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Sommario del 26/07/2014

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Caserta accoglie Papa Francesco

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Caserta accoglie il Papa, giunto nel primo pomeriggio di oggi per una visita di alcune ore. Alle 16, in programma l’incontro con i sacerdoti della diocesi e, alle 18, l’abbraccio con i fedeli durante la Messa sulla piazza Carlo III, antistante la Reggia. L'arrivo del Papa è la risposta al bisogno di solidarietà che la cittadinanza tutta vive da molto tempo. Il servizio della nostra inviata a Caserta, Francesca Sabatinelli

Un’altra terra del sud per Francesco, un’altra realtà intrisa di difficoltà, di crisi concrete che ogni giorno sfidano gli abitanti che dal Papa aspettano una parola forte, l’incoraggiamento necessario alla ricrescita e al riscatto che da tempo stanno cercando. Caserta e i suoi comuni hanno tanti nomi, come “terra dei fuochi”, per ricordare il veleno che trasuda dal suolo e che continua a mietere vittime. Solo uno degli aspetti del degrado che stringe in una morsa tutta la zona, condannata da una crisi economica che investe le famiglie, dalla disoccupazione che affligge i giovani, mali che finora hanno impedito il reale sviluppo di una terra bella e ricca di risorse, depredate dal malaffare e dalla corruzione. Qui, dove le complicità con la criminalità organizzata, con la camorra, hanno tolto il respiro, i fedeli si avvicineranno a Francesco per cercare in lui la luce. Sono fieri di essere riusciti a predisporre una bellissima accoglienza, nonostante i pochi giorni a disposizione. Sono felici che il Papa arrivi per la festa della loro Santa Patrona, Anna, e sono soprattutto onorati che ritorni nella loro città a distanza di soli due giorni, lunedì 28, seppur in forma privata, per l’incontro con il pastore evangelico, Giovanni Traettino. “Dal Papa aspettiamo la scossa”: sono le parole con le quali il vescovo, mons. D’Alise, descrive lo stato d’animo della città. Questa visita sarà un’occasione per stimolare le coscienze di tutti, soprattutto dei ragazzi che in questi anni hanno dimostrato di voler combattere contro i soprusi, la violenza, le diseguaglianze sociali, anche nel nome di chi per loro si è fatto uccidere, come don Peppino Diana, assassinato venti anni fa esatti dalla camorra a Casal di Principe, a una manciata di chilometri da Caserta. Sarà anche un’occasione però per far conoscere le bellezze di una terra ricca di devozione, dove si vivono anche importanti esempi di integrazione, accanto alla difficoltà di essere stranieri e più poveri tra i poveri. Caserta e i suoi cittadini dunque sono in attesa delle parole del Papa, da lui cercheranno la forza per trasformarle in azioni.

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Caserta. Il sindaco e i giovani: da Francesco spinta al rilancio

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Papa Francesco è atterrato poco prime delle 16.00 all’eliporto della Scuola sottufficiali dell'Aeronautica militare, presso la Reggia di Caserta. Ad accoglierlo, vi sarà fra gli altri il sindaco della città, Pio Del Gaudio, che si è molto prodigato perché la gente della sua città potesse stringersi al Papa. L’intervista è di Francesca Sabatinelli

R. – Papa Francesco ha ascoltato la nostra richiesta estremamente accorata. La mia richiesta era stata affidata al vescovo e in 7-8 giorni Papa Francesco ha deciso di trasformare la visita privata in pubblica. Credo che questo abbia un grande significato: se Papa Francesco ha scelto Caserta, ha scelto la città di Caserta, ha scelto la provincia di Caserta, vuol dire che vuole dare un messaggio simbolico importante. E’ un evento per noi, è un rilancio dell’immagine della città. Un evento dal quale in qualche modo si riparta. Poi, Caserta, in particolare, è una città positiva. Purtroppo, la provincia ha qualche problemino. Io però ho visto tanto entusiasmo, anche da parte dell’organizzazione e ci aspettiamo anche molto da quello che dirà Papa Francesco. Siamo certi che Papa Francesco sappia interpretare bene quelle che sono le ansie del nostro territorio.

D. – Caserta poi dovrà tramutare in azione, dovrà dare seguito alle parole che oggi Papa Francesco affiderà…

R. – La città di Caserta purtroppo è fagocitata. Il nostro territorio ha delle negatività, camorra e quant’altro… Però, la stragrande maggioranza delle persone è positiva. Lo Stato sta intervenendo in maniera violenta nelle zone a rischio, quali Casal di Principe, Castel Volturno. Anche se è brutto aspettare il Papa per ascoltare con più attenzione, io credo che il territorio farà tesoro di questa visita. Inviteremo di nuovo il Papa a verificare fra un po’ di anni!

Entusiasti anche i giovani per l’ormai imminente incontro con Papa Francesco. Le voci di alcuni di loro al microfono di Francesca Sabatinelli

R. – È un’emozione grandissima. Non ce lo aspettavamo. È una grande gioia per tutti noi casertani ricevere il Papa qui.

D. – Esattamente, cosa vi aspettate da questa visita?

R. – Che porti la conversione di tanti giovani. C’è molta disoccupazione e speriamo che il Papa ci porti questa speranza.

D. – Che cosa speri di udire dal Papa?

R. – Un messaggio rivolto ai giovani, soprattutto su come affrontare un avvenire che, alcune volte in Italia, sembra tapparsi. Quindi, Francesco può sicuramente darci la carica.

D. – Si parla tanto dei mali di questa terra, ma le cose positive? Oltre a voi giovani…

R. – Il fatto che i giovani del Sud, della Campania, sono ragazzi determinati, proprio perché che vogliono cambiare il proprio status. Non è vero che non vogliamo reagire.

R. – Abbiamo tanta disponibilità, tanta forza di volontà e secondo me abbiamo un grande cuore che non sempre dimostriamo. Però, questi incontri ci possono dare la chiave per esplorare nuovi mondi e la forza per andare avanti. Spero che il Papa ci dia speranza, ciò che più ci serve oggi, non solo a noi giovani, ma anche ai cinquantenni che perdono il lavoro che purtroppo si trovano in difficoltà. Quindi, penso che il Papa debba fare proprio questo oggi: dare speranza a tutti noi.

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Caserta. Un parroco: Francesco ci insegna la fede dei fatti

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Sono passate circa due settimane dalla tensione che ha sconvolto Pescopagano, frazione di Castel Volturno, nel casertano, dove immigrati e abitanti si sono fronteggiati in una vera e propria guerriglia, che ha portato al ferimento di due ivoriani e all’arresto di due italiani. Uno dei tanti episodi di conflitto sociale che dilania la terra che sta per accogliere Papa Francesco, dove il delicato equilibrio tra italiani e migranti è messo a dura prova dalla camorra, dalla povertà, dal degrado, dallo sfruttamento. Don Guido Cumerlato è parroco a Pescopagano e missionario dell’opera Piccola Casetta di Nazareth. E’ abituato a dividere la sua vita con gli abitanti, italiani e non, di questa zona. Lui li conosce bene e per questo non vuole parlare di razzismo, al contrario, ci dice, è molto importante spiegare allo straniero che ha i suoi diritti, ma ricordargli anche che ha i suoi doveri. E don Guido ora inizia a sperare in una futura ripresa. Francesca Sabatinelli lo ha intervistato: 

D. – Si respira calma, però una calma che attende risposte concrete. Calma nel senso che non si sono più ripetuti quegli episodi accaduti il 13 e 14 di questo mese, però il paese aspetta risposte. Si è già visto un segno evidente per la presenza particolare delle Forze dell’ordine, per la presenza dei sindaci coinvolti, quello di Castel Volturno e quello di Mondragone, ora si attende la continuità e un programma d’azione.

R. - Un programma d’azione in quella zona richiede molta energia e un ampio intervento. Lei stesso più di una volta ha denunciato il gravissimo degrado di tutta l’area…

D. – Sì, perché i problemi sono collaterali, o meglio c’è un groviglio di problemi. Quello che i mass media hanno messo in luce è stata la questione della presenza dello straniero che, come povero, esige un riconoscimento della sua identità, quindi non soffermiamoci su ciò che hanno fatto, che è grave, però la loro voce dice al mondo intero: riconosceteci come tali, abbiamo desiderio di vivere una vita tranquilla. Sotto però ci sono altri problemi del territorio. Noi siamo a Caserta, si sa che è una terra provata, in tutti i sensi, per la presenza di criminalità, per il degrado, per i problemi del lavoro, e il territorio di Pescopagano ha un’esigenza specifica: quella del riconoscimento dell’identità dei residenti, perché è una terra che è ancora priva di fogne, di luce, e di strade. Tengo a precisare però che il problema sta arrivando alla soluzione, ci sono i progetti a livello regionale e provinciale che mirerebbero alla riqualificazione dell’ambiente.

R. – Quanta rabbia c’è, quanto antagonismo, in questo momento tra le due parti, detto in modo brutale: tra bianchi e neri?

D. – Rabbia non c’è. A Pescopagano vi assicuro – in quanto è da 12 anni che sono parroco e missionario – rabbia non c’è perché la vita comune tra straniero e italiano, tra residente e non residente, è familiare. Voi potete vedere con molta semplicità africani e italiani lavorare insieme, condividere lo stesso piatto, vivere nella stessa casa. Quindi, dire che ci sia contesa e rabbia, questo no. C’è magari un po’ di stanchezza, di sfiducia, di delusione, questo sì.

R. – Quindi, non è certo l’integrazione quella che manca. Il problema è la povertà?

D. – Infatti, i giornali hanno un po’ esagerato. Qui viviamo in una sorta di guerra tra poveri, che chiede voce, chiede comprensione. Ovviamente, io mi riferisco al territorio di mia competenza. Se ci si allunga un po’ oltre, verso Castel Volturno, lì ci sono ancora guerre tra bande, rivalità, interessi diversi e allora entriamo in un giro più vasto. E può nascere allora contesa nel momento in cui non ci si comporta correttamente, si ruba, e via dicendo.

D. – Le persone che vivono senza fogne, dove non c’è lavoro e vige la legge della criminalità, quali speranze hanno? Come vivono i giovani?

R. – I giovani emigrano, la maggior parte emigra, va fuori. Il fazzoletto a me affidato è quanto mai piccolo… Faccio solo una precisazione: a livello di anime ho soltanto 800 persone, il fazzoletto è piccolo, ma posto in una zona territoriale così particolare che siamo in zona di frontiera, di passaggio, e quindi zona che richiede un’attenzione particolare. Alcuni giovani scelgono la microdelinquenza, ma ho visto che in virtù della presenza delle istituzioni, delle Forze dell’ordine, la cosa sta calando e mi auguro che questo porti a un risveglio in senso positivo.

D. – In questa realtà sta arrivando Papa Francesco…

R. – Eh sì. E’ una luce di speranza, una luce di speranza molto chiara, fraterna e concreta. Perché qui, in queste terre, c’è bisogno di una fede concreta più che parlata, che agisca, che si faccia vicina a coloro che chiedono una mano. Mi auguro che tutto ciò che si è mosso a seguito del grave episodio dei giorni scorsi, evolva al positivo. Più volte mi sono fatto voce di coloro che non avevano voce a riguardo per una ripresa del territorio. Il desiderio è solo questo: il bene di quella terra, perché pur essendo martoriata e luogo di povertà è ricchissima di risorse ma anche di persone che credono, desiderano e vogliono il bene.

Una delle Associazioni da sempre in prima linea nella formazione e sensibilizzazione alla legalità in Italia è “Libera, associazioni nomi e numeri contro le mafie”, fondata da don Luigi Ciotti. Radicata è la sua presenza e la sua attività anche in Campania, come racconta Gianni Solino, coordinatore a Caserta di “Libera”, intervistato dalla nostra inviata, Francesca Sabatinelli

R. – Noi abbiamo avuto almeno 20 anni di lotta serrata alla camorra, con un reticolo di associazioni che poi vede in Libera, in questi ultimi anni, una sorta di catalizzatore, un punto di riferimento, che ha portato a utilizzare i beni confiscati. Caserta è una delle esperienze più avanzate in questa vicenda dei beni confiscati e dell’uso sociale, che ha portato a sostenere con forza l’azione energica dello Stato negli ultimi anni e che ha smantellato quasi del tutto i clan, cioè l’apparato militare del clan dei Casalesi quasi non esiste più. Questo non significa che la guerra sia finita, tutt’altro: significa che bisogna andare fino in fondo. Però, possiamo essere soddisfatti di questo impegno, possiamo essere fiduciosi per il futuro. Ovviamente, questo significa andare avanti sulla strada tracciata a partire dall’uso dei beni confiscati, perché è una lotta che non ha soste. Se tu vai avanti, loro vanno indietro. Diversamente, tu stai fermo o indietreggi? Sono loro che vengono avanti…

D. – La coscienza civile in questi anni è aumentata, è migliorata, è progredita?

R. – Sicuramente tantissimo, perché – faccio un esempio – i primi anni, quando si arrestava un latitante, eravamo si è no quattro gatti di noi ad esultare. Lo spettacolo di quando è stato arrestato Jovine oppure Zagarìa è stato uno spettacolo straordinario, con centinaia di persone che abitavano lì vicino, che applaudivano! Poi, certo, ci sono quelli che dicevano che la camorra dà lavoro, che la camorra tutto sommato era un fattore economico… Ma rispetto al passato il cambiamento è così evidente, è palpabile. Ed è ovvio anche questo, perché mano a mano che lo Stato ha inferto colpi sempre più forti e l’apparato militare viene smantellato, la gente è più libera: può parlare. Perché qui l’oppressione è stata davvero totale negli anni Settanta, Ottanta, Novanta… Insomma, c’è stata proprio una dittatura militare, come la definiva il nostro don Peppino Diana.

D. – Tu sei di Casal di Principe dove è nato e morto don Peppino Diana?

R. – Sì. Su don Peppino voglio dire solo una cosa: quest’anno è stato il ventesimo anniversario della sua uccisione, abbiamo fatto una settimana – anche un mese – di celebrazioni bellissime. I primi anni sono stati difficili. Anche la Chiesa locale soprattutto stentava a riconoscere e a rivendicare con orgoglio, come avrebbe dovuto fare, quel proprio figlio. Piuttosto, invece, era molto più cauta. Adesso, invece, anche qui è un segno del cambiamento, no? La Chiesa, Francesco che scomunica i clan… Vedo più coralità e credo che solo così potremo venire a capo di questo problema delle mafie che ormai ci portiamo dietro da secoli, nel nostro Paese.

D. – Tra pochissime ore arriverà il Papa. Qui, a Caserta c’è tantissima attesa. A Casal di Principe che cosa si dice?

R. – Questo Papa è visto davvero come uno che su queste tematiche della legalità e della lotta alle mafie, su queste nuove tematiche, è uno che dal primo momento ha compreso che cosa significa e come possono essere strumenti di devastazione non soltanto dei territori ma delle coscienze. E quindi, intervenire come Chiesa per richiamare queste cose, io credo che Francesco questo l’abbia capito subito e lo stia indicando a tutta la Chiesa, a tutti i cittadini, a tutti i fedeli. E Casal di Principe ammira molto questo: lo sappiamo, lo possiamo dire a viva voce.

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Papa disponibile a partecipare a Incontro famiglie 2015 a Filadelfia

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Il Papa ha ricevuto diversi inviti in America, che “come sempre prende in doverosa considerazione” e “ha manifestato la sua disponibilità a partecipare” all’Incontro delle famiglie che si terrà nella città statunitense di Filadelfia, nel settembre del 2015, “ma allo stato attuale non è concretamente avviato operativamente nessun progetto o programma di viaggio relativo a Stati Uniti o Messico”.

E’ quanto ha detto il direttore della Sala Stampa vaticana, padre Federico Lombardi, interpellato dai giornalisti sulla questione, in particolare dopo le affermazioni dell’arcivescovo di Filadelfia Charles Chaput. A questo proposito - ha spiegato padre Lombardi - “si deve tener presente che vi è ancora più di un anno di tempo prima dell’incontro di Filadelfia”.

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Il Papa presiede una Messa di suffragio per Natalia Maovaz

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Nel pomeriggio di ieri Papa Francesco ha presieduto in Vaticano, presso la Cappella della Casa Santa Marta, una Messa di suffragio per la signora Natalia Di Giorgi Maovaz, morta lo scorso 11 luglio cercando di salvare il figlio di 7 anni e l’amichetto di 11 anni, che hanno rischiato di annegare in un tratto di mare della Sardegna. La donna è rimasta travolta dal mare e ha perso i sensi. Il marito della signora Maovaz, Andrea Di Giorgi, 50 anni dipendente dei Musei Vaticani, è invece riuscito a raggiungere i bambini e a riportarli a riva. Alla Messa hanno preso parte i familiari della vittima.

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Il Papa al patriarca Sako: "i cristiani iracheni non perdano la speranza"

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Ancora violenza in Iraq, dove nelle ultime 24 ore sono morte oltre 40 persone. Ieri i jihadisti dello Stato Islamico hanno distrutto la moschea di Giona ed altri due luoghi sacri a Mossul. Smentite invece le voci sulla distruzione della chiesa caldea dello Spirito Santo. Sempre ieri Papa Francesco ha telefonato al patriarca dei Caldei, Louis Raphael Sako, per testimoniare la sua vicinanza e partecipazione per la sorte dei cristiani iracheni, cacciati dalle loro case dagli islamisti. Un intervento di sostegno a tutta la comunità, come spiega lo stesso patriarca Sako, al microfono di Michele Raviart: 

R. – Siamo molto grati e colpiti della sua solidarietà, simpatia e preghiera. Ha detto che è molto vicino ai cristiani e prega per tutto l’Iraq. Quando gli ho detto che i cristiani sono forti nella fede e nella speranza, ha detto: “Bene! Bene! Non perdete la speranza!”. E’ veramente un supporto paterno per noi; è una vicinanza molto importante, che ci dà la forza, la fiducia di perseverare e sperare in una situazione migliore in Iraq.

D. – Intanto lo Stato islamico colpisce anche le altre minoranze. Ieri è stata rasa al suolo la Moschea di Giona, che era cara non sono ai musulmani ma anche ai cristiani e sono state distrutte diverse moschee sciite...

R. – Questi gruppi hanno un’ideologia molto forte. Rappresentano, dunque, un pericolo non solo per i cristiani, ma anche per i musulmani e per il mondo intero. Loro hanno cominciato col distruggere la grande Moschea storica di Giona, dove si dice – secondo la tradizione – che ci sia la tomba del profeta. La moschea era stata costruita sulle rovine di una chiesa caldea. Purtroppo è stata totalmente distrutta, come anche altre moschee, e minacciano pure le nostre chiese. Questi jihadisti – Isis e altri - sono un pericolo per il mondo intero.

D. – Che spazio c’è a questo punto per il dialogo?

R. – I cristiani devono essere uniti, come anche i musulmani, i sunniti e gli sciiti. Devono prendere una posizione molto chiara per un discorso religioso aperto, equilibrato, altrimenti perderanno. Il cristianesimo orientale deve continuare a vivere. Noi, nei nostri istituti, formiamo una generazione aperta a cristiani e musulmani. Tutti i cittadini devono, non solo sopravvivere, ma vivere in libertà e dignità, e questa è la responsabilità del mondo intero, cristiani e musulmani.

D. – Di che cosa hanno bisogno adesso le famiglie cristiane cacciate dalle loro case?

R. – Le famiglie hanno bisogno di aiuto. Noi come Chiesa abbiamo dato tanto, veramente. Il Pontificio Consiglio “Cor Unum” ha mandato 40 mila dollari e domenica andrò nel Nord per portare un aiuto del Patriarcato a tutti. C’è una piccola speranza, ma le mura fra i gruppi etnici e confessionali sono davvero alte.

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I cardinali Scola e Rigali inviati speciali del Papa a Colonia e Saint Louis

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Il Papa ha nominato il cardinale Angelo Scola, arcivescovo di Milano (Italia) suo inviato speciale alla celebrazione dell’850° anniversario della traslazione delle reliquie dei Re Magi da Milano a Colonia (Germania), in programma il 28 settembre 2014.

Il Santo Padre ha nominato il cardinale Justin Francis Rigali, arcivescovo emerito di Philadelphia (U.S.A.), suo inviato speciale alla solenne Celebrazione Eucaristica prevista nella nuova Cattedrale di Saint Louis (U.S.A.) per il 24 agosto 2014, in occasione del 250° anniversario della fondazione dell’omonima città.

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Nomine episcopali in India e Vietnam

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In Vietnam, Papa Francesco ha nominato vescovo di My Tho mons.  Pierre Nguyên Văn Kham, finora ausiliare dell’arcidiocesi di Thành-Phô Hô Chí Minh.

In India, il Papa ha accettato la rinuncia al governo pastorale dell'arcidiocesi di Madurai, presentata per raggiunti limiti di età da mons. Peter Fernando, e ha nominato mons. Anthony Pappusamy, finora vescovo di Dindigul.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Non solo terra dei fuochi: intervista di Nicola Gori al vescovo Giovanni D’Alise che oggi accoglie il vescovo di Roma in visita a Caserta.

La tregua e i tunnel: Israele respinge la proposta di un cessate il fuoco a lungo termine fino a quando non saranno distrutti i passaggi sotterranei di Hamas.

Attore protagonista, la trincea: Emilio Ranzato sulla Grande guerra in un secolo di cinema.

Aria d’oro tra l'Umbria e le Marche: Francesco Scoppola illustra una magnifica esposizione a Fabriano.

Un braccio per ricominciare: Marcello Filotei a proposito di un’idea di Paul Wittgenstein.

Sceneggiatura universale: Isabella Farinelli sull’amore nuziale in diverse tradizioni letterarie e popolari.

Gli avevano detto che era baritono: è morto il grande tenore Carlo Bergonzi.

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Oggi in Primo Piano



Gaza, tregua di 12 ore. Padre Pizzaballa: dramma umanitario

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È entrata in vigore questa mattina alle 7 (ora italiana) la tregua di 12 ore tra Israele e Hamas nel 19.mo giorno di guerra in Medio Oriente. Nelle ore precedenti, però, ancora morti da entrambe le parti, mentre è in corso a Parigi un vertice della comunità internazionale sulla crisi. Il servizio di Roberta Barbi: 

Si è continuato a morire, questa notte, a Gaza, nelle ore immediatamente precedenti al cessate il fuoco: sono rimasti uccisi almeno 23 palestinesi e due soldati israeliani. Dall’inizio delle ostilità, l’8 luglio scorso, sono mille i morti di parte palestinese e una quarantina quelli israeliani. Quasi 200 i bambini che hanno perso la vita, come segnalato dall’Unicef, mentre la situazione rischia di sfuggire di mano anche in Cisgiordania. La tregua di oggi ha concesso l’ingresso nella Striscia delle organizzazioni umanitarie che hanno recuperato circa 76 corpi tra le macerie in varie parti di Gaza City. E il 19.mo giorno di guerra è anche il giorno del vertice della comunità internazionale che si ritrova a Parigi per discutere della crisi in atto: il segretario di Stato americano Kerry si è detto speranzoso di ottenere una “riduzione del divario” tra le parti, ma proprio la sua bozza di risoluzione, con una tregua di una settimana, era stata rigettata da Israele che l’aveva giudicata troppo favorevole ai palestinesi.

E sull’emergenza umanitaria in atto a Gaza, abbiamo raggiunto a Gerusalemme il Custode di Terra Santa, padre Pierbattista Pizzaballa: 

R. – Dal punto di vista umanitario, la situazione resta tragica. Non saranno due o tre ore, o poche ore, che potranno risolvere i problemi che questa violenza ha scatenato. È, comunque, una boccata d’aria, un momento di respiro e di pausa necessario almeno per rendersi conto, con la massima serenità possibile in queste circostanze, della situazione e del da farsi.

D. – Nel vertice di oggi, a Parigi, Kerry spera di “ridurre il divario” creato tra le parti. Voi cosa chiedete alla comunità internazionale?

R. – La comunità internazionale deve essere molto forte, fare pressione sulle parti perché smettano con la violenza sia da parte di Hamas, che con la ritorsione da parte di Israele, e che si torni a trattare. Mi rendo conto che così sembra di parlare di questioni molto lontane dalla realtà, ma è l’unica cosa che si può fare.

D. – In questi giorni si parla molto delle persecuzioni dei cristiani in Iraq, ricordate anche dal Papa. In Terra Santa come vive la comunità locale questa crisi?

R. – Diciamo che la situazione della persecuzione dei cristiani qui in Terra Santa - sia in Cisgiordania, a Gaza e in Israele - non c’è. In questo momento l’emergenza è il conflitto israelo-palestinese, che assorbe tutte le energie.

D. – I vescovi di Terra Santa invitano a pregare per la ripresa dei negoziati e testimoniano l’esistenza di voci per la pace da entrambe le parti. È ancora possibile la soluzione dei due Stati?

R. – Tecnicamente uno è legittimato a chiedersi se sia ancora possibile, ma bisogna crederci, perché tutti hanno diritto ad avere una casa, un lavoro, una patria, e questo non può essere negato a nessuno. Per cui bisogna lavorare, nonostante tutte le difficoltà e i limiti, bisogna lavorare per questa soluzione.

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Combattimenti in Ucraina, Ue amplia sanzioni contro la Russia

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Proseguono i violenti combattimenti a Lugansk, capitale dell'autoproclamata Repubblica secessionista dell’Ucraina orientale. Un bombardamento di artiglieria di Kiev ha causato al morte di almeno 9 persone, 19 secondo le autorità locali, mentre l'offensiva dei separatisti ha causato la morte di 4 soldati, secondo i media ucraini. I ribelli, citati da Interfax, affermano invece di aver ucciso "almeno 20 soldati".

Intanto, l'Unione Europea ha ampliato le sanzioni  già adottate nei confronti della Russia per il suo coinvolgimento nel conflitto in Ucraina, prendendo di mira i responsabili dei vertici dell'intelligence di Mosca. Sono 33 nuovi soggetti a cui verrà applicato il congelamento dei beni e il divieto di viaggio sul territorio comunitario. E proprio su questo fronte ieri il vice presidente Usa, Joe Biden, ha avuto un colloquio telefonico con il presidente dell'Ucraina, Petro Poroshenko, durante il quale ha ribadito la scelta di coordinarsi con l'Unione europea e il G7 per imporre ulteriori sanzioni alla Russia per le sue azioni  contro l’ Ucraina. E immediata la reazione della Russia che ha definito "irresponsabili" queste nuove sanzioni "Simili decisioni saranno accolte con entusiasmo dai leader del terrorismo internazionale". Lo si legge in una nota del ministero degli Esteri russo secondo cui l'Ue ha così "messo a rischio la cooperazione internazionale sulla sicurezza".

Intanto giovedì prossimo, la Rada suprema, il parlamento ucraino, si riunirà in una seduta speciale dedicata alla crisi di governo apertasi dopo le dimissioni rassegnate due giorni fa dal premier, Arseniy Yatzeniuk , sulla scia della dissoluzione della maggioranza che lo sosteneva. Lo ha annunciato il presidente dell'assemblea, Oleksandr Turchynov, sulla base dell'accordo raggiunto dai capigruppo dei diversi partiti. Infatti, la rinuncia del primo ministro non è stata mai ratificata dal parlamento e lo stesso presidente Poroshenko ieri ha ribadito la fiducia al suo primo ministro, in caso di elezioni legislative anticipate.

Sulla situazione, Marina Tomarro ha chiesto un commento a Franco Teti ,esperto di politica dell’ Europa orientale: 

R. – In questo momento, le dimissioni di Yatzeniuk ufficialmente avvengono in quanto il parlamento non ha adottato una legge che aumenta di molto gli stanziamenti per le spese militari. In realtà, quello che deve fare passare è una serie di provvedimenti durissimi, soprattutto nei confronti della popolazione, per venire a soddisfare le richieste del Fondo monetario internazionale, che dovrebbe invece erogare un finanziamento molto importante, pari a 17 miliardi di dollari. Questo, però, contempla una serie di provvedimenti che vanno da un taglio fortissimo alla spesa sociale, quindi alla riduzione del budget per tutto ciò che concerne gli ospedali e le scuole pubbliche, e quindi non si vorrebbe assumere queste responsabilità.

D. – Attualmente, gli scontri si sono spostati più verso i confini: questo cosa vuol dire? Che ci sono sviluppi per un’apertura, oppure uno stallo legato alle armi?

R. – In realtà, è diminuito un poco di intensità nell’ultimo periodo, ma nelle ultime tre settimane c’è stato proprio un intervento massiccio con centinaia di morti, non solo tra gli indipendentisti ma tra la popolazione civile. Una parte degli indipendentisti è stata costretta a ripiegare per cui ci sono, in alcune zone di confine, operazioni militari durissime che hanno portato più volte anche a colpire in territorio russo da parte degli ucraini. Gli scontri, comunque, sono in atto, l’intensità è un po' diminuita. Sicuramente, l’enfasi viene posta adesso sulle indagini relative all’abbattimento dell’aereo malaysiano.

D. – L’Unione Europea ha inasprito le sanzioni verso la Russia. Secondo lei, tutto questo a cosa porterà?

R. – Le sanzioni contro la Russia da parte dell’Unione Europea potrebbero portare a un danno per la Russia, ma a un danno più grande per l’Europa che comunque, oltre a ricevere il gas, lo ripaga in parte grazie a grandi commesse che riceve. Quindi, sicuramente noi siamo molto più esposti rispetto agli Stati Uniti, per i quali è comunque abbastanza marginale. Comunque, è impossibile e impensabile riuscire a uscire da questa crisi, senza coinvolgere la Russia accanto all’Unione Europea e accanto all’Ucraina.

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Linee guida su eterologa. D’Agostino: problemi complessi da questa tecnica

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In Italia, tre mesi dopo la sentenza della Corte Costituzionale che ha definito incostituzionale il divieto di ricorso alla fecondazione eterologa, esplode il dibattito sulla necessità di Linee guida per regolamentare l'accesso a questa tecnica. Il Ministero della Salute le ha proposte e il Consiglio dei ministri dovrebbe presto vararle: si prevede, tra l'altro, l'anonimato dei donatori dei gameti, per chi dona il limite di età di 35 anni per le donne e di 45 per gli uomini. I fautori della provetta selvaggia e le lobby della fecondazione in vitro sostengono invece che la Sentenza della Consulta sia immediatamente applicabile. Amedeo Lomonaco ne ha parlato con Francesco D’Agostino, presidente dell’Unione giuristi cattolici italiani: 

R. - Non credo affatto - come molti dicono - che la fecondazione eterologa possa essere posta in essere senza linee guida preventive del ministro della Salute, perché i problemi che nascono dalla pratica della fecondazione eterologa sono numerosi, intricati e ben più complessi di quanto non si possa immaginare. Innanzitutto, c’è un problema di salute che riguarda, ovviamente, la donna che cerca la fecondazione eterologa con l’ovocita di un’altra donna. Ci sono poi i problemi relativi alla salute del nascituro. Questo induce a mettere dei limiti di età alle donatrici e alle riceventi.

D. - Pone una serie di interrogativi anche la questione dell’anonimato dei donatori …

R. - Questo anonimato è opportuno che sia garantito - oltre alle ragioni di salute fisica - almeno fino a quando il nato non abbia raggiunto un’età per la quale possa legittimamente chiedere di avere notizie sulle proprie origini biologiche; mentre non è affatto opportuno che nascano conflitti potenziali, ma possibili, tra madre genetica e madre uterina quando il bambino è nella primissima infanzia o, comunque, non ha ancora raggiunto una piena adolescenza.

D. - Si parla addirittura della possibilità di prevedere forme di rimborso per i donatori ... il rischio è quello della commercializzazione dei gameti …

R. - In tutte le pratiche di fecondazione eterologa c’è il grande problema del divieto di commercializzazione dei gameti che vengono donati e che vengono ricevuti. Questo divieto è presente nella Legge 40 e non è stato affatto incrinato dalla sentenza della Corte costituzionale che ha legittimato la procreazione eterologa. Quando si parla di rimborso spese ai donatori di gameti si entra in una palude perché - come tutti possono capire - è molto facile contrabbandare una vera e propria commercializzazione con la categoria del rimborso spese, che oltre tutto è ben diversa se riguarda la donazione di gameti maschili o la donazione di gameti femminili. Pratica, quest’ultima, che richiede procedure particolarmente invasive.

D. - Tra l’altro, nelle Linee guida si specifica anche che non ci saranno cataloghi dai quali scegliere in base ai dati del donatore...

R. - Questo è un punto cruciale sul quale si può discutere moltissimo, perché chi chiede la fecondazione eterologa lo fa in generale, nel 99 percento dei casi, nella massima riservatezza. Ma se da una coppia che chiede l’eterologa nascesse un bambino con caratteri etnici diversi da quelli dei genitori - un neonato con caratteri etnici asiatici o africani - la pretesa di riservatezza salterebbe immediatamente in aria con il grave rischio che anche i rapporti familiari, che si attivano con la fecondazione eterologa, possano incrinarsi. Ecco perché negli Stati Uniti è quasi prassi che ci sia un controllo tra i caratteri etnici del donatore o della donatrice di gameti e quelli dei riceventi. Tutto questo però attiva ulteriori problemi di discriminazione razziale. Questo è uno dei tanti punti ai quali, colpevolmente, la Corte Costituzionale non ha pensato quando ha scritto la sentenza di legalizzazione dell’eterologa.

D. - Anche perché evidenti differenze da un punto di vista delle caratteristiche etniche farebbero esplodere ancora di più quel conflitto tra l’interesse all’anonimato dei donatori e quello della persona che vuole ricevere informazioni sui genitori naturali. A quel punto questo conflitto sarebbe gravissimo …

R. - Ma soprattutto potrebbe nascere un rifiuto - a limite inconscio - dei genitori verso la creatura che viene al mondo, ovviamente completamente innocente. Però è molto probabile, perché questo problema di compatibilità tra i donatori dei gameti e la coppia ricevente si è verificato tante volte. Questo non è un problema che si può risolvere con semplici Linee guida. Vedremo come se la caverà il Ministero.

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Suor Mary Melone, prima donna a dirigere una Università papale

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La presenza delle donne nel mondo della teologia è un percorso partito in sordina decenni fa, nel post-Concilio. Ora è arrivato a maturazione con la nomina, nei giorni scorsi, della prima donna a capo di una Università pontificia romana. Alla guida dell’Antonianum è stata chiamata la religiosa francescana, suor Mary Melone, grande esperta di Sant’Antonio da Padova. Al microfono di Gudrun Sailer, la religiosa riflette sui cambiamenti in corso all’interno di una comunità accademica abituata a un confronto al “maschile” sui temi della teologia: 

R. – Il fatto che sia avvenuto è un segno che ci sono cambiamenti. Vorrei sottolineare due aspetti relativi a questa nomina. Il primo aspetto è che è avvenuta con criteri accademici: la comunità si esprime su attitudini, competenze, dei professori che ritiene adatti a un incarico. Il secondo aspetto è che questa prima volta di una donna, di una suora, a capo di un’Università pontificia è legata al fatto che la nostra presenza come professori è relativamente recente: le donne accedono alla teologia e quindi al dottorato solo dopo il Concilio, si inseriscono nell’insegnamento negli anni, che non sono molti, post-conciliari. I dinamismi delle università consentono di accedere a queste cariche solo ai professori stabili, gli ordinari e i titolari delle cattedre, e non sempre le religiose o le donne possono accedere a questo tipo di carriera universitaria.

D. – Da quando lei osserva questo evolversi della situazione all’università, percepisce negli ultimi anni una maggiore accoglienza verso le studentesse?

R. – Posso dire che c’è un duplice cambiamento. Nel nostro mondo femminile, anche religioso, la prospettiva di un inserimento poi professionale è un po’ diverso perché gli istituti femminili, le donne, non hanno università di Ordini, di Congregazioni. Però, negli ultimi anni c’è una sensibilità maggiore nel mondo femminile nel dedicarsi allo studio della teologia. E c’è anche una maggiore attenzione da parte delle istituzioni a consentire anche alle religiose di accedere alla carriera di professore stabile. Sicuramente, c’è una maggiore apertura, un riconoscimento del ruolo della donna.

D. – Papa Francesco ha sostenuto varie volte di voler approfondire la teologia della donna. Quali i campi secondo lei più promettenti di una tale teologia?

R. – Io credo che la donna possa dedicarsi a ogni ambito della teologia con il modo di fare teologia che è proprio di una donna. Io vivo in un ambiente segnato da una riflessione maggioritariamente maschile. Però, posso dire che la donna quando si accosta, quando riflette sulla Rivelazione, sul mistero di Dio, lo fa con la sua sensibilità. O nella morale, che è un campo molto delicato, in cui la donna porta anche la sensibilità della femminilità, dei problemi connessi: immagino tutta la morale antropologica, tutto il problema della vita, del rispetto della vita prima della nascita… Ma anche negli altri ambiti, come quello a cui mi dedico più propriamente, quello dogmatico, cioè il modo di comprendere per esempio, il mistero dell’Incarnazione… Si arricchisce nel momento in cui l’approccio maschile viene confrontato con quello femminile.

D. – Ma questa cosa viene accettata dalla teologia come tale?

R. – Alcuni teologi pensano che ci sia una teologia femminile e quando aggiungono l’aggettivo “femminile” lo fanno per intendere che la teologia in quanto tale, senza aggettivi, sia “maschile”. È per questo che sono un po’ più circospetta sulle categorie, perché penso che la teologia in quanto tale, senza aggettivi, sia la riflessione sul mistero di Dio che si rivela e quindi possa farla sia la donna che l’uomo. Vedo che nell’ambito della ricerca contemporanea c’è un’attenzione graduale verso il contributo delle donne, verso i saggi che molte teologhe pubblicano, che sono sempre più citati. La citazione dei testi è il segno più immediatamente tangibile che viene riconosciuto l’apporto anche della riflessione femminile.

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Macerata. All'Opera Festival La Traviata diretta da una donna

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Al "Macerata Opera Festival", questa sera salirà sul podio la terza direttrice d’orchestra cui è affidata la 50.ma edizione della kermesse, dal titolo “L’Opera è donna”. E’ l’italiana Speranza Scappucci, romana, per tanti anni al fianco di Riccardo Muti, che dirigerà "La Traviata" di Giuseppe Verdi, regia di Henning Brockhaus e scene di Josef Svoboda. “Un’edizione speciale quest’anno, a Macerata, pensata per rilanciare il ruolo della donna alla direzione d’orchestra, ruolo ancora troppo raro in Italia”, spiega Speranza Scappucci al microfono di Gabriella Ceraso

R. – Il mestiere di direttore d’orchestra è stato molti anni quasi esclusivamente maschile. Non era pensabile che una donna potesse lasciare la casa e girare per il mondo... E’ un fatto storico che si lega anche a tutte le altre professioni. Qualche anno fa, una ventina o trentina di anni fa, si sono affacciate invece le prime donne: Simone Young, Giulia Jones appunto, che dirige qui a Macerata, e in un certo senso hanno aperto la strada a noi che siamo di una generazione più giovane. Io spero di poter dare l’esempio a tante giovani musiciste che si pongono il problema di studiare direzione d’orchestra o di voler tentare la carriera sul podio. Oggi, infatti, c’è spazio veramente per tutti, viviamo in un mondo molto più aperto e molto più variegato.

D. – Un carattere femminile lo può avere un direttore d’orchestra, dando una particolare lettura, per esempio, ad un’opera...

R. – No, non credo. In musica non esistono il femminile e il maschile: esiste l’interprete che, uomo o donna che sia, ha una sua sensibilità, una sua visione della musica e della connessione della musica con le parole e quindi non si può dire che una donna o un uomo capiscano meglio o peggio un personaggio.

D. – Che particolarità ha la vostra Traviata in questa circostanza e proprio allo Sferisterio di Macerata?

R. – Credo sia stata scelta La Traviata perché 20 anni fa o 22 anni fa ebbe la sua "prima" – questo spettacolo famosissimo – proprio qui a Macerata e credo sia stata scelta come opera simbolo del Festival, cioè quella che è durata di più negli anni.

D. – Quale è la sua originalità? Che tipo di opera, quindi, dovranno attendersi gli spettatori?

R. – La Traviata di Brockhaus è chiamata “La Traviata degli specchi”, in quanto tutta la scenografia ha uno specchio gigantesco, nel quale si riflette tutto quello che avviene sul palcoscenico, ed è un effetto visivo fantastico. E’ un cast di giovanissimi, di giovani promesse, con le quali io ho lavorato moltissimo al pianoforte, cercando di creare i colori che sono scritti sulla pagina. Il fatto di farla praticamente integrale, poi, per chi non ha mai visto La Traviata senza tagli può essere una novità, anche se è stata fatta diverse volte in passato.

D. – Tu hai diretto Rossini, Mozart, Pergolesi, Verdi con particolare successo. Cosa è che ti lega invece proprio a Verdi?

R. – Ma, io credo che tutti gli italiani, in un certo senso, sono legati a Verdi, perché è un compositore che ci rappresenta come popolo e che, in un certo senso, ci portiamo nel sangue anche senza saperlo. Debuttare in Italia, dopo avere diretto già in altre parti nel mondo, con questo titolo, per me è un grande onore.

D. – Tu hai fatto una carriera da pianista e ora sei sul podio. E’ stata dura?

R. – Da una parte dura e dall’altra mi ritengo molto fortunata. E’ una vita fatta, comunque, di grandi sacrifici, ma che però, con l’impegno e la volontà di far bene le cose, nel mio caso specifico mi ha molto ricompensata. Credo che, comunque, il musicista e l’artista non si debba mai fermare a un gradino. Ho sempre pensato che, arrivata a un certo punto, dovessi andare oltre e fare qualcos’altro. Per esempio, arrivare al podio non è stato un progetto scelto con razionalità, è semplicemente successo.

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Il commento di don Ezechiele Pasotti al Vangelo della Domenica

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Nella 17.ma Domenica del Tempo ordinario, la liturgia ci presenta il Vangelo in cui Gesù parla del Regno dei Cieli mediante tre parabole: il tesoro nascosto nel campo, la perla preziosa, la rete gettata in mare:

“Il regno dei cieli è simile a un tesoro nascosto nel campo; un uomo lo trova e lo nasconde; poi va, pieno di gioia, vende tutti i suoi averi e compra quel campo”.

Su questo brano evangelico, ascoltiamo il commento di don Ezechiele Pasotti, prefetto agli studi nel Collegio Diocesano missionario “Redemptoris Mater” di Roma: 

La cosa che colpisce, nelle prime due brevi parabole di oggi, è la gioia che riempie il cuore dell’uomo che trova il tesoro nel campo: pieno di gioia, vende tutti i suoi averi per comprare quel campo; anche il mercante di perle, quando trova “una perla di grande valore”, “va, vende tutti i suoi averi” per comprarla. “Tesoro”, “perla preziosa”: è il Regno dei Cieli, è lo stesso Signore Gesù, colui che dà senso alla vita. “La gioia del Vangelo riempie il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Gesù”, sono le parole con cui Papa Francesco apre la sua prima  esortazione (Evangelii Gaudium). Senza questo incontro con Cristo, senza questo “tocco” esistenziale con lui, “non si ascolta più la voce di Dio, non si gode più della dolce gioia del suo amore, non palpita l’entusiasmo di fare il bene. Anche i credenti corrono questo rischio, certo e permanente” (n. 2). Quanto è importante oggi ritrovare, entrare “in questo fiume di gioia” (n. 6), per diventarne testimoni nel mondo: “La gioia del Vangelo che riempie la vita della comunità dei discepoli è una gioia missionaria” (n. 21), dice ancora il Papa, e ci grida: “Mi permetto di insistere: non lasciamoci rubare la gioia dell’evangelizzazione!” (n. 83). Il rischio è che senza questo “tesoro” possiamo trovarci anche noi tra i pesci cattivi che gli angeli separano dai buoni per gettarli nella “fornace ardente, dove sarà pianto e stridore di denti”. Coraggio, se oggi sei triste e vuoto, l’Eucarestia a cui sei invitato può farti ritrovare la “perla preziosa”.

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Nella Chiesa e nel mondo



Iraq. Leader del Kurdistan Barzani: proteggerò i cristiani

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“Noi moriremo tutti insieme, o continueremo a vivere tutti insieme con dignità”. Così il leader curdo Masud Barzani, Presidente della Regione autonoma del Kurdistan iracheno, si è rivolto al patriarca di Babilonia dei Caldei, Louis Raphael I Sako, e agli altri rappresentanti delle Chiese del nord dell'Iraq nell'incontro avuto con loro mercoledì scorso a Erbil. Lo confermano fonti della Chiesa siro cattolica consultate dall'agenzia Fides.

Nell'incontro, il Presidente Barzani ha ripetuto che i cristiani costretti a lasciare Mosul su pressione delle forze dell'autoproclamato “Califfato Islamico” non devono pensare in alcun modo a lasciare il Paese e ad emigrare all'estero, perchè la Regione autonoma del Kurdistan è pronta ad accogliere e soccorrere i profughi e a proteggere “le loro vite e la loro terra” contro quelli che vengono definiti “terroristi”.

In un appello sulle vicende di Mosul diffuso martedì scorso, il patriarca Raphael I e i vescovi delle Chiese cristiane del nord iracheno avevano espresso un eloquente apprezzamento per il ruolo assunto dalla Regione autonoma del Kurdistan iracheno, apprezzandone la pronta disponibilità ad “accogliere le famiglie sfollate, a abbracciarle e ad aiutarle. Noi - avevano dichiarato i Capi delle Chiese del nord iracheno - proponiamo la creazione di un comitato congiunto tra il governo regionale e i rappresentanti del nostro popolo per venire incontro alla sofferenza delle famiglie di rifugiati e migliorare le loro condizioni”.

“I cristiani dell'Iraq - ribadisce all'Agenzia Fides il sacerdote siro cattolico Nizar Semaan - vogliono vivere in pace con tutti. E hanno apprezzato la condanna dell'espulsione dei cristiani da Mosul espressa in maniera unanime da rappresentanti sunniti, sciiti e curdi nelle varie aree del Paese”. (R.P.)

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Vescovi britannici: in Iraq commessi crimini contro l’umanità

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In Iraq, “la profanazione dei luoghi sacri di Mosul ed i tentativi sistematici di cambiare il paesaggio culturale e religioso di questa antica città sono crimini contro l'umanità”: è quanto scrive mons. Declan Lang, presidente della Sezione Affari internazionali della Conferenza episcopale di Inghilterra e Galles. In una nota, il presule condanna “nei termini più forti possibili” l’ultimatum lanciato dallo Stato islamico dell’Iraq e del Levante (Isis) alla popolazione cristiana di Mosul, affinché “si converta, paghi una tassa religiosa o lasci la città”.

Ribadendo, quindi, che “questa minaccia per i cittadini iracheni è un peccato contro Dio e una violazione contro la vita”, mons. Lang invita a “non dimenticare che i cristiani hanno vissuto e dato testimonianza nel Paese per quasi due millenni”. Di qui, l’invito al governo britannico ed alle organizzazioni religiose e secolari del Regno Unito affinché “proteggano e forniscano garanzie a lungo termine per le comunità irachene, che tanto hanno sofferto”.

Citando, inoltre, l’articolo 18 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, il presule esorta a tutelare “il diritto fondamentale di ogni individuo a praticare la religione in base alla propria scelta”, tanto più che anche “il Corano afferma chiaramente che non ci sarà alcuna costrizione nella religione”. “Le atrocità commesse contro i cristiani a Mosul – conclude quindi mons. Lang – e le condizioni impossibili imposte dal cosiddetto gruppo militante Isis contro uomini, donne e bambini innocenti sono intollerabili e inaccettabili”. (I.P.)

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Ucraina: rilasciato il sacerdote di origine polacca rapito dai ribelli

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È stato rilasciato padre Wiktor Wonsowicz, il sacerdote ucraino di origine polacca rapito in Ucraina. La notizia è stata annunciata dal Ministro degli Esteri polacco Radoslaw Sikorski e confermata dal vescovo latino di Kharkiv-Zaporozhia Mons. Stanislav Szyrokoradiuk.

Padre Wonsowicz, 39 anni, era stato catturato dai “separatisti” filo-russi il 15 luglio nella sua parrocchia di Gorlivka vicino a Donetsk ed era detenuto nella sede locale dei Servizi di sicurezza ucraini (SBU) occupata dai ribelli. Per la sua liberazione hanno trattato i rappresentanti della Chiesa cattolica latina e i servizi diplomatici polacchi. I ribelli lo hanno consegnato al parroco latino-cattolico di Donetsk, padre Mikolaj Pilecki. e si trova ora a Kharkiv. (L.Z.)

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Vescovi Usa a Obama e presidenti centroamericani: proteggete i bambini

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La Commissione per le Migrazioni della Conferenza episcopale degli Stati Uniti (Usccb), attraverso il suo presidente, mons. Eusebio Elizondo, vescovo ausiliare di Seattle, ha rivolto un invito al Presidente Obama ed ai Presidenti centroamericani perché siano protetti e assistiti i bambini e le famiglie in fuga dalle violenze nella regione.

Secondo la nota inviata all’agenzia Fides dalla Usccb, ieri i Presidenti di Guatemala, El Salvador e Honduras si sono incontrati con il Presidente Obama, alla Casa Bianca, per discutere la situazione creatasi alla frontiera, diventata ormai una sfida umanitaria.

"I leader dovrebbero concentrarsi sulla tutela di questi bambini e delle famiglie, in quanto sono i capi delle loro nazioni - ha sottolineato mons. Elizondo -. Invece di cooperazione per intercettare e fermare i migranti e rinviarli di nuovo in quelle situazioni pericolose, dovrebbero lavorare insieme per proteggerli da questi pericoli, anche fornendo loro l'asilo nei Paesi vicini e negli Stati Uniti". La situazione infatti non cambia e sono sempre di più i ragazzi fermati alla frontiera.

Mons. Elizondo ha ribadito anche l'opposizione della Usccb alle proposte di modifica della normativa vigente per accelerare il rimpatrio dei minori senza dare loro il beneficio di un'udienza: "le famiglie, in questa situazione, dovrebbero poter avere un esame equo delle loro domande d'asilo". (R.P.)

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Vescovi africani celebrano la prima “Giornata del Secam"

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Il Simposio delle Conferenze episcopali di Africa e Madagascar (Secam) festeggia quest’anno il suo 45° anniversario. L’associazione, che riunisce oggi 37 conferenze episcopali nazionali e 8 conferenze regionali africane, fu infatti istituita nel 1969 e inaugurata da Paolo VI nel luglio di quell’anno, in occasione della sua visita pastorale in Uganda, la prima di un papa nel Continente Nero.

Per commemorare quello storico evento i vescovi africani hanno deciso di istituire una Giornata speciale che sarà celebrata ogni anno nell’ultima domenica di luglio. La prima edizione si terrà quindi domani, domenica, 27 luglio. La “Giornata del Secam”– spiega una nota - sarà un’occasione per fare conoscere ai fedeli africani la storia, l’organizzazione e la missione dell’associazione, ma anche “per pregare per la Chiesa Universale e in particolare per la Chiesa in Africa”.

L’idea di creare una struttura continentale capace di promuovere una visione comune della missione della Chiesa in Africa, era maturata subito dopo il Concilio Vaticano II, quando i vescovi africani espressero la volontà di agire in comunione, superando le loro differenze linguistiche, storiche e culturali. La missione specifica del Secam è quindi di preservare e promuovere la comunione fraterna e la cooperazione delle Conferenze episcopali africane, segnatamente nel campo dell’evangelizzazione, della giustizia e la pace e del dialogo ecumenico e interreligioso.

Particolare rilevanza nell’organizzazione del Simposio ha il dipartimento per l’evangelizzazione, i cui compiti comprendono, oltre al primo annuncio del Vangelo ai popoli che non lo conoscono e il sostegno della fede dei fedeli africani, il dialogo con le Chiese cristiane e le altre confessioni religiose; la formazione degli agenti pastorali; il coordinamento degli istituti di formazione e la promozione di consultazioni e azioni congiunte per affrontare le sfide pastorali del comuni nella Chiesa-Famiglia in Africa. (A cura di Lisa Zengarini)

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Spagna: Marcia di solidarietà per i disoccupati e piccoli schiavi nel mondo

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Disoccupazione e schiavitù sono due facce della stessa medaglia. I giovani di tutto il mondo sono schiavi o vengono sfruttati. Dal lavoro fatto con le mani di 400 milioni di bambini provengono vestiti, scarpe, frutta, cereali, fiori. A questi si affiancano 1.600 milioni di disoccupati in tutto il mondo.

Sono tante le situazioni di fronte alle quali non si può rimanere indifferenti, i bambini immigrati, quelli di strada in Argentina, le madri di quelli uccisi violentemente in Venezuela. Per protestare contro queste ingiustizie, Camino Juvenil Solidario (Cjs), sezione giovanile spagnola del Movimento Culturale Cristiano, ha invitato tutti i giovani di Spagna a prendere parte ad una iniziativa solidale per questa estate 2014.

Dopo anni di preparativi e contatti con diversi gruppi e organizzazioni spagnole e di altri Paesi, Cjs ha proposto la “Marcia per la solidarietà 2014”, che sta percorrendo il Paese partendo da diversi luoghi per arrivare tutti insieme a Madrid. Centinaia di singole persone e associazioni hanno aderito e aperto le porte a tutti quelli che vi hanno preso parte (tra cui scuole, parrocchie, centri sportivi comunali), sostenendo iniziative in villaggi e città, attraverso canti, balli, pitture, e mettendo in scena la vita di Iqbal Masih, ragazzo schiavo assassinato in Pakistan il 16 aprile del 1995 per la lotta per la libertà dalla schiavitù dei minori.

Nei luoghi dove sono passati i diversi gruppi, ci sono state attività pubbliche solidali con i bambini schiavi e i disoccupati, teatro, musica, passeggiate in bicicletta, manifestazioni, punti informativi, attività culturali. La Marcia si conclude oggi a Madrid, con la riunione dei gruppi e la fine congiunta di tutte le attività. (R.P.)

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Ecumenismo: 51.ma sessione Sae su vita ed etica

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“Ama il prossimo tuo come te stesso. La vita in relazione: prospettive etiche”: è il tema della 51ª sessione di formazione ecumenica promossa dal Sae (Segretariato Attività Ecumeniche) da lunedì 28 luglio al 2 agosto presso l’Istituto Filippin di Paderno del Grappa (Treviso).

L’etica della vita, in tutte le sue sfaccettature, dalla cura dell’altro alle sfide che emergono dalle nuove frontiere delle neuroscienze e della bioetica, sarà al centro del confronto tra esponenti delle diverse confessioni cristiane ma anche della comunità ebraica e islamica, teologi e biblisti, scienziati e letterati. Il programma prevede - riferisce l'agenzia Sir - tavole rotonde e gruppi di studio, serate a tema e momenti di condivisione, a partire però sempre dalla preghiera.

Assieme alle celebrazioni ecumeniche si terranno liturgie nello stile delle rispettive comunità. Martedì 29 luglio è prevista la Messa presieduta dall’arcivescovo di Gorizia Carlo Roberto Maria Redaelli, mercoledì 30 il culto di santa Cena guidato dal pastore valdese Massimo Marottoli, giovedì 31 i vespri ortodossi celebrati dal sacerdote ortodosso romeno Cristian Vasilescu. I lavori si apriranno lunedì 28 luglio con la riflessione biblica di Mino Chamla della scuola ebraica di Milano e la presentazione della sessione affidata alla presidente del Sae Marianita Montresor. 

Tanti gli interventi previsti durante la settimana: la scrittrice Maria Pia Veladiano, i teologi morali Giannino Piana e Paolo Benanti, il filosofo Massimo Donà, il teologo valdese Fulvio Ferrario, la pedagogista Rosanna Cima, lo psicoterapeuta e scrittore Paolo Miorandi, il teologo e prete ortodosso Sorin Bute, Ylenia Goss, medico e membro della Commissione di bioetica della Chiesa valdese. Nella giornata conclusiva, sono previste la relazione del teologo valdese Paolo Ricca (“La misericordia tra Dio e l’uomo”) e le conclusioni della sessione affidate a Piero Stefani.

Non mancheranno i gruppi di studio, organizzati secondo criteri ecumenici e interreligiosi, con il coordinamento e la consulenza affidati a esperti delle diverse confessioni cristiane, della comunità ebraica e islamica. Quest’anno ne sono previsti nove, ciascuno dei quali affronterà il tema della settimana secondo prospettive differenti. Gli argomenti sono: “Il prossimo nella Bibbia”; “Custodire i legami: un’etica delle relazioni”; “Famiglia, nuove famiglie, relazioni di coppia”; “Proporre nell’incertezza. I comitati di bioetica”; “Lavoro: superare i limiti, mortificare la libertà”; “Vite in relazione in una società plurale”; “Identità e genere”; “Accompagnamento pastorale dei malati”; “Teatro biblico: uno spazio di esplorazione delle relazioni tra Parola e azione”. (R.P.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVIII no. 207

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.