesa cattolica in Ucraina ha ripetutamente chiesto al popolo ucraino di pregare e chiedere a Dio il dono della pace. “Insieme ai miei confratelli, altri vescovi dell‘Ucraina - dice il vescovo di Odessa - anche io faccio appello al popolo ucraino di iniziare settimana dopo settimane a pregare e digiunare con l’intenzione di chiedere soluzioni pacifiche per l‘Ucraina. Voglio invitare anche le persone di altre nazioni ad unirsi a noi in questa preghiera. Siamo tutti profondamente convinti. Che il Dio della Pace possa portare pace e felicità a tutti i nostri fratelli e sorelle in Ucraina, a prescindere alla loro provenienza nazionale o religiosa. Possa il Signore della misericordia concederci la pace”.

    Dal canto suo - riporta l'agenzia AsiaNews - il reggente della Chiesa ortodossa ucraina-Patriarcato di Mosca, il metropolita Onufry, ha lanciato un appello al primate della Chiesa ortodossa russa, il patriarca Kirill, affinché faccia il possibile per evitare spargimenti di sangue in Ucraina, dopo che il Cremlino ha ottenuto il via libera dal Senato russo all'invio di truppe. (R.P.)


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    Nigeria. Il vescovo di Maiduguri: noi senza più difese

    ◊   Allo stremo e, ciò che forse fa più male, abbandonati dallo Stato: mons. Oliver Dashe Doeme, il vescovo di Maiduguri, descrive così all'agenzia Misna i sentimenti degli abitanti della sua diocesi dopo gli attentati e le violenze che nel fine-settimana hanno causato più di 80 vittime.

    “A Maiduguri – dice mons. Dashe Doeme – gli abitanti sembrano affidare ormai le proprie richieste di sicurezza soprattutto alle Forze congiunte civili, le ronde di volontari che presidiano gli ingressi della città e dei quartieri per impedire attentati”. Sabato né queste pattuglie improvvisate né le centinaia di soldati giunti a Maiduguri nell’ultimo anno sono bastati per impedire l’esplosione di due autobomba nei pressi del mercato cittadino. Le deflagrazioni hanno causato più di 50 vittime, quasi tutti civili. Alcuni di loro sono stati uccisi dall’esplosione di un secondo ordigno mentre cercavano di soccorrere le persone ferite pochi minuti prima.

    A Maiduguri e nella regione di Borno, della quale la città è capoluogo, i rinforzi dell’esercito sono arrivati a seguito dell’entrata in vigore di uno stato di emergenza nel nord-est della Nigeria nel maggio scorso. Secondo mons. Dashe Doeme, responsabile di una diocesi al confine con il Ciad, il Niger e il Camerun dove la popolazione è in stragrande maggioranza musulmana, i soldati inviati da Abuja sono demotivati e male equipaggiati. “Il governo destina grandi risorse alla sicurezza – sottolinea il vescovo - ma c’è il sospetto che la corruzione ne sottragga una buona parte”. Di soldati demoralizzati e senza i mezzi necessari aveva parlato di recente anche il governatore di Borno, Kashim Shettima. Una lettura dei fatti accreditata anche dalla strage degli studenti di Buni Yadi, una cittadina situata nella regione di Yobe, sempre parte della diocesi di Maiduguri. Secondo mons. Dashe Doeme, sono trascorse prima che le forze di sicurezza raggiungessero l’istituto scolastico preso d’assalto dal commando di Boko Haram. “In altre occasioni – aggiunge il vescovo – i soldati sono stati stati messi in fuga da gruppi armati meglio di loro”. (R.P.)

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    Sud Sudan: Malakal, città di 250 mila abitanti, completamente deserta dopo assalti dei ribelli

    ◊   “Malakal, una città di 250 mila abitanti, è completamente deserta, non c’è più nessuno. Anche se la nostra sicurezza fosse garantita, rimanere lì sarebbe stato completamente inutile, perché non avremmo avuto nessuno da assistere” dice all’agenzia Fides suor Elena Balatti, missionaria comboniana, appena giunta a Juba da Malakal, capoluogo dello Stato petrolifero dell’Alto Nilo, al centro degli scontri tra i militari governativi e i ribelli fedeli all’ex vice Presidente Riek Machar. “Gli unici presenti sono i ribelli sia pure in numero ridotto” aggiunge.

    Suor Elena spiega che “Malakal è stata attaccata per ben tre volte dalle forze ribelli di Riek Machar: alla vigilia di Natale, il 14 gennaio e il 18 febbraio. Al termine di ogni attacco gli abitanti progressivamente abbandonava la città. Molti si sono rifugiati nei villaggi limitrofi, altri si sono diretti nel nord dello Stato, altri ancora addirittura verso il Sudan. Un numero limitato di persone ha trovato rifugio a Juba, la capitale, raggiungibile solo per via aerea. Infine ci sono ancora 20.000 sfollati accolti nel campo dell’ONU nei pressi della città”. La missionaria descrive un quadro sconfortante: “la città è stata distrutta. Ho ancora in mente l’immagine del mercato cittadino con gli addobbi natalizi, poco prima dell’attacco del 24 dicembre. Adesso quel mercato non esiste più. Tutte le strutture governative sono state saccheggiate e incendiate”.

    Suor Elena denuncia i crimini commessi contro i civili dai ribelli: “La violenza delle donne è diventata un crimine molto diffuso, soprattutto in quest’ultimo attacco. Prima di prendere l’aereo per Juba ho portato all’ospedale della Croce Rossa una ragazzina di 12 anni che faceva parte di un gruppo di 9 giovanissime che erano state violentate nella chiesa di Cristo Re. Dalle testimonianze della gente che si era rifugiata nella chiesa, la sera del 25 febbraio i ribelli sono arrivati a tre riprese per rapire le 9 ragazzine. Nell’ultimo attacco - continua a raccontare la religiosa - i pochi abitanti rimasti, che avevano trovato rifugio nelle chiese risparmiate dagli assalti precedenti, hanno visto i ribelli assalire i luoghi di culto. In particolare gli uomini del cosiddetto ‘White Army’ sono entrati direttamente nelle chiese, oltre che nell’ospedale e nell’orfanotrofio, perché erano gli unici posti ancora da saccheggiare e dove trovare persone sulle quali esercitare la propria vendetta. Alcune persone sono state uccise nelle chiese”. Suor Elena spiega così la decisione di abbandonare la città: “Eravamo rimaste le ultime tre suore comboniane. Dopo che anche la nostra casa è stata saccheggiata, non avevamo un posto dove abitare. Siamo rimaste, insieme ai sacerdoti locali, fino a quando una parte minima della popolazione ancora restava a Malakal. Ora che tutti sono fuggiti, anche noi abbiamo abbandonato Malakal con l’ultimo gruppo di persone, perché non c’era più ragione di rimanere in una città deserta”.

    Nonostante gli accordi per il cessate il fuoco firmati ad Addis Abeba, gli scontri continuano. “I ribelli hanno dichiarato di puntare alla conquista dei pozzi di petrolio dell’Alto Nilo che sono gli unici che ancora funzionano a pieno regime. Preghiamo perché si raggiunga un accordo che faccia cessare i combattimenti, come primo passo per la pace” conclude la missionaria. (R.P.)

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    Corea del Nord: liberato il missionario australiano John Short

    ◊   Le autorità della Corea del Nord hanno rilasciato questa mattina John Short, missionario australiano 75enne arrestato lo scorso 16 febbraio con l'accusa di "aver distribuito materiale religioso in maniera illegale". Short, che vive da decenni a Hong Kong insieme alla moglie - riferisce l'agenzia AsiaNews - è arrivato oggi all'aeroporto di Pechino. Qui ha dichiarato di essere "molto, molto stanco" e ha aggiunto che per ora "intende solo riposare". Pyongyang lo ha liberato "in considerazione della sua età" e "alla luce del fatto che ha confessato i suoi crimini e chiesto scusa. Si tratta di una decisione generosa". Nel comunicato ufficiale della Kcna, agenzia di stampa ufficiale del regime del Nord, si legge: "John Short ha commesso atti criminali, diffondendo versetti della Bibbia nei pressi di un tempio buddhista di Pyongyang. Ha ammesso le sue attività criminali, che danneggiano l'assoluta fiducia del popolo nei suoi leader e violano i diritti indipendenti del Paese. Ma ha chiesto con onestà il perdono, e le autorità hanno deciso di espellerlo dimostrando tolleranza e in considerazione della sua età avanzata".

    Al momento restano ancora nelle mani del regime guidato da Kim Jong-un altri due missionari protestanti: uno è Kenneth Bae, di nazionalità americana, condannato nel maggio 2013 a 15 anni di carcere per "atti ostili contro la nazione"; l'altro è Kim Jeong-wook sudcoreano, arrestato nell'ottobre 2013 e sparito del tutto fino allo scorso 27 febbraio, quando è apparso in una conferenza stampa per "ammettere i suoi crimini" e chiedere "il perdono dello Stato". Pyongyang ha rifiutato la richiesta di scarcerazione presentata dal governo di Seoul, ma non ha ancora annunciato per quali crimini intende processarlo.

    La Costituzione nordcoreana garantisce sulla carta la libertà religiosa, ma di fatto essa non esiste nel Paese. L'unica forma di religiosità permessa dal governo è il culto della personalità del dittatore e dei suoi avi: Kim Il-sung e Kim Jong-il sono considerati delle semi-divinità da riverire, e il leader in carica Kim Jong-un il loro diretto discendente. A Pyongyang esistono tre chiese - due protestanti e una cattolica - ma sono ritenute una facciata per i turisti e le organizzazioni non governative. All'interno non operano sacerdoti o religiosi, ma solo funzionari delle Associazioni istituite dal governo per controllare le religioni. (R.P.)

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    Pakistan: cristiani e società civile celebrano Shahbaz Bhatti a tre anni dall'attentato

    ◊   In un clima di violenza e terrore che ha colpito anche la capitale, ieri la società civile e la comunità cristiana hanno reso omaggio alla memoria del "martire" Shahbaz Bhatti, nel terzo anniversario del suo assassinio. Il ministro per le Minoranze religiose - nel precedente governo guidato dal Partito popolare pakistano (Ppp) - è stato assassinato il 2 marzo 2011 a Islamabad, a due mesi di distanza dal governatore del Punjab Salman Taseer. Egli è finito nel mirino degli estremisti islamici - riporta l'agenzia AsiaNews - per aver chiesto una modifica alle leggi sulla blasfemia e difeso Asia Bibi, la donna madre di cinque figli condannata a morte in base alla "legge nera" e da oltre quattro anni in attesa di appello.

    Attivisti e semplici fedeli si sono riuniti attorno al monumento dedicato a Bhatti, situato nel settore I8/3 di Islamabad, residenza del politico. Oltre a essere il primo cattolico a ricoprire la carica di ministro in un Paese a larghissima maggioranza islamica sunnita, egli si è distinto anche nel settore dell'attivismo fondando il Fronte di liberazione cristiano e la All Pakistan Minorities Alliance (Apma), oggi presieduta dal fratello Paul che ne ha raccolto l'eredità politica e spirituale. Fin da ragazzo Shahbaz ha combattuto a fianco degli emarginati e degli oppressi, affiancando figure prestigiose e autorevoli della comunità cristiana pakistana quali il vescovo John Joseph e l'ufficiale dell'esercito Cecil Chaudhry, egli non ha mai abbandonato la lotta, nonostante i pericoli e le minacce che lo hanno accompagnato a lungo nell'ultima parte della sua avventura politica e istituzionale. Fra i traguardi più importanti raggiunti nel corso della sua battaglia politica e sociale, la creazione del ministero per l'armonia nazionale, la rappresentatività delle minoranze in Senato e la creazione di un 5% di quote riservate alle minoranze nel pubblico impiego e nello Stato.

    Ieri mattina i fedeli hanno celebrato una funzione particolare a Khushpur, villaggio natale (a maggioranza cattolica) della famiglia Bhatti; in centinaia hanno aderito all'iniziativa, per rendere omaggio al politico cattolico e ricordare il suo sacrificio a servizio della comunità. Alla cerimonia erano presenti anche ex colleghi e compagni di Shahbaz. I vertici di Apma hanno invece organizzato una cerimonia pubblica davanti al memoriale di Shahbaz Bhatti a Islamabad, durante il quale l'attuale presidente Paul Bhatti ha letto un messaggio in cui sottolinea l'importanza dell'armonia confessionale. Egli si è inoltre rivolto al governo, chiedendo di rafforzare l'impegno per la convivenza pacifica, in un periodo "cruciale" per la storia del Pakistan. Infine, Paul ha assicurato di voler continuare - nonostante le recenti minacce - il lavoro di Shahbaz e di Apma per "l'armonia nazionale". I partecipanti hanno acceso una candela in ricordo e hanno pregato davanti al monumento dedicato al ministro. Robinson Asghar, stretto collaboratore della famiglia Bhatti, ha ricordato i momenti terribili dell'attentato, rilanciato l'impegno politico-sociale di Shahbaz e invitato la comunità a pregare e restare unita. (R.P.)

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    Pakistan: giovane cristiana uccisa dai talebani per aver aiutato un convertito dall’islam

    ◊   Una giovane ragazza cristiana è stata uccisa dai talebani pakistani nella regione settentrionale del Pakistan. Come appreso dall’agenzia Fides, la ragazza, conosciuta con lo pseudonimo di Lily, aveva trascorso alcuni mesi in fuga e nel nascondimento con suo cugino, un musulmano convertitosi al cristianesimo alcuni anni fa. Dopo la conversione, l’uomo è considerato “apostata” e da allora è nel mirino dei talebani, che intendono eliminarlo. Nei giorni scorsi alcuni militanti hanno scoperto il nascondiglio dei due: nella fuga la ragazza è stata raggiunta da un proiettile e uccisa, mente l’uomo, per ora, è riuscito a scappare. In una nota inviata a Fides, la comunità cristiana esprime sdegno e sconcerto, chiedendo l’intervento delle istituzioni civili per difendere i diritti delle minoranze e di tutti i cittadini contro le violenze talebane.

    Il Pakistan ha appena annunciato la sospensione dei raid aerei contro i talebani, in risposta al mese di tregua dichiarato dagli “studenti del Corano”. Il governo ha precisato che comunque si riserva il diritto di “rispondere a qualsiasi attività violenta” condotta dai talebani. Il dialogo fra governo e talebani in Pakistan è in una situazione di stallo: nelle scorse settimane i militanti islamici hanno dichiarato al governo che “non vi è alcuna possibilità di pace nel Paese a meno che il Pakistan cambi il suo sistema politico e giuridico e adotti ufficialmente la legge islamica”. Il governo del primo ministro Nawaz Sharif sta cercando una “soluzione negoziata” dopo anni di conflitto con i militanti, ma i colloqui si sono interrotti a febbraio dopo una serie di attentati terroristici dei talebani. Di recente il governo pakistano ha presentato un disegno di legge in Parlamento, titolato “Linee di condotta sulla sicurezza nazionale” che intende porre fine a violenze e terrorismo nel paese. La lotta al terrorismo prevede attività quotidiane di repressione; analisi strategica; operatività sul campo. Presentando la legge, il Premier Sharif ha spiegato che “il governo ha promosso il dialogo con i talebani” ma, se questi non dimostreranno di aver adottato e rispettato il “cessate il fuoco”, “l’esercito risponderà in modo adeguato”. (R.P.)

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    Denuncia dall'Iraq: terre di cristiani emigrati depredate con complicità di funzionari corrotti

    ◊   Il politico cristiano Imad Youkhana, esponente dell'Assyrian Democratic Movement (Zowaa) e membro del Parlamento iracheno, ha denunciato alcuni funzionari pubblici della provincia di Ninive dopo aver raccolto testimonianze documentate sul sistema corrotto con cui molte proprietà – terreni e case - appartenenti a cristiani cambiano proprietario in maniera illecita e occulta, senza alcun mandato da parte dei legittimi titolari. La frode, connessa a un giro di tangenti, avviene in combutta con alcuni addetti al registro delle proprietà immobiliari, ed è facilitata dal fatto che gran parte dei proprietari cristiani hanno lasciato il Paese da anni.

    Secondo le fonti ufficiali del partito Zowaa, il parlamentare Youkhana ha sollecitato un rapido intervento dei governi locali e federali volto a smantellare il sistema truffaldino, individuarne i responsabili e restituire le proprietà passate di mano illecitamente ai legittimi proprietari. Il politico ha anche invitato i cristiani iracheni emigrati a verificare lo status delle proprietà che hanno lasciato in Iraq e riaffermare il proprio pieno diritto su di esse, coinvolgendo in questa azione anche le ambasciate irachene all'estero.

    Lo scorso settembre un attentato nei pressi dell'abitazione di Youchana aveva provocato più di 50 feriti. All'inizio del 2006, il 70enne Yaqo Youkhana, padre di Imad, era stato ucciso dalle truppe Usa che stavano diperdendo con le armi una manifestazione di protesta scoppiata a Kirkuk per l'aumento del prezzo del carburante. Nel novembre scorso, la prima conferenza promossa dalla organizzazione “Amici di Bartala” per denunciare la manomissione degli equilibri demografici nella Piana di Ninive (e in altre aree dove sono storicamente concentrate comunità cristiane autoctone irachene) aveva auspicato anche l'introduzione di misure di controllo per impedire che il mercato immobiliare e la vendita o le acquisizioni illegali di terreni assumessero carattere intimidatorio nei confronti dei cristiani. (R.P.)

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    Messico: cinquemila persone con il vescovo alla Marcia per la pace e la famiglia

    ◊   Circa 5 mila persone, in maggioranza cattolici, ieri mattina hanno percorso le strade di Cuernavaca partecipando alla "Marcia per la pace e la famiglia", promossa dal vescovo di Cuernavaca, Morelos, mons. Ramon Castro Castro, chiedendo di fermare la violenza che sconvolge lo Stato. Famiglie, gruppi parrocchiali, organizzazioni laiche, comunità di religiosi, portavano fiori, bandiere, coperte colorate, cartelli con scritte. Quasi tutti vestiti di bianco, hanno scandito slogan a favore della pace. Ogni tanto il corteo faceva una sosta per ascoltare qualche intervento sull'urgenza di fermare la violenza e la criminalità.

    Fra le testimonianze più significative ci sono state quelle dei genitori, preoccupati per la sicurezza dei loro figli all'interno e all'esterno delle scuole: "nei Comuni di tutto lo Stato ci sono situazioni di insicurezza, davanti agli asili nido, alle scuole primarie e secondarie, avvengono sequestri; come genitori siamo preoccupati" ha dichiarato Adriana Monzon, del Comitato di Stato dell'Unione nazionale dei Genitori.

    La nota inviata all'agenzia Fides riferisce che il vescovo di Cuernavaca ha parlato alla fine della Marcia, commentando anche le manifestazioni simili che avvengono in tutto il Paese: "la popolazione si è stancata, si è superato il limite – ha detto - , è urgente manifestare per esprimere il desiderio di una società in pace, la fine della violenza. Le manifestazioni aiutano anche, come si è visto in alcuni villaggi, ad ottenere la pace necessaria". Poco dopo il suo arrivo a Morelos, mons. Ramon Castro Castro ha effettuato una visita pastorale nelle diverse regioni della diocesi, e si è detto sconvolto dal fatto che in città come Tlaltizapan si sono verificati fino a 27 sequestri al mese, secondo le testimonianze locali che ha raccolto. (R.P.)

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    Israele: ebrei ultraortodossi protestano contro progetto di legge sulla leva obbligatoria

    ◊   Centinaia di migliaia di ebrei ultra-ortodossi hanno paralizzato ieri interi quartieri di Gerusalemme per pregare e protestare contro il progetto di legge che minaccia di eliminare l'esenzione dal servizio militare di cui godono tutti gli studiosi e gli affiliati alle scuole rabbiniche. I manifestanti - riferisce l'agenzia Fides - hanno esposto cartelli in cui tra l'altro chiedevano l'intervento dell'Unione europea per “difendere la libertà di religione in Israele”, rivendicando con forza che la scelta di religiosa di dedicare la vita allo studio della Torah e del Talmud è incompatibile con il coinvolgimento nelle attività militari.

    Fin dalla nascita dello Stato ebraico, gli Haredim (ebrei ultraortodossi) sono stati affrancati dall'impegnativo servizio militare che devono prestare tutti i giovani d'Israele al raggiungimento della maggiore età. Con l'attuale governo, non condizionato dalla pressione dei partiti ultra-ortodossi, si è fatto strada in parlamento un disegno di legge – sostenuto dal Comitato speciale della Knesset per l’“equa ripartizione del carico militare” - che potrebbe essere approvato nelle prossime settimane e prevede l'arruolamento semi-universale obbligatorio anche per tutti i giovani haredim oltre i diciassette anni a partire dal 2017.

    La questione – fanno notare gli analisti – è strettamente connessa con le dinamiche demografiche e economiche che pesano sul futuro di Israele. Gli Haredim costituiscono un gruppo in forte crescita e appartengono alle fasce più povere della popolazione israeliana. Secondo previsioni demografiche dell’Ufficio centrale di statistica (Cbs) e del Taub Centre, fra trent'anni il 78% dei bambini iscritti nelle scuole primarie apparterranno ai due gruppi esonerati dalla leva, cioè gli ebrei ultra-ortodossi e gli arabi. Queste tendenze demografiche spiegano anche le recenti iniziative e proposte per aprire le porte dell'esercito israeliano anche ai cittadini arabi cristiani d'Israele.

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    Cardinale Capovilla: consegnata la berretta a Sotto il Monte

    ◊   Sabato scorso, a Sotto il Monte (Bergamo), il cardinale Angelo Sodano, decano del Collegio cardinalizio, inviato da Papa Francesco come suo delegato, ha presieduto il momento solenne dell‘imposizione della berretta, della consegna dell'anello cardinalizio e dell'assegnazione del titolo al nuovo cardinale Loris Francesco Capovilla. Il titolo di Santa Maria in Trastevere, che Papa Francesco ha assegnato al cardinale Capovilla, è uno dei più antichi e prestigiosi titoli cardinalizi.

    Presenti, oltre al vescovo di Bergamo, mons. Francesco Beschi, diversi presuli tra cui l’arcivescovo di Chieti-Vasto, mons. Forte, l’ausiliare di Milano mons. Stucchi, il vescovo di Vigevano, mons. Gervasoni, il vescovo di Fidenza, mons. Mazza e di Cremona, mons. Lanfranconi. Sempre nella chiesa parrocchiale di Sotto il Monte - gremita di persone del paese natio di Papa Giovanni XXIII e giunte un po’ da tutta Italia, autorità tra cui l’ambasciatore polacco presso la Santa Sede Piotr Nowina-Konopka - è seguita la celebrazione eucaristica di ringraziamento, presieduta sempre dal card. Sodano, in diretta televisiva su Bergamo Tv e TelePace. Presenti alla celebrazione anche alcuni parenti del Pontefice bergamasco. (R.P.)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVIII no. 62

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