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Sommario del 31/07/2014

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Programma viaggio Papa in Albania. Mons. Mirdita: omaggio a martirio credenti

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La Sala Stampa della Santa Sede ha pubblicato il programma del viaggio apostolico che Papa Francesco compirà a Tirana, in Albania, il prossimo 21 settembre. La partenza è prevista alle 7.30 dall’aeroporto di Fiumicino. L’arrivo, due ore dopo, all’Aeroporto internazionale di Tirana. Alle 9.30, la cerimonia di benvenuto nel piazzale del Palazzo presidenziale, seguita dalla visita di cortesia al presidente albanese Bujar Nishani. Alle 10.00, l’incontro con le autorità nel Salone dei ricevimenti del Palazzo presidenziale. Alle 11.00, Papa Francesco presiederà la Santa Messa e l’Angelus in Piazza Madre Teresa. Alle 13.30, incontro e pranzo con i vescovi albanesi nella Nunziatura apostolica. Nel pomeriggio, alle 16.00, il Papa incontrerà i leader di altre religioni e denominazioni cristiane presso l’Università cattolica di Nostra Signora del Buon Consiglio. Alle 17.00, la celebrazione dei Vespri con i sacerdoti, i religiosi, le religiose, i seminaristi e i movimenti laicali nella Cattedrale di Tirana, e infine, alle 18.30, l’incontro al Centro Betania con i bambini e alcuni assistiti di istituti caritativi dell’Albania. Alle 19.45, la cerimonia di congedo all’aeroporto di Tirana. L’arrivo a Ciampino è previsto alle 21.30. Ma con quali sentimenti attende la Chiesa in Albania l’incontro con Papa Francesco? Marjan Paloka lo ha chiesto all’arcivescovo di Tirana, Rrok Mirdita

R. - Con sentimenti di gratitudine. La nostra Chiesa è ben radicata sul territorio ed è rimasta profondamente legata alla gente, lungo tutto il corso della storia, ma, essendo una Chiesa piccola, ha sempre guardato a Roma con affetto, vivendo così la sua vocazione alla cattolicità. E’ attraverso la comunione con il successore di Pietro e la fedeltà a lui che la nostra gente ha vissuto l’appartenenza alla Chiesa universale, anche nei momenti in cui il Successore di Pietro e la Chiesa universale erano considerati nemici in patria. Penso alla lunga persecuzione religiosa sotto il regime comunista, ma anche ad altri momenti del passato. Ora è il successore di Pietro che guarda a noi e viene a trovarci, per confermarci nella fede e per rendere omaggio al martirio e alla sofferenza dei cattolici, ma non solo. La Chiesa in Albania lo attende con gioia e affetto, ma anche le altre religioni e i non credenti nutrono grande stima ed apprezzamento nei suoi confronti.

D. – In Albania la persecuzione atea ha rafforzato la comunione fra le religioni. Ricordiamo che le quattro comunità religiose principali: musulmani sunniti, ortodossi, cattolici e musulmani bektashi convivono in maniera pacifica…

R. - Assolutamente sì. Dopo la caduta del comunismo qualcuno ipotizzava che con la libertà di religione sarebbero sorte le tensioni interreligiose, ma non è stato affatto così. L’Albania offre un modello esemplare di convivenza religiosa. Non dico che si sia arrivati a questa armonia senza sacrificio, ma i sacrifici compiuti lungo la storia hanno dato frutti di pace, di cui oggi godono tutti i cittadini nel Paese. Gli albanesi hanno imparato, lungo i secoli, che si può essere pienamente fedeli alla propria religione nel pieno rispetto della religione altrui. Non si può piacere a Dio violando i diritti dei fratelli, ma si può onorare Dio, anche in pubblico, senza per questo invadere lo spazio altrui. Papa Francesco, dunque, trova in Albania un modello esemplare di convivenza pacifica tra le religioni.

D. - Sono passati 21 anni dalla visita di Papa Giovanni Paolo II: come è cambiata la Chiesa e la società albanese da allora?

R. - La visita di San Giovanni Paolo II fu come una carezza sul corpo tormentato della Chiesa martirizzata. Fu un giorno di luce per tutta la nazione. Lui ricostituì la gerarchia ecclesiastica e consacrò i primi quattro vescovi. Tramite quell’invocazione dello Spirito per la consacrazione dei vescovi, uno dei quali ero anche io, veniva rianimato tutto il corpo ecclesiale. Durante questi due decenni la Chiesa è cambiata molto. Abbiamo un clero autoctono, religiosi e religiose albanesi che affiancano i tanti missionari che hanno lavorato con grande generosità, ma che pian piano passano il testimone alle nuove generazioni albanesi. Abbiamo dei laici impegnati nella Chiesa e nella società. Svolgiamo, come Chiesa, tanti servizi in campo sociale, ma corriamo anche il rischio di diventare una Chiesa statica, sedentaria. Allora, la visita di Papa Francesco porta nuova freschezza, ci scuote dalle abitudini e ci fa rivivere la permanente novità del Vangelo. Anche la società è cambiata molto, ma alcune sfide rimangono le stesse, come la corruzione, la povertà, la disoccupazione, la criminalità organizzata e la giustizia.

D. – La visita a Tirana è il primo viaggio apostolico di Papa Francesco nel continente europeo. Si può dire che il Papa comincia da una periferia dell’Europa?

R. - Se si intende per centro il benessere materiale, sì, l’Albania è una periferia dell’Europa, ma il nostro Paese è ricco di altri valori. Abbiamo la popolazione più giovane del continente, nonostante i flussi migratori, abbiamo una famiglia ancora forte, nella quale gli anziani sono rispettati, ascoltati e curati. Abbiamo la preziosa convivenza pacifica fra le religioni e, nonostante il trauma della dittatura e la grande sofferenza del passato recente, non siamo caduti nella trappola di una nuova lotta delle classi e abbiamo mantenuto la pace sociale. Si può dire che Papa Francesco entra nel continente europeo tramite l’incontro con un popolo disagiato, che ha molto sofferto, ma che anche ha molto da dare all’Europa.

Il viaggio di Papa Francesco in Albania è stato presentato anche a Tirana: durante una conferenza stampa promossa dai vescovi albanesi è stato mostrato anche il logo con il motto del viaggio “Insieme con Dio, verso la speranza che non delude”. Il logo, in modo stilizzato, vuole rappresentare il popolo cristiano che risorge dal sangue dei martiri e continua a camminare con la Croce come vessillo. Ma ascoltiamo don Gjergj Meta, responsabile della struttura informativa della Chiesa albanese in occasione della visita, al microfono di Klaudia Bumci

R. - I vescovi hanno deciso di accogliere il Papa con questo slogan: “Insieme con Dio, verso la speranza che non delude”, riprendendo un po’ sia San Paolo Apostolo nella Lettera ai Romani - capitolo cinque – dove lui parla della speranza che non delude, perché lo Spirito Santo è stato versato nei nostri cuori – ma anche l’idea del cammino fatto insieme agli altri, ai diversi e anche con Dio, in quanto la fede in Dio riveste un’importanza fondamentale nella costruzione della società e nella crescita integrale dell’uomo. Noi siamo un popolo che ha provato le conseguenze di un ateismo militante, di una società senza Dio e adesso dobbiamo costruire una società insieme agli altri ed anche insieme con Dio. Abbiamo anche un sito internet per questa visita “www.spes.al”, che è proprio il leitmotiv della “speranza” che anima questo viaggio e l’attesa della Chiesa e del popolo albanese per questa visita. All’interno di questa pagina web si troveranno informazioni sulla Chiesa in Albania, sulle varie diocesi, sulla vita religiosa, i giovani, i centri di carità ed altro ancora. In modo particolare sarà utile anche per i giornalisti che vorranno essere accreditati per seguire sia l’evento in generale ma anche particolari momenti di questa visita del Santo Padre.

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Tweet del Papa: auguro ad ogni famiglia di riscoprire la preghiera domestica

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Il Papa, nel giorno in cui la Chiesa celebra Sant’Ignazio di Loyola, ha lanciato questo tweet sull’account @Pontifex in nove lingue: “Auguro ad ogni famiglia di riscoprire la preghiera domestica: questo aiuta anche a capirsi e perdonarsi”.

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Card. Vegliò: aiutiamo i migranti, l'Europa faccia la sua parte

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Dal crotonese alla Sicilia nelle ultime 24 ore si sono susseguiti gli sbarchi di migranti che sono giunti anche in Puglia. Tra le centinaia di persone, decine di minori e alcune donne in stato di gravidanza. Si ritorna quindi alle polemiche nate con l’operazione Mare Nostrum, sulla necessità di potenziarla e di avere un forte sostegno da parte dell’Unione Europea. ‘Occorre fare il possibile a tutti i livelli’ è la sollecitazione del cardinale Antonio Maria Vegliò, presidente del Pontificio Consiglio della Pastorale per i migranti e gli itineranti, il quale incita l’Europa ad aprirsi e a mantenere le promesse fatte ai Paesi di origine dei migranti. Francesca Sabatinelli lo ha intervistato: 

R. - Io penso che sia un grave problema il fatto che tutti i giorni arrivano e tutti i giorni muoiono. Ciò che si prova non dico sia un senso di vergogna, perché poi che colpa ne abbiamo noi, però crea un enorme senso di disagio leggere o vedere queste notizie. I migranti non possono certo essere considerati un elemento marginale o transitorio dell’attuale periodo della storia umana, ma si tratta di una realtà in espansione, purtroppo. In  primo luogo, tutti noi dobbiamo sentirci interpellati a fare il possibile affinché nei Paesi d’origine si creino le condizioni che permettano a queste persone di vivere una vita dignitosa. E questo è veramente un desiderio che è difficile realizzare, perché sappiamo tutti come l’Europa si fosse impegnata a dare un tanto del suo Pil in modo da far sviluppare i Paesi da dove provengono i migranti, ma poi quasi nessuno, eccetto qualche Paese del Nord Europa, ha mantenuto le promesse fatte. Allo stesso tempo, però, tutti dobbiamo impegnarci a venire incontro alle necessità di coloro che devono fuggire e affrontare viaggi colmi di sventure, che non di rado si trasformano in tragedie. E ne abbiamo gli esempi tutti i giorni purtroppo. La costruzione di una società più accogliente richiede quindi grande disponibilità e superamento dei pregiudizi, mediante concreti gesti quotidiani. Posta questa premessa, è urgente collaborare a diversi livelli per unire le forze al fine di prevenire queste stragi vergognose. Qui tutti hanno un ruolo da giocare. Il Santo Padre ha rivolto un forte appello anzitutto agli Organismi che, tanto a livello nazionale che internazionale, dovrebbero garantire che ogni persona sia considerata a partire dalla sua dignità, senza distinzione di appartenenza etnica o di status giuridico. Le istituzioni civili, poi, devono, dovrebbero agire con maggiore coordinamento e con autentico spirito di collaborazione, per la creazione di un mondo più giusto, più solidale, più umano.

D. – Eppure, non di rado, anzi con sempre maggior frequenza, a vari livelli, c’è molta indifferenza  nei confronti dell’accoglienza…

R. - Questo è anche umano, si capisce no! Perché quando tutti i giorni, almeno da quello che riportano le notizie, arrivano questi barconi pieni di questi poveri amici, fratelli nostri, viene da dire ma quanti ne devono arrivare ancora? Quanti ce ne sono in Africa che attendono la possibilità di imbarcarsi alla meno peggio? Anche perché ci sono quelli che si imbarcano spendendo meno, e li mettono - poveracci - nei posti più difficili, e non sempre arrivano e lo sappiamo di cosa parlo. E poi ci sono quelli che pagano un po’ di più e magari vengono messi sul ponte dove possono respirare l’aria e avere più possibilità di arrivare vivi laddove vorrebbero andare. E però nello stesso tempo, questo fatto che deve preoccupare ogni governo, e anche noi cristiani non possiamo essere così naif e dire “sì venite tutti, siamo tutti fratelli”: non si può ragionare in questo modo. Però nello stesso tempo la globalizzazione dell’indifferenza è l’effetto doloroso di un modo di vivere fortemente basato sulla cultura del benessere, insensibile alle grida di aiuto di tanti. Io sono stato il 6 luglio a Lampedusa per il primo anniversario della visita del Papa, e mi permisi di dire: che meriti abbiamo noi che siamo nati e viviamo in un Paese civile, ricco, per quanto conosca delle difficoltà, di una cultura non indifferente, dove possiamo vivere liberi, e tranquilli. E al contrario che demeriti hanno questi poveracci che vivono in Paesi dove non riescono a mangiare, dove non sono assicurati nel lavoro, nella casa e addirittura nella loro vita? Come possiamo impedire a questa gente di venire da noi o costringerli a tornare in un Paese che nemmeno può garantire loro la vita? Per superare questa indifferenza, bisogna cambiare il modo di guardare alla migrazione, a livello nazionale e internazionale, cominciando in concreto dalla propria vita personale. Come ha detto Papa Francesco, occorre avere la capacità di passare da una “cultura dello scarto” a una “cultura dell’incontro e dell’accoglienza”, guardando alla migrazione da una prospettiva umana, cioè dal punto di vista della persona, con i suoi diritti e i suoi doveri. Certo, noi cristiani dobbiamo essere di esempio nell’accettare chi arriva, il nostro prossimo. Sensibilizzare la comunità ecclesiale e l’opinione pubblica ai problemi dei migranti e dei rifugiati rientra nei compiti pastorali del nostro Pontificio Consiglio. Pensando alla propria vita, ciascuno di noi dovrebbe riflettere su come incide realmente quella “globalizzazione dell’indifferenza” della quale ci ha parlato il Santo Padre un anno fa nella visita a Lampedusa.

D. – Negli ultimi mesi con l’operazione Mare Nostrum l’Italia è stata davvero in prima linea nel tentativo di aiutare e di soccorrere i migranti a bordo dei barconi che attraversano il Mediterraneo. In questa occasione più di una volta è stato richiamato il ruolo dell’Europa e la necessità che l’Europa si mostri compatta e unita nell’assistenza verso queste persone. Lei ritiene che ci sia questa unità?

R. - Noi si dice sempre, a torto o a ragione, che l’Europa dovrebbe aiutare di più perché noi in questo caso non siamo Italia solo ma siamo un po’ i confini dell’Europa. Però non dobbiamo dimenticare nemmeno che l’Europa da’, e da’ parecchio, non è sufficiente, è vero, dovrebbe dare di più e avere più coscienza del fatto che Italia, Spagna, e Grecia sono i confini dell’Europa del Sud, ecco allora che si dovrebbe sentire certamente più impegnata. Ma ci sono delle leggi a livello europeo che prevedono, e faccio un esempio, che se un migrante o se un rifugiato arriva in Italia e non vuole restarci ma vuole andare in Francia, è solo un esempio, la Francia lo blocca perché secondo i patti che i Paesi europei hanno sottoscritto, il Paese che accoglie questi migranti e questi rifugiati è il Paese che deve prendersi cura di queste persone. Ecco, quand’è così, l’Europa aiuta e non, perché se si volesse aiutare meglio bisognerebbe permettere a questa gente di andare dove vuole, poi è innegabile che finanziariamente l’Italia è stata esemplare con tutto il progetto di Mare Nostrum e che l’aiuto dell’Europa c’è stato ma non è sufficiente. L’esodo di numerose famiglie, soprattutto dal Corno d’Africa e dal Medio Oriente, tocca immediatamente tutti i Paesi del Mediterraneo, che sono, per loro, la via d’accesso all’Europa. Questo fenomeno pertanto riguarda l’intera comunità dell’Unione Europea. L’Europa vanta a buon diritto una lunga storia di civiltà e di accoglienza, volta a promuovere e tutelare i diritti dei singoli e delle comunità, comprese le minoranze etniche. Infatti, l’esperienza della migrazione di massa, di cui il nostro Continente è stato protagonista nel secolo scorso, ha fortemente ispirato le scelte politiche degli Stati membri per governare il fenomeno attuale dell’immigrazione. Tutto questo a partire dalle sue radici cristiane, dove la solidarietà e il riconoscimento dei diritti fondamentali della persona umana costituiscono un importante punto di riferimento. Per non tradire il suo passato e per costruire un futuro migliore, l’Europa ha quindi una via irrinunciabile da percorrere: quella che tutela, rispetta e promuove la persona umana nella sua integralità, soprattutto con attenzione a garantire le fondamentali libertà. Di conseguenza, la Comunità internazionale deve adottare misure concrete, fattibili e lungimiranti per un’azione concertata a tre livelli. Anzitutto, perché le popolazioni siano aiutate nei Paesi d’origine, facendo il possibile perché si realizzi il diritto a non emigrare, e qui ritorno a quanto detto prima, a ciò che l’Europa che aveva promesso di dare ai Paesi di maggiore emigrazione, e che poi non ha dato.   In secondo luogo, sono importanti le convenzioni bilaterali e multilaterali, che offrano sicurezza a coloro che emigrano. Nel caso delle migrazioni forzate, è indispensabile l’apertura di canali umanitari, che però devono avere un carattere tempestivo e provvisorio, in risposta a vere emergenze.  Infine, la sinergia di tutte le forze disponibili non deve mancare nei processi di sostegno e di integrazione, dove si favorisce la crescita di società che rispettano le diverse identità nella costruzione dell’unità, tendendo al bene comune. Le questioni poste dai flussi migratori toccano anzitutto la realtà stessa dell’emigrazione: correttamente gestita, nella regolarità e nella sicurezza, essa non è una minaccia, ma può essere un’opportunità per l’Europa, che oggi appare stanca e invecchiata. Quando l’Europa riconosce le radici cristiane della sua generosa apertura al prossimo, il continente ringiovanisce, poiché le sue radici sono caratterizzate dall’accoglienza, dal rispetto della diversità e dalla ricerca del bene comune. Auspichiamo, auspico, pertanto un’Europa aperta, solidale, rivolta allo sviluppo umano integrale e al bene comune, ove favorire esperienze di dialogo e ambiti di scambio culturale, sociale ed economico. Verso queste persone l’Europa deve continuare a compiere ogni sforzo tanto nell’ambito della loro accoglienza quanto in quello della loro integrazione.

 

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Udienze e nomine

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Il Santo Padre Francesco ha ricevuto oggi in Udienza S.E. Mons. Pio Vito Pinto, Decano del Tribunale della Rota Romana.

Il Santo Padre Francesco ha accolto la rinuncia al governo pastorale dell’Eparchia di Chanda dei Siro-Malabaresi (India) presentata da S.E. Mons. Vijay Anand Nedumpuram, C.M.I., a norma del can. 210 § 1 del Codice dei Canoni delle Chiese Orientali (CCEO). Il Papa ha nominato Vescovo Eparchiale di Chanda dei Siro-Malabaresi (India) il Rev.do Sacerdote Ephrem Nariculam, del clero di Ernakulam-Angamaly dei Siro-Malabaresi, finora Cappellano della Comunità Siro-Malabarese di Toronto (Canada). Il Rev.do Ephrem Nariculam è nato il 10 dicembre 1960 a Sanjopuram, nell’Arcieparchia di ErnakulamAngamaly, dove è stato ordinato sacerdote il 27 dicembre 1986.

Ha compiuto gli studi ecclesiastici a Poonamallee e Bangalore, dove ha conseguito un dottorato in Teologia Spirituale al Saint Peter’s Pontifical Institute. Parla l’indi e il marathi, oltre all'inglese e al malayalam. È stato parroco in Ernakulam e in Delhi prima di prestare servizio nell'Eparchia di Chanda, dove è stato Rettore del Seminario Minore per sette anni. Inviato in Canada, ha svolto i seguenti incarichi: Docente alla Toronto School of Theology, e, sempre a Toronto, Coordinatore della formazione sacerdotale al St. Augustine’s Seminary e Cappellano della Comunità Siro-Malabarese.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Incubo a Gaza.

Un Papa pacificato: in prima pagina, il vice direttore ricorda quando Paolo VI andò a pregare sulla tomba del cardinale Pizzardo.

Verso la sera della Trasfigurazione: gli ultimi giorni di Paolo VI nei ricordi di Renato Buzzonetti, uno dei medici che lo hanno assistito.

Nell'era di Dionigi il Piccolo: Giovanni Cerro sul calendario cristiano e i suoi oppositori.

Un articolo di Rossella Fabiani dal titolo "In difesa degli antichi splendori": l'istituzione culturale dell'emirato di Sharjah che ha recuperato la chiesa di San Teodoro a Behdaidat in Libano.

Quando i confini si restrinsero nuovamente: Giulia Galeotti descrive la partecipazione femminile alla Grande guerra.

Vita e morte non sono divisibili: Marcello Filotei sulla musica e il primo conflitto mondiale.

Provocatori provocati: Sandro Barbagallo rivolge uno sguardo retrospettivo all'arte estrema contemporanea.

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Oggi in Primo Piano



Gaza. Margelletti: offensiva Israele avanti fino a distruzione tunnel Hamas

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Proseguono gli scontri in Medio Oriente. I raid israeliani in mattinata hanno ucciso 7 palestinesi portando a 1.363, fra cui 250 bambini,  il totale dei morti in 24 giorni di conflitto. In Israele sono stati, invece, uccisi 56 soldati e due civili. In questo clima arrivano le dichiarazioni dell'Alto Commissario Onu per i Diritti Umani, Navi Pillay, secondo cui sia  Hamas sia Israele "commettono gravi violazioni dei diritti dell'uomo, che potrebbero costituire crimini contro l’umanità". Il servizio di Debora Donnini

Israele prosegue le operazioni contro Hamas  nella Striscia di Gaza e mobilita altri 16mila riservisti portandoli a 86.000, così come continuano ad essere sparati  razzi, in mattinata almeno 30, da parte dei miliziani di Hamas verso il territorio dello Stato ebraico. Il presidente palestinese Abu Mazen dichiara Gaza "zona disastrata" chiedendo alla comunità internazionale di aiutare la Striscia e accusa Israele di violazione dei diritti umani. Da parte sua il premier israeliano Netanyhau promette che, con o senza il cessate il fuoco, l’esercito continuerà a distruggere i tunnel che Hamas usa a Gaza per infiltrarsi nello Stato ebraico. Arriva intanto la forte condanna dello stesso segretario generale Onu,  Ban ki-moon per il bombardamento della scuola dell’Agenzia per i rifugiati delle Nazioni Unite a Jabaliya con 23 morti anche se l'esercito israeliano non ha escluso l'ipotesi secondo la quale a colpire la scuola potrebbe essere stata lo stesso Hamas. Sarebbero in corso delle "verifiche" . "Hamas si serve delle scuole dell'Unhcr per sparare contro le nostre forze, utilizzando i palestinesi che vi si rifugiano come scudi umani" ha dichiarato il portavoce dell’esercito israeliano, generale Moty Almoz.

Per un commento sul proseguimento dell’offensiva, Debora Donnini ha sentito Andrea Margelletti, presidente del Centro Studi Internazionali:

“Io personalmente non vedo alcuno spiraglio di pace nel brevissimo termine, per la semplice ragione che Israele vuole portare ad una smilitarizzazione di Hamas e soprattutto quello per cui il governo israeliano vede rosso: la fine della costruzione dei tunnel. I tunnel rappresentano per Israele il problema strategico in questo momento. E quindi o Hamas e i vari movimenti resistenziali palestinesi rinunceranno ufficialmente alla costruzione di questi tunnel, o la mia sensazione è che Israele andrà avanti con la sua politica militare all’interno di Gaza, non curandosi particolarmente degli aspetti e delle conseguenze umanitarie o di riflesso sulla situazione internazionale, perché in questo momento Israele è assolutamente focalizzata sulle necessità e le richieste della propria popolazione”.

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Gattegna: ebrei italiani in dialogo con i musulmani

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In occasione della fine del Ramadan il presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, Renzo Gattegna, ha inviato un messaggio augurale alle comunità musulmane del Paese. “Sono giornate difficili – afferma Gattegna - che ci vedono in tensione per quanto accade in Medio Oriente e che ripropongono con urgenza la sfida di un dialogo interreligioso che non può prescindere da una maggiore consapevolezza dei valori e dei destini comuni. Ebrei e musulmani devono infatti camminare al fianco e insieme contribuire al progresso della società italiana. Società in cui l’apporto di ogni singolo individuo concorre alla realizzazione di un mosaico ricco di sfaccettature e opportunità. L’impegno è pressante: lavorare per un’autentica fratellanza che possa saldarsi con altre esperienze già consolidate all’interno del tessuto nazionale”. Una iniziativa di dialogo interreligioso che Renzo Gattegna commenta così al microfono di Fabio Colagrande

R. – E’ un’iniziativa che si ripete ogni anno: per noi, la normalità dei rapporti con i musulmani è quella di un rapporto di amicizia, quando non prevale il fanatismo o quando non prevale il preconcetto. E con alcuni gruppi di musulmani che vivono in Italia, noi abbiamo instaurato un vero rapporto di collaborazione che tende – o si illude di tendere – a emarginare le fazioni islamiche radicali fondamentaliste integraliste; e il modo migliore, secondo noi, per depotenziare queste forze più pericolose, più eversive è quello di dare un esempio di dialogo interreligioso, di collaborazione verso una convivenza pacifica. E alcune comunità islamiche in Italia sono d’accordo con noi, che questa sia la strada che dobbiamo perseguire.

D. – Quanto vi preoccupano le scritte antisemite apparse recentemente sui muri di Roma? Che sintomo rappresentano, secondo lei?

R. – Guardi … scritte contrarie agli ebrei e scritte contrarie allo Stato d’Israele sono ricorrenti: capita molto spesso di doverle leggere. Noi ci siamo organizzati, insieme al Comune di Roma, con un servizio che fotografa per documentare queste scritte e poi si interviene per la cancellazione, per evitare che si accumulino a centinaia. Ogni volta che si alza il livello del dibattito, le scritte appaiono: quindi, possiamo dire che è un fenomeno minore perché se l’ostilità verso gli ebrei o verso lo Stato d’Israele si sfoga attraverso scritte sui muri, è una cosa controllabile, è una cosa riparabile in breve tempo. Quello che noi riteniamo vada coltivato è il dialogo interreligioso, la possibilità per gli ebrei di esprimere la loro cultura, la loro storia e tutto ciò che ha riguardato i fatti del passato e che ha coinvolto fortemente anche l’Italia e la storia italiana, perché la storia della presenza ebraica in Italia risale a 2.200 anni fa. Quindi, la comunità ebraica in Italia è una delle comunità fondanti della nazione italiana.

D. – Papa Francesco ha affermato che è una contraddizione che un cristiano sia antisemita: sono parole a volte trascurate …

R. – Non sono trascurate da noi: per noi hanno una grande importanza. Sono più di 50 anni che i rapporti tra cattolici ed ebrei sono in continuo miglioramento. Siamo entrati in una fase positiva: da Giovanni XXIII in poi. Dal Concilio Vaticano II in poi i rapporti hanno preso un andamento positivo che noi siamo molto impegnati a mantenere, perché lo riteniamo qualcosa di prezioso per l’Italia. Quindi, una frase del genere detta dal Papa ha il suo enorme peso per tutti i fedeli cattolici che poi affluiscono a milioni ad ascoltare le parole del Papa, e ci dà la conferma che dobbiamo proseguire su questa strada.

D. – Lo scorso 8 giugno, lei aveva partecipato all’invocazione di pace nei Giardini Vaticani, voluta da Papa Francesco. Quel giorno sembra lontano, e da allora tanto sangue è stato versato in Terra Santa…

R. – Meno lontano di quanto sembri, perché il rapporto tra lo Stato d’Israele e la componente palestinese che fa capo ad Abu Mazen rimane una speranza di dialogo e una speranza di pace. Perché Abu Mazen rappresenta il gruppo palestinese che sta tentando di costruire in Cisgiordania uno Stato palestinese che abbia la capacità di dialogare con lo Stato di Israele. Io ho visitato Israele circa un mese fa, però prima che esplodessero i fatti bellici; e ho avuto, accompagnato dal sindaco di Gerusalemme, la fortuna di poter vedere diverse iniziative che sono prese in comune fra ebrei e musulmani, sui quartieri di confine di Gerusalemme dove vivono in una convivenza pacifica famiglie ebree e famiglie musulmane. E ho visto diverse iniziative rivolte ai giovani e alle donne, per cercare di far tesoro del patrimonio culturale di entrambe le religioni e per educare i giovani ad una convivenza costruttiva.

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Medio Oriente. Padre Hani: i cristiani rispondono all'odio con l'amore

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Le cronache degli ultimi giorni riportano le persecuzioni che i cristiani sono costretti a subire a Mosul. Eppure in Medio Oriente la situazione va diversificata Paese per Paese: se in Iraq i cristiani vengono cacciati dalle loro case dagli estremisti islamici, a Gaza, invece, sono le parrocchie ad essere luogo dell’accoglienza in una terra martoriata dai bombardamenti. Paolo Giacosa ha delineato un quadro della situazione con padre Hani Polus Al-Jameel, iracheno di Mosul, ora impegnato nella comunità orionina di Zarqa, in Giordania: 

R. – Una risposta sulla situazione dei cristiani in Medio Oriente non si può dare in maniera precisa, perché ogni Paese ha la propria situazione, iniziando dalla Giordania, dove i cristiani vengono molto rispettati e c’è dialogo religioso, molta tranquillità e libertà e molta comunione tra i musulmani e i cristiani. In Iraq, invece, e in Siria la situazione è diversa. Purtroppo, i cristiani nel Nord dell’Iraq vengono perseguitati, loro che sono abitanti originari di quei Paesi. Avete sentito le notizie da Mosul, dove i cristiani - che parlano l’aramaico, la lingua di Gesù, nel centro di Ninive, una provincia antica, presente anche nella Bibbia - sono stati mandati via dalle loro case e anche le chiese sono state prese dagli estremisti e non sappiamo cosa stia succedendo. C’è un monastero molto vicino al mio paese, Karakosh, un monastero antichissimo, che è stato conquistato dagli estremisti. All’interno si trovavano tre sacerdoti. Noi abbiamo vissuto anni e anni con i fratelli musulmani, senza nessun problema, vivendo in pace. La maggior parte degli estremisti non sono iracheni, vengono da altri Paesi, ma hanno creato questo odio. A Mosul sono stati mandati via tutti i cristiani dalle loro case e hanno conquistato le chiese, mentre a Gaza la maggior parte dei rifugiati musulmani vanno in chiesa per trovare protezione e pace, e vengono accolti con molta generosità. Proprio uno dei sacerdoti di Gaza ha detto: "Se gli israeliani distruggono le vostre moschee, voi potrete dire le preghiere nelle nostre chiese". La risposta dell’amore all’odio.

D. – Si stanno susseguendo le manifestazioni di solidarietà di alcuni musulmani nei confronti dei cristiani...

R. – Sì, sì, appunto, e ciò ha creato una reazione molto positiva nei musulmani stessi iracheni, che dicono: “Non si può agire così; noi sappiamo chi siete voi cristiani, perché abbiamo vissuto in pace con voi: siete costruttori di pace”.

D. – La comunità orionina ha un progetto di accoglienza dei profughi siriani. Di cosa si tratta?

R. – Noi stiamo portando avanti lì un progetto da un anno, in aiuto dei profughi siriani che sono arrivati in Giordania. I rifugiati siriani sono più di 10 mila e noi ne aiutiamo quasi 1000, 1500, dando loro cibo, coperte e stufe. Qualcuno di loro viene accolto anche a casa nostra. Li stiamo aiutando da quasi un anno.

D. – Lunedì la Francia ha dato disponibilità ad accogliere i cristiani perseguitati in Iraq. Il primo passo di una comunità internazionale, che fino a questo momento è sembrata quasi indifferente. Perché?

R. – Noi ci aspettavamo dalla comunità internazionale una risposta più forte. Ci siamo sentiti veramente dimenticati da tutto il mondo. In questi ultimi giorni la Francia ha fatto questa proposta ed io, come sacerdote, non la vedo una proposta pratica. Noi non vogliamo, infatti, lasciare il nostro Paese, perché altrimenti dove andrà la comunità cristiana appartenente a questi antichissimi posti, dove il cristianesimo si era radicato? Ringraziamo, però, la Francia che almeno ha dato questa possibilità.

D. – In Europa ed anche in Italia si sono susseguite manifestazioni di preghiera. Sentite questa vicinanza da parte della Chiesa?

R. – Il Santo Padre è intervenuto dal primo momento ed è sempre in contatto con il Patriarca e con i sacerdoti del posto. Sentiamo molto la sua vicinanza. Certamente la preghiera fa miracoli.

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Scontri in Libia, appello del vicario apostolico a Bengasi: Onu intervenga

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Situazione critica in Libia, dove continuano gli scontri e la fuga di migliaia di persone dal Paese. Oggi anche la Spagna ha rimpatriato gran parte del suo personale diplomatico e sono ripresi gli scontri a Tripoli per il controllo dell’aeroporto. Particolare apprensione a Bengasi, dove il portavoce della milizia islamista Ansar al-Sharia ha annunciato la costituzione di un “emirato islamico”, scenario che però il ministro degli Esteri italiano, Federica Mogherini, ha definito "tutto da verificare". Nelle scorse ore il parlamento appena eletto aveva dovuto annullare la sua riunione inaugurale, prevista proprio a Bengasi per il 4 agosto. Davide Maggiore ha raggiunto telefonicamente in città il vicario apostolico, mons. Sylvester Magro

R. - C’è molta insicurezza, perché non c’è una polizia che si assume la responsabilità nel Paese. Noi, come tutti gli stranieri, ci muoviamo con molta cautela: cerchiamo specialmente di non uscire la sera o molto presto al mattino, prima cioè che non vi sia altra gente in strada, macchine in giro e che le città non comincino il loro ritmo di vita. In quelle ore ci sentiamo molto più tranquilli.

D. - Ci sono stati anche degli episodi di attacchi: nelle scorse settimane, ad esempio, è stato attaccato un lavoratore filippino cristiano ed è stato ucciso. Ci sono stati episodi di violenze specifiche contro i cristiani?

R. - Noi abbiamo sentito solo di quel filippino, al quale è capitata questa tragedia… Di altri episodi di questo tipo contro i cristiani non abbiamo sentito niente. Alcuni filippini e indiani sono stati presi: qualche volta sono stati rilasciati e altre volte non si è mai saputo cosa sia successo loro… Ma di atti specificatamente diretti contro i cristiani, non abbiamo finora sentito niente.

D. - Quali sono le difficoltà per svolgere il vostro ministero cristiano?

R. - Ci sono queste bande che girano e questo incute molta paura nella gente: molti non rischiano di venire alla Messa, il venerdì, alle 10.30 del mattino. Qui celebriamo la Messa domenicale il venerdì, il giorno festivo dei musulmani. Noi cerchiamo di andare nei loro locali a celebrare Messa: quindi usciamo dalla nostra chiesa e andiamo verso di loro, verso i centri dove sono più numerosi i cristiani per portare il conforto dei Sacramenti e della preghiera.

D. - In che modo la fede vi aiuta a vivere questa situazione di grande difficoltà?

R. - Noi cerchiamo di vivere sempre con grande fiducia in Dio. Preghiamo la Madonna, Regina della Pace, e naturalmente ci affidiamo a Lei per la nostra incolumità, perché non si sa cosa potrebbe succedere… La situazione è talmente caotica che è difficile veramente orientarsi nello svolgimento del nostro ministero. Perciò confidiamo nella provvidenza misericordiosa del Signore, che ci sostenga con la sua presenza nella nostra vita, in quella di tanti cristiani cattolici e di tanta altra gente che ha bisogno della pace per vivere, per svolgere il loro dovere.

D. - C’è qualcosa che - secondo lei - la Comunità internazionale, gli altri Paesi e l’Occidente potrebbero fare per aiutare la popolazione libica tutta, che soffre di questa situazione a Bengasi?

R. - Aspettiamo che qualcuno intervenga per fermare gli scontri, come - per esempio - le Nazioni Unite, per fare il possibile per interrompere questo stato di cose. Questa è la rovina del Paese, anche socialmente perché porta molti squilibri, molte tensioni, molto odio, molta violenza… E’ difficile guarirne! Quindi se le Nazioni Unite facessero uno sforzo per cercare di riconciliare gli animi e trovare una soluzione o un piano che sia accettabile per tutti, questa potrebbe essere la soluzione a questa tragedia.

D. - C’è un appello che lei vuole fare a chi ci ascolta, attraverso la Radio Vaticana?

R. - Ricordarci nella preghiera, perché quella ci sostiene! Ringraziare il Signore per la pace che godono i nostri Paesi, perché è veramente un dono: se si perde la pace, si perde tutto! Che preghino per noi.

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Argentina, prof. Carlà: secondo tempo del default del 2001

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L’Argentina è ufficialmente in default, il secondo in 13 anni, e rivive così l’incubo del 2001, quando ci fu uno choc da circa 100 miliardi di dollari, con la disoccupazione al 25% e decine di migliaia di persone che si ritrovarono senza casa. Non è infatti andata in porto la trattativa tra Buenos Aires e gli hedge fund Usa - i fondi speculativi - che hanno rifiutato di partecipare alla ristrutturazione del debito. Standard & Poor’s ha da poco tagliato il rating argentino a “default selettivo”, comunque diverso da quello generale: secondo l’agenzia, il Paese onora gli impegni su certi titoli ma non su tutti.

Rispetto a 13 anni fa, il default riguarda una somma relativamente bassa, 539 milioni di dollari, bloccati dalla giustizia americana su un conto della Banca centrale argentina alla Bank of New York: tali fondi sarebbero dovuti servire a pagare gli interessi dei creditori che avevano accettato la ristrutturazione del debito argentino nel 2005 e nel 2010. Ma un giudice di New York ha impedito all’istituto di versare i soldi ai creditori fino a quando Buenos Aires non avrà versato la somma di 1,3 miliardi di dollari a due hedge fund, che invece non hanno accettato l’accordo e pretendono il rimborso della somma intera. Giada Aquilino ne ha parlato con l’economista Francesco Carlà, presidente di ‘Finanza World’, sito di informazione finanziaria: 

R. - In realtà siamo di fronte agli strascichi del primo default che stanno portando l’Argentina a una nuova crisi in questo momento. In particolare si tratta di due fondi di investimento che non hanno aderito alla ristrutturazione del primo default: quindi, anche tecnicamente, è il ‘secondo tempo’ del primo default.

D. - Rispetto al 2001 le cifre appaiono diverse, più basse…

R. - Qui non è tanto un problema di cifre, quanto di negoziazioni che continuano, perché l’Argentina non può pagare in modo differenziato fino al 31 dicembre del 2014 questi due fondi rispetto a tutti gli altri creditori delle obbligazioni, con i quali aveva invece trovato un accordo per il 30% rispetto al capitale. Quindi le negoziazioni, secondo me, continueranno da qui al 31 dicembre 2014, perché quel giorno scade la cosiddetta clausola ‘Rufo’ (Right Upon Future Offers), che è in questo momento il problema vero dell’Argentina.

D. - In cosa consiste?

R. - Consiste nel fatto che non si possono differenziare i creditori. Quindi se ai due fondi di investimento, che beneficiano della sentenza del giudice americano, venisse dato anche un solo 1% in più rispetto a quello che è stato accordato agli altri obbligazionisti, anche a questi creditori spetterebbero le stesse condizioni. In quel caso salterebbe fuori un pasticcio finanziario enorme per l’Argentina, con la necessità di tirar fuori molti più soldi di quelli preventivati. Oggi non è un problema di soldi per Buenos Aires, quanto un problema di complicate questioni legate a come si gestiscono i vari obbligazionisti del primo default e al problema che ha creato - all’Argentina - la sentenza del giudice americano.

D. - A proposito di questa sentenza, la giustizia interna di un Paese può influire sulle politiche economiche di un altro Paese?

R. - In effetti è un po’ anche questa la questione: la presidente argentina Cristina Kirchner sta cercando proprio in questo periodo - da quando cioè è uscita la sentenza americana - di invitare i creditori ristrutturati, cioè gli obbligazionisti con i quali è stato trovato un accordo, a passare sotto la legge argentina; in tal modo si sottrarrebbero i titoli in loro possesso alla giurisdizione americana e quindi potrebbe pagarli senza incorrere nel divieto della sentenza.

D. - Al momento cosa rischia l’Argentina con questo default, che tra l’altro non accetta?

R. - L’Argentina ha due ordini di rischi. Il primo è che i mercati reagiscano immediatamente male allo scenario e creino un problema legato alla sua condizione economico-finanziaria, che già non è decisamente florida. Pensiamo soltanto ad un dato: l’Argentina ha un’inflazione reale al 35% in questo momento. L’altro problema è legato ai cosiddetti Cds, cioè i ‘Credit default swap’, che sono quei famosi contratti assicurativi finanziari che rischiavano di far saltare per aria prima il sistema finanziario americano, poi quello europeo e pure quello italiano. Il problema come sempre è finanziario in questa fase: se l’Argentina non riesce a trovare un accordo con il quale mette tutti gli obbligazionisti sullo stesso piano - sia quelli che hanno trovato un accordo, sia i due hedge fund, i ‘fondi avvoltoio’ come li chiamano loro o semplicemente quelli che non sono stati alle condizioni dell’Argentina - allora per Buenos Aires ci sono due tipi di problemi. Sarà sempre più difficile rifinanziarsi e rifinanziare il proprio debito, quindi avrà dei problemi a ritornare al suo scenario finanziario globale, e contemporaneamente - quando si inaridiscono le fonti finanziarie - anche l’economia ne subisce dei contraccolpi notevoli e può andare in default. Qui c’è pure una lezione importante per tutti gli euroscettici degli ultimi tempi: non basta avere una moneta propria, una sovranità monetaria, per invertire i problemi economici di un Paese. 

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Ebola. Emergenza sanitaria e quarantena in Sierra Leone

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La Sierra Leone, uno degli Stati più colpiti dall’epidemia di Ebola ha dichiarato l'emergenza sanitaria pubblica, messo in quarantena i Centri colpiti e attivato le forze di sicurezza nazionali per il contenimento. Negli ultimi giorni il virus ha ucciso quasi 700 persone, oltre 1.200 i contagiati in Guinea, Liberia, Nigeria e Sierra Leone. Chiusi molti posti di frontiera, diverse le aree presidiate da sanitari. In questo quadro l'Organizzazione Mondiale della Sanità non raccomanda alcuna restrizione di viaggio né la chiusura delle frontiere in Africa occidentale. Massimiliano Menichetti ha parlato della situazione con Fabrizio Pregliasco, virologo dell’Università degli Studi di Milano: 

R. - E’ importante dire che in queste situazioni iniziali di epidemia vanno attuate tutte le misure che oggi conosciamo e sappiamo realizzare al meglio: di controllo alle frontiere, di isolamento, di studio epidemiologico, per limitare la possibilità di diffusione, che rispetto ad altre epidemie di questo stesso virus ci preoccupa di più. E’ difficile, però, comunicare queste informazioni: parlare senza eccedere nei toni, creare allarmismi. Quindi preoccupiamoci in una ottica organizzativa, ma non dobbiamo creare panico!

D. - C’è chi parla, però, di allarmismo perché non ci sarebbe un alto rischio di contagio. E’ così oppure no?

R. - La malattia è contagiosa e questa variante di virus, rispetto all’Ebola che conoscevamo, è meno grave come effetti. E questo fa sì che i malati che sopravvivono, possono facilitare la diffusione della malattia.

D. - Quindi quando dice “meno grave” vuol dire che il paziente vive di più e può contagiare più persone?

R. - Esatto! Il virus Ebola finora conosciuto, ha una letalità del 90% e quindi un effetto che riduce la sopravvivenza dei pazienti. In questi casi la malattia, invece, prosegue nel tempo e il paziente asintomatico può contagiare con maggiore durata, lunghezza e rischio, le altre persone della sua comunità.

D. - Come ci si può contagiare?

R. - Il contagio del virus Ebola avviene attraverso la vicinanza e con le secrezioni nel periodo di incubazione - nei 7-10 giorni prima - e durante la sintomatologia clinica.

D. - Quindi anche con il semplice respirare affianco ad una persona?

R. - La respirazione come tale no, ma con il contatto, con la saliva e le secrezioni. Bisogna essere vicini e passare del tempo.

D. - Esiste una cura?

R. - Per il virus Ebola non esiste una cura specifica: solo il sostegno delle funzioni vitali finché la malattia - se deve guarire - guarisce da sola. 

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Chiude “L’Unità”. Tranfaglia: crisi della stampa e divisione nel Pd

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“L’Unità è viva”, titola l’ultimo numero, oggi in edicola, del quotidiano fondato il 12 febbraio del 1924 da Antonio Gramsci. Organo ufficiale del Partito comunista Italiano, quindi del Pds e dei Ds fino 1991, rimasto di proprietà del Partito fino 1996, poi ceduto a privati, resta testata storica di riferimento del Pd, che nel 2011 ne acquisisce una piccola quota societaria. Ma il giornale perde lettori e sostenitori. Ieri l’accusa del direttore Landò: “hanno ucciso l’Unità”. Roberta Gisotti ha intervistato Nicola Tranfaglia, storico del giornalismo italiano: 

R. – Credo che la crisi dell’Unità derivi sia dalle grandi trasformazioni tecnologiche – che tra l’altro proprio in Europa, particolarmente in Italia, hanno fatto dei canali televisivi il mezzo di comunicazione egemonica – sia dal fatto che l’eredità del Partito Comunista ha generato all’interno del Partito Democratico – una delle componenti maggiori di questa eredità – interne differenziazioni. Per cui, l’attuale presidente del Consiglio e segretario del Partito Democratico, Matteo Renzi, non è mai stato d’accordo con la linea del giornale – a cui io ho collaborato per 30 anni – perché questa linea è legata più ad un altro importante esponente del Partito Democratico che è stato a lungo segretario, Pierluigi Bersani. Questa differenza di indirizzo ha condotto poi - in un momento di difficoltà di tutta la stampa italiana che ha perso molte testate – a questa decisione molto dolorosa per tanti lettori e simpatizzanti che hanno seguito in tutta la loro vita ed anche nella giovinezza un giornale che era per la difesa della Costituzione repubblicana del 1947 e per la coalizione del Centro Sinistra. Questo è quello che noi possiamo dire, sperando che ci siano forze sane che prendano in mano questa eredità e che conducano l’Unità ad una nuova stagione. Questo Partito Democratico è fatto da cattolici e non cattolici, da socialisti e liberali; quindi, al suo interno ha tutte le forze legate all’eredità della nostra grande Costituzione repubblicana che ancora oggi appare una delle migliori Costituzioni europee.

D. – Continuano a chiudere i giornali e perdono spettatori anche le televisioni generaliste. È un rischio per la democrazia se i cittadini perdono riferimenti di identità di massa e si disperdono nei rivoli della rete e dei social network?

R. – Non c’è dubbio. Questo costituisce un pericolo, anche perché  vorrei ricordare che noi siamo nella Comunità dell’Osce – comunità di 31 Stati, che al suo interno ha tutti gli Stati europei ma anche Stati non europei – e siamo tra gli ultimi per i livelli di istruzione media; questo è noto. Quindi, siamo un Paese di scarsa lettura; se poi non esistono nemmeno i quotidiani che ogni giorno ci danno un quadro – se pur discutibile – di quello che succede, le cose sono ancor più drammatiche. Almeno, io penso siano più drammatiche e che sia necessario sostenere gli sforzi di quelli che fanno questo mestiere con onestà e con pulizia.

D. – E’ giusto quindi lanciare un campanello di allarme, al di là poi del credo politico dei cittadini?

R. – Assolutamente sì, il credo politico non c’entra. Quello che conta è essere favorevoli ad una società contemporanea che sia il più possibile giusta e tale da crescere generazioni consapevoli dei doveri e dei diritti; come appunto dice la nostra Carta Costituzionale scritta dopo la Seconda Guerra Mondiale proprio dai partigiani cattolici e non cattolici, socialisti e liberali, democratici e comunisti. Quindi, tutti hanno scritto la Carta Costituzionale. Secondo me i valori che sono scritti in quella Carta sono ancora attuali.

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Scout europei in Normandia, messaggio di pace e fraternità

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Dal primo al 10 agosto si svolge in Normandia il quarto Eurojam europeo, il raduno internazionale degli Scout d’Europa. Saranno oltre 12mila i ragazzi tra gli 11 e i 16 anni (5mila sono italiani) che vi prenderanno parte; e non solo cattolici ma anche ortodossi ed evangelici. Ce ne parla Nicoletta Orzes, presidente dell’Unione internazionale guide e scouts d’Europa, al microfono di Antonio Elia Migliozzi: 

R. – I ragazzi italiani, che fanno parte dell’Associazione italiana guide e scouts d’Europa, che a sua volta fa parte della Federazione delle guide e scouts d’Europa, si ritroveranno in Francia e in Normandia con altre migliaia di ragazzi. Questa sarà un’occasione importante di fraternità, di condivisione e di scoutismo, soprattutto. Questa riunione internazionale è un vero e proprio campo scout. Si vivrà, quindi, sotto le tende, per dieci giorni, e i ragazzi si incontreranno tra loro, faranno giochi ed esperienze di fraternità, e ci sarà un pellegrinaggio a Lisieux, che è la terra natale di Santa Teresa del Bambino Gesù. La Normandia è stata scelta appositamente per lanciare un messaggio di pace, in modo che i ragazzi, a 70 anni dal termine della Seconda Guerra Mondiale, possano essere protagonisti dell’Europa futura. Sarà un’Europa, speriamo, costruita sulla pace e sulla fratellanza. L’Eurojamboree si svolge ogni dieci anni e questo è il quarto che viene organizzato dall’Unione internazionale.

D. – Ritiene la proposta educativa scout valida anche oggi?

R. – Sicuramente sì. Lo scoutismo è certamente uno dei motori pedagogici della crescita completa della persona, per come era stato pensato da Baden-Powell ormai più di cento anni fa, calibrato proprio sulla crescita e la progressione personale dei ragazzi sin dall’età più piccola, fin dai lupetti e le coccinelle, che entrano a 8 anni. E forse oggi, più che in passato, è necessaria un’educazione con i mezzi concreti dello scoutismo. Lo scoutismo è basato sulla concretezza di vita dei valori evangelici. Già vedendo nella natura l’opera di Dio, ci si apre alla ricerca della volontà di Dio nella propria vita, a costruire un cammino personale che sia fondato su quello che il Signore chiede e su quello che il Signore ha preparato per noi. Il motto dell’Eurojamboree, tra l’altro, sarà proprio tratto dal Vangelo di Giovanni ed è “Venite e vedete”, cioè venite a sperimentare le bellezze che Dio ha preparato per voi.

D. – Quanto è stata forte la dimensione spirituale e religiosa nel suo percorso come scout?

R. – Nel mio percorso personale è stata veramente fondamentale. Io sono entrata nello scoutismo non da piccolina, ma da adolescente, proprio perché mi sono innamorata di quello che gli scout facevano nel posto in cui abitavo. Essendo, quindi, entrata nell’adolescenza, che è un po’ il momento importante in cui la fede può essere messa in discussione, io mi sono proprio innamorata del fatto che lo scoutismo mi facesse scoprire una dimensione religiosa, nelle situazioni normali della mia vita: stando, quindi, con i miei amici, camminando con loro, vivendo nella natura. Ovviamente questo è maturato adesso nelle mie scelte: io sono medico, lavoro in ospedale, sono una madre di famiglia. Questi valori, dunque, che lo scoutismo mi ha fatto scoprire e che sono i valori evangelici alla fine, poi hanno avuto la possibilità di essere vissuti concretamente anche nella mia vita adulta.

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Nella Chiesa e nel mondo



Siria. Aleppo: missile presso chiesa armeno-cattolica, 3 morti

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Nel pomeriggio di ieri un missile lanciato dalle zone di Aleppo controllate dai ribelli è caduto nell'area della parrocchia armeno-cattolica della Santissima Trinità, nel quartiere di al-Meydan, provocando la morte di 3 armeni adulti, due sorelle e un uomo. Il missile ha danneggiato il muro di cinta, un terrazzo della canonica e ha infranto le vetrate della chiesa provocando danni anche a un altare dove è collocata una statua della Vergine Maria proveniente da Marash, città simbolo del genocidio armeno.

”Erano circa le 18,15 e in quel momento” riferisce all'agenzia Fides padre Joseph Bezouzou “eravamo in chiesa per celebrare la Messa quotidiana. Se il missile fosse caduto all'uscita della Messa, sarebbe stata una strage. Ringraziamo il Signore”. La parrocchia aveva organizzato per il prossimo fine settimana un raduno di giovani, anche allo scopo di allentare la tensione tremenda che da anni accompagna la vita quotidiana dei ragazzi e delle ragazze di Aleppo.

“Abbiamo deciso di rimandare tutto” spiega a Fides padre Bezouzou “perchè dopo quello che è successo non si possono esporre i giovani a nuovi rischi. Ma domenica, dopo la Messa, pianteremo un ulivo nel luogo in cui è caduto il missile, e sotto la pianta porremo una scritta in arabo con le parole 'pace' e 'Dio è amore'. Questa è la nostra unica risposta alle bombe e alla violenza che da anni prova a devastare le nostre vite”. (R.P.)

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Iraq. Mons. Nona: a Mosul chiese occupate ma nessuna distrutta

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Dopo la distruzione di monumenti storici della città di Mosul da parte dei miliziani dello Stato Islamico, tra gli abitanti della seconda città dell'Iraq ha preso forma il primo movimento locale di resistenza armata contro i jihadisti che hanno proclamato la creazione di un Califfato Islamico nella regioni a cavallo del confine tra Siria e Iraq. Secondo testimoni locali, nell'ultimo fine settimana almeno 5 miliziani islamisti sarebbero stati uccisi in esecuzioni mirate eseguite da gruppi di giovani organizzatisi in gruppi armati di resistenza - le cosiddette “Brigate Mosul” - per contrastare il regime imposto alla città dagli islamisti.

A provocare la reazione di rigetto nei confronti degli occupanti - riferisce l'agenzia Fides - sarebbe stato in particolare lo spettacolo della Tomba del profeta Giona fatta saltare in aria dai miliziani del Califfato lo scorso 24 luglio. La stessa sorte è toccata alla Tomba di Set, e gli islamisti minacciano di continuare a radere al suolo i siti religiosi da loro considerati come espressione di culto idolatrico.

Al momento presente, il vescovo caldeo di Mosul mons. Amel Shimon Nona smentisce invece gli allarmistici annunci circolanti nel Web su una presunta distruzione generalizzata delle chiese e dei luoghi di culto cristiani: “Alcune chiese e alcuni edifici appartenenti alle chiese e alle comunità cristiane sono state occupati” conferma all'agenzia Fides il vescovo caldeo “ma finora non ci sono state distruzioni. E continua a inquietarmi l'idea che le sofferenze e i problemi dei cristiani dell'Iraq e del Medio Oriente in questo momento così travagliato possano diventare pretesto di operazioni allarmistiche e di propaganda, evidentemente interessate a raggiungere altri scopi”. (R.P.)

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Ucraina: Kiev annuncia tregua di un giorno nell'Est del Paese

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Il governo di Kiev ha annunciato oggi una tregua di un giorno nella parte orientale del Paese per consentire agli investigatori internazionali di accedere alla zona dove è precipitato l'aereo della Malaysia Airlines abbattuto sui cieli dell'Ucraina che ha causato 298 morti. Kiev - precisa l'agenzia Adnkr - ha annunciato la tregua in risposta alla richiesta diretta del Segretario generale dell'Onu Ban Ki-Moon.

Le truppe governative intorno alla regione di Grabovo, nella zona di Donetsk non porteranno  a termine operazioni belliche in modo che gli scontri non ostacolino l'inchiesta sulla tragedia, è stato reso noto. Ma nelle vicinanze del sito dello schianto dell'aereo malese dove oggi sono riusciti ad arrivare gli osservatori internazionali incaricati di stabilire i motivi della sciagura sono state udite delle forti esplosioni.

Oggi intanto - riferisce l'agenzia Agi - il Consiglio dell’Unione Europea ha adottato formalmente le sanzioni contro persone ed enti russi che hanno contribuito a destabilizzare la situazione nell’Ucraina dell'Est. Questa decisione, precisa il Consiglio, dà valore giuridico all'accordo raggiunto due giorni fa. Per ridurre l'accesso della Russia ai mercati dei capitali Ue, non si potranno più acquistare o vendere titoli e derivati emessi dalle grandi banche pubbliche russe, dalle banche di sviluppo e dalle loro filiali e da chi agisce in loro nome.

Inoltre, è stato imposto un embargo su importazioni ed esportazioni di armi e materiale collegato in provenienza o destinato alla Russia e riguarda l'insieme degli articoli che fanno parte della lista comune degli equipaggiamenti militari dell'Unione europea. (R.P.)

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India: in Madhya Pradesh radicali indù perseguitano i cristiani

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"In Madhya Pradesh l'assoluta mancanza di volontà politica di controllare gli elementi più pericolosi incoraggia i fondamentalisti indù a perseguitare e intimidire la vulnerabile comunità cristiana". Lo denuncia all'agenzia AsiaNews Sajan K George, presidente del Global Council of Indian Christians (Gcic), dopo una serie di attacchi perpetrati contro la minoranza cristiana nello Stato.

L'ultimo è avvenuto il 27 luglio scorso a Nagda, una cittadina a 55 chilometri da Ujjain, famosa città sacra per l'induismo del Madhya Pradesh. Durante il servizio domenicale - cui partecipavano circa 25 persone, per lo più donne - una trentina di militanti del Vishwa Hindu Parishad (Vhp) e del Bajrang Dal hanno fatto irruzione. Accompagnati da poliziotti armati di pistole, hanno interrogato il rev. Rakesh Goyal, chiedendogli se stava convertendo qualcuno al cristianesimo.

Il 30 giugno un gruppo di fondamentalisti ha interrotto un incontro di preghiera di una chiesa indipendente e picchiato il pastore Chimnan Lal, insultandolo per la sua fede e accusandolo di praticare conversioni forzate. Giunta sul posto, la polizia ha arrestato il reverendo, tenendolo in prigione per otto ore.

Il 14 giugno a Gayatri Nagar, circa 15 estremisti indù hanno aggredito il rev. Robin Masih e alcuni fedeli della Brethren Church, all'uscita da un servizio di preghiera. Dopo hanno bruciato la Bibbia.

Questi gruppi radicali, spiega ad AsiaNews Sajan George, "lanciano false accuse di conversioni forzate contro i pastori pentecostali, così da poter far applicare la nefasta legge anti-conversione che vige nello Stato".

Nell'agosto 2013 il governo del Madhya Pradesh ha approvato un emendamento al Madhya Pradesh Freedom of Religion Act 1986, che ha reso la legge ancora più dura. La modifica impone ai sacerdoti di fornire alle autorità locali tutti i dettagli relativi alla persona che ha deciso di cambiare religione almeno 30 giorni prima della cerimonia, e multe salatissime per chi non la rispetta.

L'esecutivo dello Stato indiano è retto dal Bharatiya Janata Party (Bjp), partito ultranazionalista indù vicino ai gruppi fondamentalisti responsabili di violenze contro le minoranze. Dallo scorso maggio questa formazione è anche alla guida del governo centrale dell'India, con Narendra Modi Primo ministro. (R.P.)

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Usa: Bibbie ai bambini migranti sudamericani in stato di fermo

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Mille Bibbie donate ai bambini migranti sudamericani in stato di fermo negli Stati Uniti: questa l’iniziativa della Conferenza episcopale statunitense (Usccb) che si è occupata della raccolta delle Sacre Scritture, donate dall'American Bible Society e dalla Casa editrice Verbo Divino, e della loro distribuzione ai minori non accompagnati che si trovano nel Centro di detenzione di Tucson, in Arizona, al confine con il Messico.

È stato mons. Gerald F. Kicanas, vescovo di Tucson, a richiedere la donazione delle Bibbie per colmare i bisogni spirituali dei minori migranti, mentre attendono un futuro incerto. “I loro bisogni fisici sono soddisfatti, ma le copie delle Bibbie in lingua spagnolo potranno essere loro di conforto”.

Ad oggi, sono 52mila i minori in stato di fermo tra Messico e Stati Uniti provenienti da Honduras, El Salvador e Guatemala. Un problema affrontato in questi giorni da mons. Guillertmo Ortiz Mondragòn, vescovo di Cuatitlàn e responsabile della Dimensione della mobilità umana presso la Conferenza dei vescovi messicani, in occasione di un incontro tra presuli messicani e del Centro America.

Secondo il presule, le ragioni del flusso massiccio di minori non accompagnati è dovuto “alla falsa informazione su una riforma della legge migratoria ormai imminente”, e che, al contrario, è ancora in fase di stallo. La falsa notizia viene diffusa dai così detti “coyote”, ovvero i responsabili del traffico di persone, per richiedere alle famiglie fino a 12mila dollari in cambio del miraggio di un futuro migliore.

Negli ultimi mesi, le diocesi americane e gli organismo caritativi cattolici hanno offerto il loro aiuto per rispondere alla crisi umanitaria, mentre continua il dialogo interno alla Usccb e alla Caritas Internationalis per dare assistenza e trovare una soluzione. Nel suo intervento Mos. Mondragòn ha chiesto di aumentare gli sforzi congiunti della Chiesa, della società civile, delle autorità e delle imprese “per trovare soluzioni integrali al problema”.

Un appello ai governi che ricorda le parole del card. Rodriguez Maradiaga, presidente di Caritas Internationalis, che, in occasione della Conferenza nazionale sulle migrazioni tenutasi agli inizi di luglio a Washington, ha ribadito che “garantire i diritti dei bambini migranti è l’ultimo passo, ma dobbiamo anche lavorare per assicurare lo sviluppo della persona nella sua interezza con l’istruzione, la formazione e la crescita spirituale”. (C.G.)

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Mali: forum dell’Unione della stampa cattolica africana

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“I mass media, fattori di pace e di dialogo in Africa”: su questo tema la città di Bamako, in Mali, ha ospitato il forum dell’Unione cattolica africana della stampa (Ucap) che si è concluso ieri. Ad aprire i lavori è stato il ministro per gli Affari religiosi ed il culto del Mali, Thierno Amadou Omar Hass Diallo, il quale ha invitato i giornalisti cattolici ad essere “portatori di fede cristiana e messaggeri di pace”. “Diffondete informazioni – ha detto – che servano a rinsaldare il tessuto sociale, a mantenere l’unità nazionale, insieme alla coesione sociale, sviluppando la comunicazione reciproca”.

Dal suo canto, mons. Jean Zerbo, arcivescovo di Bamako, ha sottolineato che “è facile gestire un conflitto politico; ma quando si mescolano tensioni etniche e religiose, allora c’è il rischio di una catastrofe”. Per questo, il presule ha esortato i giornalisti della carta stampata, della radio e della televisione a riflettere su “la grande parte di responsabilità” che essi hanno nella “gestione di problemi simili”.

Infine, il presidente dell’Ucap, Alexandre Le Grand Rouamba, ha evidenziato come “la comunicazione della fede al servizio dell’evangelizzazione rappresenti una sfida importante”, perché “il messaggio cristiano deve essere trasmesso tale quale è, ovvero una sconfinata apertura all’uomo, alla donna, alla vita, alla libertà, alla pace, allo sviluppo, alla solidarietà ed alle virtù”. Per trasmettere questo messaggio, ha concluso Rouamba, “bisogna innanzitutto comprendere la fede e farne un’esperienza positiva”, poiché “questa è un’esigenza dei comunicatori cattolici che ci impegna in prima persona: nella diversità delle nostre convinzioni, la fede al servizio della pace deve essere il collante di ogni azione”.

Oltre all’Ucap, i lavori sono stati organizzati anche dall’Associazione dei giornalisti cattolici del Mali, insieme all’Università cattolica locale; ma l’evento ha visto la partecipazione anche di esponenti musulmani. In totale, sono stati 14 i Paesi africani, francofoni ed anglofoni, presenti al convegno. (I.P.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVIII no. 212

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.

e attraversano il Mediterraneo. In questa occasione più di una volta è stato richiamato il ruolo dell’Europa e la necessità che l’Europa si mostri compatta e unita nell’assistenza verso queste persone. Lei ritiene che ci sia questa unità?

R. - Noi si dice sempre, a torto o a ragione, che l’Europa dovrebbe aiutare di più perché noi in questo caso non siamo Italia solo ma siamo un po’ i confini dell’Europa. Però non dobbiamo dimenticare nemmeno che l’Europa da’, e da’ parecchio, non è sufficiente, è vero, dovrebbe dare di più e avere più coscienza del fatto che Italia, Spagna, e Grecia sono i confini dell’Europa del Sud, ecco allora che si dovrebbe sentire certamente più impegnata. Ma ci sono delle leggi a livello europeo che prevedono, e faccio un esempio, che se un migrante o se un rifugiato arriva in Italia e non vuole restarci ma vuole andare in Francia, è solo un esempio, la Francia lo blocca perché secondo i patti che i Paesi europei hanno sottoscritto, il Paese che accoglie questi migranti e questi rifugiati è il Paese che deve prendersi cura di queste persone. Ecco, quand’è così, l’Europa aiuta e non, perché se si volesse aiutare meglio bisognerebbe permettere a questa gente di andare dove vuole, poi è innegabile che finanziariamente l’Italia è stata esemplare con tutto il progetto di Mare Nostrum e che l’aiuto dell’Europa c’è stato ma non è sufficiente. L’esodo di numerose famiglie, soprattutto dal Corno d’Africa e dal Medio Oriente, tocca immediatamente tutti i Paesi del Mediterraneo, che sono, per loro, la via d’accesso all’Europa. Questo fenomeno pertanto riguarda l’intera comunità dell’Unione Europea. L’Europa vanta a buon diritto una lunga storia di civiltà e di accoglienza, volta a promuovere e tutelare i diritti dei singoli e delle comunità, comprese le minoranze etniche. Infatti, l’esperienza della migrazione di massa, di cui il nostro Continente è stato protagonista nel secolo scorso, ha fortemente ispirato le scelte politiche degli Stati membri per governare il fenomeno attuale dell’immigrazione. Tutto questo a partire dalle sue radici cristiane, dove la solidarietà e il riconoscimento dei diritti fondamentali della persona umana costituiscono un importante punto di riferimento. Per non tradire il suo passato e per costruire un futuro migliore, l’Europa ha quindi una via irrinunciabile da percorrere: quella che tutela, rispetta e promuove la persona umana nella sua integralità, soprattutto con attenzione a garantire le fondamentali libertà. Di conseguenza, la Comunità internazionale deve adottare misure concrete, fattibili e lungimiranti per un’azione concertata a tre livelli. Anzitutto, perché le popolazioni siano aiutate nei Paesi d’origine, facendo il possibile perché si realizzi il diritto a non emigrare, e qui ritorno a quanto detto prima, a ciò che l’Europa che aveva promesso di dare ai Paesi di maggiore emigrazione, e che poi non ha dato.   In secondo luogo, sono importanti le convenzioni bilaterali e multilaterali, che offrano sicurezza a coloro che emigrano. Nel caso delle migrazioni forzate, è indispensabile l’apertura di canali umanitari, che però devono avere un carattere tempestivo e provvisorio, in risposta a vere emergenze.  Infine, la sinergia di tutte le forze disponibili non deve mancare nei processi di sostegno e di integrazione, dove si favorisce la crescita di società che rispettano le diverse identità nella costruzione dell’unità, tendendo al bene comune. Le questioni poste dai flussi migratori toccano anzitutto la realtà stessa dell’emigrazione: correttamente gestita, nella regolarità e nella sicurezza, essa non è una minaccia, ma può essere un’opportunità per l’Europa, che oggi appare stanca e invecchiata. Quando l’Europa riconosce le radici cristiane della sua generosa apertura al prossimo, il continente ringiovanisce, poiché le sue radici sono caratterizzate dall’accoglienza, dal rispetto della diversità e dalla ricerca del bene comune. Auspichiamo, auspico, pertanto un’Europa aperta, solidale, rivolta allo sviluppo umano integrale e al bene comune, ove favorire esperienze di dialogo e ambiti di scambio culturale, sociale ed economico. Verso queste persone l’Europa deve continuare a compiere ogni sforzo tanto nell’ambito della loro accoglienza quanto in quello della loro integrazione.

 

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Udienze e nomine

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Il Santo Padre Francesco ha ricevuto oggi in Udienza S.E. Mons. Pio Vito Pinto, Decano del Tribunale della Rota Romana.

Il Santo Padre Francesco ha accolto la rinuncia al governo pastorale dell’Eparchia di Chanda dei Siro-Malabaresi (India) presentata da S.E. Mons. Vijay Anand Nedumpuram, C.M.I., a norma del can. 210 § 1 del Codice dei Canoni delle Chiese Orientali (CCEO). Il Papa ha nominato Vescovo Eparchiale di Chanda dei Siro-Malabaresi (India) il Rev.do Sacerdote Ephrem Nariculam, del clero di Ernakulam-Angamaly dei Siro-Malabaresi, finora Cappellano della Comunità Siro-Malabarese di Toronto (Canada). Il Rev.do Ephrem Nariculam è nato il 10 dicembre 1960 a Sanjopuram, nell’Arcieparchia di ErnakulamAngamaly, dove è stato ordinato sacerdote il 27 dicembre 1986.

Ha compiuto gli studi ecclesiastici a Poonamallee e Bangalore, dove ha conseguito un dottorato in Teologia Spirituale al Saint Peter’s Pontifical Institute. Parla l’indi e il marathi, oltre all'inglese e al malayalam. È stato parroco in Ernakulam e in Delhi prima di prestare servizio nell'Eparchia di Chanda, dove è stato Rettore del Seminario Minore per sette anni. Inviato in Canada, ha svolto i seguenti incarichi: Docente alla Toronto School of Theology, e, sempre a Toronto, Coordinatore della formazione sacerdotale al St. Augustine’s Seminary e Cappellano della Comunità Siro-Malabarese.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Incubo a Gaza.

Un Papa pacificato: in prima pagina, il vice direttore ricorda quando Paolo VI andò a pregare sulla tomba del cardinale Pizzardo.

Verso la sera della Trasfigurazione: gli ultimi giorni di Paolo VI nei ricordi di Renato Buzzonetti, uno dei medici che lo hanno assistito.

Nell'era di Dionigi il Piccolo: Giovanni Cerro sul calendario cristiano e i suoi oppositori.

Un articolo di Rossella Fabiani dal titolo "In difesa degli antichi splendori": l'istituzione culturale dell'emirato di Sharjah che ha recuperato la chiesa di San Teodoro a Behdaidat in Libano.

Quando i confini si restrinsero nuovamente: Giulia Galeotti descrive la partecipazione femminile alla Grande guerra.

Vita e morte non sono divisibili: Marcello Filotei sulla musica e il primo conflitto mondiale.

Provocatori provocati: Sandro Barbagallo rivolge uno sguardo retrospettivo all'arte estrema contemporanea.

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Oggi in Primo Piano



Gaza. Margelletti: offensiva Israele avanti fino a distruzione tunnel Hamas

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Proseguono gli scontri in Medio Oriente. I raid israeliani in mattinata hanno ucciso 7 palestinesi portando a 1.363, fra cui 250 bambini,  il totale dei morti in 24 giorni di conflitto. In Israele sono stati, invece, uccisi 56 soldati e due civili. In questo clima arrivano le dichiarazioni dell'Alto Commissario Onu per i D