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Sommario del 23/05/2014

Il Papa e la Santa Sede

  • Francesco a Santa Maria Maggiore alla vigilia del viaggio in Terra Santa
  • Mons. Lahham: in Giordania cristiani e musulmani vivono bene insieme
  • Mons. Shomali: anche gli ortodossi vogliono vedere Francesco
  • Card. Sandri: Francesco in Terra Santa rafforza la presenza cristiana
  • Mons. Tomasi: Convenzione tortura, riconosciuto impegno Santa Sede
  • Conclusi lavori Commissioni referenti, il grazie del Papa
  • Tweet del Papa: vivere con fede vuole dire mettere tutta la nostra vita nelle mani di Dio
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Golpe Thailandia: duro colpo per l'economia del Paese
  • Ucraina: nuovi scontri tra militari di Kiev e filo-russi
  • Europee: al voto Irlanda e Repubblica Ceca
  • Pakistan, nuovi raid aerei nel Waziristan del Nord
  • Bagnasco: dal Papa nuovo slancio per trasmettere la fede agli italiani
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Bombe su comizio elettorale pro Assad: 21 morti a Daraa
  • Disordini in Turchia: due persone uccise a Istanbul
  • Alluvioni in Bosnia e Serbia: cresce il bilancio delle vittime
  • "Operazione speranza": Taizè in aiuto di Sud Sudan e Corea del Nord
  • Spagna: la Caritas sfida la disoccupazione con progetti mirati
  • Anniversario strage Capaci, Napolitano: resistere a intimidazioni mafia
  • Presentata a Roma la 13.ma Giornata nazionale del Sollievo
  • Pubblicato il testamento spirituale del card. Marco Cè
  • Al via a Torino le celebrazioni dei Salesiani per la festa di Maria Ausiliatrice
  • Il Papa e la Santa Sede



    Francesco a Santa Maria Maggiore alla vigilia del viaggio in Terra Santa

    ◊   Questa mattina Papa Francesco si è recato in forma privata nella Basilica di Santa Maria Maggiore per pregare e raccomandare alla Madonna l’imminente viaggio in Terra Santa. Dopo la preghiera – che è durata circa 15 minuti – il Pontefice ha offerto un mazzo di rose alla Madonna.

    E’ l’ottava volta che Papa Francesco si reca a Santa Maria Maggiore: la prima volta il 14 marzo, il giorno dopo l’elezione. L’arciprete della Basilica, il cardinale Santos Abril y Castelló, ricorda che la sera stessa dell’elezione, il 13 marzo, era a cena con Francesco che gli disse: “Voglio andare a fare una visitina alla Madonna domani, per collocare sotto la sua protezione tutto il mio Pontificato”.

    Il porporato sottolinea la grande devozione mariana di Papa Francesco che recentemente ha invitato i fedeli a recitare tutti i giorni il Rosario. Il Papa – ha affermato il cardinale Abril y Castelló – viene a Santa Maria Maggiore sempre “con grandissimo piacere perché trova nella Madre la guida, l’ispirazione per tutta la sua azione”.

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    Mons. Lahham: in Giordania cristiani e musulmani vivono bene insieme

    ◊   Domattina alle 8 il volo papale decollerà dall’aeroporto di Fiumicino alla volta della Giordania, dove l’arrivo è previsto per le ore 13, ora locale. Cinquantamila sono i fedeli annunciati alla Santa Messa all’International stadium di Amman e più di mille i giornalisti accreditati, provenienti da tutto il mondo nella capitale giordana per seguire la prima giornata del secondo viaggio internazionale di Papa Francesco. Da Amman, il servizio del nostro inviato Fabio Colagrande:

    Solo per poche ore domani la Giordania sarà il primo Paese al mondo a essere stato visitato, negli ultimi cinquant’anni, da quattro Papi diversi. In questa affermazione degli organizzatori c’è tutto l’orgoglio e l’emozione con cui il regno hashemita si prepara ad accogliere, nella capitale Amman, Papa Francesco che giunge qui all’inizio del suo pellegrinaggio in Terra Santa sulle orme di Paolo VI.

    Per il Re Abdallah II è un’occasione per ribadire l’immagine di una Giordania terra di dialogo tra le fedi e interlocutore centrale per la pace nel cuore di un Medio Oriente insanguinato dal conflitto siriano e reso instabile dalle tensioni tra israeliani e palestinesi e da quelle in Egitto. Ma anche per enfatizzare lo sforzo umanitario compiuto dal Paese per ospitare e soccorrere circa tre milioni di rifugiati di varie nazionalità, di cui un milione e 300 mila provenienti dalla Siria. Sforzo che pesa sull’economia giordana e spiega l’attivismo del Re, recentemente negli Usa proprio per cercare sostegno e accelerare la soluzione politica della crisi siriana e l’intenzione degli organizzatori di sfruttare questo evento per promuovere il turismo In Giordania.

    Ma per la piccola minoranza cristiana, circa il 3% della popolazione, l’arrivo di Francesco è un’occasione unica per incontrare il Papa dei “poveri”, degli “ultimi” e pregare con lui, specie per i tantissimi che non potrebbero affrontare economicamente una trasferta a Roma. E soprattutto un’opportunità per riaffermare la propria identità cristiana nel cuore di un Paese a maggioranza musulmana che però – come ricordava Giovanni Paolo II ad Amman nel marzo del 2000 – è allo stesso tempo “una terra santificata dalla presenza di Gesù stesso, dalla presenza di Mosè, Elia e Giovanni il Battista e dei santi e dei martiri della Chiesa primitiva”.

    Sul significato della sosta in Giordania di Papa Francesco si sofferma mons. Maroun Lahham, vicario per la Giordania del Patriarca latino di Gerusalemme, al microfono del nostro inviato ad Amman, Fabio Colagrande:

    R. – Per la Giordania, significa tanto. Significa un riconoscimento come parte integrante della Terra Santa. E’ già il quarto Papa che comincia in Giordania il viaggio in Terra Santa. Per il Paese, significa anche una conferma che il dialogo islamo-cristiano sta andando bene e una conferma della sicurezza e della pace che ci sono in Giordania nonostante tutti i problemi che ci sono qua e là. Per quanto riguarda noi e la piccola comunità arabo-cristiana, ci aspettiamo dal Papa parole di incoraggiamento, di conferma nella nostra fede e parole di misericordia di pace e di speranza per il futuro.

    D. – Quanto è importante l’opera di dialogo tra musulmani e cristiani in cui è impegnato il Re di Giordania?

    R. – E’ importantissima, perché prima di tutto l’islam giordano è un islam moderato, perché il fanatismo religioso in Giordania non c’è. Il dialogo, infatti, si fa a vari livelli, c’è un dialogo di vita di tutti i giorni con i musulmani, di vicinanza, di scuola, di lavoro, di vita sociale. E poi c’è il dialogo fra gli intellettuali, ma questo si fa sempre a livelli alti. Ma la vita quotidiana in Giordania è diversa e diversificata. Cristiani e musulmani vivono bene insieme, anche se poi quando si arriva al matrimonio tutto si ferma, perché i matrimoni misti qui sono visti male.

    D. – Pensa che questo dialogo potrà avere un’influenza anche su altri Paesi arabi?

    R. – Ogni Paese arabo ha la sua specificità per il dialogo islamo-cristiano. L’Egitto non è la Giordania. La Siria era un Paese pacifico e i rapporti con i musulmani erano molto sereni, ma adesso la Siria sta vivendo, non so bene cosa, una sorta di rinascita a una nuova vita. L’Iraq non finisce mai di curarsi delle sue ferite, il Libano sta vivendo un problema costituzionale con il presidente che non viene mai eletto. Insomma, non penso che si possa generalizzare un tipo di rapporto tra musulmani e cristiani ed estenderlo a tutti i Paesi arabi. Ognuno ha il suo modo di vivere con i musulmani.

    D. – Cosa significa per la Giordania la presenza sul suo territorio di centinaia di migliaia di profughi di altre nazionalità?

    R. – Significa un peso materiale, un peso sociale, un peso economico e un peso morale. Noi non possiamo chiudere le nostre frontiere con la Siria, ma non possiamo ospitare altri profughi. Quelli siriani sono infatti già un milione e duecentomila, e noi siamo sei milioni. Immaginate cosa significherebbe per l’Italia l’arrivo di venti milioni di profughi.

    D. – Come sarà accolto il Papa? Come si guarda dalla Terra Santa a questo Pontefice?

    R. – E’ visto con tantissimo entusiasmo e atteso con molto calore. Abbiamo distribuito più di 50 mila biglietti per la Messa di sabato allo stadio di Amman. E per noi si tratta di una cifra altissima. Sia i musulmani che i cristiani sono in attesa di vedere e incontrare Papa Francesco.

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    Mons. Shomali: anche gli ortodossi vogliono vedere Francesco

    ◊   “Strettamente religioso”. Con queste parole Papa Francesco ha spiegato e definito gli scopi del suo viaggio in Terra Santa. Una visita compiuta in modo speciale per incontrare il fratello Bartolomeo I, Patriarca ortodosso ecumenico, a 50 anni di distanza dall’abbraccio tra Paolo VI ed Atenagora, e per pregare in favore della pace in questa terra martoriata. Il servizio di Roberto Piermarini:

    Momento centrale del pellegrinaggio del Papa nella terra di Gesù, l’abbraccio con Bartolomeo I e soprattutto la celebrazione ecumenica nella Chiesa del Santo Sepolcro con tutte le Chiese di Terra Santa. Un gesto storico che infrange secoli di incomprensioni e di contrasti e che vedrà pregare insieme i rappresentanti di tutte le confessioni cristiane. Un frutto certamente dello storico incontro di 50 anni fa, quando Paolo VI e Atenagora diedero corpo, parole e immagini al desiderio di unità dei discepoli di Cristo. Per questo il motto di questo viaggio papale è “Ut unum sint” (“che siano una cosa sola”).

    E per essere “una cosa sola” con questa terra martoriata, Papa Francesco si dovrà immergere in un clima di pace apparente dopo il congelamento dei negoziati israelo-palestinesi, dove la parola concordia è soffocata dalla diffidenza, sullo sfondo del sanguinoso conflitto siriano che sta causando morte, distruzione e migliaia di profughi in tutta la regione mediorientale.

    A Betlemme, lo attende una comunità cristiana viva, che vede nella sua presenza, un segno di speranza. Lo attendono le autorità palestinesi, che dopo una serie di riconoscimenti a livello internazionale stanno cercando l’unità nazionale tra Cisgiordania e Gaza. Lo attendono i profughi del Campo di Dheisheh che dal 1948 vivono in condizioni di estrema povertà e di rassegnazione.

    In Israele lo attende il presidente Peres, che ha voluto fortemente questa visita prima della fine del suo mandato, e un Paese che guarda con curiosità alla figura di Papa Francesco tanto che un suo libro scritto in Argentina con il rabbino Abraham Skorka – “Il cielo e la terra” – è stato tradotto in ebraico. Rabbino Skorka che assieme all’imam Omar Abboud – entrambi amici di vecchia data del cardinale Bergoglio a Buenos Aires – sarà al seguito di Papa Francesco, novità assoluta nella storia dei viaggi papali.

    Un segno che il dialogo interreligioso è più forte dei pregiudizi e conferma il carattere “strettamente religioso” del viaggio, in questa Terra, Santa alle tre grandi religioni monoteiste, che nella sua bellezza e nelle sue contraddizioni, affascina e addolora. (Da Gerusalemme. Roberto Piermarini, Radio Vaticana)

    Testimone dell'incontro del 1964 tra Papa Montini e il Patriarca ortodosso Atenagora fu il vicario del Patriarcato latino di Gerusalemme, mons. William Hanna Shomali, che lo rievoca al microfono del nostro inviato Roberto Piermarini:

    R. – Ricordo bene il giorno dell’Epifania del 1964. Eravamo seminaristi, abbiamo aspettato per un’ora la visita del Pontefice. Io volevo vedere che cosa vuol dire “Papa”. Tutti ci dicevano che era una visita importantissima, mai avuta: dopo San Pietro nessuno era mai tornato in Palestina, qui… Pregavo che il Papa venisse presto, perché faceva freddo, zero gradi… Quando è venuto, era come un angelo. E’ passato veloce, benedicendo tutti. Io ho sentito dentro di me tanta gioia. Dopo ho riletto i suoi discorsi: è stato un uomo di una profondità estrema! La sua omelia a Nazareth sul lavoro, sulla santificazione del lavoro, è diventato un best-seller. Le foto del Papa nelle stradine di Gerusalemme, spinto dalla popolazione, contrastano con la popolazione di oggi, quando viene Francesco in una città vuota: solo chi ha un permesso può venire al Santo Sepolcro, al Getsemani, ma le strade sono vuote. Paolo VI era spinto da tutti, come Gesù nel Vangelo: tutti volevano toccarlo, vederlo, parlare con lui…

    D. – I cristiani di Terra Santa con che spirito si apprestano ad accogliere il Papa?
    R. – I cristiani sono entusiasti. Do un esempio: non abbiamo più biglietti per l’ingresso alla piazza della Natività e la piazza avrà 9-10 mila presenze. Mai abbiamo avuto un numero così alto di presenze nella piccola piazza di Betlemme. Questo indica che c’è una attesa, non solo da parte dei cattolici, ma anche da parte degli ortodossi. La prova è che a Gaza abbiamo una piccola comunità di 200 cattolici, mentre i cristiani di Gaza hanno ottenuto 700 permessi per venire ad accogliere il Papa a Betlemme.

    D. – C’è un po’ di sofferenza, però, da parte dei cristiani di Gerusalemme per il fatto, appunto, che non potranno vedere il Papa per le vie della città, per motivi di sicurezza…

    R. – Questo è vero. La sicurezza qui è estrema, direi un po’ esagerata. Ma capisco anche la sicurezza israeliana, perché il Papa ha scelto di venire con una macchina aperta, non protetta. È sempre un pericolo e loro non vogliono far piacere a 10 mila cristiani e poi correre un rischio, in particolare quando il rischio potrebbe venire dagli ultraortodossi che hanno minacciato di morte il Papa.

    D. – Vi preoccupano questi atti di vandalismo?

    R. – Quelli che compiono questi atti di vandalismo sono pochi: sono una minoranza, ma una minoranza aggressiva che fa tanto male. Noi speriamo che un giorno cesseranno di compiere questi atti di vandalismo.

    D. – Le altre Chiese cristiane di Gerusalemme come stanno vivendo la vigilia dell’incontro al Santo Sepolcro tra Papa Francesco e il Patriarca Bartolomeo I?

    R. – C’è tanto entusiasmo da ambedue le parti. Speriamo che sia una grande spinta per l’ecumenismo. Molti ortodossi ci hanno chiesto i biglietti per entrare al Santo Sepolcro. Anche i protestanti ne hanno chiesti, perché considerano l’incontro per tutti i cristiani. Avremo anche questa volta patriarchi orientali che vengono dal Libano – maroniti – copti dall’Egitto, iracheni, caldei eccetera. Al Santo Sepolcro non abbiamo mai avuto un numero di vescovi e patriarchi così alto. Poi, è un fatto inedito che il Papa e il Patriarca entreranno insieme al Santo Sepolcro, per pregare insieme: come dire che i due fratelli, Simone e Pietro, saranno insieme attraverso i loro successori. E non abbiamo mai discusso su chi entrerà per primo nel Santo Sepolcro, ma speriamo che facciano come Giovanni e Pietro, quando si sono recati al Sepolcro: Giovanni ha preceduto ma ha lasciato entrare Pietro. E sappiamo anche che chi entrerà per primo, uscirà per ultimo, perché la porta del Sepolcro è piccolina.

    D. – Vi fa soffrire la lenta ma inesorabile migrazione all’estero dei cristiani di Terra Santa?

    R. – Sì. Questa è una perdita per noi. Ma posso anche dire che negli ultimi mesi l’emigrazione è diminuita, la situazione è un po’ migliorata. Ma il fatto che i negoziati tra le due parti, sotto tutela americana, siano falliti ci dà un po’ di frustrazione, un po’ di angoscia. Siamo, per il momento, in un vuoto politico. Veramente, preghiamo perché questo processo ricominci e non muoia per sempre.

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    Card. Sandri: Francesco in Terra Santa rafforza la presenza cristiana

    ◊   La Terra Santa non è un insieme di monumenti, ma un luogo in cui le "pietre vive" sono i cristiani, ai quali Francesco darà nuovo coraggio. È la convinzione del cardinale Leonardo Sandri, prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali, il quale alla vigilia dell’arrivo di Papa Francesco nella terra di Gesù riflette sui significati del pellegrinaggio a partire dal momento centrale, quando il Vescovo di Roma abbraccerà il Patriarca ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo. Le parole del porporato nell’intervista di Alessandro De Carolis:

    R. – E’ molto, molto significativo per tutta la Chiesa, perché richiama l’impegno incessante, perdurante, sempre, nella Chiesa – ovviamente con più insistenza dopo il Concilio Vaticano II – per l’unità della Chiesa e in particolare per la relazione tra la Chiesa cattolica e le Chiese ortodosse. Quindi, se noi evochiamo l’incontro tra Paolo VI e Sua Santità Atenagora vengono fuori tutti questi richiami, questi pensieri del cammino che si era fatto fino a quel momento e del cammino che si è fatto dopo fino adesso, in cui Francesco, il Papa, ritrova di nuovo il successore di Atenagora, Sua Santità Bartolomeo. Pertanto, sarà un momento di grande significato per valutare il cammino fatto e per richiamare di nuovo tutta la Chiesa all’impegno e, direi, all’obbligo di ascoltare la voce di Gesù, “che tutti siano uno”, ma in particolare tra la Chiesa cattolica e le Chiese ortodosse.

    D. – Veniamo invece alle Chiese orientali, che sono sotto la responsabilità del suo dicastero: per loro questo nuovo abbraccio tra il vescovo di Roma e il Patriarca di Costantinopoli cosa significa?

    R. – L’incontro ecumenico tra il Papa Francesco e Sua Santità Bartolomeo certamente si fa nel contesto, per noi, per i cattolici, di convivenza continua con i nostri fratelli ortodossi nella vita quotidiana della Terra Santa e dei Paesi del Medio Oriente. Così come i cattolici devono vivere una dimensione che io chiamerei reale, di vita quotidiana, per il dialogo interreligioso – perché sono loro che vivono accanto, per esempio, ai musulmani in tutti questi Paesi e quindi devono passare dalle dichiarazioni teoriche al convivere quotidiano – nella stessa maniera c’è questa convivenza quotidiana con i nostri fratelli ortodossi che, dobbiamo dire grazie Dio, è portata avanti con grande spirito di amore, di comprensione e addirittura di studio, per esempio per cercare una data comune per la Pasqua. Ma per le nostre comunità cattoliche i gesti di Papa Francesco, i gesti ecumenici e l’incontro con Sua Santità Bartolomeo sono ancora di più un richiamo alle Chiese cattoliche – che sono di diversi riti e in particolare la più numerosa è la Chiesa latina della diocesi latina del Patriarcato di Gerusalemme – a vivere questo ecumenismo in concreto, ancora di più con tante iniziative che ci sono per avere una sola voce, davanti anche a tutti i problemi che devono affrontare i cristiani in Terra Santa. Farlo noi da soli, sì, si può, ma farlo insieme dà più forza al nostro impegno nella vita di ogni giorno. Ovviamente, la comunità cattolica aspetta il Papa per avere questo entusiasmo non solo nel riceverlo, ma per avere ancora più spirito di gioia per portare avanti la sua missione dal punto di vista dell’annuncio evangelico, con la parola, con la testimonianza e con tutte le opere sociali che porta avanti la Chiesa cattolica.

    D. – Non si parla mai troppo dei cristiani in Terra Santa: un pellegrinaggio del Papa in quelle terre è un’occasione privilegiata per ricordare la loro situazione. Ha avuto delle testimonianze e degli echi alla vigilia di questo viaggio?

    R. – Abbiamo sentito le parole del Patriarca latino di Gerusalemme, sua beatitudine Fouad Twal, ma ho anche sentito e visto, tramite la stampa, le reazioni dei fedeli comuni, appartenenti alla Chiesa cattolica, che aspettano dal Papa questo incoraggiamento che viene dal Vescovo di Roma e che dà alla vita in Terra Santa una caratteristica veramente singolare. Noi non possiamo ridurre la Terra Santa a una terra di monumenti, di musei, di pietre, ma di “pietre vive” che sono i nostri fedeli cattolici e tutti i cristiani. Anche i pellegrinaggi da tutte le parti del mondo dei nostri cattolici sono per loro un grande incoraggiamento per aiutarli a tenere duro in questo desiderio di rimanere e di non fuggire dalla terra di Gesù.

    D. – Papa Francesco, nel presentare questo viaggio, ha detto: andrò anche a pregare per la pace in Terra Santa. E gli incontri che avrà con le autorità giordane, israeliane e palestinesi saranno un’occasione diretta e concreta per fare questo. Quali aspettative nutre lei sul punto?

    R. – Io penso sia molto importante la presenza del Papa in Terra Santa per la pace e non soltanto per la pace tra israeliani e palestinesi, ma per tutto il Medio Oriente. In particolare, io penso che la parola del Papa si allargherà certamente alla Siria e ovviamente anche all’Iraq e agli altri Paesi che vivono delle situazioni dolorosissime in questi momenti di guerra, di violenza, di non rispetto della dignità della persona umana, delle donne, dei bambini, delle vittime… Quindi, per me è doveroso che il Papa, che rappresenta Gesù Cristo, porti una parola di pace non solo alle autorità civili dei Paesi visitati, ma a tutta la regione del Medio Oriente. Quindi, sarà anche un messaggio di pace, un messaggio di concordia, di unità e di rispetto della dignità umana.

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    Mons. Tomasi: Convenzione tortura, riconosciuto impegno Santa Sede

    ◊   Sono state pubblicate oggi a Ginevra le conclusioni del Comitato Onu sul “Rapporto Iniziale” della Santa Sede sulla Convenzione contro la Tortura (Cat) presentato il 5 e 6 maggio da una delegazione vaticana. Si tratta della procedura ordinaria seguita da tutti gli Stati aderenti alla Convenzione (155 in tutto), alla quale la Santa Sede ha aderito nel 2002 a nome e per conto dello Stato della Città del Vaticano. Il servizio di Sergio Centofanti:

    Le conclusioni del Comitato Onu contro la tortura riconoscono i “risultati molti positivi” degli sforzi compiuti dalla Santa Sede per conformarsi alla Convenzione: è quanto rileva il capo della delegazione vaticana, mons. Silvano Maria Tomasi, osservatore permanente della Santa Sede presso gli Uffici Onu di Ginevra. Ci sono anche alcuni rilievi critici, in riferimento alla questione degli abusi su minori da parte di esponenti del clero. Tra l’altro, le osservazioni conclusive del Comitato – dice il presule – pur riconoscendo che la Convenzione si applica allo Stato della Città del Vaticano, danno l'impressione che tutti i sacerdoti del mondo siano considerati dipendenti della Santa Sede, cosa che – afferma mons. Tomasi – non è accettabile. Ma ascoltiamo il commento di mons. Tomasi alle conclusioni del Comitato Onu:

    R. – Le osservazioni conclusive mettono in risalto che in questi ultimi anni è stato fatto un lavoro capillare non solo per applicare i principi della Convenzione contro la tortura, ma anche per prevenire la questione degli abusi sessuali sui minori. Il Comitato ha mostrato apprezzamento per il dialogo costruttivo che la delegazione ha avuto con gli esperti di questa Commissione e ha una parola di apprezzamento anche per quanto ha fatto e detto Papa Francesco in difesa dei diritti umani. In sostanza, direi che questo Rapporto, a differenza – per esempio – di quello del gennaio scorso riguardo alla Convenzione sui diritti dei bambini, è un rapporto più professionale e più giuridico.

    D. – Dunque, c’è un chiaro riconoscimento da parte del Comitato Onu…

    R. – C’è un riconoscimento del grande lavoro fatto, che non si tratta solo di pii desideri ma che sono state prese forti decisioni e questo la Commissione l’ha notato, osservando per esempio che 848 preti sono stati ridotti allo stato laicale e altri 2.500 sottoposti a sanzioni minori ma severe, per mostrare che si sta facendo un lavoro sistematico di pulizia nella casa-Chiesa. Quindi, c’è questo aspetto di riconoscimento positivo. Ci sono critiche che si riferiscono in parte a stili di procedere che sono relegati al passato, e delle richieste di ulteriori informazioni che la Santa Sede prenderà in seria considerazione e alle quali cercherà di rispondere per il prossimo appuntamento, che sarà tra un anno per quanto riguarda le risposte con queste ulteriori chiarificazioni e informazioni che la Commissione chiede.

    D. – Quali tra le osservazioni ritiene da recepire in modo particolare?

    R. – Il fatto che la Commissione chiede che ci sia una totale indipendenza da parte di coloro che sono responsabili di investigare su accuse di pedofilia: è un’osservazione che certamente verrà presa in seria considerazione.

    D. – Un cammino di impegno sempre più forte da parte della Chiesa, contro gli abusi …

    R. – Questo cammino continua ad essere rafforzato. C’è una nuova cultura all’interno della Chiesa, anche e non solo da parte delle autorità, ma nel sentire comune, di fare tutto il possibile per rispondere al danno che è stato fatto, per prevenire in modo che non venga ripetuto e mettere alle nostre spalle questo capitolo triste, che è il comportamento di alcune persone legate alla Chiesa, e puntare invece su un rinnovamento del servizio pastorale e dell’evangelizzazione, in modo che ci sia una più chiara fedeltà al messaggio del Vangelo.

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    Conclusi lavori Commissioni referenti, il grazie del Papa

    ◊   Ieri hanno concluso i lavori le due commissioni referenti sull’Istituto per le opere di religione e sull’organizzazione della struttura economico-amministrativa della Santa Sede volute da Papa Francesco e istituite con chirografi del 24 giugno e del 18 luglio scorsi. Durante una cena offerta nella Casina Pio IV il cardinale George Pell, prefetto della Segreteria per l’economia, ha consegnato ai presenti una lettera di ringraziamento del Pontefice. Il porporato ha poi ribadito la gratitudine per il lavoro svolto con generosità, gratitudine già in mattinata espressa da Papa Francesco in un breve incontro con i membri della Pontificia commissione sull’organizzazione della struttura economico-amministrativa della Santa Sede che avevano partecipato alla messa a Santa Marta. Mentre si avviava verso la conclusione il lavoro delle commissioni referenti, il Papa ha istituito con il motuproprio Fidelis dispensator et prudens del 24 febbraio scorso la Segreteria per l’economia e il Consiglio per l’economia che, basandosi sul lavoro finora compiuto dalle commissioni stesse, procederanno sul cammino delle riforme volute da Papa Francesco.

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    Tweet del Papa: vivere con fede vuole dire mettere tutta la nostra vita nelle mani di Dio

    ◊   “Vivere con fede vuole dire mettere tutta la nostra vita nelle mani di Dio, specialmente nei momenti difficili”. E’ il tweet pubblicato oggi da Papa Francesco sul suo account Twitter @Pontifex.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   Compagna di viaggio in Terra Santa: alla vigilia della partenza, Papa Francesco prega davanti all’immagine della Salus populi Romani.

    Fratello del mondo: il cardinale Leonardo Sandri sulla testimonianza di Papa Francesco sulle orme dei suoi predecessori nella terra di Gesù.


    Per andare avanti: intervista di Mario Ponzi al patriarca Bartolomeo sull'incontro con il Pontefice a Gerusalemme.

    Anastasis: Fabrizio Bisconti su origine e sviluppo dell’iconografia del Santo Sepolcro.

    Lucetta Scaraffia recensisce la “Guida generale alla Città del Vaticano”.

    Sotto la luce di Omero: Marco Beck illustra le radici greche del cristianesimo.

    Un atlante per rispondere a Erasmo: Silvia Guidi sulla cartografia dei santuari mariani di Henricus Scherer.

    Scontro aperto a Tripoli tra le milizie islamiche e le forze dell’ex generale Haftar.

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    Oggi in Primo Piano



    Golpe Thailandia: duro colpo per l'economia del Paese

    ◊   A 24 ore dal golpe, la Thailandia ha un nuovo capo di governo militare e aspetta le prossime mosse della giunta. Perquisizioni e arresti, in particolare di filogovernativi si sono succeduti in diverse città. Radio e televisioni trasmettono solo proclami, censurati i giornali, a rischio i social network. Ultimo atto dei militari la convocazione di oltre 100 rappresentanti dei partiti di governo e opposizione e l’interdizione per l’ex premier, Yingluck Shinawatra, a lasciare il Paese .Ma quanto può durare questo ennesimo regime militare e perché proprio ora un golpe? Gabriella Ceraso lo ha chiesto a Carlo Filippini, esperto di Asia e docente all'Università Bocconi di Milano:

    R. - Dunque, quanto può durare è difficile da dire. Il precedente golpe militare praticamente è durato quasi un anno mezzo e non ha assolutamente risolto la situazione. Perchè ora? Perché lo scontro sta andando avanti da parecchi mesi e, nonostante le elezioni, le dimissioni del governo guidato dalla sorella di Thaksin e le dimostrazioni addirittura con incidenti e morti continuavano.
    D. - Il regime ha dettodi voler fare delle riforme politiche per far uscire il Paese dall’empasse. E’ una opzione credibile?

    R. - A mio parere assolutamente no. Abbiamo da un lato i cosiddetti "Gialli", che sono un po’ l’establishment, che è diventato ricco con la crescita della Thailandia, e dall’altra parte abbiamo i "Rossi", i Thaksin e il partito che ha sempre vinto dal 2001 tutte le elezioni, rappresentano invece le classi più povere e soprattutto le classi rurali che sono state meno favorite. Le riforme dell’esercito sono un tentativo di evitare che una quota di reddito thailandese venga trasferita da chi sta bene a chi sta meno bene.

    D. - Gli effetti sull’area asiatica: è possibile che questo golpe sia considerato un fatto da imitare per i Paesi vicini?

    R. - In tutta l’area del Sudest asiatico un governo forte, autoritario, non è visto male. Anzi, il modello occidentale di sviluppo economico e di sviluppo politico viene sempre più considerato inferiore a quello chiamiamolo " confuciano-cinese". Gli effetti, invece, ci saranno sulla Thailandia, perché immagino che eventuali scontri - cosa piuttosto probabile perché i Rossi, i sostenitori Thaksin e i ceti poveri, non vogliono rinunciare al miglioramento delle proprie condizioni - danneggeranno molto l’industria, quindi gli investimenti diretti esteri e anche il turismo del Paese.

    D. - Si andrà a nuove elezioni?

    R. - Purtroppo, per i militari tutte le elezioni dal 2001 hanno visto la vittoria del partito di Thaksin, quindi o fanno delle elezioni truccate o addirittura fanno delle elezioni farsa… Una proposta dei Gialli, i "benestanti legalisti", era quella di eleggere solo il 30% dei membri del parlamento, della Camera Bassa, e lasciare il 70% a nomine da parte delle organizzazioni professionali e di altri corpi intermedi, chiaramente di natura benestante e di livelli medi, professionisti. Questa era la democrazia che volevano, diciamo così, i Gialli.

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    Ucraina: nuovi scontri tra militari di Kiev e filo-russi

    ◊   A due giorni dalle elezioni presidenziali, nell’Ucraina dell’Est è di nuovo scontro aperto tra le truppe di Kiev e i ribelli pro-russi. Oggi si contano almeno cinque vittime nei combattimenti tra i battaglioni irregolari ucraini e le milizie filo-russe nei pressi di Donetsk. Solo ieri 17 soldati di Kiev hanno perso la vita in diversi agguati dei ribelli. “In Ucraina è in corso una guerra civile senza quartiere”, afferma il presidente russo Putin, scagliandosi ancora contro le sanzioni occidentali. Il premier ucraino Iatseniuk accusa Mosca di voler far fallire le elezioni. L’Onu lancia un appello a tutte le parti a creare le condizioni per un voto sicuro. Ma come si collega questa nuova ondata di violenze all’approssimarsi del voto? Marco Guerra lo ha chiesto all’inviato del Corriere della Sera, Francesco Battistini:

    R. – Sicuramente c’è il gioco di alzare la tensione. Putin l’aveva già fatto capire all’inizio delle tensioni ad Est e ha mantenuto la promessa. Anche il cosiddetto smantellamento delle truppe sul confine è da leggersi in chiave elettorale. Mosca ha già detto che il risultato del voto deve essere valutato con attenzione, non per nulla ha fatto saltare il vertice con la Nato, che era previsto due giorni dopo il voto, cioè martedì. Sono chiaramente tutti segnali che legano l’alzarsi della tensione ad Est con le elezioni di Kiev.

    D. – La Russia ha detto che elaborerà una posizione sul riconoscimento o meno delle elezioni ucraine, dopo il voto del 25 maggio. Come va letta questa dichiarazione?

    R. – Con lo stop and go che caratterizza la strategia di Putin, nel senso che i russi hanno deciso di mantenere una guerra a lenta combustione nello scenario ucraino, anche perché, di fatto, quello che succede dimostra che in alcuni frangenti la situazione gli sta sfuggendo di mano. Prende tempo quindi e tiene alta la tensione.

    D. – Sul terreno resta un Paese spaccato in due. Questo consentirà un normale svolgimento delle elezioni? Quali ripercussioni è possibile prevedere?

    R. – Probabilmente non un normale svolgimento. Sarebbe necessario un team di osservatori internazionali molto più corposo di quello che è stato dispiegato, che probabilmente svolgerà una funzione più di rappresentanza che di altro. Ci sono zone completamente fuori controllo, dove le autorità ucraine non hanno alcuna possibilità di incidere. Non sarà probabilmente un voto regolare. Forse l’interesse di tutti, a seconda del risultato, potrebbe essere quello di dire che il voto, tutto sommato, ha funzionato e la questione è chiusa.

    D. – Gli scontri hanno distolto le attenzioni sull’appuntamento elettorale. Chi sono i favoriti alla poltrona di presidente e che campagna elettorale è stata?

    R. – Il personaggio favorito resta Proshenko, cioè il miliardario che, di fatto, è sempre stato dietro al movimento di Maidan, quello che ha scatenato la rivolta contro Yanukovich. Lui è un uomo che esce dall’entourage di Yanukovich, il principale artefice dell’avvicinamento dell’Ucraina al patto di adesione all’Unione Europea, anzi lo negoziò lui personalmente; è anche l’uomo politicamente più strutturato, molto più di altri candidati, che appaiono molto più leggeri. Questo per dire che la vittoria di Proshenko potrebbe essere pronosticata, anche se le incognite sono molte e legate alla regolarità del voto.

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    Europee: al voto Irlanda e Repubblica Ceca

    ◊   Seconda giornata di elezioni europee. Alle urne l'Irlanda, dove si vota anche per le amministrative, e la Repubblica Ceca. I seggi da ripartire sono in tutto 751: la fetta più grande andrà ai tedeschi (96 europarlamentari), seguita dai francesi (74) e da Italia e Gran Bretagna con 73 eurodeputati ciascuno. Ieri le consultazioni in Olanda e Gran Bretagna. Nei Paesi Bassi a sorpresa escono sconfitti gli euroscettici che invece si affermano nel Regno Unito. Domani il voto in Lettonia, Malta e Slovacchia mentre tutti gli altri Paesi voteranno domenica, con l'Italia che sarà l’ultima a chiudere i seggi alle 23. Da Bruxelles, Giovanni Del Re:

    Il primo giorno di elezioni europee, che ha avuto luogo in Olanda e Regno Unito, ha già riservato una prima sorpresa: secondo gli exit poll, nei Paesi Bassi non si sarebbero confermati i pronostici che vedevano la destra xenofoba del Partito del Popolo di Geert Wilders al primo posto. Al contrario, sarebbe solo quarta dietro tre partiti europeisti, i Cristianodemocratici, i Democratici 66 e i Liberali del premier in carica Mark Rutte. Per avere risultati reali, però, si dovrà aspettare le 23 di domenica, quando si saranno chiusi gli ultimi seggi in tutta l’Unione Europea. Unico dato ufficiale è l’affluenza, che in Olanda ha toccato il record negativo del 37%. Anche per i risultati relativi alla Gran Bretagna si dovrà aspettare domenica sera, ma, secondo primi exit poll, in questo paese si sarebbero confermati invece i pronostici che vedono gli ultra-euroscettici dell’Ukip di Nigel Farage al primo posto, seguiti dai laburisti, mentre i conservatori del premier David Cameron arriverebbero solamente terzi. Domenica sapremo se gli exit poll corrispondono alla realtà. Paradosso britannico, se arriva primo un partito che vuole l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea, secondo un recentissimo sondaggio invece il 42% dei britannici vuole restare in Europa contro il 37% che vuole lasciarla. Oggi tocca a Irlanda e Repubblica Ceca.

    Tema centrale della campagna elettorale l’economia: l’Ue ha affrontato e superato, anche se con ritardi, la crisi finanziaria ma resta aperta la crisi dell’economia reale, cioè le condizioni dei lavoratori con l’emergenza disoccupazione. Del valore di questo voto per i cittadini proprio in considerazione di queste sfide, Fausta Speranza ha parlato con l’economista Paolo Guerrieri:

    R. – Ci siamo messi alle spalle, forse, la fase più acuta della crisi: quando sembrava che, ad un certo punto, l’intera costruzione monetaria potesse implodere, saltare per aria, perché effettivamente c’era un attacco della speculazione e non c’erano strumenti adeguati. Ora, è stata finalmente risolta ma ci sono voluti circa due anni e tanti costi. Si poteva fare prima. Comunque, questa fase di crisi acuta è stata in parte fronteggiata e possiamo dire che oggi è sotto controllo. Quello che invece non è avvenuto – qui c’è la grande sfida, il grande appuntamento con le elezioni – è curare l’economia reale, cioè lo stato della produzione, dell’occupazione dei Paesi dell’area dell’euro.

    D. – Si vota per il rinnovo del Parlamento europeo che è rappresentanza dei cittadini. Che ruolo possono avere di fronti ai poteri forti. I cittadini che cosa possono pensare di fare con questo voto?

    R. – Hanno un potere molto forte perché possono ribadire di voler credere e voler continuare a scommettere sull’Europa, sulla dimensione europea che resta - non dimentichiamocelo - l’unica dimensione per noi possibile per reggere la sfida mondiale. Con un loro voto possono, a questo punto, ribadire naturalmente che non è solamente una scommessa sull’Europa in generale ma è una scommessa su un’Europa che deve tornare a produrre crescita, occupazione e soprattutto deve essere fonte di opportunità. Quindi, hanno un’arma nelle loro mani – “arma” in senso metaforico – e da un lato se si astenessero, o se addirittura votassero i famosi partiti “euroscettici” - che non fanno altro che inneggiare alla fine dell’Europa, alla sua uscita - questo sarebbe un colpo mortale alle possibilità di un rilancio nei prossimi anni. Possono votare i partiti che, invece, si presentano per cambiare l’Europa, cioè per far sì che la dimensione europea resti un punto di riferimento fondamentale ma è necessario voltare pagina: l’Europa, a questo punto, deve impegnarsi per dare opportunità di crescita, opportunità di nuovi posti di lavoro. Quindi, da questo punto di vista, il loro potere è molto ma molto elevato.

    D. – In questo mondo ormai globale, che significato avrebbe essere uno Stato senza una moneta europea e senza l’Unione Europea?

    R. – Significherebbe condannarsi alla marginalità, nella migliore delle ipotesi; ad una situazione di impoverimento generale ma soprattutto legato poi ai segmenti e alle classi di reddito più basse, nel particolare. Non c’è futuro per un piccolo Paese che volesse in qualche modo imbarcarsi in un’avventura di sovranità attraverso monete che, a quel punto, sarebbero ostaggio delle monete più forti. Quindi, è un modo di illudere, purtroppo, di far credere in qualche maniera ai cittadini - in qualunque di questi Paesi, anche di Paesi che possono sembrare forti – che c’è una scorciatoia, che c’è una via d’uscita. Non è vero, le analisi più serie lo dimostrano. Quindi, da questo punto di vista, è sperabile che veramente queste “sirene di incantatori” possano non trovare orecchie attente da questo punto di vista.

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    Pakistan, nuovi raid aerei nel Waziristan del Nord

    ◊   Secondo giorno consecutivo di raid aerei in Pakistan, nella regione del Waziristan del nord, teatro di frequenti scontri tra le autorità centrali del Paese e antigovernativi. Le forze di Islamabad hanno attaccato i ribelli talebani, provocando oltre 80 morti. Sulla presenza dei fondamentalisti islamici in aree sempre più vaste del Paese e sulle ragioni della loro opposizione al governo centrale pakistano, Gianmichele Laino ha intervistato Francesca Marino, direttrice del mensile sul subcontinente indiano Stringer Asia:

    R. – La cosa è cominciata molti anni fa, si è rafforzata durante il governo di Musharraf e lì è nata soprattutto la questione che adesso è più importante in Pakistan, cioè i talebani pakistani. Mentre prima il governo, l’esercito, l’Isi (“Inter-Services Intelligence” - ndr), o chi per loro avevano sempre protetto e gestito i talebani, dopo l’operazione alla Lal Masjid condotta da Musharraf, in cui erano stati attaccati direttamente alcuni capi jihadi, si è formato un ombrello di gruppi talebani che, al contrari dei loro confratelli, avevano e hanno come scopo primario quello di combattere il governo di Islamabad, colpevole di essersi venduto agli americani.

    D. – Cosa chiedono i talebani al governo centrale del Pakistan?

    R. – Il Ttp ("Taliban Movement of Pakistan") chiede fondamentalmente una cosa: l’implementazione della sharia in Pakistan, di una forma stretta di sharia, e poi che siano rescissi completamente i legami con gli americani.

    D. – Tra febbraio e marzo scorsi, sembrava in corso un dialogo tra talebani e Islamabad. Ora, questa azione militare sembra aver vanificato qualsiasi trattativa. Quali sono i rischi per i civili residenti nell’area?

    R. – Innanzitutto, non è vero che vanifica ogni trattativa perché l’esercito pakistano attacca target mirati. In realtà, non si tratta di trattative perché trattativa significa dialogo. Non c’è un dialogo. Non c’era neanche a febbraio, marzo, perché i talebani vogliono che le loro richieste siano esaudite e basta: non c’è margine. I civili, ovviamente, sono quelli che scontano tutta questa situazione, ma loro scontano i misfatti di talebani, jihadi, Servizi segreti ed esercito, ovunque in Pakistan, da anni.

    D. – Prima si parlava di Stati Uniti. Lo scontro armato nel Waziristan del Nord ha negli Stati Uniti un osservatore molto coinvolto. Dove coincidono e dove invece differiscono gli obiettivi americani e quelli del governo centrale pakistano nella lotta ai talebani?

    R. – Quello che gli americani non hanno mai, o hanno sempre fatto finta di non capire, è che gli obiettivi del Pakistan sono sempre stati diversi da quelli degli Stati Uniti. Qui c’è da intendersi, innanzitutto, su cosa significa talebani: i talebani pakistani non sono i talebani afgani. Quelli afgani hanno come agenda la neutralizzazione degli occupanti americani e non ce l’hanno con il governo di Islamabad, che anzi li protegge. Dei talebani pakistani agli americani sostanzialmente non importa nulla. Islamabad si vuole liberare della minaccia interna, ma non ha nessun interesse a combattere i talebani afgani.

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    Bagnasco: dal Papa nuovo slancio per trasmettere la fede agli italiani

    ◊   Trasmettere la fede agli italiani con nuovo slancio, come chiede Papa Francesco. E’ uno dei passaggi forti della conferenza stampa del cardinale Angelo Bagnasco, svoltasi alla Sala Marconi della Radio Vaticana, all’indomani della conclusione della 66.ma assemblea generale della Conferenza episcopale italiana, aperta da Papa Francesco lunedì 19 maggio. Nel messaggio dei vescovi diffuso al termine dei lavori, l’invito a partecipare alle prossime elezioni europee. Il servizio di Alessandro Gisotti:

    Famiglia, lavoro, migranti. Sono le tre parole chiave del messaggio dei vescovi al termine dell’assemblea generale della Cei. Temi che ricorrono anche nelle parole del cardinale Angelo Bagnasco che, in conferenza stampa, sottolinea come - durante i lavori - i presuli italiani abbiano ravvisato l’esigenza di una maggiore “comunione” e di una migliore “comunicazione della fede”. L’arcivescovo di Genova ha quindi messo l’accento sugli stimoli offerti dal Papa che si sono anche riflessi nell’approvazione della nuova modalità di elezione del presidente della Cei, scelto dal Papa su una terna di nomi proposti dell’episcopato italiano. Cambiamento, ha detto, che conserva il rapporto speciale tra il vescovo di Roma e la Chiesa in Italia ma apre ad una maggiore partecipazione dei pastori italiani. Il cardinale Angelo Bagnasco ha quindi risposto ad una domanda sull’effetto Francesco, ovvero la maggiore partecipazione dei fedeli alle celebrazioni:

    “Certamente il Santo Padre con la sua presenza, la sua parola, il linguaggio dei gesti, aiuta la gente a riscoprire la dimensione trascendente della vita, il senso spirituale e alto delle cose, che non si può vivere di solo pane, per usare la parola evangelica”.

    Il porporato ha quindi risposto ad una domanda sulla diffusione del questionario per il Sinodo della famiglia, che – ha sottolineato – non è stato pubblicato sul sito web della Cei perché la segreteria del Sinodo aveva dato indicazioni di non pubblicarlo:

    “Il questionario è stato diffuso in tutte le parrocchie e negli organismi di partecipazione, tipo i Consigli pastorali, il Consiglio presbiterale, quello delle aggregazioni laicali, che sono i tre Consigli fondamentali delle diocesi E naturalmente in più tutte le parrocchie, dove i parroci sono stati invitati - parlo sempre di Genova, ma credo che sia ovunque - a discuterne, a farne parte il più possibile con la propria gente, nelle modalità possibili. E in più di metterlo a disposizione, magari in forma sintetica, nelle chiese e invitando chi era interessato”.

    Quindi, si è soffermato sull’importanza della scuola anche alla luce della grande manifestazione popolare del 10 maggio scorso con Papa Francesco:

    “La scuola deve ritrovare coraggio, consapevolezza, autocoscienza; uscire da una minorità o da un complesso di timidezza, che non giova alla scuola, di cui abbiamo assolutamente bisogno. La scuola deve essere nuovamente nel suo ruolo pieno!”.

    Del resto, ha aggiunto, “la famiglia non può essere scavalcata da nessuno, né dallo Stato né dalla Chiesa”, poiché “sono entrambi a servizio della famiglia”. Di qui, il presidente della Cei ha chiesto al mondo della politica di prestare maggiore attenzione alla famiglia e alla scuola. E non ha escluso che si possa dar vita ad un nuovo “Family Day”. A proposito del "caso Scajola", il cardinale Bagnasco ha affermato di “non sapere nulla” di un’intercettazione nella quale l’ex ministro faceva il nome del porporato per un sostegno alle elezioni. Sugli arresti dei vertici della Banca genovese Carige, invece, ha detto di essere molto rattristato e preoccupato, ma anche convinto che sia la Banca che la Fondazione supereranno presto questo momento.

    Il presidente della Cei, infine, ha reso noti i dati dell’8x1000 di quest’anno (relativi alle dichiarazioni dei redditi del 2011): un miliardo e 55 milioni di euro, di cui 433 milioni per il capitolo “culto e pastorale”; 245 milioni per gli interventi caritativi e 377 milioni per il sostentamento del clero. Il card. Bagnasco ha sottolineato che c’è stato un incremento rispetto alla precedente raccolta che aveva visto un totale di un miliardo e 32 milioni di euro.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Bombe su comizio elettorale pro Assad: 21 morti a Daraa

    ◊   E' di almeno 21 morti, il bilancio del bombardamento sferrato da ribelli islamici contro una manifestazione elettorale in sostegno del presidente siriano Bashar al-Assad, a pochi giorni dalle elezioni presidenziali del prossimo 3 giugno.

    Lo denunciano gli attivisti dell'Osservatorio siriano per i diritti umani spiegando che ieri sera a Daraa, nel Sud della Siria, sono stati lanciati colpi di mortaio contro un tendone dove si erano riuniti i sostenitori di Assad. Tra le vittime si contano almeno 11 civili, tra cui un bambino, oltre a miliziani filo governativi. Nell'attacco sono anche rimaste ferite 30 persone, alcune delle quali in modo grave.

    Le elezioni presidenziali sono considerate poco più di una farsa dagli oppositori: infatti il presidente siriano è contrapposto a due figure poco conosciute e perciò si prevede un suo terzo mandato presidenziale di 7 anni, nonostante il Paese sia sconvolto da una guerra che, in tre anni, ha fatto oltre 160 mila morti.

    Una situazione che rischia di aggravarsi dopo che la Russia e Cina hanno fatto valere il loro potere di veto e hanno bloccato una risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell'Onu che avrebbe portato la Siria davanti alla Corte penale internazionale (Cpi) dell'Aja per i crimini commessi durante il conflitto. La risoluzione era stata promossa dalla Francia e circa 60 Paesi avevano approvato la proposta di Parigi. Se la risoluzione fosse passata, la Corte avrebbe potuto indagare sui crimini contro l'umanità e sui crimini di guerra commessi in Siria, come ad esempio le sistematiche torture contro i civili, gli attacchi chimici o l'uso indiscriminato di barili-bomba. (M.T.)


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    Disordini in Turchia: due persone uccise a Istanbul

    ◊   In Turchia non si placa la tensione. Sono due le vittime dei disordini di ieri a Istanbul tra i manifestanti che protestavano per la sciagura nella miniera di Soma e la polizia. La prima vittima era un giovane che stava partecipando ad un funerale ed è stato raggiunto da un proiettile; l’altro è un civile colpito in serata dall'esplosione di un ordigno rudimentale. Intanto nel Paese è attesa una delegazione dell’Ilo, Organizzazione Internazionale del lavoro, che farà il punto sulle condizioni di sicurezza degli operai. Il governo turco ha promesso assistenza ai 432 bambini, figli dei minatori, rimasti orfani.

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    Alluvioni in Bosnia e Serbia: cresce il bilancio delle vittime

    ◊   E’ stato nuovamente aggiornato il bilancio delle alluvioni che hanno colpito, nelle scorse settimane, la Bosnia Erzegovina e la Serbia. Le autorità di Belgrado hanno reso noto che sono 33 le vittime accertate, 30 mila gli evacuati dei quali 25 mila solo a Obrenovac, la cittadina poco a sudovest di Belgrado risultata l'epicentro dell'emergenza con l'acqua alta giunta fino ai tetti delle case. Intanto la situazione sembra stia migliorando con il ritiro seppur lento delle acque e le migliorate condizioni meteo.

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    "Operazione speranza": Taizè in aiuto di Sud Sudan e Corea del Nord

    ◊   Ha preso il via “Operazione speranza”, l’iniziativa con la quale da anni la Comunità di Taizé viene in soccorso delle persone più sofferenti e bisognose. Tra i Paesi che hanno beneficiato degli aiuti c’è il Sud Sudan ed in particolare un villaggio a Sud di Rumbek, dove vivono una cinquantina di famiglie di lebbrosi, giunte da tutta la regione dei Grandi Laghi. I fondi – riferisce l’Osservatore Romano - serviranno per contribuire alla costruzione di un edificio per le classi elementari, in modo che i bambini possano continuare a studiare anche durante la stagione delle piogge.

    Dall’Africa all’Asia, in Corea del Nord dove sono arrivate confezioni di medicinali di base, centinaia di stetoscopi, termometri, scatole di bende, garze, siringhe e varie forniture mediche; sono state donate anche diverse scatole di dispositivi chirurgici e due sterilizzatori. "Operazione speranza" ha aggiunto due nuovi concentratori di ossigeno. Il Paese asiatico può contare su medici esperti ma il materiale, anche le cose più semplici ed essenziali, scarseggia. La Comunità di Taizé da anni si occupa di questo Paese, nel 2009, inoltre, ha fatto stampare un milione di copie della Bibbia in Cina: 200 mila bibbie complete e 800 mila testi del Nuovo Testamento più i salmi.

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    Spagna: la Caritas sfida la disoccupazione con progetti mirati

    ◊   Importanti segnali arrivano da un recente Rapporto per l'occupazione e l'economia sociale, pubblicato in Spagna, che ha rilevato che oltre 12 mila disoccupati sono tornati a lavorare dopo aver partecipato a percorsi di formazione e orientamento professionali avviati dalla Caritas. Nel corso del 2013, riporta l’Osservatore Romano, più di 75 mila persone hanno avuto accesso ai servizi e ai centri di formazione della Caritas dislocati in tutto il Paese. Di questi il 15,6 per cento ha trovato lavoro. L’organismo ha investito circa 36 milioni di euro per le sue azioni a favore dell'occupazione e dell'economia sociale. Il 62 per cento di questi fondi proviene da donazioni private e da attività economiche realizzate dalle imprese di economia sociale gestite dalle varie Caritas diocesane; il restante 38 per cento da finanziamenti pubblici.

    Determinante il contributo di circa 2.500 volontari e 670 lavoratori a tempo pieno. Durante il 2013 sono state realizzate in tutta la Spagna 37 iniziative di economia sociale, che hanno generato 689 posti di lavoro, dei quali 404 sono stati occupati da persone vulnerabili. Per quanto riguarda la provenienza delle persone aiutate, nel 53 per cento dei casi si tratta di spagnoli. Dei 36.224 immigrati seguiti, il 79 per cento proviene da Paesi al di fuori dell'Unione europea.

    Dalla Caritas iberica arrivano poi anche alcune proposte per uscire dalla crisi. Il rapporto si conclude infatti con un capitolo che punta a realizzare un "nuovo modello di generazione di lavoro" che offra opportunità di impiego dignitoso a tutte le persone, soprattutto le più svantaggiate, in modo che "tutti possano esercitare il loro diritto al lavoro". Proposte che mettono al centro le persone. Tre le direzioni individuate: una crescita orientata al miglioramento della qualità della vita; una redistribuzione del lavoro, garantendo la qualità del lavoro stesso e una protezione sociale adeguata; la promozione di un modello di imprenditorialità collettivo e solidale.

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    Anniversario strage Capaci, Napolitano: resistere a intimidazioni mafia

    ◊   “L’esempio di dirittura morale e di impegno coraggioso fino all’estremo sacrificio di Giovanni Falcone è stato e continua a essere fondamentale stimolo a resistere alle intimidazioni della mafia e a diffondere una rinnovata fiducia nello stato di diritto”. E’ quanto si legge nel messaggio del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, al presidente della Fondazione Giovanni e Francesca Falcone, Maria Falcone, in occasione del ventiduesimo anniversario della strage di Capaci. A ricordare i martiri dell’eccidio Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e gli agenti di scorta Rocco Dicillo, Antonio Montinaro e Vito Schifani autorità ma, soprattutto, tanti giovani.

    Sono i 1.500 studenti arrivati da tutta Italia questa mattina a Palermo a bordo della Nave della Legalità, organizzata dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca in collaborazione con la Fondazione Falcone, unitamente a molte scolaresche siciliane. Insieme a loro, anche otto studenti di New York, arrivati con un volo diretto, ribattezzato per l’occasione l’Aereo della Legalità.

    Tra gli appuntamenti per non dimenticare le vittime della strage di Capaci e via D’Amelio, il momento istituzionale all’aula bunker del carcere Ucciardone dove su alcuni lenzuoli e striscioni che velano le gabbie destinate ai detenuti si legge: “Ci siamo ancora e vogliamo esserci”, “Rompere il silenzio”, “Mai più mafia”. “I fenomeni di criminalità organizzata rappresentano una minaccia mortale al futuro delle nostre democrazie di fronte alla quale la comunità internazionale, e in special modo l’Unione Europea, non può arretrare, restare indifferente o rassegnata – ha detto il presidente del Senato, Pietro Grasso, intervenendo all’aula bunker - Penso all’istituzione di una Procura europea, una struttura che innalzerà il livello dell’azione di contrasto ai delitti contro gli interessi finanziari dell’Unione e garantirà risultati che nessuno Stato da solo potrà mai realizzare”.

    Tra tanti interventi, anche quello di Alfredo Morvillo, procuratore di Termini Imerese e fratello di Francesca, la moglie di Giovanni Falcone morta col giudice nella strage di Capaci che, entrando nell’aula bunker ha dichiarato ai giornalisti: “Non è cambiato niente e non intendo dire nulla. Potete prendere le dichiarazioni dell’anno scorso, tanto è tutto uguale, nessun passo avanti, né un vero cambiamento, in politica, come altrove. Oggi per qualcuno questa è solo una passerella, qui come in chiesa”.

    Nel pomeriggio partiranno due cortei di studenti: uno dall’Aula Bunker e l’altro da via D’Amelio, per riunirsi in via Notarbartolo, sotto l’Albero Falcone. Alle 17.58, ora della strage di Capaci, si celebrerà il momento solenne del Silenzio, eseguito dal trombettiere della Polizia di Stato. (Da Palermo, Alessandra Zaffiro)

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    Presentata a Roma la 13.ma Giornata nazionale del Sollievo

    ◊   E' stata presentata oggi a Roma presso l'Auditorium di Lungotevere Ripa la 13.ma Giornata nazionale del Sollievo. Il ministro della Salute, Beatrice Lorenzin, intervenendo - in collegamento telefonico - ha sottolineanto l'importanza del tema delle cure palliative e della terapia del dolore.

    ''L'anno scorso - ha spiegato - dopo pochi giorni dalla mia nomina a ministro della Salute ho partecipato alla 'mia' prima Giornata nazionale del Sollievo e voglio ringraziare la Fondazione Ghirotti, per aver posto subito alla mia attenzione un tema così importante per le persone ammalate”.

    E proprio grazie alle sollecitazioni poste lo scorso anno, la terapia del dolore oggi è inserita sia nel disegno di legge attualmente in discussione al Senato, sia nell'agenda europea nell'ambito del semestre italiano di presidenza dell'Ue.

    “Ho chiesto alle regioni – ha proseguito e concluso il ministro - di avviare un lavoro più forte sulla realizzazione degli hospice e sto facendo un monitoraggio sulla presenza sul territorio di queste strutture fondamentali per accompagnare le persone nell'ultima fase della loro vita alleviando le sofferenze e salvaguardando la loro dignità''. (M.T.)

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    Pubblicato il testamento spirituale del card. Marco Cè

    ◊   E’ stato pubblicato oggi sul nuovo numero del settimanale diocesano "Gente Veneta", il testamento spirituale del Patriarca emerito di Venezia cardinale Marco Cè, morto il 12 maggio scorso nella città lagunare. Lo scritto risale al 21 novembre 2007 e vi sono poi due aggiunte più recenti: una del febbraio 2009 e l’altra dell’ottobre 2013.

    Nella prima parte del testamento il porporato racconta il suo grande amore per Venezia che egli ha considerato come un dono nella sua vita.

    “Venezia - scrive - è stata veramente la mia casa e la mia famiglia. Ne ringrazio il Patriarca Angelo, sempre troppo buono e generoso con me; ringrazio i miei Collaboratori, tutti i Confratelli presbiteri, l’amatissimo Seminario, le Autorità, tutta la grande famiglia della Chiesa veneziana e del suo territorio. Ho ringraziato il Signore per il loro amore. Mi affido all’infinita misericordia di Dio, alla intercessione della Santa Madre di Gesù e di San Marco; domando a tutti una preghiera. Dio benedica la mia amatissima Venezia e la sua Chiesa”

    E nella prima aggiunta fatta nel febbraio 2009, il cardinale Cè ricorda il suo collaboratore don Valerio “Dal Paradiso, dove spero di essere accolto, gli sarò vicino ogni giorno.”, mentre nell’ ultima postilla scritta nell’ ottobre 2013, il porporato ha un pensiero per il nuovo Patriarca di Venezia, mons. Francesco Moraglia: “Il Patriarca Angelo è volato a Milano; il Signore ci ha donato il Patriarca Francesco, con me sempre troppo buono.” (M.T.)

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    Al via a Torino le celebrazioni dei Salesiani per la festa di Maria Ausiliatrice

    ◊   Domani in tutto il mondo salesiano – e non solo – si celebrerà la festa di Maria Ausiliatrice. Numerose le celebrazioni in programma a Torino, alle quali parteciperà anche don Ángel Fernández Artime, per il suo primo incontro con la città in qualità di rettor maggiore. Oltre a don Artime è prevista anche la partecipazione di don Ivo Coelho, consigliere per la Formazione, impegnato già da oggi con i novizi salesiani d’Europa; don Fabio Attard, consigliere per la Pastorale giovanile; don Stefano Martoglio, consigliere per l’Europa Mediterranea; don Vacláv Klement, consigliere per l’Asia Est-Oceania; don Ameríco Chaquisse, consigliere per l’Africa-Madagascar.

    Le attività celebrative inizieranno questa sera alle 20:45 nella Basilica di Maria Ausiliatrice con la Veglia e il Rosario fino alla tradizionale Messa di Mezzanotte, presieduta da mons. Mario Maria Morfino, vescovo di Alghero. Domani invece in mattinata, la Solenne Concelebrazione, presieduta da mons. Cesare Nosiglia, arcivescovo di Torino, e nel pomeriggio alle 18:30 don Ángel Fernández Artime presiederà una Messa con il Movimento Giovanile Salesiano.

    In serata, la Solenne Processione, che attraverserà le strade di Torino, presieduta da mons. Nosiglia. Al termine, mons. Giacomo Martinacci, cancelliere arcivescovile celebrerà una Messa solenne. E la memoria liturgica della Beata Vergine Maria Aiuto dei cristiani è ricordata in molte diocesi del mondo, tra cui anche in Cina dove è venerata con molta devozione nel Santuario di Sheshan a Shangai.

    E proprio alla vigilia della Giornata di preghiera per la Chiesa in Cina, che ricorre domani, nel corso della scorsa udienza generale del mercoledì, Papa Francesco ha invitato i fedeli a pregare per questa ricorrenza, invocando "la protezione della Madre Ausiliatrice, affinché i cattolici in Cina continuino a credere, a sperare e ad amare e siano, in ogni circostanza, fermento di armoniosa convivenza tra i loro concittadini". (M.T.)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVIII no. 143

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    E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.