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Sommario del 18/05/2014

Il Papa e la Santa Sede

  • Il Papa al Regina Coeli: le chiacchiere non portano armonia
  • Oggi in Primo Piano

  • Ucraina verso le presidenziali. Mosca critica il voto
  • Sri Lanka: cinque anni fa la fine della guerra civile
  • Guinea Bissau: secondo turno delle presidenziali
  • Kurdistan: torna il sorriso sui volti dei bambini
  • Da Focsiv, nuova campagna contro la fame nel mondo
  • Giornata del malato oncologico: il ruolo delle associazioni
  • A Lamezia Terme, la speranza rinasce dalla Dottrina Sociale della Chiesa
  • Roma: a San Giovanni in Laterano la Festa dei popoli 2014
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Emergenza maltempo in Serbia e Bosnia Erzegovina
  • Dal summit di Parigi, condanna internazionale per Boko Haram
  • Scontri in Libia. Un'ottantina le vittime nelle ultime ore
  • Turchia: concluse ricerche nella miniera di Soma
  • Mali: nuova azione dei ribelli Tuareg
  • A Ratisbona, tutto pronto per il Katholikentag
  • Perù: campagna di solidarietà dei vescovi contro la tratta
  • Sud Sudan: messaggio di pace dei superiori religiosi
  • Ad Aparecida, Convegno americano dell’Infanzia Missionaria
  • Lettera dei vescovi galiziani sull’educazione religiosa
  • Il Papa e la Santa Sede



    Il Papa al Regina Coeli: le chiacchiere non portano armonia

    ◊   I conflitti nella Chiesa si risolvono “confrontandoci, discutendo e pregando”. Sono le parole di Papa Francesco al Regina Coeli. Il Pontefice ha poi pregato per le popolazioni colpite dalle gravi inondazioni nei Balcani ed ha ricordato che ieri in Romania è stato proclamato Beato il vescovo Anton Durcovici, martire della fede. Il servizio di Giada Aquilino:

    “Confrontandoci, discutendo e pregando: così si risolvono i conflitti nella Chiesa”. Lo ha detto Papa Francesco al Regina Coeli:

    “Confrontandoci, discutendo e pregando! Con la certezza che le chiacchiere, le invidie, le gelosie non potranno mai portarci alla concordia, all’armonia o alla pace”.

    Ad illuminarci, in questo cammino, il dono dello Spirito Santo, “perché sappiamo stimarci a vicenda e convergere sempre più profondamente nella fede e nella carità, tenendo il cuore aperto alla necessità dei fratelli:

    “Quando noi lasciamo allo Spirito Santo la guida, Egli ci porta all’armonia, alla unità e al rispetto dei diversi doni e talenti. Avete capito bene? Niente chiacchiere, niente invidie, niente gelosie”.

    D’altra parte, ha ricordato il Pontefice, “anche nella Chiesa delle origini” esistevano tensioni e dissensi, come succede pure “nelle nostre parrocchie”:

    “Nella vita, i conflitti ci sono, il problema è come si affrontano”.

    Quando si passò, ha spiegato il Papa, “dall’appartenenza ad un’unica etnia e cultura, quella giudaica”, all’apertura “all’ambito culturale greco”, nel cristianesimo - “che per volere di Gesù è destinato a tutti i popoli” - sorsero le prime “difficoltà”: malcontento, lamentele, voci di favoritismi nell’aiuto alle persone disagiate. Furono allora gli Apostoli a convocare una “riunione allargata anche ai discepoli”, per discuterne “insieme”, “tutti”:

    “I problemi infatti non si risolvono facendo finta che non esistano! Ed è bello questo confronto schietto tra i pastori e gli altri fedeli”.

    Il risultato fu una “suddivisione di compiti”. Gli Apostoli decisero di dedicarsi “alla preghiera e al ministero della Parola”, mentre sette uomini, i diaconi, “al servizio delle mense per i poveri”: questi furono scelti perché “uomini onesti e di buona reputazione, pieni di Spirito Santo e di sapienza”.

    Dopo la recita del Regina Coeli, il pensiero del Papa è andato alle “gravi inondazioni” che hanno devastato ampie zone dei Balcani, soprattutto Serbia e Bosnia Erzegovina:

    “Mentre affido al Signore le vittime di tale calamità, esprimo la mia personale vicinanza a quanti stanno vivendo ore di angoscia e di tribolazione”.

    Quindi ha ricordato che ieri in Romania è stato proclamato Beato il vescovo Anton Durcovici, martire della fede. “Perseguitato dal regime comunista rumeno”, ha spiegato, morì in carcere di fame e sete, nel 1951.

    “Insieme con i fedeli di Iaşi e di tutta la Romania, rendiamo grazie a Dio per questo esempio”.

    Salutando i circa 50 mila romani e pellegrini giunti in Piazza, il Pontefice ha infine incoraggiato “le associazioni di volontariato” nella Giornata del malato oncologico ed ha pregato per i malati e le famiglie.

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    Oggi in Primo Piano



    Ucraina verso le presidenziali. Mosca critica il voto

    ◊   Resta alta la tensione in Ucraina, ad una settimana dalle presidenziali del 25 maggio che decideranno il successore del deposto Viktor Ianukovich. Se il governo di Kiev apre alla concessione di maggiori poteri per le regioni, Mosca risponde mettendo in dubbio la legittimità delle prossime elezioni. Ci aggiorna Claudia Di Lorenzi:

    Si è concluso ieri senza risultati il secondo round del dialogo per l'unità nazionale promosso dal governo ucraino, nella città orientale di Kharkiv. Il primo ministro ad interim, Yatseniuk, ha ribadito che il suo governo "è pronto a fare di tutto per l'unità dello Stato ucraino", e si è detto disponibile a concessioni come la decentralizzazione amministrativa e uno status speciale alla lingua russa. Ma Mosca non cambia la propria linea sul governo filo-occidentale di Kiev: in una nota, il ministero degli Esteri russo mette in discussione la legittimità delle elezioni – potrebbero non essere “conformi alle norme democratiche” in quanto si svolgono “a suon di cannoni” – e torna a chiedere di "fermare immediatamente le operazioni militari" nel sud-est contro i militanti russofoni. Intanto la Commissione elettorale centrale ucraina lancia l’allarme: circa 2 milioni di elettori delle regioni orientali "separatiste" di Donetsk e Lugansk potrebbero non riuscire a esercitare il proprio diritto di voto se il governo non interverrà per garantire la sicurezza. Si denunciano anche "minacce e pressioni contro i membri delle commissioni elettorali". Proprio i vertici dell’autoproclamata Repubblica popolare di Donetsk hanno reso noto che intendono chiedere l’adesione alla Russia.

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    Sri Lanka: cinque anni fa la fine della guerra civile

    ◊   Nello Sri Lanka ricorre questa domenica il quinto anniversario della fine della guerra civile tra il governo di Colombo e gli indipendentisti Tamil. Il 18 maggio del 2009, al culmine di una sanguinosa offensiva, veniva ucciso Velupillai Prabhakaran, il fondatore e leader del gruppo armato separatista delle Tigri Tamil. Ad oggi la società srilankese resta divisa, con la minoranza Tamil che lamenta discriminazioni e soprusi. Il servizio di Marco Guerra:

    Nel maggio di cinque anni fa le truppe del governo srilankese, dopo una vasta offensiva, ponevano fine alle ultime resistenze della ribellione Tamil nel nord dell’isola. Nell’ultimo mese di guerra si stima che furono uccisi circa 40mila civili; i combattimenti cessarono il 18 maggio con la morte dei vertici delle Tigri Tamil, tra cui il fondatore Velupillai Prabhakaran. Questa data viene ora celebrata dal governo di Colombo come “Il Giorno della vittoria”, che ricorda la fine di 37 anni di conflitto, con un bilancio di oltre 100 mila morti. Ma le commemorazioni dividono la società srilankese e nelle aree del nord a maggioranza Tamil è vietata qualsiasi celebrazione. Il Consiglio nazionale per la pace ha criticato la decisione, chiedendo invece "una commemorazione religiosa su scala nazionale in memoria di tutte le vittime della guerra". Per un’analisi della situazione del Paese e della minoranza Tamil, abbiamo raccolto il commento della professoressa Maria Grazia Casolari, esperta dell’area:

    R. – La situazione è di una tranquillità almeno esteriore, almeno formale, che il Paese non vedeva da molti anni. Quello che accade, però, è che soprattutto i Tamil denunciano una sorta di egemonia da parte della maggioranza singalese. Già nel 2008 denunciavano l’abbattimento di luoghi di culto musulmani o cristiani o indù - ricordiamo, infatti, che la minoranza Tamil è prevalentemente indù - per costruire, per esempio, dei santuari buddisti; e lanciavano l'allarme anche per la confisca di terreni... Il governo non ha mai messo in discussione l’ufficialità della lingua Tamil né il carattere multi etnico, multi religioso, multi culturale dell’isola. Le forze, però, che hanno sostenuto il governo di Mahinda Rajapaksa sono oltranziste e una, in particolare, è una formazione buddista militante contro la minoranza Tamil. Questa formazione è composta anche da alcune frange estreme, che hanno compiuto atti di provocazione nei confronti dei Tamil, che hanno dato luogo a scontri intercomunitari simili a quelli che sono accaduti in India tra i fondamentalisti indù e i musulmani.

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    Guinea Bissau: secondo turno delle presidenziali

    ◊   Il voto della svolta, per chiudere il capitolo dell’instabilità politica: la Guinea Bissau è chiamata alle urne per il secondo turno delle elezioni presidenziali. João Mario Vaz del partito per l’Indipendenza è favorito su Nuno Gomes Nabiam, vicino agli ambienti militari che organizzarono l’ultimo golpe del 2012. Grande attesa tra gli elettori che al primo turno hanno fatto registrare un’affluenza record, superiore all’80%. Gianmichele Laino ha intervistato Marco Massoni africanista del Centro alti studi della Difesa:

    R. – Ci sono due ordini di fattori, probabilmente uno di tipo culturale e di attitudine funzionale: da diversi anni a questa parte la Guinea Bissau ha la ‘tradizione’ di andare alle urne con una frequenza sempre più rilevante. L’attenzione da parte della popolazione a cercare forme di miglioramento della propria vita, attraverso un sistema democratico, non dovrebbe meravigliare: tutti i Paesi del mondo, anche quelli che consideriamo più poveri da un punto di vista di infrastrutture e di aspettative, credono che la democrazia sia un valore e che possa essere lo strumento principale attraverso cui far sparire la corruzione e consentire di migliorare, appunto, le stesse aspettative di vita, spesso disattese dalle classi politiche.

    D. – Si sfidano João Mario Vaz del partito per l’Indipendenza e Nuno Gomes Nabiam, vicino agli ambienti militari che organizzarono il golpe nel 2012. Quali sono le caratteristiche principali dei due candidati?

    R. – Nuno Gomes Nabiam si è presentato sì come indipendente, pur di fatto sostenuto dal partito del Rinnovamento Sociale e comunque dai militari. Non ci scordiamo poi che i militari sono ovunque: i militari non possono non avere influenza e rapporti anche con un partito di governo. Queste sono elezioni che vanno osservate - e per fortuna ci sono osservatori internazionali - ma quello che va notato non è semplicemente il momento topico delle elezioni stesse, quanto tutto il processo, andando in profondità a capire anche quali sono gli interessi di attori extraregionali.

    D. – Al primo turno il partito per l’Indipendenza ha distanziato di molto i suoi avversari: se dovesse vincere il suo candidato, quali nuovi scenari si apriranno nel Paese?

    R. – Ritorneremo ad una situazione pre-golpe. Tutti i candidati sono consapevoli che è opportuno cercare di mettere mano o far credere che si metta mano alla riforma del settore della sicurezza, perché il potere in Guinea Bissau è legato ai narcotrafficanti. Per fare questo occorrerebbe un rinnovamento della classe politica profondo e non credo che sia in grado di farlo né qualunque candidato indipendente, né tantomeno – purtroppo – i candidati espressione di un desueto concetto di fare politica.

    D. – Che ruolo ha avuto la Chiesa nel cammino di avvicinamento al voto?

    R. – Sicuramente la Chiesa cattolica ha un ruolo importantissimo sia in generale in Africa sub-sahariana, sia per denunciare le ingiustizie, essendo costretta di fatto a sostituirsi a quelle istituzioni che sono manchevoli e mancanti. Con la Chiesa si riesce comunque a mantenere un collante sociale.

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    Kurdistan: torna il sorriso sui volti dei bambini

    ◊   Sono 165 mila i bambini che, ogni anno, nascono con malformazioni al volto e che vivono anche in Paesi colpiti da conflitti, come l’Iraq, l’Afganistan e il Kurdistan. Emergenza sorrisi è l’associazione umanitaria che opera in queste realtà, per ridonare ai bambini il loro sorriso. Una missione chirurgica si è appena conclusa in Kurdistan. Maria Cristina Montagnaro ha chiesto al presidente dell’ong, Fabio Massimo Abenavoli, il lavoro svolto nella zona:

    R. – Siamo andati per una missione umanitaria focalizzata a creare le condizioni per realizzare, all’interno del Kurdistan stesso, un trattamento delle patologie del volto, quali labbro leporino e palatoschisi. I medici sono molto attivi e molto interessati a sviluppare un programma di formazione, affinché poi possano continuare autonomamente questo percorso e trattare al meglio i loro bambini.

    D. – Quanti bambini avete operato?

    R. – Noi abbiamo visitato durante la missione - che è durata circa una settimana - più di 50 bambini: tutti casi molto gravi. Siamo riusciti ad operare 25-26 di loro.

    D. – Come vi ha accolto la popolazione locale?

    R. – La popolazione ci accoglie sempre con molto entusiasmo, dopo i primi momenti di conoscenza reciproca.

    D. – Cosa avete visto?

    R. – Il Kurdistan è un po’ la parte più evoluta, più sviluppata dell’Iraq. E’ una regione che ha tante possibilità e tante risorse, come il petrolio. Però si trova ancora in una situazione di disagio, collegata alla guerra, alla dittatura che per decenni ha afflitto questo Paese.

    D. – Come finanziate i vostri interventi?

    R. – I nostri medici, i nostri infermieri sono tutti volontari e quindi gratuitamente offrono la loro professionalità e il loro tempo. Noi paghiamo i costi vivi, quindi il vitto, l’alloggio, il viaggio aereo e li finanziamo con degli eventi, con raccolta fondi. Le Cento madrine del sorriso – c’è anche il sito – che appoggiano e sostengo le nostre attività umanitarie hanno organizzato un pic-nic nel Parco di Casale Renzi, che è il giardino del Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri a Roma, per una raccolta fondi. Partecipano i bambini di tutte le scuole per prendere parte attivamente a questo momento di socialità e di solidarietà.

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    Da Focsiv, nuova campagna contro la fame nel mondo

    ◊   È in corso la raccolta fondi “Abbiamo riso per una cosa seria”, organizzata da Focsiv- Volontari nel mondo per combattere la povertà e la fame e garantire il diritto al cibo a migliaia di famiglie. Nelle principali piazze d’Italia è possibile acquistare il “riso della solidarietà”, del commercio equo e solidale, il cui ricavato finanzierà ventinove progetti di Focsiv. Alessia Carlozzo ha intervistato Gianfranco Cattai, presidente di Focsiv:

    R. – Sono 29, tra i 70 organismi della Federazione che in circa 80 piazze d’Italia, con quasi tremila volontari mobilitati, fanno una raccolta fondi, ma soprattutto dicono a quelli che accettano di comprare un chilo di riso che effettivamente la vergogna della fame si può combattere.

    D. – Perché è stato scelto proprio il riso come simbolo di questa iniziativa?

    R. – Il riso, intanto, è per i continenti in cui lavoriamo un materiale base dell’alimentazione. Il nostro è un riso del Sud Est asiatico, ma potrebbe essere tranquillamente anche selezionato un riso prodotto, per esempio, in Madagascar o in generale in Africa. E’ un prodotto naturale, che normalmente è alla base della sopravvivenza, dell’auto-alimentazione da parte delle famiglie.

    D. – Con l’acquisto del riso del commercio equo e solidale, Focsiv sostiene e finanzia inoltre la cooperativa di agricoltori thailandesi Tofta. In che modo?

    R. – Un primo aiuto che si dà è proprio l’acquisto: grazie alla campagna, che noi ormai facciamo da alcuni anni, la cooperativa che produce, in funzione anche del nostro acquisto, in qualche modo è una garanzia commerciale. Secondo, evidentemente noi diamo una mano alla cooperativa, ai produttori locali, in modo diretto e indiretto, per migliorare le loro capacità produttive ed organizzative. E quindi le tre cose insieme: commercio, formazione e organizzazione.

    D. – Quali sono i principali progetti legati al diritto al cibo, di cui Focsiv è promotore?

    R. – Crediamo molto – l’abbiamo detto anche al Parlamento europeo, proprio nelle settimane scorse, alla Commissione Agricoltura del Parlamento – e siamo convinti che il modello di produzione familiare, quello che tra l’altro oggi permette al 70 per cento della popolazione a livello mondiale di pensare alla propria auto-alimentazione, sia quello su cui puntare. E’ un sistema che sicuramente va potenziato, creando reti di contadini locali – ripeto: in Africa, in America Latina o in Asia – ed è proprio su questo che i nostri organismi lavorano: nel dare una mano al sistema produttivo contadino familiare, per poter contare di più su se stesso e combattere in questo modo le speculazioni finanziarie attorno al cibo.

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    Giornata del malato oncologico: il ruolo delle associazioni

    ◊   Sono quasi tre milioni e mezzo i nuovi casi di cancro in Europa registrati nel 2012, con oltre un milione e 700mila morti, pari a tre decessi al minuto. In occasione della nona Giornata nazionale del malato oncologico, ricordata dal Papa al Regina Coeli, la Federazione italiana delle associazioni di volontariato in oncologia (Favo) ha presentato al Senato il sesto rapporto annuale sull’assistenza ai pazienti affetti da tumore. Sui temi principali della Giornata, Gianmichele Laino ha intervistato Elisabetta Iannelli, segretaria della Favo:

    R. – Quello che è sentito un po’ come un punto dolente da parte dei malati non è l’aspetto prettamente sanitario della gestione della malattia, quanto quelli sociali, di welfare, nel senso che il servizio sanitario nazionale garantisce in quasi tutto il territorio italiano delle prestazioni adeguate, a volte con tempi un po’ troppo lunghi, ma ad emergere sono gli aspetti sociali della malattia che invece non trovano adeguato sostegno. In questo, le associazioni di volontariato hanno una funzione importante sia come supplenza della carenza di tali servizi, sia come input alle istituzioni per cercare di migliorare l’offerta.

    D. – Molto spesso per il paziente la malattia è discriminante sia dal punto di vista sociale, sia da quello della tutela sul posto di lavoro. In che posizione si colloca l’Italia rispetto a queste problematiche?

    R. – Per quanto riguarda la tutela del lavoro, l’Italia non si trova in una cattiva posizione perché siamo riusciti ad ottenere delle leggi fortemente innovative - direi delle leggi modello anche per gli altri Paesi - proprio per una migliore inclusione del malato oncologico nel mondo del lavoro. Il problema di un allontanamento dal posto di lavoro del malato - e a volte del familiare che se prende cura - è un problema reale che noi combattiamo da tanti anni; abbiamo ottenuto alcuni buoni risultati.

    D. – Prevenzione, assistenza al malato, possibilità di essere curati all’interno della propria regione, senza dover affrontare lunghe “migrazioni”. A che punto siamo?

    R. – Il problema dell’assistenza territoriale, della discriminazione o della disparità di assistenza a livello territoriale è ancora una nota dolente. Purtroppo sono tanti i malati - circa il 20 per cento - che hanno necessità di trasferirsi dalla regione di residenza ad un’altra per potersi curare; questa migrazione comporta una seria di costi aggiuntivi e sofferenze non solo di natura economica e psicologica, ma proprio di disgregazione sociale. È un problema che non è stato ancora sufficientemente affrontato e risolto dalli istituzioni.

    D. - Si celebra la nona Giornata nazionale del malato oncologico: qual è l’importanza di iniziative come questa?

    R. – L’importanza è quella di attirare l’attenzione dell’intera comunità sociale, in particolare quella dei politici, dei media sulla problematiche dei malati oncologici, cioè di coloro ai quali è stato già diagnosticato il tumore. Ogni anno cerchiamo di fare il punto sulla condizione assistenziale dei malati oncologici, evidenziando le criticità ancora esistenti e proponendo soprattutto delle soluzioni. Questo modo di agire, nel tempo, ha portato delle rilevanti soluzioni che hanno migliorato la qualità dell’assistenza e quindi della vita dei malati oncologici.

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    A Lamezia Terme, la speranza rinasce dalla Dottrina Sociale della Chiesa

    ◊   Si è chiusa, in questi giorni a Lamezia Terme in Calabria, l’ottavo anno della scuola di Dottrina Scoiale, fortemente voluta dal vescovo lametino, mons. Luigi Cantafora. L’iniziativa che coinvolge tutte le realtà ecclesiali e sociali del territorio ha, nel corso degli anni, trovato anche il sostegno di realtà importanti come l’Università “Sophia” di Loppiano e la Fondazione Toniolo di Verona. L’iniziativa è stata inoltre incoraggiata da Benedetto XVI, durante la sua visita a Lamezia Terme nel 2011. Sul bilancio di questi 8 anni, Alessandro Gisotti ha raccolto la testimonianza del vescovo Luigi Cantafora, incontrato nell’episcopio di Lamezia:

    R. – Il bilancio è molto positivo, da un lato, e speranzoso dall’altro. Positivo, perché in questi otto anni abbiamo potuto verificare quanta sete ci sia tra la gente, quanta voglia di bene comune, di una misura alta della giustizia, basata appunto sul bene comune. Dall’altro, è un bilancio speranzoso, perché il banco di prova di questa semina sono le coscienze, sono le scelte di ognuno nel lavoro, nella politica e nel servizio agli altri. Per questo si attende un raccolto di giustizia, in una comunità che soffre molto, quella di Lamezia, per la malavita, per la ‘ndrangheta e l’illegalità.

    D. – Quali sono i frutti che come pastore sta raccogliendo tra i suoi fedeli e, in vero, non solo tra i fedeli, perché la scuola coinvolge tutte le realtà sociali di Lamezia?

    R. – Si fa sicuramente strada una maggiore consapevolezza di appartenere alla Chiesa e a questa Chiesa lametina. Essere cristiani, perciò, non significa distaccarsi dal mondo, ma anzi poterlo servire ancora meglio di quanto si potrebbe fare se non si fosse cristiani. Avverto ancora il bisogno di una Chiesa che sappia parlare ai poveri e in loro difesa, dove spesso i poveri sono gli imprenditori, vittime dell’usura e del pizzo; oppure le migliaia di disoccupati, anche i delusi dalle ingiustizie sociali e politiche.

    D. – Papa Francesco sottolinea spesso il contrasto tra "cultura dell’incontro" e "cultura dello scarto". Questo richiamo come viene vissuto nella sua diocesi?

    R. – La nostra diocesi di Lamezia è molto particolare, per la sua posizione geografica, che la fa naturale crocevia di incontro tra le persone. Con la Caritas abbiamo avviato anzitutto l’Agenzia di mediazione culturale, per offrire, insieme al servizio diocesano Migrantes, un luogo e un aiuto concreto per l’incontro con le migliaia di immigrati, che arrivano qui a Lamezia. Insieme a questo abbiamo attivato anche dei dormitori e una mensa, dove vengono distribuiti circa 185 pasti al giorno. Inoltre abbiamo rapporti fraterni con gli immigrati ortodossi. Si tratta di piccoli segni, che non hanno nessuna pretesa, ma che ci aiutano a concretizzare, anche a livello istituzionale, una presenza che non si chiude, ma che resta aperta all’incontro con l’altro.

    Uno dei grandi meriti di questa scuola di Dottrina Sociale, in un territorio non facile come quello di Lamezia, è quello di aver ridato speranza a molti giovani. A sottolinearlo è don Leonardo Diaco, direttore della Scuola lametina di Dottrina Sociale della Chiesa e dell'Ufficio diocesano per i problemi sociali e il lavoro, intervistato da Alessandro Gisotti:

    R. – Il desiderio è quello di “rimotivare” la speranza. Io ricordo, in uno dei primi incontri, che i giovani si sentivano derubati della speranza, del futuro. Credo che lo sforzo, e anche il desiderio, del vescovo e della Chiesa diocesana sia quello di ridare speranza attraverso un lavoro, che non sia di monadi, ma di un corpo che cerca di farsi spazio nonostante la difficoltà del contesto in cui viviamo.

    D. – Come sappiamo, Papa Francesco fin dai primi giorni del suo Pontificato ha proprio messo l’accento su questo: “Non lasciatevi rubare la speranza”. E’ questo che si cerca di fare concretamente?

    R. – Credo che il percorso della scuola sia un’intuizione profetica e come tutte le profezie deve avere una sua fedeltà nel tempo. Credo che proprio la durata della scuola sia il frutto più bello. A volte, infatti, io dico che bisogna passare dalle sensazioni alla conversione del cuore. Quindi le sensazioni al momento ci toccano, ma poi ci deve essere quell’”itineranza”, quel cammino, quella fedeltà, che permette di trasformare le cose. Credo che sia proprio questo il segno della speranza che questa scuola ha realizzato, soprattutto sui più giovani, che hanno bisogno di punti di riferimento. E l’esperienza è stata un punto di riferimento, anche perché non si è fermata solo all’aspetto dell’informazione, ma proprio della trasmissione - la trasmissione dei contenuti della fede, delle esperienze - e ha portato anche dei frutti concreti, come il desiderio di andare ad aiutare chi è maggiormente in difficoltà, di aprirsi all’altro, di non ripiegarsi su se stessi, di confrontarsi sui progetti condivisi.

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    Roma: a San Giovanni in Laterano la Festa dei popoli 2014

    ◊   “Una ricchezza da accogliere” è il tema della 23.ma edizione della Festa dei popoli 2014 che si svolge questa domenica in Piazza San Giovanni in Laterano. Promossa dai missionari scalabriniani e dagli uffici Caritas e Migrantes della diocesi di Roma, in collaborazione con il Comune di Roma Capitale e tante realtà che lavorano nel campo delle migrazioni, la manifestazione ha lo scopo di dare spazio e visibilità alla fede ed alla cultura delle comunità cattoliche immigrate nella diocesi di Roma e fare conoscere il carattere sempre più multiculturale della città. Federico Piana ha intervistato padre Gaetano Saracino, responsabile della Festa dei popoli:

    R. – E’ la 23.ma edizione di un’iniziativa che ha visto crescere, nella città di Roma, nel cuore della diocesi e in tutta la cittadinanza, la presenza sempre più strutturale delle comunità immigrate. Tutto questo è un appuntamento che si rinnova la terza domenica di maggio, in una piazza significativa, nella cattedrale dei romani, la Basilica di San Giovanni in Laterano. Si protrae per tutta la giornata, con la Santa Messa, presieduta dal cardinale Peter Turkson, presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace; quindi con le degustazioni e gli spettacoli.

    D. – Veniamo a questo tema: “Una ricchezza da accogliere”. Cosa vuol dire?

    R. – Innanzitutto, coniugare e declinare il tema migratorio anche con altre immagini. Noi, in genere, lo vediamo sempre negli estremi: immigrazione sì, immigrazione no, oppure immigrazione coniugata soltanto con la malavita. Tutto questo fa ribrezzo, perché non dice quello che comunque è l’immigrazione: è strutturale, c’è. I figli di queste persone vanno a scuola con i nostri figli; loro stessi vivono con noi, lavorano con noi, viaggiano con noi; sono già nelle comunità cristiane e sono presenti, organizzati in cappellanie o già inseriti nelle nostre realtà comunitarie. Quindi una ricchezza, una bellezza delle diversità, perché non diventino differenze soltanto. Accogliere invece un invito che viene fatto a chi sta di qua della porta, ma anche a chi sta di là della porta.

    D. – Bisogna accogliere, bisogna amare l’altro, stare vicino all’altro. Voi lo avete sempre detto con questa Festa dei popoli. Cosa è cambiato in 23 anni, da quando per la prima volta avete pensato di fare una festa per cercare di porre questi temi all’attenzione generale?

    R. – Innanzitutto, si è passati da una “festa per” ad una “festa con”. Questa festa è fatta dalle comunità immigrate e 60 gazebo in piazza sono riempiti dalle espressioni culturali di queste comunità; 26 comunità che animano la celebrazione eucaristica sono espressione della bellezza della diversità, dell’unica fede, così come le gastronomie, così come gli spettacoli folcloristici. La festa, quindi, se volete, è un contenitore, che ha visto sempre gli immigrati come attori, quindi le comunità etniche come attori principali in questa realtà. E noi crediamo davvero che, al di là delle buone intenzioni, amare l’altro rischia di essere soltanto una parola e diventerà un fatto reale quando l’altro verrà tirato dentro e sarà lui il soggetto protagonista della sua stessa sorte. E’ qui allora la sfida della Festa dei popoli. Il futuro è già qui, adesso e parla: questa festa ci dice già come sarà il domani della Chiesa e della città in cui viviamo.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Emergenza maltempo in Serbia e Bosnia Erzegovina

    ◊   E’ drammatica la situazione nei Balcani per le peggiori inondazioni degli ultimi 120 anni. Ne ha parlato anche Papa Francesco al Regina Coeli. E' salito a circa 40morti il bilancio provvisorio delle alluvioni in Serbia e Bosnia-Erzegovina, dove si contano rispettivamente 22.000 e 15.000 sfollati. Il premier serbo Aleksandar Vucic ha definito l’emergenza una "catastrofe nazionale": nel suo Paese preoccupa soprattutto la situazione nelle città di Sabac e Obrenovac, a sud ovest di Belgrado, completamente sommerse. Il ministro degli Esteri e vicepremier serbo Ivica Dacic ha ringraziato i Paesi che hanno fornito sostegno ai soccorsi e ha sottolineato che aiuti saranno necessari anche nel prossimo futuro. In Bosnia diverse regioni sono rimaste isolate, frane e smottamenti hanno inghiottito decine di case e molte persone hanno trovato rifugio sui tetti. (C.D.L.)

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    Dal summit di Parigi, condanna internazionale per Boko Haram

    ◊   "Siamo qui per dichiarare guerra a Boko Haram". Così il presidente del Camerun, Paul Biya, riassume l’orientamento dei Paesi partecipanti al summit che si è tenuto ieri a Parigi sul caso delle 270 studentesse nigeriane rapite dal gruppo estremista islamico. Al termine dell’incontro promosso dal governo francese, a cui hanno preso parte capi di Stato di cinque Paesi africani, insieme a rappresentanti di Stati Uniti, Regno Unito e Unione europea, il presidente Hollande ha affermato che Boko Haram "ha legami con Al Qaeda" e rappresenta una minaccia per l’Africa occidentale e centrale. Il capo dell’Eliseo ha annunciato un piano di lotta contro il gruppo islamista che prevede il coordinamento di operazioni militari, l'aumento dei controlli ai confini e il rafforzamento dello scambio di informazioni d'intelligence. Poche ore prima del summit, uomini di Boko Haram avevano ucciso due persone e rapito altre 10 a Waza, in Camerun, presso il confine con la Nigeria. (C.D.L.)

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    Scontri in Libia. Un'ottantina le vittime nelle ultime ore

    ◊   Libia di nuovo nel caos. Almeno 79 morti e 141 feriti nell’ultimo bilancio sugli scontri avvenuti a Bengasi, tra gli uomini di Khalifa Haftar, ex generale in pensione ora a capo di un esercito paramilitare, e milizie integraliste islamiche. Di fronte al riacuirsi delle violenze, in un Paese mai pacificato dopo la caduta di Gheddafi nel 2011, il governo di Tripoli ha accusato Haftar di voler mettere in atto un colpo di Stato e di usare la violenza “per ottenere vantaggi personali”. Ma l’ex militare accusa il governo di non avere alcun mandato e annuncia una campagna armata per debellare le milizie islamiche e riportare l’ordine a Bengasi. Intanto le forze armate hanno vietato tutti i voli sulla città e l’aeroporto cittadino è chiuso da due giorni. (C.D.L.)

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    Turchia: concluse ricerche nella miniera di Soma

    ◊   In Turchia la polizia ha arrestato 18 persone in relazione all'incidente nella miniera di Soma, nel sud-ovest del Paese, dove sono morte oltre 300 persone. Lo riferiscono media locali. Tra gli arrestati vi sono dirigenti e impiegati della compagnia mineraria proprietaria dell'impianto. Intanto ad Istanbul disordini accompagnano il cordoglio per le vittime: le forze dell’ordine hanno utilizzato idranti e lacrimogeni contro centinaia di manifestanti che chiedevano le dimissioni del governo, considerato responsabile dei tragico incidente. Il ministro turco per l’energia Taner Yildiz ha annunciato ieri la conclusione delle operazioni di salvataggio e recupero dei corpi: sono 485 i minatori sopravvissuti. (C.D.L.)

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    Mali: nuova azione dei ribelli Tuareg

    ◊   Una trentina di funzionari sono stati rapiti in Mali, nella regione settentrionale di Kidal, da separatisti tuareg. Negli scontri fra polizia e guerriglieri dell’Mnla sono rimasti feriti 23 soldati, di cui tre in modo grave. L’episodio ha avuto luogo nei pressi del palazzo del governatore della regione, nel giorno della visita del neo premier, Moussa Mara, nominato il mese scorso. "E' una dichiarazione di guerra e quindi siamo in guerra" ha proclamato il primo ministro, che ha assicurato contro i ribelli “una riposta adeguata alla situazione”. (C.D.L)

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    A Ratisbona, tutto pronto per il Katholikentag

    ◊   “Costruire ponti con Cristo”: sarà questo il tema della 99.ma edizione del Katholikentag, la Giornata dei cattolici tedeschi, in programma a Ratisbona, in Germania, dal 28 maggio al 1.mo giugno prossimi. Circa centomila i partecipanti attesi per la manifestazione promossa dal Zentralkomitee der deutschen Katholiken (Zdk), il Comitato centrale dei cattolici tedeschi, e che promette di articolarsi in percorsi di fede, confronto tra le generazioni e dialogo ecumenico.

    In particolare, spiega Alois Glück, presidente del Zdk, l’incontro si svilupperà come una riflessione sull’immagine dei cristiani e della pari dignità delle persone, cercando di creare un clima di festa, di apertura anche ai non credenti e di attenzione ai giovani, soprattutto a coloro che trovano difficoltà nel mondo del lavoro o nell’ambito etico. “Queste giornate - afferma il vescovo di Ratisbona, mons. Rudolf Voderholzer – sono sempre un segno per plasmare il futuro attraverso la testimonianza della fede”.

    Focus speciale dell’edizione 2014 sarà anche la riflessione sui temi della morale familiare e delle prospettive della famiglia cristiana. Una scelta pensata in preparazione al Sinodo straordinario della famiglia che si terrà in Vaticano dal 5 al 19 ottobre prossimi, sul tema: "Le sfide pastorali della famiglia nel contesto dell'evangelizzazione". (I.P.)

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    Perù: campagna di solidarietà dei vescovi contro la tratta

    ◊   “Solidarietà con la vita e la dignità delle persone” è stato il tema del convegno organizzato dalla Conferenza episcopale peruviana in questi giorni, in occasione del lancio della campagna di solidarietà 2014 “Compartir (Condividere)” dedicata alla lotta contro il traffico e la tratta di persone. Personalità e specialisti hanno presentato una panoramica della situazione attuale della tratta di persone nel Perù e le sfide da affrontare. Finora, la Chiesa cattolica è stata un punto di riferimento nel dialogo con la società civile e lo Stato per sensibilizzare l’opinione pubblica sul tema e nell’offrire assistenza alle vittime di questo crimine.

    Per il secondo anno consecutivo la Chiesa peruviana mette, quindi, in luce la gravità e la complessità di questa forma di schiavitù contemporanea legata al commercio di esseri umani, di persone che sono letteralmente oggetto di compravendita dentro e fuori dal Paese per lo sfruttamento e altri fini illeciti. Il Perù è considerato una nazione di transito e di destinazione della tratta internazionale a scopi sessuali e lavorativi. Il crimine della tratta delle persone causa circa 2mila vittime di età compresa tra i 12 e i 25 anni. La campagna 2014 invita a riflettere sulle cause della tratta e il traffico di persone, che sono da ritrovare fondamentalmente nella mancanza di accesso all’educazione e all’informazione, nella povertà, nell’erosione delle norme e dei valori morali e nel consumismo dilagante nelle società sviluppate, principali ricettori del traffico e della tratta di persone. (A.T.)

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    Sud Sudan: messaggio di pace dei superiori religiosi

    ◊   Un messaggio di solidarietà, pace e speranza al popolo del Sud Sudan, vittima del conflitto civile di questi ultimi cinque mesi, è stato diffuso dall’Associazione dei superiori religiosi del Paese (Rsass). “Non possiamo restare indifferenti al grido dei poveri e degli innocenti che hanno perso la loro vita o stanno vivendo profonde sofferenze”, si legge nel testo pubblicato a Juba al termine dell’assemblea annuale dell’Associazione, che riunisce 29 congregazioni operanti nel Paese.

    I superiori rivolgono preghiere per le vittime di questa “violenza insensata” e per i loro familiari, esprimendo solidarietà ai civili costretti ad abbandonare le loro case e i loro beni per fuggire dalle violenze e ai religiosi e al clero operanti nei territori teatro degli scontri. Quindi ringraziano le chiese e tutte le agenzie umanitarie per gli aiuti ed il sostegno offerti alla popolazione, mentre condannano duramente le violenze e le atrocità commesse dalle forze governative e dai ribelli, le violazioni dei diritti umani, i saccheggi e la lotta per il potere condotta “a spese di migliaia di vite umane”.

    Dopo avere ringraziato le Chiese, la società civile e la comunità internazionale per l’impegno profuso per raggiungere la tregua siglata il 10 maggio ad Addis Abeba, il messaggio rivolge un pressante appello ai due protagonisti del conflitto, il presidente Salva Kiir e l’ex vice presidente Riek Machar, affinché rispettino l’accordo. “Troppo è stato il sangue sparso, troppe le vite perse, troppa la distruzione in questa terra: vogliamo pace, stabilità e sviluppo per tutti i cittadini della nostra giovane nazione”, scrivono i superiori, ricordando che “Dio ha creato popoli di ogni clan, tribù e nazionalità affinché vivano nella pace, nell’armonia e nell’unità”.

    Da parte sua l’Associazione ribadisce la disponibilità di tutti i religiosi in Sud Sudan a collaborare in comunione con le Chiese locali e altri attori sociali per ricucire le ferite, la giustizia, la pace e un’autentica riconciliazione. (L.Z.)

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    Ad Aparecida, Convegno americano dell’Infanzia Missionaria

    ◊   Dal 23 al 25 maggio avrà luogo ad Aparecida, in Brasile, il 1° Convengo americano dell’Infanzia missionaria. L’evento è promosso dalle Pontificie opere missionarie (Pom) per celebrare il 170.mo anniversario di fondazione della Pontificia opera dell’Infanzia e Adolescenza missionarie in America Latina. Gli organizzatori prevedono la partecipazione di oltre 700 coordinatori provenienti di diversi Paesi del continente.

    Il segretario della Pontificia opera dell’Infanzia in Brasile, p. André Luiz de Negreiros, spiega che il convegno “sarà una grande opportunità anche per rafforzare la comunione missionaria dei delegati americani”. Tutto ciò senza dimenticare, ha aggiunto il sacerdote, “il piano di azione pastorale dei prossimi anni alla luce del carisma del fondatore della Pontificia opera dell’Infanzia, mons. Carlos Forbin Janson”. Attualmente in Brasile, sono circa 30mila i gruppi della Pontificia opera dell’Infanzia che contano un tutto oltre 260 mila ragazzi.

    In occasione dell’ udienza ai direttori nazionali delle Pom, il 17 maggio 2013, Papa Francesco aveva ricordato come Paolo VI avesse sottolineato l’importanza del ruolo delle Pontificie opere missionarie, dicendo: “hanno l’onore, la responsabilità, il dovere di sostenere la missione di annunciare il Vangelo, di somministrare gli aiuti necessari”. Egli le aveva quindi esortate a “non stancarsi di educare ogni cristiano, fin dall’infanzia, ad uno spirito veramente universale e missionario e a sensibilizzare l’intera comunità a sostenere e ad aiutare le missioni secondo la necessità di ciascuna”. (R.B.)

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    Lettera dei vescovi galiziani sull’educazione religiosa

    ◊   “La sapienza religiosa non può restare ai margini della costruzione sociale e dei processi educativi”. Con quest’affermazione inizia la lettera pastorale dei vescovi della Galizia, diffusa in occasione della Giornata interdiocesana dell’Educazione religiosa scolastica. L’evento si celebrerà il 7 giugno, nelle cinque diocesi della provincia spagnola, con il tema: “La trasmissione della fede oggi”. “L’educazione religiosa - sottolineano i presuli - deve essere equiparabile alle altre materie scolastiche nella presentazione degli obiettivi, nel rigore scientifico dei contenuti, nel carattere formativo dei metodi e nell’importanza educativa, nell’insieme del programma scolastico”.

    Nella loro missiva, inoltre, i vescovi galiziani sottolineano che la nuova legge sull’educazione (Lomce) include la religione nell’elenco delle materie del curriculum scolastico delle scuole medie e superiore, stabilendo poi una materia alternativa, chiamata “Valori sociali e civili”, per quegli alunni che non scelgono l’ora di religione. “Ambedue le materie – notano i presuli – sono valutabili nell’ambito delle rispettive tappe educative. Tuttavia, questa legge non ne garantisce l’offerta obbligatoria da parte dei centri educativi e, di conseguenza, nega a genitori e studenti la possibilità di frequentare l’ora di religione”.

    La lettera pastorale dei vescovi della Galizia ricorda, infine, che l’obiettivo principale della Giornata è quello di sensibilizzare le persone sull’importanza di questa materia nelle diverse tappe della formazione. (A.T.)


    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVIII no. 138

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    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.