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Sommario del 22/05/2014

Il Papa e la Santa Sede

  • Francesco: la salute di un cristiano si vede dalla gioia
  • Tweet del Papa: nessuna anima che si lascia guidare da Dio perde la strada
  • Il card. Parolin: frutti di pace dal viaggio del Papa in Terra Santa
  • Il nunzio in Israele: " Il Papa ci aiuterà nella fiducia reciproca"
  • 50.mo abbraccio tra Paolo VI e Atenagora. Poupard: svolta storica per la Chiesa
  • Cei affida ancora al Papa nomina presidente. Intervista a mons. Seccia
  • Il Papa riceve Scola e un gruppo di vescovi messicani
  • Mons. Graulich nominato dal Papa sotto-segretario ai Testi legislativi
  • Festa dello sport con il Papa. Achini: sarà una grande emozione
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Meriam, il marito denuncia: in prigione con le catene alle caviglie
  • Elezioni europee. Presentati nomi candidati che "corrono per la famiglia"
  • Truffelli, nuovo presidente Azione Cattolica: sì a scelta missionaria
  • Minori non accompagnati: urgente un nuovo sistema di accoglienza
  • La “Nave della Legalità" a Palermo: protagonisti i giovani
  • All'Antonianum, ciclo di conferenze su cinema e libertà religiosa
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Thailandia: colpo di Stato dei militari
  • Ucraina: attacco dei filo-russi, uccisi 11 soldati di Kiev
  • Cina: attentato nel centro di Urumqui, oltre 30 morti
  • Malaysia: suora cattolica morta dopo un’aggressione
  • Messaggio dei vescovi europei per il viaggio del Papa in Terra Santa
  • I vescovi di Papua Nuova Guinea: tutelare vita e combattere corruzione
  • Egitto, il Patriarca Tawadros esorta a votare per le presidenziali
  • Il Papa e la Santa Sede



    Francesco: la salute di un cristiano si vede dalla gioia

    ◊   La gioia è “il sigillo del cristiano”, anche nei dolori e nelle tribolazioni. E’ quanto affermato da Francesco nella Messa mattutina a Casa Santa Marta. Il Papa ha ribadito che è impossibile un cristiano triste ed ha sottolineato che è lo Spirito Santo che ci insegna ad amare e ci riempie di gioia. Il servizio di Alessandro Gisotti:

    Gesù, ha esordito Papa Francesco, prima di andare in Cielo, ha parlato di tante cose, ma si soffermava sempre su “tre parole chiave”: “Pace, amore e gioia”. Sulla pace, ha ribadito, “ci diceva che non ci dà una pace, come la dà il mondo”, ma ci dà una “pace per sempre”. Sull’amore, ha proseguito, ha detto tante volte “che il comandamento era amare Dio e amare il prossimo” e ha fatto quasi un “protocollo”, in Matteo 25, “sul quale noi tutti saremo giudicati”. Nel Vangelo odierno, ha quindi osservato, “Gesù sull’amore dice una cosa nuova: ‘Non solo amate, ma rimanete nel mio amore’”:

    “La vocazione cristiana è questo: rimanere nell’amore di Dio, cioè, respirare, vivere di quell’ossigeno, vivere di quell’aria. Rimanere nell’amore di Dio. E con questo chiude la profondità del suo discorso sull’amore e va avanti. E com’è l’amore suo? ‘Come il Padre ha amato me, anche Io ho amato voi’. E’ un amore che viene dal Padre. Il rapporto d’amore fra Lui e il Padre è anche un rapporto d’amore fra Lui e noi. E a noi chiede di rimanere in questo amore, che viene dal Padre”.

    “Una pace – ha ripreso – che non viene dal mondo, la dà Lui. Un amore che non viene dal mondo, che viene dal Padre”. Quindi, Papa Francesco si è soffermato sull’esortazione di Gesù: “Rimanete nel mio amore”. Il segno che noi “rimaniamo nell’amore di Gesù”, ha evidenziato, “è custodire i Comandamenti”. Non basta seguirli. “Quando noi rimaniamo nell’amore – ha detto – sono i Comandamenti che vengono da soli, dall’amore”. L’amore, ha ribadito, “ci porta a compiere i Comandamenti, così, naturalmente. La radice dell’amore fiorisce nei Comandamenti”. E questi, è stata la sua riflessione, sono “come il filo” che lega una “catena: il Padre, Gesù, noi”. Francesco ha così rivolto l’attenzione alla gioia:

    “La gioia, che è come il segno del cristiano. Un cristiano senza gioia o non è cristiano o è ammalato. Non c’è un’altra! La sua salute non va bene lì! La salute cristiana. La gioia! Una volta ho detto che ci sono cristiani con la faccia da peperoncino in aceto… Sempre la faccia così! Anche l’anima così, questo è brutto! Questi non sono cristiani. Un cristiano senza gioia non è cristiano. E’ come il sigillo del cristiano, la gioia. Anche nei dolori, nelle tribolazioni, nelle persecuzioni pure”.

    Dei primi martiri, ha rammentato, si diceva che andavano “al martirio come se andasse a nozze”. E’ la gioia del cristiano, ha detto, “che custodisce la pace e custodisce l’amore”. Pace, amore e gioia, “tre parole che Gesù ci lascia”. E chi fa questa pace, questo amore, “chi – si è domandato il Papa - ci dà la gioia? E’ lo Spirito Santo”:

    “Il grande dimenticato della nostra vita! Io avrei voglia di domandarvi - ma non lo farò, eh! - di domandarvi: quanti di voi pregate lo Spirito Santo? Non alzate la mano... E’ il gran dimenticato, il grande dimenticato! E Lui è il dono, il dono che ci dà la pace, che ci insegna ad amare e che ci riempie di gioia. Nella preghiera abbiamo chiesto al Signore: ‘Custodisci il tuo dono’. Abbiamo chiesto la grazia che il Signore custodisca lo Spirito Santo in noi. Il Signore ci dia questa grazia: di custodire sempre lo Spirito Santo in noi, quello Spirito che ci insegna ad amare, ci riempie di gioia e ci dà la pace”.

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    Tweet del Papa: nessuna anima che si lascia guidare da Dio perde la strada

    ◊   "Nessuna anima che si lascia guidare da Dio rimane delusa o perde la strada". E' il tweet pubblicato oggi da Papa Francesco sul suo account in 9 lingue @Pontifex.

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    Il card. Parolin: frutti di pace dal viaggio del Papa in Terra Santa

    ◊   Sabato 24 maggio, Papa Francesco inizierà l’atteso viaggio di tre giorni in Terra Santa, in occasione del 50.mo anniversario dell’incontro a Gerusalemme tra Paolo VI e Atenagora. Ieri all'udienza generale ha chiesto ai fedeli di pregare per questa missione. Quali i frutti che possono venire da questo pellegrinaggio? Barbara Castelli, del Centro Televisivo Vaticano, lo ha chiesto al cardinale segretario di Stato Pietro Parolin:

    R. – Io direi che i frutti andrebbero soprattutto nella direzione dell’incontro: un frutto di incontro tra il Papa e le diverse realtà che vivono in quella terra, e tra queste diverse realtà, anche tra di loro. E’ un frutto di pace, ecco. Sappiamo che il Papa si reca in una terra particolarmente travagliata … Io spero davvero che il frutto possa essere quello di aiutare tutti i responsabili e tutte le persone di buona volontà a prendere decisioni coraggiose sulla via della pace.

    D. – Una terra dove fatica a fiorire la pace … Quali sono gli auspici della Santa Sede nel dialogo israelo-palestinese?

    R. – Da una parte, il diritto di Israele di esistere e di godere di pace e di sicurezza all’interno di confini internazionalmente riconosciuti; il diritto del popolo palestinese, di avere una patria, sovrana e indipendente, il diritto di spostarsi liberamente, il diritto di vivere in dignità. E poi, il riconoscimento del carattere sacro e universale della città di Gerusalemme, della sua eredità culturale e religiosa: quindi, come luogo di pellegrinaggio dei fedeli delle tre religioni monoteiste. Sono un po’ questi i punti sui quali il Papa insisterà anche questa volta, in linea con tutta la “politica” della Santa Sede per quanto riguarda il conflitto israelo-palestinese.

    D. – All’Angelus dello scorso 5 gennaio, Papa Francesco ha parlato di questo viaggio come di un pellegrinaggio, insistendo sull’aspetto della preghiera. Cuore pulsante sarà, appunto, l’incontro ecumenico al Santo Sepolcro con il Patriarca Bartolomeo I di Costantinopoli in ricordo dello storico incontro tra Paolo VI e il Patriarca Atenagora. Crede che questo appuntamento possa in qualche modo segnare anche un momento significativo, importante nei rapporti tra le Chiese?

    R. – L’ecumenismo è stata una delle acquisizioni del Concilio Vaticano II, naturalmente al termine di un lungo cammino percorso anche dalla Chiesa cattolica, in questo senso. Ma che l’incontro tra Paolo VI e Atenagora abbia dato un impulso fondamentale, determinante, a questo cammino ecumenico, ci dice che a volte i gesti servono di più delle parole, che sono più eloquenti delle parole. Io mi auguro che l’incontro tra Papa Francesco e il Patriarca Bartolomeo ravvivi un po’ questa fiamma, questo entusiasmo per il cammino ecumenico che dovrebbe animare un po’ tutte le iniziative che pur ci sono. Dovrebbe esserci quest’anima di entusiasmo e questa passione per l’unità che è stata l’ardente preghiera di Gesù nel Cenacolo, prima della sua Passione e Morte.

    D. – Il viaggio sarà anche un momento di vera gioia per i cristiani che vivono in Giordania, Palestina e Israele, cristiani che spesso vivono in condizioni difficili …

    R. – Sarà un momento di gioia e di conforto per tutti i cristiani che vivono in Terra Santa, e il Papa credo voglia sottolineare, nell’incontro diretto con loro, due cose: che questi cristiani sono pietre vive e che senza la loro presenza la Terra Santa e gli stessi Luoghi Santi rischiano di trasformarsi in musei, come diciamo spesso. Invece, la loro presenza assicura che lì ci sia una comunità cristiana viva e una presenza viva del Signore risorto. E, nello stesso tempo, oltre a questa dimensione più ecclesiale, anche il ruolo che i cristiani del Medio Oriente e della Terra Santa hanno nelle società in cui vivono, nei Paesi in cui vivono: un ruolo fondamentale. Vogliono mettersi sinceramente a disposizione dei loro concittadini per costruire insieme una patria libera, giusta e democratica.

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    Il nunzio in Israele: " Il Papa ci aiuterà nella fiducia reciproca"

    ◊   In Israele c’è grande attesa per l’arrivo di Papa Francesco. “Sarà un’iniezione di fiducia per i cristiani che vivono in Terrasanta”: così mons. Giuseppe Lazzarotto, nunzio apostolico in Israele e delegato nello stato di Palestina. Al microfono del nostro inviato Roberto Piermarini, il presule ricorda anche lo storico incontro, 50 anni fa, tra Paolo VI e Atenagora:

    R. – Fu veramente un momento che ha introdotto un cambio molto significativo e ancora oggi stiamo raccogliendo questi frutti. Fu un gesto fatto sotto l’ispirazione dello Spirito Santo. A 50 anni di distanza, quel gesto - che giustamente Papa Francesco e il patriarca Bartolomeo vogliono ricordare insieme, questa volta con tutti i capi delle chiese cristiane di Gerusalemme - aprirà nuove strade.

    D. - Sarà anche questo un evento storico?

    R. - Assolutamente sì perché, a parte la grande forte personalità di Papa Francesco che tutti ammirano, anche qui in Terra Santa, c’è anche la determinazione del patriarca Bartolomeo di celebrare insieme questo anniversario. Ciò indica chiaramente che si vuole continuare a camminare insieme per la strada che fu aperta allora, 50 anni fa, e che deve trovare anche nuovi sbocchi, proprio qui.

    D. – Come giudica i commenti di stampa e tv israeliana e palestinese alla vigilia di questo viaggio papale?

    R. – C’è naturalmente grande attesa, una grande aspettativa, ma c’è anche qua e là qualche voce discorde, non si deve però dare troppo importanza, sono casi isolati. C’è grande attesa, grande fiducia, e si guarda a questo viaggio di Papa Francesco con un desiderio grande che la sua presenza, la sua parola, i suoi gesti, portino un elemento di ottimismo, di speranza, di incoraggiamento, di cui tutti quanti abbiamo bisogno.

    D. – Preoccupano i casi di vandalismo contro i luoghi cristiani?

    R. - Naturalmente un po’ di preoccupazione c’è, ma non perché sia un elemento che può disturbare la visita del Papa, questo no! E’ un fenomeno ricorrente e anche qui però è importante sottolineare che si tratta di casi individuali. La stragrande maggioranza della popolazione israeliana è a favore della visita del Papa ed è anche a favore della presenza dei cristiani.

    D. - Ci sono problemi con i permessi ai palestinesi per partecipare alla Messa a Betlemme?

    R. – Ci sono permessi ai palestinesi per partecipare alla messa a Betlemme. Abbiamo cercato di fare in modo che tutti quelli che desiderano partecipare non abbiano difficoltà. I permessi sono già stati dati.

    D. – A che punto è il negoziato che è iniziato nel ’93 sugli accordi fondamentali tra Santa Sede e Israele?

    R. - Direi che siamo entrati nella fase finale. Questo è un accordo molto tecnico, perché si tratta di questioni fiscali. Ci sono alcuni punti ma sono proprio di carattere tecnico, non abbiamo fretta. L’importante è che sia un buon accordo.

    D. – La visita di Papa Francesco giunge in un momento di congelamento del dialogo israelo-palestinese. Lei crede che questa visita possa ravvivarlo, sbloccarlo?

    R. - Noi lo speriamo e non solo noi ma tutti. Ci sono tantissimi uomini e donne di buona volontà. Bisogna dare voce a queste persone che lavorano su un terreno molto pratico, la vita di tutti i giorni, per cercare fiducia reciproca.

    D. – Che cosa si aspetta da questa visita?

    R. – Mi auguro che la sua venuta, qui in Terra Santa porti una forte iniezione di speranza e di fiducia per i nostri cristiani che affrontano tante difficoltà. Il Signore e la provvidenza ci hanno messo a vivere in una casa comune però non possiamo vivere da separati in casa. Noi dobbiamo imparare a vivere insieme come famiglia. Dobbiamo arrivare a volerci bene gli uni gli altri, scambiando quello che abbiamo di positivo e costruendo su quello. Il mio auspicio è che la visita del Santo Padre porti come un colpo d’ala e che ci aiuti a camminare meglio insieme.

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    50.mo abbraccio tra Paolo VI e Atenagora. Poupard: svolta storica per la Chiesa

    ◊   “Il mondo ha aperto gli occhi davanti ad un avvenimento totalmente imprevisto”. Così il cardinale Paul Poupard, presidente emerito del Pontificio Consiglio della Cultura e per il Dialogo interreligioso, alla presentazione, nella sede della Radio Vaticana, del libro “L’Abbraccio di Gerusalemme - Cinquant’anni fa lo storico incontro tra Paolo VI e Athenagoras”, edito dalle Paoline. Il testo scritto da Valeria Martano si sofferma sulla svolta storica avvenuta nella storia della Chiesa, attraverso i volti dei protagonisti dell’epoca e guarda con entusiasmo al prossimo viaggio di Papa Francesco in Terra Santa. Ce ne parla Massimiliano Menichetti:

    E’ la Terra Santa, da dove parte la salvezza del mondo, ad essere segno ancora una volta di unità, di speranza. In pieno Concilio Vaticano II, il 5 gennaio del 1964, su una collina davanti alla città di Gerusalemme, tutti assistono all’abbraccio tra Paolo VI e il Patriarca Atenagora di Costantinopoli. Un evento pensato da Papa Giovanni XXIII, che segna la storia per sempre. Con questo semplice gesto, infatti, le due Chiese rompono secoli di distanza, riconoscendosi di nuovo sorelle. Il cardinale Paul Poupard, presidente emerito del Pontificio Consiglio della Cultura e per il dialogo interreligioso, che già nel 1963 lavorò alla preparazione dell’incontro:

    “Io ricordo che accadde un avvenimento totalmente imprevisto nel mondo e che ha cambiato la storia del mondo! E’ il fatto che dei mondi che si ignoravano - se così posso dire - si sono incontrati: allora il mondo ha aperto gli occhi, da una parte e dall’altra. E’ una cosa che è rimasta unica! E’ l’unico viaggio nella storia dei lungi viaggi pontifici fatto da un Papa in Motu Proprio. E’ lui che si è invitato. Tutti ritenevano che sarebbe stato impossibile, così è stato possibile".

    “Biografie parallele”, quelle di Atenagora e del giovane Roncalli che arriveranno a comporre un incontro capace di allargare i polmoni della Chiesa. Valeria Martano, autrice del libro: “L’Abbraccio di Gerusalemme”:

    “All’incontro tra Atenagora e Paolo VI si arriva con un lungo cammino parallelo, che vede l’anelito all’unità nascere da una parte ad Oriente, in Atenagora che è un cristiano orientale, che assiste alla disgregazione della coabitazione ottomana e soffre della divisione che diventa ostilità, diventa violenza, del nazionalismo, che comprende, e intuisce la necessità dell’unità, però anche un uomo che fa l’esperienza della moderna coabitazione: 20 anni negli Stati Uniti, uno Stato multietnico, plurireligioso; dall’altra parte, parallelamente, noi abbiamo un cristiano occidentale, un prete bergamasco, che passa 20 anni - quasi gli stessi anni in cui Atenagora era in Occidente - in Oriente. Come diceva Papa Giovanni: ‘Imparai ad amare i loro canti, i loro riti, la venerazione delle icone, a comprendere che questi fratelli, diversi da noi, avevano il nostro stesso cuore’. C’è un kairos all’inizio della stagione conciliare di queste due figure, che si trovano a capo delle rispettive chiese, che hanno respirato con due polmoni, come poi dirà Giovanni Paolo II: il polmone orientale ed occidentale della Chiesa. Si cercano e non si incontreranno mai, per la biografia di Giovanni XXIII, che è molto anziano: quindi non fanno in tempo ad incontrarsi. Paolo VI però raccoglie il testimone nell’arco di pochissimi mesi dall’elezione al Pontificato e porta a termine questa grande storia con l’incontro di Gerusalemme. Quindi con la possibilità che, senza nessuna sottomissione e senza nessun cedimento, da nessuna delle due parti, i cristiani si potessero ritrovare fratelli laddove la fede era nata.”

    Un ponte tracciato cinquant’anni fa, che sorreggerà anche il prossimo viaggio di Papa Francesco in Terra Santa e che vedrà la celebrazione ecumenica al Santo Sepolcro, il 25 maggio prossimo. Ancora il cardinale Paul Poupard:

    “Il collegamento con questo viaggio è molto importante, perché è la memoria e la speranza del futuro: e lo stiamo vivendo con questo viaggio nuovo”.

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    Cei affida ancora al Papa nomina presidente. Intervista a mons. Seccia

    ◊   Sarà ancora il Papa a nominare il presidente della Conferenza episcopale italiana. La decisione è stata votata dall’Assemblea della Cei, riunita da lunedì in Vaticano, impegnata nella riforma del proprio Statuto. Il servizio di Roberta Gisotti:

    In molti attendevano una svolta nella Chiesa italiana, l’unica al mondo che affida al Papa, vescovo di Roma e Primate d’Italia la nomina del proprio presidente. “Un legame unico – difeso dal cardinale Bagnasco, presidente della Cei - che deve essere – ha ribadito - valorizzato ed espresso”. Per questo – ha spiegato – “abbiamo escluso la votazione diretta” ma “saranno presentati al Santo Padre i tre confratelli maggiormente votati, a lui resta poi la libertà di scelta”. Una soluzione mediata, tenuto conto dell’appello rivolto dal cardinale Marc Oullet, prefetto della Congregazione dei vescovi, “di non abbassare il livello spirituale” dell’Assemblea “a un gioco di fazioni, di polarizzazioni e di politica”. “Per arrivare a una decisioni comune – aveva detto – ognuno deve essere disposto all’accoglienza e alla condivisione anche a prezzo di qualche concessione o rinuncia affinché regni l’unità”. Lo stesso Papa Francesco aprendo i lavori dell’Assemblea aveva raccomandato ai vescovi di ricercare la comunione e di rifuggire da “tentazioni”, “chiacchere”, “mezze verità”, “bugie” “lamentele”. Ma come è stato raccolto questo monito? Mons. Michele Seccia, vescovo di Teramo:

    R. – Io l’ho accolto molto positivamente, perché è ciò di cui abbiamo bisogno: guardare la realtà, guardare il contesto sociale, politico, ecclesiale nel quale ci troviamo ed operare il discernimento. Quale iniziativa può promuovere di più il bene comune? Perché se continuiamo a guardarci o a confrontarci in un modo semplicemente polemico o a vedere le cose che non vanno, non andiamo da nessuna parte. E’ il momento in cui dobbiamo costruire tutti insieme. E’ quello che io dico ai miei preti, ai catechisti, perché è gente di buona volontà, e di battezzati, che si impegnano giorno per giorno, ce ne sono tanti.

    D. – Il Papa ha parlato anche di sacerdoti spesso provati e scoraggiati...

    R. – Esatto. E difatti il mio impegno è proprio quello di tenere insieme i sacerdoti con uno spirito di comunione; comunione non simbolica, quella reale, in fondo, che noi sperimentiamo dal vivo nell’Eucaristia. Se questo non si traduce in un’esperienza di vita nella relazione a tu per tu, sia tra noi sacerdoti che con il popolo di Dio, la comunione rimane una parola vuota.

    D. – Avvertite una responsabilità particolare, in questo periodo storico dell’Italia così travagliato?

    R. – Sì, riguardo l’Italia la situazione è, potrei dire, veramente drammatica, ma siamo, proprio per questo, ancora più coinvolti. La Chiesa, infatti, e quindi le comunità ecclesiali, possono dare, devono dare quel contributo sociale di cui l’Italia oggi ha bisogno. Se come Chiesa ci lasciamo andare unicamente alla denuncia, che a volte è pure necessaria, non andiamo da nessuna parte; occorre essere, invece, collaboratori della costruzione del bene, perché l’esigenza del bene è notevole oggi. Non poche volte mi capita di dire, che noi dobbiamo rendere conto al Padre Eterno del tempo nel quale stiamo vivendo, non del passato e non del futuro. Oggi riceviamo degli input e a questi input dobbiamo rispondere e dobbiamo rispondere con la nostra stessa testimonianza e il nostro servizio.

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    Il Papa riceve Scola e un gruppo di vescovi messicani

    ◊   Papa Francesco ha ricevuto stamani in udienza il cardinale Angelo Scola, arcivescovo di Milano e un gruppo di presuli della Conferenza episcopale del Messico, in Visita “ad Limina Apostolorum”.

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    Mons. Graulich nominato dal Papa sotto-segretario ai Testi legislativi

    ◊   Papa Francesco ha nominato sotto-segretario del Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi il mons. Markus Graulich, S.D.B., finora prelato uditore del Tribunale della Rota Romana.

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    Festa dello sport con il Papa. Achini: sarà una grande emozione

    ◊   Il Centro Sportivo Italiano (Csi) celebrerà il 7 giugno prossimo, in Piazza San Pietro, il 70.mo di fondazione incontrando il Papa. Sono attese almeno 50mila persone tra ragazzi, allenatori e dirigenti in rappresentanza di tutte le società sportive impegnate nello sport di base, dal Csi al Coni e alla più piccola società di oratorio. L'evento è organizzato dal Csi in collaborazione con l'Ufficio pastorale dello Sport, Turismo e Tempo Libero della Cei, con il patrocinio del Coni, Anci e dell'Istituto di Credito Sportivo. "Una grande festa dove proveremo a mettere in luce – spiega Massimo Achini, presidente nazionale del Centro Sportivo Italiano - il volto umano dello sport". Ascoltiamolo al microfono di Luca Collodi:

    R. – Bè, intanto devo dire che lo sport di base vivrà una grande emozione. Tutti gli sportivi sanno che la convocazione è sempre un momento un po’ magico. Penso a tutti quelli che sono stati convocati nelle loro nazionali per i mondiali, e qui siamo di fronte ad una convocazione davvero inaspettata: Papa Francesco che, appunto, il 7 giugno nel pomeriggio, convoca tutti i ragazzi, le ragazze, i dirigenti, gli allenatori, gli arbitri, gli animatori delle società sportive di base. Non solo quelle del Csi, questo grande appuntamento avviene in occasione dei 70 anni dei Csi, ma l’invito è aperto a tutte quelle società sportive di base che hanno a cuore l’educazione dei ragazzi e dei giovani. Queste società sportive rappresentano qualche cosa di straordinario per il nostro Paese: sono un patrimonio di umanità e di educazione che molto spesso si tende a sottovalutare. E allora, l’idea di festeggiare questa grande giornata incontrando e abbracciando Papa Francesco, ovviamente ascoltando le sue parole, dicendo anche che il mondo dello sport di base fa il tifo per lui, per quello che questo Papa sta facendo per la Chiesa e per l’umanità di oggi, è anche un modo per regalare un entusiasmo straordinario a tutti quelli che oggi – e sono tantissimi! – credono davvero nello sport come strumento di educazione alla vita.

    D. – Come si svolgerà la giornata di sabato 7 giugno?

    R. – Devo dire che sarà una giornata indimenticabile. Dalle 9 di mattina, in via della Conciliazione ci sarà un villaggio dello sport, con campi di pallavolo, di calcetto, di basket, pedane di arti marziali … insomma, tantissime discipline dove i ragazzi che arriveranno da tutta Italia potranno giocare e divertirsi. Dalle 14, l’apertura dei varchi per l’accesso in Piazza San Pietro, dalle 15, animazione, festa … Ricordo che invitiamo tutte le società sportive ad arrivare vestite con la loro divisa di gioco, anche per vedere anche nei colori la gioia del mondo dello sport. E poi, alle 16.30, l’arrivo in piazza di Papa Francesco e un’ora e mezzo insieme a Papa Francesco per fare festa, per riflettere sul valore dello sport, per ascoltare testimonianze molto significative di quel volto umano dello sport che molto spesso si perde nel mondo dello sport professionistico ma che è molto presente, invece, nelle attività sportive di base, e poi – ovviamente – con tutto il cuore per fare arrivare al cuore di ciascuno le parole di Papa Francesco.

    D. – Questo incontro del 7 giugno è dunque aperto a tutte le società sportive di base ...

    R. – Sì, è assolutamente così, perché il regalo che abbiamo ricevuto è un regalo troppo bello per tenerlo solo per noi. Da qui, devo dire con grande immediatezza e naturalezza, la necessità di estendere questo invito a tutti – e mi piace ricordare che sono tanti - perché lo sport di base è la più grande forma di volontariato di questo Paese. Questo significa che ogni settimana ci sono veramente centinaia di migliaia di persone che dedicano una parte di tempo importante nella loro vita, rubandola alle loro famiglie, ai loro affetti, ai loro interessi, per stare con i ragazzi sui campetti spesso spelacchiati di oratorio, di quartiere, di periferia svolgendo un servizio straordinario …

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   Sulle vie della pace: il pellegrinaggio del Papa in Terra Santa nell’intervista del Centro Televisivo Vaticano al cardinale segretario di Stato.

    Con la sola forza dello spirito: le cronache di Dino Buzzati del viaggio di Paolo VI nel 1964; Silvia Guidi sugli editoriali di Raimondo Manzini sull'Osservatore Romano; padre Leonardo Sapienza su “Fatto singolare e spirituale”.

    Il lavoro di Gesù: messa del Pontefice a Santa Marta.

    Jorge Milia sul libro proibito di Bergoglio, ovvero le “Memorie dal sottosuolo”.

    Un articolo di Massimo Antonelli dal titolo “Sul confine della vita”: Cortile dei gentili a Montecitorio.

    Così straordinariamente ordinario: Vincenzo Bertolone ricorda don Pino Puglisi a un anno dalla beatificazione.

    Elezioni della distanza: Francesco Citterich sul voto per il rinnovo del Parlamento europeo.

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    Oggi in Primo Piano



    Meriam, il marito denuncia: in prigione con le catene alle caviglie

    ◊   Passa anche per Roma la speranza per Meriam Yahia Ibrahim, la sudanese di 27 anni - incinta di otto mesi e madre di un bambino di nemmeno 2 anni - condannata a morte da un tribunale di Khartoum per apostasia: ha sposato un cristiano ma lei, cristiana ortodossa che non ha rinunciato alla propria fede, per il Sudan è “obbligatoriamente” musulmana, perché figlia di padre musulmano. Il servizio di Giada Aquilino:

    Meriam è stata arrestata lo scorso febbraio, in seguito alla denuncia di un parente. E’ stata poi condannata a morte ai primi di maggio per non aver accettato di abiurare la propria fede e a 100 frustate, con l'accusa di "adulterio" per aver sposato un cristiano. Il sistema giudiziario in Sudan è basato sulla Sharia e prevede che la religione della giovane sia quella del padre, musulmano, di cui Meriam probabilmente ricorda solo pochi tratti, perché l’ha abbandonata quando era ancora piccola. Ora la giovane donna si trova nel carcere di Khartoum, trattenuta con le catene alle caviglie, secondo il marito che è riuscito a incontrarla in prigione questa settimana. A completare il quadro delle sue condizioni, oltre alla detenzione, è l’ottavo mese di gravidanza: quindi gambe gonfie, il peso del bambino nel suo grembo, l’affaticamento, tutti caratteri che però - probabilmente – sono anche la forza di Meriam in questo momento. Con lei in carcere, pure il figlio di 20 mesi, Martin, che, provato dall’ambiente in cui è costretto a vivere, si è già ripetutamente ammalato. Il padre del bambino ha provato a chiedere l’affidamento del piccolo ma, non essendo ritenuto valido in Sudan il matrimonio tra un cristiano e una musulmana, Martin è considerato illegittimo. L’uomo ha denunciato inoltre che la moglie ha subito maltrattamenti all’interno del penitenziario. Eppure non perde la speranza. Perché si allarga la mobilitazione in tutto il mondo e perché, nella drammaticità del caso, da Roma rimbalza una notizia di stampa che potrebbe aprire nuovi scenari. Esistono "ragionevoli possibilità" che la condanna a morte per apostasia a carico di Meriam sia "rivista" nei gradi successivi del processo a suo carico, "sulla base del ricorso presentato dagli avvocati della difesa": ad affermarlo l'ambasciata sudanese a Roma, in un comunicato inviato al ministero degli Esteri italiano. Nella nota si precisa inoltre che quella dei primi di maggio è stata una sentenza di primo grado, alla quale seguiranno i pronunciamenti "della Corte d'appello, della Corte Suprema e, se del caso, anche della Corte costituzionale". A confermare la notizia di un possibile nuovo processo per Meriam è padre Giancarlo Ramanzini, missionario comboniano che per quasi quarant’anni ha vissuto in Sudan:

    R. - Quello che so, ora, in questo momento, è che rifaranno il processo in tribunale: ancora una volta tornerà davanti ai giudici, proprio perché c’è stata questa pressione dall’esterno.

    D. - In che condizioni si trova la ragazza, secondo le informazioni che ha?

    R. - E’ ancora in prigione, è incinta e con lei c’è anche l’altro bambino di 20-21 mesi… E’ in carcere nella prigione femminile di Omdurman, che non è il posto migliore dove possano vivere i prigionieri! Spero che abbia delle visite da parte dei padri di Omdurman, quando la domenica hanno la possibilità di andare a pregare con i prigionieri cristiani. C’è una piccola chiesetta che hanno costruito proprio lì.

    D. - Tra poco Meriam dovrebbe partire: secondo lei, come potrà farlo?

    R. - Di solito portano le prigioniere all’ospedale: lì c’è una maternità, dove ci sono anche delle nostre suore carmelitane che operano proprio a Omdurman. Non è neanche tanto lontano. Quindi spero che abbiano questa attenzione di far partorire anche Meriam nel posto più giusto.

    D. - Cosa vuol dire essere cristiano in Sudan?

    R. - Avere il coraggio di non aver paura di mostrare di essere cristiani lì!

    D. - Cosa spera per la ragazza?

    R. - Spero che la liberino, che possa ritornare a casa in tempo per dare alla luce il suo bambino in pace e serenità. Per il bene di Meriam e della sua famiglia, mi auguro che riesca ad uscire da questa situazione così tragica.

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    Elezioni europee. Presentati nomi candidati che "corrono per la famiglia"

    ◊   Al via oggi in Gran Bretagna e Olanda le elezioni per il rinnovo dei 751 deputati del Parlamento Europeo. Il voto nei 28 Paesi dell'Unione Europea si sviluppa in quattro giorni. In Italia si voterà nella sola giornata di domenica. Intanto a Roma il Forum delle famiglie ha presentato i risultati della campagna europea Vote for family con gli elenchi dei candidati che hanno sottoscritto il manifesto “Io corro per la famiglia” (sul sito www.forumfamiglie.org). Il servizio di Paolo Ondarza:

    E’ la prima campagna a livello europeo in cui tutti i candidati dei 27 Paesi Ue sono stati invitati a sottoscrivere un testo comune. 62 i firmatari in Italia, 200 negli altri Paesi comunitari. A promuovere Vote for family la Federazione europea delle associazioni familiari di cui fa parte il Forum delle famiglie. Il presidente Francesco Belletti:

    R. - E’ un manifesto molto forte: mette a tema dei valori oggi in discussione sia in Italia che a livello europeo. Quindi la centralità di una famiglia fondata sulla differenza sessuale; la difesa della vita sin dal concepimento; il riconoscimento del lavoro dentro e fuori casa… I candidati hanno aderito con una certa difficoltà: abbiamo comunque raccolto circa 60 adesioni. Siamo soddisfatti. Per noi l’attività lavorativa non finisce il 25 maggio, ma comincia dal 26.

    D. - Europa e famiglia - ha detto - sono due realtà, due valori che si tengono insieme: debbono stare insieme! E’ importante questa considerazione soprattutto in un clima di dilagante antieuropeismo?

    R. - Sì. Sono forti i movimenti antieuropeisti che non si rendono conto che, dopo una guerra mondiale, il progetto europeo è stato un segnale di grande speranza e di grande visione. Oggi certamente le politiche europee hanno dato grande insoddisfazione alle famiglie. Le famiglie soprattutto in certi Paesi, da noi, in Grecia, sono state massacrate da questa Europa, ma questo ci sprona a starci di più nell’Europa e non a starci di meno. Anche dal punto di vista valoriale, molto spesso le direttive dell’Europa sull’identità della famiglia, sull’ideologia del gender non ci piacciono! Ma non per questo ci tiriamo fuori, anzi il nostro impegno raddoppia proprio per impedire che l’Europa rimanga in mano a poche oligarchie, a poche ideologie e che non sia più dei popoli. I popoli, secondo me, hanno la consapevolezza che i valori famiglia, pace, vita sono valori fondativi di una convivenza civile.

    D. - Non è la prima volta che come Forum delle Famiglie chiedete ai candidati alle elezioni di metterci la faccia: avete sottoposto oggi all’attenzione della stampa anche il vostro Manifesto del 2009. Allora il tema era lo stesso, ma le priorità erano diverse…

    R. - Oggi abbiamo scelto una piattaforma più orientata sull’orizzonte valoriale, piuttosto che sull’agenda delle politiche sociali. E’ chiaro che in Europa si possono investire molti soldi sui servizi di welfare, sulla solidarietà tra le generazioni, sull’invecchiamento, sul sostegno demografico: tutte questioni che di famiglia vivono e parlano. Però ci è sembrato importante concentrare il Manifesto proprio sull’identità della famiglia, perché è davvero sotto attacco.

    D. - A questo punto il vostro impegno è a vigilare su chi sottoscrive questo Manifesto, perché in passato come sono andate le cose?

    R. - Ci diciamo sempre che è facile firmare un manifesto in campagna elettorale, il difficile è sostenerlo. Noi, nel 2012, abbiamo fatto un bilancio di metà mandato sui candidati delle elezioni regionali e abbiamo visto che in molti casi il valore firmato non era stato onorato poi nelle scelte concrete. Anche con i candidati europei ci faremo sentire, dopo un anno, dopo un anno e mezzo e chiederemo loro conto di quanto decidono.
    D. - In alcuni casi in Europa è stata mostrata a livello popolare la volontà di andare oltre le pressioni delle lobby e delle ideologie. Lei ha citato in particolare i casi del referendum in Croazia sulla Costituzione e dell’iniziativa UnoDiNoi…

    R. - L’iniziativa UnoDiNoi è stata una grande dimostrazione di sensibilità europea, perché quando si è aperta la possibilità di portare proposte di legge o comunque vertenze europee, il popolo della vita e della famiglia ha raccolto un milione e 800 mila firme. Il referendum sulla Croazia è un altro esempio, soprattutto di chi, partendo dal basso e raccogliendo il sentire comune del popolo, va contro il parere del governo, del presidente della Repubblica, dell’80 per cento dei mass media e riesce a vincere, con i due terzi dei votanti, un referendum per mettere l’identità della famiglia naturale dentro la Costituzione. Quindi c’è bisogno di una rinnovata vigilanza e probabilmente c’è bisogno di nuove mobilitazioni da parte delle famiglie stesse.

    D. - Sta annunciando qualcosa?

    R. - No, non sto annunciando una iniziativa concreta. Sto facendo i conti con una grande effervescenza popolare, famiglie in piazza, tanti movimenti, tante nuove aggregazioni che tendono a far capire che non basta decidere le cose in Parlamento o far vincere per via giudiziaria alcune posizioni. Bisogna fare i conti con il popolo italiano! E questo per la famiglia è decisivo. D’altra parte, come diceva anche la Familiaris Consortio di Giovanni Paolo II, le famiglie devono essere le prime protagoniste delle politiche familiari, perché altrimenti saranno le prime vittime di questa loro inerzia. Quindi le nostre associazioni sono già assolutamente dinamiche e credo che nei prossimi mesi vedranno sempre una crescente mobilitazione.

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    Truffelli, nuovo presidente Azione Cattolica: sì a scelta missionaria

    ◊   L’Azione Cattolica Italiana ha un nuovo presidente. Si tratta di Matteo Truffelli, 44 anni, sposato, docente di storia delle dottrine politiche presso l’Università di Parma, delegato regionale dell’Azione Cattolica per l’Emilia Romagna negli ultimi due trienni, educatore fin da giovane di gruppi parrocchiali. Amedeo Lomonaco lo ha intervistato:

    R. - Vengo da una famiglia di tradizione legata all’Azione Cattolica. E ho conosciuto l’Azione Cattolica da ragazzo, quando sono stato mandato - contro la mia volontà - ad un campo dell’Azione Cattolica Ragazzi. Però da quel momento non la ho più lasciata! Da quel momento l’Azione Cattolica è stata la mia famiglia, che mi ha formato - da persona e da credente - in tantissimi aspetti della mia vita. Il passaggio, ancora più importante, è stato nell’estate in cui mi è stato chiesto di andare a fare l’educatore in un campo e quindi a scoprire che anch’io potevo essere un testimone credibile per dei ragazzi, per dei bambini. Da quel momento - avevo 18 anni - ho capito che l’Azione Cattolica era la mia strada per servire la Chiesa e per servire le persone.

    D. - A proposito di strada e di cammino, qual è l’impegno che attende l’associazione nei prossimi anni?

    R. - Gli impegni saranno tanti, le strade da percorrere saranno tante.L’impegno sarà quello di mettere concretamente in pratica le indicazioni che ci ha dato il Santo Padre il 3 maggio, quando lo abbiamo incontrato. Il Santo Padre ci ha dato tre verbi: rimanere con Gesù; andare per le strade e incontrare le persone; gioire ed esultare sempre nel Signore. Tre consegne belle, ricche, che possiamo riassumere in un’altra espressione che ha usato il Santo Padre, che è quella di scelta missionaria. Questo penso che significhi, in concreto, tante cose: dalla cura della vita spirituale delle persone all’impegno per una formazione capace di far maturare coscienze vive in bambini, ragazzi, in giovani e in adulti che siano consapevoli della loro ricca umanità e della loro vocazione alla santità.

    D. - Costruire proprio sentieri di gioia, testimoniare l’amore di Dio per chi si sente anche vinto dalle difficoltà, in particolare giovani senza lavoro o famiglie in crisi…

    R. - Questo essere mandati in questa scelta missionaria non può che avere come punto di partenza - ma anche come punto di arrivo, in un certo senso - coloro che più devono affrontare la fatica del vivere, coloro che più hanno bisogno di essere affiancati nel cammino nel mondo per trovare una pienezza di senso, nonostante le difficoltà, le povertà e le fatiche. E questo sarà sicuramente una chiave al centro del cammino dell’Associazione per i prossimi tre anni.

    D. - Come l’Azione Cattolica accompagnerà Papa Francesco, dal 24 al 26 maggio pellegrino in Terra Santa?

    R. - Lo accompagneremo anzitutto con la nostra preghiera: con la preghiera di tutte le nostre associazioni, nelle nostre parrocchie, nelle nostre diocesi. Saremo vicini al Santo Padre, sicuri che la sua presenza in Terra Santa sarà un segno forte per quella terra, cui tutti siamo così fortemente legati, ma per tutto il mondo e per tutte le persone. Sono certo che il pellegrinaggio di Papa Francesco sgretolerà qualche muro, qualche muro che è là, in quella terra così martoriata; ma anche qualche muro che sta nei cuori delle persone, qualche muro che divide le persone tra loro. L’Associazione lo seguirà con la preghiera, lo seguirà con attenzione in quello che da là vorrà dirci e nei gesti che vorrà fare. Poi siamo pronti ad accoglierlo al suo ritorno per impegnarci insieme con lui.

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    Minori non accompagnati: urgente un nuovo sistema di accoglienza

    ◊   Sono arrivate stamane nel porto di Augusta le due navi della Marina Militare con a bordo 488 migranti che due giorni fa erano stati intercettai nel Canale di Sicilia nell'ambito dell'operazione "Mare Nostrum". Tra loro 133 minori di cui molti bambini. Sulla banchina del porto sono state allestite tensostrutture e tende per la prima assistenza, per i piccoli sono state accumulate scorte di pannolini, biberon, confezioni di latte, indumenti e scarpette. Presenti anche medici pediatri. Una volta verificati quanti dei 133 minori sono in qualche modo "collegati" agli adulti, scatterà la seconda fase di accoglienza. Al momento i minori non accompagnati, affidati alla cura del Comune di Augusta, sono ospitati nella ex "Scuola verde". Un problema quello dei minori non accompagnati di cui si sta parlando intensamente, in questi giorni, in un Tavolo di coordinamento nazionale tra Ministeri, Regioni, enti locali e associazioni. I Comuni, sui quali grava in gran parte il peso e la responsabilità di questi minori, chiedono aiuto allo Stato, ma per ora è indispensabile l’opera del volontariato per assicurare il minimo di accoglienza agli immigrati più giovani. Adriana Masotti ne ha parlato con Carlotta Bellini di Save the Children che si trova in questi giorni proprio in Sicilia:

    R. - Sicuramente i minori presenti nell’attuale flusso migratorio sono moltissimi. Dall’inizio dell’anno ad oggi, infatti, sono arrivati sulle coste siciliane circa 5600 minori: i non accompagnati sono soprattutto minori che arrivano dall’Eritrea ma anche dall’Egitto e dal Gambia, sono quasi 3800; i minori che viaggiano nel nucleo familiare, quindi i più piccoli, sono soprattutto siriani. Attualmente quello che ci attendiamo è che tra i 133 minori salvati siano soprattutto loro, i minori piccoli siriani che arriveranno con le loro mamme.

    D. - Vediamo un po’che cosa succede nei due casi, quello dei bambini accompagnati e quello dei bambini soli…

    R. - Per quanto riguarda i nuclei familiari vengono immediatamente trasferiti verso alcuni centri che sono stati aperti proprio per questa situazione “emergenziale”. La verità è che si tratta soprattutto di nuclei che spariscono a poche ore dall’arrivo perché non vogliono rimanere in Italia. Per quanto riguarda i minori che viaggiano da soli - quelli eritrei, così come accade per i siriani - non vogliono stare nel nostro Paese e per questo se ne vanno, e vogliono, anche in questo caso, raggiungere soprattutto i Paesi del Nord Europa. Un viaggio che li mette in pericolo e in cui rischiano lo sfruttamento. Per quanto riguarda i minori egiziani e i minori gambiani, invece, loro vogliono rimanere in Italia; in questo caso al momento sono stati collocati in strutture aperte per far fronte all’emergenza. Strutture, in realtà, che non possono garantire un’accoglienza dignitosa per questi minori: alcuni di loro ci hanno detto di non aver ricevuto abiti, oppure di vivere in condizioni igieniche inaccettabili, alcuni di loro dicono di non ricevere cibo.

    D. - Ciò che emerge è che il sistema di accoglienza e di protezione nei loro riguardi non funziona in Italia…

    R. - Non solo non funziona. Il problema vero è che non c’è. In merito, Save the Children ha sviluppato una proposta di legge che a breve verrà discussa in parlamento, ma occorre anche prendere misure immediate e quindi, da subito, garantire l’apertura di strutture dove i minori possano essere accolti in attesa di una soluzione di lungo periodo: cosa accadrà a loro? Dovranno rimanere in Italia, oppure, è nel loro interesse essere spostati magari verso un altro Paese europeo? Occorre dunque aprire queste strutture e successivamente, quello che Save the Children chiede, è che ci sia anche una responsabilità a livello europeo.

    D. - Al momento ci sono centri di accoglienza, per esempio, ad Augusta…

    R. - Queste strutture, come la ex "Scuola verde", di Augusta, sono edifici che sono stati identificati con una logica del tutto emergenziale per tamponare un problema, ma non sono assolutamente strutture che possono dare un’accoglienza dignitosa ai minori. E poi i minori che spariscono nessuno sa dove vanno…

    Che il sistema di accoglienza presenti parecchie lacune lo conferma, al microfono di Adriana Masotti, don Angelo Saraceno, coordinatore della Caritas di Siracusa e parroco della chiesa Madonna del Buon Consiglio in Santa Lucia ad Augusta:

    R. - Noi seguiamo esclusivamente i ragazzi non accompagnati, dai 13 ai 18 anni. E’ una cifra molto altalenante perché, di fatto, la sera i centri sono pieni ed il giorno dopo, non sappiamo come, scompaiono. In questo momento sono circa 130/150; ieri erano un po’ di più poi alcuni sono andati via perché non essendoci un controllo, e d’altra parte non essendo prigionieri, i ragazzi vanno e vengono, e scompaiono non sappiamo dove.

    D. - Ma chi è il responsabile di questa accoglienza?

    R. - Il Comune, il commissario prefettizio, ci sono i dipendenti del Comune. Però, di fatto, loro non sono tenuti a tenere chiusi questi ragazzi, per cui loro vanno via tranquillamente. Non sappiamo né dove vanno, né con chi.

    D. - Non mi sembra una situazione molto sicura per loro…

    R. - Ma ovunque è così, in tutti i centri sta avvenendo questo da un paio di mesi a questa parte. In un primo momento sembrava potessero essere più controllati, successivamente sono arrivate disposizioni per cui, non essendo prigionieri, loro erano liberi di entrare, uscire ed andare dove volevano. Molti non ritornano più e non sappiamo dove vanno. È una cosa di cui ci siamo lamentati anche noi però sta succedendo la stessa cosa anche a Porto Palo, a Pozzallo, un po’ ovunque.

    D. - E’ una situazione piuttosto allucinante…

    R. - Sì, è vero. Nessuno sa niente e tutti sono tranquilli.

    D. - Voi dove incontrate questi ragazzi quando cercate di aiutarli?

    R. - Noi li incontriamo nei centri di accoglienza, nella scuola che il municipio ha messo a disposizione nel centro storico, anche se crea qualche difficoltà, però d’altra parte è giusto che sia nel centro abitato perché la cittadinanza si renda conto che il problema è di tutti. Anche nel PalaJonio, anche se si bloccano le attività sportive, però anche questo disagio ce lo dividiamo.

    D. - Il Comune pensa ai pasti, pensa anche a qualche altra cosa?

    R. - I pasti sono assicurati dal Comune. Noi, come comunità ecclesiale, provvediamo un po’ al cambio dei vestiti, all’igiene, all’accoglienza che riusciamo a fare, anche se adesso siamo arrivati proprio agli sgoccioli: sono quasi cinque mesi e non abbiamo più biancheria, specialmente l’intimo, ma continuiamo a fare quello che possiamo senza l’aiuto di nessuno, perché di fatto sono le famiglie che stanno collaborando. Speriamo che il Signore ci assista e che continuiamo nella perseveranza.

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    La “Nave della Legalità" a Palermo: protagonisti i giovani

    ◊   Anche quest’anno la “Nave della Legalità” sbarcherà a Palermo. L’iniziativa, promossa dal Ministero dell’istruzione e dalla Fondazione Giovanni Falcone, si svolgerà in occasione del 22.mo anniversario delle stragi di Capaci e Via d’Amelio. All’evento parteciperanno circa 20 mila studenti delle scuole di tutta Italia e diversi rappresentanti del mondo delle istituzioni tra cui il presidente del Senato, Pietro Grasso, e il ministro dell’Istruzione, Stefania Giannini. Gianmichele Laino ha intervistato Maria Falcone, sorella del giudice ucciso dalla mafia e presidente della Fondazione Falcone:

    R. – Il fine principale è quello di mantenere viva la memoria e non soltanto, purtroppo, di quel terribile attentato, ma dei valori per i quali uomini come Giovanni Falcone, Paolo Borsellino e gli agenti delle scorte sono morti, per garantire a tutti noi la democrazia e soprattutto la libertà e la legalità.

    D. – Sulla "nave della legalità" saliranno importanti rappresentanti del mondo delle istituzioni ma i veri protagonisti saranno i giovani. Durante le tante occasioni in cui ha ricordato il giudice Falcone nelle scuole, cosa legge nei loro occhi?

    R. – Leggo anzitutto l’incredulità perché un fatto del genere sia potuto capitare in Italia. Quindi, pensare che tali cose potevano avvenire in Italia, per certi versi, incoraggia la speranza: il fatto stesso che tutto ciò non è più avvenuto in questi anni può significare anche una vittoria nei confronti della mafia. E poi leggo nei loro occhi un grande amore per questi due uomini che hanno saputo sacrificare, sapendo che sarebbe finita così, la loro vita, proprio come dicevo poc’anzi, per garantire tutti noi.

    D. – In occasione dell’evento è stato indetto un concorso sull’uso responsabile del denaro pubblico. Qual è il messaggio che le istituzioni daranno a questi ragazzi, in un momento in cui l’utilizzo di fondi pubblici sembra prendere strade opposte a quella della responsabilità?

    R. – Penso che la risposta immediata che è stata data a questi fatti tremendi di Milano, l’intervento anche della magistratura e delle istituzioni sane, li incoraggi a sperare che purtroppo gli uomini peccano ma c’è chi sorveglia e che tutte le istituzioni sono presenti.

    D. – Un’occasione per risolvere problemi attuali ma soprattutto per ricordare il sacrificio di Falcone e Borsellino. Quale sarà il momento più significativo della manifestazione?

    R. – Il momento sotto l’albero quando all’ora della strage sarà suonato il silenzio per ricordare i cinque morti della strage di Capaci e i sei di quella di via d’Amelio: questi nomi che vengono letti dal presidente del Senato – li ha sempre letti, il dott. Grasso, amico di Giovanni - risuonano in tutta la via Notarbartolo, piena di giovani. Questo sicuramente è il momento più importante perché accanto alla tragedia, ci dà la speranza di quei volti giovani.

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    All'Antonianum, ciclo di conferenze su cinema e libertà religiosa

    ◊   Nell’ambito di un ciclo di conferenze dedicate alla questione della libertà religiosa, organizzato dalla Pontificia Università Antonianum e dall’Istituto Francescano di Spiritualità, si tiene oggi pomeriggio alle ore 16 un incontro cui partecipano i padri Martín Carbajo, Paolo Martinelli, Mario Cucca e mons. Dario Edoardo Viganò, direttore del Centro Televisivo Vaticano, sul tema “La libertà religiosa nell’attestazione del cinema”. A seguire sarà celebrata una Messa di suffragio per padre Luigi Padovese nel IV anniversario della tragica morte. Il servizio di Luca Pellegrini:

    La questione della libertà religiosa esplode in tutta la sua tragica concretezza ogni giorno. Le notizie arrivano dai luoghi di maggior tensione e sono spesso portatrici di violenze, intolleranze, morti. Un’attualità che non si ferma soltanto al mondo dell’informazione, ma viene anche assimilata, declinata e trasmessa dal grande schermo. Per questo l’incontro di oggi all’Antonianum di Roma è un percorso che, attraverso le narrazioni cinematografiche, può aiutare a comprendere meglio il nostro presente, come spiega mons. Dario Edoardo Viganò cui è affidata la relazione:

    R. - L’incontro nasce da un’urgenza che Papa Francesco precisa, quando dice che nel mondo di oggi la libertà religiosa è più spesso affermata che realizzata. Siamo anche alla vigilia del grande viaggio di Papa Francesco in Terra Santa e questo non ci può che far venire in mente tutto il Medio Oriente, dove appunto si mette a confronto, serio, la libertà religiosa. Il cinema rivela in qualche modo tutto questo, perché il cinema è capace di cogliere le urgenze, coglie i sommovimenti nella dorsale culturale del tempo, quindi si schiude a quelle visioni e alle emersioni dell’inedito. Eppure, mentre rivela il cinema vincola anche perché in qualche modo orienta la movenza del nostro sguardo. Quindi, non è un caso che ad esempio alcuni mondi noi li cogliamo in certi stereotipi perché, appunto, mentre rivela il cinema vincola.

    D. - Il cinema, dunque, offre un contributo importante nell’aiutare le società ad affrancarsi dagli stereotipi che dividono e contrappongono persone di fedi diverse...

    R. - Certamente, perché un film non è semplicemente qualche cosa che trasmette informazioni da un punto ad un altro. Un film è un testo complesso, è un dispositivo che funziona perché capace di correlare aree espressive diverse. È proprio questo che permette allo sguardo dello spettatore di cogliere alcuni elementi e di farli maturare. Quindi, certamente il cinema - proprio perché sa anche anticipare, a volte, alcune nervature della contemporaneità - permette di avviare riflessioni, dialoghi e confronti molto, molto importanti da questo punto di vista.

    D. - Ci può fornire qualche titolo come esempio?

    R. - A me pare che siano due i filoni. Da un lato, la libertà religiosa letta dal punto di vista del confronto delle tradizioni culturali. Penso, ad esempio, a 'Private' di Saverio Costanzo, anche a 'Prima della pioggia' di Milcho Manchevski. Ma ancora, penso al maestro Olmi che ha fatto 'Villaggio di cartone', un film in cui in fondo, in qualche modo si può leggere la questione della libertà religiosa nell’incontro/scontro con gli immigrati. Poi, c’è anche un punto di vista della libertà religiosa che è decisamente, invece, religioso o più precisamente cristiano, cioè come i credenti vivono la libertà religiosa quando questa è terreno di scontro. Penso, ad esempio, a 'Des hommes et des dieux - Uomini di Dio' - che è un film certamente straordinario da questo punto di vista. Penso anche a Popieluszko dove c’è la vicenda di quest’uomo, appunto, che trova la morte perché l’autodeterminazione della propria libertà religiosa possa essere affermata. Infine, penso ad un film che ripercorre la vicenda di una grande donna 'La settima stanza', che appunto narra la vicenda di Edith Stein una donna radicata nell’ebraismo che ad un certo punto incontra Gesù e sappiamo cosa questo vorrà dire per lei in un momento in cui la Germania vivrà l’esperienza tragica del nazismo.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Thailandia: colpo di Stato dei militari

    ◊   L'esercito thailandese ha preso il potere con un colpo di Stato: l'annuncio, stamani, in un discorso televisivo alla nazione tenuto dal capo di Stato maggiore Prayuth Chan-ocha. Affiancato dai capi di Aeronautica e Marina, Prayuth ha affermato che è stato necessario prendere il potere per prevenire ulteriori violenze dopo mesi di tensione.

    Sempre Prayuth aveva proclamato lunedì la legge marziale, lasciando però in carica il governo ad interim, mentre ieri aveva organizzato un vertice fra i rappresentanti dei partiti di governo e opposizione, dei movimenti di protesta filo e anti-governativi, insieme ai rappresentanti della Commissione Elettorale Centrale. Incontro definito inconcludente dagli stessi partecipanti.

    Subito dopo l’annuncio del golpe militare, soldati hanno preso in consegna i leader delle proteste di piazza che dallo scorso novembre si sono susseguite a Bangkok e in altre città. Secondo diverse fonti, sono stati presi in consegna dai militari l'ex vice premier Suthep Thaugsuban e i più stretti collaboratori, con i quali per sei mesi ha guidato le manifestazioni anti-governative, quanto diversi rappresentanti delle cosiddette 'camicie rosse' fedeli al discusso magnate Thaksin Shinmawatra e a sua sorella Yingluck, entrambi già primi ministri. Dal canto loro, le 'camicie rosse' pro-governative hanno annunciato via twitter "rappresaglie" contro il colpo di Stato. (M.G.)

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    Ucraina: attacco dei filo-russi, uccisi 11 soldati di Kiev

    ◊   Tona altissima la tensione nei territori filorussi dell’Ucraina. Bilanci ancora provvisori diffusi da diverse fonti riferiscono di almeno 11 militari di Kiev uccisi e circa una ventina feriti, a seguito di un attacco delle milizie separatiste nella regione orientale di Donetsk. Il ministero della Difesa ucraino conferma l'attacco avvenuto nell'area di Volnovakha ad opera di “terroristi” pesantemente armati, usando questo termine per indicare i separatisti filorussi.

    Da parte sua, Mosca accusa le truppe di Kiev di aver fatto vittime tra i civili a Sloviansk. Intanto, il “governatore popolare” separatista dell'autoproclamata Repubblica di Lugansk, Valeri Bolotov, ha annunciato la “piena mobilitazione” contro le truppe di Kiev chiamando alle armi tutti gli uomini tra i 18 e i 45 anni. In questa situazione, il governo ucraino ha chiesto la convocazione urgente del Consiglio di Sicurezza dell'Onu.

    Nel frattempo, la Nato conferma un parziale ritiro delle truppe russe dai confini con l’Ucraina. “Abbiamo notato nelle ultime ore un'attività limitata di truppe russe presso la frontiera ucraina, cosa che potrebbe significare l'avvio di un ritiro. Anche se è ancora troppo presto per dirlo”, ha spiegato il segretario generale della Nato, Anders Fogh Rasmussen, in visita in Montenegro. Ma Kiev smentisce. (M.G.)

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    Cina: attentato nel centro di Urumqui, oltre 30 morti

    ◊   È di almeno 31 morti e 94 feriti il bilancio dell’attacco nel centro di Urumqi, capoluogo della regione occidentale cinese dello Xinjiang, abitata da una popolazione per il 60% musulmana. Testimoni hanno riferito che gli attentatori sono arrivati poco prima delle otto del mattino nei pressi del più grande mercato all’aperto della città. Erano a bordo di due auto dalle quali hanno lanciato bombe a mano tra la folla.

    Le autorità hanno definito l'attentato "un atto terroristico", nel cuore di una regione dove la parte di popolazione nativa di etnia uigura-musulmana rifiuta la sovranità di Pechino. Il presidente cinese Xi Jinping ha chiesto una risposta rapida e decisa da parte delle forze di sicurezza, promettendo che i "terroristi" saranno puniti "severamente”.

    Lo Xinjiang, nel recente passato è stato teatro di scontri tra uiguri e etnia han cinese: nel luglio del 2009 ci furono 200 morti, e solo nel marzo scorso 29 persone sono state uccise a coltellate nella stazione di Kunming, nella provincia meridionale dello Yunnan. (M.G.)

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    Malaysia: suora cattolica morta dopo un’aggressione

    ◊   Sconforto e dolore nella Chiesa malaysiana per la morte di suor Juliana Lim, 69 anni, della Congregazione del Bambino Gesù, che si è spenta (il 21 maggio) dopo una violenta aggressione subita il 14 maggio a Seremban, cittadina nei pressi di Kuala Lumpur. Secondo quanto riferisce l’Agenzia Fides, la religiosa malaysiana era stata aggredita la scorsa settimana, insieme con la consorella suor Mary Rose Teng, 79 anni, da un uomo a viso coperto, mentre le due si trovavano nel complesso della Chiesa della Visitazione. L’uomo le ha ferocemente percosse, rubando anche pochi spiccioli, e lasciandole in fin di vita. Suor Juliana, condotta in ospedale, era in coma e ha lottato per sette giorni tra la vita e la morte. Anche suor Mary Rose ha riportato gravi ferite ed è tuttora in ospedale. I funerali saranno celebrati (il 23 maggio) nella stessa Chiesa della Visitazione, a Seremban, dall’arcivescovo emerito di Kuala Lumpur, mons. Murphy Pakiam.

    “La Chiesa malaysiana è scioccata e preoccupata per un’aggressione del tutto gratuita e immotivata”, afferma fra Augustine Julian, della comunità dei Fratelli delle Scuole Cristiane di Kuala Lumpur, fino a poco tempo fa segretario della Conferenza Episcopale locale. “Secondo la polizia può essere il gesto di un disperato, ma c’è anche l’ipotesi dell’aggressione per odio religioso. La polizia sta indagando sul caso” riferisce il religioso. “Per ora non sembrano esserci collegamenti diretti con la questione che vede confrontarsi musulmani e cristiani sull’uso del temine Allah” spiega. “Nella società c’è comunque, generalmente, un clima di rispetto reciproco e il dialogo interreligioso prosegue”, conclude. Il primo ministro del Paese, Najib Razak, ha espresso pubbliche condoglianze alla famiglia della suora e alla comunità cattolica. Alcuni parlamentari, membri dell’opposizione, ritengono che l’aggressione non va sottovalutata ed è frutto del “crescente estremismo religioso e dei sentimenti anticristiani fomentati da gruppi musulmani radicali, legati ai membri dell’Umno”, partito del primo ministro. (M.G.)

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    Messaggio dei vescovi europei per il viaggio del Papa in Terra Santa

    ◊   Il pellegrinaggio di Papa Francesco in Terra Santa “sia occasione per noi europei per testimoniare la nostra vicinanza a tutti i nostri fratelli cristiani e a quanti vivono in quella terra del Signore che hanno saputo preservare la fede nonostante le varie vicissitudini e tribolazioni della storia bi millenaria”: è quanto scrive in un messaggio la Presidenza del Consiglio delle Conferenze Episcopali d’Europa. Ai cristiani di Terra Santa – prosegue il testo – “vogliamo dire il nostro grazie per la loro quotidiana testimonianza di vita secondo la fede e specialmente nel dare testimonianza di fede cristiana: siete per noi motivo di stimolo e di incoraggiamento per la nostra vita da cristiani”.

    “L’incontro tra Papa Francesco e il Patriarca Bartolomeo di Costantinopoli, a ricordo dello storico abbraccio tra Papa Paolo VI e il Patriarca Atenagora (4-6 gennaio 1964), e l’incontro ecumenico con tutti i rappresentanti delle Chiese cristiane di Gerusalemme nel Santo Sepolcro – si legge nel messaggio - si trasformi in un abbraccio universale dal quale trarre forza nel nostro cammino per l’unità visibile tra le chiese, che è anche parte dell’impegno del CCEE. Ricordiamo anche con riconoscenza i meriti delle Chiese orientali e specialmente della Chiesa ortodossa nel custodire i luoghi sacri della passione e morte di Cristo”.

    “Il saluto di Pace che Papa Francesco e il Patriarca Bartolomeo porteranno alle autorità politiche dei popoli visitati (Israele, Giordania, Palestina) – conclude il messaggio - diventi uno stimolo perché sia imboccata la via di trattative concrete per una convivenza pacifica e duratura tra le diverse popolazioni che gravitano in questa terra che da anni grida: Pace!”.

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    I vescovi di Papua Nuova Guinea: tutelare vita e combattere corruzione

    ◊   Urge uno sforzo comune del governo e delle Chiese per la tutela della vita: la Chiesa ribadisce la sua opposizione all’aborto e all’ideologia che collega lo sviluppo al controllo della popolazione, confermando il suo contributo “al bene comune”: sono i contenuti di una “Lettera aperta” inviata dai vescovi della Papua Nuova Guinea ai politici della nazione.

    Nel testo della lettera, inviato all’Agenzia Fides dall’ufficio comunicazioni della Conferenza episcopale, si ricordano i buoni rapporti e la fruttuosa partenership fra Chiesa e Stato nel campo dei servizi sociali, della sanità e dell'istruzione. Restando fedeli al ministero più importante, che è l'annuncio della Buona Novella di Gesù Cristo, i vescovi portano all’attenzione della collettività questioni cruciali “per il benessere spirituale e materiale della società”. Dopo essere intervenuti a proposito della pena di morte, oggi parlano dell’aborto e della tutela della vita nascente, ricordando che la cultura locale è tradizionalmente “aperta alla nuova vita” e che l’aborto rimane illegale in Papua Nuova Guinea perché ritenuto “ripugnante” dalla maggioranza della popolazione.

    “Tuttavia i leader politici, di fronte a grandi pressioni all'interno e all'esterno, intendono prendere un’altra via” notano. Di fronte a tale pericolo, i vescovi riferiscono la loro preoccupazione, che tocca anche “l'ideologia politica che collega lo sviluppo con il controllo della popolazione”. La lettera stigmatizza pratiche che vanno in questa direzione come quella di “sterilizzare un gran numero di donne come un modo per rallentare la crescita della popolazione”. E lanciano un monito ai leader politici: “Avete pensato bene cosa significa e dove conduce questa strategia?”.

    La Chiesa ricorda le grandi ricchezze del Paese e la grande energia della popolazione : “Un piano notevolmente migliore – si afferma – sarebbe quello di collegare queste due cose, la nostra ricchezza e la crescita di una popolazione vivace”, per conseguire prosperità, pace e giustizia per tutti. Per far questo, però, concludono i vescovi, bisogna “combattere la corruzione e i fattori che danneggiano lo sviluppo sostenibile”.

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    Egitto, il Patriarca Tawadros esorta a votare per le presidenziali

    ◊   “Le elezioni presidenziali rappresentano una buona occasione per esercitare il diritto di cittadinanza e contribuire con il proprio a determinare il cammino del Paese e trovare una via d'uscita agli scontri settari e alle convulsioni sociali che hanno attraversato l'Egitto negli ultimi anni”. Recita così l’appello a recarsi alle urne, pronunciato dal Patriarca copto ortodosso Tawadros II, alla vigilia delle elezioni presidenziali egiziane, in programma il 26 e 27 maggio. Il richiamo, rilanciato dalla Fides, è stato pronunciato dal Patriarca nel corso del tradizionale incontro di preghiera e catechesi da lui guidato ogni mercoledì pomeriggio nella cattedrale del Cairo.

    Rivolgendosi ai fedeli, il Patriarca ha esortato a scegliere in libertà tra i due candidati in lizza (l'ex generale Abdel Fattah al-Sisi, che tutti danno per vincente, e il politico di sinistra Hamdin Sabahi) leggendo i rispettivi programmi. Tawadros II poi ribadito che la Chiesa copta ortodossa prega per la sicurezza del Paese e per il tranquillo svolgimento delle operazioni elettorali.

    Incontri di preghiera per il buon esito delle elezioni sono stati organizzati anche dalle comunità evangeliche egiziane. Mentre Anba Boutros Fahim Awad Hanna, Vescovo copto cattolico di Minya, intervenendo martedì 20 maggio ad un incontro di giovani cristiani sulle elezioni, ha detto che ambedue i candidati sono degni di stima e di considerazione, e che la Chiesa, pur senza schierarsi a favore dell'uno o dell'altro, sottolinea l'importanza di partecipare alle elezioni esprimendo in piena libertà la propria preferenza. (M.G.)


    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVIII no. 142

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