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Sommario del 30/05/2014

Il Papa e la Santa Sede

  • Incontro di preghiera per la pace. Il card. Parolin: ravviva speranza
  • Vaticano, incontro sulla Siria. Card. Sarah: guerra non è soluzione
  • Il Papa: la vita cristiana non è una festa, ma “gioia in speranza”
  • Katholikentag. Il Papa: costruite ponti di dialogo non muri
  • Il Papa nomina mons. Burger nuovo arcivescovo di Friburgo
  • Papa, tweet: ogni cristiano nel posto di lavoro testimoni con le parole e con una vita onesta
  • Beatificazione di Madre Speranza: storia del bimbo miracolato
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Disordini in Centrafrica. Il sacerdote ucciso a Bangui aveva 76 anni
  • Al via la campagna per il referendum sull’indipendenza della Scozia
  • Visco: via della ripresa travagliata, puntare su investimenti
  • Bollino verde? Il Centro oncologico è affidabile
  • Le teologhe italiane: le descrive una ricerca sociologica
  • A Roma l'edizione 2014 del Festival Internazionale dei Cori Ebraici
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Catholicos armeno Aram I, a Roma per incontrare Papa Francesco
  • Il card. Filoni nel 100.mo dell'evangelizzazione di Bamenda
  • Usa: i vescovi sollecitano la riforma sull'immigrazione
  • Il Papa e la Santa Sede



    Incontro di preghiera per la pace. Il card. Parolin: ravviva speranza

    ◊   C’è grande attesa per l’incontro di preghiera per la pace a cui Papa Francesco ha invitato i presidenti di Israele, Shimon Peres, e della Palestina, Mahmoud Abbas, e che avrà luogo nel pomeriggio dell’8 giugno, Domenica di Pentecoste, in Vaticano. Ne ha parlato oggi il cardinale segretario di Stato Pietro Parolin, durante un incontro promosso da “Cor unum” a Roma per fare un bilancio dell’intervento umanitario in Siria. Ascoltiamo il porporato al microfono di Massimiliano Menichetti:

    R. – E’ un incontro di preghiera. Il Papa l’ha collocato in questa prospettiva: la preghiera come forza della pace. Certamente, avrà un significato simbolico molto forte il fatto che il presidente palestinese e il presidente israeliano si trovino insieme. Poi c’è il valore aggiunto, che è il valore della preghiera: che insieme preghino. Speriamo che lì, dove finora sono falliti gli sforzi umani, il Signore dia a tutti saggezza e fortezza, per portare avanti un vero piano di pace, anche rafforzando la fiducia e – diciamo – superando gli ostacoli - molti, numerosi e gravi – che ancora oggi impediscono di arrivare alla pace in Terra Santa.

    D. – Quindi, si può dire che quest’incontro potrà portare una speranza di pace…

    R. – Certamente. Tutte queste iniziative sono simboliche in questo senso: ravvivano questo desiderio e questa speranza di pace; e soprattutto, io credo, compromettono le persone che vi partecipano e la preghiera, che diventa forza e impegno di azione.

    D. – Veniamo all’incontro promosso da Cor Unum sulla Siria: un conflitto, lei ha detto, che non può essere ignorato e che la Santa Sede segue con grande apprensione...

    R. – Sì, l’ha avuto a cuore fin dal principio. Ricordavo, appunto, nel mio intervento le varie prese di posizione, i discorsi, gli appelli sia di Papa Benedetto che di Papa Francesco. E l’ha a cuore, direi, specialmente in questi momenti, in cui c’è un po’ il rischio che questo diventi un conflitto dimenticato. Richiamare l’attenzione della comunità internazionale, richiamare l’attenzione di tutti quelli che hanno una qualche responsabilità e sono in qualche modo coinvolti in questa situazione di crisi, per trovare quella soluzione negoziata, che è l’unica che può dare risposte al conflitto.

    D. – Pur rimarcando le mancate attese della Conferenza di pace “Ginevra 2” sulla Siria, ha evidenziato che la soluzione negoziale è possibile, mostrando come esempio l’accordo sulla distruzione delle armi chimiche...

    R. – Sì, sì. Noi siamo pienamente convinti di ciò. Però, ecco, sottolineavo anche come una soluzione negoziale sia possibile laddove c’è una volontà politica. Bisogna, quindi, che tutte le parti interessate abbiano questa volontà, lasciando da parte l’idea di poter in qualche maniera prevalere con le armi. Come hanno detto tutti gli esperti: l’unica via è la via negoziale, il mettersi intorno ad un tavolo, il dialogare, perché altrimenti non se ne potrà venire fuori e aumenteranno soltanto le sofferenze e i dolori della popolazione.

    D. – Tra le urgenze, ha richiamato la necessità di aprire dei canali umanitari...

    R. – Questo è un punto molto importante, perché è necessario che a tutta la popolazione, indipendentemente dalla sua appartenenza religiosa o etnica, arrivi il cibo e arrivino le cure mediche. La Santa Sede, quindi, lo ha sempre fatto, continua a farlo e deve insistere su questo punto, perché questo accesso non sia negato a nessuno, ma tutti possano usufruire delle cose necessarie per sopravvivere e andare avanti.

    D. – Ha ribadito la vicinanza del Papa ai cristiani, che lei ha definito come “ponti in tutte le direzioni”; un grande compito per la ricostruzione e la stabilità del Paese...

    R. – Un compito grande e difficile, dicevo. Non è da poco... non è da poco! Però, questa è la Lettera a Diogneto: “Il Signore – dice – vi ha messi in una posizione molto difficile, di grande responsabilità, ma voi non potete abdicare a questa vocazione”. Io credo che anche i cristiani in Siria non possano e non debbano, perché è parte della soluzione: che i cristiani, cioè, siano elementi di comunione, siano elementi di avvicinamento tra le varie parti in lotta e facciano di tutto perché si possa dialogare e trovare una soluzione negoziata.

    D. – Non ha dimenticato di ricordare i tanti rapiti in Siria, tra i quali anche i due vescovi e padre Paolo Dall’Oglio...

    R. – Sì, certamente. E ce ne sono tanti altri. La preoccupazione della Santa Sede è per tutti, con l’auspicio che si possano avere notizie al più presto e, soprattutto, che si possa arrivare ad una loro liberazione.

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    Vaticano, incontro sulla Siria. Card. Sarah: guerra non è soluzione

    ◊   “E’ necessario un grande coordinamento tra tutti i soggetti impegnati in Siria”. E’ la sfida dei lavori che si stanno tenendo in queste ore a Roma tra gli organismi caritativi cattolici che operano nel contesto della crisi siriana. Presenti all’iniziatica promossa dal Pontificio Consiglio Cor Unum rappresentanti operativi di 25 Paesi. Il servizio di Massimiliano Menichetti:

    Mentre la Sira guarda alle prossime elezioni presidenziali del 3 giugno, nel Paese non si arresta la violenza del conflitto che lo dilania da oltre 3 anni: 165 mila i morti, decine ogni giorno, anche oggi uccisioni con vittime e feriti in varie località. Nove milioni gli sfollati interni e ed esterni. In prima linea sul fronte umanitario le Caritas: impegnate a portare aiuti, soccorrere i feriti, nell’istruzione, a fronteggiare l’emergenza profughi negli Stati confinati con la Sira. Oggi, l’incontro a in Vaticano, dopo quello di giugno 2013, per fare il punto della situazione e studiare nuove strategie d’intervento, prima fra tutte quella del coordinamento. Con i presidenti Caritas, anche il segretario di Stato, il cardinale Pietro Parolin, e il nunzio apostolico a Damasco, mons. Mario Zenari. Ai nostri microfoni, il cardinale Robert Sarah, presidente di Cor Unum che ha introdotto i lavori:

    R. – La guerra ci fa lavorare in modo dispersivo e quindi incontrarsi è molto importante per capire meglio la situazione, coordinare il nostro lavoro e avere informazioni più precise, unire gli sforzi di tutte le Caritas e che lavorano in Siria.

    D. – Lei ha parlato dell’importanza della riconciliazione e del dialogo. E’ davvero possibile, in una situazione così difficile, dop tre anni di conflitto?

    R. – Sicuramente è molto difficile. Comunque, la guerra non è la soluzione: distrugge, fa scappare la gente… Dunque, dobbiamo dialogare, andare verso la riconciliazione. Non c’è altra strada per trovare la soluzione in Siria.

    In un contesto di guerra tra oppositori del regime e militari, i cristiani sono pronti a donare se stessi e aiutare chi sofferente senza alcuna distinzione. Mons Antoine Audo, vescovo di Aleppo dei Caldei e presidente di Caritas Siria, ribadisce ai nostri microfoni l’importanza per i cristiani, ma non solo dell’attenzione che il Papa ha mostrato per la Siria:

    R. – La preghiera del Papa il 7 settembre, l’anno scorso, ha avuto un influsso straordinario non soltanto per i cristiani: anche per i musulmani. Si deve capire che anche i musulmani guardano al Papa come figura di pace e di riconciliazione, come riferimento di comunione e di unità.

    D. – Lei ha parlato di alcune comunità e chiese sul territorio che sono proprio in prima linea nell’aiuto alle persone sofferenti…

    R. – I cristiani non possono vedere la gente in sofferenza senza fare qualcosa. Cristiano, musulmano o curdo: nel nome di Cristo, devono fare qualcosa. Vanno, prendono iniziative, responsabilità… Anche in questo conflitto tutte le parti dicono: si vede come i cristiani sono liberi, amano il loro Paese, servono tutti… La Chiesa può essere un esempio anche umile di presenza, di solidarietà e di cittadinanza.

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    Il Papa: la vita cristiana non è una festa, ma “gioia in speranza”

    ◊   “La vostra tristezza si cambierà in gioia”. La promessa di Gesù ai suoi discepoli è stata al centro della Messa mattutina di Papa Francesco a Casa Santa Marta. Nella sua omelia, il Pontefice ha come intonato un inno alla gioia cristiana, che, ha osservato, non si può comprare ma solo ricevere come dono del Signore. La gioia dei cristiani, ha detto ancora, è la “gioia in speranza”. Il servizio di Alessandro Gisotti:

    San Paolo “era molto coraggioso”, “perché aveva la forza nel Signore”. Papa Francesco ha sviluppato da questa constatazione la sua omelia, tutta incentrata sulla gioia del cristiano. Certo, ha osservato, alcune volte anche l’Apostolo delle Genti aveva paura. “Succede a tutti noi nella vita un po’ di paura”, ha soggiunto. E ci si chiede se “non sarebbe meglio abbassare un po’ il livello e essere un po’ non tanto cristiano e cercare un compromesso con il mondo”. Paolo, però, sapeva che quanto “lui faceva non piaceva né ai giudei, né ai pagani”, ma non si ferma e perciò deve sopportare problemi e persecuzioni. Questo, ha soggiunto, “ci fa pensare alle nostre paure, ai nostri timori”. Anche Gesù nel Getsemani ha avuto paura, angoscia. E nel suo discorso di congedo, ha rammentato il Papa, ai suoi discepoli dice chiaramente che il “mondo si rallegrerà” per le loro sofferenze, come succederà con i primi martiri al Colosseo:

    “E noi dobbiamo dircela la verità: non tutta la vita cristiana è una festa. Non tutta! Si piange, tante volte si piange. Quando tu sei ammalato; quando hai un problema in famiglia col figlio, con la figlia, la moglie, il marito; quanto tu vedi che lo stipendio non arriva alla fine del mese e hai un figlio malato; quando tu vedi che non puoi pagare il mutuo della casa e dovete andarvene via… Tanti problemi, tanti che noi abbiamo. Ma Gesù ci dice: ‘Non avere paura!’. ‘Sì, sarete tristi, piangerete e anche la gente si rallegrerà, la gente che è contraria a te’”.

    “Ma anche – ha proseguito – c’è un’altra tristezza: la tristezza che ci viene a tutti noi quando andiamo per una strada che non è buona”. Quando, “per dirlo semplicemente”, “andiamo a comprare la gioia, l’allegria, quella del mondo, quella del peccato, alla fine c’è il vuoto dentro di noi, c’è la tristezza”. E questa, ha ribadito, “è la tristezza della cattiva allegria”. La gioia cristiana, invece, “è una gioia in speranza, che arriva”:

    “Ma nel momento della prova noi non la vediamo. E’ una gioia che viene purificata dalle prove e anche dalle prove di tutti i giorni: ‘La vostra tristezza si cambierà in gioia’. Ma è difficile quando tu vai da un ammalato o da una ammalata, che soffre tanto, dire: ‘Coraggio! Coraggio! Domani tu avrai gioia!’. No, non si può dire! Dobbiamo farlo sentire come lo ha fatto sentire Gesù. Anche noi, quando siamo proprio nel buio, che non vediamo nulla: ‘Io so, Signore, che questa tristezza cambierà in gioia. Non so come, ma lo so!’. Un atto di fede nel Signore. Un atto di fede!”

    Per capire la tristezza che si trasforma in gioia, ha detto ancora, Gesù prende l’esempio della donna che partorisce: “E’ vero, nel parto la donna soffre tanto – ha affermato il Papa – ma poi quando ha il bambino con sé, si dimentica”. Quello che rimane, dunque, è “la gioia di Gesù, una gioia purificata”. Quella è “la gioia che rimane”. Una gioia, ha riconosciuto, “nascosta in alcuni momenti della vita, che non si sente nei momenti brutti, ma che viene dopo: una gioia in speranza”. Questo, quindi, “è il messaggio della Chiesa di oggi: non avere paura!”:

    “Essere coraggioso nella sofferenza e pensare che dopo viene il Signore, dopo viene la gioia, dopo il buio arriva il sole. Che il Signore ci dia a tutti noi questa gioia in speranza. E il segno che noi abbiamo questa gioia in speranza è la pace. Quanti ammalati, che sono alla fine della vita, con i dolori, hanno quella pace nell’anima… Questo è il seme della gioia, questa è la gioia in speranza, la pace. ‘Tu hai pace nell’anima nel momento del buio, nel momento delle difficoltà, nel momento delle persecuzioni, quando tutti si rallegrano del tuo male? Hai pace? Se hai pace, tu hai il seme di quella gioia che verrà dopo’. Che il Signore ci faccia capire queste cose”.

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    Katholikentag. Il Papa: costruite ponti di dialogo non muri

    ◊   “Noi cristiani abbiamo il compito costante di costruire i ponti delle relazioni” e “soprattutto di non trascurare la cura delle frontiere”. Lo afferma Papa Francesco nel suo Messaggio ai partecipanti al 99.mo Katholikentag, l’annuale raduno dei cattolici tedeschi, iniziato mercoledì scorso e in programma fino a domenica prossima. Costruite “ponti di dialogo” con Gesù e fra voi e diventerete, afferma il Papa, “validi collaboratori” nella “costruzione di ponti per la pace e la salvezza eterna”. Il servizio di Alessandro De Carolis:

    Quando nel mondo si alzano dei muri è perché questi sono stati alzati prima nei cuori. Una dinamica chiara per Papa Francesco, che spiega ai cattolici tedeschi riuniti a Regensburg per l’edizione 2014 del Katholikentag. Edizione numero 99, che riporta alla mente la sua nascita nel clima della Prima Guerra mondiale. “La storia ci insegna – afferma il Papa – che il dialogo non è un’impresa facile.

    Sono passati appena cento anni da quanto si è manifestato in termini negativi come gli uomini abbiano abbattuto dei muri e si siano negati al dialogo. Scoppiò la terribile prima guerra mondiale. Sono seguite altre guerre e conflitti spaventosi. Nei cuori si sono innalzati muri di diffidenza, di rabbia e di odio nei confronti degli altri. Così – constata Papa Francesco – l’uomo si isola nel suo risentimento. Si erigono i muri, prima nei cuori e poi tra le case”. E poi, soggiunge, “come diventa difficile la riconciliazione!”.

    Pensieri che specie in Germania hanno il peso del cemento col quale fu costruito il Muro di Berlino. “Quanto dolore, quanta separazione ha portato quel muro”, scrive Papa Francesco. “Ma poi – ricorda – ci sono stati degli uomini che si sono riuniti nelle chiese per pregare per la pace. E in forza della loro preghiera sono poi usciti nelle loro città, settimana dopo settimana. Sempre più persone si sono unite a loro. E alla fine, il Muro di Berlino è crollato” e a novembre saranno 25 anni da questo evento. “Qui – dice il Papa – si manifesta la missione dei cristiani: pregare e poi uscire per portare agli altri la Buona Novella, alla quale l’umanità aspira tanto”.

    Ed è qui che la riflessione del Papa si salda col tema del Katholikentag di quest’anno. “Costruire ponti con Cristo”, spiega, “significa soprattutto pregare. La preghiera non è una strada a senso unico. E’ un vero dialogo. Cristo ci risponde e ci aiuta”. Però mette in guardia Papa Francesco, “bisogna però essere attenti, perché a volte Gesù parla piano piano. Egli ci parla attraverso il Vangelo e attraverso i nostri incontri con i nostri fratelli. Quello che conta è essere vigili e leggere spesso il Vangelo”.

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    Il Papa nomina mons. Burger nuovo arcivescovo di Friburgo

    ◊   Papa Francesco ha ricevuto nel corso della mattinata. In successive udienze, il presidente della Regione del Kurdistan Iracheno, Masoud Barzani, il direttore generale dell'Organizzazione europea per la Ricerca nucleare (Cern), prof. Rolf Heuer, e un gruppo di presuli della Conferenza episcopale del Messico in Visita ad Limina.

    In Germania, Papa Francesco ha nominato arcivescovo di Freiburg im Breisgauil sacerodte Stephan Burger, del clero della medesima arcidiocesi, finora vicario giudiziale e canonico del Capitolo Cattedrale di Freiburg im. Breisgauil. Mons. Burger è nato il 29 aprile 1962 a Freiburg im Breisgau. Dopo la maturità ha compiuto gli studi teologici presso la Facoltà Teologica dell’Università di Freiburg i. Br. È stato ordinato sacerdote il 20 maggio 1990, incardinandosi nell’arcidiocesi di Freiburg i. Br. Sucessivamente ha svolto la propria opera come Vice-Parroco delle parrocchie St. Martin a Tauberbischofsheim e St. Franziskus a Pforzheim. Dal 1995 è stato prima Amministratore parrocchiale e poi, dal 1996, Parroco della parroccia St. Mauritius a St. Leon-Rot. Nel 2006 ha acquisito la Licenza in Diritto Canonico presso la Facoltà Teologica dell’Università di Münster, diventando Promotore di Giustizia presso il Tribunale dell’arcidiocesi di Freiburg i. Br. e, un anno dopo, Vicario Giudiziale della medesima. In pari tempo presta la sua opera presso una parrocchia a Kaiserstuhl-Burkheim, dove anche risiede. Nel 2013 è stato nominato Canonico del Capitolo Cattedrale.

    In Italia, il Papa ha nominato ausiliare dell’arcidiocesi metropolitana di Perugia-Città della Pieve mons. Paolo Giulietti, del clero della medesima arcidiocesi, finora vicario generale Il neo presule è nato a Perugia il primo gennaio 1964. Dopo il diploma di maturità classica, conseguito a Perugia, ha seguito il corso filosofico-teologico presso l’Istituto Teologico di Assisi come alunno del Pontificio Seminario Regionale Umbro. Ha successivamente perfezionato gli studi presso la Pontificia Università Salesiana dove ha ottenuto la Licenza in Teologia-Pastorale Giovanile e Catechetica. Ha ricevuto l’ordinazione presbiterale il 29 settembre 1991, incardinandosi nell’arcidiocesi di Perugia-Città della Pieve. Dal 1991 al 2001 è stato Vicario parrocchiale di San Sisto in Perugia e Assistente dei giovani di Azione Cattolica e dei volontari impegnati nell’accompagnamento dei carcerati in libertà provvisoria; dal 1996 al 2014 è stato Assistente Spirituale della Confraternita di San Jacopo di Compostela; dal 2001 al 2007 è stato Direttore dell’Ufficio Nazionale di pastorale Giovanile presso la Conferenza Episcopale Italiana; dal 2007 al 2010 ha svolto il ministero di Parroco di San Bartolomeo Apostolo in Ponte San Giovanni (PG); dal 2010 ricopre l’incarico di Vicario Generale della medesima arcidiocesi. Mons. Giulietti è anche Moderatore della Curia, dal 1998 è Canonico sagrista della Cattedrale di San Lorenzo in Perugia, Membro del Collegio dei Consultori, Membro del Consiglio Presbiterale, Coordinatore e Relatore della Commissione Presbiterale Regionale della Conferenza Episcopale Umbra nonché Responsabile Regionale degli Itinerari di fede. Dal 25 luglio 2005 è Cappellano di Sua Santità.

    In Nigeria, il Pontefice ha nominato ausiliare della diocesi di Awka il sacerdote Jonas Benson Okoye, parroco, vicario giudiziale e presidente della Società nigeriana di Diritto canonico. Mons. Benson Okoye, è nato a Kaduna il 25 gennaio 1963. Terminate le scuole primarie, è entrato nel Seminario Minore All Saints (1977-1982). Ha svolto gli studi di Filosofia al Bigard Memorial Seminary di Ikot-Ekpene (1983-1987) e quelli teologici al Bigard Memorial Seminary di Enugu (1988-1992). È stato ordinato sacerdote il 29 agosto 1992, incardinato nella Diocesi di Awka. Dopo l’ordinazione ha svolto i seguenti incarichi e studi: 1992 - 1993: Vicario parrocchiale di St. John’s Parish, Ezinfite; 1993 - 1995: Parroco di St. Peter’s Parish, Oko; Difensore del Vincolo del Tribunale Ecclesiastico di Awka; 1995 - 1997: Studi in Teologia e Diritto Canonico (Master) al Catholic Institute of West Africa, Port Harcourt; 1997 - 2002: Parroco di St. John’s Parish, Neni, e Vice Vicario Giudiziale della Diocesi di Awka; 2002 - 2003: Studi per la Licenza in Diritto Canonico alla St. Paul’s University, Ottawa, Canada; 2003 - 2006: Studi alla Pontificia Università Lateranense, dove ha conseguito il Dottorato in Diritto Canonico; 2006 - 2007: Parroco di Immaculate Conception Heart Parish, Ekwulobia; dal 2007: Parroco di Saint Matthew, Amawbia, Vicario Giudiziale della Diocesi di Awka, Giudice nel Tribunale ecclesiastico inter-diocesano di Onitsha, Membro del Consiglio Presbiterale di Awka; dal 2009: Membro del Collegio dei Consultori, Presidente della Società Nigeriana di Diritto Canonico.

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    Papa, tweet: ogni cristiano nel posto di lavoro testimoni con le parole e con una vita onesta

    ◊   Papa Francesco ha lanciato un tweet dal suo account @Pontifex: “Ogni cristiano, nel posto di lavoro, può dare testimonianza, con le parole e prima ancora con una vita onesta”.

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    Beatificazione di Madre Speranza: storia del bimbo miracolato

    ◊   A Collevalenza, in Umbria, domani sarà celebrata la Beatificazione di Madre Speranza di Gesù, al secolo Maria Josepha Alhama Valera. La suora spagnola, morta proprio a Collevalenza 31 anni fa - l’8 febbraio del 1983 - ha dato vita alle Congregazioni, femminile e maschile, dell’Amore Misericordioso e al Santuario di Collevalenza, definito la "piccola Lourdes" nel cuore dell’Umbria, per via dell’acqua sgorgata in quella località e indicata da Gesù a Madre Speranza. Il decreto di Beatificazione è stato firmato da Papa Francesco il 5 luglio dello scorso anno, in seguito alla guarigione immediata, nel ’99, di un bambino colpito da grave intolleranza alimentare.Giovanna Bove ha intervistato il postulatore della causa di Beatificazione, il pavoniano padre Pietro Riva:

    R. – Si tratta di miracolo qualificato di terzo grado, cioè “quoad modum”, riguarda le modalità. Cioè, la guarigione è stata pressoché istantanea, è stata totale ed è stata duratura. E’ avvenuta per intercessione di Madre Speranza, invocata, ma soprattutto attraverso lo strumento dell’acqua benedetta del Santuario di Collevalenza, portata a Vigevano. Il bambino ha bevuto quell’acqua dal 28 giugno 1999 fino al 4 luglio, quando si è verificato che l’intolleranza alimentare multipla alle proteine è stata completamente superata.

    D. – Madre Speranza di Gesù ha scritto oltre 2.300 pagine, tra le Costituzioni delle Congregazioni, i suoi spunti autobiografici… Che cosa la colpisce di questa donna?

    R. – Una donna forte: questa fortezza spirituale le ha permesso di affrontare tanti ostacoli, soprattutto quelli posti dalle autorità religiose in Spagna e poi anche qui a Roma, compreso il Vaticano, che l’ha sospesa dal governo della sua Congregazione per qualche anno. E’ andata avanti perché sicura di fare qualche cosa che venisse dal Signore che la ispirava ed è riuscita a fondare due Congregazioni: è riuscita a portare avanti il suo capolavoro che è il Santuario di Collevalenza e soprattutto a diventare una delle apostole più importanti del secolo 20.mo dell’Amore Misericordioso.

    D. – A proposito dell’Amore Misericordioso, con suor Faustina Kowalska si parla di “Divina Misericordia”, con Madre Speranza si completa, quasi, il discorso sulla “Misericordia del Signore”. E’ così?

    R. – Innanzitutto, bisogna sottolineare che è sbagliato dire che la Divina Misericordia nella Chiesa è stata "scoperta" nel secolo 20.mo. E’ sbagliato, perché sempre la Chiesa ha predicato la misericordia. Però, nel passato, accanto alla misericordia, si ricordava anche la “giustizia di Dio”. Un’accentuazione della Divina Misericordia è venuta nel secolo 20.mo, attraverso tante anime sante. Ricordo Santa Margherita Maria Alacoque, Santa Teresa di Gesù di Lisieux, poi Santa Faustina Kowalska e anche Madre Speranza. Aggiungiamo anche Papa Giovanni Paolo II e attualmente Papa Francesco. Tutto un complesso di interventi di Santi o di persone autorevoli che hanno rilanciato più in profondità la misericordia di Dio. Quindi, c’è una accentuazione maggiore. Però, c’è il pericolo che si parli solo di misericordia intendendo, da parte di qualcuno, un lasciar correre tutto, "tanto Dio è misericordioso”... No, la misericordia di Dio vale quando c’è almeno l’inizio della conversione, altrimenti è prendere in giro la misericordia di Dio.

    D. – Un altro messaggio molto importante di Madre Speranza è il tema della Provvidenza. La Provvidenza, sì, ti aiuta – sintetizzo il suo pensiero – ma bisogna essere previdenti, bisogna lavorare. Lei stessa ha lavorato: uno degli esempi è il suo impegno per Luisa Spagnoli, in Umbria, con tutte le sorelle della Congregazione. Effettivamente, anche questo è un passaggio significativo: darsi da fare e Dio c’è, Dio ti aiuta…

    R. – La Madre Speranza – come quasi tutti i Santi dell’Ottocento e del Novecento che si sono impegnati nell’assistenza ai malati, poveri e abbandonati, praticamente le categorie più bisognose – per attuare i loro progetti di carità hanno dovuto pensare alle strutture. E quindi è saltato fuori il problema dei beni da acquisire. Sul piano umano non li avevano, però loro sono riusciti ad attuare queste opere meravigliose. Hanno puntato sulla Divina Provvidenza: Dio che interviene in un modo prodigioso. Il che però non li esonerava dalla “previdenza”: quindi si davano da fare. E in questo connubio di previdenza e di Provvidenza hanno fatto miracoli.

    D. – A lei, personalmente, cosa colpisce di Madre Speranza e del Santuario dell’Amore Misericordioso?

    R. – La fortezza con cui ha affrontato la sua vita. L’altra cosa che mi ha colpito molto è la sua esperienza mistica. Posso dire che è da considerarsi una delle più grandi mistiche del nostro tempo.

    Il miracolo che ha permesso la Beatificazione di Madre Speranza di Gesù è, come detto, avvenuto nel luglio del 1999 e ha riguardato un bimbo di circa 1 anno, di Vigevano, colpito da grave forma di intolleranza alimentare. Poco prima del suo compleanno, dopo aver assunto per alcuni giorni l’acqua del Santuario di Collevalenza, scompare qualunque traccia della malattia. La guarigione del piccolo viene preannunciata in un particolare incontro. Lo racconta la mamma di Francesco Maria, la signora Elena Fossa, nell’intervista di Giovanna Bove:

    D. – Era il luglio 1998, avevi avuto da pochissimo un bambino, non riuscivate ad alimentarlo, perché?

    R. – Perché ci siamo accorti quasi subito, dopo il fatto che io non sono riuscita più ad allattarlo, che Francesco aveva grossi problemi a livello intestinale.

    D. – Non era una semplice intolleranza…

    R. – Non era una semplice intolleranza, perché man mano che il tempo passava la situazione diventava sempre più critica: corse in ospedale al Pronto Soccorso perché Francesco aveva forti eruzioni cutanee, dissenteria, vomito. Poi sono iniziate otiti, cistiti… Un calvario.

    D. – Poi, un pomeriggio ascoltando la tv senti del Santuario dell’Amore Misericordioso e di queste acque definite prodigiose. Che cosa accade?

    R. – Sento parlare di Madre Speranza. Onestamente vengo catturata e corro in soggiorno quando si parla di quest’acqua, un’acqua che sgorga, che Gesù ha voluto. La frase dice: “Guarisce malattie che la scienza umana non riesce a curare”.

    D. - Cominciate a far assumere al bimbo quest’acqua di Collevalenza, del Santuario dell’Amore Misericordioso…

    R. – Sì, iniziamo a dare l’acqua a Francesco e iniziamo a recitare tutti, insieme anche ad amici, la novena dell’Amore Misericordioso, nell’attesa che noi potessimo andare giù a Collevalenza per poter poi immergere completamente Francesco in queste piscine.

    D. – Accade anche un’altra cosa straordinaria, un incontro…

    R. – Accade che io il mercoledì vado a fare un giro con Francesco Maria in un parco del nostro paese e vengo attirata da una figura seduta su una panchina e mi siedo vicino a lui.

    D. – Era un signore, un signore distinto, di che età più o meno?

    R. – Non so dirvi, onestamente non giovane, di mezza età, ma un signore molto distinto, una persona con degli occhi che mi avevano catturato molto. Dice: “Francesco, Francesco sei proprio un bel bambino”. Io, lì per lì, rimango un po’ sbalordita, perché non mi sembrava di aver chiamato mio figlio e gli chiedo come faceva a sapere il nome di Francesco. Inizia a dirmi delle cose molto personali, tra cui il fatto che Francesco era stato affidato a Maria e questa era una cosa che avevamo fatto, mio marito ed io, nel momento in cui ero stata dimessa dall’ospedale. Non poteva sapere tutte queste cose importanti della nostra vita.

    D. – Ti aveva detto anche che il bambino era guarito…

    R. - Sapeva che Francesco la domenica avrebbe compiuto un anno e mi disse di fare una grande festa perché Francesco era guarito.

    D. – La festa c’è stata, la domenica, il luglio del ’99. Francesco ha mangiato tutto, era in braccio alla nonna. All’improvviso ha afferrato la torta con le sue piccole manine e ha cominciato a provare i cibi che erano sul tavolo e non è accaduto nulla…

    R. - No, assolutamente niente. Tra l’altro, noi eravamo molto agitati perché poco tempo prima Francesco per un briciolo di fetta biscottata che aveva trovato aveva avuto grossissimi problemi, era stato malissimo.

    D. – Che cosa avete provato da quel momento in poi?

    R. - Abbiamo fatto un’inversione di marcia. Abbiamo capito che veramente il Signore quando ci tocca cambia tutto. Ci siamo resi conto che la nostra vita doveva sicuramente mettersi al servizio degli altri.

    R. - Tornate ancora, ovviamente, al Santuario di Collevalenza, al Santuario dell’Amore Misericordioso, con quale stato d’animo?

    R. – Di gratitudine, perché Madre Speranza ci ha dato molto come vita concreta. La sua vita ci ha insegnato che davvero lo “straordinario” può diventare “ordinario”. Torniamo a Collevalenza sempre. Se potessimo vivere lì lo faremmo, ma la nostra vocazione e il nostro messaggio è qua dove viviamo. Però, sicuramente, con lo sguardo rivolto sempre a un Gesù misericordioso che ama intensamente ogni persona e che l’aspetta con tenerezza infinita.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   Quell'indifferenza che fa male: nuovo appello di Papa Francesco alla comunità internazionale per il bene della Siria.

    Una lezione di preghiera: in prima pagina, il cardinale Giovanni Coppa sul viaggio di Francesco in Terra santa.

    Dalla tristezza alla gioia: messa a Santa Marta.

    Dalla parte degli ultimi: Lucetta Scaraffia sull'elezione di madre Barbara Staley a superiora delle cabriniane.

    Dilagano gli scontri armati a Bangui dopo un sanguinoso attacco alla chiesa parrocchiale di Nostra Signora di Fatima.

    José Maria Poirier si chiede se c'è una verità per Borges che, secondo Leonardo Sciascia, era "il più grande teologo del nostro tempo, un teologo ateo".

    Quella jeep a Palazzo Pitti: Antonio Paolucci racconta il suo primo incontro con i Monuments Men.

    Al servizio della Bellezza: Manuel Nin su Michel Berger e l'oriente cristiano.

    Santi e santini: Marcello Filotei sulla settantunesima settimana musicale senese, dal 10 al 17 luglio.

    Un modo nuovo di vivere la collegialità: intervista di Mario Ponzi a monsignor Fabio Fabene, neo sotto-segretario del Sinodo dei vescovi.

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    Oggi in Primo Piano



    Disordini in Centrafrica. Il sacerdote ucciso a Bangui aveva 76 anni

    ◊   Risale la tensione in Centrafrica, dopo l’attacco lanciato mercoledì da uomini armati, probabilmente miliziani islamici stranieri, contro la Chiesa di Nostra Signora di Fatima a Bangui, in cui hanno perso la vita almeno 17 persone che si erano rifugiate in questa parrocchia: fonti locali parlano di una quarantina di vittime. Oggi, centinaia di manifestanti sono scesi in piazza nella capitale per protestare contro il mancato intervento delle truppe internazionali, in particolare burundesi: nei disordini due dimostranti sono stati uccisi. Nell’attacco alla Chiesa di Nostra Signora di Fatima è stato ucciso anche un sacerdote di 76 anni, padre Paul-Emile Nzale. Lo conosceva molto bene il sacerdote centrafricano don Zephirin Yakanda, attualmente viceparroco ad Alassio. Sergio Centofanti lo ha intervistato:

    R. - Era andato a visitare le famiglie che sono rifugiate nella parrocchia e gli hanno sparato…

    D. - Che persona era?

    R. - Un uomo buono, un uomo della gente, un uomo che sta con il popolo, che non ha paura di nessuno…

    D. - Tu che ricordi hai di lui?

    R. - Lui mi ha insegnato a fare le omelie, mi ha insegnato a stare con la gente: ero un seminarista quando l’ho conosciuto nella parrocchia della Santissima Trinità e lui mi ha guidato piano piano e poi sono diventato prete, 18 anni fa…

    D. - Ti ricordi qualche parola, qualche consiglio che ti dava?

    R. -Sì, sì. Mi diceva di essere sempre perseverante nella preghiera, di non scoraggiarmi mai e di avere sempre la speranza: mi diceva sempre queste parole.

    D. - Quindi era un uomo che stava tra i suoi fedeli, tra la gente…

    R. - Tra la gente, era sempre con la gente!

    D. - Era molto amato a Bangui?

    R. - Sì, sì, era molto amato.

    D. - E la gente a Bangui, adesso, come sta?

    R. - La gente vive nella paura. Non c’è elettricità nella città, c’è sciopero generale… La gente fa rumore con i piatti per protestare.

    D. - Quali sono le tue speranze?

    R. - Che le violenze si fermino! Che la Comunità internazionale ci aiuti a fare qualcosa, a ritrovare la pace, perché il Centrafrica è un Paese che ha sempre vissuto nella pace. E’ soltanto in questi ultimi 15 anni che il diavolo si è svegliato: il diavolo della divisione. Non riusciamo a fermare questo odio e questa tensione.

    D. - Ci sono proteste anche contro le truppe internazionali che non sarebbero intervenute o che non avrebbero evitato questa strage nella Chiesa di Nostra Signora di Fatima…

    R. - Sì, è stato detto così! I militari hanno i mezzi per fare la pace… Ma non so cosa succede: sono lì, senza agire…

    D. - Che appello vuoi lanciare?

    R. - L’appello che possiamo fare è alla Comunità internazionale, affinché non chiuda gli occhi e non lasci che quel popolo sparisca dalla carta geografica, che agisca e sostenga questo popolo che vuole soltanto la pace, che vuole soltanto vivere. Mi sembra che questo popolo sia invece lasciato al suo proprio destino. Questo non è giusto! Che intervanga la Comunità internazionale e faccia qualcosa per sostenere questi innocenti che muoiono.

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    Al via la campagna per il referendum sull’indipendenza della Scozia

    ◊   Si è aperta oggi la campagna elettorale per il referendum del 18 settembre prossimo sull’indipendenza della Scozia dal Regno Unito, voluto dal Partito Nazionalista scozzese. Tante le sfide sul tavolo: dal cambio della bandiera e della moneta, ai rapporti commerciali e politici con la Corona e con le istituzioni europee, poi l’adesione alla Nato e la questione della sicurezza. Di fatto si tratta di un evento storico che potrebbe costituire un precedente per situazioni analoghe nel resto dell’Europa che mostra perplessità e cautela. Il Fronte del sì attualmente, secondo i sondaggi si attesta al 45 per cento. Ma cosa pesa su chi è favorevole a questa svolta? Cecilia Seppia lo ha chiesto a Fabrizio Maronta, giornalista esperto dell’area della rivista di geopolitica Limes:

    R. - Dai sondaggi emerge che le principali spinte al sì per l’indipendenza siano delle spinte – per così dire – di pancia. Riguardano soprattutto l’orgoglio nazionale, la storia della Scozia, l’alterità della Scozia rispetto alla Gran Bretagna. Tra i fautori del no, invece, le questioni economiche sono maggioritarie, quindi c‘è sicuramente la questione del debito pubblico che ammonta a 300 miliardi di euro, più del doppio del Pil reale. Rimane però un forte margine di indecisi. Ed è lì che c’è un buon 20-25 per cento del potenziale elettorato che si proclama ancora indeciso. All’interno di questi indecisi la propensione al sì è un po’ cresciuta, ma resta comunque questa larga fetta che rende molto difficile fare previsioni attendibili.

    D. - La vittoria del sì chiuderebbe oltre 300 anni di storia della Scozia unita a quella dell’Inghilterra; inizierebbero ovviamente lunghi negoziati tra Edimburgo e Londra, ma com’è la Scozia indipendente vista dal governo scozzese?

    R. - La Scozia indipendente dovrebbe fondamentalmente rimanere nel Commonwealth; dovrebbe soprattutto rimanere nell’area di libero scambio che è composta dal Regno Unito propriamente detto; dovrebbe rimanere nell’Unione europea; dovrebbe conservare una serie di privilegi che caratterizza la posizione del Regno Unito nell’ambito dell’Unione Europea – quindi in particolar modo per alcune eccezioni giuridiche per quanto riguarda il diritto penale, alcune eccezioni finanziarie il cosiddetto "british rebate", cioè il rimborso di cui il Regno Unito gode dai tempi della Tatcher sul proprio contributo -, dovrebbe infine conservare la sterlina: e questo è un punto estremamente controverso -.

    D. - L’accordo per questo referendum è stato firmato oltre che dal ministro scozzese Salmond anche dal premier britannico Cameron. Però il punto di vista di Londra su questo referendum è abbastanza conosciuto; sono tanti gli argomenti contrari tra cui anche il nucleare, i giacimenti di petrolio nel Mar del Nord, ma anche un motivo puramente politico …

    R. - Il problema fondamentale è che un’eventuale vittoria storica, dirompente del sì, avrebbe un effetto diretto anche sulle sorti delle politiche del premier britannico David Cameron che probabilmente sarebbe costretto a dimettersi; a quel punto anche il suo stesso partito glielo chiederebbe. Ci sono già stati pronunciamenti e forti segnali in questo senso. Cameron ne può uscire, innanzitutto, mostrando più attenzione alle ragioni del sì, quindi corteggiando maggiormente l’elettorato scozzese che è un elettorato non demograficamente determinante soprattutto, non particolarmente determinante per i conservatori ora al governo. In realtà l’elettorato scozzese è pure tradizionalmente laburista, ma è quello che in questo momento può decidere veramente sulla sorte di una nazione unitaria. E poi può farlo concedendo maggiori margini di indipendenza alla Scozia, sempre per convincerla a rimanere nell’ambito del Regno Unito: quindi maggiore indipendenza giuridica, fiscale e via dicendo.

    D. - Oltre all’Unione Europea c’è anche la questione della Nato: non è detto che l’adesione alla Nato sia immediata se dovesse passare il referendum …

    R. - Allora sicuramente non è detto che sarebbe scontata l’adesione all’Unione Europea; c’è comunque una resistenza forte in ambito europeo alle ragioni della Scozia eventualmente per restare poi nell’Unione Europea - come dire - in modo indolore dopo l’indipendenza. Per quanto riguarda la Nato, non è scontato, anche se comunque è forse più facile che la Scozia eventualmente resti nella Nato. Questo più che altro per una fatto strategico, perché comunque la Scozia ospita diverse basi dell’esercito britannico che in una prospettiva Nato rimarrebbero comunque importanti per la loro collocazione geografica.

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    Visco: via della ripresa travagliata, puntare su investimenti

    ◊   La via della ripresa è travagliata, per questo servono riforme di ampio respiro. Lo ha chiesto il governatore della Banca d'Italia, Ignazio Visco, nell’assemblea dell’istituto tenutasi questa mattina a Roma. Visco ha anche annunciato nuove misure per dare più credito alle piccole e medie imprese. Il servizio di Alessandro Guarasci:

    Solo rilanciando gli investimenti l’Italia potrà davvero ripartire. Visco afferma che “aumenti di produttività e crescita dell'occupazione sono conciliabili se si riprende la domanda interna”. In sostanza, i consumi che sono fermi da troppo tempo. E gli 80 euro del bonus avranno un effetto solo parziale. Il governatore Visco:

    “Questi potranno trarre beneficio dagli sgravi fiscali di recente approvazione, ma non diventeranno forza trainante di ripresa senza un duraturo aumento dell’occupazione”.

    L’offerta di posti di lavoro però tornerà a crescere solo lentamente. Anche per questo Bankitalia pensa di dare sostegno alle piccole e medie imprese con nuove misure che arriveranno nei prossimi giorni. Ma il Paese deve avviare una stagione di riforme. Dunque, oltre agli investimenti, maggiore efficienza della pubblica amministrazione, riduzione del cuneo fiscale, lotta alla corruzione, revisione del sistema scolastico e formativo. Ancora Visco:

    “La via della ripresa, non solo economica, non sarà breve, né facile. L’incertezza è insita nella transizione, rapida, verso un mondo molto diverso, più mobile e aperto, dove la tutela dei deboli deve coniugarsi con l’offerta di opportunità per i giovani”.

    Positivo il commento dei sindacati, soprattutto per quanto riguarda gli investimenti. Confindustria vede bene le nuove misure per le pmi. Per l’Associazione delle banche, l’Abi, serve lottare contro la corruzione perché il livello etico del Paese è inadeguato.

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    Bollino verde? Il Centro oncologico è affidabile

    ◊   Sono pochi in Italia i Centri oncologici con il “bollino verde”, che trattano cioè un numero di casi sufficiente a garantire una minima affidabilità e hanno tutto il necessario per garantire al paziente un percorso di cura. Si tratta di 1787 su oltre 10 mila strutture. Il dato emerge dall’Oncoguida (on line sul sito "oncoguida.it"), presentata dall’Aimac (Associazione italiana malati di cancro). Al microfono di Elisa Sartarelli, il presidente dell'Associazione, Francesco De Lorenzo:

    R. – Ci siamo limitati soltanto a valutare la parte chirurgica, non il resto delle attività diagnostiche e terapeutiche, e abbiamo messo soltanto dei punti verdi che servono a individuare quei Centri che hanno, per volumi di casi trattati, una maggiore esperienza. Abbiamo collaborato con il Ministero della salute e ci siamo limitati a fare una graduatoria dei Centri, segnando a fianco a ogni Centro il numero dei casi trattati. E abbiamo spiegato anche, nell’Oncoguida, che più è elevato il numero dei casi trattati, più è garanzia di risultato positivo. Se il malato si rende conto che ci sono strutture in cui operano solo due, tre, dieci casi rispetto ai 76 previsti, è chiaro che andare in quella struttura è a rischio.

    D. – Ci sono differenze tra Regione e Regione?

    R. – Ci sono certamente differenze. Ben 800 mila malati di cancro si muovono per andare da una parte all’altra, e Regioni che hanno una migrazione più elevata sono la Campania, la Calabria, la Sicilia e la Sardegna rispetto, per esempio, alla Lombardia, dove pochissime persone vanno a farsi curare fuori regione. Questo è spiegato anche dal fatto che in qualche modo i malati già sono orientati. Però, ovunque – anche in Regioni come l’Emilia Romagna, la Toscana, la Lombardia, il Veneto, dunque Regioni dove ci sono più elevati standard di migliore funzionamento – ci sono numerosi Centri che hanno fatto interventi operatori al di sotto del numero che dà la garanzia di risultato migliore al malato.

    D. – Crede che i Centri più piccoli andrebbero razionalizzati?

    R. – Andrebbero attuate le leggi già approvate. La spending review prevede, ancora una volta, di ridurre complessivamente il numero dei posti letto negli ospedali. Ovviamente, la logica sarebbe che, dovendo obbligatoriamente chiudere i posti letto, si vadano a chiudere quelle strutture che fanno un numero di interventi e che hanno comunque un numero di casi trattati tanto bassi da essere a rischio per il malato. Abbiamo fatto questo anche per sfidare le istituzioni e questo lo ha riconosciuto anche il ministro Lorenzin: abbiamo messo il malato in condizione di valutare autonomamente e direttamente quale centro garantisca la migliore riuscita. Non parlo di chiusura dei centri in senso assoluto. Gli interventi operatori devono essere fatti in centri che abbiano tutte le varie attività, che rendano l’intervento chirurgico facilitato. Ci dev’essere una diagnostica ben funzionante, una anestesia di qualità, macchine che consentano di fare dei controlli durante l’intervento operatorio, delle équipe di infermieri e di medici di qualità… Tutto questo si verifica negli ospedali che hanno un più elevato numero di pazienti afferenti. Lì dove si trattano da 2 a 10 a quindici casi non si deve nemmeno discutere: avrebbero dovuto essere chiusi questa notte, o ieri, per evitare il rischio che chi si rivolge là subisca dei danni piuttosto che curarsi e guarire. Nell’ospedale che sta sotto casa deve rimanere, per esempio, la chemioterapia: non parlo quindi di chiusura sic et simpliciter dei piccoli Centri ospedalieri, perché devono rimanere aperti per alcune cose. Cero, non possiamo obbligare un malato a fare 30 km per andare a fare una chemioterapia: devono rimanere delle strutture in grado di fare quello che è possibile affrontare, con un’elevata percentuale di casi positivi.

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    Le teologhe italiane: le descrive una ricerca sociologica

    ◊   Le teologhe in Italia esistono e vogliono contare di più: è ciò che emerge dall’ indagine condotta dalla sociologa Carmelina Chiara Canta, docente dell’Università Roma Tre, dove dirige il Laboratorio sul “Pluralismo culturale”. La ricerca prende in esame le risposte a un complesso questionario fornite da 181 su un totale di 335 teologhe esistenti in Italia. Nel volume pubblicato dall’editore Franco Angeli e presentato oggi (27 maggio) presso l’Ateneo romano, compaiono analisi teoriche ma anche numeri, tabelle e grafici che intendono mettere in luce figure non sempre riconosciute e valorizzate. Da qui il titolo: “Le pietre scartate”. Adriana Masotti ha intervistato la stessa prof.ssa Canta:

    R. - Premetto che questa è una ricerca sociologica che è durata 3 anni: il primo anno è passato solo per vedere quante teologhe ci sono in Italia. Queste teologhe vivono in tutto il Paese, ma sono concentrate prevalentemente al Centro. L’età prevalente è quella tra i 46 e i 65 anni, ma le giovani - nell’età compresa tra 23 e 45 anni - sono il 35%.

    D. - Allora perché questo scarso rilievo dato alle studiose di teologia, tale da giustificare un titolo come: “Le pietre scartate”?

    R. - “Le pietre scartate” perché il questionario, che è composto di 59 domande - molte delle quali sono aperte e altre sono a risposta multipla, quindi centinaia di risposte - coinvolgono molti aspetti di come le teologhe vivono questa loro identità all’interno della Chiesa, degli ostacoli che incontrano anche all’interno della società, nelle Università pontificie ecc... Quindi emerge una certa difficoltà, dei pregiudizi, sono un po’ messe da parte. Quindi, in questa nostra società che, come dice Bauman, contempla molte vite di scarto, anche le teologhe si possono considerare in questo senso. Però io mi riferisco, nel titolo, anche al Vangelo, ai Salmi dove le pietre di scarto diventano poi pietre angolari.

    D. - C’è, forse, ancora la mentalità che solo un sacerdote possa studiare e parlare di Dio, che comunque essere teologi sia appannaggio - diciamo - di chi abbraccia la vita sacerdotale…

    R. - Sì, sì, indubbiamente. Questo emerge in maniera chiara in tutto quel gruppo di domande che interessano l’attività scientifica e didattica delle teologhe, do si vede che sono poste in secondo piano rispetto ai sacerdoti.

    D. - Può dirci qualche cosa su come le teologhe sentono il fatto che non sia ammesso per le donne il sacerdozio?

    R. - Non è il tema centrale della ricerca, né delle teologhe, né delle credenti. Però, è un tema che esiste: l’area delle perplesse, della perplessità diciamo, è un’area abbastanza ampia rispetto alle precedenti ricerche. Però, il 23% è d’accordo sul sacerdozio femminile e il 13% è molto d’accordo.

    D. - Perché dovrebbe o sarebbe meglio che il pensiero, lo studio di queste donne, venisse più alla luce?

    R. - Diciamo che il 50% del questionario presenta domande che proiettano il ruolo delle donne nel futuro e diciamo anche che queste teologhe sono molto attive e ottimiste nei confronti del futuro: vogliono dare il loro contributo come teologhe e come donne nella Chiesa. La loro formazione è di livello molto alto, molto alto. Esistono, esistono dal ’65 in poi, da quando le donne hanno avuto la possibilità di iscriversi ai corsi di teologia nelle Università pontificie in Italia.

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    A Roma l'edizione 2014 del Festival Internazionale dei Cori Ebraici

    ◊   Dopo Londra e Vienna è quest’anno a Roma che si svolge il Festival Internazionale dei Cori Ebraici. L’edizione 2014, che ha preso il via oggi, avrà il suo culmine l’ultimo giorno, domenica 1° giugno, all’Auditorium Parco della Musica con il Concerto di Gala. Sarà un’occasione straordinaria per avvicinarsi alla tradizione musicale ebraica internazionale e per conoscere i vari cori che vi prenderanno parte, provenienti da diverse parti dell’Europa: Londra, Vienna, Parigi, Berlino, Leopoli, San Pietroburgo e, naturalmente il Coro Ha-Kol di Roma, il cui presidente Richard Di Castro è stato intervistato da Francesca Sabatinelli:

    R. – Non esiste un solo tipo di musica ebraica: tutte le realtà musicali, le tradizioni musicali ebraiche, sono state influenzate dal Paese di origine. Esistono, dunque, varie tradizioni e vari generi. Quindi, in questo Festival passiamo dai canti liturgici, dai canti sinagogali alla musica klezmer, alla musica popolare. Chi assisterà, dunque, a questo Festival avrà modo di avere una panoramica abbastanza completa. Poi, nel concerto di gala avremo pure la partecipazione del coro della diocesi di Roma, di mons. Marco Frisina. E questo si inserisce nella tradizione del Coro Ha-Kol, che ha sempre cercato un dialogo, un conoscere e farsi conoscere da altre realtà culturali e musicali. Con il coro della diocesi di Roma, con don Frisina, noi abbiamo una vecchissima collaborazione e abbiamo partecipato insieme a diverse iniziative. Vorrei ricordare i concerti della Fratellanza, i concerti Achva a Marino – insieme ne sono stati fatti diversi - che sono state per noi, ma sicuramente anche per loro, esperienze entusiasmanti.

    D. – Ha detto Riccardo Di Segni, rabbino capo della comunità ebraica romana, che "un festival di cori ebraici è una raccolta di diaspore, una lezione di storia e di cultura". Dunque, al pubblico verrà offerta un’ampia panoramica musicale e quindi culturale e storica, perché ogni coro rappresenta la storia dell’ebraismo del Paese di provenienza...

    R. – Sì, chiaramente il coro che proviene da Londra ha una realtà completamente diversa da quello che viene da San Pietroburgo. I cori sono tutti legati da questo filo comune, che è l’ebraismo. E’ chiaro, però, che le realtà che hanno vissuto nella storia, e che stanno attualmente vivendo, sono diverse. L’ebraismo che hanno in comune e il linguaggio universale della musica aiutano molto a capirsi, a conoscersi a vicenda. Vorrei fare un esempio: qui abbiamo un gruppo musicale ucraino ed un coro di San Pietroburgo, due realtà apparentemente – soprattutto in questo periodo – molto diverse; vengono, però, accomunate da questo linguaggio comune.

    D. – Il pubblico non è fatto soltanto di persone di fede ebraica, e i canti liturgici, così come la musica klezmer, non sono conosciuti da tutto il pubblico. Cosa si aspetta, lei che è l’ideatore, dall’incontro col pubblico romano?

    R. – Le rispondo, dicendo che questa idea di far conoscere al pubblico, non solo ebraico, la tradizione musicale ebraica, non è nata oggi, è nata 20 anni fa. 20 anni fa è nato, infatti, il coro Ha-Kol, coro ebraico di Roma, ed è nato su iniziativa di qualche corista del coro della sinagoga di Roma. Ad un certo punto è venuta l’idea di far conoscere delle melodie ebraiche liturgiche, bellissime, che erano state, però, confinate fino ad allora solamente all’interno delle comunità ebraiche italiane. E questa idea si è rivelata vincente, perché nel corso di questi anni abbiamo avuto un interesse sempre crescente. Devo dire che tutto è stato sempre accolto con molto interesse, con molta ammirazione, superando il fatto della curiosità; è stato proprio una rivelazione per molti. Oggi poter presentare questo Festival, non solo della tradizione ebraica italiana, ma addirittura europea, per noi è un bellissimo punto di arrivo.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Catholicos armeno Aram I, a Roma per incontrare Papa Francesco

    ◊   Aram I, Catholicos della Chiesa Armena Apostolica di Cilicia, sarà a Roma la prossima settimana per incontrare Papa Francesco. Si intratterrà nella capitale dal 3 al 6 giugno. Vedrà il Pontefice e avrà con lui un momento comune di preghiera il 5 giugno, ma è inoltre prevista la sua visita al Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani e ad altri dicasteri della Curia romana. Il patriarca si recherà anche alla tomba di Pietro, nella Basilica Vaticana, e pregherà davanti la statua di Gregorio l’Illuminatore, nel cortile nord.

    Aram I è stato eletto Catholicos della Grande Chiesa di Cilicia il 28 giugno del 1995, ha incontrato Giovanni Paolo II nel 1997, dal 23 al 26 gennaio, e Benedetto XVI nel 2008, dal 23 al 27 novembre. Due i momenti di incontro con Papa Ratzinger: il 24 novembre, giorno in cui si è svolta una preghiera ecumenica nella Cappella Redemptoris Mater del Palazzo Apostolico, e il 26 novembre, in occasione dell’udienza generale.

    La Chiesa armena apostolica conta circa 6 milioni di fedeli, comprende 2 catholicossati (di Etchmiadzin e di Antelias, in piena comunione ma indipendenti dal punto di vista amministrativo, i cui rappresentanti sono membri della Commissione Mista Internazionale per il Dialogo Teologico tra la Chiesa cattolica e le Chiese ortodosse orientali) e 2 patriarcati (armeno di Gerusalemme e armeno di Costantinopoli, che dipendono da Etchmiadzin per le questioni spirituali). Tra la Chiesa cattolica e la Chiesa armena apostolica si sono sviluppate nuove relazioni dal Concilio Vaticano II.(A cura di Tiziana Campisi)

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    Il card. Filoni nel 100.mo dell'evangelizzazione di Bamenda

    ◊   Ieri, solennità dell’Ascensione del Signore, il card. Fernando Filonil, Prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, ha presieduto una Messa solenne per la chiusura del Centenario dell’evangelizzazione dell’arcidiocesi di Bamenda in Camerun, durante la quale ha ordinato 7 diaconi e 9 presbiteri . “A 100 anni dalla prima evangelizzazione – ha detto nell’omelia -, è bello che alcuni giovani di questa Chiesa desiderino offrire la loro vita al servizio di questa comunità. E' il modo più significativo di celebrare questi 100 anni, e per lodare il Signore per il dono che essi fanno di se stessi alla Chiesa”.

    Il Prefetto del Dicastero Missionario, che ha portato il saluto e la benedizione del Santo Padre Francesco a tutti i presenti - riferisce l'agenzia Fides - ha sottolineato: “Queste ordinazioni ci ricordano la missione affidata alla Chiesa dal Signore risorto, e quindi affidata ad ogni cristiano: quella di essere evangelizzatore! E' bello pensare che tale evangelizzazione è stata realizzata qui 100 anni fa e che oggi la Chiesa è così ben stabilita!”.

    Quindi il card. Filoni ha sottolineato che tutti i cristiani hanno ricevuto il dono della fede e del Battesimo per uno scopo preciso: “portare e comunicare il dono di fede agli altri”, di conseguenza “il cristiano non vive per se stesso, ma per gli altri, nel senso della carità, dell’aiuto ai più poveri e al prossimo più bisognoso, ma prima di tutto, nel senso della fede che si vede attraverso la sua testimonianza e la proclamazione agli altri”. Nell’omelia, il cardinale ha illustrato il significato di essere collaboratori alla costruzione della Chiesa, riprendendo il motto del Centenario, ed ha esortato: “Questa celebrazione del Centenario dell’evangelizzazione di Bamenda segna un nuovo punto di partenza per la vostra Chiesa locale, che consiste in un nuovo impulso missionario nell’approfondire la vostra fede in Cristo. La vostra fede deve essere più profonda e la vostra testimonianza missionaria più eloquente ed incisiva”.

    Rivolgendosi ai candidati al diaconato ed al presbiterato, il card. Filoni ha ricordato che “la missione del diacono è in relazione al servizio dell’altare, della Parola di Dio e della carità”, e ciò che caratterizza particolarmente questo ministero “è la configurazione a Cristo-servo”. Ai sacerdoti ha evidenziato l’importanza di coltivare in modo particolare la vita interiore, come hanno ribadito i recenti Pontefici, in quanto “l’intima e personale unione del sacerdote con Cristo è un fattore indispensabile per una autentica vita sacerdotale”. Al termine dell’omelia, il card. Filoni ha affidato la Chiesa di Bamenda alla protezione della Vergine Maria, Madre della Chiesa. (R.P.)

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    Usa: i vescovi sollecitano la riforma sull'immigrazione

    ◊   Lo stesso gruppo di vescovi statunitensi che lo scorso 1° aprile si era recato alla frontiera tra l'Arizona e il Messico per ricordare gli oltre seimila morti che in 15 anni hanno perso la vita tentando di emigrare verso gli Stati Uniti, si trova a Washington per sollecitare l'approvazione della riforma migratoria che da molti anni è oggetto di discussioni tra Repubblicani e Democratici senza progressi significativi. Ieri - riferisce l'agenzia Fides - dopo aver celebrato la Messa nella chiesa vicina al Campidoglio di St. Peter's on Capitol Hill, a cui hanno partecipato anche alcuni politici, i vescovi sono andati al Congresso per incontrare i legislatori di entrambe le parti, tra cui il presidente ("speaker") della Camera dei Rappresentanti, John Boehner.

    "Non si tratta di politica, si tratta di umanità" ha detto ai giornalisti mons. Eusebio L. Elizondo Almaguer, vescovo ausiliare di Seattle (Washington), nato in Messico, che è il presidente della Commissione per le migrazioni della Conferenza episcopale cattolica degli Stati Uniti (Usccb). Mons. Elizondo ha sottolineato la necessità di sensibilizzare, di creare una coscienza e "di non mollare", dopo aver ricordato che "ogni giorno ci sono sempre più famiglie divise a causa delle deportazioni".

    La nota inviata a Fides riferisce anche le parole di mons. Thomas Gerard Wenski, arcivescovo di Miami, il quale ha detto che il sistema attuale "non è sostenibile; proprio perché si tratta di una questione morale, deve essere riformato".

    Il 27 giugno 2013 il Senato ha approvato il disegno di legge S. 744 che prevede la cittadinanza per gli immigrati privi di documenti arrivati negli Stati Uniti prima del 31 dicembre 2011 e che non hanno precedenti penali. Tuttavia, a causa dei disaccordi tra democratici e repubblicani, la Camera non ha ancora fissato una data per la sua discussione in vista dell’approvazione definitiva. (R.P.)


    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVIII no. 150

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    E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.