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Sommario del 20/05/2014

Il Papa e la Santa Sede

  • Il Papa alla Cei: nulla giustifica la divisione
  • Francesco: la pace di Gesù non sono cose ma una Persona
  • Il Papa: dialogare con gli altri non significa relativizzare la fede
  • Il dolore del Papa per la morte dei bambini nell’incidente in Colombia
  • Tweet del Papa: "Vieni, Santo Spirito! Aiutaci a superare il nostro egoismo"
  • Nomina episcopale di Papa Francesco in Inghilterra
  • P. Pizzaballa: grande attesa per visita Papa in Terra Santa
  • Chiesa giordana felice e orgogliosa di accogliere Francesco
  • Mondiali 2014: dal Vaticano una mobilitazione contro la tratta di persone
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • L'alluvione nei Balcani: decine di morti, migliaia gli sfollati. Il pericolo di frane e mine
  • Libia nel caos: chiuso il parlamento, voto da rifare
  • Elezioni in Iraq. Nuri al-Maliki verso il terzo mandato
  • Ilo: lavoro forzato profitti illeciti per 150 mld di dollari
  • Il card. Bagnasco all'assemblea Cei: "Il Papa ci ha presi per mano"
  • Emilia, a due anni dal sisma: grande voglia di rinascita
  • Cannes. "Le meraviglie", storia intensa nel mondo rurale italiano
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Vescovi indiani: il governo tuteli le minoranze religiose
  • Legge marziale in Thailandia: militari negano colpo di Stato
  • Ucraina: allarme Unhcr, almeno 10 mila gli sfollati
  • Manila: concluso il Congresso panasiatico sulla famiglia
  • Università della Santa Croce: convegno sui viaggi papali
  • Il Papa e la Santa Sede



    Il Papa alla Cei: nulla giustifica la divisione

    ◊   “La mancanza o comunque la povertà di comunione costituisce lo scandalo più grande, l’eresia che deturpa il volto del Signore e dilania la sua Chiesa. Nulla giustifica la divisione”. Il Papa si è rivolto in questo modo alla 66.ma Assemblea generale dei vescovi italiani riuniti in Vaticano. In apertura il saluto del presidente della Cei, il cardinale Angelo Bagnasco, che ha ricordato i tanti suggerimenti arrivati dalle Conferenze episcopali locali sulle modifiche allo Statuto della Cei. Alessandro Guarasci:

    Ha un tono scherzoso il Papa nell’aprire l’incontro con i vertici della Cei e riferisce di un particolare che lo ha colpito: “Un giornale diceva, dei membri della presidenza, che ‘questo è uomo del Papa, questo non è uomo del Papa, questo è uomo del Papa …’ "Sono tutti uomini del Papa” ha rimarcato il Pontefice. Poi Francesco parla della sua visione di Chiesa. Ricercare l’unità è fondamentale, perché "l’assenza di comunione costituisce lo scandalo più grande… Meglio cedere… piuttosto che lacerare la tunica e scandalizzare il popolo santo di Dio".

    “Per questo, come Pastori, dobbiamo rifuggire da tentazioni che diversamente ci sfigurano: la gestione personalistica del tempo, quasi potesse esserci un benessere a prescindere da quello delle nostre comunità; le chiacchiere, le mezze verità che diventano bugie, la litania delle lamentele che tradisce intime delusioni”.

    Dunque anche la Conferenza Episcopale italiana deve essere al servizio dell’unità, serve intessere rapporti all’insegna dell’apertura. I sacerdoti ne hanno bisogno:

    “I nostri sacerdoti, voi lo sapete bene, sono spesso provati dalle esigenze del ministero e, a volte, anche scoraggiati dall’impressione dell’esiguità dei risultati: educhiamoli a non fermarsi a calcolare entrate e uscite, a verificare se quanto si crede di aver dato corrisponde poi al raccolto”.

    L’apertura è un atteggiamento che va portato avanti nella vita di tutti i giorni:

    “Come pastori siate semplici nello stile di vita, distaccati, poveri e misericordiosi”.

    D’altronde le sfide di oggi sono tante, perché la crisi non è solo economica ma soprattutto spirituale e culturale. E’ necessario un nuovo umanesimo. Per questo serve difendere la vita, dal concepimento fino alla fine naturale, la famiglia. Sempre con misericordia:

    “Non trascurate di chinarvi con compassione su chi è ferito negli affetti e vede compromesso il proprio progetto di vita”.

    E poi massima attenzione alla crisi del lavoro che provoca disoccupazione e cassintegrazione, ai migranti che cercano una possibilità di vita:

    “…il dramma di chi non sa come portare a casa il pane si incontra con quello di chi non sa come mandare avanti l’azienda. E’ un’emergenza storica, che interpella la responsabilità sociale di tutti: come Chiesa, aiutiamo a non cedere al catastrofismo e alla rassegnazione, sostenendo con ogni forma di solidarietà creativa la fatica di quanti con il lavoro si sentono privati persino della dignità”.

    Insomma, rimarca Francesco, “nessuno volga lo sguardo dall’altra parte”. Infine, un appello direttamente ai vescovi seduti davanti a lui: “E voi pregate per me, soprattutto alla vigilia di questo viaggio che mi vede pellegrino ad Amman, Betlemme e Gerusalemme a 50 anni dallo storico incontro tra Papa Paolo VI e il Patriarca Atenagora”.

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    Francesco: la pace di Gesù non sono cose ma una Persona

    ◊   Chi accoglie nel cuore lo Spirito Santo avrà una pace solida e senza fine, a differenza di chi sceglie di confidare in modo “superficiale” nelle tranquillità offerte dal denaro o dal potere. È l’insegnamento che Papa Francesco ha proposto all’omelia della Messa mattutina celebrata in Casa Santa Marta. Il servizio di Alessandro De Carolis:

    La pace delle cose – i soldi, il potere, la vanità – e la pace in Persona, quella dello Spirito Santo. La prima sempre a rischio di svanire – oggi sei ricco e sei qualcuno, domani no – e la seconda che invece nessuno “può togliere” e che è dunque pace “definitiva”. L’omelia di Papa Francesco è come un passaggio sulle due sponde di uno dei desideri più grandi dell’umanità di ogni tempo. Lo spunto viene da una pagina del Vangelo di Giovanni, proposto dalla liturgia del giorno. Gesù sta per affrontare la Passione e prima di andare annuncia ai discepoli: “Vi do la mia pace”. Una pace, osserva il Papa, che differisce completamente dalla “pace che ci dà il mondo”, perché “un po’ superficiale”, di una “certa tranquillità, anche di una certa gioia”, ma solo “fino a un certo livello”:

    “Per esempio, ci offre la pace delle ricchezze: ‘Ma, io sono in pace perché ho tutto sistemato per vivere, per tutta la mia vita, non devo preoccuparmi…’. Questa è una pace che dà il mondo. Non ti preoccupi, non avrai problemi perché tu hai tanto denaro… La pace della ricchezza. E Gesù ci dice di non avere fiducia in questa pace, perché con grande realismo ci dice: ‘Guardate che ci sono i ladri… I ladri possono rubare le tue ricchezze!’. Non è una pace definiva quella che ti dà i soldi. Anche pensate che il metallo pure si arrugginisce, no? Cosa vuol dire? Un crollo della Borsa e tutti i tuoi soldi se ne andranno! Non è una pace sicura: è una pace superficiale, temporale”.

    E con lo stesso disincanto Papa Francesco soppesa altri due tipi di pace mondana. La prima, quella del “potere” che pure – dice – “non funziona”: un colpo di Stato te la toglie”. Pensate, soggiunge, a che fine ha fatto la “pace di Erode” quando i Magi “gli hanno detto che era nato il Re d’Israele: quella pace se n’è andata via subito!”. Oppure la pace della “vanità”, che Papa Francesco definisce una “pace di congiuntura, “oggi sei stimato e domani sarai insultato”, come Gesù tra la Domenica delle Palme e il Venerdì Santo. Di tutt’altra consistenza è invece la pace che dona Gesù:

    “La pace di Gesù è una Persona, è lo Spirito Santo! Lo stesso giorno della Resurrezione, Lui viene al Cenacolo e il saluto è: ‘La pace sia con voi. Ricevete lo Spirito Santo’. Questa è la pace di Gesù: è una Persona, è un regalo grande. E quando lo Spirito Santo è nel nostro cuore, nessuno può toglierne la pace. Nessuno! E’ una pace definitiva! Il nostro lavoro qual è? Custodire questa pace. Custodirla! E’ una pace grande, è una pace che non è mia, è di un’altra Persona che me la regala, di un’altra Persona che è dentro il mio cuore e che mi accompagna tutta la vita. Il Signore me la ha data!”.

    Questa pace si riceve con il Battesimo e con la Cresima ma soprattutto – afferma Papa Francesco – “si riceve come un bambino riceve il regalo”, “senza condizione, a cuore aperto”. E lo Spirito Santo va custodito senza “ingabbiarlo”, chiedendo aiuto a questo “grande regalo” di Dio:

    “Se voi avete questa pace dello Spirito, se voi avete lo Spirito dentro di voi e siete consci di questo, non sia turbato il vostro cuore. Siete sicuri! Paolo ci diceva che per entrare nel Regno dei Cieli è necessario passare per tante tribolazioni. Ma tutti, tutti noi, ne abbiamo tante, tutti! Più piccole, più grandi… ‘Ma non sia turbato il vostro cuore’: e questa è la pace di Gesù. La presenza dello Spirito fa che il nostro cuore sia in pace. Non anestetizzato, no! In pace! Conscio, in pace: con quella pace che soltanto la presenza di Dio dà”.

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    Il Papa: dialogare con gli altri non significa relativizzare la fede

    ◊   Il dialogo interreligioso non implica “relativizzare la fede cristiana”. E’ quanto sottolinea Papa Francesco in un messaggio indirizzato al cardinale Jean-Louis Tauran, in occasione del 50.mo del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso. Il Papa sottolinea, dunque, che la Chiesa sarà sempre più impegnata a dialogare con tutti coloro che appartengono a differenti tradizioni religiose. Il servizio di Alessandro Gisotti:

    Papa Francesco rammenta che il dicastero per il Dialogo Interreligioso nasce durante il Concilio Vaticano II per volere di Paolo VI. In quella stagione, “caratterizzata da grande apertura”, la Chiesa – osserva il Papa – “si sentiva animata da un sincero desiderio di incontro e dialogo con l’umanità tutta”. Del resto, prosegue, “il dialogo è possibile solo a partire dalla propria identità”. Come mostrato da San Giovanni Paolo II, evidenzia Francesco, “dialogo ed annuncio non si escludono a vicenda, ma hanno un legame intimo, benché vadano mantenuti distinti e non debbano essere né confusi, né strumentalizzati, né giudicati equivalenti o intercambiabili”.

    Come il Cristo sulla strada di Emmaus, prosegue il Papa, “la Chiesa desidera farsi vicina e compagna di strada di ogni uomo”. Una “tale disponibilità a camminare insieme – soggiunge – è tanto più necessaria nel nostro tempo, segnato da profonde e mai prima conosciute interazioni tra popoli e culture diverse”. In questo contesto, assicura Francesco, “la Chiesa sarà sempre più impegnata a percorrere la strada del dialogo e ad intensificare la cooperazione, già fruttuosa, con tutti coloro che, appartenenti a differenti tradizioni religiose, condividono la volontà di costruire rapporti di amicizia e prendono parte alle numerose iniziative di dialogo”.

    Il Pontefice ringrazia infine il dicastero per il Dialogo Interreligioso per il lavoro compiuto in questi 50 anni e auspica che prosegua “con rinnovato slancio la propria missione, che potrà molto giovare anche alla causa della pace e all’autentico progresso dei popoli”.

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    Il dolore del Papa per la morte dei bambini nell’incidente in Colombia

    ◊   Ha sconvolto tantissimi, ben oltre i confini della Colombia, la strage di 33 bambini nel rogo di uno scuolabus nella località di Fundaciòn. Una notizia che ha toccato profondamente il cuore di Papa Francesco che ha inviato un telegramma di cordoglio a mons. Ugo Eugenio Puccini Banfi, vescovo della diocesi colombiana di Santa Marta. Il Papa assicura le sue preghiere per le piccole vittime di questa tragedia ed esprime la sua vicinanza alle famiglie dei bambini morti nell’incidente. Il pensiero del Papa va infine agli oltre 20 bambini feriti con la speranza che possano al più presto ristabilirsi.

    Intanto, nelle ultime ore, è stato arrestato l’autista dello scuolabus assieme ad un predicatore evangelico che aveva organizzato il viaggio. I due, riferisce la stampa locale, dovranno rispondere di omicidio colposo aggravato. L’autista, che nell’incendio ha perso due figli, non era provvisto di licenza e il veicolo non aveva più l'autorizzazione a circolare dal 2012.

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    Tweet del Papa: "Vieni, Santo Spirito! Aiutaci a superare il nostro egoismo"

    ◊   Papa Francesco ha lanciato un tweet dal suo account @Pontifex: “Vieni, Santo Spirito! Aiutaci a superare il nostro egoismo”.

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    Nomina episcopale di Papa Francesco in Inghilterra

    ◊   In Inghilterra, Papa Francesco ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Hallam, presentata da mons. John Anthony Rawsthorne, per sopraggiunti limiti d’età. Il Papa ha nominato vescovo di Hallam mons. Ralph Heskett, C.SS.R., finora vescovo di Gibraltar.

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    P. Pizzaballa: grande attesa per visita Papa in Terra Santa

    ◊   Proseguono in Terra Santa i preparativi per il viaggio di Papa Francesco che si svolgerà dal 24 al 26 maggio in occasione del 50.mo anniversario dell’incontro tra Paolo VI e Atenagora. Sull’attesa che si vive nella comunità cristiana, ascoltiamo il custode di Terra Santa, padre Pierbattista Pizzaballa, al microfono del nostro inviato Roberto Piermarini:

    R. – Il viaggio di Papa Francesco è un viaggio che ha un carattere speciale di grande incoraggiamento, per tutta la comunità cristiana, non soltanto per quella cattolica, qui in Terra Santa. Sarà un viaggio che porterà un incoraggiamento e un supporto alla presenza cristiana, consolazione, soprattutto con l’incontro tra Papa Francesco e il Patriarca Bartolomeo al Santo Sepolcro, che sarà un grande segno e un gesto di unità tra tutti i cristiani nel mondo, ma soprattutto qui in Terra Santa.

    D. - C’è dunque attesa per questa storica celebrazione ecumenica nella Basilica del Santo Sepolcro…

    R. - Sì, l’attesa è altissima. La preparazione è ormai ultimata. Diciamo che la frenesia e l’eccitazione per questo evento è molto alta.

    D. - Ebrei e musulmani come vedono questa visita papale?

    R. – Ci sono stati episodi che hanno, forse, turbato l’aspettativa gioiosa. Ma devo dire che sia da parte israeliana che da parte islamica c’è una grande curiosità e un atteggiamento molto positivo nei confronti di Papa Francesco, che è molto amato da tutti.

    D. – Cosa è rimasto delle precedenti visite di San Giovanni Paolo II e Benedetto XVI?

    R. – San Giovanni Paolo II - che è stato dopo tanti anni il primo Papa a entrare ufficialmente in Israele, che ha compiuto gesti molto importanti, sia allo Yad Vashem, sia al Muro del pianto, come anche alle moschee - ha lasciato un ricordo indelebile: ha cambiato nell’opinione pubblica il pregiudizio nei confronti della Chiesa cattolica. Benedetto XVI ha lasciato un ricordo molto profondo nella comunità cristiana con le celebrazioni e anche con i suoi discorsi molto forti e molto chiari.

    D. - Dopo San Francesco un altro Francesco arriva in Terra Santa? Cosa ha rappresentato la presenza del santo d’Assisi nella terra di Gesù?

    R. - Il santo d’Assisi, con il suo gesto molto semplice, di incontro con il sultano, a suo tempo, ha iniziato una presenza francescana che continua ancora oggi e che è quella che ha tenuto vivo il legame tra la Chiesa occidentale e questa terra, la Terra Santa, e ha anche custodito la presenza cristiana per diversi secoli. Il ritorno di Francesco non è altro che un incoraggiamento a continuare su questa via, a rinnovare lo slancio del dialogo e dell’incontro e anche della custodia, della memoria, delle pietre vive.

    D. - Questa visita papale potrà sbloccare l’impasse dei negoziati iniziati nel lontano ’93 per concludere l’Accordo fondamentale tra Santa Sede e Israele?

    R. – L’Accordo fondamentale è ormai stato discusso da tanti anni e su tutti i temi c’è un accordo generale. Si tratta solo ora di voler chiudere e questo richiede ancora un po’ di tempo. Intenzionalmente non si è voluto legare la visita del Papa a un accordo proprio per lasciare il Papa libero dalle questioni diplomatiche e dare alla visita un respiro più ampio.

    D. - Ad ogni visita papale, in Terra Santa si torna a parlare di restituzione da parte dello Stato di Israele, della Sala del Cenacolo. E’ possibile questa restituzione e come verrebbe accolta dalla Custodia di Terra Santa?

    R. - Da noi sarebbe stata accolta con grande gioia. In realtà, questa discussione ha acceso molto gli animi sia in ambito islamico che in quello ebraico. Non si parla, a dire il vero, di restituzione ma di eventuale uso liturgico, non di più, e anche così ci sono molte polemiche: polemiche che erano previste e che ci auguriamo che dopo la visita del Papa siano un po’ più calmate e ricondotte alla normalità. La discussione è ancora in corso. E’ un luogo molto sensibile, le tre fedi monoteistiche si disputano questo luogo, ma è un’occasione per le tre fedi di discutere di questioni concrete tra di loro e non di principi astratti.

    D. – Una domanda personale: cosa si aspetta lei da Papa Francesco in Terra Santa?

    R. – Io, come tutti, sono molto curioso, sarò vicino al Papa per tutto il tempo. Attendo con grande gioia e grande curiosità i discorsi e i gesti che compirà. Sono certo che Papa Francesco saprà stupirci, come ha saputo fare in questo ultimo anno.

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    Chiesa giordana felice e orgogliosa di accogliere Francesco

    ◊   “La popolazione giordana è veramente felice e orgogliosa di poter incontrare” Papa Francesco, il Papa “degli ultimi”. Ad affermarlo è padre Ri’fat Bader, portavoce della Chiesa giordana, a pochi giorni dal viaggio del Pontefice in Terra Santa che comincia sabato 24 maggio ad Amman. L’intervista è di Fabio Colagrande:

    R. - Ci sono molti comitati che lavorano notte e giorno per preparare al meglio la città affinché possa accogliere Papa Francesco come ospite del Re della Giordania e di tutta la popolazione, in particolare della Chiesa cattolica locale. E’ possibile vedere delle scritte di benvenuto e dei manifesti nelle strade della capitale, con l’immagine dell’ultimo incontro fra il Re Abdullah e il Papa nella residenza di Santa Marta lo scorso aprile e – sullo sfondo - le immagini della Città del Vaticano e del sito del Battesimo di Gesù in Giordania. All’International Stadium, sabato 24, verrà celebrata la terza Messa di un Pontefice in quarant’anni, dopo quella presieduta nel Giubileo del 2000 da S. Giovanni Paolo II e nel 2009 da Papa Benedetto XVI. Questa celebrazione sarà presieduta da Papa Francesco che arriverà allo Stadio alle tre del pomeriggio e dalla sua jeep potrà salutare tutti i pellegrini arrivati per partecipare alla Messa. Stiamo poi organizzando l’incontro del Papa con i rifugiati, i malati e i disabili, presso il Sito del Battesimo di Gesù. Vogliamo in particolare permettere ai giornalisti accreditati di scattare foto al Papa quando sosterà sulle rive del Giordano. Francesco, così come fece Paolo VI cinquant’anni fa, potrà fermarsi proprio accanto agli argini del fiume dove fu battezzato Gesù per benedirne le acque, mentre non fu possibile nell’occasione della due visite di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. Un’opportunità particolare per scattare una foto storica.

    D - Quali sono le speranze e le aspettative dei cristiani giordani a proposito di questa visita papale?

    R.- Sono veramente felici e orgogliosi di poter incontrare questo Papa che ha affascinato il mondo in questi suoi primi quattordici mesi di Pontificato. Sono felici di poter incontrare il Papa ‘degli ultimi’, che desidera una Chiesa ‘povera e per i poveri’. Siamo inoltre felici di accogliere il Papa della giustizia e della pace, che prega molto per la pace e la giustizia in Siria, in Iraq e in tutto il mondo. In realtà ad attenderlo non c’è solo la comunità cristiana giordana, ci saranno molti altri fedeli provenienti da tutto il mondo arabo o da altri paesi. Sarà una celebrazione internazionale, perciò tutti i cristiani del mondo sono invitati a pregare con il Papa. Siamo certi che il Papa pregherà affinché sia assicurata la stabilità e la sicurezza nel nostro Paese. E inoltre ci prepariamo a pregare assieme ai nostri confratelli rifugiati iracheni e siriani che saranno i benvenuti alla Santa Messa e parteciperanno con le loro famiglie nello stadio della capitale per pregare per la pace e la giustizia. Il primo proposito di tutto il Medio Oriente deve essere infatti quello di pregare insieme al Papa per la pace e la giustizia in tutta la regione, per tenere insieme tutte le popolazioni e per far tornare la stabilità nelle nostre amate regioni che stanno ancora soffrendo. Questo deve essere il primo risultato di questo viaggio: che porti frutti per la pace, la stabilità, la serenità nella nostra regione.

    D - E qual è il significato di questa visita papale per il Regno Hashemita?

    R. - E’ un significato strettamente connesso ai due grandi anniversari che noi commemoriamo quest’anno. Innanzitutto i primi cinquant’anni dalla visita di Papa Paolo VI . Questa sarà infatti la quarta visita di un Pontefice nel Regno di Giordania e il prossimo 24 maggio il nostro Paese sarà l’unico in tutto il mondo ad aver ricevuto al visita di quattro papi diversi negli ultimi cinquant’anni. E’ un grande orgoglio per la Giordania e un incoraggiamento per continuare a promuovere buoni rapporti con la Santa Sede. Siamo perciò molto orgogliosi che il dialogo fra cristiani e musulmani abbia prodotto dei frutti così positivi in Giordania e consideriamo questa visita un incoraggiamento al nostro Paese a proseguire oltre su questa strada per promuovere il dialogo. In questo senso, un tema centrale che il Re di Giordania e tutto il nostro popolo ha a cuore è l’importanza della popolazione araba cristiana e della necessità che i cristiani restino nelle nostra terra. L’esodo dei cristiani dal Medio Oriente non è infatti dannoso solo per le comunità cristiane stesse, ma anche per la popolazione musulmana, perché i Reali di Giordania e molti altri musulmani stanno lavorando proprio per promuovere un’immagine positiva dell’islam come religione capace di rispettare le altri fedi. E questo è un obiettivo e una preoccupazione comune di Santa Sede e Giordania e sarà promosso in questa imminente visita.

    D – Il Papa a Bethany Beyond the Jordan incontrerà anche un gruppo di rifugiati. Qual è la situazione delle centinaia di migliaia di profughi che sono nel vostro Paese e quanto la loro presenza rappresenta una sfida importante per la Giordania?

    R. - In realtà non abbiamo statistiche specifiche, ma qui in Giordania, attualmente, vi sono circa un milione e trecentomila profughi siriani. Accogliamo ancora anche migliaia di iracheni, senza parlare dei rifugiati palestinesi che vorrebbero tornare nella loro terra. Io credo perciò che la Giordania sia ancora e da sempre una terra famosa per ospitalità e apertura, come disse Giovanni Paolo II arrivando ad Amman il 20 marzo del 2000. Questi due valori richiedono però molto impegno e un alto prezzo da pagare al nostro Paese. La Giordania è un piccolo Stato, con una situazione economica difficile e che soffre per l’instabilità politica della regione. E in più noi accogliamo queste centinaia di miglia di rifugiati, alcuni nei campi, altri al di fuori dei campi. E dobbiamo ringraziare in particolare Caritas-Giordania che lavora duro per assicurare cibo e alloggio a tutti i rifugiati. Noi aiutiamo tutti gli esseri umani, considerati come creature sacre di Dio. E proprio il segno di questo importante contributo della Chiesa sarà l’incontro che il Papa avrà con i malati e i rifugiati, sabato prossimo. Ci saranno molti musulmani nella chiesa latina presso Bethany beyond the Jordan, ma il Papa non sarà lì per convertirli ma per mostrargli l’amore di Dio, l’amore di Gesù Cristo per tutti.

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    Mondiali 2014: dal Vaticano una mobilitazione contro la tratta di persone

    ◊   I cristiani e non solo si mobilitino per sradicare la tratta degli esseri umani. L’appello, in occasione dei mondiali di calcio Brasile 2014, è stato lanciato dalla Campagna di "Talitha Kum", presentata oggi in Sala Stampa vaticana dalla Rete Internazionale della Vita Consacrata Contro la Tratta di Persone. “Gioca per la vita, denuncia la tratta” è il titolo dell’iniziativa che coinvolge centinaia di religiose e religiosi, sostenuti da laici, impegnati soprattutto nelle 12 città brasiliane dove verranno giocate le partite del Mondiale. Il servizio di Francesca Sabatinelli:

    E’ un appello al mondo intero a non alimentare la tratta delle persone, un crimine indicato con le parole di Papa Francesco, “piaga nel corpo dell’umanità contemporanea, piaga nella carne di Cristo”. E’ estremamente difficile l’impresa che la campagna di "Talitha Kum" affronta e affronterà nei prossimi mesi. I Mondiali di calcio in Brasile rappresentano un’imperdibile occasione per chi dello sfruttamento di esseri umani ha fatto il suo business più facoltoso: si pensi che il giro d’affari che riguarda questo fenomeno sta superando quello della droga, riguarda 21 milioni di persone per un introito pari a circa 32 miliardi di dollari. Il messaggio della Campagna, ci ricordano i protagonisti, è una proposta concreta di vita e vuole ricordare che i mega-eventi aumentano il rischio della tratta, come fu in occasione di quelli in Sudafrica dove si registrò un +40%. Nel mondo "Talitha Kum" impegna oltre 800 tra religiosi e religiose, in Brasile sono circa 200, impegnati in 19 dei 26 Stati federali, a lanciare l’invito “Gioca a favore della vita. Denuncia la tratta di persone”. Il cardinale Joao Braz de Aviz, Prefetto della Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica:

    "I religiosi e le religiose si trovano in tutto il mondo impegnati nella loro missione in mezzo a tutte le forme di povertà e toccano con le loro mani, l'umiliazione, la sofferenza, il trattamento inumano e degradante inflitto a donne, uomini e bambini di questa schiavitù moderna. È l’invito che facciamo a tutti voi! Uniamo le nostre forze per salvare i più vulnerabili da questa schiavitù della tratta perché “nessuno è escluso dalla gioia portata dal Signore”. Questa è la motivazione più profonda della Campagna che oggi iniziamo ufficialmente".

    Ingiustizia, oppressione e crudeltà nei riguardi del prossimo riempiono il nostro cuore di indignazione e ci spingono ad agire, è la denuncia di suor Carmen Sammut, presidente dell’Unione internazionale delle superiore generali:

    "Human trafficking is unfortunately one of the most hideous …
    Il traffico di persone, purtroppo, è uno dei crimini più spaventosi del nostro tempo. Questo crimine tocca noi – uomini e donne – che non siamo indifferenti alle sofferenze del nostro prossimo. Infatti, anche una sola donna, un solo bambino, un solo uomo venduto per essere schiavo, oggi è una vita persa per molti. Eppure, disgraziatamente, questo crimine è presente ovunque, perché i profitti che ne derivano sono enormi! Dobbiamo rendere consapevoli le persone di quanto accade a margine dei grandi eventi mondiali, come la Coppa del mondo della Fifa, e della sofferenza delle persone vittime di questo traffico. E’ questo lo scopo della campagna che stiamo lanciando oggi: senza questa consapevolezza, senza un agire comune in favore della dignità umana, la finale della Coppa del mondo potrebbe risultare in una terribile vergogna piuttosto che una festa per l’umanità".

    "Talitha Kum" oggi conta 24 reti rappresentanti 79 Paesi. Una rete di salvezza che si oppone a quella della criminalità. Il Brasile, per le proprie caratteristiche socioeconomiche così come geografiche, è allo stesso tempo Paese di origine, di transito e di destinazione delle vittime di tratta soprattutto per sfruttamento sessuali e che riguarda perlopiù donne giovani, di famiglie povere, con un basso livello di studio.
    Suor Gabriella Bottani, comboniana, da dieci anni in Brasile, è la coordinatrice nel Paese della rete Um Grito pela Vida:

    "Noi cristiani non possiamo restare passivi davanti a questo scenario, ma mobilitarci come credenti e come cittadini perché la società civile faccia il possibile per sradicare una tale barbarie e riscattare la vita dei figli e delle figlie di Dio. La Coppa del mondo di calcio è una occasione unica per invitare tutti a riflettere circa il valore della vita e di relazioni pacifiche tra persone, culture e popoli. Con questa campagna la Vita Consacrata rinnova chiaramente la sua posizione dicendo 'no' alla tratta di persone e a tutte le forme di sfruttamento, prima, durante e dopo la Coppa del mondo. La rete ‘Um Grito pela Vida’ e la rete ‘Talitha Kum’, entrano in campo a giocare a favore della vita, contro la tratta ed ogni forma di sfruttamento, rinnovando così il nostro impegno a favore della vita di ogni figlio e figlia di Dio".

    Finora, spiega suor Bottani, non ci sono stati contatti con la Fifa, che non ha preso posizione sull’argomento mentre a livello istituzionale il governo federale del Brasile da tempo si è messo in moto, è però a livello dei singoli Stati che si fatica a vedere applicate le azioni:

    "In Brasile, la più grande preoccupazione che abbiamo è legata all’aumento dello sfruttamento della prostituzione minorile ed è difficile dire adesso quanto aumenterà e se aumenterà. Questa settimana è stata varata una legge che definisce lo sfruttamento della prostituzione minorile come un crimine 'grave' , quindi è un aggravante e per noi è stata una conquista perché significa che il movimento che si sta organizzando, e non solamente per i Mondiali di calcio, sta portando frutti che sono per noi importanti".

    A partire da questo mese, i gruppi saranno attivi in tutto il territorio brasiliano e in altri Paesi latinoamericani con gli interventi nelle 12 città che ospiteranno le partite, la campagna utilizzerà media e social network per informare e sensibilizzare la popolazione.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   Le parole di Francesco e di Paolo: in prima pagina, un editoriale del direttore sul discorso del Papa all'assemblea generale della Conferenza episcopale italiana. All'interno, il primo discorso di Paolo VI all'episcopato italiano (il 14 aprile 1964) citato e definito un gioiello da Papa Francesco, e distribuito ieri ai presuli durante l'incontro nell'Aula del Sinodo.

    Per uscire dalla notte della divisione: il cardinale Kurt Kock sul cammino ecumenico dopo lo storico abbraccio fra Paolo VI e Atenagora.

    Come bimbi davanti a un regalo: messa del Pontefice a Santa Marta.

    Conferenza dei donatori a Oslo sulla tragica infanzia sud sudanese.

    Sospesi i lavori del Parlamento libico: preoccupazione internazionale per l'aggravarsi della crisi a Tripoli.

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    Oggi in Primo Piano



    L'alluvione nei Balcani: decine di morti, migliaia gli sfollati. Il pericolo di frane e mine

    ◊   Almeno 40 vittime e circa 30 mila persone evacuate, ma la conta dei danni è ancora in corso. L’alluvione che negli ultimi giorni ha interessato la Bosnia ed Erzegovina e la Serbia, dove oggi sono stati proclamati tre giorni di lutto nazionale, è la peggiore catastrofe naturale che ha colpito i Balcani negli ultimi 120 anni. Gravemente danneggiate case, infrastrutture, strade, ponti, linee ferroviarie, numerose le zone allagate ancora difficilmente raggiungibili. Migliaia di frane hanno peggiorato la situazione e ostacolato i soccorsi, riemerse anche numerose mine sepolte durante il conflitto degli anni ‘90. Domenica la pioggia ha concesso una prima tregua, permettendo un parziale ritorno alla normalità. Persiste l’allarme nelle località lungo il corso della Sava, in alcune si teme una nuova ondata di piena. Le operazioni di soccorso proseguono: mobilitata anche la Caritas locale, che sta cercando di offrire cibo e assistenza sanitaria agli sfollati. Laura Ieraci ha intervistato mons. Stanislav Hocevar, arcivescovo di Belgrado e presidente della Caritas serba:

    R. – On the river Sava where...
    Sul fiume Sava sono stati piazzati centinaia di migliaia di sacchi di sabbia per alzare e rinforzare gli argini. Ma adesso l’acqua sta arrivando a terra, alla foresta, ed è estremamente difficile salvaguardarla. In alcuni posti, che non sono stati accessibili per giorni, abbiamo avuto già notizia di un principio di malattie. Il posto più a rischio, Obrenovac, è ancora sotto l’acqua, anche se il livello si sta abbassando. E notizie stanno arrivando ancora da luoghi diversi ed è davvero difficile coordinare ogni cosa. Per quanto riguarda la Caritas, è in continua attività in due luoghi, a Šabac e Valjevo, dove ha distribuito cibo e beni di prima necessità. Durante la settimana, la stessa cosa verrà fatta anche nella municipalità di Obrenovac. Al momento uno dei miei colleghi sta visitando altre municipalità che si trovano in una situazione davvero difficile. L’idea è quella di capire la situazione e, durante la settimana, dare un aiuto migliore e più coordinato alle persone che si trovano lì. La situazione nei campi è ancora caotica e quello che posso dire, adesso, è che più di 25 mila persone, sono state evacuate e l’evacuazione è ancora in corso; migliaia di case sono state distrutte e migliaia di case sono ancora inondate. E’ impossibile dire dove si arriverà e l’entità dei danni. La Caritas serba è qui. Noi siamo qui e vogliamo aiutare, ma abbiamo bisogno di aiuto da fuori per fare questo: abbiamo bisogno di cibo e di mezzi per la disinfezione. Inoltre, stiamo già pensando a come procurarci il cibo per gli animali - in quei posti dove sono sopravvissuti - e di avere notizie più accurate dai campi, per dare un aiuto più efficace.

    Ma sulle conseguenze delle alluvioni dei giorni scorsi, sentiamo ancora Daniele Bombardi, coordinatore regionale Caritas di Bosnia Herzegovina e Serbia e poi mons. Lush Gjergji, vicario generale della Chiesa del Kosovo, intervistati da Emanuela Campanile:

    R. – Il problema delle alluvioni ha generato una serie di altre problematiche consequenziali. Anzitutto, le alluvioni dei giorni scorsi stanno purtroppo proseguendo nelle zone dove i fiumi in piena stanno esondando e riversandosi, per cui a oggi ci sono ancora zone totalmente sotto l’acqua. Il secondo problema è quello delle frane: il territorio montuoso della Bosnia Erzegovina non è più in grado di assorbire l’acqua, per cui pezzi di terra vengono giù continuamente. Si parla di migliaia di frane in tutto il territorio. C’è poi il problema delle mine, perché i campi minati che si trovano nelle zone alluvionate hanno - da un lato - perso le segnalazioni e - dall’altro - c’è chi dice anche che alcune mine si possano essere spostate. E questo potrebbe quindi rappresentare un ulteriore problema alla già critica situazione di questo momento.

    D. – Padre Lush Gjergji, come procedono gli aiuti in generale e della Caritas?

    R. – Queste alluvioni hanno causato tanti danni e purtroppo anche vittime, ma hanno anche suscitato una solidarietà tra le nazioni, tra gli Stati. Anche nel Kosovo stesso è nata una iniziativa per aiutare questa popolazione tramite le forze di protezione e tramite i diversi organismi, soprattutto la Caritas. Vediamo che la gente è buona, ha un cuore. Ma non bisogna aspettare soltanto questi episodi di alluvioni o di terremoti per suscitare nella gente il desiderio di aiutare, di comprendere e di stare vicini a quanti soffrono. In questo senso, direi di fare appello alle coscienze della popolazione – soprattutto a quella italiana che è stata ed è sempre generosa in questi casi – affinché non si adoperi solo nella prima fase di emergenza, ma continui a mantenere un focus su questa situazione della Bosnia Erzegovina, della Serbia e di dare il meglio di se stessi, come direbbe Madre Teresa: e dare il meglio di se stessi vuol dire dare l’amore, offrire la solidarietà, la comprensione, la condivisione. In questo senso speriamo di consolidare, ancora di più, la fratellanza, il dialogo ecumenico e il dialogo interreligioso.

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    Libia nel caos: chiuso il parlamento, voto da rifare

    ◊   Nuova crisi in Libia: la comunità internazionale preoccupata per i combattimenti di questi giorni e l’esautoramento del parlamento. Un gruppo di attivisti libici vicino ai Fratelli Musulmani ha denunciato il tentativo di golpe nel Paese da parte delle forze armate che fanno capo al generale Khalifa Haftar. La comunità internazionale si divide sulla possibilità di intervenire diplomaticamente o sul terreno. Sulla situazione Giancarlo La Vella ha intervistato Luciano Ardesi, esperto di Nord Africa:

    R. – Il generale Khalifa Hiftar sta coalizzando attorno a sé la parte che si contrappone alle bande e alle fazioni legate ai Fratelli Musulmani e al fondamentalismo islamico; dall’altra, ci sono coloro che si riconoscono nell’islam militante e che ultimamente avevano preso il controllo di una parte del territorio e anche delle istituzioni libiche.

    D. – A differenza di altre crisi, di altre "primavere", questa sembra suscitare maggiore attenzione da parte della comunità internazionale: che differenza c’è?

    R. – Sicuramente, quella in Libia – come già in Tunisia e in Egitto, prima – era una rivolta popolare motivata da un malcontento socio-economico ma anche politico: la mancanza di democrazia, in questi Paesi. Ora, noi sappiamo che poi alla fine Gheddafi è stato prima emarginato e poi ucciso e da quel momento nessuna forza è più riuscita a prendere il controllo dell’intero Paese: da due anni a questa parte, di fatto le istituzioni in Libia non sono mai state espressione di una vera democrazia in grado di esprimere anche uno Stato moderno.

    D. – I poteri vicini all’ex regime di Gheddafi, che ruolo hanno?

    R. – Tutti coloro che si rifacevano a quella galassia che ruotava attorno al Colonnello, ha seguito poi strade diverse e si sono ricomposte attorno a interessi specifici. Chi ha avuto, come nel caso di Hiftar, l’appoggio occidentale ha poi trovato la forza di riorganizzarsi e oggi di condurre un’offensiva che sembrerebbe prevalere su una parte del Paese.

    D. – In un Paese com’è oggi la Libia, senza Parlamento e con istituzioni deboli, che rischi sta correndo la popolazione civile?

    R. – Sicuramente, la popolazione civile è la prima vittima degli accadimenti di questi giorni; il rischio è che si inneschi una nuova guerra civile che, peraltro, non è mai del tutto terminata in questi mesi, e che si trovi tra i due fuochi. L’altro rischio, naturalmente, è quello delle istituzioni: se nessuna forza prevarrà, è chiaro che avremo quella situazione di non-Stato che è la situazione che ormai prevale in Libia da circa due anni.

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    Elezioni in Iraq. Nuri al-Maliki verso il terzo mandato

    ◊   In un Iraq devastato dai continui attentati il blocco politico che fa capo al premier, Nuri al-Maliki, ha ottenuto la maggioranza dei seggi nel parlamento di Baghdad, alle elezioni del 30 aprile. Secondo i dati ufficiali il partito non ha raggiunto l’auspicato traguardo della maggioranza assoluta, ma con 92 seggi, su 328, il gruppo sciita ha distanziato agli altri partiti, che singolarmente non sono arrivati ai 30 deputati. Al microfono di Massimiliano Menichetti, il responsabile analisti del Centro studi internazionali, Gabriele Iacovino:

    R. – Al-Maliki, rispetto alle scorse elezioni del 2010, ottiene una vittoria più netta nonostante non abbia avuto una maggioranza assoluta. Il vero segnale è quello di un Paese tornato a dividersi lungo linee settarie e religiose. Perché non abbiamo un partito o una coalizione trasversale - come nel 2010 poteva essere quella di Allawi, che prese voti sia dalla comunità sciita che da quella sunnita - ma di nuovo la politica irachena si è divisa. E al-Maliki dovrà scendere a patti con altre entità politiche.

    D. – Dunque la sfida del premier è quella di ricucire con tutte le realtà tribali, sarà possibile?

    R. – Purtroppo i segnali avuti non sono in questa direzione. Anzi, le scelte politiche di al-Maliki non l’hanno aiutato in una stabilizzazione del Paese. Una vittoria politica di al-Maliki potrebbe far ulteriormente rafforzare la figura del primo ministro che - forte anche dell’appoggio, della possibile alleanza con altri partiti sciiti - può proseguire la propria politica settaria. Bisognerà vedere quali saranno le scelte anche delle altre realtà sciite, non ultima quella di Muqtada Al-Sadr.

    D. - Il Paese intanto si sta fortificando dal punto di vista economico, ovvero si parla di boom petrolifero. Un canale quello del petrolio che va alla Cina e meno agli Stati Uniti…

    R. – Al-Maliki, fin dall’inizio, si è dimostrato un leader politico nazionalista che non ha mai stretto alleanze con un soggetto unico, né per esempio con gli Stati Uniti, né d’altra parte con l’Iran, ma ha sempre utilizzato la propria figura per bilanciare le spinte di influenza dei vari attori internazionali. Non da ultimo, questo rapporto con la Cina da un punto di vista energetico, è un nuovo fattore per diventare sempre più l’ago della bilancia di un Paese totalmente ancora instabile ma che inevitabilmente ha un ruolo forte, non solo nel palcoscenico mediorientale, ma nel palcoscenico internazionale.

    D. – Per gli iracheni il nemico prima erano gli Stati Uniti, poi le forze internazionali: adesso chi è? Sembra di assistere a uno scontro dove tutti sono contro tutti…

    R. – Purtroppo, inevitabilmente, la natura stessa dell’Iraq è il nemico, cioè essere un Paese composto da varie entità sia religiose che etniche che risentono ancora, e purtroppo inevitabilmente, del passato e delle divergenze avute. E si cerca nell’attualità, una soluzione non condivisa per la gestione non solo politica del Paese ma anche economica e sociale.

    D. – Continueremo a vedere attentati?

    R. – Purtroppo tutti i segnali in questo momento sono lontani da una stabilizzazione del Paese. Fino a quando non si attueranno politiche di inclusione sociale ed economica, purtroppo il malcontento, il malessere, interno del Paese porterà ulteriore instabilità. Fin quando si tratta di un malcontento come un mero fenomeno di sicurezza le possibilità di una pacificazione dell’Iraq sono lontane da venire.

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    Ilo: lavoro forzato profitti illeciti per 150 mld di dollari

    ◊   Il lavoro forzato nel mondo coinvolge circa 21 milioni di persone e genera profitti illeciti annuali per 150 miliardi di dollari, due terzi dei quali prodotti dallo sfruttamento sessuale. E’ quanto emerge tragicamente dal Rapporto dell'Organizzazione internazionale del lavoro (Ilo), dal titolo "Profitti e povertà, l’economia del lavoro forzato". Il servizio di Gabriella Ceraso:

    Tragiche cifre per quella che il Papa definisce una piaga, un crimine contro l’umanità: lo sfruttamento degli esseri umani. 21 milioni di vittime nel mondo: più della metà sono donne e ragazze sfruttate sessualmente - alta la domanda, alti i prezzi e basso il costo operativo delle attività - e nel lavoro domestico. Mentre uomini e ragazzi sono vittime dei settori edile, minerario e agricolo. Due le cause principali spiega il direttore Ilo Italia, Luigi Cal:

    “La povertà e lo shock improvviso rispetto a redditi che una famiglia o persone subiscono. Poi, naturalmente, la mancanza di istruzione, l’analfabetismo e la migrazione in generale. Laddove, specialmente in molti Paesi del Sud del mondo, non c’è nessuna protezione sociale di base, questo diventa subito un problema”.

    Dato nuovo e importante di questo rapporto è il calcolo del profitto di tutto ciò, pari 150 mld. di dollari annui concentrato in Asia-Pacifico, a seguire i Paesi sviluppati, l’Europa centrale, l’area ex sovietica, l’Africa, l’America Latina e il Medio Oriente:

    “Si scopre che questo fenomeno dà in mano a soggetti che potrebbero essere mafie, organizzazioni criminali eccetera, un’ingente quantità di risorse che sono anche molto negative, sia per le imprese sia per lo sviluppo. L’Ilo ha cercato di metterlo in evidenza proprio per denunciare un circuito tutto illegale, tutto non controllato”.

    Cosa fare dunque? Se dei progressi si registrano nella riduzione del lavoro forzato imposto dagli Stati, spiega l’Ilo, ora occorre concentrarsi sui fattori socioeconomici che rendono le persone vulnerabili. Dunque, occorre più protezione, aggiunge l'Organizzazione, più informazione, più controlli e più assistenza per le vittime, quella “prossimità” che il Papa suggerisce di unire alle strategie. Ancora Luigi Cal:

    “L’Ilo è in assoluta sintonia con Papa Francesco su questo tema, perché l’Ilo invita per esempio anche le organizzazioni dei lavoratori, come pure le imprese, ma soprattutto le organizzazioni dei lavoratori, i sindacati che possono essere prossimi a vedere questo mondo di sfruttamento del lavoro forzato, l’Ilo le invita proprio ad adoperarsi in maniera straordinaria per far fronte a questo fenomeno. E devo dire, anche per esperienza personale, che molti sindacati nel mondo stanno facendo una grande operazione benefica: mi riferisco soprattutto ai sindacati dei lavoratori agricoli, in Africa; ai sindacati dei lavoratori tessili in Asia, come il caso del Bangladesh, eccetera”.

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    Il card. Bagnasco all'assemblea Cei: "Il Papa ci ha presi per mano"

    ◊   Una politica europea per l’immigrazione, più investimenti e misure fiscali per rilanciare l’occupazione, l’avvio di politiche che esprimano un sì convinto alla “famiglia senza surrogati” e la dura condanna del gioco d’azzardo. Questi i temi toccati dal cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Cei, questa mattina alla 66.ma assemblea generale dei vescovi italiani. Dal porporato la preghiera per il viaggio che il Papa si appresta a compiere in Medio Oriente e il ringraziamento al Santo Padre per le parole con cui ha aperto i lavori della riunione. Il servizio di Paolo Ondarza:

    “Il Papa ci ha presi per mano, valorizzando il cammino compiuto e additando modalità con cui proseguire”. E’ con queste parole di gratitudine che il card. Bagnasco ricorda ai vescovi italiani l’apertura da parte del Santo Padre della loro assemblea generale. Il presidente della Cei passa in rassegna i luoghi nei quali il Pontefice ha indicato come significativa e necessaria la presenza della Chiesa. In primis la realtà dei migranti: di fronte alle tragedie del mare - dice il porporato - “non basta l’indignazione occasionale”. “Se l’Europa vuole presentarsi come casa comune non può tirarsi indietro”. Lo sguardo del cardinale Bagnasco va quindi ai tanti drammi in ogni angolo della Terra, alla persecuzione “indisturbata” dei cristiani, a quella scienza che progredisce non sempre di pari passo con la coscienza.

    Di fronte al perdurare di una crisi economica che sta “congelando un’intera generazione e desertificando la società dei giovani - prosegue il card. Bagnasco - chiediamo a chi ne ha la possibilità di tornare subito a investire con coraggio” e misure "efficaci e veloci" di agevolazioni fiscali soprattutto a quegli imprenditori "disposti a coinvolgersi per creare lavoro".

    Centrale anche il tema della famiglia. La Chiesa italiana chiede con fermezza alle autorità responsabili di “avviare politiche che esprimano un sì convinto alla famiglia senza surrogati e politiche attente a rendere meno difficile e gravosa la formazione, la generazione e l'educazione dei figli, specie se malati, la cura e l'assistenza degli anziani". “La famiglia, fondata sul matrimonio - prosegue il porporato - non sia messa sotto scacco da una cultura insistente e monocorde che pretende di 'ridefinire' il volto stesso dell'amore “. “Snaturare la famiglia significa scendere nel più profondo fino a toccare le corde dell'umano e sciogliere le persone dentro rapporti liquidi e insicuri".

    Necessaria una collaborazione attorno ad un progetto educativo condiviso tra famiglia, scuola e chiesa. Forte la denuncia del card. Bagnasco della “piaga del gioco d'azzardo che in termini di risorse, consuma molto di più di quanto porti alle casse dello Stato".

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    Emilia, a due anni dal sisma: grande voglia di rinascita

    ◊   Questa volta sono i numeri a raccontare la cifra del terremoto che nel 2012 colpì violentemente l’Emilia. A due anni dal sisma è tempo di bilanci, precisi e chiari, sui danni subiti e sulla ricostruzione avviata con passo sostenuto. A Bologna per presentare i progetti per la rinascita dei centri storici e gli interventi sui beni culturali era presente il ministro competente in materia Dario Franceschini. Il servizio di Luca Tentori:

    Il tempo ha permesso di mettere a fuoco la fotografia del sisma d’Emilia. Il bilancio a due anni di distanza svela i traumi che hanno segnato il territorio e soprattutto le persone. Nei distretti del cratere i centri di assistenza hanno registrato un aumento di patologie psicologiche e sanitarie: depressioni, dipendenze da gioco d’azzardo, alcol e sostanze stupefacenti e maggiore fragilità nell’ambito della salute. Ma grande è stata anche la voglia di rinascita, come ha spiegato il presidente della regione Emilia Romagna,Vasco Errani:

    “Il terremoto ha prodotto disagi, ma ha prodotto anche una capacità di stare insieme che non era assolutamente scontata e che rappresenta un valore importante per le nostre comunità. Io penso che alla fine del terremoto si potrà dire: primo, si è speso ciò che si era previsto di spendere, non un euro in più. Secondo, si è ricostruito meglio, con maggiore qualità e con tempi più celeri rispetto alle esperienze che ci stanno alle spalle. Terzo: lo si è fatto con trasparenza ed equità”.

    E proprio al modello della ricostruzione emiliana ha fatto riferimento il ministro dei Beni e delle attività culturali e del turismo Dario Franceschini:

    “Credo che sia utile per tutti utilizzare questa gestione per mettere mano a una legge quadro sulle calamità naturali che non consenta di discutere ogni volta dall’inizio, ma che permetta di fronte ad una emergenza di operare di fronte a una normativa definita che eviti di creare soprattutto differenze di trattamento tra una zona e l’altra del Paese in base alle risorse disponibili in quel momento nelle casse dello stato”.

    Oltre 8 miliardi di interventi messi in campo; sette famiglie su dieci già tornate nelle loro case. L’economia del vasto distretto industriale colpito è ripartita nonostante la crisi, con i lavoratori in cassa integrazione che dai 40.000 registrati dopo le scosse sono passati ad oggi a solo 215. Nell’ambito dei beni culturali pubblici e privati la voce con maggiori danni è quella degli edifici di culto. Complessivamente 482 sono state le chiese interessate di cui 58 gravemente lesionate, 45 parzialmente demolite e 11 crollate per intero. Molte le comunità cristiane ancora fuori dalle loro chiese, per il complesso iter che riguarda miglioramenti sismici e salvaguardia del bene artistico-culturale come spiega il delegato per il sisma della Conferenza episcopale dell’Emilia Romagna, don Mirko Corsini:

    “Chiaramente c’è grande attesa perché dobbiamo tenere presente che se anche dal punto di vista legislativo l’emergenza è conclusa, è però vero che c’è una emergenza umana reale. Ricordiamoci sempre che le chiese sono prima di tutto dei luoghi di culto dove le comunità cristiane si ritrovano. E’ evidente che tornare nel proprio edificio è sempre un segno di bellezza, di re-incontro con un luogo che è di fatto caro”.

    A due anni dal terremoto, la Caritas Italiana prosegue il suo impegno accanto ai più bisognosi. Il servizio di Maria Gabriella Lanza:

    Grazie anche al contributo della Conferenza Episcopale Italiana, che ha subito messo a disposizione 3 milioni di euro nella fase d'emergenza, pronta è stata la risposta all'emergenza: in totale alla Caritas sono pervenute offerte per 11 milioni di euro e sono stati realizzati 17 centri di comunità, come strutture polifunzionali per attività liturgiche, sociali e ricreative. Inoltre, grazie al coordinamento regionale della Caritas, volontari provenienti da tutta Italia hanno offerto il proprio aiuto in 185 parrocchie e in 17 zone pastorali.

    Nelle strutture costruite dalla Caritas - spiega un comunicato - si svolgono attività con lo scopo di riaggregare e rafforzare il tessuto sociale. I centri possono essere di quattro tipologie, da 150 mq a 330 mq, in base al numero della popolazione e delle parrocchie coinvolte. L’ultimo è stato inaugurato nel novembre 2013 a San Possidonio, nella Diocesi di Carpi.

    Sono state numerose le richieste ricevute dalla Caritas da parte di persone di ogni età e professione per svolgere periodi di volontariato nelle aeree colpite. L’attività dei volontari è stata resa possibile grazie al gemellaggio tra le regioni ecclesiastiche italiane e le diocesi coinvolte nel sisma. Ogni delegazione regionale ha fatto varie visite nelle zone terremotate, incontrando parroci, operatori pastorali e l’equipe Caritas per definire un percorso duraturo nel tempo in grado di unire l’aiuto materiale con il dono reciproco della relazione.

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    Cannes. "Le meraviglie", storia intensa nel mondo rurale italiano

    ◊   Con “Le meraviglie”, unico film italiano in concorso al Festival di Cannes e da giovedì nelle sale, Alice Rohrwacher stupisce e commuove la platea del pubblico, ricevendo una vera ovazione. Fragile storia di una famiglia immersa nella natura e dedita all’agricoltura, quadro desolato di un mondo rurale oggi scomparso, raccontato con estremo rigore e forte personalità. Il servizio di Luca Pellegrini:

    All’inizio un solitario casolare di campagna, in rovina, è vuoto. E così anche alla fine. Abbandonato. Due estremi, due immagini, che hanno il sapore della sconfitta. E nel mezzo la storia di una famiglia che l’ha abitato, non si sa quando e per quanto, una vita dolce come il miele che produce, amara come può essere per chi affoga ogni giorno nella pura sopravvivenza, nei pochi affetti, nella solitudine, nella difesa del proprio territorio - brullo e dai flebili ricordi etruschi - nel tentativo di aggrapparsi a un mondo che intorno riserva soltanto delusioni e frustrazioni, aggrappato a un passato remoto di autarchia e di dignità. “Le meraviglie” - che è anche il titolo dell’intenso e duro film di Alice Rohrwacher in concorso a Cannes, accolto da moltissimi applausi, lacrime e standing ovation - sono quelle che si nascondono dentro lo spirito sensibile di una ragazzina, Gelsomina, la splendida protagonista interpretata da Maria Alexandra Lungu, che cerca una ragione del suo esistere e una speranza per il suo futuro. Oppure sono quelle fittizie e fraudolente con le quali un programma televisivo scalcinato, condotto da una vacua e bravissima Monica Bellucci, tenta di illudere spettatori ingrigiti promuovendo prodotti agricoli e assicurando successi ai vincitori della competizione.

    Famiglia, dunque, che è al centro di tanti film sulla Croisette. Che la regista getta su un suolo fangoso e un presente incerto: la mamma, interpretata dalla sorella Alba Rohrwacher, stringe a se, non riuscendoci, le quattro figlie, legate alla vita dei campi e al duro lavoro da un padre, origine ignota, inflessibile e impermeabile. Una ragazza, presenza di cui poco si conosce, e un ragazzino, affidato dai servizi sociali per la rieducazione, entrambi tedeschi, s’inseriscono in questo gruppo di perdenti, ciascuno portando sogni e tensioni. Il film è poesia, irrorata di rudezza alla Rossellini e di sogno alla Fellini, una vena di rimpianto, mai un atto di accusa. Una regia attenta al sapore del racconto, alle persone e non ai personaggi, alla vita e non ai vitalismi velleitari, in cui le voci degli esseri umani e quelle della natura sono l’unica musica possibile in questo universo così lontano e sconsolato.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Vescovi indiani: il governo tuteli le minoranze religiose

    ◊   “Auspichiamo che il nuovo governo sostenga valori condivisi e la laicità, per rendere l’India una grande nazione”: è quanto scrive la Conferenza episcopale dell’India in un comunicato firmato dal presidente, il cardinale Baselios Cleemis. Nella nota, diffusa dall’Agenzia Fides, i vescovi si congratulano con la “National Democratic Alliance”, guidata dal partito “Bharatya Janata Party” (Bjp), per la vittoria alle ultime elezioni generali ed esprimono la speranza “che il nuovo governo guidato dal Bjp abiliti l’India del Mahatma Gandhi a puntare in alto e a collocarsi tra le nazioni del mondo che garantiscono protezione, sicurezza, benessere e sviluppo sostenibile dei popoli”. Ribadendo il sostegno della Chiesa cattolica al “processo di costruzione della nazione”, il messaggio ricorda che “il nuovo governo ha la responsabilità di garantire la sicurezza delle minoranze e di mostrare particolare attenzione verso le fasce più deboli del Paese”. La preoccupazione è condivisa dal forum “All India Christian Council” (Aicc), che riunisce cristiani di diverse confessioni. “Rispettiamo - scrive l’Aicc - la democrazia e il volere del popolo. Accettiamo i risultati del voto con ottimismo. Manifestiamo i nostri timori e le nostre aspettative per il rafforzamento della laicità” e la “libertà di fede”. In India, su circa 1,2 miliardi di abitanti, si contano poco meno di 200 milioni di cittadini membri delle minoranze religiose, tra i quali oltre 175 milioni di musulmani e 27 milioni di cristiani. (G.A.)

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    Legge marziale in Thailandia: militari negano colpo di Stato

    ◊   Legge marziale in Thailandia. L’ha proclamata il capo di stato maggiore, Prayuth Chan-ocha, dopo sei mesi di crisi politica costata 28 morti e oltre 800 feriti. Il provvedimento, preso senza consultare il governo, assegna accresciuti poteri alle Forze armate, ma - nonostante i soldati schierati nelle strade a Bangkok e la censura imposta su decine di radio e tv - i militari negano che si tratti di un colpo di Stato. L’esercito sorveglia gli accampamenti delle due opposte fazioni in cui si è spaccato il Paese, pro e contro il governo, che è espressione del campo fedele all'ex premier, Thaksin Shinawatra. La legge marziale rimarrà in vigore "finché non sarà ritornata la calma", ha dichiarato il capo di Stato maggiore, in una conferenza stampa a Bangkok, alla quale non hanno partecipato membri dell’esecutivo. (G.A.)

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    Ucraina: allarme Unhcr, almeno 10 mila gli sfollati

    ◊   Sono almeno 10 mila le persone costrette a lasciare le loro abitazioni in seguito allo scoppio della crisi in Ucraina, con i tatari della Crimea che risultano la comunità più colpita. Lo rende noto l'Alto commissariato Onu per i rifugiati (Unhcr), secondo cui un terzo degli sfollati è rappresentato da bambini. La maggior parte di chi lascia la propria casa a causa delle violenze si dirige verso il centro del Paese (45%) o verso l’ovest (26%). Il portavoce dell'Unhcr, Adrian Edwards, ha riferito che tra le testimonianze raccolte “ci sono persone costrette a fuggire in seguito a minacce dirette, al telefono, sul web, in biglietti lasciati davanti casa, o per paura di una situazione di insicurezza e il rischio di persecuzione”. Si tratta, ha concluso Edward, di una “situazione estremamente difficile per molte persone”. Intanto, a livello politico e sul terreno permangono le tensioni. L'ex premie,r Yulia Tymoshenko, ha ribadito la determinazione degli ucraini a recarsi “alle urne per scegliere un nuovo presidente, in spregio a ogni minaccia. Non daremo partita vinta - ha detto in un’intervista al New York Times - a coloro che vorrebbero screditarci e smembrare il nostro Paese, accettando di annullare l'appuntamento elettorale del 25 maggio”. (G.A.)

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    Manila: concluso il Congresso panasiatico sulla famiglia

    ◊   Il destino dei popoli dell’Asia è strettamente legato a quello delle sue famiglie. Per questo, come la Chiesa, anche i governi sono chiamati a difendere e a promuovere l’autentico sviluppo dell’istituto familiare oggi così continuamente sotto attacco. È quanto si afferma nel documento conclusivo del Congresso panasiatico sulla famiglia, svoltosi la scorsa settimana a Manila e organizzato dalla Conferenza episcopale filippina in collaborazione con il Pontificio Consiglio per la Famiglia. Tema: “Famiglie dell’Asia, luci di speranza”.

    L’evento si inquadra nel trentesimo anniversario della Carta dei diritti della famiglia, il documento del dicastero vaticano sulla famiglia cristiana, e in vista del prossimo Sinodo dei vescovi dedicato sempre alla famiglia. Proprio nelle Filippine, la Conferenza episcopale si è a lungo confrontata con le autorità statali per contrastare l’approvazione di una contestata legge sulla salute riproduttiva. Ad aprire i lavori della Conferenza è stato il vescovo segretario del Pontificio Consiglio per la Famiglia, Jean Laffitte; presenti esponenti del mondo della Chiesa, religiosi e laici, provenienti da Indonesia, Laos, Cambogia, Thailandia, Pakistan, Nepal, Bangladesh e Taiwan.

    A tutti i partecipanti si è rivolto il nunzio apostolico Giuseppe Pinto, che ha letto il messaggio del Papa, a firma del cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato, nel quale si è sottolineato il passaggio dell’Evangelii gaudium che definisce la famiglia come “cellula fondamentale della società” e il “luogo dove si impara a convivere nella differenza e ad appartenere ad altri”. In questa prospettiva, il documento finale dell’incontro asiatico elenca le sfide e le minacce che mettono a dura prova l’esistenza stessa della famiglia. “Negli ultimi cinquant’anni - si legge nel testo - il mondo ha subito grandi cambiamenti in ambito economico, sociale, politico, culturale e religioso. La famiglia è stata la principale beneficiaria e la vittima di questi cambiamenti, che sono diventati sfide alle famiglie in tutto il mondo”.

    Un particolare aspetto messo in luce è la povertà che affligge miliardi di persone nel continente asiatico. “La povertà è il terreno fertile per pornografia, crimini informatici, prostituzione, traffico di esseri umani, schiavitù e altre pratiche che disumanizzano e dividono i membri delle famiglie. La povertà - prosegue il documento - ha spinto anche le persone a cercare mezzi di sussistenza che separano mariti e mogli e questi dai loro figli. Così, la povertà ha portato alla distruzione delle famiglie”. Poi, “ad aggravare le minacce alla famiglia - conclude - sono i governi e altre istituzioni sociali che militano contro la vita e la famiglia attraverso misure coercitive che vanno contro i diritti di individui, coppie e famiglie”. (D.D.)

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    Università della Santa Croce: convegno sui viaggi papali

    ◊   "I viaggi dei Papi tra diplomazia e comunicazione" è il tema della giornata di studio promossa dalla Pontificia Università della Santa Croce, in collaborazione con l'Associazione culturale "Giuseppe De Carli - Per l'informazione religiosa", in programma giovedì 5 giugno alle ore 16 nella sede dell’ateneo a Roma. Al centro della riflessione, i viaggi di Benedetto XVI e di Papa Francesco. Ad aprire i lavori, l'intervento dell’arcivescovo Georg Gänswein, prefetto della Casa Pontificia e già segretario di Benedetto XVI, sul tema: "I discorsi politici di Benedetto XVI nei suoi viaggi apostolici all'estero". Seguirà Marco Tosatti, vaticanista de ‘La Stampa-Vatican Insider’, che parlerà de "La diplomazia del gesto nei viaggi di Papa Francesco". A moderare il successivo dibattito, Norberto González Gaitano, ordinario di Opinione pubblica alla Pontificia Università della Santa Croce. L'iniziativa si pone sia nel quadro del percorso accademico e culturale dell’ateneo, sia nelle attività di approfondimento e formazione dell'Associazione "Giuseppe De Carli". A tal proposito, l'Associazione ricorda che scadrà il prossimo 30 giugno il termine ultimo per la consegna degli elaborati per il Premio "Giuseppe De Carli", promosso con la collaborazione della stessa Pontificia Università della Santa Croce e della Pontificia Facoltà Teologica "San Bonaventura", col patrocinio dell'Ordine nazionale dei giornalisti, della Federazione nazionale della stampa (Fnsi), dell'Unione cattolica stampa italiana (Ucsi) e di Rai Vaticano. (G.A.)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVIII no. 140

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