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Sommario del 24/05/2014

Il Papa e la Santa Sede

  • Il Papa in Giordania: Dio ci difenda dalla paura del cambiamento
  • Il nunzio in Giordania: il Papa ravviva la speranza dei cristiani
  • L'attesa di Papa Francesco a Betlemme
  • Il guardiano della Natività: la gioia di cristiani e musulmani
  • Padre Muscat: Santo Sepolcro, centro cosmico dell'universo
  • Betlemme, il Papa a pranzo con le famiglie palestinesi
  • Lo Yad Vashem attende il Papa, nuovo clima su Pio XII
  • Scambio di messaggi tra il Papa e Napolitano
  • Beati i martiri padre Vergara e il catechista Ngei Ko Lat
  • Francesco nomina tre nuovi vescovi ausiliari di Milano
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Elezioni in Ucraina, vigilia tormentata dagli scontri
  • Bosnia: dopo le alluvioni, rischio epidemie e mine antiuomo
  • Mons. Galantino apre convegno Scienza e Vita su affettività e sessualità
  • Affidati a Maria: i cinesi festeggiano la Vergine di Sheshan
  • Il commento di don Ezechiele Pasotti al Vangelo della Domenica
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Si vota per le europee in Lettonia, Malta e Slovacchia
  • Attacco di Al Qaeda al parlamento somalo, numerose le vittime
  • Campagna sul web contro la pena di morte per minori nelle Maldive
  • On line la pagina araba di vatican.va
  • Card. Scola: gli oratori, scuola di fede e presenza civica
  • Il Papa e la Santa Sede



    Il Papa in Giordania: Dio ci difenda dalla paura del cambiamento

    ◊   Sulle orme dei suoi predecessori, Papa Francesco ha iniziato il suo pellegrinaggio in Terra Santa dalla Giordania, la terra del Monte Nebo e della predicazione di Giovanni Battista. Poco dopo le 12 l’aereo papale è atterrato all’aeroporto Queen Alia di Amman da dove Francesco si è subito recato al Palazzo Reale per la cerimonia di benvenuto. Il Papa, riprendendo quanto detto dal Re Abdallah, ha invocato Dio perché ci protegga dalla "paura del cambiamento". Dalla capitale giordana, il servizio del nostro inviato, Fabio Colagrande:

    Accolto con tutti gli onori e in un clima di gioia ad Amman, Papa Francesco ha iniziato oggi il suo secondo viaggio apostolico, il quarto di un Pontefice in Terra Santa. Salutato ai piedi della scaletta dell’aereo dal principe Ghazi bin Muhammed, in rappresentanza della Casa reale Hashemita e dalle autorità cristiane locali, il Papa ha ricevuto da due giovanissimi giordani l’iris nero, il fiore simbolo del Paese. Dopo un breve colloquio con il principe, autorevole fautore del dialogo con i cristiani, Francesco si è recato al Palazzo Reale Al-Husseini per incontrare i Reali di Giordania, il primo momento di una giornata intensissima e senza soste, per il Pontefice. Qui, dopo gli onori militari e l’esecuzione degli inni si è svolta la visita privata con il Re Abdallah II e la Regina Rania. E’ il terzo incontro tra Francesco e il Sovrano hashemita, il primo in terra giordana.

    Subito dopo, nel salone dei ricevimenti, l’incontro con le autorità e lo scambio dei discorsi. Re Abdallah, dopo un caloroso benvenuto a Francesco ha ricordato di aver ricevuto qui ad Amman, Giovanni Paolo II nel 2000 e Benedetto XVI nel 2009, e ha poi sottolineato l’impegno di Francesco per il dialogo con i musulmani e la sua testimonianza di pontefice, vero ‘costruttore di ponti’. Il Re ha poi evidenziato la sua discendenza diretta dal Profeta Maometto e quindi il suo impegno per promuovere il vero volto dell’islam e la protezione di tutti i luoghi santi, Gerusalemme compresa. Il

    Re ha poi ricordato l’impegno della Casa reale giordana per la promozione della libertà religiosa e in particolare la conferenza sulle sfide degli arabi cristiani in Medio Oriente, da lui organizzata ad Amman nel 2013.

    Nel suo discorso, Francesco ha definito la Giordania una terra ‘ricca di storia e di grande significato religioso per l’Ebraismo, il Cristianesimo e l’Islam’. Poi, ha subito ricordato la generosa accoglienza che il Paese, soprattutto attraverso la Caritas locale, presta a rifugiati di diversa nazionalità, soprattutto siriani – che sono qui più di un milione – chiedendo alla comunità internazionale di aiutare la Giordania. E qui Francesco si è riferito alla situazione politica di tensione di questa regione del mondo:

    "Mentre con dolore constato la permanenza di forti tensioni nell’area medio-orientale, ringrazio le Autorità del Regno per quello che fanno e incoraggio a continuare ad impegnarsi nella ricerca dell’auspicata durevole pace per tutta la Regione; a tale scopo si rende quanto mai necessaria e urgente una soluzione pacifica alla crisi siriana, nonché una giusta soluzione al conflitto israeliano-palestinese".

    Papa Francesco – come il suo predecessore Benedetto XVI nel maggio 2009 – ha poi espresso il suo profondo rispetto e la sua stima per la comunità musulmana e ha manifestato il suo apprezzamento per l’impegno del Re per la promozione di una comprensione adeguata dell’islam e una convivenza serena tra cristiani e musulmani:

    "Lei è noto come un uomo di pace, e artefice della pace: grazie! Esprimo riconoscenza alla Giordania per aver incoraggiato diverse importanti iniziative a favore del dialogo interreligioso per la promozione della comprensione tra Ebrei, Cristiani e Musulmani, tra le quali quella del 'Messaggio Interreligioso di Amman' e per aver promosso in seno all’Onu la celebrazione annuale della 'Settimana di Armonia tra le Religioni'".

    Ma il punto centrale del discorso del Papa è stato certo il riferimento alle piccole comunità cristiane locali che ha definito ‘pienamente inserite nella società’.

    "Pur essendo oggi numericamente minoritarie, esse hanno modo di svolgere una qualificata e apprezzata azione in campo educativo e sanitario, mediante scuole ed ospedali, e possono professare con tranquillità la loro fede, nel rispetto della libertà religiosa, che è un fondamentale diritto umano e che auspico vivamente venga tenuto in grande considerazione in ogni parte del Medio Oriente e del mondo intero".

    In chiusura il Papa ha rivolto uno speciale augurio di pace e di prosperità al Regno di Giordania, aggiungendo l’auspicio che il viaggio incrementi le buone relazioni interreligiose nel Paese.

    Francesco ha poi lasciato il Palazzo Reale per recarsi all’International Stadium per celebrare la Santa Messa di fronte a decine di migliaia di persone, non solo cristiani, l’appuntamento liturgico di questa sua prima giornata in Terra Santa.

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    Il nunzio in Giordania: il Papa ravviva la speranza dei cristiani

    ◊   La Giordania è dunque la prima tappa del viaggio del Papa in Terra Santa: ma come vive la comunità cattolica di questo Paese la presenza di Papa Francesco? Ascoltiamo mons. Giorgio Lingua, nunzio apostolico in Giordania e Iraq , al microfono del nostro inviato Fabio Colagrande:

    R. – La vive con molto entusiasmo, con molto orgoglio, direi, e con una partecipazione attiva da parte di tutti. Fin dall’inizio, quando questa notizia è stata ufficializzata, si sono messi in moto per organizzarsi per essere presenti.

    D. – Cosa significa questa grande celebrazione allo stadio di Amman per i cristiani che sono qui, in Giordania?

    R. – E’ senz’altro un momento di gratitudine verso quello che sta facendo il Santo Padre: già lo stanno seguendo quotidianamente attraverso i mezzi di comunicazione sociale; ed è anche un momento di speranza, perché sanno che hanno bisogno di essere stimolati perché la tentazione di lasciare questa regione così instabile per i cristiani, è forte. Quindi, lo sentono anche come un conforto e uno sprone a dare il meglio di sé, rimanendo qui.

    D. – E’ molto atteso anche l’incontro del Papa con i rifugiati, a Bethany beyond the Jordan: cosa significherà quest’altro incontro?

    R. – Questo incontro, secondo me, è innanzitutto un atto di gratitudine del Papa nei riguardi di coloro che stanno lavorando per accogliere questi fratelli. La Chiesa giordana, attraverso Caritas Jordan in particolare, ma anche attraverso altre organizzazioni, sta lavorando tantissimo: oltre 300 mila sono i rifugiati siriani registrati negli uffici della Caritas. E poi, è una delicatezza nei confronti di coloro che soffrono, che arrivano in condizioni a volte disperate, con famiglie distrutte, come i bambini orfani, le vedove, e quindi hanno bisogno di sentire che qualcuno è dalla loro parte, li sostiene, è loro vicino.

    D. – Lei crede che potranno arrivare in Giordania anche cristiani dall’Iraq, per questa occasione?

    R. – Si sono organizzati: un piccolo gruppo, una rappresentanza verrà – non è facile il viaggio. Ma lo stanno seguendo molto anche dall’Iraq, sperando che un giorno il Santo Padre decida “di fare un salto” anche dall’altra parte …

    D. – Dunque, che cosa i cristiani si aspettano da questa visita di Papa Francesco? Quali frutti potrà avere?

    R. – Penso che i cristiani si aspettino quello che Papa Francesco ha detto in una Messa a Santa Marta: che Gesù ci ha lasciato tre parole chiave, pace-amore-gioia. Qui tutti vogliono pace, qui tutti cercano amore, qui tutti vogliono vivere nella gioia, e la esprimeranno: il Papa se ne accorgerà, di quanta gioia i cristiani sanno esprimere!

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    L'attesa di Papa Francesco a Betlemme

    ◊   Domenica mattina, seconda tappa del viaggio in Terra Santa, il Papa arriverà a Betlemme. Dopo la cerimonia di benvenuto con l'incontro col presidente palestinese Mahmoud Abbas, Papa Francesco celebrerà la Messa nella Piazza della Mangiatoia. Il servizio del nostro inviato Roberto Piermarini:

    Il Papa arriverà in elicottero da Amman, sorvolando la barriera grigia del muro di separazione che taglia l’orizzonte ed il destino di Betlemme. Sui palazzi che si affacciano sulla Piazza della Mangiatoia dove Francesco celebrerà la Messa, grandi pannelli con l’immagine del Papa e di Abu Mazen. Si calcolano 10 mila fedeli. Verranno dai territori del nord, dalla Galilea, dalla Cisgiordania e 600 anche da Gaza, tra loro non solo cattolici ma anche ortodossi.

    I cristiani a Betlemme rappresentavano l’80% della popolazione: oggi sono poco più del 18%. La gente di Betlemme ha molto apprezzato che il Papa - prima della visita privata alla Grotta della Natività - abbia scelto di intrattenersi a pranzo con cinque famiglie cristiane in situazioni difficili che potranno così comunicargli problemi e sofferenze. Una viene dalla Galilea, esule da un villaggio distrutto dalla guerra del 1948, le altre da Beit Jala, Betlemme, Gaza e Gerusalemme.

    Betlemme è l’unica città della Cisgiordania ad avere tre Campi profughi e come San Giovanni Paolo II, Papa Francesco visiterà il Campo di Dheisheh, il più grande dopo quello di Gaza dove vivono 15 mila persone. Una drammatica realtà che dal lontano 1948 accoglie 900mila palestinesi rimasti da un giorno all’altro senza casa né lavoro. Camminare per le strade di questi Campi è desolante: case fatiscenti e sovraffollate allineate come tessere di un domino, fogne a cielo aperto, disoccupazione, violenza e nello sguardo della gente solo rassegnazione, nonostante gli sforzi dell’Onu e di molte Ong che lavorano per i profughi palestinesi. Il silenzio che incombe tra le vie polverose del Campo, è rotto soltanto dalle voci e dalle grida dei bambini che giocano a pallone. E il Papa – prima di lasciare la Palestina - ne incontrerà alcune centinaia provenienti anche dai vicini Campi di Aida e Beit Jibrin.

    Lungo il percorso papale, tra le stradine affollate di Betlemme, si prevede un’accoglienza calorosissima anche da parte dei musulmani. Betlemme è tappezzata di manifesti e festoni con i colori del Vaticano e dello Stato di Palestina tra cui spicca un grande striscione dove è scritto: Benvenuto Francesco: dalla Terra della speranza alla speranza della Terra.

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    Il guardiano della Natività: la gioia di cristiani e musulmani

    ◊   Con quali sentimenti, sarà accolto il Papa a Betlemme? Roberto Piermarini lo ha chiesto al padre francescano Ricardo Bustos, Guardiano della Basilica della Natività:

    R. - Con molta gioia perché la gente, certamente conosce molto bene Papa Francesco, la sua comunicazione così diretta e così schietta e attende di poterlo incontrare personalmente.

    D. – Anche la comunità musulmana?

    R. – Sì, penso che tutti si stiano preparando per questo incontro. C’è il desiderio di poter stare con lui, di poter scambiare qualche parola, qualche cosa.

    D. - Viene ricordata la storica visita di Paolo VI, 50 anni fa, quando venne a Betlemme?

    R. - Sì, naturalmente, quelli che lo conoscono sono le persone più grandi, i più giovani forse ne sanno di meno. Ma da quando si è cominciato a preparare questa visita, molte persone lo hanno ricordato, raccontando anche le proprie esperienze.

    D. – Il prossimo incontro a Gerusalemme tra Papa Francesco e Bartolomeo I sta creando un clima nuovo con i monaci ortodossi della Basilica della Natività?

    R. – Noi abbiamo un rapporto molto bello, molto schietto, molto cordiale. E’ chiaro che c’è questa attesa. Dico sempre che le buone relazioni cominciano dalle cose di tutti i giorni. Quindi, questa relazione c’è, ma penso che la visita di Papa Francesco e l’incontro con il patriarca Bartolomeo, serviranno anche per questo, per rafforzare i nostri vincoli.

    D. – San Giovanni Paolo II nel 2000 disse che la Terra Santa ha bisogno di ponti e non di muri. A distanza di 14 anni è cambiato qualcosa a livello socio-politico a Betlemme?

    R. – Alcune cose sono cambiate, altre ancora rimangono tali e quali, come Papa Giovanni II le trovò quando venne in visita. La speranza è che queste cose si possano cambiare in futuro. Certo, come sappiamo, i cambiamenti non sono così brevi a venire: ci vuole molto tempo, molta pazienza. Ma soprattutto penso che quello che Papa Francesco ricorderà è che la pace nasce dalla riconciliazione e dalla buona volontà delle persone di potersi incontrare.

    D. - Gesù Cristo si è incarnato per portare al mondo la pace ma è veramente difficile raggiungerla in questa sua terra martoriata…

    R. – Sì, questa terra è sempre stata motivo di contesa, dai tempi biblici, ancora prima. Perciò non c’è da meravigliarsi di questo. Credo che i tempi siano anche i cambiati, è cambiato il modo in cui ci si può presentare: prima non si dialogava, ma si faceva direttamente la guerra. Adesso, almeno ci si siede attorno a un tavolo e si cerca di raggiungere un accordo che possa essere buono per entrambe le parti.

    D. – Un’ultima domanda personale. Lei, argentino e francescano, incontra il Papa argentino di nome Francesco: cosa si aspetta da questa visita?

    R. – Poter incontrare il mio arcivescovo, prima di tutto, perché lo è stato a Buenos Aires, quando ero là. Poi, poter anche affidare questa piccola comunità che abbiamo qui, a Betlemme, che prega sempre per lui, che desidera soprattutto dare una buona testimonianza.

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    Padre Muscat: Santo Sepolcro, centro cosmico dell'universo

    ◊   Domenica pomeriggio Papa Francesco si recherà a Gerusalemme, dove incontrerà il Patriarca ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo I, in occasione del 50.mo anniversario dello storico abbraccio tra Paolo VI e Atenagora. L’evento si svolge nella Basilica del Santo Sepolcro. Il nostro inviato Roberto Piermarini, ne ha parlato con il padre francescano Noel Muscat, superiore della Basilica del Santo Sepolcro:

    R. – Certamente, questo incontro è una novità assoluta che ha un significato del tutto particolare, perché per la prima volta troviamo qui quelli che San Giovanni Paolo II ha chiamato “i due polmoni della Chiesa” che si incontrano proprio al centro della cristianità, che è Gerusalemme, e che è il luogo dove Gesù ha sofferto la sua passione, è morto ed è risorto: alla Basilica del Sepolcro.

    D. – Il Papa e il Patriarca Bartolomeo, nel corso della celebrazione, si recheranno insieme in preghiera sulla tomba del Santo Sepolcro. Qual è il significato teologico del Sepolcro?

    R. – Per noi cristiani il Sepolcro è prima di tutto un evento, non è soltanto un luogo storico. Tanta gente viene qui e visita il Sepolcro come luogo storico; addirittura, qualcuno sorride quando sentono le guide dire che “qui si dice che Gesù sia risorto”. Noi cristiani sappiamo che questo è l’evento della nostra fede, perciò chi viene qua viene per celebrare un evento centrale della sua fede. Quindi, il significato teologico del Sepolcro è fondamentale per la vita del cristiano, perché è qui che Cristo ha compiuto la nostra salvezza ed è qui, veramente – come tanti documenti antichi dicono – che c’è il centro della Terra: non in senso geografico, ma in senso cosmico-teologico. Perciò, ecco, io direi che il contatto con il Sepolcro, anche fisico, per chi ha la fortuna di venire qua, dovrebbe essere un’occasione di crescita nella fede e nell’impegno battesimale.

    D. - Dal punto di vista archeologico, quello che si venera a Gerusalemme è veramente il luogo dove è stato sepolto Gesù?

    R. – Certamente l’archeologia ha il suo valore. Qui ci troviamo in un luogo antichissimo; abbiamo testimonianze archeologiche nelle pietre, e negli anni Sessanta qui sono stati fatti anche degli scavi dai nostri archeologi francescani, specialmente da padre Virgilio Corbo, dello Studium Biblicum Franciscanum, dai quali è risultato che nel primo secolo questa era una cava di pietra non più attiva, fuori dalla città, e che qui venivano crocifissi i criminali; e c’erano anche dei sepolcri, testimonianze di sepolcri antichi anche nella stessa chiesa, che oggi sono ancora visibili. Poi abbiamo testimonianze letterarie, come Eusebio di Cesare che ci racconta della costruzione della magnifica Basilica costantiniana … quindi, l’archeologia qui è molto importante! Certo, è difficile capire, per chi non è preparato, come nella chiesa di oggi siano inglobati tutti questi ricordi archeologici; ma certamente, con un po’ di studio, si riesce a capire come questo luogo, che è stato distrutto diverse volte, è stato sempre ricostruito con lo stesso amore, nello stesso luogo, perché i cristiani hanno creduto che l’evento della salvezza sia veramente successo qui.

    D. – Quanto sono importanti per la Terra Santa i pellegrini e i pellegrinaggi, in questo luogo del Santo Sepolcro che, ovviamente, è il più visitato?

    R. – L’importanza del pellegrinaggio prima di tutto è per gli stessi pellegrini, perché io continuerò sempre a ribadire che venire a Gerusalemme significa ritornare alle origini della nostra fede. Ma è anche importante per la comunità cristiana locale: questo è molto importante, perché la comunità cristiana locale che è molto esigua, come sappiamo – è una piccola comunità – ha bisogno del supporto, non soltanto materiale – certamente, anche del supporto materiale – ma del supporto morale della cristianità. Adesso stiamo vedendo anche tanti pellegrini dall’Oriente, che prima non venivano: si vede la Chiesa universale, nelle sue divisioni ma anche nelle sue ricchezze.

    D. – Una domanda che è un po’ una curiosità: la Basilica del Santo Sepolcro è retta dai francescani di Terra Santa, dagli ortodossi e dagli armeni. Ma come mai è una famiglia musulmana che ogni mattina ne apre il portone?
    R. – Ci sono ragioni storiche. Sappiamo che alla fine del regno crociato, nel 1187, Saladino ha consegnato il diritto dell’apertura della Basilica a delle famiglie musulmane. I cristiani dovevano pagare per entrare nella Basilica. Questa è una cosa che è rimasta nei secoli e sappiamo benissimo che fa parte del famoso “statu quo”, cioè del fatto che qui ci sono delle regole ferree che sono rimaste per lunghi secoli, che oggi sono anche benefiche per questo luogo, nel senso che così c’è una pacifica convivenza delle comunità.

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    Betlemme, il Papa a pranzo con le famiglie palestinesi

    ◊   Domenica, Papa Francesco si sposterà da Amman a Betlemme per vivere la seconda, intensa giornata del suo pellegrinaggio. Il programma prevede in particolare due appuntamenti che richiamano da vicino la profonda sensibilità di un Papa solidale con i più poveri. Dopo la Messa presieduta sulla Piazza della Mangiatoia, Francesco consumerà il pranzo al Convento francescano “Casa Nova” in compagnia di alcune famiglie di rifugiati palestinesi e alcuni indigenti, mentre nel pomeriggio farà visita al campo profughi di Deheisheh. Al microfono del nostro inviato, Roberto Piermarini, il responsabile dei Programmi di assistenza della Pontificia Missione per la Palestina, Giuseppe Hazboun, presenta questi due momenti:

    R. – Rappresentiamo un gruppo di cristiani che soffrono a Gerusalemme, a causa del sistema per la riunificazione delle famiglie, per cui dal 2002 ufficialmente non possiamo ottenere la residenza a Gerusalemme e questo ci è proibito a causa dell’occupazione israeliana, che cerca di trovare metodi sempre nuovi per cacciare via i cristiani e la popolazione della Palestina da Gerusalemme. Noi siamo una delle cinque famiglie e la nostra ha il problema della residenza a Gerusalemme. C’è poi un’altra famiglia di Gaza il cui figlio è stato espulso da Betlemme nel 2002, dopo gli eventi della chiesa della Natività di Betlemme. Una terza famiglia viene da Beit Jala: hanno perso il loro terreno che è stato confiscato dagli israeliani per costruire il muro di separazione tra Betlemme e Gerusalemme. La quarta è una famiglia di Gerusalemme: il figlio è stato messo in prigione perché partecipava alle dimostrazioni che chiedevano la liberazione di Gerusalemme e dei territori palestinesi. La quinta è una famiglia che viene dal nord Israele: provengono da un villaggio cristiano che si chiama Iqrit. Sono stati espulsi dal loro villaggio nel 1948, quando è stato istituito lo Stato di Israele.

    D. – Le ragioni di queste cinque famiglie sono un po’ anche le ragioni per cui molti cristiani lasciano la Terra Santa. Ci sono altre ragioni per cui i cristiani lasciano la Terra Santa?

    R. – Oltre all’occupazione e quello che produce nei nostri riguardi, direi di no. Certamente, ci sono le ragioni economiche, perché l’economia – soprattutto nei territori palestinesi e a Gaza – è tanto dura che molte famiglie cercano di trovare una vita migliore all’estero.

    D. – Un’altra realtà che il Papa vedrà a Betlemme sarà quella dei profughi. Che cosa incontrerà il Papa nei campi profughi di Dheisheh, vicino Betlemme?

    R. – A Dheisheh, poiché lui tiene tanto ai bambini, troverà nei problemi dei bambini un po’ i problemi delle loro famiglie e dei loro genitori. Al campo di Dheisheh incontrerà una trentina di ragazzi che vengono dai tre campi profughi che ci sono a Betlemme: quello di Hasan, quello di Aida e quello di Dheisheh. Lì, anche, troverà un corpo di ballo tradizionale palestinese, formato da bambini e ragazzi.

    D. – Sono tutti profughi musulmani?

    R. – Sì. Purtroppo, tutti e tre i campi profughi a Betlemme sono musulmani.

    D. – Quali sono le problematiche all’interno di questi campi? Queste persone vivono lì dal 1948, dal 1967… A quali problematiche vanno incontro?

    R. – Prima di tutto, sono stati privati della propria casa, e quindi vivono su un pezzo di terra piccolo, pieno di gente: erano quasi 4.000 quando hanno lasciato le loro case, oggi sono quasi 10 mila. Quindi, tutti vivono sullo stesso appezzamento di terra… E poi la mancanza di servizi, ma più di tutto quell’aspirazione a trovare una soluzione giusta per la loro situazione e poter un giorno tornare, se non alla loro propria casa, almeno ad una casa che possano chiamare “loro”.

    D. – Quando finirà questa realtà dei campi profughi? Quando ci sarà la pace tra israeliani e palestinesi?

    R. – Finché non si troverà una soluzione duratura e giusta, non credo che la loro situazione possa risolversi, purtroppo.

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    Lo Yad Vashem attende il Papa, nuovo clima su Pio XII

    ◊   Papa Francesco è atteso con trepidazione anche allo Yad Vashem, a Gerusalemme, dove il Pontefice si recherà in visita lunedì mattina. Nel nuovo memoriale, inaugurato nel 2005, è stata modificata la didascalia sul ruolo di Pio XII durante la Seconda Guerra Mondiale accogliendo le recenti acquisizioni storiche e archivistiche sull’appoggio dato da Papa Pacelli alle azione umanitarie in favore degli ebrei perseguitati dai nazisti. Su questa importante modifica, il nostro inviato a Gerusalemme, Roberto Piermarini, ha intervistato padre Giovanni Caputa, membro della Commissione per i media della visita papale e studioso dei rapporti ebraico-cristiani e, dal 2002 al 2012, segretario della delegazione della Santa Sede nei negoziati con lo Stato d’Israele:

    R. - Due giorni fa a Yad Vashem il chairman, il dottor Avner Shalev, ha tenuto un briefing alla stampa nazionale e internazionale per presentare il programma di questa visita in forma dettagliata. Anzitutto ha esordito dicendo che per lo Yad Vashem sarà un grande onore ricevere Papa Francesco, capo e rappresentante di una comunità di oltre un miliardo e 300 milioni di cattolici. E poi ha aggiunto che sono già ben noti i cordiali rapporti che Jorge Mario Bergoglio in Argentina ha intessuto con gli ebrei e la sua stima per l’ebraismo, come pure la posizione circa la Shoah. Papa Francesco ravviverà la fiamma nella sala della rimembranza e prenderà la parola di fronte alle cariche più alte dello Stato di Israele. Il suo sarà l’unico discorso: anche questo è un segno di grande distinzione. Non ci sarà nessun altro che rivolge un discorso formale.

    D. - Padre Caputa, nel Museo dell’Olocausto è stata modificata la didascalia alla foto di Pio XII, che accusava il Papa per i suoi presunti silenzi durante la persecuzione nazista contro gli ebrei. Come giudica il nuovo testo?

    R. - Dunque, è stata una modifica che è giunta dopo anni di ricerche e così come si presenta è più lunga di quella precedente ed è meglio articolata. Anzitutto non è più intitolata e limitata semplicemente a Pio XII e l’Olocausto, la Shoah, ma il Vaticano e la Shoah. Inoltre smorza il giudizio contenuto nella precedente versione, tenendo conto delle più recenti acquisizioni storiche e archivistiche, dalle quali emergono la complessità della figura di Papa Pacelli, la complessità del periodo storico e l’appoggio da lui dato a tante azioni umanitarie in favore dei perseguitati ebrei durante gli anni terribili della persecuzione nazista. Qui vorrei aggiungere anche un’altra riflessione che è di cronaca, ma anche di storia: la settimana scorsa o forse dieci giorni fa, alla Knesset c’è stata una commemorazione pubblica di San Giovanni XXIII e gli intervenuti hanno sottolineato il grande ruolo che Angelo Roncalli ha svolto quando si trovava come nunzio in Bulgaria e poi ad Istanbul. Hanno espresso la loro riconoscenza, perché realmente ha favorito la venuta qui in Israele di molti che erano perseguitati. Ma questo, Angelo Giuseppe Roncalli non ha potuto farlo contro le indicazioni di Pio XII: da quanto in qua un ambasciatore agisce contro il presidente dello Stato che lo ha mandato. E’ nella logica stessa di un servizio come quello di un nunzio o di un delegato apostolico realizzare alla lettera - si può dire - le indicazioni che vengono date dal Papa. E conoscendo Pio XII quando direttamente lui dava le indicazioni, si può dire che Angelo Giuseppe Roncalli ha agito dietro indicazione di Pio XII. Quindi io vorrei tirare una conclusione che forse è troppo personale, ma vorrei direi che quella commemorazione in favore di San Giovanni XXIII è già un riconoscimento, almeno implicito, del ruolo che Pio XII ha svolto, invitando, incoraggiando i nunzi non solo in Bulgaria o in Turchia, ma anche in Spagna, in Portogallo. Quindi, ritornando alla didascalia, la didascalia tiene conto che dalle ricerche storiche risultano tante azioni umanitarie svolte e promosse direttamente o indirettamente da Pio XII in favore dei perseguitati. Un altro punto importante è che nella nuova didascalia si accenna al passaggio del Radiomessaggio del dicembre 1942,in cui il Papa parlava della sorte delle centinaia di migliaia di persone delle quali, senza avere una colpa propria, talvolta solo per ragioni di nazionalità o di stirpe, sono destinate a morte o in progressivo deperimento. Questo era un esplicito riferimento a quel che stava capitando.

    D. - Sappiamo che gli ultimi nunzi - sia mons. Sambi, sia mons. Franco - si sono battuti per questa modifica…

    R. - Certamente mons. Sambi e mons. Franco, con il quale ho avuto il piacere di collaborare, sono stati sempre molto attenti a invitare ad una posizione oggettiva. Ricordo molto bene che il primo anno del suo ministero, del suo servizio qui in Israele, mons. Franco si rifiutò di andare alla celebrazione pubblica allo Yad Vashem proprio perché non condivideva la didascalia, la precedente didascalia che era completamente contraria ai dati oggettivi e storici e poi, in parte, anche un po’ offensiva. Quello è stato l’inizio di un dialogo cordiale - come mons. Franco sapeva fare - per avvicinare gli studiosi di entrambe le parti e per chiedere loro che si concentrassero sui documenti d’archivio, al di là degli stereotipi di certo giornalismo sensazionalistico. Quindi gli studiosi qui in Israele e in molte parti del mondo hanno preso questo come un compito e per anni hanno ricercato negli archivi. Si è giunti così al marzo del 2009, quando Yad Vashem congiuntamente con la Facoltà di teologia Salesiana di Gerusalemme, hanno organizzato questa giornata di studio solo per specialisti. Lì è apparso come ci siano ancora delle posizioni diverse, divergenti, però si è creato un clima di fiducia e un’intesa condivisa tra gli storici per lasciare i toni polemici o ideologici e per andare invece ai dati di fatto e ai documenti storici.

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    Scambio di messaggi tra il Papa e Napolitano

    ◊   “Nel momento in cui mi accingo a compiere il mio pellegrinaggio in Terra Santa, a cinquant'anni dallo storico viaggio del venerabile Paolo VI, al fine di pregare per la giustizia e la pace e per incoraggiare il dialogo ecumenico e interreligioso, desidero rivolgere a lei, signor presidente, e al popolo italiano il mio cordiale saluto, che accompagno con sinceri auspici per il bene spirituale e sociale della diletta Italia". E' quanto scrive Papa Francesco nel telegramma inviato al presidente della Repubblica italiana Giorgio Napolitano in occasione della partenza per la Terra Santa.

    Nella sua risposta, il capo di Stato si dice “certo” che questo “pellegrinaggio sarà foriero di un messaggio di speranza per tutti coloro che si impegnano a portare pace e stabilità in quella terra cui anche l'Italia è legata da importantissimi vincoli storici e religiosi".


    Messaggi augurali di pace e benedizione sono stati indirizzati da Papa Francesco anche ai presidenti di Grecia, Cipro e Israele, Paesi sorvolati nel viaggio verso Amman.

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    Beati i martiri padre Vergara e il catechista Ngei Ko Lat

    ◊   Questa sera, nella Cattedrale di Aversa, Messa con rito di beatificazione di Mario Vergara, sacerdote del Pime, Pontificio Istituto Missioni Estere, e di Isidoro Ngei Ko Lat, catechista, entrambi martiri. La loro morte, avvenuta in Birmania, l'attuale Myanmar, risale al 1950. In rappresentanza del Papa presiede la celebrazione il cardinale Angelo Amato, prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi. Sulla figura di questi due nuovi Beati, il servizio di Adriana Masotti:

    Padre Mario Vergara era nato a Frattamaggiore, Napoli, nel 1910. Fin da piccolo aveva desiderato farsi sacerdote e servire Dio come missionario in terre lontane. Entrato nel Pime, nel 1934 fu destinato alla Birmania dove si dedicò in particolare all’assistenza e alla cura dei più deboli e degli ammalati, facendosi amare e stimare da tutti. Scoppiata la Seconda guerra mondiale, avendo l’Italia dichiarato guerra all’Inghilterra che aveva il protettorato sul Paese asiatico, tutti i missionari italiani vennero considerati fascisti e inviati nei campi di concentramento inglesi in India. Così anche padre Vergara, che dopo tre anni poté però rientrare in Birmania e fondare una nuova missione con l’aiuto del catechista indigeno Ngei Ko Lat. Nel ’48 dopo l’indipendenza dall’Inghilterra, nel Paese scoppia la guerra civile e cominciano gli atti di violenza e di intimidazione nei confronti dei cattolici: padre Mario e Isidoro vennero arrestati come spie del governo centrale. La riflessione del cardinale Angelo Amato:

    "La missione di padre Vergara era avversata dagli stregoni locali e dai guerriglieri antigovernativi. I capi di questi ultimi avevano un profondo odio verso la fede dei cattolici e camuffarono questa avversione con l'accusa di spionaggio. Era un'accusa completamente falsa. Padre Vergara, infatti, in quel confuso periodo socio-politico aveva scelto la via evangelica della pace e della concordia fraterna. Ma questo non bastò. Il 24 maggio 1950, padre Vergara e Isidoro furono arrestati al mercato mentre facevano gli approvvigionamenti per i bambini della missione. Di notte furono portati lungo il sentiero, che costeggia il fiume Salwen e fucilati all'alba. Così riferiscono gli abitanti di un villaggio vicino al fiume, che udirono colpi di fucile in direzione del fiume. Un testimone aggiunge che i martiri furono chiusi in sacchi, si sparò loro addosso e poi caricati su di un elefante furono gettati nel fiume. Pochi giorni dopo, i sacchi con le salme sfigurate del sacerdote e del catechista furono recuperate da alcuni pescatori, che, impauriti da quel macabro ritrovamento, le rigettarono in acqua".

    Il 9 dicembre 2013 Papa Francesco ha decretato il riconoscimento del loro martirio. Isidoro Ngei Ko Lat è il primo Beato della Birmania. Ancora il cardinale Amato:

    "La morte dei due martiri non è dipesa da motivi tribali o politici, ma unicamente da sentimenti di odio contro la fede cattolica. Entrambi i nostri martiri erano persone di profonda fede. Il loro martirio fu il coronamento di una vita spesa per il Regno di Dio. Entrambi sono stati testimoni fino all'ultimo di Gesù, spargendo il loro sangue per la conversione dei popoli alla pace e alla concordia fraterna".

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    Francesco nomina tre nuovi vescovi ausiliari di Milano

    ◊   Papa Francesco ha nominato vescovi ausiliari dell’arcidiocesi metropolitana di Milano mons. Franco Maria Giuseppe Agnesi, del clero della medesima arcidiocesi, finora vicario episcopale della zona pastorale seconda (Varese), assegnandogli il titolo vescovile di Dusa; il rev.do padre Paolo Martinelli, O.F.M. Cap., finora preside dell’Istituto di Spiritualità Francescana della Pontificia Università Antonianum, in Roma, assegnandogli il titolo vescovile di Musti di Numidia e mons. Pierantonio Tremolada, del clero della medesima arcidiocesi, finora docente e vicario Episcopale per l’Evangelizzazione e i Sacramenti, assegnandogli il titolo vescovile di Massita.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   In prima pagina, un editoriale del direttore sul viaggio di Papa Francesco in Terra Santa.

    Quando irrompe la grazia: il cardinale Gianfranco Ravasi sulle dinamiche della fede.

    Forte della propria debolezza: Felice Accrocca sul viaggio di san Francesco nelle terre d'Oltremare e l'incontro con il sultano.

    Traduzioni scivolose: Cristiana Dobner sulla Bibbia ebraica riletta da Lapide.

    Un articolo di Andrea Possieri dal titolo "Tra ricerca e pacificazione": a Gorizia un nuovo premio di storia contemporanea.

    Il presidente e la trattativa: Pierluigi Natalia sulla Colombia al voto per eleggere il capo dello Stato.

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    Oggi in Primo Piano



    Elezioni in Ucraina, vigilia tormentata dagli scontri

    ◊   Vigilia di sangue per le elezioni presidenziali in Ucraina. Un leader dei filorussi è stato ucciso in un attentato rivendicato dal candidato nazionalista Liashko. Il voto, dunque, è caratterizzato da un clima di alta tensione che getta ombre sulla validità delle elezioni da un punto di vista degli standard internazionali. Stesse perplessità sono state espresse dal presidente russo Vladimir Putin che, tuttavia, intende rispettare la scelta del popolo ucraino. Grande favorito per la vittoria il magnate del cioccolato Petro Poroshenko. Gianmichele Laino ha intervistato Fulvio Scaglione, vicedirettore di Famiglia Cristiana:

    R. – E’ un’elezione che si svolge, mentre una parte del Paese è in piena guerra civile. Abbiamo visto che i dati ormai parlano di 150 morti: si può parlare di una guerra civile, con una regione che si è staccata e che non voterà. Facendo un calcolo molto sommario, considerando i due milioni di abitanti della Crimea, considerando che la sola Donetsk ha quasi un milione e mezzo di abitanti, considerate tutte le difficoltà, il 10 per cento degli ucraini almeno non parteciperà alle votazioni, non perché non andrà a votare o si asterrà, ma perché proprio non può. E’ un po’ difficile considerare regolare quest’elezione.

    D. – Proteste, dunque, e boicottaggi potrebbero condizionare il voto?

    R. – Il voto è già deciso. Il presidente sarà Petro Poroshenko, l’ennesimo miliardario, che si succederà alla guida dell’Ucraina, questa volta dietro il paravento della democrazia.

    D. – E’ lui il leader che in questo momento serve all’Ucraina?

    R. – Quello che serve all’Ucraina non è ben chiaro. E’ chiarissimo invece chi controlla l’Ucraina ed è un ristretto pugno di oligarchi – un centinaio di persone – che vengono tutte dalle città dell’Est, Donetsk e Dnipropetrovsk, e che dagli anni ’90 sono, di fatto, i padroni del Paese, della politica e dell’economia. Poroshenko è il più recente di una lunga lista.

    D. – Putin ha detto che rispetterà la scelta del popolo ucraino, pur esprimendo riserve sulla legittimità del voto. La sua affermazione è dovuta all’esito dei sondaggi, appunto, che darebbero in testa Poroshenko, che sembra aver assunto una posizione più conciliante rispetto alla Russia?

    R. – Io credo che Putin non abbia alcun interesse a non avere un interlocutore preciso, chiunque esso sia. Un interlocutore per Putin, quindi, è meglio di nessun interlocutore. Inoltre Putin sa benissimo quello che dicevo un attimo fa: in Ucraina non è una questione di sinistra, destra, democrazia, dittatura, è semplicemente una questione di rinnovare gli equilibri al vertice, che sono sempre stati decisi da questo ristretto gruppo di oligarchi dell’economia, cui Poroshenko appartiene. Poroshenko è noto per essere il re del cioccolato, per le industrie dolciarie, ma ha interessi nel petrolio, nell’industria automobilistica e nei media. Quindi Putin sa che con un interlocutore così potrà in qualche modo parlare e vedere di trovare un’intesa.

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    Bosnia: dopo le alluvioni, rischio epidemie e mine antiuomo

    ◊   Un milione di persone in stato di pericolo e di bisogno, senza acqua corrente; 47 morti accertati; decine di migliaia di sfollati, e ora anche il rischio epidemie: sono alcune delle conseguenze delle alluvioni che, nei giorni scorsi, si sono abbattute sui Balcani, le peggiori degli ultimi 120 anni. Francesca Sabatinelli ha intervistato Azra Ibrahimovic Srebrenica, coordinatrice per il Cesvi della “Casa del Sorriso” di Srebrenica, danneggiata dalle piogge e per la quale l’Ong ha appena attivato una campagna di raccolta fondi:

    R. – Con il sole e il bel tempo le acque si stanno ritirando, ma purtroppo è stata colpita una vasta zona, fra l’altro in pianura, ed è quindi molto difficile che ciò avvenga dappertutto. Ci sono migliaia di animali morti e ora, fra il ritiro delle acque, il sole e l’alta temperatura, c’è un forte rischio di epidemie. Non dimentichiamo inoltre che le acque hanno mosso molti serpenti ed ora la gente, quando va nelle case o nei giardini a pulire, si ritrova, oltre al problema dell’epidemia anche quello dei serpenti. Non si finisce mai, purtroppo. C’è una lunga serie di problemi, come quello degli sfollati, tutte le persone che non riescono a tornare nelle proprie case distrutte dalle valanghe e dalle frane. Non si capisce quindi ancora da dove ripartire.

    D. – Da parte della comunità internazionale avete ricevuto aiuti. Di cosa c’è bisogno ancora?

    R. – In questo momento c’è bisogno del materiale di prima emergenza, a partire dal cibo, dai kit igienici, dai kit di riparazione, dalle pompe che aspirano acqua, e in più servirà anche la forza umana, per aiutare a ripulire tutto. Un altro problema sarà poi quello che dicevo prima degli sfollati, di chi in questo momento è provvisoriamente sistemato nelle scuole e nelle caserme. Parlo di tutti coloro che hanno perso le case, che sono state completamente distrutte, e che a causa delle frane hanno perso anche i terreni, queste aree non sono più vivibili. C’è bisogno sicuramente anche di materiale sanitario, visto che si prospetta il pericolo di epidemie. Sono arrivati gli aiuti internazionali, il giorno dell’evacuazione l’Unione Europea ha mandato gli elicotteri e le squadre dei soccorritori con i gommoni. Adesso si sta mobilizzando tutta la diaspora: i bosniaci che vivono all’estero stanno raccogliendo gli aiuti da mandare in Bosnia. Si sono attivati Paesi come l’Austria, la Germania e così via. Anche gli amici della Bosnia in Italia si stanno mobilitando per mandare aiuti. E poi la gente in Bosnia si è mobilitata immediatamente quando è stato detto che serviva aiuto e serviva di tutto. C’è stata un’enorme solidarietà all’interno del popolo bosniaco. Questo è uno degli aspetti positivi della situazione.

    D. – Una forte solidarietà, indipendentemente dall’etnia e dalla religione...

    R. – Assolutamente. Quello che non è riuscita a fare e, anzi, che non ha voluto fare la politica di questo Paese, della Bosnia ed Erzegovina, sono riusciti a farlo i suoi cittadini, che si aiutavano indipendentemente dall’etnia. La catastrofe quindi non ha un nome, non ha una nazionalità, non ha un gruppo etnico. La gente non si è mai posta la domanda di chi andava ad aiutare. Andava ad aiutare le persone in pericolo.

    D. – Un altro gravissimo problema è quello delle mine antiuomo. Sappiamo che dalla guerra di Bosnia sono decine di migliaia le mine antiuomo sepolte in tutto il territorio. Gli smottamenti le stanno portando alla luce, le stanno smuovendo...

    R. – Come dicevo prima, un problema supera l’altro. Le zone minate erano vicine ai fiumi che si sono gonfiati in proporzioni incredibili, le acque hanno portato via le mine dalle zone minate che erano più o meno segnalate, ma adesso le acque hanno distrutto tutto e hanno smosso le mine. Esiste, dunque, anche questa emergenza. Si sono già verificati casi in cui la gente, rientrando a casa, nel giardino ha trovato alcuni ordigni inesplosi. Un altro problema, quindi, che si sta cercando di capire come risolvere. Si rivolgono appelli alla popolazione affinché non si tocchino gli oggetti trovati nelle case o nei pressi delle abitazioni, e invitandola a chiamare polizia o protezione civile in caso di sospetto.

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    Mons. Galantino apre convegno Scienza e Vita su affettività e sessualità

    ◊   "Quando come Chiesa parliamo di amore e sessualità, sembra che sia semplicemente per negare o per proibire. Siamo chiamati a raccogliere con passione e convinzione la sfida educativa su questo fronte evitando la sindrome dell’imbarazzo”. Così il segretario generale della Cei, mons. Nunzio Galantino, questo pomeriggio aprendo a Roma il convegno dell’associazione "Scienza e Vita" sul tema “Amore e Vita. Questioni di cuore e di ragione”. Tra gli argomenti al centro del dibattito il valore della corporeità, l’ideologia del gender e l’importanza dell’educazione all’affettività per la società contemporanea. Su quest’ultimo aspetto mons. Galantino si sofferma al microfono di Paolo Ondarza:

    R. - Teniamo presente che sono tematiche che, lo si voglia o no, sono presenti nella vita di ognuno. Non dico solo nella vita dei giovani perché ognuno di noi è chiamato ad amare dall’inizio alla fine della vita. All’amore ci si educa, allora l’importanza è davvero non perdere mai la voglia di formarsi, di formare e di motivare i propri gesti, le proprie scelte in questa direzione.

    D. - Tanti i temi affrontati in questo convegno, dal rispetto del proprio corpo, al tema della teoria del gender che tante sfide pone alla contemporaneità. Cosa si può dire a riguardo?

    R. - Le soluzioni, le risposte, perché non siano risposte ideologiche - come purtroppo sembrano essere in questo momento, frutto soltanto di lobby di pensiero – debbono avere come antidoto quello di attrezzarci culturalmente e saper dare ragione - come dice Pietro - delle affermazioni che facciamo e delle scelte che facciamo; e di ragioni nell’ambito dell’affettività e della sessualità, sul piano antropologico, ne abbiamo veramente tante.

    D. - Riprendendo concetti che ha trattato: "Stare nel mondo superando la sindrome dell’imbarazzo", ma “no a battaglie da retroguardia”…

    R. - Assolutamente, perché le battaglie da retroguardia non servono a niente, non servono a nessuno. Mostrare i muscoli, nemmeno quelli del pensiero - ammesso che ci siano - non serve a nessuno; serve, invece, il dialogo, serve il confronto non frutto di pigrizia mentale, ma il confronto che è frutto di una conoscenza, di una consapevolezza ben motivata.

    Sulle motivazioni che hanno indotto “Scienza e Vita” a scegliere di approfondire quest’anno il legame tra affettività e sessualità, Paolo Ondarza ha intervistato la presidente dell’Associazione, Paola Ricci Sindoni:

    R. - Il tema veramente è partito dai giovani della nostra associazione, all’indomani di quella notizia inquietante delle baby squillo romane. È stato da loro richiesto appunto un momento di riflessione, di approfondimento sul binomio sessualità- amore.

    D. - Colpisce il tema di questo convegno: “Amore e vita”, che ricorda un po’ anche il nome della vostra associazione “Scienza e Vita”. Viene da chiedersi: cosa ha a che fare la scienza con l’amore?

    R. - Ha a che fare perché intanto c’è tutta la grande questione della “procreatica”, delle tecniche di fecondazione in vitro, i temi dei medicinali che sono, ahimè, anche abortivi e non semplicemente capaci di bloccare l’ovulazione. Ci sono tante tematiche che hanno una loro rilevanza anche in ambito pubblico, in cui i giovani hanno pochi strumenti, capacità per capire bene.

    D. – L’intenzione è quella di andare al cuore della definizione dell’amore, ne esistono tante e spesso fuorvianti. C’è, potremmo dire, un certo analfabetismo a riguardo…

    R. - Assolutamente sì. Spesso si fa riferimento all’esperienza: è vero che l’esperienza fa conoscenza ma è anche vero che se l’esperienza non è guidata, non è orientata, diventa semplicemente un bruciare energie affettive, cognitive, vuote fini a se stesse.

    D. - E’ importante dire che l’approccio del vostro convegno non è quello di uno scontro con chi la pensa diversamente…

    R. - No, questa è una delle intenzioni proprie di "Scienza e Vita": utilizzare tutti gli strumenti dialogici, in maniera tale che i nostri valori siano argomentati razionalmente. Quindi, massima apertura per il confronto.

    A richiedere l’approfondimento sulle tematiche dell’affettività e della sessualità sono stati soprattutto i giovani che da tutta Italia hanno sollecitato "Scienza e Vita" ad interrogarsi sulle sfide poste dalla teoria del gender. Su questo Paolo Ondarza ha intervistato Massimo Gandolfini, vicepresidente dell’Associazione:

    R. – Riteniamo che sia un tema attualissimo. I fraintendimenti, le confusioni, che esistono su due tematiche che sono diverse, complementari fra loro - quale l’affettività e la sessualità - ci hanno spinto a dire che forse sarebbe utile fare un po’ di chiarezza, soprattutto nei confronti dei giovani. L’uomo ha bisogno di relazione per vivere e per vedere completata in pienezza la propria vita. Una forma particolare di relazione è la relazione affettiva, affettiva dal punto di vista della passione, dell’intimità, della reciprocità. E questo è il punto di partenza: dalla relazione affettiva si può anche arrivare poi alla relazione di tipo sessuale. Ci sembra di leggere nella nostra società contemporanea un trend esattamente opposto: si parte cioè dall’idea che la prima relazione sia una relazione di natura sessuale, tanto che oggi si parla, si usa dire ‘fare sesso’, e poi eventualmente dal ‘fare sesso’, si prova - se vale la pena e se ci sono le condizioni - di creare un rapporto di tipo affettivo. Ecco, vorremmo dire che il trend che è scritto nel biologico dell’uomo non è questo, ma è quello precedente.

    D. - E’ significativo che la tematica sia stata scelta in base ad una richiesta, che è partita dai giovani e non quindi imposta dall’alto, no?

    R. – Esatto, noi praticamente abbiamo dato voce alle richieste, che ci sono pervenute da ogni parte d’Italia, da parte di associazioni, di gruppi, di movimenti, ma anche di singoli giovani, che volevano vederci chiaro, perché oggi questo scontro e questo veleno, che sta serpeggiando, dell’ideologia di genere, per cui non esistono più i due generi, maschile e femminile, ma stanno diventando ogni giorno sempre più numerosi - siamo passati a 27 e oggi a 56 - sembra che sia una valanga inarrestabile. E la cosa che ci ha fatto più piacere è che i primi a dire: “Ragazzi, cerchiamo di mettere un po’ di ordine in questa confusione”, sono stati proprio i giovani, non solo perché sono i più interessati direttamente, ma perché sono anche le vittime.

    D. – Questo è un dato significativo, se pensiamo a come proprio la teoria del gender, in diversi Paesi d’Europa, in alcuni casi pure in Italia, stia arrivando anche nelle scuole...

    R. – Questo probabilmente è il lato più preoccupante. Si sta cercando di far passare l’ideologia di genere come un’impostazione antropologica sulla quale costruire le prossime generazioni. L’introduzione, quindi, dell’ideologia di genere nelle scuole, nell’ambito delle materie di educazione all’affettività, alla sessualità, crea ancora più confusione e, mi permetta di dire, butta nel cassonetto 150 anni di psicologia dello sviluppo, che ci dicevano come deve essere seguito, curato e accudito il bambino. Oggi viene buttata sul mercato un’ideologia aggressiva, che noi riteniamo essere una vera e propria scure posta sulla radice dell’umano e penso che abbiamo il diritto, oso dire abbiamo il dovere, di intervenire per evitare che questo passi, perché questo è in grado di trasformare l’umano. Guardi che non faccio riferimento a delle categorie di ordine religioso o confessionale, faccio riferimento a delle categorie di ordine antropologico. L’umano condiviso vuole che la rappresentazione dell’uomo sia maschio, femmina, che in questa rappresentazione entri una complementarietà che è fatta di affetto, di sesso, ricchissima. E’ questo l’umano; il resto sono categorie antropologiche, ideologiche, che non hanno nulla a che fare con l’umano.

    D. – E andare ad incidere in un processo evolutivo in cui l’identità sessuale è in formazione, è un abuso ?

    R. – Teniamo presente che questo progetto dovrebbe partire addirittura dalle scuole primarie, cioè dalle scuole elementari, anzi qualcuno ventila che qualcosa si potrebbe già fare nelle scuole materne. Allora, un bambino delle scuole elementari è una tavoletta di cera e come verrà plasmata quella tavoletta, dipende dall’impronta che io metto. Ecco, l’idea che possiamo plasmare i bambini delle scuole elementari inculcando loro il concetto che il loro sesso biologico è ininfluente e che possono scegliere un sesso “culturale” che è il genere, trovo che sia un’offesa alla dignità dell’uomo.

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    Affidati a Maria: i cinesi festeggiano la Vergine di Sheshan

    ◊   Il 24 maggio ricorre la “Giornata di preghiera per la Chiesa in Cina”, indetta da Benedetto XVI con la sua storica Lettera ai cattolici cinesi, pubblicata il 27 maggio del 2007. In questo giorno, i fedeli festeggiano la memoria liturgica di Maria Aiuto dei cristiani, venerata nel santuario di Sheshan, vicino Shanghai. Il servizio di Alessandro Gisotti:

    Tutti i fedeli sono chiamati a pregare per i fratelli in Cina. Lo chiedeva Benedetto XVI nella sua Lettera ai cattolici cinesi del 2007, lo chiede oggi Papa Francesco. Nell’ultima udienza generale, il Pontefice ha esortato a “pregare affinché, sotto la protezione della Madre Ausiliatrice, i cattolici in Cina continuino a credere, a sperare e ad amare e siano, in ogni circostanza, fermento di armoniosa convivenza tra i loro concittadini”. Speranza è la parola che ricorre più volte anche nel documento di Benedetto XVI che si conclude con una preghiera alla Vergine di Sheshan, “Madre della Chiesa e Regina della Cina”, che “nell'ora della Croce ha saputo, nel silenzio della speranza, attendere il mattino della Risurrezione”.

    Sono in tanti, in queste ore, i pellegrini cinesi che si recano al Santuario mariano di Sheshan, oasi di silenzio e preghiera, a pochi chilometri dalla frenetica vita metropolitana di Shanghai. E tantissimi sono i fedeli cinesi che, sparsi per il mondo, si affidano oggi a Maria con fiducia, rivolgendo idealmente lo sguardo all’immagine di Maria con Gesù Bambino in braccio, custodita nel luogo di culto più grande sul territorio cinese.

    La Giornata di preghiera viene vissuta con particolare intensità, anche, dalla comunità di cattolici cinesi italiani. Almeno 300 di loro sono oggi in pellegrinaggio al Sacro Volto, al Santuario della Consolata e in diverse chiese della diocesi di Torino. “La vita dei cristiani cinesi non è facile”, ha detto – ad AsiaNews - un sacerdote di Milano che segue la comunità locale di cattolici cinesi. “Per questo – ha sottolineato – l'appello del Papa è fondamentale, perché invita il mondo a pregare per la Chiesa in Cina. E ne abbiamo davvero bisogno”.

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    Il commento di don Ezechiele Pasotti al Vangelo della Domenica

    ◊   Nella sesta Domenica di Pasqua, la liturgia ci propone il Vangelo in cui Gesù dice ai suoi discepoli:

    “Se mi amate, osserverete i miei comandamenti; e io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre, lo Spirito della verità, che il mondo non può ricevere perché non lo vede e non lo conosce”.

    Su questo brano evangelico, ascoltiamo il commento di don Ezechiele Pasotti, prefetto agli studi nel Collegio Diocesano missionario “Redemptoris Mater” di Roma:

    Il tempo di Pasqua corre verso il suo compimento: l’Ascensione e la Pentecoste. La parola di Gesù ai suoi discepoli è innanzitutto un invito pressante all’amore che, nella fede e dalla fede, diventa osservanza dei comandamenti, poi preghiera al Padre perché invii “l’altro Paraclito” che rimanga sempre presso di loro e in loro. Gesù stesso, nella 1 Gv 2,1 è detto Paraclito “… Se qualcuno ha peccato, abbiamo un Paraclito presso il Padre: Gesù Cristo, il Giusto”. Il Signore chiede che ci sia dato un Paraclito, un avvocato, un difensore, un consolatore, che rimanga sempre con noi: lo Spirito Santo. S. Ireneo usa un’immagine ardita parlando del Figlio e dello Spirito Santo come delle due mani con cui il Padre, come un vasaio, modella ognuno di noi come un vaso prezioso: al di dentro (lo Spirito Santo) e al di fuori (Cristo Gesù). Lo Spirito Santo, che è la “stessa Libertà divina”, che è “la stessa Fedeltà di Dio” (T. Federici), collabora con la libertà dell’uomo e con la sua fragilità perché possa compiersi in ognuno di noi il Disegno salvifico dell’amore del Padre. Ecco la bellezza e la profonda verità di quel: “Non vi lascerò orfani”. Cristo ritorna al Padre e il mondo non lo vedrà più, ma ci assicura che “voi mi vedrete, perché io vivo e voi vivrete”. Ecco il motivo della gioia pasquale, Cristo Risorto, mediante il suo Spirito, viene ad abitare in noi, il Suo Spirito si fa spazio dentro di noi, tocca il nostro spirito e i due diventano una cosa sola: siamo la sposa di Cristo, pronta ad aiutare lo Sposo nella sua opera per la salvezza dell’umanità intera.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Si vota per le europee in Lettonia, Malta e Slovacchia

    ◊   Prosegue il voto per le europee, oggi alle urne Lettonia, Malta e Slovacchia e per il secondo giorno Repubblica Ceca, che ieri ha votato assieme all’Irlanda dove gli elettori si sono espressi anche per le legislative. Tutti gli altri 21 Paesi dell’Unione Europea voteranno domani, con l'Italia che sarà l’ultima a chiudere i seggi alle 23. Da rinnovare il parlamento con l’assegnazione di 751 posti, per la prima volta potranno influire sulla nomina del presidente della Commissione europea. Si terrà conto dell’esito delle urne, i cinque maggiori partiti sono guidati da seguenti candidati: il Pse ha scelto Martin Schulz, i moderati del Ppe Jean-Claude Juncker, i liberali dell’Alde Guy Verhofstadt, i verdi Ska Keller e José Bové e la Sinistra Europea Alexis Tsipras.

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    Attacco di Al Qaeda al parlamento somalo, numerose le vittime

    ◊   In Somalia, il movimento jihadista di al-Shebaab ha rivendicato l’attacco di oggi contro la sede del parlamento, nel cuore di Mogadiscio. L’assalto è stato condotto prima con un’autobomba, subito dopo l’irruzione dei terroristi che hanno sparato uccidendo numerose persone. Imprecisato il numero dei feriti, specie tra i deputati e le guardie del servizio di vigilanza. Per ora, i morti accertati sono 8 ma il bilancio è destinato a salire.

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    Campagna sul web contro la pena di morte per minori nelle Maldive

    ◊   Ha preso il via la campagna di mobilitazione online per boicottare le Maldive, affascinante meta turistica nell’Oceano Indiano. Dallo scorso 27 aprile, è stata introdotta la legge islamica nel Paese e con l'applicazione del nuovo codice, ispirato ai dettami più rigorosi della religione musulmana, entra in vigore la pena di morte nei casi di omicidio anche per i minori di età. Il provvedimento, riferisce Asianews, mette fine a 60 anni di moratoria per le esecuzioni capitali. Secondo le norme previste, la responsabilità penale è fissata ai 10 anni di età ma, in alcuni casi come furto, consumo di alcol e apostasia, viene applicata a partire dai 7. Resta tuttavia valido il principio secondo cui la sentenza non può essere seguita se non alla maggiore età, quindi un minore condannato deve aspettare nel braccio della morte fino al compimento dei 18 anni.

    Numerose le condanne da parte delle Nazioni Unite e dell'Unione Europea. Ieri, i tour operator francesi hanno scritto alle autorità per denunciare le ripercussioni delle decisioni sul turismo. Nelle Maldive, abitate da poco più di 350 mila persone, non esiste libertà di culto e l'islam sunnita è religione di Stato. Nel 2008, un emendamento costituzionale ha negato ai non musulmani la possibilità di avere la cittadinanza. Nel Paese l'alcool e la carne di maiale possono essere serviti solo in aeroporto e nei resort dove non lavora personale del luogo.

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    On line la pagina araba di vatican.va

    ◊   Dalla mezzanotte di ieri è disponibile in arabo il sistema "vatican.va", che comprende il sito web www.vatican.va, il sito mobile, il widget, l’app vatican.va per Android e per Apple, per mobili e tablet.Per poter accedere alla selezione delle lingue, si suggerisce di utilizzare "Google Chrome", anziché il consueto "Explorer". La versione in arabo del sito "vatican.va" è stata aperta in occasione del viaggio del Papa in Terra Santa, che riguarda molte persone nel mondo arabo. Si tratta principalmente di un sito di documentazione e non di informazione e attualità.

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    Card. Scola: gli oratori, scuola di fede e presenza civica

    ◊   Festoso incontro ieri sera tra il cardinale Angelo Scola, arcivescovo della diocesi di Milano, e i quasi diecimila educatori degli oratori estivi ambrosiani riuniti in Piazza Duomo nel capoluogo lombardo. “Lanciatevi con energia in questa avventura straordinaria che è l’Oratorio – ha detto il porporato – e fatelo insieme come una comunità che educa”. Il cardinale Scola ha ricordato che l’oratorio “è uno dei fatti ecclesiali più importanti di tutta la via della Chiesa” a anche “uno dei fatti sociali e civili più decisivi”, soprattutto per la rinascita del Paese “che ne ha tanto bisogno”. Già dal pomeriggio si sono susseguite diverse iniziative con stand e laboratori vari. Anche il capo della Chiesa ambrosiana ha preso parte alla festa intitolata, così come il tema dell’Oratorio estivo 2014, “Piano Terra” e che si sofferma sul contesto simbolico dell’abitare là dove è venuto a dimorare il Signore.

    Dopo la musica e le testimonianze, il cardinale Scola ha dato il mandato agli animatori invitandoli a educare e ad accompagnare gli altri nelle cose concrete della vita. “Impariamo a volerci bene nella verità, nella bellezza e nella bontà – ha detto – vi prego, vi scongiuro, di comunicare questo ai nostri piccoli”. Infine, la benedizione davanti alle sette fiaccole che, in questi mesi, hanno girato alcune zone pastorali della diocesi. Poi il pensiero del porporato ai bimbi che hanno bisogno, a quelli “che ancora soffrono la fame in Africa, ai ragazzi che sembrano avere il futuro impedito, a chi vive il martirio cristiano, perché solo circondando il male con bene lo si vince”. “L’Oratorio – ha concluso – è una grande scuola di amore e vi insegnerà a fare le scelte giuste. Anche se ci sono nubi per il futuro, il sole vincerà, perché voi siete capaci di affrontare con energia ogni nebbia”.

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVIII no. 144

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    E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.