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Sommario del 29/06/2014
- Santi Pietro e Paolo. Il Papa: fiducia in Dio libera da paure, catene e potere mondano
- Il Papa all’Angelus: dialogo, unica via per la pace in Iraq
- Papa Francesco: intervista al quotidiano "Il Messaggero"
- Tweet del Pontefice: i Santi Pietro e Paolo benedicano Roma
- Il Papa ai giovani: senza Maria, un cristiano è orfano
- Giornata per la carità del Papa: oltre l'individualismo di oggi
- In Vaticano il coro sinodale del Patriarcato di Mosca
- Occorre un intervento per liberare Aleppo. Appello di Sant'Egidio
- Ucraina, Georgia, Moldavia più vicine all’Ue
- Harambe, una speranza imprenditoriale per giovani africani
- Senegal: conclusa la missione "Bambini cardiopatici nel mondo"
- Con la campagna Biblioteche Solidali, un progetto per Betlemme
- Prima guerra mondiale: torna d'attualità l'opera di Benedetto XV
- Iraq: offensiva governativa su Tikrit, Isis minaccia Baghdad
- Ucraina: liberi gli osservatori Osce sequestrati dai filorussi
- Nuovi raid aerei israeliani sulla Striscia di Gaza, 2 feriti
- La Corea del Nord effettua un altro test missilistico
- Chiesa in Texas: emergenza per i giovani immigrati
- Centrafrica: i Salesiani accanto agli sfollati di Bangui
- Mazara del Vallo: da tunisini, inno Voci del Mediteterraneo
Santi Pietro e Paolo. Il Papa: fiducia in Dio libera da paure, catene e potere mondano
"Il nostro vero rifugio è la fiducia in Dio: essa allontana ogni paura e ci rende liberi da ogni schiavitù e da ogni tentazione mondana". Così il Papa questa mattina celebrando la Messa nella Basilica Vaticana nella solennità dei Santi Pietro e Paolo, durante la quale è stato imposto il pallio a 24 nuovi arcivescovi metropoliti. Assenti tre presuli per i quali la consegna del paramento, simbolo del Buon Pastore, avverrà nelle rispettive sedi metropolitane. Francesco ha messo in guardia dal potere, dalle gratificazioni e dall’orgoglio. Il servizio è di Paolo Ondarza:
“Il Signore ci libera da ogni paura e da ogni catena”, come ha fatto con Pietro, “affinchè possiamo essere veramente liberi”. “E’ la fiducia in Dio il nostro vero rifugio, essa allontana ogni paura e ci rende liberi da ogni schiavitù” ha detto Francesco ai nuovi arcivescovi metropoliti presenti ai quali come da tradizione nella solennità dei Santi Pietro e Paolo è stato imposto il pallio. Sull’esempio di Pietro, il Papa ha invitato tutti ad una verifica sulla fiducia nel Signore, mettendo in guardia dalla paura e dai “rifugi pastorali”:
“Noi – mi domando –, cari fratelli Vescovi, abbiamo paura? Di che cosa abbiamo paura? E se ne abbiamo, quali rifugi cerchiamo, nella nostra vita pastorale, per essere al sicuro? Cerchiamo forse l’appoggio di quelli che hanno potere in questo mondo? O ci lasciamo ingannare dall’orgoglio che cerca gratificazioni e riconoscimenti, e lì ci sembra di stare sicuri? Dove poniamo la nostra sicurezza"?
Pietro, ferito dalla delusione data al Signore nella notte del tradimento, sa di non potersi affidare a se stesso e alle proprie forze: confida nella misericordia del Signore, sa che la fedeltà di Dio è più grande dell’infedeltà e dei rinnegamenti umani e, alla domanda di Gesù: “Mi vuoi bene?”, risponde: “Signore tu conosci tutto, sai che ti voglio bene”. Così, confidando non sulla nostra capacità di essere fedeli, quanto sulla “incrollabile fedeltà di Dio” che “supera ogni umana immaginazione”, “sparisce - spiega Francesco - la paura, l’insicurezza, la pusillanimità”:
“La fedeltà che Dio incessantemente conferma anche a noi Pastori, al di là dei nostri meriti, è la fonte della nostra fiducia e della nostra pace”.
L’amore di Gesù basta, mai soffermarsi sulle cose secondarie:
“Il Signore oggi ripete a me, a voi, e a tutti i Pastori: Seguimi! Non perdere tempo in domande o in chiacchiere inutili; non soffermarti sulle cose secondarie, ma guarda all’essenziale e seguimi. Seguimi nonostante le difficoltà. Seguimi nella predicazione del Vangelo. Seguimi nella testimonianza di una vita corrispondente al dono di grazia del Battesimo e dell’Ordinazione. Seguimi nel parlare di me a coloro con i quali vivi, giorno dopo giorno, nella fatica del lavoro, del dialogo e dell’amicizia. Seguimi nell’annuncio del Vangelo a tutti, specialmente agli ultimi, perché a nessuno manchi la Parola di vita, che libera da ogni paura e dona la fiducia nella fedeltà di Dio”.
Ha assistito alla celebrazione una delegazione del Patriarcato ecumenico guidata dal metropolita di Pergamo, Ioannis, e inviata dal Patriarca Bartolomeo I:
“Preghiamo il Signore perché anche questa visita possa rafforzare i nostri fraterni legami nel cammino verso la piena comunione tra le due Chiese sorelle, da noi tanto desiderata”.
Segno del desiderio di unità tra le Chiese, i canti che hanno animato la liturgia, eseguiti insieme dal coro del Patriarcato di Mosca e dalla Cappella Musicale Pontificia in linea con un progetto avviato da Benedetto XVI e portato avanti con forza da Francesco e che vede nell’arte uno strumento per creare ponti di dialogo, nella riscoperta delle fonti comuni.
Il Papa all’Angelus: dialogo, unica via per la pace in Iraq
“Il dialogo è l’unica via per la pace”: lo ha ribadito Papa Francesco pregando per l’Iraq sconvolto dalla violenza. Lo ha fatto subito dopo la recita dell’Angelus, dedicato all’odierna solennità dei Santi Pietro e Paolo. Il servizio di Giada Aquilino:
Le notizie che giungono dall’Iraq sono quelle di un Paese in fiamme, sconvolto dalla violenza. Notizie, dice il Papa, “purtroppo molto dolorose”:
“Mi unisco ai vescovi del Paese nel fare appello ai governanti perché, attraverso il dialogo, si possa preservare l’unità nazionale ed evitare la guerra. Sono vicino alle migliaia di famiglie, specialmente cristiane, che hanno dovuto lasciare le loro case e che sono in grave pericolo. La violenza genera altra violenza; il dialogo è l’unica via per la pace”.
Nell’Angelus, ricordando l’odierna solennità dei Santi Pietro e Paolo, il Pontefice si sofferma sulle figure dei due Apostoli, che la Chiesa di Roma celebra in un’unica festa. “La fede in Gesù Cristo - ricorda - li ha resi fratelli e il martirio li ha fatti diventare una sola cosa”. Così diversi tra loro sul piano umano, “sono stati scelti personalmente dal Signore Gesù e - aggiunge il Santo Padre - hanno risposto alla chiamata offrendo tutta la loro vita”, lasciandosi trasformare dalla “grazia di Cristo”, che ha fatto compiere loro “grandi cose”:
“Simone aveva rinnegato Gesù nel momento drammatico della passione; Saulo aveva perseguitato duramente i cristiani. Ma entrambi hanno accolto l’amore di Dio e si sono lasciati trasformare dalla sua misericordia; così sono diventati amici e apostoli di Cristo. Perciò essi continuano a parlare alla Chiesa e ancora oggi ci indicano la strada della salvezza”.
Dio, assicura Papa Francesco, “è sempre capace di trasformarci”, anche “se per caso cadessimo nei peccati più gravi e nella notte più oscura”:
“Trasformarci il cuore e perdonarci tutto, trasformando così il nostro buio del peccato in un’alba di luce. Ma Dio è così: ci trasforma, ci perdona sempre, come ha fatto con Pietro e come ha fatto con Paolo”.
Pietro, aggiunge il Pontefice, “ci insegna a guardare i poveri con sguardo di fede e a donare loro ciò che abbiamo di più prezioso: la potenza del nome di Gesù Cristo”, che guarisce anche il paralitico. Di Paolo, prosegue il Papa, ricordiamo l’episodio della chiamata sulla via di Damasco, “che segna la svolta della sua vita”: prima, Paolo “era un acerrimo nemico della Chiesa”, dopo “mette tutta la sua esistenza a servizio del Vangelo”:
“L’incontro con la Parola di Cristo è in grado di trasformare completamente la nostra vita. Non è possibile ascoltare questa Parola e restare fermi al proprio posto, restare bloccati sulle proprie abitudini. Essa ci spinge a vincere l’egoismo che abbiamo nel cuore per seguire decisamente quel Maestro che ha dato la vita per i suoi amici. Ma è Lui che con la sua parola ci cambia; è Lui che ci trasforma; è Lui che ci perdona tutto, se noi apriamo il cuore e chiediamo il perdono”.
La festa dedicata ai due Santi, dunque, “ci pone di fronte all’opera della misericordia di Dio nel cuore di due uomini”, di due “grossi peccatori”:
“Dio vuole colmare anche noi della sua grazia, come ha fatto con Pietro e con Paolo. La Vergine Maria ci aiuti ad accoglierla come loro con cuore aperto, a non riceverla invano”.
Quindi un pensiero per gli Arcivescovi Metropoliti nominati nell’ultimo anno. Infine i saluti, tra gli altri, ai fedeli di Roma, nella festa dei loro Patroni, al Forum delle Associazioni Familiari del Lazio, ai promotori e realizzatori dell’Infiorata romana allestita in via della Conciliazione e piazza Pio XII, come pure del tradizionale spettacolo di fuochi d’artificio a Castel Sant’Angelo, il cui ricavato sosterrà un’iniziativa per i ragazzi di Terra Santa.
Papa Francesco: intervista al quotidiano "Il Messaggero"
Il quotidiano romano “Il Messaggero” pubblica oggi un’intervista a Papa Francesco realizzata dalla giornalista Franca Giansoldati: nelle sue risposte il Santo Padre si sofferma tra l’altro sulle sfide rappresentate dall’attuale cambiamento “di epoca” e “di cultura”, che ha conseguenze sulla vita politica, finanziaria e sociale. Sfide a cui le istituzioni e la Chiesa devono rispondere tutelando il bene comune e custodendo la vita umana e la sua dignità. Una sintesi dell’intervista nel servizio di Davide Maggiore:
“Tutelare sempre il bene comune”, che include “la custodia della vita umana, la sua dignità”, è “la vocazione per qualsiasi politico”, afferma il Santo Padre. Oggi il problema della politica, “un problema mondiale”, nota Francesco, è che essa “si è svalutata, rovinata dalla corruzione, dal fenomeno delle tangenti”. Questa “decadenza morale, non solo in politica, ma nella vita finanziaria o sociale”, è alimentata dal “cambiamento d’epoca” odierno, che è anche “un cambio di cultura”. In questo contesto, la povertà di cui preoccuparsi non è solo quella materiale.
“Un affamato – spiega il Papa – posso aiutarlo affinché non abbia più fame, ma se ha perso il lavoro ha a che fare con un’altra povertà. Non ha più dignità”. Si impone dunque “uno sforzo comune” nell’aiuto delle famiglie in difficoltà, un compito che – riconosce il Pontefice – è “in salita”, ma va continuato, soprattutto lavorando “di più per il bene comune dell’infanzia”. “Mettere su famiglia è un impegno” – ribadisce – per le difficoltà economiche che si incontrano, mentre “la politica sociale non aiuta”. Commentando i bassissimi tassi di natalità dell’Europa, che è “come se si fosse stancata di fare la mamma, preferendo fare la nonna”, il Santo Padre nota che questo fenomeno non dipende solo da “una deriva culturale improntata all’egoismo e all’edonismo”, ma anche dall’attuale “crisi economica”.
Secondo Francesco, “la bandiera dei poveri è cristiana, la povertà è al centro del Vangelo”, che non si può comprendere “senza capire la povertà reale”. Va però tenuto conto che esiste anche “una povertà bellissima dello spirito, essere povero davanti a Dio perché Dio ti riempie”. Il Vangelo infatti “si rivolge indistintamente ai poveri e ai ricchi” e “non condanna affatto i ricchi, semmai le ricchezze quando diventano oggetti idolatrati”. Alla domanda su “dove stia andando la Chiesa di Bergoglio”, il Papa risponde: “grazie a Dio non ho nessuna Chiesa, seguo Cristo. Non ho fondato niente”. E poi ribadisce: “le mie decisioni sono il frutto delle riunioni pre Conclave. Nessuna cosa l’ho fatta da solo”.
Il Pontefice torna poi sui suoi prossimi viaggi in Asia, quello di agosto in Corea e quello di gennaio nello Sri Lanka e nelle Filippine. La Chiesa in Asia, dice, “è una promessa”. “Quanto alla Cina - continua - si tratta di una sfida culturale grande, grandissima”. Nel corso dell’intervista Francesco riprende brevemente anche molti altri temi già affrontati durante il pontificato, come “la questione femminile”, che va approfondita “altrimenti non si può capire la Chiesa stessa”. Citate poi la corruzione e lo sfruttamento - lavorativo e sessuale - di bambine e bambini. Il Papa parla di episodi di prostituzione minorile che gli furono segnalati quando era arcivescovo a Buenos Aires e che coinvolgevano anche anziani: “Per me sono pedofili queste persone che fanno questo alle bambine”, afferma.
Nel giorno in cui si ricordano i Santi Pietro e Paolo, patroni di Roma, non mancano i riferimenti anche alla quotidianità e alla tradizione della città di cui il Papa è vescovo. Questo ruolo, nota il Santo Padre, è “il primo servizio di Francesco”. Roma, secondo il Pontefice, condivide i problemi di altre metropoli “come Buenos Aires”. E proprio alla “pastorale delle metropoli” sarà dedicato un convegno a Barcellona il prossimo novembre. Ai romani, abitanti di una città “che dovrebbe essere un faro nel mondo”, il Papa augura infine di “non perdere la gioia, la speranza, la fiducia nonostante le difficoltà”.
Tweet del Pontefice: i Santi Pietro e Paolo benedicano Roma
Tweet di Papa Francesco, lanciato dal suo account @Pontifex: “I santi Apostoli Pietro e Paolo benedicano la città di Roma e la Chiesa pellegrina qui e nel mondo intero”!
Il Papa ai giovani: senza Maria, un cristiano è orfano
Un cristiano senza devozione per Maria, madre di Cristo, è “orfano”. Lo ha detto il Papa ai giovani della diocesi di Roma, impegnati nel cammino di discernimento vocazionale, incontrati ieri sera presso la Grotta di Lourdes dei Giardini Vaticani, assieme al cardinale Agostino Vallini. L’appuntamento, alla vigilia della solennità dei Santi Pietro e Paolo, è una tradizione inaugurata da Benedetto XVI. Il servizio di Giada Aquilino:
Il cristiano ha bisogno di “due Madri”: la Madonna e la Chiesa. Parlando a braccio ai giovani della diocesi di Roma impegnati nel cammino di discernimento vocazionale, Papa Francesco ha ricordato come la Madonna sia “tanto importante nella nostra vita”. È lei, ha detto, che “ci accompagna nella scelta definitiva, la scelta vocazionale”, avendo accompagnato Suo Figlio nel proprio cammino vocazionale “che è stato tanto duro, tanto doloroso”. Insomma: “ci accompagna sempre”:
“Un cristiano senza la Madonna è orfano. Un cristiano senza Chiesa è anche un orfano. Un cristiano ha bisogno di queste due donne, due donne Madri, due donne Vergini: la Chiesa e la Madonna”.
Lo ha definito un test di “vocazione cristiana giusta”, il Pontefice, quello di domandarsi come vada il “rapporto con queste due Madri”, la Madre Chiesa e la Madre Maria:
“Questo non è un pensiero ‘di pietà’… No, è teologia pura. Questa è teologia. Come va il mio rapporto con la Chiesa, con la mia Madre Chiesa, con la Santa Madre Chiesa gerarchica? E come va il mio rapporto con la Madonna, che è la mia mamma, mia madre”?
Quindi una riflessione sul cammino di discernimento. “Per ognuno di noi - ha assicurato il Santo Padre - il Signore ha la sua vocazione, quel posto dove Lui vuol che noi facciamo la vita”. Va cercato, trovato e poi portato avanti. Una scelta a cui va dato un “senso del definitivo”, di fronte alla “cultura del provvisorio” che stiamo vivendo:
“Abbiamo paura del definitivo, no? E per scegliere una vocazione, una vocazione qualsiasi sia, anche quelle vocazioni “di stato”, il matrimonio, la vita consacrata, il sacerdozio, si deve scegliere con una prospettiva del definitivo. Va contro questo la cultura del provvisorio. E’ una parte della cultura che a noi tocca vivere in questo tempo, ma dobbiamo viverla, ma vincerla”.
D’altra parte, ha concluso salutando i ragazzi, colui che “ha più sicura la sua strada definitiva è il Papa”.
Giornata per la carità del Papa: oltre l'individualismo di oggi
Come ogni anno, il 29 giugno, la Conferenza episcopale italiana promuove in tutte le parrocchie la Giornata per la carità del Papa, con un titolo tratto dalla lettera di Paolo ai Corinzi “La vostra abbondanza supplica alla loro indigenza”. Sull’iniziativa, realizzata in collaborazione con l’Obolo di San Pietro, Federico Piana ha sentito don Salvatore Ferdinandi, responsabile della promozione di Caritas Italiana:
R. – Credo sia un’iniziativa molto opportuna, perché concretamente offre la possibilità di educare i cristiani alla condivisione, all’attenzione verso coloro che magari sono meno fortunati di noi o che comunque vivono situazioni di disagio, di sofferenze, di emarginazioni. E diventa anche e soprattutto il modo di essere in comunione con tutta la Chiesa a partire dal Papa, in quanto è appunto attraverso questa forma di condivisione che noi esprimiamo il sentirci un cuor solo e un’anima sola e soprattutto essere attenti – come dicevo – alle persone che sono nelle più diverse difficoltà.
D. – Per quale motivo oggi è sempre più importante la carità verso gli altri?
R. – Perché viviamo in una cultura che tende molto all’individualismo, tende molto a farci chiudere in noi stessi e, di conseguenza, ci porta al disinteresse, alla disattenzione verso l’altro. Quindi, un’iniziativa come questa educa le persone ad aprirsi, a non pensare soltanto ai propri bisogni, alle proprie esigenze – pur vivendo una situazione di crisi e di difficoltà – ma ad essere capaci di non perdere di vista il fatto che ci siano persone che hanno bisogno di sentire chi è vicino, di sentire chi condivide il loro disagio. Di conseguenza, l’iniziativa che in questa giornata ci porta a pensare a tutte le persone che vivono il disagio diventa opportuna proprio perché rompe questa logica e questa cultura della chiusura e dell’individualismo.
D. – E poi, la carità non fa bene solo agli altri, ma fa bene anche a noi stessi …
R. – Ma certamente! La carità ci impedisce, appunto, di ripiegarci su noi stessi e di vivere soltanto in funzione dei nostri bisogni e delle nostre necessità. La carità, invece, ci aiuta a trovare il senso della nostra vita. La nostra vita acquista valore e senso nella misura in cui scopriamo che diventa utile anche per gli altri, che diventa un beneficio, un sostegno per le persone che si trovano in difficoltà. Ma comunque, la nostra vita – quando riusciamo ad aprirla agli altri – diventa più significativa e più luminosa.
In Vaticano il coro sinodale del Patriarcato di Mosca
Concerto sabato sera nella Cappella Sistina del Coro Sinodale del Patriarcato di Mosca e della Cappella Musicale Pontificia “Sistina” dal titolo «Ut unum sint. La tradizione musicale dei due polmoni della Chiesa». I due cori, con l’alternanza di direzione dei due maestri, hanno cantato insieme repertori emblematici delle due Chiese. Al termine il saluto ai presenti del cardinale Segretario di Stato, Pietro Parolin. Servizio di Francesca Sabatinelli:
Un importante momento di elevazione spirituale e di incontro tra cattolici e ortodossi, perché cultura e arte possono essere via privilegiata per fare esperienza di una comunione autentica, sebbene ancora imperfetta. Con il suo discorso, il cardinale Pietro Parolin volge direttamente lo sguardo a Mosca per salutare il patriarca Kirill e l’intera Chiesa ortodossa russa, per sottolineare che la passione per la musica sacra di due tradizioni apparentemente così lontane, permette di contemplare un raggio della bellezza che promana dall’incontro con il Salvatore. “Anche attraverso l’arte – dice – il cristianesimo può e deve respirare con due polmoni, con le tradizioni di oriente e di occidente”. “La musica sacra – aggiunge il porporato – ci fa sentire avvolti nello stesso mistero di grazia e ci fa percepire in modo particolare una nostalgia di unità”. I due cori animano anche la Santa Messa presieduta dal Papa nella Basilica Vaticana nella solennità dei Santi Pietro e Paolo. E l’unione dei due cori – conclude il cardinale Parolin – vuole essere "il segno tangibile di una volontà di camminare insieme, collaborando per il bene degli uomini del nostro tempo, e di invocare dal Signore il dono della piena comunione tra tutti i credenti in Cristo”.
Occorre un intervento per liberare Aleppo. Appello di Sant'Egidio
Orrore ad Aleppo, in Siria, dove i miliziani dello Stato Islamico dell’Iraq e del Levante hanno crocifisso otto combattenti rivali, secondo quanto riferisce l’ong di opposizione Osservatorio siriano per i diritti umani. Crescono intanto le adesioni all’appello con cui Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant'Egidio aveva invitato a salvare la città siriana, ricordando che ad Aleppo “accade qualcosa di terribile”, “ma viene ignorato, oppure si assiste rassegnati”: “Sono due anni – aveva sottolineato Riccardi – che si combatte ad Aleppo. Nel luglio 2012 è iniziata la battaglia nella città più popolosa della Siria. Eppure, i suoi due milioni di abitanti sono rimasti, preservando la millenaria coabitazione fra musulmani e cristiani”. “Bisogna imporre la pace – aveva concluso il fondatore della Comunità di Sant’Egidio – in nome di chi soffre”. Ma come è nato questo appello? Marina Tomarro lo ha chiesto a Claudio Betti della Comunità di Sant'Egidio:
R. – Sono due anni che è iniziata la battaglia. All’inizio, c’è stato un po’ di interesse nei confronti di quello che succedeva nella città, poi - come dice appunto l’appello - sembra che si sia cominciato ad ignorarlo quasi completamente. Si assiste un po’ rassegnati a quello che sta succedendo, senza essere in grado di prendere un’iniziativa.
D. – Avete notizie riguardo alla situazione di Aleppo, in questo momento?
R. – Si tratta di una città divisa in due parti, quasi nettamente contrapposte, con alcune zone, in particolare quelle intorno alla città vecchia, che sono teatro di scontri quasi quotidiani, con il discorso dell’acqua che viene tolta un giorno sì e un giorno no e quindi, adesso, con l’estate, il caldo torrido che è tipico di quelle regioni rende la situazione ancora più tragica.
D. – Riccardi, nella sua lettera, invita i governi coinvolti a fare una profonda riflessione. Ma, allora, qual è la strada per giungere alla pace?
R. – La strada per giungere alla pace in Siria sembra purtroppo una strada lunga, che però deve essere percorsa con coraggio. Bisogna cominciare a trattare; non si può continuare a pensare che la situazione si risolva in un modo o nell’altro da sola. Nel caso di Aleppo, le domande sono molto chiare: si tratta di creare corridoi umanitari e si tratta, prima di tutto, di salvare la gente di questa città. Non si può permettere che una popolazione intera sia ostaggio di una crisi come questa. Non è pensabile. E bisogna predisporre corridoi umanitari e rifornimenti per i civili. Bisogna trattare ad oltranza per la fine del combattimento. La trattativa è l’unica strada per risolvere la situazione. Oggi non è pensabile che una delle due parti vinca ad Aleppo. Quindi siamo di fronte ad una situazione ormai bloccata, che può essere risolta solamente con una presa di posizione coraggiosa da parte della comunità internazionale.
Ucraina, Georgia, Moldavia più vicine all’Ue
Ucraina, Georgia e Moldavia sono più vicine all'Europa: la firma dell'accordo di associazione con l’Ue, al vertice dei giorni scorsi, viene definito storico nei tre Paesi dell’Est. In sostanza comporterà la riduzione dei vincoli commerciali e l’introduzione di riforme democratiche, in cambio del supporto politico ed economico da parte degli Stati europei. Le trattative per l’introduzione di questi accordi vanno avanti da anni. Sono gli stessi accordi che a febbraio l’allora presidente dell’Ucraina, Yanukovich, si è rifiutato di firmare dietro le pressioni della Russia, innescando le accese proteste di piazza e l’attuale delicatissima situazione nel Paese. Del valore degli accordi di associazione, Fausta Speranza ha parlato con l’economista Paolo Guerrieri, docente all’Università La Sapienza di Roma:
R. – Questi accordi hanno una valenza economica ma, è inutile nasconderselo, hanno una grande, forte, valenza anche politica, perché per Paesi come l’Ucraina, come la Georgia, come la Moldavia, vogliono dire il rafforzamento di legami che sono economici ma anche politici. E l’Europa che firma questi accordi, deve anche assumersi la responsabilità che ne discende. Innanzitutto, in termini economici e quindi non voltandosi dall’altra parte quando si tratta di stanziare le risorse che sono necessarie. E poi anche a livello politico. Nel vertice - e lo considero positivo – certamente non si è dichiarato guerra a nessuno ma si è mandato un messaggio chiaro alla Russia e a Putin a proposito di accordi e di patti internazionali. O si rispettano oppure i Paesi dell’Unione europea andranno avanti con una linea di riforme molto dura, che per la Russia e per Putin vogliono dire molto. Questa cosa che le sanzioni non hanno avuto modo di incidere è una cosa sostenuta ad arte da chi non le vuole far varare. In realtà, le sanzioni, soprattutto queste di tipo “tre”, come sono state dette, cioè che bloccano rapporti tra banche, che bloccano fondi, sono molto penalizzanti per la Russia.
D. - Dal punto di vista economico è senz’altro una grandissima sfida e una grandissima opportunità per l’Unione europea avere a che fare con questi Paesi …
R. – Questi contratti di associazione - associazione intesa come partenariato economico - sono molto impegnativi e sono anche molto importanti perché sono stati strumenti di cambiamento poi per i Paesi che li hanno già siglati. Naturalmente, questi cambiamenti sono sul piano economico ma sono anche sul piano istituzionale e da questo punto di vista rafforzano all’interno la capacità di competere, ma anche la capacità di crescere di questi Paesi. Però abbiamo visto nel caso dell’Ucraina che il discorso poi più importante riguarda la possibilità di accompagnare questi accordi anche con una serie di azioni che sono al di là di un vero e proprio accordo di associazione-partenariato, ma in qualche maniera sono molto vicini al confine di un rapporto scambievole vero e proprio tra Unione europea e nuovi Paesi di confine. E’ un territorio nuovo, bisogna muoversi con una grande capacità, da un lato diplomatica, ma dall’altro anche tecnico-economica. Questo naturalmente significa solo una cosa: l’Unione europea deve avere una politica estera, internazionale, che non sia una politica di tanti Paesi ma che sia sempre di più la politica di una grande area. Area che, ci piaccia o meno, ha una grande influenza.
D. – Diciamo che si tratta di un vero e proprio braccio di ferro anche sul piano economico con la Russia, cioè tra Unione europea e Russia?
R. – Non c’è dubbio che da questo punto di vista la Russia mira in qualche modo - lo ha detto esplicitamente, ma lo ha fatto anche capire con gli atti - a fare in modo che questi Stati restino dipendenti da una sua sfera di influenza che poi sappiamo, soprattutto, è una sfera che si muove nel campo delle forniture energetiche, dei rapporti quindi a livello di petrolio e gas. Però, da questo punto di vista è una sfida che si può raccogliere se sapremo in qualche modo muoverci sui due terreni che abbiamo detto, quello economico e quello politico-istituzionale. Questa è una sfida che può andare a beneficio dei Paesi interessati.
Harambe, una speranza imprenditoriale per giovani africani
Dare speranza a migliaia di giovani africani per creare opportunità di lavoro nel loro continente. È la missione che sta portando avanti la Harambe Entrepreneur Alliance, l’associazione che punta a far ottenere finanziamenti a ragazzi africani che si sono formati all’estero e che intendono tornare nei loro Paesi d’origine. Gianmichele Laino ha chiesto a Okendo Lewis Gayle, il fondatore dell’associazione, quali nuove prospettive e speranze possono aprirsi per lo sviluppo dell’imprenditoria giovanile in Africa:
R. – Io sono il fondatore della Harambe Entrepreneur Alliance, che aiuta i giovani africani delle grandi università del mondo, come Harvard ed Oxford, a fare imprese in Africa. Qui a Roma, ogni due anni, facciamo un convegno con diversi gruppi che fanno molta carità in Africa, alcuni legati alla Chiesa. Ed ora stiamo organizzando il terzo convegno qui a Roma, che si svolgerà a settembre del 2015.
D. – Una speranza per i giovani africani, che vogliono trovare un lavoro all’interno dei propri Paesi. Quali sono gli atti concreti che state portando avanti, affinché questo loro sogno possa essere possibile?
R. – Non si tratta di far trovare loro lavoro, ma di creare lavoro. Sono persone, infatti, che hanno avuto grandi opportunità, come studiare nelle migliori università del mondo, e che generalmente decidevano di rimanere al di fuori dell’Africa. Si tratta, quindi, di aiutarli a creare questi lavori. Quello che facciamo è far sì che possano avere, all’inizio, gli investimenti necessari, che è una cosa molto difficile. Cerchiamo, dunque, di far sì che questi giovani, che hanno una forte base educativa e un business plan, possano avere le risorse.
D. – Chi è che aiuta questi giovani da un punto di vista economico?
R. – Noi abbiamo delle partnership con diverse società e diversi investitori, che capiscono che per fare in modo che l’Africa si sviluppi deve essere sviluppato l’ecosistema. Quelle persone che capiscono l’importanza di questo ecosistema, ci aiutano a far sì che si diano le risorse necessarie a questi giovani imprenditori.
D. – Finora quali risultati si sono ottenuti?
R. – Finora abbiamo 200 giovani imprenditori africani. Tutti hanno in mente non solo come farlo nella loro comunità, ma anche come farlo crescere. Questa penso sia la sfida più grande per noi. Sappiamo che nei prossimi anni, 200 milioni di giovani africani entreranno nel mondo del lavoro, dovranno cercare un lavoro, e se non facciamo qualcosa questa potrebbe essere un’emergenza, una crisi. I governi, infatti, non possono creare queste opportunità da soli.
D. – Quali sono invece i risultati che intendete conseguire?
R. – L’Africa è il continente più giovane del mondo: il 60 per cento della popolazione è al di sotto dei 25 anni. Quindi, questa generazione di giovani africani ha l’opportunità molto reale di sprigionare il potenziale dell’Africa. Per avere successo in questa impresa, devono, però, avere le risorse per tutto il percorso. Mi auguro di poter creare un ecosistema imprenditoriale, che possa far sì che questa generazione di giovani africani sfrutti questa grande opportunità che abbiamo davanti.
Senegal: conclusa la missione "Bambini cardiopatici nel mondo"
Una missione a favore dei bambini colpiti da malattie cardiache congenite: è quella conclusa, nelle scorse ore, dall’associazione “Bambini cardiopatici nel mondo” nell’ospedale universitario di Dakar, in Senegal. L’iniziativa, che ha visto un’équipe medica specializzata operare nel Paese per una settimana, prevede anche la realizzazione di un’unità di cardiologia e cardiochirurgia pediatrica nella città africana. Del contesto in cui si inserisce il progetto, Davide Maggiore ha parlato con Riccardo Giani, responsabile delle relazioni istituzionali di “Bambini cardiopatici nel mondo”:
R. - Per quanto riguarda la struttura, noi facciamo capo all’ospedale Fann, che è l’ospedale universitario di Dakar, la capitale del Senegal, dove esiste già un’unità di cardiochirurgia per l’adulto cui noi ci appoggiamo. La selezione dei bambini che sono stati operati dalla nostra missione è stata fatta, sulla base di criteri di gravità delle patologie e soprattutto di aspettativa di vita post intervento, dal personale medico cardiologico, già esistente nell’ospedale universitario di Dakar, che però fondamentalmente si occupa di casi di adulti. In realtà, la richiesta di diagnosi approfondite e di trattamenti specifici per bambini cardiopatici congeniti è molto alta, si parla di decine di migliaia di piccoli. Per il trattamento fino ad oggi, non esistendo centri specializzati in cardiochirurgia pediatrica, in quest’area del mondo, veniva fatta, nei casi in cui era economicamente possibile, anche portando i bambini in centri italiani o europei o americani. Purtroppo, però, a causa appunto delle scarse risorse economiche di questi Paesi e anche perché non esistono attualmente centri specializzati nel trattamento di queste patologie, il tasso di mortalità è molto, molto elevato, circa l'80 per cento.
D. - Questo progetto dell’associazione "Bambini cardiopatici nel mondo" come nasce?
R. - Il Progetto Senegal si inserisce in uno più ampio, che abbiamo chiamato “Un cuore per l’Africa” e che prevede la costruzione di alcuni centri di eccellenza, di diagnosi e cura delle cardiopatie congenite dei bambini; l’attuazione di missioni operatorie cui partecipano medici cardiochirurghi e cardiologi, ma anche personale tecnico infermieristico, che proviene da tutta Europa, non solo dall’Italia; e la formazione per medici, personale tecnico e infermieristico dei Paesi in cui operiamo, perché l’obiettivo finale è quello di renderli autonomi.
D. - Quali sono le ragioni che hanno portato a scegliere il Senegal, e Dakar in particolare, come sede?
R. - Il Senegal è un Paese il cui influsso va al di là dei suoi confini nazionali e rappresenta tutta l’Africa occidentale; ha una struttura molto avanzata anche di infrastrutture - aeroporti già presenti e in via di realizzazione - e che può essere anche un centro di riferimento per i Paesi vicini.
D. - E, in particolare, sulla formazione si sa già quante persone saranno coinvolte e se ci sarà una cooperazione ad esempio con istituzioni educative locali?
R. - Il progetto prevede, oltre alla costruzione del centro e di un reparto di emodinamica e di una casa “mamma e bambino” per il post operatorio, anche delle borse di studio, e quindi dei processi di formazione, che saranno in Italia e in altri Paesi europei. Quest’anno partirà la selezione delle prime due borse di studio al personale medico locale. In futuro saranno erogate altre borse di studio e partiranno altri corsi di formazione con l’obiettivo di costruire dei team che siano in grado di sostenere questa attività e quindi di implementarla e mantenerla nel tempo. Saranno pure fatti corsi formativi locali, ma fondamentalmente la formazione sarà fatta nei centri europei, dove già esiste un’alta competenza di questo tipo.
Con la campagna Biblioteche Solidali, un progetto per Betlemme
È partita nei giorni scorsi la campagna Biblioteche Solidali, promossa dall’Istituzione Biblioteche di Roma. Per il triennio 2014-2016, il Modavi Onlus - il Movimento delle associazioni di volontariato italiane - partecipa attraverso il progetto Smile, sostenendo l’Istituto Effetà Paolo VI di Betlemme, sorto per desiderio di Papa Montini. Elisa Sartarelli ha chiesto a Maria Teresa Bellucci, presidente del Modavi nazionale, cosa sia il progetto Smile:
R. - Il progetto Smile riguarda la realizzazione di una biblioteca a Betlemme, in Palestina, in un istituto di suore dorotee che hanno realizzato un servizio per bambini audiolesi. Questa attività è nata nel 1964, quando c’è stata la visita di Papa Paolo VI: allora c’erano moltissimi bambini con questa difficoltà e il Papa ha chiesto di poter realizzare un luogo che potesse accogliere questi piccoli per poterli supportare. Noi abbiamo pensato di realizzare una biblioteca per tutti i bambini di quel territorio. Cerchiamo di stare più vicino ai più bisognosi, portando loro un sostegno culturale ma anche educativo e ricreativo, per poter difendere il loro diritto a un’infanzia piena di serenità. Il progetto Smile è questo. Lo abbiamo chiamato Smile, sorriso, perché vorremmo restituire il sorriso a questi bimbi ma anche perché rappresenta un acronimo; all’interno di queste cinque lettere c’è il modo in cui vogliamo operare e gli obbiettivi che vogliamo realizzare attraverso questa biblioteca: il supporto, la mediazione, l’integrazione, l’apprendimento e l’educazione.
D. - Qual è l’attività del Modavi nell’ambito della campagna Biblioteche Solidali?
R. - La campagna Biblioteche Solidali cerca di attivare un 'fundraising' proprio per la costruzione di biblioteche nei Paesi più bisognosi. Il Modavi ha preso parte a questa campagna e ha l’opportunità sul territorio romano, e attraverso il coinvolgimento delle sue affiliate, di attivare questa raccolta fondi. Lo fa attraverso la creazione di eventi che vengono ospitati dalle biblioteche stesse. A Roma, l’Istituzione Biblioteche ha una rete diffusa di biblioteche sul territorio, dove vengono realizzati degli eventi sociali, culturali ed educativi a cui si può partecipare e donare qualcosa, per poter contribuire alla realizzazione di tali biblioteche; ma lo fa anche attraverso la diffusione sul suo sito e sui network, per far sì che magari ciascuno di noi possa inserire nella propria vita un po’ di solidarietà.
D. - Questa è la terza edizione a cui partecipate…
R. - Il Modavi già nella prima occasione aveva abbracciato un altro progetto, quello di poter realizzare una biblioteca in Argentina a Campana di Palo, nella periferia di Bahia Blanca. Anche lì, come in Palestina, come a Betlemme, la situazione dei più piccoli, ma anche degli adolescenti e delle famiglie è di grande degrado. E quindi abbiamo potuto portare anche in quei luoghi un po’ di sorriso. Lo abbiamo fatto anche raggiungendo i piccoli del Kenya in una missione cattolica della provincia del Meru. Qui abbiamo realizzato una biblioteca portando la cultura, la conoscenze e quindi lo scambio tra le popolazioni che in questo modo si conoscono e possono trovare un terreno di incontro.
Prima guerra mondiale: torna d'attualità l'opera di Benedetto XV
Un profeta dimenticato, ma che gli storici stanno riscoprendo come un grande Papa del secolo scorso. E’ Benedetto XV, di cui ricorre quest’anno il centenario dell’elezione a Pontefice avvenuta il 3 settembre 1914. In queste settimane, in cui si ricorda l’inizio della Prima guerra mondiale, il suo insegnamento e la sua opera tornano di straordinaria attualità. Luca Tentori ha sentito per noi il domenicano padre Massimo Mancini, docente di Storia della Chiesa nella Facoltà Teologica del Triveneto di Venezia. Il servizio:
Sotto il rombo dei cannoni di una guerra che incendiava l’Europa fu scelto come Pontefice, nel settembre 1914, il cardinale Giacomo Della Chiesa, arcivescovo di Bologna. E proprio la guerra, da lui definita come “inutile strage”, segnò profondamente la sua esperienza al soglio di Pietro. In poco più di sette anni di pontificato un’azione a tutto campo: non solo cercò di fermare il conflitto, ma rilanciò i rapporti con il mondo mediorientale e dell’estremo oriente, promulgò il nuovo codice di diritto canonico, attenuò i toni della vicenda modernista, riorganizzò le missioni e sostenne i cattolici nella vita politica. Ma il suo impegno più grande fu quello per la pace:
R. - E’ un Papa che in situazioni difficilissime, quando la Santa Sede non è riconosciuta sul piano internazionale, riesce ad essere un interlocutore valido ed efficace presso le potenze per arrivare alla pace. Anche se la pace si realizza solo dopo quattro anni di guerra. Benedetto XV invita tutti i popoli, tutti gli Stati in guerra alla pace. Non prende posizione per nessuno e questo è un aspetto che gli verrà rimproverato da non pochi. Il Papa sa che il suo compito di padre di tutti i cristiani è quello di portare tutti alla pace, senza parteggiare per una potenza invece che per un'altra e questo non viene capito.
D. - Non ci furono solo teorici appelli alla pace ma, grazie alla sua grande esperienza di diplomatico, Papa Della Chiesa si prodigò concretamente per risolvere i conflitti...
R. - Da un lato si occupa di offrire assistenza, per quanto possibile, a tutti coloro che sono danneggiati dalla guerra. Dall’altro dopo tre anni di guerra sanguinosa e tragica il Papa fa una proposta e invia una nota diplomatica a tutte le potenze in guerra, indicando delle soluzioni su problemi concreti. Ma questa sua proposta concreta venne rifiutata dalle potenze in guerra con la sola eccezione di Carlo I d’Asburgo. Non fu un successo certamente, ma fu un momento di profezia grande da parte del Pontefice.
D. - Capitolo missioni: anche qui Benedetto XV lasciò la sua impronta...
R. - Con la “Maximum illud” del 1919 Benedetto XV dà un nuovo impulso alle missioni nei diversi continenti, cercando di realizzare il progetto di un 'clero indigeno'. Quindi sacerdoti e vescovi appartenenti ai popoli: una missione che non sia più legata al colonialismo delle potenze europee, ma che invece lasci emergere le migliori risorse dei popoli da evangelizzare, per un messaggio autenticamente più evangelico.
D. - Fu un innovatore lungimirante anche riguardo all’impegno dei cattolici nella politica?
R. - Benedetto XV è anche un uomo che ha grande attenzione alla presenza dei cattolici nella politica dei diversi Paesi. Anzitutto in Italia, appoggiando la fondazione del nuovo Partito popolare italiano di don Luigi Sturzo. Il primo partito politico di ispirazione cattolica in Italia. Sotto il pontificato di Benedetto XV si ha anche l’inizio di trattative, seppure in maniera molto nascosta, per arrivare alla soluzione del grave problema della “Questione romana” che si trascinava da decenni e che era origine di conflitto tra l’Italia e la Santa Sede.
Iraq: offensiva governativa su Tikrit, Isis minaccia Baghdad
In Iraq, ancora violenze, come ha ricordato il Papa all'Angelus. Le forze governative hanno lanciato un’offensiva per riprendere la città di Tikrit, attualmente in mano ai miliziani d’ispirazione qaedista dello Stato Islamico in Iraq e nel Levante (Isis), che continuano a minacciare anche Baghdad. In un attacco lanciato contro i sobborghi della capitale, ieri, hanno perso la vita almeno 20 soldati governativi. Intanto, mentre l’Iran ribadisce il sostegno militare al governo del premier sciita Nuri al-Maliki, la Russia ha consegnato alle autorità irachene una prima fornitura di aerei da caccia che saranno usati nel contrasto ai jihadisti. (D.M.)
Ucraina: liberi gli osservatori Osce sequestrati dai filorussi
Sono stati rilasciati ieri sera in Ucraina quattro osservatori dell’Osce, che da un mese erano nelle mani dei ribelli filorussi che occupano le regioni orientali del Paese. Altri quattro osservatori erano stati liberati nella notte tra giovedì e venerdì. Questi gesti di distensione potrebbero consolidare il fragile cessate il fuoco tra Kiev e i ribelli, che dovrebbe scadere nella serata di lunedì. Del proseguimento della tregua dovrebbero discutere oggi in una serie di telefonate il presidente ucraino Poroshenko, quello russo Putin, il francese Hollande e la cancelliera tedesca Merkel. (D.M.)
Nuovi raid aerei israeliani sulla Striscia di Gaza, 2 feriti
Aerei israeliani hanno bombardato oggi almeno sei siti nella Striscia di Gaza, provocando, secondo fonti palestinesi, due feriti. L’azione è stata definita dal premier dello Stato ebraico Netanyahu “una risposta” al lancio di razzi avvenuto poche ore prima in direzione di Sderot. Uno degli ordigni aveva colpito una fabbrica, ferendo tre persone, secondo quanto riferito dalla polizia. Netanyahu non ha escluso che l’operazione militare possa essere “estesa”. (D.M.)
La Corea del Nord effettua un altro test missilistico
Nuovo test missilistico della Corea del Nord, dopo quello avvenuto giovedì scorso. Due missili Scud a corto raggio sono stati lanciati dalla costa orientale, finendo nel Mar del Giappone. I test arrivano alla vigilia del viaggio del presidente cinese Xi Yinping a Seul, previsto per il 3 e 4 luglio. Nella capitale sudcoreana il capo di Stato discuterà con la presidente sudcoreana Park Geun-hye anche misure strategiche di partenariato e cooperazione per affrontare la questione nucleare di Pyongyang. (D.M.)
Chiesa in Texas: emergenza per i giovani immigrati
“Alla fine di settembre potrebbero raggiungere quota 90.000 i ragazzi centroamericani e messicani, immigrati senza documenti, che arrivano a Laredo e a Brownsville, in Texas”: lo ha detto il vescovo della diocesi di Laredo, mons. James Anthony Tamayo, al termine di un incontro con altre autorità religiose della zona. Come riporta l’agenzia Fides, l'incontro è stato organizzato proprio per l’emergenza umanitaria che si vive in Texas: dall’inizio del 2014 sono ormai 47.000 i minori non accompagnati, cioè bambini e adolescenti fino a 17 anni, giunti nello Stato americano.
“E' una reale emergenza” in situazione di estremo pericolo. Come cristiani delle zone interessate dal fenomeno migratorio, “siamo chiamati ad aiutare”, ha detto mons. Tamayo. All'incontro hanno partecipato i rappresentanti delle comunità cristiane locali: cattolici, metodisti, episcopaliani, evangelici. Insieme hanno chiesto gesti concreti di solidarietà ai fedeli perché, secondo la nota inviata a Fides, “non si sa quando finirà questo flusso migratorio, che sta diventando un fenomeno critico”.
Un gruppo di coordinamento di Stati Uniti, Canada, Messico, El Salvador, Guatemala, Nicaragua e Honduras è impegnato in un’azione per controllare (ognuno alle proprie frontiere) il flusso di ragazzi e bambini che arrivano o viaggiano da soli. Il gruppo ha stabilito di lanciare una campagna d'informazione per scoraggiare i viaggi, precisando che, una volta attraversata la frontiera, le autorità degli Stati Uniti non concedono a tutti un permesso di soggiorno. Ogni Paese poi si è impegnato a proteggere i bambini a rischio. (A.T.)
Centrafrica: i Salesiani accanto agli sfollati di Bangui
“Nel cortile della chiesa di San Giovanni Bosco, in un umilissimo quartiere di Bangui, da 7 mesi sopravvive circa un migliaio di persone. I Salesiani sono il loro scudo, la loro salvezza. Don Agustín Cuevas, religioso spagnolo di quasi 70 anni, accoglie nella sua comunità tutta questa gente, sfollata a causa dei massacri della Repubblica Centrafricana. In certi momenti ci sono state fino a 22.000 persone”. Così racconta un articolo pubblicato dal quotidiano ‘El Confidential’, riportato da Ans, l’Agenzia Info Salesiana.
Gli sfollati sono assistiti dalla comunità salesiana cui appartiene anche don Cuevas, che è arrivato per la prima volta nella Repubblica Centrafricana tre anni fa, dopo aver vissuto in diversi Paesi del continente africano. Insieme a lui lavorano accanto ai bisognosi anche don Jan Hübner, salesiano polacco, vicario della comunità dal 2010, e il salesiano coadiutore Eynem Maguergue, di Ndajaména, in Ciad, direttore dell’oratorio e incaricato della scuola dal 2011. La maggior parte dei rifugiati è rappresentata da donne e bambini scampati alla violenza “cieca e gratuita” - sono le parole di don Cuevas - scoppiata a Bangui nel dicembre scorso. A Galabadja, quartiere della capitale, hanno bussato in tanti alla porta della comunità salesiana, che già da anni si sforza di costruire una piccola oasi di servizio, composta da una scuola e un dispensario.
Gli sfollati sono ancora oggi presenti nel cortile della chiesa. Ci sono stati momenti in cui erano oltre 22.000 ed affollavano anche gli edifici e tutti gli spazi disponibili del complesso salesiano, accatastandosi per dormire “sui banchi e sul pavimento della chiesa”, mentre fuori il rumore degli spari, dei colpi di mortaio e delle esplosioni di granate non cessava. (G.A.)
Mazara del Vallo: da tunisini, inno Voci del Mediteterraneo
Ragazzi tunisini insieme per realizzare il primo inno del Centro “Voci del Mediterraneo”, nato in pochi mesi presso il laboratorio di musica proposto a tutti i ragazzi che frequentano il progetto “Giovani in lab”.
In una nota inviata all’agenzia Sir, la diocesi di Mazara del Vallo spiega che “il laboratorio è stato articolato come un percorso musicale che, partendo in un primo momento dall’ascolto, si è sviluppato attraverso l’uso di strumenti ritmici e percussioni. Al termine del percorso - si legge ancora nel comunicato - è nato l’inno: un brano inedito il cui testo, ma anche la musica, è stato composto dai ragazzi i quali, chi con una frase, chi con un pensiero, chi con solo un’idea, hanno dato forma alla loro visione del Centro e ai loro sentimenti”.
Il brano è stato eseguito per la prima volta in pubblico per la festa conclusiva dei progetti presso la Fondazione San Vito Onlus. Il momento “più esaltante e formativo è stata la registrazione: i ragazzi - prosegue la nota - sono stati condotti a Marsala presso uno studio di registrazione”, dove hanno potuto assistere da protagonisti alle prime fasi della nascita di un brano musicale composto, suonato e registrato da loro stessi. Il progetto è stato finanziato dalla Caritas Italiana tramite il fondo Cei dell’8 x mille. L’inno si può ascoltare sul sito diocesano www.diocesimazara.it. (G.A.)
Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVIII no. 180