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Sommario del 12/05/2014

Il Papa e la Santa Sede

  • La Chiesa e le sfide del nostro tempo. Papa Francesco dialoga a 360° con sacerdoti e seminaristi
  • Il Papa: lo Spirito Santo spinge sempre la Chiesa oltre i limiti
  • Tweet del Papa: la nostra vita è stata salvata dal sangue di Cristo
  • Gruppo di vescovi messicani in visita "ad Limina"
  • Il card. Tauran in Giordania: le religioni promuovano “pedagogia della pace”
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Referendum Ucraina: Mosca riconosce la volontà popolare e invita al dialogo tra le parti
  • Nigeria. Boko Haram, video su ragazze rapite: libere in cambio di prigionieri rilasciati
  • Libia, naufragio di 400 migranti. Croce Rossa: sbarchi aumenteranno in estate
  • Profughi siriani in Libano. Caritas: diamo testimonianza di dialogo
  • Iraq. Governatorato di Ninive: vogliamo essere modello di rinascita per il Paese
  • Expò. Zamagni: corruzione frena lo sviluppo, rigenerare circolo virtuoso
  • Save the Children: contro la crisi un progetto per sostenere la formazione dei giovani
  • Dolore e cure palliative al centro del prossimo Convegno dei Medici cattolici italiani
  • Giovani in pellegrinaggio al Divino Amore dove il Papa andrà il 18 maggio
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Centrafrica. La denuncia dei vescovi: "Siamo in ostaggio dei violenti"
  • Libano. Card. Rai sulle elezioni presidenziali: vuoto di potere cancellerebbe il ruolo dei cristiani
  • Asean: il vertice segnato dal contenzioso con la Cina
  • Sudest asiatico: non si ferma lo sbarco dei profughi
  • Pakistan: manifestazione in Punjab per modificare la legge sulla blasfemia
  • Brasile: i vescovi chiamano la comunità nazionale ad un voto responsabile
  • Canada: sacerdote camerunese ucciso in un conflitto a fuoco
  • Il Papa e la Santa Sede



    La Chiesa e le sfide del nostro tempo. Papa Francesco dialoga a 360° con sacerdoti e seminaristi

    ◊   Una straordinaria occasione per parlare a cuore aperto della Chiesa, del sacerdozio, delle tentazioni e delle sfide dei consacrati. E’ quanto accaduto stamani – in Aula Paolo VI – con l’incontro del Papa con gli alunni dei Pontifici Collegi e dei Convitti di Roma. Francesco ha dialogato a lungo con seminaristi e sacerdoti, senza alcun testo preparato. L’indirizzo d’omaggio al Pontefice è stato rivolto dal cardinale Beniamino Stella. Il servizio di Alessandro Gisotti:

    Parlare da cuore a cuore, liberamente, come fanno un padre e un figlio che si vogliono bene. E’ questa la dimensione vissuta nell’incontro tra Papa Francesco e gli alunni dei Pontifici Collegi e dei Convitti di Roma. Il Pontefice ha dialogato con seminaristi e sacerdoti provenienti da tutto il mondo ed ha rivolto innanzitutto un pensiero speciale di vicinanza per i cristiani dell’Ucraina e del Medio Oriente sottolineando che la Chiesa soffre tanto anche oggi, in molte parti, a causa delle persecuzioni. Quindi, ha risposto alla prima domanda sulla formazione sacerdotale. Il Papa ha messo in guardia dal “pericolo dell’accademicismo” che fa sì che da Roma si torni in diocesi più come “laureati” che come “presbiteri”:

    “E se uno cade in questo pericolo dell’accademicismo, torna non il padre ‘tale’ o ‘quale’, ma il ‘dottore’, no? E questo è pericoloso. [applauso] Ci sono quattro pilastri nella formazione sacerdotale: questo l’ho detto tante volte, forse voi lo avete sentito. Quattro pilastri: la formazione spirituale, la formazione accademica, la formazione comunitaria e la formazione apostolica”.

    A Roma, ha osservato, si viene per la formazione intellettuale, ma non si può capire un prete che non abbia una vita comunitaria, una vita spirituale e apostolica. “Il purismo accademico – ha ammonito – non fa bene”. Il Signore, ha soggiunto, “vi ha chiamati ad essere sacerdoti, ad essere presbiteri: questa è la regola fondamentale”:

    “Se soltanto si vede la parte accademica, c’è pericolo di scivolare sulle ideologie, e questo ammala. Anche ammala la concezione di Chiesa. Per capire la Chiesa c’è bisogno di capirla dallo studio ma anche dalla preghiera, dalla vita comunitaria e dalla vita apostolica. Quando noi scivoliamo su una ideologia, perché siamo macrocefali, per esempio, e andiamo su quella strada, avremo una ermeneutica non cristiana, un’ermeneutica della Chiesa ideologica. E questo fa male, questa è una malattia”.

    L’ermeneutica della Chiesa, ha ribadito, “dev’essere l’ermeneutica che la Chiesa stessa ci offre, che la Chiesa stessa ci dà”. Bisogna capire “la Chiesa con occhi di cristiano”. Al contrario, ha ravvisato, “la Chiesa non si capisce, o finisce mal capita”. E’ stata, dunque, rivolta al Papa una domanda su come il Seminario possa diventare una comunità di crescita umana e spirituale. Una volta, ha rammentato, un vecchio vescovo dell’America Latina diceva che “è molto meglio il peggiore seminario che il non-seminario”. Il Papa ha quindi sottolineato che “la vita del seminario, cioè la vita comunitaria, è molto importante. E’ molto importante perché c’è la condivisione tra i fratelli”. E’ vero, ha constatato, che “ci sono i problemi, ci sono le lotte: lotte di potere, lotte di idee, anche lotte nascoste; e vengono i vizi capitali: l’invidia, la gelosia”. “La vita comunitaria – ha detto con ironia – non è il paradiso: almeno, il purgatorio”. E ha ricordato che un santo gesuita "diceva che la maggiore penitenza, per lui, era la vita comunitaria”:

    “Ma per questo credo che dobbiamo andare avanti, nella vita comunitaria. Ma come? Son quattro-cinque cose che ci aiuteranno tanto: mai, mai sparlare di altri! Se io ho qualcosa contro l’altro o che non sono del parere: in faccia! Ma noi, i chierici, abbiamo la tentazione di non parlare in faccia, di essere troppo diplomatici, quel linguaggio clericale, così … Ma ci fa male! Ci fa male! [applauso]”.

    Francesco ha rammentato che, 22 anni fa appena nominato vescovo, aveva avuto un confronto molto forte con un suo segretario, un sacerdote giovane da poco ordinato. “Molto rispettoso, ma me le ha dette”. E poi, ha aggiunto, ho pensato: “Questo non lo allontanerò mai dal posto di segretario: questo è un vero fratello!”.

    “Invece, quelli che ti dicono le cose belle davanti e poi da dietro non tanto belle … [ridono] E’ importante, quello, ma … [applauso] le chiacchiere sono la peste di una comunità: si parla in faccia, sempre. E se non hai il coraggio di parlare in faccia, parla al superiore o al direttore ... che lui ti aiuterà. Ma non andare per le stanze dei compagni per sparlare! Ma, si dice che chiacchierare è cosa di donne: ma anche di maschi, anche di noi! Noi chiacchieriamo abbastanza! E quello distrugge la comunità”.

    Un’altra cosa, ha proseguito il Papa, “è sentire, ascoltare le diverse opinioni e discutere le opinioni”, “cercando la verità, cercando l’unità: questo aiuta la comunità”. Ancora, Francesco ha ricordato che il suo padre spirituale lo aveva esortato a pregare per una persona verso il quale era arrabbiato. Pregare, “niente di più”. Ed ha rimarcato l’importanza della “preghiera comunitaria”. Vi assicuro, ha detto, che “se voi fate queste due cose, la comunità va avanti, si può vivere bene, si può parlare bene, si può discutere bene, si può pregare bene insieme”: “non sparlare degli altri e pregare per quelli con i quali io ho problemi”.

    E’ stata dunque la volta di una domanda su “discernimento, vigilanza e disciplina personale” di un consacrato. Il Papa ha detto che la vigilanza è un atteggiamento cristiano. E’ importante chiedersi “cosa succede nel mio cuore”, perché “dove è il mio cuore è il mio tesoro”. Il primo consiglio, ha detto, “quando il cuore è in turbolenza”, è il consiglio dei monaci russi: “Andare sotto il manto della Santa Madre di Dio”, affidarsi alla Madonna:

    “Qualcuno di voi mi dirà: 'Ma Padre, in questo tempo di tanta modernità buona, della psichiatria, della psicologia, in questi momento di turbolenza credo che sarebbe meglio andare dallo psichiatra che mi aiuti …'. Ma non scarto quello, ma prima di tutto andare alla Madre: perché un prete che si dimentica della Madre e soprattutto nei momenti di turbolenza, qualcosa gli manca”.

    Questo, ha detto, “è un prete orfano: si è dimenticato della sua mamma!”. Vigilare, ha proseguito, “non è andare alla sala di tortura”, è “guardare il cuore. Noi dobbiamo essere padroni del nostro cuore”. Ed ha rinnovato l’esortazione, valida per tutti – preti e vescovi – di finire la giornata davanti al tabernacolo, davanti al Signore. Il Papa ha voluto ritornare dunque a parlare della Vergine Maria: “Il rapporto con la Madonna – ha detto - ci aiuta ad avere un bel rapporto con la Chiesa: tutte e due sono Madri” e “se non si ha un bel rapporto con la Madonna” allora si è orfani nel cuore. Ed ha raccontato di un suo dialogo, avvenuto 30 anni fa, con due professori e catechisti che si vantavano di “aver superato la tappa della Madonna” per credere in Gesù Cristo:

    “Io sono rimasto un po’ addolorato, non ho capito molto. Ne abbiamo parlato un po’, su questo. E questa non è maturità, non è maturità! Dimenticare la madre è una cosa brutta … E, per dirlo in un’altra maniera: se tu non vuoi la Madonna come Madre, sicuro che l’avrai come suocera, eh? [ridono] E quello non è buono". [applauso]

    Quindi, il Papa ha risposto ad una domanda sulla leadership dei pastori. “C’è una sola strada” per raggiungere questo, ha detto: “il servizio”. E se non si serve, “la leadership cadrà”:

    “E’ vero: quando non c’è il servizio, tu non puoi guidare un popolo. Il servizio del pastore ... Il pastore deve essere sempre a disposizione del suo popolo. Il pastore deve aiutare il popolo a crescere, a camminare”.

    Il pastore, ha detto ancora, “fa crescere il suo popolo” e “va sempre con il suo popolo”. Ha ripreso dunque il De Pastoribus di S. Agostino per denunciare due peccati dei pastori. I “pastori affaristi” e i pastori che si credono superiori al loro popolo, “i pastori-principi”. Il Papa ha riconosciuto che “è tanto difficile togliere la vanità da un prete”. Il “Popolo di Dio – ha detto – ti perdona tante cose”:

    “Ma non ti perdona se sei un pastore attaccato ai soldi, se sei un pastore vanitoso che non tratta bene la gente: perché il vanitoso non tratta bene la gente. Soldi, vanità e orgoglio: i tre scalini che ci portano a tutti i peccati. Ma il popolo di Dio capisce le nostre debolezze, e le perdona; ma queste due, non le perdona L’attaccamento ai soldi non lo perdona nel pastore. E non trattare bene loro, non lo perdona”.

    Il Papa non ha mancato di confidare un po’ dello “schema” della sua vita, scandita da preghiera e lavoro. L’ideale, ha detto, è finire la giornata stanchi per le cose fatte. Quindi, è stato interpellato sulla "nuova evangelizzazione", formula utilizzata per la prima volta da San Giovanni Paolo II e che si ritrova fortemente presente nella Conferenza di Aparecida:

    “Per me l’evangelizzazione suppone uscire da se stesso; suppone la dimensione del trascendente: il trascendente nell’adorazione di Dio, nella contemplazione e il trascendente verso i fratelli, verso la gente. Uscire da, uscire da! Per me questo è come il nocciolo dell’evangelizzazione. Ed uscire significa arrivare a, cioè vicinanza. Se tu non esci da te stesso, mai avrai vicinanza! Vicinanza”.

    “Essere vicino alla gente – ha ripreso – essere vicino a tutti”, perché “non si può evangelizzare senza vicinanza”. Una vicinanza “cordiale”, “d’amore, anche vicinanza fisica”. Il Papa è tornato anche a riflettere sulle omelie che, ha detto, sono “noiose” se “non c’è vicinanza”. Proprio nell’omelia, ha detto, “si misura la vicinanza del pastore col suo popolo”. Se uno parla 20, 30 perfino 40 minuti nell’omelia, ha osservato parla "di cose astratte, di verità della fede, ma tu non fai un’omelia, fai scuola” e “non sei vicino alla gente”. Le omelie - ha detto - non sono "conferenze", devono essere “un’altra cosa”: “Suppone preghiera, suppone studio, suppone conoscere le persone cui tu parlerai, suppone vicinanza”. Sull’omelia, nell’evangelizzazione, “dobbiamo andare avanti abbastanza”, perché “siamo in ritardo”, “aggiustare bene le omelie, perché la gente capisca”. E ai futuri sacerdoti consiglia un’omelia breve e forte, 8-10 minuti, perché poi “l’attenzione se ne va”.

    L’ultima domanda si è concentrata su come seguire il modello del Buon Pastore. Il Papa ha detto che, innanzitutto, si deve pregare. Fondamentale è poi “la capacità di incontrarsi”, “la capacità di sentire, di ascolto delle altre persone”, “la capacità di cercare insieme la strada”:

    “E significa anche non spaventarsi, non spaventarsi delle cose. Il Buon Pastore non deve spaventarsi. Forse ha timore dentro, ma non si spaventa mai. Sa che il Signore lo aiuta. L’incontro con le persone per cui tu devi avere cura pastorale, l’incontro con il tuo vescovo. E’ importante l’incontro con il vescovo. E’ importante anche che il vescovo si lasci incontrare”.

    Francesco non ha mancato di mettere l'accento sull’amicizia sacerdotale. Questo, ha affermato, è "un tesoro che si deve coltivare fra voi”:

    “Ma che bella è un’amicizia sacerdotale, quando i preti, come due fratelli, tre fratelli, quattro fratelli, si conoscono, parlano dei loro problemi, delle loro gioie, delle loro aspettative ... Amicizia sacerdotale. Cercate questo, è importante. Essere amici…amici. Credo che questo aiuti abbastanza a vivere la vita sacerdotale, a vivere la vita spirituale, la vita apostolica, la vita comunitaria e anche la vita intellettuale: l’amicizia sacerdotale”.

    “Auguro a voi – ha concluso il Papa – di essere amici con quelli che il Signore ti mette avanti per l’amicizia”, “l’amicizia sacerdotale è una forza di perseveranza, di gioia apostolica, di coraggio, anche di senso dell’umorismo”.

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    Il Papa: lo Spirito Santo spinge sempre la Chiesa oltre i limiti

    ◊   “Chi siamo noi per chiudere le porte” allo Spirito Santo? È la domanda ricorrente che Papa Francesco ha posto durante l’omelia della Messa del mattino, presieduta a Casa Santa Marta, e dedicata alla conversione dei primi pagani al cristianesimo. Lo Spirito Santo, ha ribadito, è quello che fa andare la Chiesa “oltre i limiti, più avanti”. Il servizio di Alessandro De Carolis:

    Lo Spirito soffia dove vuole, ma una della tentazioni più ricorrenti di chi ha fede è di sbarrargli la strada e di pilotarlo in una direzione piuttosto che un’altra. Una tentazione non estranea nemmeno agli albori della Chiesa, come dimostra l’esperienza che vive Simon Pietro nel brano degli Atti degli Apostoli proposto dalla liturgia. Una comunità di pagani accoglie l’annuncio del Vangelo e Pietro è testimone oculare della discesa dello Spirito Santo su di loro, ma prima esita ad avere contatti con ciò che aveva sempre ritenuto “impuro” e poi subisce dure critiche dai cristiani di Gerusalemme, scandalizzati dal fatto che il loro capo avesse mangiato con dei “non circoncisi” e li avesse persino battezzati. Un momento di crisi interna, che Papa Francesco rievoca con un filo di ironia:

    “E’ una cosa che non si poteva pensare quella. Se domani venisse una spedizione di marziani, per esempio, e alcuni di loro venissero da noi, ecco... marziani, no? Verdi, con quel naso lungo e le orecchie grandi, come vengono dipinti dai bambini ... E uno dicesse: ‘Ma, io voglio il Battesimo!’. Cosa accadrebbe?”.

    Pietro comprende l’errore quando una visione gli illumina una verità fondamentale: ciò che è stato purificato da Dio non può essere chiamato “profano” da nessuno. E nel narrare questi fatti alla folla che lo critica, l’Apostolo – ricorda Papa Francesco – rasserena tutti con questa affermazione: “Se dunque Dio ha dato loro lo stesso dono che ha dato a noi, per avere creduto nel Signore Gesù Cristo, chi ero io per porre impedimento a Dio?”.

    “Quando il Signore ci fa vedere la strada, chi siamo noi per dire: ‘No Signore, non è prudente! No, facciamo così’… E Pietro in quella prima diocesi – la prima diocesi è stata Antiochia – prende questa decisione: ‘Chi sono io per porre impedimenti?’. Una bella parola per i vescovi, per i sacerdoti e anche per i cristiani. Ma chi siamo noi per chiudere porte? Nella Chiesa antica, persino oggi, c’è quel ministero dell’ostiario. E cosa faceva l’ostiario? Apriva la porta, riceveva la gente, la faceva passare. Ma mai è stato il ministero di quello che chiude la porta, mai!”.

    Ancora oggi, ripete Papa Francesco, Dio ha lasciato la guida della Chiesa “nelle mani dello Spirito Santo”. “Lo Spirito Santo – prosegue – è quello, come dice Gesù, che ci insegnerà tutto” e “farà che noi ricordiamo quello che Gesù ci ha insegnato”:

    “Lo Spirito Santo è la presenza viva di Dio nella Chiesa. E’ quello che fa andare la Chiesa, quello che fa camminare la Chiesa. Sempre più, oltre i limiti, più avanti. Lo Spirito Santo con i suoi doni guida la Chiesa. Non si può capire la Chiesa di Gesù senza questo Paraclito, che il Signore ci invia per questo. E fa queste scelte impensabili, ma impensabili! Per usare una parola di San Giovanni XXIII: è proprio lo Spirito Santo che aggiorna la Chiesa: veramente, proprio la aggiorna e la fa andare avanti. E noi cristiani dobbiamo chiedere al Signore la grazia della docilità allo Spirito Santo. La docilità a questo Spirito, che ci parla nel cuore, ci parla nelle circostanze della vita, ci parla nella vita ecclesiale, nelle comunità cristiane, ci parla sempre”.

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    Tweet del Papa: la nostra vita è stata salvata dal sangue di Cristo

    ◊   “La nostra vita è stata salvata dal sangue di Cristo. Lasciamoci sempre rinnovare da questo amore”. E’ il tweet pubblicato oggi da Papa Francesco sul suo account @Pontifex.

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    Gruppo di vescovi messicani in visita "ad Limina"

    ◊   Papa Francesco ha ricevuto nel corso della mattinata un gruppo di presuli della Conferenza episcopale del Messico, in visita "ad Limina".

    In Brasile, il Papa ha eretto l’eparchia dell’Imaculada Conceição in Prudentópolis degli Ucraini, con territorio smembrato dalla neo istituita arcieparchia metropolitana di São João Batista in Curitiba degli Ucraini, rendendola suffraganea della medesima, e ha nominato primo vescovo eparchiale mons. Meron Mazur, dei Basiliani, trasferendolo dalla sede titolare di Simittu e dall’ufficio di ausiliare di Curitiba degli Ucraini alla nuova circoscrizione. Il neo presule è nato in Prudentópolis il 5 febbraio 1962. Ha 52 anni. Ha frequentato gli studi primari nel Seminario São José di Prudentopolis dal 1975 al 1978, mentre di secondo grado a Curitiba, presso il Seminario Basiliano dal 1984 al 1986. Ha studiato Teologia nell'Ateneo "Sant'Anselmo" di Roma, dal 1986 al 1989, ottenendo il baccalaureato ed il dottorato in Scienza dell'Educazione. Membro dell'Ordine Basiliano di San Giosafat, ha emesso la professione religiosa il 1? gennaio 1988. L'8 settembre 1990 è stato ordinato sacerdote nella città di Prudentopolis. Ha svolto i seguenti incarichi: Coadiutore della parrocchia "N.S. Auxiliadora" di Curitiba e professore dello Studentato Basiliano (1993-1994), Professore nel medesimo Studentato (1994-1998), Superiore del Seminario Basiliano, Rettore dello Studentato, professore, e coadiutore della parrocchia "N.S. Auxiliadora(, Direttore spirituale di alcune Congregazioni religiose femminili (1999-2005). Il 21 dicembre 2005 è stato nominato Vescovo tit. di Simittu e Ausiliare di São João Batista in Curitiba; è stato consacrato il 26 febbraio 2006.

    Sempre in Brasile, il Pontefice ha elevato l’eparchia di São João Batista in Curitiba degli Ucraini ad arcieparchia metropolitana, conservandole lo stesso titolo, e ha nominato m. Valdomiro Koubetch, dei Basiliani, attuale vescovo eparchiale, all’ufficio di primo arcivescovo metropolita. Mons. Valdomiro Koubetch è nato il 27 marzo 1953 nella città di Mandaguaçu, nello Stato del Paranà. Ha compiuto gli studi di 1? grado nel Seminario minore "São José" di Prudentopolis, e quelli di 2? grado nello Studium dell'Ordine Basiliano di S.Giosafat a Curitiba. Ha frequentato i corsi di Filosofia nello stesso Studium e quelli di Teologia al Pontificio Ateneo S. Anselmo di Roma. Ha emesso la professione religiosa nell'Ordine Basiliano di S. Giosafat il 16 giugno 1978 ed è stato ordinato sacerdote il 6 dicembre 1981. Ha conseguito il Baccellierato in Teologia presso il Pontificio Ateneo S. Anselmo di Roma e il Dottorato in Teologia Morale presso la Pontificia Università Cattolica di Rio de Janeiro. Dopo la sua ordinazione ha svolto diversi incarichi pastorali: Cooperatore, Parroco, Rettore del Seminario Maggiore dei Padri Basiliani, Professore nello Studium OSBM e nello Studium Theologicum dei Padri Claretiani a Curitiba. Nominato Vescovo Coadiutore dell'Eparchia di São João Batista in Curitiba degli Ucraini il 10 dicembre 2003, fu consacrato il 21 marzo 2004, subentrando al predecessore nel governo pastorale della medesima in data 13 dicembre 2006.

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    Il card. Tauran in Giordania: le religioni promuovano “pedagogia della pace”

    ◊   Lavorare alla promozione di una “pedagogia della pace”: è l’esortazione indirizzata ai leader religiosi dal cardinale Jean-Louis Tauran, presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo interreligioso. Il porporato è oggi in Giordania, dove presso la "Petra University" di Amman, ha preso parte al seminario sul tema “Religione e violenza” volto alla promozione del dialogo interreligioso. Il Convegno è stato organizzato dall’Ambasciata d’Italia ad Amman, dal Royal Institute for Interfaith Studies e dalla delegazione dell’Unione Europea in Giordania in occasione della prossima visita di Papa Francesco nel Paese. L’incontro è suddiviso in due sessioni: una storica e una religiosa e proprio in quest’ultima è intervenuto il cardinale Tauran, con una riflessione intitolata “Religioni, società e violenza. Uno sguardo su cause e risultati. Il ruolo dei leader religiosi per la pace e la coesione sociale”.

    Esprimendo, innanzitutto, “solidarietà e compassione” per il popolo della vicina Siria, “vittima non solo di violenza armata, ma anche di ogni sorta di violazione dei diritti fondamentali”, il cardinale Tauran ha sottolineato “l’importante ruolo giocato dalle religioni nell’esortare le popolazioni alla pace” in nome della dignità di ciascuno e della solidarietà. Essenziale, quindi, ha aggiunto il porporato, l’impegno comune per “la prevenzione e la soppressione della violenza”, poiché “la violenza non è coraggio, bensì l’esplosione di una furia cieca che degrada la persona” e che “è ancora più perversa quando si verifica in nome di Dio”. Cosa possono fare, dunque, i leader religiosi in tale contesto? Prima di tutto, ha spiegato il presidente del dicastero vaticano, è necessaria la chiarezza: “Nessuna situazione può giustificare il terrorismo” ed è per questo che bisogna dedicarsi alla “promozione di una pedagogia della pace”, ovvero far lavorare la diplomazia e la politica, come pure untare alla “ricerca della verità e degli elementi comuni che appartengono alla persona umana”, “insegnare che pluralismo non è sinonimo di violenza, ma può essere fonte di arricchimento reciproco”, aprire la strada “alla purificazione della memoria attraverso il perdono e la riconciliazione” e ricordare che “è meglio avere una pace difficile che una guerra vittoriosa”.

    Riguardo alla Chiesa cattolica, ha continuato il cardinale Tauran, essa guarderà ai principi delle Beatitudini, poiché “è specifico del cristiano, in virtù della sua fede, essere sottomesso a violenza e non infliggerla o provocarla”. Anzi, ha aggiunto il porporato, “il cristiano è chiamato ad andare oltre tutte le forme di violenza e ad essere testimone di gentilezza, generosità e pace”. Certamente, ha evidenziato ancora il presidente del Dicastero vaticano, “non tutte le religioni adottano la stessa posizione riguardo a questioni come la guerra giusta, la legittima difesa, la jihad, ma in generale esse sono tutte d’accordo nell’affermare che la pace è un valore da rispettare e promuovere” e che “la violenza non è mai la risposta adeguata alle offese o alle ingiustizie” ricevute. “Amicizia e rispetto per divergenze e convergenze – ha concluso il porporato – sono i soli strumenti per evitare distruzione e morte”, i soli che “possano contribuire al consolidamento della giustizia e della solidarietà nel mondo”.

    Nella sua visita in Giordania, il cardinale Tauran è accompagnato da padre Miguel Ángel Ayuso Guixot, segretario del dicastero del Dialogo Interreligioso, e da mons. Khaled Akasheh, capo ufficio per l’Islam del medesimo Dicastero. Domani e mercoledì, inoltre, i rappresentanti del Pontificio Consiglio parteciperanno a un colloquio organizzato congiuntamente col "Royal Institute for Interfaith Studies" di Amman. Il colloquio, il terzo della serie, avrà per tema "Affrontare le sfide attuali attraverso l’educazione” e sarà articolato in due sottotemi, trattati rispettivamente dal punto di vista cattolico e da quello musulmano: "Sfide attuali" e "Risposte a queste sfide attraverso l’educazione". I partecipanti saranno 12 per parte. I lavori saranno inaugurati da una riflessione del principe reale El Hassan Bin Talal e dal cardinale Jean-Louis Tauran. Al termine dei lavori è prevista una dichiarazione comune. (I.P. – R.P.)

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   La leadership del servizio: Papa Francesco risponde alle domande degli alunni dei pontifici collegi e convitti di Roma.

    Perché amare la scuola: trecentomila all’incontro con il Papa.

    Non stancatevi mai di essere misericordiosi: messa nella basilica vaticana per l’ordinazione di tredici sacerdoti.

    Siamo tutti ostiari: messa a Santa Marta.

    Di fronte alla violenza e all'ingiustizia non si possono chiudere gli occhi: documento della Conferenza episcopale argentina.

    Dove annega la speranza: decine di migranti muoiono nel Mediterraneo.

    Piano per l’Ucraina: Stati Uniti e Unione europea definiscono illegale il referendum dei separatisti.

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    Oggi in Primo Piano



    Referendum Ucraina: Mosca riconosce la volontà popolare e invita al dialogo tra le parti

    ◊   In Ucraina, dopo il voto referendario sull’indipendenza delle regioni di Donetsk e Lugansk, e la vittoria schiacciante dei filorussi, si registrano le prime reazioni di Mosca. Il Cremlino, riconoscendo la volontà popolare, invita al dialogo il governo di Kiev e le forze separatiste, non escludendo la mediazione dell’OSCE. Netta la posizione dell’Unione Europea che ha ribadito l’illegalità delle consultazioni di ieri. Ce ne parla Gianmichele Laino:

    Non si è fatta attendere la presa di posizione di Mosca sui referendum indipendentisti nelle regioni di Donetsk e Lugansk, nell’est dell’Ucraina. Da una nota dell’ufficio stampa del Cremlino si apprende che il governo russo rispetterà la volontà delle popolazioni chiamate al voto, sperando comunque nel dialogo tra i rappresentanti di Kiev e l’opposizione separatista.

    Nella stessa nota diffusa in mattinata, inoltre, vengono sottolineate le altissime percentuali di affluenza alle urne, nonostante i tentativi di far fallire i referendum. Il governo ucraino, infatti, aveva definito il voto “una farsa senza alcun esito giuridico”, mentre nella giornata di ieri – a seggi aperti – si sono registrati scontri tra filorussi e uomini armati fedeli a Kiev.

    Netta anche la posizione dell’Ue: a margine del Consiglio Affari Esteri, i ministri europei hanno ribadito l’illegittimità e l’illegalità delle consultazioni sull’indipendenza delle regioni orientali dell’Ucraina. Molto dure anche le parole del portavoce del cancelliere tedesco, Angela Merkel, che ha affermato l’impossibilità da parte della comunità internazionale di riconoscere un voto del genere.

    La volontà comune, tuttavia, resta quella di avviare le mediazioni. Si spiega in quest’ottica la nomina del diplomatico dell’Osce, Wolfgang Ischinger. Sarà lui a cercare di instaurare un dialogo tra le parti nel più breve tempo possibile.

    Ma quali riflessi potrà avere il referendum? Alessandro Guarasci ha sentito Daniele De Luca, docente di Storia delle relazioni internazionali all’Università del Salento:

    R. – Sinceramente, non so se l’idea della secessione sarà immediatamente fattibile. Innanzitutto, c’è una data da tenere presente, che è quella del 25 maggio, cioè le elezioni presidenziali. Probabilmente tutti nell’area, ma soprattutto Putin, stanno aspettando che le elezioni si svolgano per vedere come si comporteranno gli elettori ucraini, anche perché in campo, non dimentichiamo, c’è la signora Timoshenko, che se dovesse essere eletta sarebbe un gravissimo ostacolo sulla strada della pace e della convivenza con la Russia di Putin.

    D. – Una possibile secessione converrebbe davvero alla Russia?

    R. – Non credo, in un primo momento, Putin abbia messo in conto la secessione di un’ulteriore area oltre alla Crimea. Il Donetsk non è un’area qualsiasi: da sola rappresenta almeno il 20% del pil dell’intera Ucraina. Di certo, la difesa di quell’area ma soprattutto delle popolazioni di lingua e cultura russa sta molto a cuore a Putin, soprattutto dopo quello che è successo ad Odessa.

    D. – Lei come giudica l’atteggiamento dell’Europa, che sotto alcuni aspetti è stato, diciamo, oscillante?

    R. – L’Europa non prende una decisione, in un senso o in un altro. Sì, è vero, minaccia le sanzioni, ma che tipo di sanzioni? E queste sanzioni possono essere dannose per la Russia o potrebbero essere dannose per l’Europa stessa? La storia corre e l’Europa è sempre dietro.

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    Nigeria. Boko Haram, video su ragazze rapite: libere in cambio di prigionieri rilasciati

    ◊   Novità sul caso delle quasi trecento studentesse rapite nel mese scorso in Nigeria da gruppo integralista islamico Boko Haram, che ha diffuso stamani un nuovo video dove compaiono un centinaio delle giovani coperte dal velo, raccolte in preghiera, e si sente la voce del leader del movimento, Abubakar Shekau, proporre la liberazione delle adolescenti in cambio del rilascio di prigionieri appartenenti al movimento. Roberta Gisotti ha intervistato la prof. Anna Bono, docente di Storia e istituzioni dell’Africa all’Università di Torino:

    “Vogliamo vedere azioni concrete per riportare a casa le ragazze rapite”, ha chiesto il cardinale John Onaiyekan, arcivescovo di Abuja. Ed ha aggiunto: “E' sconcertante che il nostro presidente sembri impotente”. Prof.ssa Bono, possiamo interpretare il video e l’offerta di Boko Haram come gesto di apertura e risultato alle pressioni internazionali per liberare le giovani nigeriane?

    R. – Indubbiamente, la mobilitazione internazionale ha avuto la sua importanza nel decidere Boko Haram a intraprendere un passo che non possiamo che sperare sia positivo. Nei giorni scorsi, vista l’incapacità – forse anche la scarsa volontà del governo nigeriano di agire efficacemente e di ritrovare le ragazze rapite – una serie di Paesi a partire dagli Stati Uniti, Italia compresa, hanno messo a disposizione del governo di Abuja forze di intelligence, specialisti nel settore dei rapimenti, proponendo inoltre di creare una struttura più organica, e magari anche destinata a durare, per intervenire in Nigeria non soltanto per risolvere questo problema, ma per affrontare in modo finalmente efficace il problema di Boko Haram, questo movimento che ormai da anni imperversa nel Nord – e non solo nel nord della Nigeria – nella sua intenzione di porre la sharia in tutto il Paese e che è altresì responsabile ormai di migliaia e migliaia di morti.

    D. – Avrà quindi anche contato la proposta fatta ieri dal presidente francese, Hollande, di tenere un vertice sulla sicurezza nell’Africa Occidentale e sulla minaccia rappresentata da Boko Haram, giù sabato prossimo a Parigi…

    R. – Mi riferivo proprio a questo, specificando che, in effetti, Boko Haram e altri movimenti jihadisti ad esso legati rappresentano un problema non soltanto per la Nigeria, ma per tutta l’Africa occidentale e ormai direi anche per una fascia di Paesi dell’Africa subsahariana che arriva fino al Kenya alla Tanzania e alla Somalia.

    D. – Riguardo al progetto di Boko Haram di islamizzare con forza tutte le popolazioni, che senso può avere il fatto di avere ripreso in questo video le ragazze coperte integralmente dal velo e in posizione di preghiera?

    R. – Una parte di queste ragazze, forse il 90%, sono cristiane. Nel video, mi sembra di capire che Boko Haram affermi di averle costrette a convertirsi all’islam.

    D. - Quindi, da un lato questa sarebbe una provocazione unita però a un’apertura a trattative?

    R. - La trattativa, in sostanza, dovrebbe consistere in uno scambio di prigionieri. Mentre inizialmente, qualche giorno fa Boko Haram aveva dichiarato l’intenzione di voler in parte vendere le ragazze e in parte costringerle a sposare dei jihadisti, sembra che adesso invece, anche sotto la pressione degli ultimi avvenimenti, abbia cambiato idea e intenda chiedere la liberazione di prigionieri del movimento attualmente nelle carceri nigeriane.

    D. - Un’eventuale trattativa avrà ripercussioni politiche all’interno della Nigeria?

    R. - Per essere realistici, uno dei motivi che hanno indotto il governo nigeriano a muoversi, dopo quasi un mese di pressoché totale inattività, è il fatto che all’interno del Paese il rapimento delle ragazze ha provocato una reazione molto vivace e molto sentita. Non si può dire che il Paese sia insorto, ma ci sono state delle manifestazioni di protesta anche nella capitale Abuja. Il governo deve essersi reso conto che la sua credibilità, già compromessa da mesi, stava ricevendo un duro colpo. L’anno prossimo il Paese andrà alle elezioni, quindi recuperare la fiducia e il consenso della popolazione può essere uno dei motivi che – per fortuna – stanno inducendo il governo nigeriano a diventare più attivo, ad accettare la collaborazione internazionale, ad affrontare il problema di Boko Haram e dell’insicurezza.

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    Libia, naufragio di 400 migranti. Croce Rossa: sbarchi aumenteranno in estate

    ◊   Non allenta l’emergenza immigrazione nel Canale di Sicilia. Stamani, le autorità italiane sono state informate del naufragio di un barcone carico di migranti a 50 miglia dalla Libia. Secondo la segnalazione, un'imbarcazione con 400 persone a bordo si è rovesciata. Sul posto sono giunte unità navali del dispositivo "Mare nostrum", che già avrebbero recuperato diversi cadaveri. Solo ieri, le autorità libiche hanno reso noto un altro naufragio avvenuto la settimana scorsa e costato la vita ad almeno 40 persone. Per un analisi dell’attuali flussi migratori nel Mediterraneo, Marco Guerra ha sentito Rosario Valastro, presidente del Comitato Regionale della Croce Rossa Italiana della Sicilia:

    R. – Quello che regola la vita dei migranti non sono solo le leggi italiane, ma anche le convenzioni internazionali. Secondo la Convenzione di Dublino, quando un cittadino richiede asilo non può essere tenuto in detenzione, ma deve essere anzi tenuto in maniera tale da potersi muovere fino a quando lo Stato non abbia esitato la richiesta di asilo. Dall’anno scorso, abbiamo avuto una variazione delle rotte migratorie, proprio perché i migranti non vogliono fare la richiesta di asilo in Italia. Fanno in modo di non farsi identificare e per questo non arrivano più a Lampedusa – scappando e facendo in modo di arrivare in altri Paesi dell’Unione, i Paesi dell’Europa del Nord – e lì fanno la richiesta di asilo.

    D. - Però, l’emergenza sbarchi non si attenua sulle coste siciliane, soprattutto dall’inizio dell’operazione "Mare Nostrum"…

    R. - No, non si attenua per nulla. Anzi, abbiamo registrato un numero finora altissimo, decine e decine di sbarchi. L’ultima settimana è stata clamorosa, perché abbiamo avuto tre sbarchi in contemporanea al giorno in diverse province dell’isola. Sicuramente, sono flussi che aumenteranno, perché nel momento in cui il tempo favorirà chiaramente il percorso in mare dei migranti il loro numero aumenterà, specialmente con l’arrivo dell’estate. Con tutta probabilità gli uomini e le donne migranti faranno in modo di andare verso altri Paesi. L’Italia ormai è un Paese di transito. In caso contrario, avrebbero fatto in modo di farsi identificare in Italia e rimanerci.

    D. - E nei nuovi flussi migratori qual è la composizione dei migranti? Da dove stanno arrivando principalmente queste persone?

    R. - Un numero importante proviene dal Corno d’Africa. Continuano a esserci siriani, tutte le popolazioni sia del Medio Oriente sia della parte del Centro e del Nord Africa. Quindi, è abbastanza variegata.

    D. – Per voi della Croce Rossa, l’altra faccia dell’emergenza è la questione sanitaria. Sono girate voci incontrollate su ceppi di ebola… É solo allarmismo? Siete pronti? Qual è la situazione?

    R. – Finora, dalle notizie ufficiali che noi abbiamo dalla Marina e dal Ministero della salute, queste sono solo voci di allarmismo. In Sicilia, anche grazie agli Uffici di sanità marittima, al Ministero della salute e alla Croce Rossa, che supporta le operazioni di visita medica, riteniamo che oltre a essere un diritto del migrante conservare la salute, le visite mediche e i controlli sanitari possano far sentire maggiormente sicuri anche i cittadini. Siamo stati dotati di materiale a biocontenimento in maniera tale che, dove ci fossero malauguratamente casi di focolai, le persone possano essere immediatamente messe in postazioni sterili in modo da fermare il contagio di cui – ripeto – finora non abbiamo nessuna notizia. I dispacci medici ci dicono che possono esserci delle febbri, donne in gravidanza, non altro.

    D. - Ieri l’ennesima tragedia davanti alle coste libiche. Al momento, la Libia è nel caos più completo …

    R. - Il Comitato centrale è sicuramente in contatto con la Mezzaluna Rossa libica. Una cosa importante sarebbe la firma da parte del governo libico della Convenzione sui rifugiati. Sicuramente, si avverte un maggiore bisogno di regolamentazione anche dall’altra sponda del mediterraneo.

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    Profughi siriani in Libano. Caritas: diamo testimonianza di dialogo

    ◊   Partita la campagna elettorale per le presidenziali del 3 giugno, organizzate dal presidente Bashar al-Assad, la Siria rischia di dover far fronte ad una nuova emergenza umanitaria. Da otto giorni Aleppo, nel nord del Paese, è senza acqua corrente a causa di un blocco imposto da miliziani qaedisti operativi nella zona. Soltanto oggi, il servizio idrico è tornato a funzionare a tratti e in alcuni quartieri. In questo quadro, si aggrava anche l’emergenza sfollati e profughi: dopo tre anni di guerra, con un bilancio di oltre 150 mila vittime, l’Onu ha fatto sapere che sono ormai 6 milioni e mezzo gli sfollati all’interno della Siria e più di 2,6 milioni i siriani rifugiatisi negli Stati limitrofi. All’inizio di aprile, se ne contavano oltre un milione in Libano. Per questo Paese, nei giorni scorsi il Fondo monetario internazionale (Fmi) ha lanciato un appello ad aumentare gli aiuti destinati alla crisi. Sulla situazione dei profughi siriani in Libano, ascoltiamo padre Paul Karam, nuovo presidente di Caritas Libano e direttore delle Pontificie opere missionarie libanesi, intervistato da Giada Aquilino:

    R. - La situazione è molto critica, perché il numero di profughi ha già superato il milione e sono sparsi in tutto il territorio libanese. Non come in Giordania, dove sono ospitati in campi, o come in Turchia. Tutto ciò porta delle conseguenze. Anzitutto, a livello di demografia in questo Libano basato su diverse confessioni che vivono in libertà e in ottimo dialogo. Minaccia anche l’aspetto della sicurezza, perché sono aumentati gli atti di delinquenza, ma minaccia anche l’aspetto economico, perché su un territorio piccolo com’è, appunto, quello del Libano più di un terzo, forse arriviamo anche ad un quarto, della popolazione è composto da stranieri, da profughi. E dunque acqua, elettricità, cibo… tutto manca. Senza poi parlare dell’aspetto sanitario, anche perché si sono verificate ultimamente delle malattie che nella nostra quotidianità avevamo ormai dimenticato. Sono malattie legate al non mangiare bene e alla mancanza di igiene.

    D. - Qual è allora l’assistenza della Caritas Libano e come opera?

    R. - E’ una situazione critica, perché non abbiamo tutto il materiale necessario per operare bene. Ci mancano alcune cose: a livello sanitario, ci mancano alcune medicine e non abbiamo sufficienti medici per far fronte a tutti coloro che vengono nei nostri centri sanitari. Abbiamo bisogno poi di kit alimentari e kit igienici. Questo nostro impegno cerchiamo di portarlo avanti soprattutto grazie all’aiuto dei nostri benefattori, così come con l’aiuto di alcune associazioni.

    D. - Tra l’altro, il Libano accoglie anche altri profughi, ad esempio palestinesi…

    R. - Sì. Abbiamo circa 500 mila palestinesi, che sono nel nostro territorio da più di 60 anni e questo per il processo di pace (israelo-palestinese, ndr) che non finisce mai, oppure che non vuole finire e dirigersi verso un cammino di pace, in cui ciascuno possa rispettare l’altro e accettare l’altro. La pace non si costruisce mai sull’odio: la pace si costruisce su un dialogo, quando si accetta l’altro e si rispetta soprattutto la libertà religiosa dell’altro.

    D. - Si rispecchia questa esigenza di pace anche tra i profughi siriani che assistite?

    R. - Stiamo per lanciare un campo estivo - ci saranno giovani libanesi e giovani siriani - per promuovere un dialogo di pace e per dare una vera testimonianza di come noi, come popoli che stanno vicini uno all’altro, Siria e Libano, possiamo promuovere al posto di questa guerra e al posto di questo conflitto una speranza nuova verso la libertà.

    D. - Il Papa nella tappa in Giordania del suo prossimo pellegrinaggio in Terra Santa incontrerà una rappresentanza dei siriani, che sono fuggiti dalla loro patria per cercare un futuro migliore. Che incoraggiamento ne verrà?

    R. - La figura di Papa Francesco è quella di un Papa che si impegna molto contro la povertà, contro la discriminazione, che favorisce il dialogo. Già guardare il suo comportamento e la sua testimonianza ci dà molta speranza. E la Chiesa del Libano ha una grande sfida: dire al mondo intero che il Medio Oriente e il Libano stesso hanno da dare anche un messaggio di amore, di speranza, di servizio e di testimonianza verso gli altri.

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    Iraq. Governatorato di Ninive: vogliamo essere modello di rinascita per il Paese

    ◊   Nella provincia irachena di Ninive, la più estesa dopo quella di Baghdad, vivono circa 150 mila cristiani. La nuova Costituzione federale del Paese ha concesso ai Governatorati provinciali enormi poteri, tanto da trasformarli quasi in regioni autonome. Il servizio di Elvira Ragosta:

    Proprio dalla pianura di Ninive, dove i cristiani coabitano con altre minoranze etniche e religiose, parte la sfida del Governatorato locale per garantire una convivenza sempre più armoniosa tra cristiani, musulmani, curdi e arabi. La ricostruzione democratica del Paese, dove i continui attentati dei terroristi legati ad al Qaeda minano la sicurezza e la stabilità economica, può avvenire anche attraverso l’aiuto della Santa Sede e delle istituzioni europee. E’ quanto auspica la delegazione del Governatorato di Ninive, nel corso di una visita in Italia su invito della Comunità di Sant’Egidio. Il presidente del parlamento di Ninive, Hamed Bashar Kitti:

    D. Quali sono gli obiettivi del governatorato per i prossimi quattro anni di legislatura?

    R. – (Parole in arabo)
    Abbiamo preso delle decisioni molto importanti per quanto riguarda tutte le componenti nella Provincia di Ninive, soprattutto quella cristiana, che sappiamo essere stata presa di mira in passato anche in Iraq. Abbiamo dedicato una parte dei progetti per lo sviluppo alle regioni cristiane. In questo modo, possiamo porre fine all’emigrazione dei cristiani. Per questo motivo, abbiamo preso in considerazione tutte le zone cristiane, abbiamo dato tutti i servizi necessari, opportunità di lavoro per consolidare la sicurezza.

    Anwar Hadaya è l’unico deputato cristiano della provincia di Ninive e presiede la Commissione economia, finanza e sviluppo della Provincia:

    R. – (Parole in arabo)
    Non è facile, soprattutto se guardiamo a tutti gli eventi che accadono in Medio Oriente, in Iraq e nella nostra cara provincia di Ninive. Però, sono ottimista per quanto riguarda la situazione nella provincia e nella piana di Ninive. Questo può essere un punto di inizio in modo tale che la provincia possa diventare un modello per l’intero Iraq.

    D. – I problemi di sicurezza e le violenze settarie, la disoccupazione. Lo stesso patriarca di Babilonia aveva denunciato come questi problemi poi portino spesso molti cristiani ad abbandonare il Paese. La vostra pianura, che dal punto di vista agricolo è molto fertile – la zona è anche ricca di minerali – potrebbe rilanciare l’economia. Ma come si fa a rilanciare l’economia se prima non si stabilizza la sicurezza?

    R. – (Parole in arabo)
    Oggi, c’è un’opportunità per raggiungere lo sviluppo economico nell’ambito agricolo grazie alla presenza di un alto livello di sicurezza. Tutto ciò grazie alle forze curde che sono lì per garantire la protezione. Non ci sono le forze governative, anche questo è un motivo. Quindi, per me questa è il motivo della sicurezza: c’è una grande opportunità e io chiamo – tramite il vostro canale, la vostra emittente – investitori per venire a investire nel settore agricolo nella pianura di Ninive innanzi tutto e poi nella Provincia e in tutto il Paese.

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    Expò. Zamagni: corruzione frena lo sviluppo, rigenerare circolo virtuoso

    ◊   Arresti, scandali e tangenti agitano ormai da giorni l'organizzazione dell'Expò 2015 di Milano, riproponendo uno scenario da Tangentopoli. Un sistema di corruzione che sembra rigenerarsi a ogni occasione e che, afferma l'economista Stefano Zamagni, è da anni una "forza frenante" dell'Italia. Emanuela Campanile lo ha intervistato:

    R. - Qui stiamo parlando di una corruzione organizzata e cioè di un sistema. E questo vuol dire che la corruzione è quello che gli antichi greci chiamavano il khatekon, che vuol dire una "forza frenante", frenante il processo di sviluppo. Perché Milano negli ultimi decenni è calata rispetto alle fasi precedenti? Perché l’attività di corruzione erode: non produce disastri solo per l’Expo, crea una mentalità che non è certamente favorevole allo sviluppo. La domanda allora diventa: come mai? Ovviamente, ci sono diverse chiavi di lettura. La mia, quella che più preferisco, è questa: tutto questo è successo a Milano, quando Milano ha cessate di essere una città industriale. Chi conosce la storia dell’industria sa che è difficile che nelle industrie ci sia corruzione. Quando Milano è diventata la capitale della finanza, soprattutto della finanza speculativa, e di certe forme di attività di terziario avanzato, è ovvio che questo ha fatto crollare il nesso, cioè il simbolo, ciò che tiene unita la società civile. E quando viene meno il cemento che tiene unita la società civile, è molto facile - come appunto la storia ci insegna nel caso di Milano, ma anche in tanti altri casi - che i fenomeni di corruzione prendano il sopravvento. Ecco perché allora non basta perfezionare le leggi sulle gare d’appalto. Questa è una sciocchezza! Bisogna andare al fondamento: bisogna ricostituire quel capitale sociale, cioè i legami di fiducia tra i cittadini, che impedisce che fenomeni del genere abbiano poi luogo.

    D. - Prof. Zamagni, secondo lei, l’Expo 2015 è compromesso ormai anche agli occhi del resto del mondo?

    R. - No, non direi, assolutamente no. E’ chiaro che la nostra capacità di rigenerarci è notevole e quindi lo faremo. Io non ho questa preoccupazione. La mia preoccupazione è che in Italia si cambi registro. Ma è mai possibile che in questo Paese se uno fa un atto virtuoso neppure lo si menziona e se uno fa un atto di questo tipo per giorni e giorni i mass media ne parlano? Questa è una ingiustizia. Dobbiamo chiamare le cose con il loro nome: la virtù - diceva Aristotele - è più contagiosa del vizio. Se io voglio sconfiggere la corruzione devo fare in modo che la critica ai corrotti e ai corruttori venga in primis dalla società civile, che deve mettere nei confronti di costoro come un filtro, una operazione. E poi i sistemi legali… Dobbiamo convincerci che la deterrenza e le leggi non sono sufficienti.

    D. - Teniamo presente che c’è anche un prezzo economico, che viene pagato…

    R. - E’ evidente, perché la corruzione distrugge la cosiddetta competizione di mercato e favorisce certamente non i virtuosi. Quindi, siamo in una situazione in cui un’impresa virtuosa - e ce ne sono, grazie a Dio, di queste imprese nel nostro Paese - pagano lo scotto di dover, loro che sono virtuose, perdere quote di mercato e quindi livelli di profitto per colpa di questi. Ed è questo un punto che i sistemi legali di deterrenza non servono, perché i giudici andranno a pizzicare e a sanzionare coloro che hanno compiuto. Ma il danno indiretto, che questi comportamenti vanno a determinare, certamente il sistema legale - perché questo non lo può fare - non può tenerne conto.

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    Save the Children: contro la crisi un progetto per sostenere la formazione dei giovani

    ◊   Al via oggi la campagna “Illuminiamo il futuro” di Save the Children Italia per contrastare la povertà educativa e sviluppare progetti a sostegno dei bisogni educativi dei bambini. Tra questi la costruzione di vari centri, dove accogliere i bambini proponendo attività sportive ed extrascolastiche e aiuti ai ragazzi più poveri. Alessia Carlozzo ha intervistato Valerio Neri, direttore generale di Save the Children Italia:

    R. – Si parla sempre di povertà economica e giustamente. Sono più di un milione i ragazzi in povertà assoluta. Ma quali sono le conseguenze generali della povertà sull’educazione dei ragazzi? Educazione, sì, in parte scolastica, ma anche extrascolastica. Per esempio, lo sport, la musica, il ballo, ma anche leggere un libro, visitare un monumento o vedere un film. Abbiamo fatto un’indagine e ci siamo resi conto che la povertà crescente, la mancanza di welfare – la mancanza cioè cospicua di soldi pubblici verso asili nido, verso scuole a tempo pieno, verso insegnanti, verso le mense scolastiche – stanno comprimendo fortemente l’educazione dei nostri ragazzi. Quindi abbiamo creato una campagna, che chiamiamo "Illuminiamo il futuro", e tutti capiranno perché vogliamo illuminarlo il futuro, che oggi a vedere questi ragazzi si presenta particolarmente oscuro. E io adesso tengo a dire una cosa: molto spesso la gente può non percepire la gravità di questo fatto, che invece è un fatto gravissimo! Se mi permette, faccio un esempio: perdo il lavoro, sono in una situazione di povertà drammatica, però ho sempre la speranza di poter trovare un lavoro, perché so fare qualcosa. Ma se in quello stesso periodo di tempo, un bambino non va a scuola e non acquisisce le competenze giuste per quella sua età, non le tornerà più ad acquisire in futuro e quindi sarà compromessa la sua capacità e le sue competenze per tutto il resto della vita. Quindi è una cosa di una gravità estrema. Noi dobbiamo batterci contro una povertà educativa che sta tagliando le ali a centinaia di migliaia di ragazzi.

    D. – Quali saranno, quindi, le principali iniziative che porterete avanti per contrastare la povertà educativa?

    R. – Le iniziative sono aprire subito dei "punti luce": già ne abbiamo aperti cinque a Catania, a Palermo, a Gioiosa Ionica, a Bari e a Genova. Prossimamente, nei prossimi mesi, li apriremo Torino, Milano, due centri a Roma e, via via, li estenderemo in gran parte del Paese. Poi, arriveremo a dare fino a 1.500 "doti educative" all’anno: le doti educative sono degli aiuti in mezzi ai bambini più poveri e bisognosi, scelti in coordinamento anche con i Servizi sociali e i nostri contatti territoriali. Quindi, tra l’apertura dei "punti luce" e le "doti educative", riusciremo, speriamo, già quest’anno a raggiungere oltre 10 mila, 15 mila ragazzi.

    D. – Oggi è stato presentato anche "La Lampada di Aladino", che è appunto il dossier di Save the Children per misurare proprio questa povertà educativa. Quali sono i dati emersi?

    R. – Abbiamo fatto un indice in base al quale analizzare le regioni dove la povertà educativa è più alta e quali sono quelle che stanno un pochino meglio, con dei criteri che sono sia legati in parte alla scuola, ma anche fuori dalla scuola: quindi lettura dei libri, visita dei musei, uso di Internet... Purtroppo, le regioni che hanno il più alto tasso di povertà educativa risultano essere la Campania, la Puglia, la Calabria e la Sicilia, mentre quelle che stanno meglio sono Friuli Venezia Giulia, Lombardia ed Emilia Romagna. Però, anche quelle che stanno meglio non è che stiano in una situazione meravigliosa. Pensate solo che l’abbandono scolastico di queste regioni migliori che ho citato è comunque intorno al 20%, quando la media europea vorrebbe essere intorno al 10%. Quindi, è una situazione comunque difficile anche nelle regioni migliori.

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    Dolore e cure palliative al centro del prossimo Convegno dei Medici cattolici italiani

    ◊   Presentato questa mattina, presso la sede della nostra emittente, il Convegno nazionale celebrativo del 30.mo anniversario dalla promulgazione della Lettera Apostolica Salvifici Doloris, organizzato dall’Associazione Medici Cattolici Italiani, che si terrà i prossimi 16 e 17 maggio sul tema “Il dolore e la sofferenza umana alla luce della medicina della ragione e della fede cristiana”. Il servizio di Paolo Ondarza:

    Il senso della sofferenza e l’attenzione a porre il paziente, nella sua condizione di fragilità, al centro della gestione clinica del dolore sono il cuore della Salvifici Doloris scritta da Giovanni Paolo II in vista del Giubileo del 2000. Un testo di grande attualità, che negli anni ha ottenuto importanti riconoscimenti, nonostante ancora molto resti da fare per garantire prestazioni antalgiche appropriate. In Italia, la Legge 38 del 2010 tutela il diritto del cittadino ad accedere alle cure palliative e alla terapia del dolore, ma il Paese in questo è ancora molto indietro rispetto ad altri. Ci vuole un cambio culturale. Opportuno ribadire che non si tratta di sostanze proibite o dannose, ma di medicine essenziali per alleviare le sofferenze. Il presidente dell’Associazione Medici Cattolici Italiani Filippo Maria Boscia:

    “Io credo che abbiamo il dovere di escludere quello che oggi potremmo definire sofferenza inutile. Non dobbiamo relegare una persona nella solitudine del dolore.”

    Tanti i pregiudizi e le false convinzioni da sfatare sulle malattie inguaribili e sul dolore, anche in ambito religioso. Ancora Boscia:

    “Il dolore non fa parte del progetto di Dio sull’umanità. Cancelliamo questo dalla nostra mente, perché il dolore viene visto come sofferenza, come punizione. No, non fa parte del progetto di Dio sull’umanità”.

    Il dolore è spesso il motivo per cui viene chiesta l’eutanasia. Ecco perché occorre far conoscere e mettere in atto la terapia del dolore, ricorda il medico Domenico di Virgilio, tra i promotori della legge 38:

    “Vincere il dolore significa vincere la richiesta di eutanasia. Se si fa comprendere bene alle famiglie, ai pazienti tutto questo, vedrete che vinceremo anche questa battaglia dell’eutanasia”.

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    Giovani in pellegrinaggio al Divino Amore dove il Papa andrà il 18 maggio

    ◊   “Camminiamo nella gioia” è il tema del Secondo pellegrinaggio notturno dei giovani di Roma al Santuario della Madonna del Divino Amore, che si è svolto lo scorso sabato notte. L’appuntamento, promosso dal Servizio diocesano per la pastorale giovanile, dall’Ufficio della pastorale universitaria e dal Servizio per le vocazioni, ha visto la partecipazione di oltre tremila ragazzi. Il servizio di Marina Tomarro:

    Percorrere nella notte strade spesso buie, ma con una certezza nel cuore: la luce all’arrivo, perché ad attendere i giovani pellegrini c’è Maria, nel suo Santuario del Divino Amore. E tante le emozioni di chi si mette in cammino. Ascoltiamo alcuni commenti:

    R. - Condivisione, il camminare insieme… Proprio il senso di un cammino, un cammino verso Gesù, che è il cammino che facciamo magari quotidianamente e singolarmente nella vita, però un momento così di condivisione fa vedere che non siamo soli, ma siamo in tanti a voler andare verso Gesù.

    R. - Sicuramente, l’amore per Maria e per Gesù. E poi io sono cresciuto con Giovanni Paolo II, che mi ha trasmesso questa sua fede mariana. Ora, dalla santificazione in poi è un po’ come camminare anche insieme a lui. Dal cielo ci guida, come Maria.

    R. - Innanzitutto, per è il fatto che questo sia il mese mariano e poi comunque bella l’idea del fatto che sia notturno, che si arriva lì al mattino… E’ un sacrificio che si fa: breve, intenso, ma che comunque darà i suoi frutti.

    D. - La figura di Maria quanto è importante nella tua vita?

    R. - E’ una mamma accogliente, è una figura femminile cui fare riferimento come modello, è la persona cui chiedere aiuto in un momento di difficoltà. Una figura che prende, sempre più nel tempo, un ruolo importante nella mia vita.

    E questo pellegrinaggio dei giovani, precede la visita che Papa Francesco farà al Santuario il prossimo 18 maggio. Don Fernando Altieri, parroco del Divino Amore:

    R. - I giovani preparano quasi l’arrivo del Papa. Il Papa, che è molto vicino al mondo giovanile, continuamente lo incoraggia e fa vedere la sua attenzione, dovrebbe sentire proprio il calore dell’accoglienza attraverso questo pellegrinaggio che apre un po’ la sua venuta al Divino Amore. Quindi, credo sia una felicissima coincidenza, in questo senso.

    D. - Come vi state preparando ad accogliere Papa Francesco?

    R. - Sicuramente con grande emozione, ma anche con grande semplicità. Perché sappiamo che il Santuario è un luogo "epifanico", dove Maria fa sentire la sua voce e la sua presenza. Papa Francesco porterà quel tono nuovo, quell’impulso al Santuario per la nuova evangelizzazione. Siamo ansiosi di ascoltare la sua parola e di capire quale sarà il messaggio che dovrà guidarci nei prossimi anni, alla luce del magistero di Pietro, con l’attenzione particolare ad una realtà popolare come il Santuario della Madonna del Divino Amore.

    E il cammino si è concluso con una solenne celebrazione eucaristica presieduta dal vicario del Papa, il cardinale vicario Agostino Vallini. Ascoltiamo la sua riflessione:

    "Vuol dire offrire loro la possibilità di tornare alle radici di una fede genuina, sincera, motivata. Una fede che ha affrontato le asprezze e i dolori della storia, della guerra, della ricostruzione, con tanta fiducia. Quindi, il ritorno alla Madonna del Divino Amore in questo pellegrinaggio notturno è un ritorno alle origini. E lo abbiamo visto sui volti di tanti giovani, di tanti ragazzi, che vengono qui per trovare più coraggio nell’andare avanti nella vita e portare questa fede testimoniata nella realtà della città, dei loro studi, del loro lavoro e del loro impegno di cittadini".

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Centrafrica. La denuncia dei vescovi: "Siamo in ostaggio dei violenti"

    ◊   “La Repubblica Centrafricana è una prigione a cielo aperto, dove la libertà di movimento è condizionata come quella di parola” denuncia un comunicato ripreso dall’agenzia Fides, del Consiglio permanente della Conferenza episcopale centrafricana.

    Nel documento si denunciano le violenze commesse dai diversi gruppi armati che imperversano nel Paese: “l’Lra (Esercito di Resistenza del Signore di origine ugandese) che dilaga da anni nell’est, gli Anti balaka che perseguitano la popolazione civile e gli ex Seleka, appoggiati da mercenari ciadiani e sudanesi, determinati a riconquistare il potere con la forza”.

    Anche la Chiesa non è stata risparmiata dalla violenza, si ricorda nel messaggio, che condanna con fermezza “il tentativo di rapimento del parroco di Kembé da parte di ex Seleka basati a Dimbi, il rapimento del vescovo di Bossangoa e di tre suoi preti e l’orribile omicidio di don Christ Forman Wilibona della diocesi di Bossangoa”. Per ristabilire l’ordine, i vescovi chiedono il disarmo dei gruppi illegali e il ristabilimento delle forze armate nazionali, con l’aiuto delle forze internazionali presenti nel Paese.

    La drammatica crisi iniziata nel dicembre 2012 ha prodotto, ricordano i vescovi, 838.000 sfollati interni dei quali 313.094 raggruppati in 66 Campi nella sola capitale Bangui, 17.865 rifugiati in Centrafrica e 245.868 rifugiati centrafricani nei Paesi vicini, 31.196 stranieri evacuati dal Paese.

    Nel comunicato infine si denuncia che l’instabilità ha accresciuto lo sfruttamento illegale delle risorse del Paese, dal legno alla fauna (in particolare gli elefanti, vittime dei bracconieri, e gli allevamenti dei Peuls, musulmani cacciati dalle milizia anti-balaka), dall’oro ai diamanti, da parte di quanti alimentano il conflitto.

    “Abbiamo bisogno della solidarietà internazionale per far fronte alla peggiore crisi della nostra storia, ma questo non ci esonera dalla nostra responsabilità in quanto cittadini. Questa dichiarazione vuole essere un appello alla Presidente, al governo di transizione e alle forze internazionali che hanno ricevuto il mandato delle Nazioni Unite” conclude il messaggio. (R.P.)

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    Libano. Card. Rai sulle elezioni presidenziali: vuoto di potere cancellerebbe il ruolo dei cristiani

    ◊   Il patriarca di Antiochia dei maroniti, Bechara Boutros Rai, ha rilanciato l'allarme sugli effetti destabilizzanti che avrebbe per tutto il Libano, e soprattutto per i cristiani libanesi, il vuoto di potere causato dalla mancata elezione del nuovo Presidente della Repubblica entro la scadenza istituzionale, fissata per il prossimo 25 maggio. “L'elezione di un Presidente e la sua presenza continua” ha detto il patriarca maronita durante l'omelia della Messa celebrata ieri nella basilica di Nostra Signora del Libano, ad Harissa “ conferisce legittimità alle istituzioni pubbliche. Il Presidente è il Capo di stato e il simbolo dell'unità nazionale. E noi stiamo pregando Dio affinchè ispiri i blocchi politici a tenere queste elezioni e a scegliere il miglior candidato nelle circostanze presenti, per il bene del Libano e delle sue istituzioni”.

    Nel delicato sistema istituzionale libanese, fondato sul Patto nazionale del 1943 che distribuisce le cariche istituzionali tra i rappresentanti politici appartenenti alle diverse comunità religiose, la carica di Presidente della Repubblica è riservata a un cristiano maronita. “Il temuto vuoto nella presidenza, per il quale qualcuno sta lavorando” ha aggiunto il patriarca Rai “è respinto da noi e dal popolo libanese perchè rappresenterebbe una sfida al Patto nazionale e alla Costituzione” ed “eliminerebbe una componente essenziale di questo Paese, che è la componente cristiana”.

    L'Assemblea parlamentare è stata convocata giovedì 15 maggio per il quarto tentativo di elezione presidenziale, ma anche la prossima seduta sembra destinata a non raggiungere l'obiettivo.

    La Presidenza della Repubblica libanese diverrebbe vacante il prossimo 25 maggio, giorno in cui termina il mandato del Presidente in carica, Michel Sleiman. Finora i due blocchi politici che si contrappongono nel Paese – la Coalizione 8 marzo e la Coalizione 14 marzo – non hanno raggiunto un consenso intorno alla figura di un candidato di compromesso. A pesare sono soprattutto le contrapposizioni tra le Forze Libanesi - che hanno candidato il loro leader Samir Geagea – e il Partito sciita di Hezbollah, che ha respinto come una provocazione la candidatura di Geagea, finora non ritirata. Lo stesso Geagea ha dichiarato a un quotidiano saudita di preferire il vuoto di potere istituzionale alla prospettiva di “mettere il Paese sotto il controllo di Hezbollah”. (R.P.)

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    Asean: il vertice segnato dal contenzioso con la Cina

    ◊   Con un comunicato finale, si sono chiusi ieri i due giorni di incontri del 24° Vertice dell’Associazione delle nazioni del Sud-Est asiatico (Asean). Un evento importante per una serie di motivi ma che per diverse ragioni ha finito per dare risultati assai scarsi.

    Si è trattato del primo evento del genere ospitato in Myanmar, da 17 anni parte dell’Organizzazione nata nel 1967 che accoglie oggi dieci Paesi: Brunei, Cambogia, Filippine, Indonesia, Laos, Malaysia, Myanmar, Singapore, Thailandia, Vietnam. Un segnale importante di riabilitazione per il Paese uscito solo tre anni fa dalla dittatura militare e che ha solo di recente ottenuto la sua prima presidenza di turno dell’Associazione.

    L’organizzazione delle giornate nella capitale politica Naypyitaw è stata all’altezza, seppure in parte segnata dalle pressioni internazionali sul governo birmano riguardo il trattamento delle minoranze e in particolare dei musulmani Rohingya, verso i quali – come pure verso i musulmani locali delle regioni centrali – sono da tempo in atto forti pressioni e numerosi episodi di intolleranza.

    Oltre a questo, la situazione del Brunei dopo l’avvio di un processo di adattamento delle pene al nuovo codice penale improntato a una versione radicale della legge coranica, e le manifestazioni in atto in Thailandia che hanno impedito di inviare un una delegazione ad alto livello a un’assise di capi di stato e di governo, sono stati al centro del dibattito, seppure mediato dall’abituale politica di non ingerenza del gruppo sugli affari interni dei singoli membri.

    Diverso invece, il peso delle tensioni in corso nel Mar Cinese meridionale, tra Stati-membri come Vietnam e Filippine, e Repubblica popolare cinese che ha da tempo accresciuto la presenza in aree marittime ricche di pesce e di potenziali risorse sottomarine, ma anche di notevole importanza strategica. In particolare negli ultimi giorni l’allontanamento con cannoni a acqua e lo speronamento di imbarcazioni vietnamite da parte di navi cinesi con nove feriti vietnamiti presso le isole Paracel hanno portato a dure proteste del governo di Hanoi.

    Anche su questo argomento spinoso perché coinvolge rapporti bilaterali, equilibri strategici e interessi commerciali, il comunicato finale si limita a ribadire la necessità di creare un clima distensivo nella regione, di procedere verso la realizzazione del Codice di condotta nel Mar Cinese meridionale, lasciando nel frattempo ai singoli Paesi l’onere di rapportarsi con il colosso cinese. Per quanto riguarda il Vietnam senza nemmeno la protezione garantita dagli Usa all’alleato filippino.

    Più concreti i risultati riguardo all’avanzata integrazione commerciale, che si concretizzerà il prossimo anno in un mercato comune Asean. La Dichiarazione di Naypyitaw adottata ieri identifica con precisione le aree di ulteriore, necessaria cooperazione e le linee per la promozione dello sviluppo economico dei Paesi membri. In questo senso, il Presidente birmano Thein Sein ha richiamato i Dieci a mantenere gli impegni assunti con risultati che concretizzino necessità, aspirazioni e potenzialità dell’Asean a beneficio degli oltre 500 milioni di abitanti. (R.P.)

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    Sudest asiatico: non si ferma lo sbarco dei profughi

    ◊   Continua a crescere il numero dei boat-people che sbarcano sull’immenso arcipelago dell’Asia sud-orientale e da cui spesso ripartono nel tentativo di raggiungere le coste australiane nonostante la stretta politica applicata dal governo di Canberra a partire dalla fine dello scorso anno.

    Una tendenza in corso da anni - riferisce l'agenzia Misna - alimentata dai fronti di conflitto mediorientali, ma anche da persecuzioni e mancanza di prospettive. Secondo i dati diffusi dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, sono stati 8.332 quelli censiti lo scorso anno, con una crescita drammatica dal 2008, quando furono 385; quasi decuplicati due anni dopo e poi saliti esponenzialmente.

    A confermarlo in modo esplicito, il dato di 10.623 profughi e rifugiati contati dall’Unhcr nei primi tre mesi dell’anno, un dato che - segnala il funzionario delle relazioni esterne del Commissariato Mitra Salima Suryono - è “destinato a salire durante l’anno”.

    In maggioranza arrivano da Afghanistan, seguiti da Myanmar, Iran, Somalia e Sri Lanka, cercando una nuova patria e spesso una vera sicurezza in Australia e Nuova Zelanda, preferiti tra i 26 Paesi disposti all’accoglienza secondo accordi con il governo di Jakarta. Alla fine, però sono pochi quelli che riescono nel loro intento. Complessivamente coloro che vengono reindirizzati verso i due Paesi australi dall’Unhcr sono circa 800.

    Gli altri restano bloccati sulle coste indonesiane, oppure fermati e rispediti indietro dalle motovedette australiane o inviati nei luoghi di detenzione stabiliti dal governo di Canberra in accordo con quelli di Papua-Nuova Guinea e Nauru. (R.P.)

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    Pakistan: manifestazione in Punjab per modificare la legge sulla blasfemia

    ◊   Il governo deve modificare con urgenza la legge sulla blasfemia, divenuta “un'arma letale” per i difensori dei diritti umani, giornalisti, musulmani moderati, membri delle minoranze religiose e altre persone innocenti: è quanto chiedono numerose organizzazioni della società civile, composte per la maggior parte da musulmani pakistani, scese in piazza nei giorni scorsi a Faisalabad. Come appreso da Fides, l’imponente manifestazione è stata organizzata all’indomani del brutale assassinio dell’avvocato Rashid Rehman, coordinatore per l'ufficio Punjab della Ong “Commissione Diritti Umani del Pakistan”.

    “Il governo dovrebbe prendere misure concrete e introdurre un meccanismo che controlli e punisca le responsabilità dei fondamentalisti, che hanno distrutto la pace e l'armonia sociale, abusando ciecamente di questa legge e uccidendo persone innocenti” hanno affermato i partecipanti, riunitisi nel centro della città l’8 maggio.

    Come riferito a Fides, tutti i leader intervenuti hanno condannato l’omicidio, esprimendo dolore per la grave perdita di un coraggioso difensore dei diritti umani, portando nastri neri in segno di lutto e scandendo slogan contro il terrorismo. Concorde la richiesta di porre fine all'abuso della legge sulla blasfemia e di riportare la pace nella società.

    La musulmana Nazia Sardar, leader dell’Ong “Awam” (Association of Women for Awareness and Motivation), tra gli organizzatori del corteo, ha ricordato Rashid Rehman come “un uomo che ha alzato la voce per la tutela dei diritti umani e che seguiremo come un modello”. L’attivista politico Arif Ayaz, anch’egli musulmano, ha detto: “Molte persone innocenti sono state uccise da quando vige la legge sulla blasfemia. L'assassinio di Rashid Rehman dimostra il fallimento del governo nel proteggere i cittadini. Il governo deve riformare la legge sulla blasfemia e promuovere un sistema giudiziario trasparente”.

    Amina Zaman, direttrice del forum Asdp (Agency for Sustainable Development Pakistan and Women Protection) ha rimarcato che “l’omicidio di Rashid Rehman è un punto interrogativo sul governo, che non sta prendendo alcuna contromisura in merito”. Il direttore della “National Minorities Alliance Pakistan”, Robin Denial, ha concluso: “Gli estremisti cercano di spaventare e sfidare l’opera dei difensori dei diritti umani come Rehman. Ma il suo sangue genererà molti nuovi molti difensori dei diritti umani in Pakistan”. (R.P.)

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    Brasile: i vescovi chiamano la comunità nazionale ad un voto responsabile

    ◊   “Con questo testo lanciamo un appello ai brasiliani perché esercitino, in modo consapevole, il diritto di voto”: così si è espresso l'arcivescovo di Aparecida e presidente della Conferenza episcopale brasiliana (Cnbb), il card. Raymundo Damasceno Assis, presentando durante una conferenza stampa il messaggio intitolato “Pensando al Brasile: sfide dinanzi alle elezioni del 2014”.

    Il testo è stato approvato dai vescovi riuniti per la 52.ma Assemblea generale, ad Aparecida. La conferenza stampa, riporta l'agenzia Fides - è stata presieduta dal card. Damasceno Assis. Insieme a lui erano presenti l'arcivescovo di São Luís e vice presidente della Cnbb, mons. José Belisario, ed il vescovo ausiliare di Brasilia e segretario generale della Cnbb, mons. Leonardo Steiner.

    Presentando il messaggio, il cardinale ha spiegato che il testo "contiene approfondimenti importanti per i cristiani e per l'intera società", che questo anno dovrà eleggere il Presidente, i governatori, i senatori, i deputati, a livello federale e statale. Il cardinale ha poi evidenziato tre punti chiave del testo: partecipazione consapevole alle elezioni; necessità di conoscere i candidati, la loro storia, quali principi e valori praticano e difendono; la ricerca di candidati che si siano impegnati per le tante riforme necessarie al Paese, in particolare con la riforma politica, sostenuta dalla Cnbb e da altre istituzioni del Paese. (R.P.)

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    Canada: sacerdote camerunese ucciso in un conflitto a fuoco

    ◊   “Mons. Paul Terrio, vescovo della diocesi canadese di Saint Paul in Alberta e la comunità cattolica di Saint Paul, piangono la morte prematura e violenta del reverendo padre Gilbert Dasna, della Congregazione dei Sons of Mary Mother of Mercy, viceparroco della parrocchia cattedrale di St.Paul". La diocesi - riferisce l'agenzia Fides da fonti locali - attende il rapporto completo della polizia prima di commentare le circostanze della morte del sacerdote.

    Secondo una prima ricostruzione dei fatti da parte dei giornalisti del posto, la sera del 9 maggio un criminale era stato bloccato da due auto della polizia ad un incrocio della cittadina canadese. Questi ha iniziato a sparare contro i poliziotti ed ha speronato una della auto della polizia ferendo gravemente i due poliziotti all’interno. La polizia ha risposto al fuoco e ha ucciso il malvivente. Padre Gilbert, che si trovava nei paraggi, è stato raggiunto dai colpi di arma da fuoco.

    La morte di padre Gilbert ha sconvolto non solo la comunità cattolica ma l'intero paesino canadese (meno di 6 mila abitanti). Egli è ricordato come un sacerdote buono e generoso, che irradiava gioia e pace. Nato il 28 febbraio 1982 in Camerun, era stato ordinato sacerdote l’11 luglio 2009 ed è stato viceparroco della cattedrale di St. Paul dal 19 maggio 2011 fino alla sua morte. E' morto il 9 maggio 2014, nello stesso giorno del suo arrivo in Canada, avvenuto tre anni prima, il 9 maggio 2011. (R.P.)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVIII no. 132

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