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Sommario del 17/05/2014

Il Papa e la Santa Sede

  • Il Papa ai malati: “Voi siete un dono per la Chiesa”
  • Altre udienze, rinunce e nomine
  • Papa, tweet: il mese di maggio tempo opportuno per recitare il Rosario ogni giorno
  • Il card. Scherer: Sinodo sulla famiglia per ridare speranza
  • Beatificazione di mons. Durcovici, martire sotto il regime comunista rumeno
  • Dolore, sofferenza umana e cure palliative al centro del Convegno dei medici cattolici italiani
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Meriam: la forza di una donna cristiana che sta commuovendo il mondo
  • Grande tensione nell'est della Libia
  • A Udine il Festival " Vicino/Lontano" : stasera la consegna del Premio Terzani 2014
  • Torna la "Notte europea dei musei". In Italia sarà sabato 17 maggio
  • Il commento di don Ezechiele Pasotti al Vangelo della Domenica
  • Gli insegnamenti del Vaticano II un "faro" per il laicato cattolico
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Appello dei vescovi del Québec: sì alle cure palliative, no all’eutanasia
  • Vescovi Kenya: no alla cultura della morte, si lavori al bene comune
  • Vescovi irlandesi: i candidati tutelino vita, matrimonio, giustizia sociale
  • Burkina Faso: le Conferenze episcopali sull’emergenza fame nel mondo
  • I giovani della Cambogia all’incontro con il Papa in Corea del Sud
  • Venezia, esequie del card. Cè, un pastore innamorato della Parola di Dio
  • Il Papa e la Santa Sede



    Il Papa ai malati: “Voi siete un dono per la Chiesa”

    ◊   "Gesù ci insegna a vivere il dolore mettendo l’amore di Dio e del prossimo anche nella sofferenza: e l’amore trasforma ogni cosa”. Lo ha affermato Papa Francesco nel ricevere in udienza, in Aula Paolo VI, gli appartenenti ai “Silenziosi Operai della Croce” e al “Centro Volontari della Sofferenza”, due realtà ecclesiali dedite al sostegno degli ammalati e dei sofferenti. Il servizio di Alessandro De Carolis:

    Sopportare passivamente una sofferenza non è cristiano, esattamente come lo stoicismo non ha nulla a che vedere con la fede in Cristo. Il dolore ha senso se lo si vive “con fiducia e speranza” in Dio, che ha il potere di trasformarlo addirittura in un’esperienza di bene e di valore per altri. Papa Francesco ribadisce il punto di vista cristiano sulla sofferenza a persone che ne hanno fatto una ragione di apostolato. Lo ascoltano in cinquemila in Aula Paolo VI e in 350 siedono su una carrozzina, mentre molti altri presentano segni di disabilità psichica e fisica. Accanto a loro ci sono i “Silenziosi Operai della Croce” e i membri del “Centro Volontari della Sofferenza”, due realtà che spiegano con il sorriso e un servizio straordinario il paradosso delle Beatitudini di Gesù, in particolare – sottolinea il Papa – il “beati coloro che sono nel pianto”:

    “Con questa parola profetica Gesù si riferisce a una condizione della vita terrena che non manca a nessuno. C’è chi piange perché non ha salute, chi piange perché è solo o incompreso… I motivi della sofferenza sono tanti (...) Ma dicendo ‘beati quelli che sono nel pianto’, Gesù non intende dichiarare felice una condizione sfavorevole e gravosa della vita”.

    Operai della Croce e Volontari della Sofferenza: due famiglie con la stessa anima, quella di Luigi Novarese, sacerdote piemontese, beatificato un anno fa, che dal secondo Dopoguerra in avanti – dopo essere guarito da ragazzo da una grave patologia – ha la grande intuizione di mettere insieme sani e ammalati all’interno di una stessa realtà di fede e di mutua solidarietà. Un’esperienza d’amore che – spiega Papa Francesco – arriva diritta dal Calvario, dal quale – afferma – si apprende che “la sofferenza non è un valore in sé stessa, ma una realtà che Gesù ci insegna a vivere con l’atteggiamento giusto”:

    “Ci sono, infatti modi giusti e modi sbagliati di vivere il dolore e la sofferenza. Un atteggiamento sbagliato è quello di vivere il dolore in maniera passiva, lasciandosi andare con inerzia e rassegnandosi. Anche la reazione della ribellione e del rifiuto non è un atteggiamento giusto. Gesù ci insegna a vivere il dolore accettando la realtà della vita con fiducia e speranza, mettendo l’amore di Dio e del prossimo anche nella sofferenza: e l’amore trasforma ogni cosa”.

    Proprio questo, prosegue Papa Francesco, “vi ha insegnato il Beato Novarese, educando i malati e i disabili a valorizzare le loro sofferenze all’interno di un’azione apostolica portata avanti con fede e amore per gli altri”:

    “Egli diceva sempre: ‘Gli ammalati devono sentirsi gli autori del proprio apostolato’. Una persona ammalata, disabile, può diventare sostegno e luce per altri sofferenti, trasformando così l’ambiente in cui vive. Con questo carisma voi siete un dono per la Chiesa. Le vostre sofferenze, come le piaghe di Gesù, da una parte sono scandalo per la fede, ma dall’altra sono verifica della fede, segno che Dio è Amore, è fedele, è misericordioso, è consolatore”.

    La benedizione finale è un affidamento a Maria:

    “Lei sa, lei conosce le sofferenze e ci aiuta sempre nei momenti più difficili”.

    E sul clima di festa e di commozione che si è respirato stamani in Aula Paolo VI, Davide Dionisi ha intervistato don Armando Aufiero, presidente della Confederazione Internazionale “Centro Volontari della Sofferenza”:

    R. - Un incontro festoso, un incontro di ringraziamento al Santo Padre in occasione del centenario della nascita del Beato Luigi Novarese e per ringraziarlo a un anno della Beatificazione. Gli ammalati vogliono accogliere quella parola di speranza, di forza di amore che il Santo Padre Francesco sa donare loro con grande efficacia. L’esperienza della sofferenza deve scatenare la carità nelle persone e un mondo caritatevole. Avere più cuore nelle mani significa dare un messaggio, una luce nuova, una sostanza alla nostra società. Mons. Novarese è stato colui che ha aperto un altro varco, dove il buon samaritano oggi diventa l’ammalato stesso: colui che vive l’esperienza della sofferenza può diventare apostolo, compagno di viaggio e la sua testimonianza, le sue parole non saranno mai banali.

    D. - Vuole raccontare ai nostri radioascoltatori quello che fate con gli ammalati soprattutto durante il periodo estivo a Lourdes?

    R. - È un’esperienza di pellegrinaggio: mons. Novarese ha voluto donare un’attenzione particolare ai sacerdoti ammalati. Lui, una volta all’anno - ormai siamo arrivati alla 63.ma edizione - organizzava il pellegrinaggio dei sacerdoti ammalati a Lourdes. Si era accorto, infatti, che molti sacerdoti nella loro condizione di sofferenza si sentivano un po’ emarginati, tagliati fuori dal ministero. Rischiavano quindi di trascurare la loro vita spirituale. Il Beato Luigi Novarese ha così iniziato il pellegrinaggio a Lourdes dei sacerdoti ammalati come esperienza ed espressione un po’ di tutta la Chiesa. Lì i sacerdoti svolgono gli esercizi spirituali e diventano anche loro stessi, nella condizione del loro ministero, i primi pellegrini.

    D. – Don Armando, le auguriamo una buona festa per oggi: il 17 maggio 1947, mons. Novarese tenne a battesimo il Centro Volontari della Sofferenza, dando l’avvio a un nuovo apostolato fra i malati…

    R. - Mi consenta di ringraziare Radio Vaticana perché il Beato Luigi Novarese fin dal 1949 volle una trasmissione alla Radio Vaticana. Oggi si chiama “L’incontro della serenità”, allora si chiamava “Il quarto d’ora di serenità”. Riteneva la radio la grande compagnia di chi è legato nel proprio letto tutto il giorno. In questo modo, la radio diventa un grande evento di ossigeno di vita nuova per le famiglie.

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    Altre udienze, rinunce e nomine

    ◊   Papa Francesco ha ricevuto questa mattina in udienza il card. Marc Ouellet, P.S.S., Prefetto della Congregazione per i Vescovi e un gruppo di presuli della Conferenza Episcopale del Messico, in Visita "ad Limina Apostolorum".

    In Polonia, Francesco ha accettato la rinuncia al governo pastorale dell’arcidiocesi di Gniezno, presentata da mons. Józef Kowalczyk, per sopraggiunti limiti d’età. Il Papa ha nominato arcivescovo metropolita di Gniezno e primate della Polonia mons. Wojciech Polak, attuale segretario generale della Conferenza Episcopale Polacca, trasferendolo dalla sede titolare di Monte di Numidia e dall’Ufficio di Ausiliare di Gniezno.

    Il Santo Padre ha nominato membro del Pontificio Consiglio per i Laici l’Em.mo Card. Giuseppe Betori, Arcivescovo di Firenze.

    Il Papa ha nominato il card. Fernando Filoni, prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, Suo Inviato Speciale alle celebrazioni del 500° anniversario della fondazione della Diocesi di Funchal (Arcipelago di Madeira, Portogallo), in programma nei giorni 13-16 giugno 2014.

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    Papa, tweet: il mese di maggio tempo opportuno per recitare il Rosario ogni giorno

    ◊   Papa Francesco ha lanciato un tweet dal suo account @Pontifex: "Il mese di maggio, dedicato a Maria, è un tempo opportuno per cominciare a recitare il Rosario ogni giorno".

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    Il card. Scherer: Sinodo sulla famiglia per ridare speranza

    ◊   Si è svolto nei giorni scorsi il Consiglio ordinario del Sinodo dei Vescovi in vista dell’assemblea sinodale che si svolgerà in ottobre sul tema della famiglia. Al centro dei lavori, l’esame della bozza dell’Instrumentum laboris e del questionario inviato dalle Conferenze episcopali. Era presente anche il cardinale Odilo Pedro Scherer, arcivescovo metropolita di San Paolo. Silvonei Protz lo ha intervistato:

    R. – Noi abbiamo esaminato il materiale che è stato raccolto a seguito delle risposte date dalle Conferenze episcopali e da altri organismi della Chiesa alle domande rivolte sulle diverse questioni riguardanti la famiglia e il matrimonio. Questioni difficili, problematiche. Devo dire che c’è stata grande risposta da ogni parte del mondo: più dell’80 per cento delle Conferenze episcopali hanno risposto. E questo è molto significativo e molto importante. Adesso si inizia l’ultima parte della stesura dell’Instrumentum laboris, che presto dovrà essere stampato e quindi inviato alle Conferenze episcopali, così che i presidenti e le altre persone che saranno invitati dal Papa a partecipare all’Assemblea del Sinodo si possano preparare al meglio per partecipare all’Assemblea in ottobre. Siamo a buon punto, il materiale è abbondante, è interessante e affronta ampiamente la problematica riguardante la famiglia, il matrimonio, sotto vari aspetti. Io credo che il Sinodo straordinario sarà molto interessante, molto ricco e dovrà cercare di rispondere – come ha chiesto il Papa – al tema dell’evangelizzazione di fronte a queste situazioni problematiche della famiglia e del matrimonio. Quindi, cosa facciamo? Come dobbiamo evangelizzare? Come annunciare la Buona Novella alle famiglie che vivono situazioni varie, difficili, diciamo fuori dalle norme della Chiesa?

    D. – C’è una grande aspettativa anche sul tema delle seconde unioni…

    R. – Certo, questa è una delle questioni: cosa fare? Dire che queste persone non hanno più niente a che fare con la Chiesa, che la Chiesa non ha più niente per loro? No! Sicuramente non può essere questo l’atteggiamento della Chiesa! La Chiesa deve, in qualche modo, sì affermare e confermare la Parola di Gesù sempre e di nuovo, non può rinnegare la Parola di Gesù, ma deve anche andare incontro alle situazioni storiche, concrete, per dare speranza e mostrare la via della misericordia, la via della vita cristiana, anche se con certi limiti che possono esserci.

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    Beatificazione di mons. Durcovici, martire sotto il regime comunista rumeno

    ◊   La Chiesa oggi ha un nuovo Beato: si tratta di mons. Anton Durcovici vescovo ucciso in odio alla fede nel 1951 durante il regime comunista rumeno, dopo aver subito indicibili sofferenze e torture. A rappresentare il Papa, alla cerimonia di beatificazione a Iasi in Romania il cardinale Angelo Amato, prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi. Il servizio di Cecilia Seppia:

    Uomo mite, colto, pacifico, pieno di fede, misericordioso verso tutti, mons. Durcovici amava in modo particolare i poveri, per loro ha speso gran parte della sua vita caratterizzata da un forte impegno apostolico anche verso gli scienziati atei, gli studenti laici, i lontani da Dio. Nato il 17 maggio 1888 ad Altenburg, iniziò i suoi studi a Bucarest per poi finirli a Roma dove si laureò in filosofia e poi in teologia al Pontificio Ateneo di Propaganda Fide, fu ordinato sacerdote nel 1910. Il card. Amato, prefetto della Congregazione della Cause dei Santi.

    “Alcuni testimoni raccontano che in quel tempo a Iasi c'era molta povertà. Mons. Durcovici dispose allora che nella scuola cattolica Notre Dame de Sion si aprisse una mensa per i poveri della città. Il nostro Beato non aveva nemici, non era implicato in politica, per lui tutti erano suoi fratelli. E la sua parola era essenzialmente evangelica. I testimoni affermano che parlava e viveva in persona Christi. Egli ricordava bene la parola di Gesù: «Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi»”

    Durante la Prima Guerra Mondiale, a causa della sua provenienza austriaca fu internato in un lager della Moldavia. Una volta uscito svolse diversi prestigiosi incarichi finchè il 30 ottobre 1947 a 59 anni, fu nominato da Papa Pio XI, vescovo di Iasi. Subito dopo, erano gli anni della dura persecuzione anticristiana rumena, cominciò il lungo periodo del suo martirio: le minacce, gli agguati e con la polizia segreta rumena che lo seguiva ovunque per accumulare capi di accusa per incriminarlo. Ancora il cardinale Angelo Amato

    Era il 26 giugno 1949 e quel giorno avrebbe dovuto conferire il sacramento della cresima a 650 giovani in una parrocchia alla periferia di Bucarest. Mentre si recava a piedi alla parrocchia, una macchina della Securitate gli si affiancò e alcuni agenti lo costrinsero a salire. Monsignor Durcovici scomparve così inghiottito per sempre nelle famigerate prigioni comuniste, dove fu interrogato e torturato per settimane, di giorno e di notte ininterrottamente. Il trattamento spietato, la mancanza di acqua e di cibo lo ridussero a uno scheletro.

    Cosa ci insegna oggi questo vescovo martire, quale il messaggio di questo beato che ha convertito molte persone con il suo esempio?

    Ci insegna ad essere forti e coraggiosi nelle prove. Per lui furono di sostegno le parole dell'apostolo Paolo, anche lui prigioniero e martire di Cristo: «Chi ci separerà dall'amore di Cristo? Forse la tribolazione, l'angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada? Ammirando questo Vescovo eccezionale, Papa Francesco nella sua Lettera Apostolica lo chiama, «pastore zelante, apostolo dell'adorazione eucaristica e testimone eroico della comunione con la sede di Pietro».

    Di lui non c’è più niente, il regime comunista rumeno di allora, come per tanti altri martiri della Chiesa, ha voluto cancellare ogni memoria del vescovo di Iasi, ma la sua vita e il suo martirio vengono vissuti in modo molto forte in Romania e non solo.

    “La sua fama di santità e di martirio è sempre stata viva in Romania e altrove. I suoi studenti in seminario, i sacerdoti dell'arcidiocesi di Bucarest e della diocesi di Iasi, i fedeli convertiti e guidati da lui, i suoi penitenti sono concordi nell'affermare di essere stati edificati dal suo esempio e di essere stati spinti dalla saggezza della sua direzione spirituale a camminare sulla via della perfezione evangelica”.

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    Dolore, sofferenza umana e cure palliative al centro del Convegno dei medici cattolici italiani

    ◊   A 70 anni dalla sua fondazione l’Amci, Associazione Medici Cattolici Italiani, ha convocato a Roma un convegno celebrativo del 30.mo anniversario della lettera Apostolica “Salvifici Doloris” di San Giovanni Paolo II. Tema dell’incontro: “Il dolore e la sofferenza alla luce della medicina della ragione e della fede cristiana”. Paolo Ondarza ha intervistato Filippo Maria Boscia, presidente Amci:

    R. – Oggi si sta ponendo l’accento sulla problematica della sedazione del dolore. C’è stato da superare un lungo ed inesauribile equivoco, perché qualcuno ha interpretato che la sofferenza fosse benefica per una proiezione oltre la vita.

    D. – Si tratta di un pregiudizio diffuso...

    R. – Questo pregiudizio non ha tenuto presente che la nostra religione non è una religione della sofferenza ma è una religione della gioia. La sofferenza non ce la manda il Signore, ce la manda la fragilità della nostra condizione umana. Allora, viceversa, sia la regione, sia la medicina sono unanimi nel dire che tutto quello che può essere sedato deve essere sedato e se abbiamo a disposizione farmaci che nel passato erano considerati poco maneggevoli devono essere sollecitamente impiegati. Tant’è che si comincia a parlare di ospedali senza dolore.

    D. – Anche perché il dolore può portare a pensare talvolta a scelte estreme…

    R. – Certamente, il dolore quando diventa insopportabile, quando riempie la psiche del soggetto, chiaramente, si chiede di farla finita. In realtà queste non sono le richieste vere degli ammalati, dei cronici, delle persone afflitte dal dolore. La richiesta è quella di rimuovere la componente del dolore. E’ chiaro che se viceversa anziché rimuoverla, noi andiamo ad acuirla, lì in sostanza viene meno la forza intima, morale, di sopportazione. Io credo che nell’ambito di chi assiste queste persone subentri la grande volontà di veder terminare questo percorso del dolore. Chi si augura che la malattia finisca presto, non vuole includere - in questa fine rapida - la morte, ma vuole includere la fine del dolore.

    D. - Ecco perché le cure palliative necessitano di essere conosciute meglio…

    R. – Sicuramente le cure palliative sono state per molto tempo ridicolizzate. Io ho avuto una grande amicizia con il primo proponente delle cure palliative, qui in Italia, il prof. Ventafridda, il quale veniva quasi canzonato dai suoi colleghi. Ventafridda ha stabilito una volta per tutte una cosa: il rapporto medico-paziente è un incontro tra una fiducia quella del paziente e una coscienza quella del medico. E ha stabilito che in questo rapporto ci sia un’alleanza, che chiamava “alleanza terapeutica”. La persona si trova in una condizione di fragilità. E’ come se fosse un bambino: nel momento in cui un bambino deve attraversare la strada ad ampio traffico, generalmente, ha l’abitudine di prendere per mano il suo tutor, che può essere il papà, la mamma, il nonno. In un momento di fragilità, il malato ha bisogno di essere preso per mano. Ha bisogno di essere accompagnato con una carezza. Noi abbiamo fatto nella nostra realtà l’esperienza della fiaba raccontata al malato cronico, al malato con tumore invasivo. C’è una risposta positiva che aiuta, attraverso meccanismi di endorfine, un miglioramento e soprattutto un’adesione al progetto di cura.

    D. – Mai un medico deve dire che non c’è più niente da fare…

    R. – Sì, direi che questo è un elemento dominante. Il medico non deve dare assolutamente mai l’impressione di abbandonare. Il discorso dell’eutanasia, al quale facevamo riferimento prima, deriva dall’immagine dell’abbandono: quando una persona in abbandono vuol farla finita.

    La terapia del dolore e le cure palliative rappresentano un’importante risorsa nella malattia e nel fine vita. Vincere il dolore infatti, come evidenziato durante il convegno Amci, vuol dire vincere la richiesta di eutanasia. Su questo aspetto si sofferma mons. Ignacio Carrasco de Paula, presidente della Pontificia Accademia della Vita. L’intervista è di Paolo Ondarza:

    R. – Effettivamente, fino a poco tempo fa, la giustificazione che veniva offerta per un’eventuale eutanasia era sempre questa: liberare l’uomo di un dolore. Ma ormai le cose sono cambiate in modo molto radicale. Io stesso ho avuto occasione di vederlo, quando stavo alla facoltà di medicina del Gemelli, perché ho presenziato - non come tecnico del dolore, ovviamente - a intereventi risolutivi anche nelle situazioni più disperate. Perché se è necessario, si arriva a quella che è conosciuta come “sedazione profonda”. Una persona continua a vivere però senza soffrire.

    D. – Poco conosciute e in questo convegno se ne parla sono le cure palliative…

    R. – Sì, sarebbe molto importante che tutti sapessimo che ormai il dolore non è una cosa che si deve sopportare e basta. Ormai c’è già una disponibilità di interventi - alle volte sono costosi, questo bisogna dirlo - però non c’è nessun motivo per doversi tenere un dolore, una sofferenza, anzi se è possibile bisogna prevenire. Per esempio, il Gemelli ha anche un hospice per persone che si trovano in una situazione molto complicata, quasi sempre si tratta problemi di natura oncologica. L’ala direttrice segue un’impostazione di prevenzione, non aspetta che il dolore compaia ma quando ci sono già i primi segni di un’evoluzione che si vede prenderà quella o quella strada, interviene perché questo è molto più efficace. Si stanno facendo passi in avanti enormi. Non direi che ogni giorno arriva un nuovo farmaco, un nuovo interevento palliativo, però le prospettive sono sempre migliori.

    D. – La preghiera per i pazienti e la preghiera del paziente: cosa si può dire su questo?

    R. – Si potrebbe dire molto. La preghiera, dal punto di vista della salute, della situazione corporale, migliora tante cose. Una spiegazione, la più ovvia che viene in mente, è che questo significhi un intervento dall’alto, ma risponde anche alla messa in moto di certi meccanismi sconosciuti ma che aiutano.

    Sull’attualità della lettera Apostolica “Salvifici Doloris”, scritta trent’anni fa da San Giovanni Paolo II, Paolo Ondarza ha intervistato mons. Zygmunt Zimovski, presidente del Pontificio Consiglio della Pastorale per gli Operatori Sanitari:

    R. – Noi sappiamo che da sempre nel mondo esiste il dolore, la sofferenza. Quando improvvisamente viene la malattia di un innocente, di un bambino, noi chiediamo il perché. Credo che la risposta sia Gesù Cristo che ha sofferto per noi, per la nostra salvezza. La prima enciclica che ha scritto Giovanni Paolo II, è la Redemptor hominis: Gesù Cristo è il redentore dell’uomo. In questa enciclica Giovanni Paolo II ha scritto che l’uomo è la via della Chiesa. Nella lettera Salvifici doloris ha aggiunto che, in modo particolare, quando viene la sofferenza la propria sofferenza si unisce con quella di Gesù Cristo.

    D. – L’umanità fa i conti sempre con la sofferenza. Giovanni Paolo II è stato un testimone di come affrontare con fede la sofferenza…

    R. – Lui è icona del Vangelo della sofferenza, ha sofferto tanto. Noi ricordiamo l’attentato, il 13 maggio 1981, e anche dopo alcuni interventi. Ma, aveva sempre questa gioia e questa speranza. Dopo il pontificato di Giovanni Paolo II ho sentito che sono rimasti cinque milioni di fotografie ma per me la fotografia più bella, più toccante, è del Venerdì Santo, quando il Papa tiene la Croce unendosi con la via Crucis del Colosseo: il Papa prega aggrappato alla Croce del suo Signore, del suo Maestro. Lui un giorno ha detto che pregava per la salute degli altri ma non pregava mai per la propria salute.

    D. – Questo dà anche l’idea di come la prossimità agli altri attraverso la preghiera e la testimonianza di vita negli ospedali, nelle strutture sanitarie, sia molto importante…

    R. – Io volevo anche aggiungere quello che ci dice Papa Francesco nella sua enciclica sulla fede. Lui dice che il cristiano sa che la sofferenza non può essere eliminata ma può ricevere un senso e questo è importante: può diventare – sottolinea il Papa – atto di amore, di affidamento nelle mani di Dio che non ci abbandona.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   Come vivere la sofferenza: Papa Francesco alle associazioni fondate da Luigi Novarese.

    Sguardo oltre: da Tucson, Pavel Gabor sulla conferenza - organizzata dalla Specola Vaticana e dall'università di Arizona - che vede a confronto studiosi di astrobiologia, in cerca di soluzioni tecniche per individuare la vita fuori dal sistema solare.

    Un articolo di Francesco Scoppola dal titolo “Gloria e trionfo dei vinti”: Pergamo, Atene e Roma a Palazzo Altemps.

    Saggezza collettiva: il cardinale Gerhard Müller, prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, sull’ecclesialità del catechismo.

    Thriller dell'anima: Emilio Ranzato recensisce il film “Locke” di Steven Knight.

    Sete ad Aleppo: nel servizio internazionale, l'appello di Ban Ki-moon dopo il blocco dell'oleodotto in Siria.

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    Oggi in Primo Piano



    Meriam: la forza di una donna cristiana che sta commuovendo il mondo

    ◊   Meriam deve vivere. Si fa forte in tutto il mondo la campagna di mobilitazione per salvare Meriam Yahia Ibrahim Ishag, la giovane donna cristiana sudanese condannata a morte per aver sposato un cristiano. Secondo la sharia, in vigore in Nord Sudan, infatti, la giovane 27enne - incinta all’ottavo mese - è “obbligatoriamente” musulmana perché figlia di padre musulmano, anche se questi l’ha abbandonata quando aveva 6 anni. Nelle ultime ore, si è affacciata l’ipotesi che possa esserci un nuovo processo che escluda la pena capitale, mentre continua la pressione internazionale nei confronti di Khartoum. Il servizio di Alessandro Gisotti:

    Un bimbo che cresce nel suo grembo, un altro accanto a lei. Intorno le mura fredde di una cella e la paura che una condanna ripugnante le tolga la vita e con essa la gioia di vedere i suoi figli crescere. Il mondo si è abituato, suo malgrado, a conoscere il nome di Asia Bibi, che i figli da anni li può vedere solo attraverso le sbarre. “Blasfema”, è l’accusa contro quella coraggiosa donna cristiana del Pakistan. Ora, purtroppo, il mondo ha conosciuto anche il nome di Meriam. Una donna del Sudan la cui unica colpa è essere cristiana. L’hanno definita apostata, adultera. E per questo l’hanno condannata a morte e, come se non bastasse, a cento frustate prima del boia.

    Sarebbe stato facile per lei “convertirsi” all’islam, come le è stato chiesto dai suoi aguzzini e salvare la propria vita. Ma ha scelto Cristo, come aveva fatto sua madre, un’etiope cristiana ortodossa. Nella cella, fa sapere il marito minacciato di morte, come minacciato è l’avvocato della famiglia, Meriam prega e si prende cura dei suoi figli. Di quello che sente crescere sotto il suo cuore e per il quale non è stata concessa neppure una visita medica. E del primogenito che ha solo 20 mesi ed è costretto a passare i giorni felici dell’infanzia in una prigione, al buio, tra gli insetti.

    Per Meriam sembra essersi mobilitato il mondo intero. L’indignazione corre sulla Rete e in tanti, a partire dal segretario generale dell’Onu, promette impegno per salvarla. Questa drammatica vicenda, però, non è un caso isolato. Semmai è la punta di un iceberg. Un iceberg di persecuzioni, sopraffazioni di ogni tipo contro la minoranza cristiana. Violenze che si fanno ancora più feroci se quel discepolo di Gesù è una donna. La riflessione di Marta Petrosillo, portavoce in Italia di “Aiuto alla Chiesa che Soffre”:

    R. - Noi di Aiuto alla Chiesa che soffre conosciamo molto bene la situazione dei cristiani in Sudan, di cui forse non si parla così tanto spesso come in altri Paesi. E’ veramente una situazione drammatica. Sappiamo che nel Paese vige la “sharia” e viene applicata a tutti i cittadini, di qualsiasi fede essi siano. Ricordo qualche anno fa il caso di una ragazza cristiana frustata perché indossava una gonna un centimetro al di sopra del ginocchio. Così come tanti altri casi simili.

    D. - L’apostasia, la blasfemia: ci sono Paesi in cui è praticamente impossibile di fatto avere la libertà religiosa…

    R. – I cristiani sono sicuramente i più colpiti da questo tipo di strumenti di persecuzione, perché così li possiamo chiamare. La legge sulla blasfemia è un caso lampante.

    D. – In questa situazione gravissima per Meriam, oltre all’accusa di apostasia c’è anche quella di adulterio…

    R. – Colpisce perché essendo lei musulmana, a quanto dice il governo sudanese, non avrebbe potuto sposare un non musulmano, quindi il matrimonio non è valido e dal momento che lei è ovviamente incinta i loro rapporti risultano come extra-coniugali. Il tema dell’adulterio nella legge islamica è davvero un altro tema scottante che riguarda da vicino tantissime donne di qualsiasi religione ma colpisce anche le donne cristiane. Questo perché il reato di adulterio, il sesso extra-coniugale, viene punito in molti casi anche con la condanna a morte. Abbiamo casi in cui le donne che sono state violentate non riportano le violenze perché per la legge islamica, una donna, per provare di essere stata violentata, ha bisogno di quattro testimoni maschi di religione musulmana. I casi sono tantissimi. Immaginiamo una donna, per di più cristiana, in un Paese come ad esempio il Pakistan, e la difficoltà che avrà per ottenere giustizia: riusciamo a comprendere perfettamente che queste donne spesso non denunciano i loro aggressori e ciò è un’ulteriore arma di chi commette questi crimini, queste violenze contro le donne, perché sa che resterà impunito, specialmente se la vittima è una donna cristiana.

    D. – Meriam come Asia Bibi, una donna, una donna madre, con tutto da perdere, la vita, la famiglia, come sta succedendo, eppure non rinnegano la fede cristiana…

    R. – Sono testimonianze forti che devono farci riflettere e soprattutto due donne. Perché oggi come oggi, in molti Paesi, essere una donna cristiana significa essere due volte vulnerabile, sia perché donna sia perché appartenente alla comunità cristiana. Sono davvero due esempi che devono farci riflettere, due esempi di una forte testimonianza di fede.

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    Grande tensione nell'est della Libia

    ◊   Sempre confusa ed esplosiva la situazione nell'est della Libia, in particolare a Bengasi. Ieri sanguinosi combattimenti hanno causato decine di morti e feriti. Sono stati coinvolti, oltre a guerriglieri jihadisti, a ex ribelli autonomisti e a entità tribali, anche paramilitari guidati da un generale in pensione, Khalifa Haftar. Da parte del governo si parla di un’operazione dell’esercito contro terroristi. Ma chi davvero ha il potere in questa situazione di frammentazione? Fausta Speranza lo ha chiesto a Luigi Serra, docente dell’Università Orientale di Napoli:

    R. – Nominalmente ha il controllo il governo centrale di Tripoli, con l’esercito – come dire – ufficiale. Nei fatti, nella sostanza, nessuno, perché è uno scontro subdolo di forze estremiste da una parte, di forze antiestremiste dall’altra parte, ma senza una legittimazione istituzionale. E’ fondamentalmente spiegabile e comprensibile attraverso una disamina di natura culturale, sul profilo storico, religioso, linguistico e tradizionale del Paese.

    D. - Forze militari e forze politiche: in questo momento c’è congiunzione tra i due poteri?

    R. – Assolutamente in misura molto limitata, perché anche questo congiungimento è minato alla base. Innanzitutto il limite è di natura geografica: il governo è a Tripoli e in Cirenaica si sono consumati gli ultimi atti eliminatori di Gheddafi: la presunzione di averne il ritorno, la rivendicano e la affermano i cirenaici.

    D. – In tutta questa frammentarietà, la popolazione come sta vivendo?

    R. – La popolazione la vive a seconda degli influssi locali. In Cirenaica ha influssi più forti da parte degli arabi fondamentalisti. Questo spiega la ricorrenza dei rigurgiti jihaidisti, che salgono anche dal Sudan, che salgono dalle aree sahariane e pre-sahariane, addirittura, ancora sospinti dagli ultimi slanci degli ultimi fedeli di Gheddafi. In Tripolitania ciò non accade ed è più difficile che accada. Naturalmente la popolazione in Cirenaica è più sensibile ai richiami dei fondamentalisti; in Tripolitania è molto più sensibile alla moderazione alimentata soprattutto dagli ambienti berberi, che sono quelli che poi hanno eliminato Gheddafi.

    D. – Abbiamo parlato di aspetti militari, abbiamo parlato di aspetti politici, vogliamo dire una parola sull’economia in questa difficilissima fase?

    R. – E’ un’economia a rischio, perché i jihaidisti in Cirenaica stanno attingendo fortemente, per le loro risorse, alle risorse petrolifere, mettendo in crisi la produzione petrolifera e gli scambi da questo punto di vista internazionali. Dalla parte, invece, della Tripolitania, c’è una tendenza a giocare forte, in questo momento, la carta della forza militare, perché avvertono che gli islamisti si sentono in condizioni di perdere terreno, soprattutto in un quadro più ampio a livello internazionale.

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    A Udine il Festival " Vicino/Lontano" : stasera la consegna del Premio Terzani 2014

    ◊   Stasera a Udine la consegna del Premio letterario Tiziano Terzani 2014 assegnato ex-aequo a due scrittori nell’ambito del Festival “Vicino/ Lontano in corso nel capoluogo friulano. Si tratta di Pierluigi Cappello con il libro “Questa libertà'' e di Mohsim Hamid autore di: “Come diventare ricchi sfondati nell'Asia emergente”. Opere in piena sintonia con la rassegna che si concluderà domani e le cui tante proposte legate dal titolo: "Che mondo fa?", anche quest’anno hanno richiamato un folto pubblico. Ma qual è stata l’idea di partenza della manifestazione giunta alla sua 10.ma edizione? Adriana Masotti lo ha chiesto a Marco Pacini, direttore del progetto:

    R. – L’idea iniziale è quella di riflettere sul mondo che cambia e questo ossimoro, o coppia positiva più precisamente, vicino/lontano, ci sembrava che descrivesse molto efficacemente la nostra condizione di un’umanità globalizzata. Pensiamo a cosa può essere oggi un cittadino di Lampedusa o un operaio che perde il lavoro perché la fabbrica viene delocalizzata… e vicino/lontano è un mondo che prima non conosceva contemporaneamente. Quindi abbiamo deciso di fare un festival che riguardasse sostanzialmente il confronto tra le culture. Questa è stata l’idea iniziale che poi naturalmente si è sviluppata e si è articolata con una pluralità di interventi e di punti di vista diversi. Una delle cose che l’ha caratterizzato maggiormente in questi 10 anni è stata una forte tematizzazione: cioè non si invitano le persone perché sono l’autore dell’ultimo libro ma si invitano le persone a discutere attorno a un tema. L’altro aspetto molto caratterizzante è stato l’interdisciplinarietà, cioè mettere a discutere di un argomento persone che hanno anche linguaggi disciplinari diversi: l’antropologo con l’economista, con il filosofo, con il sociologo ecc.…

    D. – Nella rassegna, che dura 10 giorni, si susseguono confronti, storie, spettacoli, mostre fotografiche, conferenze, dibattiti. Tra quelli in programma in questa edizione vuol segnalarci uno o due particolarmente vivaci e interessanti?

    R. – Devo citare per forza l’apertura di quest’anno, che nel decimo anno era anche un modo di interrogarci su cosa stiamo facendo noi, come organizzatori, e aveva un titolo molto semplice, molto diretto: “A cosa serve pensare?” Era una lectio magistralis del filosofo Roberto Esposito. Questo è stato un incontro sorprendentemente molto seguito. Abbiamo avuto poi molti racconti interessanti che riguardano le disuguaglianze, che è un tema che ci sta molto a cuore; un altro filone tematico importante riguarda la possibilità di pensare ancora oggi l’utopia.

    D. – Che cosa ha a che fare il Festival Vicino/Lontano con Tiziano Terzani, di cui ricorre quest’anno il decimo anniversario della morte?

    R. –Quando è nata l’idea di Vicino/Lontano ci sembrava che la figura di Tiziano Terzani, uomo costantemente a cavallo tra due mondi - con sua moglie Angela si diceva di lui: occidentale in Oriente e orientale in Occidente - ci sembrava che fosse una persona la cui biografia testimoniava e riassumeva molto bene l’idea di questo progetto e quindi abbiamo telefonato ad Angela, con qualche perplessità perché Tiziano era scomparso da poco. Invece Angela è stata entusiasta dell’idea di fare un premio a lui dedicato in un contesto come questo.

    D. – Appunto premio Terzani che quest’anno premia due scrittori - uno anche poeta -, uno friulano e l’altro pachistano…

    R. – La decisione della giuria non è stata facile perché sono due esperienze e due mondi così diversi, ma poi c’è stata un po’ perché era il decimo anniversario e forse volevamo dare un segnale. Un’altra ragione è che il premio ad Hamid è un premio perfettamente in linea con lo spirito del premio Terzani. E’ uno scrittore orientale che nei suoi romanzi gioca sempre a scavalco tra Oriente e occidente. E poi un poeta friulano, locale, molto vicino, Pierluigi Cappello, che è premiato non per la sua opera di poesia ma per un libro straordinario che ha scritto “Questa libertà” pubblicato da Rizzoli. E’ un libro di grande introspezione e quindi ricorda l’ultimo Terzani. C’è stato un dibattito all’interno della giuria abbastanza lungo finché alla fine si è deciso di assegnare il premio ex aequo.

    D. – Il pubblico c’è, vi segue nelle vostre proposte?

    R. – Sì, molto. L’Italia è un Paese strano, che come tutti sanno ha un bassissimo indice di lettura, però quando ci sono queste manifestazioni culturali, c’è una partecipazione veramente importante. Nel nostro caso poi è molto bello vedere l’interazione. Difficilmente organizziamo conferenze frontali: c’è sempre una parte molto significativa anche in termini di tempo dedicato al pubblico, quindi c’è una forte interazione, una forte interlocuzione tra gli autori, gli ospiti e il pubblico.

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    Torna la "Notte europea dei musei". In Italia sarà sabato 17 maggio

    ◊   Nata in Francia nel 2005, la Notte europea dei musei è organizzata in più di 30 Paesi. Diverse le novità nell’edizione italiana di quest'anno che si svolgerà il 17 maggio, come ci spiega Anna Maria Buzzi, Direttore Generale alla valorizzazione del patrimonio culturale del Mibac, al microfono di Alessia Carlozzo:

    R. - L’iniziativa di quest’anno è particolarmente importante, perché il ministro Franceschini ha chiesto l’adesione dell’Anci e quindi quest’anno - insieme ai siti del ministero dei Beni e delle Attività Culturali - saranno aperti anche i luoghi della cultura comunali, che hanno aderito a questo appello per coinvolgere le nuove generazioni soprattutto a fruire dei musei in orario notturno, al costo simbolico di un euro, il costo di un caffè.

    D. - Con un budget destinato di 330 mila euro, l’evento è un chiaro segnale del desiderio di ricominciare a investire nella cultura…

    R. - Bisogna convenire che questo è l’unico asset sul quale il nostro Paese può investire. Non abbiamo delle industrie pesanti, non abbiamo delle situazioni che ci vedono competitivi rispetto ad altri Paesi. Di certo, sul patrimonio culturale noi possiamo vantare la maggiore presenza di siti culturali al mondo: se pensiamo che dei 980 siti Unesco, ben 49 sono italiani e che l’Italia è il primo Paese per numero di siti Unesco. Noi vorremmo che questi appuntamenti non fossero degli appuntamenti isolati. C’è da dire che già abbiamo cercato di portare avanti queste iniziative di aperture notturne con la Notte al Museo che abbiamo fatto da luglio dello scorso anno fino a gennaio di quest’anno: è un’iniziativa in cui le eccellenze della cultura statali sono rimaste aperte la notte dalle 20 alle 24. Questo verrà senz’altro portato avanti anche dal ministro Franceschini, perché è una esigenza avvertita dalle nuove generazioni, soprattutto: proprio quei giovani che sono quella fascia di utenza che noi vorremmo attrarre nei nostri musei e che con difficoltà riusciamo a raggiungere.

    D. - Nonostante le gravi difficoltà in cui versa la cultura in Italia, i segnali di ripresa sono evidenti…

    R. - I numeri nella cultura stanno aumentando! Rispetto a quello che sta avvenendo all’estero, dove decresce il consumo culturale, in Italia - anche in peridio di crisi - sta aumentando il consumo culturale. I visitatori nei musei statali sono aumentati del 5 per cento; gli introiti sono aumentati dell’8 per cento: questo vuol dire che se abbiamo avuto delle flessioni in alcune regioni, in altre abbiamo avuto un aumento di visitatori a doppia cifra.

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    Il commento di don Ezechiele Pasotti al Vangelo della Domenica

    ◊   Nella Quinta Domenica di Pasqua, la liturgia ci propone il Vangelo in cui Gesù rivela ai discepoli che sta per salire alla Casa del Padre dove va a preparare un posto per loro. A Filippo che gli chiede quale sia la via, risponde:

    “Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me. Se avete conosciuto me, conoscerete anche il Padre mio”.

    Su questo brano evangelico, ascoltiamo il commento di don Ezechiele Pasotti, prefetto agli studi nel Collegio Diocesano missionario “Redemptoris Mater” di Roma:

    Questo gioioso tempo di Pasqua spalanca oggi davanti a noi il Cielo. Gesù sta preparando i suoi apostoli alla passione, a non scandalizzarsi della croce, e di ciò che seguirà, se vogliono “restare” con Lui. Tra i discepoli si percepisce un senso di disagio, di sconforto, anche di incomprensione: “Signore, dove vai?”, aveva chiesto Pietro. Gesù comprende quest’ansia dei discepoli e dice: “Non sia turbato il vostro cuore… Nella casa del Padre mio ci sono molte dimore… Io vado a prepararvi un posto!”. Gli apostoli non si accontentano di questo. Vogliono – come noi – sapere dove va, conoscere la via. E Gesù risponde (si noti: l’”Io sono”, proprio della divinità): “Io sono la via, la verità e la vita”. La nostra piccola testa – pur con il grande dono della ragione – resta inquieta, non si fida, non vuole staccare il piede dal suolo che calpesta, anche se c’è un posto già preparato. Il grande mistico S. Giovanni della Croce esclama: “Per giungere a ciò che non sai, devi passare per dove non sai… Per venire a ciò che non sei, devi passare per dove non sei” (Salita al monte Carmelo, 13,11). E questa è davvero scienza troppo alta per noi (cf Sal 139,6): fidarsi di un altro, affidarsi ad un altro, anche se è Dio! Il Signore ci vuole rendere partecipi della vita divina, della “conoscenza divina”, ci vuole introdurre nell’intimità divina, dove è possibile chiedere ed ottenere ogni cosa, nel nome di Gesù. È davvero grande e bella la parola di oggi che ci annuncia un posto preparato per noi nella comunione di amore della Santa Trinità e un cammino sicuro per raggiungerlo.

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    Gli insegnamenti del Vaticano II un "faro" per il laicato cattolico

    ◊   “Chiesa e comunità politica a cinquant’anni dal Concilio”. È il tema del convegno che si è svolto a Roma nell’ Aula Magna dell’Università La Sapienza, in omaggio al cinquantesimo di sacerdozio e il venticinquesimo di episcopato del cardinal vicario Agostino Vallini, che in passato ha svolto il ruolo di docente di Diritto canonico. Ma quanto sono attuali gli insegnamenti del Concilio nella società di oggi? Marina Tomarro lo ha chiesto a Giuseppe Dalla Torre, rettore della Libera Università Maria Santissima Assunta:

    R. – Il messaggio del Vaticano II è attualissimo. Il vero problema è che oggi non è ben conosciuto e conosciuto dappertutto. Il momento di entusiasmo è stato seguito poi dalla nascita di nuove generazioni, che non hanno vissuto quel periodo, non hanno avuto quell’esperienza e che occorre introdurre nuovamente agli insegnamenti del Concilio.

    D. – Il Concilio Vaticano II invitava i laici ad un impegno nella vita politica. Oggi quanto è importante questo, secondo lei?
    R. – Questo è molto importante e ancora più importante, almeno per quanto riguarda il nostro Paese, l’Italia, che non 50 anni fa. Il vero problema è quello di fare, appunto, attraverso una conoscenza e una riflessione approfondita dei testi del Concilio, crescere la sensibilità e il senso di responsabilità del laicato cattolico circa il compito che il Concilio gli affida, quello dell’animazione cristiana dell’ordine temporale e quindi anche quello dell’impegno nella politica, che in senso alto e in senso nobile è l’arte di cercare il bene comune.

    E il Concilio Vaticano II, tra le altre cose, mise in evidenza anche la questione della laicità dello Stato rispetto alla religione. Ma qual è la differenza tra uno Stato e una società laica? Il cardinale Luis Maria Martinez Sistac, arcivescovo di Barcellona:

    R. – La distinzione tra Stato laico e società laica è una distinzione importante. Lo Stato è laico e deve essere laico, perché la società è formata da persone che sono credenti e non credenti e vivono insieme in una convivenza sociale e vivono anche la religione in mezzo alla società. Ma la società non può essere laica, perché se fosse laica sarebbe laicismo, sarebbe togliere dalla società l’espressione religiosa.

    D. – Quali sono i segni che appaiono in una società che comincia a diventare laica, secondo lei?

    R. – Per esempio: togliere la cappella nell’ospedale, usare i templi per esposizioni, per concerti, senza rispettare il senso religioso di un tempio. Non accettare facilmente che i cattolici possano dire qualcosa che faccia riferimento alla dignità della persona umana, ai diritti fondamentali e ridurre la religione alla coscienza.

    E, durante l’incontro, i giuristi delle Università statali e pontificie romane hanno omaggiato il cardinael vicari,o Agostino Vallini, di un volume con le loro riflessioni sul tema “Chiesa e comunità politica a 50 anni dal Concilio”. Ascoltiamo il commento del porporato:

    R. – Intanto, è un grande onore che un gruppo così folto di ricercatori, di professori abbiano creduto nel progetto, promosso dalla Pastorale universitaria della nostra diocesi, di potersi riunire in un contributo così interessante. Per me è un onore. Credo poi che sia l’occasione anche per promuovere negli studi giuridici una dimensione un po’ più ampia, rispetto alle scuole delle singole università. Questa è una cosa molto positiva.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Appello dei vescovi del Québec: sì alle cure palliative, no all’eutanasia

    ◊   “Far morire non è una cura”: è chiara l’affermazione di mons. Pierre-André Fournier, presidente dell’Assemblea dei vescovi cattolici del Québec, in relazione al progetto di legge 52, denominato “Sostegno alla morte” che permetterebbe di praticare un’iniezione letale su un adulto “in fin di vita” e provato da “sofferenze insopportabili”. Una proposta di normativa che il governo è intenzionato ad inserire nell’ordine del giorno della prossima Assemblea nazionale, ma che la Chiesa locale giudica “nefasto per il futuro del Paese”. “Le espressioni ‘morire con dignità’ e ‘aiuto medico a morire’ usate per qualificare un’iniezione letale – afferma mons. Fournier – creano confusione ed inducono in errore”, perché in realtà “si tratta di eutanasia, pura e semplice”.

    Quindi, il presule ribadisce di comprendere bene “l’angoscia e la pena di tutti coloro che hanno chiesto la morte nel corso di una difficile agonia”. “Nessuno – sottolinea mons. Fournier – può restare insensibile di fronte a tale sofferenza”; tuttavia, “la vera risposta della medicina e della società davanti a tale situazione sono le cure palliative” che, continua il presule, “rappresentano il modo migliore di alleviare la sofferenza della persona in fin di vita e che l’aiutano a vivere quest’ultima tappa con umanità e dignità”.

    Per questo, la Chiesa cattolica del Québec chiede che il Paese “si doti di una politica sulle cure palliative e sulla loro accessibilità universale”, tanto più che tali metodi “hanno dato riscontri positivi”. Ribadendo, infine, che “l’eutanasia è il contrario delle cure palliative”, mons. Fournier prega i deputati locali di “aprire il cuore e la coscienza all’azione dello Spirito Santo” affinché i moribondi possano “beneficiare, in punto di morte, di un vero aiuto”. (I.P.)

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    Vescovi Kenya: no alla cultura della morte, si lavori al bene comune

    ◊   Invocano “il principio della legalità” al posto del “principio della paura” i vescovi del Kenya (Kccb), in una dichiarazione ufficiale diffusa in questi giorni ed intitolata, in modo significativo, con un versetto tratto dal Vangelo di Matteo “Rassicuratevi, sono io, non temete!” (Mt 14,27). Di fronte ai numerosi attacchi terroristici che negli ultimi tempi si sono verificati a Nairobi e Mombasa e ricordando la grave morte di circa 100 persone, intossicate da alcolici illegali ed adulterati, i presuli puntano il dito contro una “emergente cultura della morte” ed invocano maggiore sicurezza ed unità, chiedendo al contempo a tutti i leader istituzionali di “evitare quelle espressioni che portano il popolo a dividersi in base alla religione, alla politica o all’etnia”.

    Quindi, la Chiesa del Kenya lancia l’allarme contro la corruzione riscontrata sia a livello nazionale che locale, soprattutto nelle contee, dove spesso si verificano licenziamenti di massa a causa di divisioni etniche. “Ricordiamo a tutti i governatori – scrive la Kccb – che tale comportamento è disumano e pericoloso per l’intera nazione e non può essere tollerato”. Di qui, l’appello a rifuggire da “la cultura dell’intolleranza” in nome di “una maggiore sobrietà e professionalità” delle istituzioni. Allo stesso tempo, i vescovi kenioti esortano le autorità a “perseguire le forze di polizia corrotte” ed a spezzare i legami tra “corruzione, armi illegali e immigrazione”, così come il collegamento tra “povertà, disoccupazione e criminalità”.

    Un pensiero particolare, poi, i presuli di Nairobi lo rivolgono al Sud Sudan, al drammatico conflitto che lo attanaglia dal dicembre 2013 e che vede contrapposte le forze governative del presidente Kiir di etnia dinka e quelle fedeli all'ex vicepresidente Machar di etnia nuer. “Molte vite innocenti sono andate già perdute – ricorda la Kccb – e questa escalation di violenza minaccia di diventare un altro genocidio su suolo africano”, proprio mentre il 20.mo anniversario del dramma del Rwanda “è ancora fresco nella nostra memoria e non dovrebbe ripetersi mai più”.

    Esprimendo, quindi, solidarietà con la Chiesa sud-sudanese per il contributo dato “al miglioramento del benessere sociale e pastorale della popolazione locale”, i vescovi del Kenya esortano le parti in causa e tutta la comunità internazionale ad “agire per raggiungere una soluzione amichevole”. Infine, la Kccb esorta il Kenya a lavorare “per il bene comune”, ricordando al governo il suo “mandato costituzionale di proteggere le persone e fornire i servizi di base” e guardando alla “volontà di Dio” per una nazione “sicura e florida”. (I.P.)

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    Vescovi irlandesi: i candidati tutelino vita, matrimonio, giustizia sociale

    ◊   Tutelare il diritto alla vita; affermare il valore del matrimonio tra uomo e donna come fondamento della famiglia; promuovere la giustizia e l’inclusione sociale; incoraggiare la pace e la riconciliazione. Sono questi quattro i temi che i vescovi dell’Irlanda indicano ai fedeli, in vista delle elezioni europee che si terranno dal 22 al 25 maggio. Pur ribadendo che il voto è espressione della coscienza personale, i presuli di Dublino esortano i fedeli a valutare i programmi politici dei candidati anche in base ai quattro temi sopra elencati. “Non esiste un diritto umano più fondamentale di quello alla vita – scrivono i vescovi, riguardo al primo punto – La società ha il dovere di assicurare tale diritto a tutti, soprattutto ai più vulnerabili”. È importante, quindi - per “coloro che credono nei pari diritti della madre e del nascituro e per chi ritiene che l’uccisione diretta e intenzionale di un innocente”, cioè l’aborto, “non può mai essere giustificata” – “comprendere la posizione di ogni candidato su questo fondamentale tema morale”.

    Quanto alla difesa del matrimonio basato sull’unione tra un uomo e una donna, la Chiesa di Dublino parte da una premessa: “Ogni persona – spiega – è uguale agli occhi di Dio e deve essere trattata con amore, cura, dignità e rispetto”. Tuttavia, è innegabile che “le unioni tra persone dello stesso sesso sono diverse da quelle tra un uomo e una donna che sono aperte alla vita”. E non si tratta “di un argomento religioso”, evidenzia la Chiesa irlandese, bensì di “una istituzione inscritta nella grammatica della natura stessa”. Allo stesso tempo, il presule ricorda che “il rispetto della libertà religiosa include il diritto della Chiesa di fornire il corretto insegnamento in materia”.

    Quindi, i vescovi di Dublino ricordano la grande povertà che attanaglia il Paese, soprattutto nelle fasce più giovani della popolazione, ed auspicano che “le elezioni imminenti offrano ai candidati l’opportunità di lavorare per assicurare che i bisogni dei poveri e dei più vulnerabili della società saranno una priorità”, in nome della “promozione della giustizia, dell’inclusione sociale e dell’attenzione all’indigenza”. Altro punto focale ribadito dai presuli irlandesi è la promozione della pace e della riconciliazione, definite “cuore del progetto europeo e del lavoro delle istituzioni Ue”. Per questo, la Conferenza episcopale d’Irlanda sottolinea: “È vitale partecipare alle elezioni, per garantire che l’Unione europea continui ad evolversi in modo democratico”.

    “Promuovere la pace e la riconciliazione è fondamentale per la missione e la responsabilità di ogni cristiano”, conclude la dichiarazione dei vescovi, evidenziando anche “la grande libertà e la grande responsabilità” cui è chiamato ogni cittadino con diritto di voto. “Incoraggiamo - affermano infine i presuli irlandesi – tutti coloro che, in spirito di servizio, lavorano con integrità ed impegno al bene comune”. (I.P.)

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    Burkina Faso: le Conferenze episcopali sull’emergenza fame nel mondo

    ◊   “Eliminare la fame dal Sahel”: su questo tema, su invito della Conferenza episcopale del Bourkina Faso, si terrà a Ouagadougou un incontro internazionale sulla fame ed il diritto all’alimentazione nel mondo. Il convegno è in programma dal 26 al 29 novembre prossimi e sarà gestito dall’Organizzazione cattolica per lo sviluppo e la solidarietà (Ocades), che fa parte della Caritas Internationalis.

    All’incontro interverranno partecipanti provenienti da numerosi Paesi dell’Africa orientale – come Capo Verde, Gambia, Guinea-Bissau, Mali, Mauritania, Niger, Senegal, Ciad - ma anche da altre regioni africane. Attesi, inoltre, esponenti di organizzazioni internazionali che operano nel campo del diritto all’alimentazione. “Il convegno – spiega padre Isidore Ouédraogo, segretario nazionale di Ocades – rappresenterà uno spazio di discussione per interpellare la Chiesa e la popolazione sul ruolo che ciascuno di noi ha di fronte al difficile problema dell’accesso agli alimenti”. Padre Ouéadrogo sottolinea, quindi, che “la trasformazione della società si può realizzare solo attraverso l’accompagnamento della Chiesa cattolica”.

    Da ricordare, infine, che l’evento si inserisce nella campagna mondiale “Una sola famiglia umana, cibo per tutti”, lanciata dalla Caritas Internationalis nel dicembre 2013 ed inaugurata da un video-messaggio di Papa Francesco, in cui il Pontefice evidenzia “lo scandalo mondiale di circa un miliardo di persone che ancora oggi soffrono la fame”. (I.P.)

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    I giovani della Cambogia all’incontro con il Papa in Corea del Sud

    ◊   Anche trenta giovani cambogiani prenderanno parte alla sesta edizione della Giornata della Gioventù Asiatica, in programma dal 10 al 17 agosto a Daejeon, in Corea del Sud, alla presenza di Papa Francesco. Lo rende noto, in una lunga intervista rilasciata a Eglise d’Asie, mons. Enrique Figaredo, presidente di Caritas Cambogia. “Si tratterà di un momento molto importante per la nostra comunità – spiega il presule – In un Paese in cui i cattolici sono circa 20mila su 15 milioni di abitanti, entrare in contatto con una grande folla di giovani cristiani sarà un’esperienza unica a livello spirituale”. A guidare la delegazione dei trenta ragazzi cambogiani sarà mons. Olivier Schmitthaeusler, vicario apostolico di Phnom Penh.

    L’incontro di Daejeon, sottolinea ancora il presidente di Caritas Cambogia, offrirà ai giovani la possibilità di “sperimentare il corpo mistico rappresentato dal popolo di Dio riunito nella sua Chiesa”. E la presenza del Papa renderà l’avvenimento “molto più di un semplice evento”. Evidenziando, quindi, “il dinamismo” dei giovani cambogiani, mons. Figaredo ne richiama “l’attitudine al dialogo” e “la speranza” che essi portano con sé, come indizi per un futuro migliore del Paese.

    Nella lunga intervista, infatti, il presule enumera le tante difficoltà in cui vive la Cambogia, a partire dalla povertà, che colpisce la maggior parte della popolazione. “Si tratta di una povertà endemica – spiega mons. Figaredo – perché la ricchezza si concentra nelle mani di pochi e l’uomo della strada non ne vede i frutti”. Altro problema, continua il presule, è quello delle migrazioni che spingono i giovani a lasciare i centri rurali ed a cercare fortuna nelle grandi città, con tutte le difficoltà di inserimento sociale che questo comporta.

    In tale scenario, tuttavia, sottolinea ancora il presidente di Caritas Cambogia, le comunità cattoliche diventano “come delle famiglie” in cui si sperimenta la solidarietà. “Quando sono arrivato nel Paese, nel 2000 – racconta mons. Figaredo – i registri parrocchiali indicavano in tutto circa 3mila cattolici, mentre oggi se ne contano 6mila”. Una crescita spiegabile con il fatto che “la Chiesa è un centro vitale in cui incontrare gli altri e sperimentare quella gioia e quella felicità che derivano da Gesù”. Infine, il presule esprime l’auspicio che i giovani cambogiani, “assetati di giustizia, desiderosi di vedere rispettati i diritti umani e stanchi della corruzione”, possano rilanciare il Paese. (I.P.)

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    Venezia, esequie del card. Cè, un pastore innamorato della Parola di Dio

    ◊   “L’amabilità sacerdotale”, composta da un “tratto umano, signorile e fraterno”: sono stati queste le caratteristiche del card. Marco Cè, Patriarca emerito di Venezia, ricordate da mons. Francesco Moraglia, attuale Patriarca della città lagunare. Stamani, infatti, nella Cattedrale di San Marco, il presule ha celebrato le esequie del porporato, deceduto il 12 maggio scorso, all’età di 88 anni. Nella sua omelia, il Patriarca Moraglia ha ricordato “la stagione sociale di forti conflitti” che accompagnò gli inizi del ministero sociale del card. Cè a Venezia, nel 1979, anno segnato “da una dolorosa striscia di sangue”. In tale contesto, ha continuato il presule, il card. Cè è stato un Patriarca in senso pieno, “incarnando al meglio l’origine e il fondamento della paternità che il termine Patriarca indica per un intero territorio ecclesiastico”.

    “L’episcopato di Marco Cè e, prima ancora, il suo sacerdozio – ha ricordato ancora mons. Moraglia - sono stati caratterizzati dalla costante attenzione che la Chiesa, incontrando le nuove culture, si ponesse in atteggiamento di disponibilità e ascolto”, perché “il Patriarca voleva che i giovani e le famiglie si sentissero interpellati ed infatti li considerava i ‘soggetti’ della nuova evangelizzazione”. Quindi, l’attuale Patriarca di Venezia ha sottolineato che il porporato è stato “uomo dell’Eucaristia e della Parola di Dio amata e annunciata”, sempre “nel rispetto dell’interlocutore” e “con la passione dello studioso e del credente e dell’evangelizzatore”, “un pastore innamorato della parola di Dio e offerto totalmente nel servizio di guida della Chiesa a lui affidata”, intesa come “memoria viva di Cristo”.

    Infine, mons. Moraglia ha concluso la sua omelia rivolgendo una speciale preghiera al porporato defunto: “Carissimo Patriarca Marco – ha detto - ci hai voluto bene e sei stato per noi un padre; anche noi ti abbiamo voluto bene e mai ti dimenticheremo. Carissimo patriarca Marco, ricordati di noi e benedici tutti dal cielo”. (I.P.)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVIII no. 137

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    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.